“Ti auguro di ottenere ciò che aneli,
più di ciò di cui hai bisogno”
In questa frase, scritta da una ragazzina cubana,
si condensa il senso di questo viaggio, nato con
l’intenzione di creare una scuola di musica in
un piccolo paesino cubano.
La musica non è un bene indispensabile come
il cibo, la casa, i medicinali e l’istruzione, ma ha
ali possenti per far volare l’anima delle persone
sopra questi bisogni: lenisce il dolore, placa
la solitudine, unisce la gente e getta ponti tra
mondi distanti. Ecco perché, ad un certo punto,
sono volato fino a Cuba.
Questo è il diario che ho scritto mentre
mi trovavo là, ad insegnare a suonare e ad
imparare cose molto più importanti della
musica, su me stesso e sulla vita.
Lorenzo Frizzera | Diario di Cuba. La musica, aspettando la neve
Lorenzo Frizzera
Diario di Cuba
la musica, aspettando la neve.
In copertina: neve. Progetto grafico e fotografia: Lorenzo Viesi
Lorenzo Frizzera
DIARIO DI CUBA
La musica, aspettando la neve.
El Señor bendiga desde arriba
lo que caiga en la barriga!
Rovereto, 2 maggio 2013
Questo è il diario che ho tenuto nel mese di aprile 2013
durante un mio viaggio a Cuba. Ho omesso delle parti, che
rimarranno solo mie, ma in queste pagine troverai
comunque molto di me, forse troppo. Infatti, mentre lo
scrivevo, mi chiedevo se poi avrei davvero voluto e potuto
condividerlo; alla fine ho deciso che andava bene così. Io
sono proprio come mi leggerai. In fondo ne sono felice: chi
mi conosce da vicino mi percepisce spesso come una
persona organizzata, efficiente e concentrata soprattutto sui
risultati concreti, un tipo che ama grafici, diagrammi e
numeri (adoro la matematica). Bé, questo è vero solo a
metà. In queste pagine troverai di me più di quanto traspare
dalla mia vita quotidiana, un lato più intimo, direi più vero,
che è all'origine della mia musica, di questo viaggio e di
altri che ho fatto e che farò.
Se hai già visitato Cuba come turista scoprirai un punto
di vista molto diverso rispetto a ciò che hai vissuto. Inoltre
se, come una persona che ho conosciuto, sei stato
imprigionato e torturato per cinque anni nelle carceri cilene
sotto la dittatura fascista di Pinochet, talvolta troverai
opinioni che non condividerai, perché a me non piacciono
neppure le dittature di sinistra.
È solo il mio punto di vista, quello di un musicista
italiano che è stato per un mese a cercare di decifrare un
mondo tanto contraddittorio quanto stupefacente. Non sono
politicamente colto e porta pazienza se troverai delle
inesattezze: ho solo riportato quanto mi hanno raccontato
gli stessi cubani. Sappi comunque che tutto ciò che leggerai
(tranne naturalmente il 17 aprile!) è quello che ho
realmente ascoltato e vissuto. Un tempo indimenticabile.
Lorenzo
Lunedì 1 aprile
Ecco, sono partito. Il treno corre in un paesaggio che
conosco bene, poi, un po' alla volta, comincerà a mostrarmi
luoghi dove il mio sguardo non riuscirà a ritrovare nessun
ricordo e allora sarò veramente libero, libero di guardare
lontano.
Ho lasciato il mio zaino sulla panchina della stazione. L'ho
lasciato lì, pieno zeppo di cose che in questo viaggio non mi
serviranno. L'ho osservato da dietro il finestrino mentre il
treno partiva lentamente, senza provare nulla in particolare.
Nessuno se n'è accorto. Dentro c'era il marzo più piovoso e
freddo della mia vita, così almeno dicono i telegiornali; c'era
un tempo diviso a metà tra il prima e il dopo, c'erano molte
domande senza risposta, un sogno e molta solitudine. Non ti
spiegherò il perché, ma sono sicuro che anche tu hai sofferto e
sai di cosa parlo. Bé, me ne sono liberato, è spuntato un sole
senza nuvole e ora mi godo il viaggio.
Scrivo proprio a te. Forse ti conosco bene, magari sei mio
fratello, un mio amico, oppure una persona che non ho mai
visto. Comunque sia, ciao. Non sono uno scrittore e quindi
prendi questo diario come una lunga lettera: tutti scrivono
lettere a qualcuno, dunque anch'io posso permettermi di
scarabocchiare qualcosa in libertà. Mi viene più facile. Forse
penserai che io scriva solo per narcisismo e può davvero
essere così. Si sa, molti credono di vivere e provare
emozioni che non possono assolutamente essere taciute al
resto dell'umanità e può darsi che anch'io abbia ceduto alla
tentazione, finendo nel novero degli scrittori inutili e
giustamente incompresi. Ma forse sono sinceramente spinto
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dal desiderio di condividere questo viaggio con te e con chi
mi ha permesso di farlo: forse sei anche tu una di quelle
cento persone che mi hanno donato qualche euro per pagare
il biglietto aereo e per permettermi di fare questa esperienza
in nome della musica. Se è così ti farà piacere sapere cosa ne
è stato. Ho deciso che dedicherò un po' di tempo ogni giorno
per scrivere questo diario.
Quella parte di giorno in più che si vive volando
È stato un viaggio molto lungo: undici ore a rincorrere il
tramonto per mezzo mondo. Ricordo le cime delle Alpi
affiorare come un arcipelago tra un mare sconfinato di
nuvole, uno spettacolo meraviglioso che si può godere solo
volando. Purtroppo il mio rapporto già pessimo con
l'aviazione si è irrimediabilmente deteriorato in seguito
all'esperienza che ho vissuto mentre tornavo dal Burundi,
sopra il Sudan. Dopo un lampo blu nel motore di sinistra, il
mio aereo è sceso all'impazzata per cinquanta secondi di
puro terrore. Mentre incrociavo gli sguardi atterriti delle
hostess e sentivo le grida e le ultime preghiere di alcuni
viaggiatori, ho pensato che sarei morto di lì a poco.
Fortunatamente, dopo un po', l'aereo si è ripreso,
comandante e equipaggio hanno fatto finta di niente, e
abbiamo tirato dritto con un motore in meno e le cinture
allacciate fino a Bruxelles. Onestamente mi stupisco di come
io sia ancora in grado di prendere degli aerei e di godermi
cose come gli arcipelaghi alpini. Comunque sia, questo volo
per Cuba è stato ottimo.
All'aeroporto sono stato accolto da suor Anna, una mia
vecchia amica, e da Victor, un ragazzo che suona la chitarra.
La notte ho dormito con lui in una stanzetta mentre il
ventilatore, al massimo della sua potenza, ronzava sopra le
nostre teste.
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Martedì 2 aprile
Al mattino abbiamo fatto un giro in centro a l'Avana.
Nell'autobus affollato un vecchietto che sembrava dipinto ha
iniziato di punto in bianco a cantare una rumba, mettendo se
stesso e tutti gli altri di buon umore. La città era proprio
come te la immagini: le auto anni cinquanta, i palazzi
coloniali decadenti, i risciò sempre sull'orlo di un incidente,
qualche side-car e soprattutto il caldo, il sole e un grande
corso lungo il mare chiamato Malecon.
Traffico a L'Avana
Abbiamo bighellonato un po' nel quartiere turistico, dove
tutto è così cubano da sembrare un set di Hollywood, per poi
lanciarci nella difficoltosa ricerca di un cerchione per la
bicicletta di Victor, attraversando strade, incroci e vicoli e
chiacchierando con svariati personaggi: dal venditore
ambulante alla vecchia pazza che elemosina banane, dal
sobillatore controrivoluzionario al trafficante di pezzi di
bicicletta rubati e arrugginiti. In tutto questo suor Anna ha
continuato a mangiare banane di ogni tipo e a bere la Tucola,
la Coca Cola cubana che è anche migliore dell'originale.
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Arrivati a casa ho insegnato a Victor le scale
pentatoniche, perché tutto il mondo è paese, e un po' di
esercizi ritmici. Poi mi sono seduto in terrazza a godermi il
tramonto sotto una palma: proprio come nei film, solo che
davanti c'era una vecchia fabbrica. Rovereto è già molto
lontana, sto bene e cammino a piedi scalzi.
Mercoledì 3 aprile
La mattina sono stato all'Hotel Nacional de Cuba, uno dei
pochissimi posti a l'Avana dove è possibile navigare su
internet al prezzo di sette dollari all'ora, quasi l'equivalente
di un intero mese di stipendio per chi vive da queste parti. In
ogni caso internet è proibito per i cubani, mentre i turisti
possono navigare presentando il passaporto. Solo per alcuni
enti, tra cui quelli religiosi, è possibile usare la sola posta
elettronica, che comunque viene sempre letta, controllata e
archiviata nei server del governo. Poiché navigare non è
permesso, qui non sanno di preciso cosa significhino parole
come Facebook, YouTube e Google; inoltre chi possiede una
parabola per la televisione satellitare viene condannato ad
una decina di anni di carcere. Nei telegiornali e sul
quotidiano principale, la Granma, le notizie presentano
l'Europa e gli Stati Uniti come nazioni abitate da popoli
tristi, incolti, guerrafondai e, soprattutto, con una sanità
molto scadente. Sono gli ultimi fremiti di una retorica di
regime, destinata a sprofondare sotto i colpi della modernità
che qui si è presentata dapprima con il volto innocuo del
turismo, si è oggi trasformata nella possibilità di aprire
piccolissime imprese private e infine dilagherà con
l'inevitabile arrivo di internet che già ora filtra nel paese
attraverso hard disk, dvd e altri supporti.
Il mio spagnolo sta migliorando molto velocemente. Mi
viene facile imparare le lingue perché assomiglia in tutto alla
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trascrizione di un assolo, cosa che ho fatto per molti anni, da
quando ne avevo tredici. Mi imponevo di memorizzare
lunghe sequenze di frasi musicali, concatenandole
correttamente e riproducendo tutte le piccole inflessioni che
caratterizzavano ogni nota. Nella mia testa tutto questo
diventava un immensa nuvola di note che alla fine si
trasformava in un linguaggio libero: l'improvvisazione. Con
lo spagnolo rimarrò sempre un principiante, ma è un po' la
stessa cosa. Ovviamente è fondamentale avere un insegnante
paziente e sorridente: nel mio caso Victor!
È un ragazzo di soli ventitré anni e non gli era mai
capitato di stare all'Avana così a lungo, per più di poche ore.
Per causa mia, ha navigato per la prima volta nella sua vita
su internet e ha bevuto la sua prima cioccolata calda in tazza.
Sua madre sta in Venezuela e il padre vive in un altra casa,
mentre lui sta solo con il suo cagnolino: Joachim. Ogni
giorno gli insegno chitarra per circa un'ora e, poiché qui a
l'Avana viviamo assieme, controllo anche che faccia tutti gli
esercizi che gli propongo. Lui si impegna con molta
dedizione ricavandone buoni risultati. Se continuiamo così
in un mese farà un grande balzo in avanti sullo strumento e
ne sarei davvero fiero. All'Hotel National Victor è stato
molto felice perché abbiamo potuto scrivere una mail alla
sua fidanzata italiana: Giulia. Una storia d'amore un po'
improbabile direi, visti questi ottomila chilometri che li
separano, ma lui è molto innamorato. Capisco meglio anche
me stesso e mi viene da ridere per tutti e due.
Al pomeriggio, dopo aver preso una lezione di musica
cubana dal musicista di un gruppo che suonava per i turisti,
io e Victor abbiamo deciso di dedicarci seriamente a dare il
voto a tutte le ragazze che passavano per strada: due veri
professionisti dell'ozio. Dopo un po' abbiamo però scelto di
trascurare quelle sotto il sette e mezzo perché discutevamo
troppo, mentre le più belle ci mettevano sempre d'accordo e
di buon umore. Un pomeriggio fantastico.
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Abbiamo passato il resto della giornata per strada, il
palcoscenico per attori incredibili, un posto dove sentivo la
vita chiamarmi ovunque. Mille immagini mi colpivano,
indescrivibili a parole. Ogni tanto una delle tante belle
ragazze, alla ricerca di un turista danaroso, mi sfidava con lo
sguardo ed io timidamente cedevo, distogliendolo. Altre mi
osservavano più dolcemente, probabilmente incuriosite dai
miei capelli lunghi e totalmente spettinati, cosa che a queste
latitudini è molto disdicevole per un vero uomo.
Una Ford Super Deluxe del 1958
Gli sguardi delle ragazze sono continuati molto
ravvicinati anche nel ritorno in autobus, un'esperienza molto
fisica: stipati all'inverosimile, ad ogni sterzata i corpi di
un'ottantina di persone si ammassavano uno sull'altro come
un unico organismo fatto di razze e sudori diversi. Infine, al
ritorno, abbiamo guardato assieme alle due padrone di casa
una puntata della “Casa nella Prateria” in spagnolo,
oscillando su grandi sedie a dondolo mentre il sole al
tramonto giocava con le nostre ombre.
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Giovedì 4 aprile
Ho imparato a fare la doccia con la luce spenta,
lasciandone filtrare pochissima dalla stanza attigua, così che
il bagno mi sembra più pulito: a volte è meglio non vedere.
E se la pulizia è una questione di luce, la bellezza è una
questione di colore. Qui le ragazze sono davvero bellissime,
come accade sempre quando le razze si mescolano: sembra
che a Cuba bianchi e neri si siano amati molto e hanno dato
vita a tutte le sfumature di pelle possibili. Questo è un posto
dove una bella ragazza può vivere benissimo e senza
complessi, perché passa sostanzialmente inosservata, al
contrario di ciò che accade in altri posti, dove la bellezza
diventa un peso per l'anima e l'origine di vite complicate. In
ogni caso, sfortunatamente, la bellezza non è un mio difetto.
A volte però, vorrei che la bellezza esteriore fosse uguale a
quella interiore così, se non altro per essere più apprezzati,
tutti cercherebbero di essere persone migliori; ma
fortunatamente non sono Dio e quindi ai brutti, se hanno un
po' di talento, rimane la consolazione di essere amati e ai
belli quella di essere quantomeno desiderati.
Il momento clou della giornata è stato il piccolo concerto
che ho tenuto per alcuni religiosi in una casa dove suor Anna
ha seguito un ciclo di conferenze. Dopo un avvio semiufficiale la cosa si è conclusa sorseggiando Havana Cola tra
un brano e l'altro e finendo per accompagnare con la chitarra
una suora settantenne, originaria di Caserta, che cantava
“Non ho l'età” di Giliola Cinquetti con un ritratto di
Ratzinger sullo sfondo.
Venerdì 5 aprile
Oggi mi sono spostato a Rodas, il paesino dove
trascorrerò il resto del mese. Sono stato invitato a pranzo
13
nella casa delle suore: Anna, Giulia e Teresa. Io e suor Anna
ci siamo conosciuti circa venti anni fa, quando insegnavo
chitarra nel carcere di Rovereto; un'esperienza che è durata
sette anni e che mi ha dato la certezza che ciò che differenzia
un rapinatore, uno stupratore o un assassino da un tipo come
me è, più che altro, la fortuna. In quegli anni mi è sembrato
infatti che la nostra condotta fosse un po' come un tuorlo
d'uovo: rotondo, compatto e definito, finché non si buca con
la punta di uno spillo e tutto cambia improvvisamente e
irreparabilmente.
Giulia e Teresa, rispettivamente una suora rumena e
argentina, vivono assieme ad Anna e con lei formano un trio
veramente speciale: sono molto allegre e sembrano
spensierate, ma so che non è così. Basta scalfire un poco la
superficie dei nostri dialoghi per capire che il vero volto
della Rivoluzione è implacabile. Sono follemente
innamorate del loro pappagallo, Sonko, il vero re della casa
che tengono libero, fuori dalla gabbia, come si fa con un
cane o un gatto e che continua a parlottare tra sé in un lingua
tutta sua.
Anche loro hanno delle consolazioni: ad esempio al
pomeriggio si fanno sempre il mate, la bevanda argentina un
po' dopante, preparata da Teresa, che lo passa di volta in
volta ad ognuno dei commensali, dopo aver pulito con un
panno la cannuccia di metallo: mi ricorda molto una comune
di studenti universitari. Poi mi hanno fatto masticare qualche
foglia di cocaina, così, per tirarmi un po' su. Totalmente
innocua ovviamente, perché servono chili di foglie per una
dose di stupefacente, ma un po' disorientante, diciamo. In
ogni caso la sostanza più proibita in uso nella casa è il
formaggio gorgonzola che acquistano di contrabbando a
Cienfuegos e di cui non si conosce l'origine, ma si sa che si
ottiene parlando senza dare nell'occhio ad un tale che prima
scompare e dopo cinque minuti ritorna con un misterioso
pacchetto puzzolente.
14
La notte ho dormito nella casa della famiglia che mi ha
adottato: Carlos e Mercedes con i piccoli Marco e José. Di
loro ti parlerò domani.
Sabato 6 aprile
Lo sguardo di Marco è pieno di intelligenza. Ha nove
anni e vuole imparare qualsiasi cosa; così oggi, visto che a
scuola la sua materia preferita è la matematica, ho usato dei
sassolini di colore diverso per insegnargli il sudoku. In
cambio lui è diventato il mio insegnante di spagnolo,
prendendo il posto di Victor che ora è tornato a vivere nella
sua casa. Mercedes e Carlos, i suoi genitori, si sono fatti in
quattro per ospitarmi al meglio e sono molto affettuosi con
me, mentre José, che ha solo due anni, è una presenza
sfuggente perché sta sempre nella casa accanto, dalla sorella
di Mercedes.
Marco
15
Stiamo mangiando moltissimo e spero che la cosa si
ridimensioni nei prossimi giorni perché è difficile dire di no,
sia per essere un ospite gradito che per la curiosità di
mangiare cibi nuovi e strani. In realtà da quando sono a
Cuba non ricordo di aver mangiato cose che non mi sono
piaciute però, certo, ci vuole un po' di voglia nello
sperimentare sapori diversi. Anche in questo caso penso che
la musica mi abbia aiutato; infatti, pur conservando le mie
preferenze musicali, mi sono gradualmente liberato dagli
schemi attorno a ciò che va considerato “bella musica” e ciò
che non deve esserlo a priori e così mi viene facile applicare
la stessa attitudine ai gusti della tavola.
La giornata è stata molto intensa. Al mattino ho suonato
un pochino con dei ragazzi disabili, tentando di stabilire con
loro una comunicazione semplice, basata sull'imitazione
reciproca, perlopiù ritmica; poi ho insegnato a Marco i primi
accordi sulla chitarra, perché la matematica e la logica vanno
sempre condite con la poesia e, in fondo, credo che le due
cose siano i lati della stessa medaglia, che si chiami Musica,
Vita, Universo, Dio o ciò che preferisci. Dopo pranzo è
venuto Victor per la sua lezione quotidiana; nel primo
pomeriggio ho lavorato con un coro di una decina di ragazze
e successivamente ho aggiustato un po' l'arrangiamento di
una canzone dei Payasos Por Dios, il gruppo della
parrocchia formato da sette musicisti più le ragazze del coro.
Nelle pause ho imparato un po' di canzoni cubane e dopo
cena ho tenuto un piccolo concerto per tutte queste persone
assieme a Titico, un percussionista davvero bravo, con cui
ho suonato molto, mentre le ragazze ballavano con la grazia
e la naturalezza di chi vive da queste parti.
Tra un brano e l'altro abbiamo scoperto che Daineris, la
bassista del gruppo, scrive canzoni con la chitarra e ce ne ha
fatte sentire alcune. Sono rimasto incantato dalla sua voce: è
semplice e bellissima. Le ho chiesto di insegnarmele perché
so che queste canzoni mi riporteranno sempre qui, anche
quando sarò lontano.
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Più scrivo, più mi rendo conto che questo diario è forse
troppo denso, ma quando sei in viaggio ogni giorno è pieno di
cose e vorrei che tu vedessi e sentissi tutto quello che provo
io, quanto tutto questo è diverso ed uguale alla nostra vita.
Domenica 7 aprile
È tempo che affrontiamo l'Argomento. Sono cristiano.
Credo che duemila anni fa Dio si sia manifestato in modo
speciale in un carpentiere ebreo che ha attraversato la morte
aprendoci la strada ad una vita successiva, eterna. Credo
inoltre che Gesù abbia svelato interamente la Verità
sull'uomo. Capisco che se non ci credi questo ti risulti
veramente assurdo, un po' come se pensassi che il ventilatore
che ho qui accanto fosse il Creatore dell'Universo. Però ci
vuole fede anche per credere che Dio non esiste, poiché
nessuno può dimostrarlo. La scienza non sa nulla di cosa
c'era prima del Big Bang, non può dimostrare l'inesistenza
dell'anima, dopo tanto tempo non sa nemmeno cosa sia la
forza di gravità – cos'è un gravitone? – non sa se esistono o
meno svariati universi paralleli al nostro, dei veri e propri
“aldilà”, non sa molte altre cose. Mi piace, la scienza, ma
non è la mia religione. E sostenere che, poiché qualcosa non
è dimostrabile allora non esiste, è un'argomentazione che
contraddice lo stesso spirito della ricerca scientifica.
Inevitabilmente la risposta è oltre.
Se invece non credi né in una religione, né nell'ateismo, ti
trovi come in riva al Fiume ad amare, pescare, suonare,
vivere il tuo tempo con gli altri. Di per sé non c'è proprio
nulla di male, anzi; però fa molta differenza passare i tuoi
giorni pensando che il fiume finirà in un grande Mare
anziché evaporare in un deserto arido: cambia il modo di
vivere. A me è sempre piaciuto il mare, ed è per questo che
oggi sono andato a messa.
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Tutto questo per dirti che il parroco di Rodas sembra
uscito da uno di quei romanzi in cui un vecchio prete
reprime i moti spontanei di un'intera comunità. Si affanna a
correggere di venti centimetri la posizione dei chierichetti,
terrorizza i lettori, chiede ai fedeli di cantare più forte,
anche cinque volte di seguito, finché non raggiunge un
volume che ritiene adeguato, e molto, molto altro. In
pratica è un geometra dell'anima in una comunità dove, ad
osservarla da vicino, non esiste una singola linea retta;
basterebbe solo che allontanasse un po' lo sguardo e
riuscirebbe forse a scorgere un disegno più bello, pieno di
curve e di dettagli dolcissimi, come il fatto che nella chiesa
fanno il nido gli uccellini, che entrano ed escono
liberamente con rametti e foglie che di tanto in tanto
sfuggono dal loro becco, cadendo su di noi.
Alla fine della messa padre Manel, questo il suo nome,
mi ha presentato alla comunità dicendo che intendo dare
vita ad un coro per adulti e ad uno per bambini, oltre a
tenere i corsi di chitarra e di altri strumenti. Mi sembra di
essere come in uno di quei film dove nel villaggio dei
mormoni arriva lo straniero che porta scompiglio.
In realtà, anche se non fossi cristiano, l'unico modo per
stare a Rodas sarebbe quello di avere un visto di lavoro,
poiché i turisti non possono dormire qui: potrebbero farsi
un'idea distorta sugli esiti della Rivoluzione cubana. E
l'unico modo per avere un visto di lavoro per Cuba, poiché
non esistono enti privati ed io non sono membro di nessun
partito comunista, è quello di avere un visto tramite la
Chiesa. Così, tra la gente del paese, sono considerato un
missionario! Frate Friz, ci mancava solo questa! Uhm...
Direi di no, ti dicevo che mi piace molto la curvatura
dell'universo, specialmente femminile, e quindi penso
proprio che non sarebbe la vita che fa per me.
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Comunque, a parte gli scherzi, tutti sanno che sono qui
con un visto della chiesa, ma anche che non sono un
religioso e quindi, nonostante la capigliatura ribelle, corro il
rischio di essere corteggiato.
La curvatura dell'universo
Nel pomeriggio siamo stati a trovare una famiglia di
quattro persone, di cui tre disabili, che vive in una casa
poverissima. Una ragazza ha letto il vangelo, con semplicità,
e poi ci siamo fermati a fare due chiacchiere, ho suonato
qualche canzone per loro, le ragazze hanno ballato un po' e,
insomma, abbiamo portato gioia negli occhi spenti e
rassegnati di queste persone completamente abbandonate.
La sera sono andato al Circo, un grande evento per la vita
del paese. Descriverlo è difficile, ci provo. Ottocento
persone, vecchi, bambini e giovani, che strepitano e gridano
ininterrottamente sotto un tendone in cui la temperatura
sfiora i quaranta gradi e dove le attrazioni più strabilianti
sono cani e gatti che si rincorrono su instabili strutture
metalliche riciclate da attaccapanni, sedie di dentista, tubi di
plastica e altri oggetti indefinibili. Due giocoliere bellissime
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che però, ogni tre per due, fanno cadere birilli, cerchi e altre
cose: oggetti che vengono raccolti senza particolare
imbarazzo da clown e altri operai del circo. Il numero finale
è il tuffo di un cane da una scaletta di metallo alta quattro
metri dentro una coperta blu, una coperta di quelle per
dormire, tenuta tra le braccia del suo padrone. Que
maravilla!
Lunedì 8 aprile
La macchina del tempo esiste. Oggi, ad esempio, sono
salito con la mia famiglia cubana a bordo dell'imitazione
russa di una Fiat 128. Nel bagagliaio c'era un frigo bar di
prima generazione pieno di panini, salse, bibite e ghiaccio.
In quattro sul sedile dietro e con tutti i finestrini
completamente abbassati siamo partiti alla volta della più
bella spiaggia di Cuba: il Varadero. In via del tutto
eccezionale è stato permesso a Marco di non andare a scuola
e ci ha accompagnato anche Victor, che di fatto è il terzo
figlio di Merci e Carlos, anche se non dorme in casa.
Insomma una gita al mare in pieno stile anni settanta con il
papà che guida con entrambe le braccia appoggiate sul
volante, la schiena in avanti staccata dal sedile, l'occhio
vigile e concentratissimo, i coretti durante il viaggio, i
bambini che vogliono arrivare, un principio di vomito e una
mamma stanca ancora prima di partire.
Dopo tre ore di automobile, esausti ed accaldati, siamo
stati ampiamente ricompensati. Ventidue chilometri di
spiaggia semivuota, immensa; il mare color turchese, le
onde, il vento, il cielo azzurro e i pellicani che si esibivano
in acrobazie per tuffarsi alla ricerca di pesce. Abbiamo
trascorso la giornata suonando la chitarra, facendo il bagno,
cantando, bevendo birra e rum. Victor si è esercitato in un
tipico approccio cubano con una turista russa, arrivando a
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strapparle un bacio sulla guancia mentre lei, irrigidita ma
sognante, socchiudeva gli occhi, dettaglio che ha fatto molto
inorgoglire il mio amico. A mia volta io ho subito un tipico
approccio cubano da parte di un'amica. In particolare quando
guardandomi con occhi languidi mi sussurrava: “Frix,
tocamela”, verbo che si può tradurre come “suonamela”,
ma che ha anche lo stesso significato che in italiano. E a me
non sembrava fosse così interessata alla canzone. Sarebbe
stata anche una bella donna, ma sono un ragazzo di
campagna e così ho lasciato perdere, anche perché se fossi
andato a stare da lei sarei vissuto tutta la vita sotto un tetto di
amianto e non sono un salutista, però ho ancora un minimo
istinto di conservazione.
La sera siamo rincasati mentre Carlos, alla guida,
insultava di tanto in tanto camionisti, guidatori di trattori e di
carri con cavalli suonando vigorosamente il clacson. I suoi
appellativi preferiti erano “Hijo de puta”, “Asasino” e
“Maricon” però all'occorrenza alzava anche il dito medio
della mano sinistra fuori dal finestrino durante il sorpasso.
Mi ha solo un po' deluso quando, arrivati a casa, non ha fatto
la sgasata finale per pulire la marmitta.
Martedì 9 aprile
Oggi ho insegnato tutto il giorno: alla mattina ho riordinato
un po' le idee e al pomeriggio ho tenuto lezioni di musica
d'insieme ai musicisti del gruppo, al coro delle ragazze e al
coro dei bambini. Non lo so, sarò forse fortunato, ma a me pare
che tutte queste persone siano solari, sorridenti, rilassate e
affettuose. È bello vederli ogni giorno, mi è impossibile essere
triste qui. Sarà una questione di abitudine, non lo so. E poi
adoro quando mi chiamano “Lorenzito”!
La sera ho fatto prove con un coro di venti adulti ed è
stata tutta un'altra musica. Dopo stasera credo che le
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possibilità che loro riescano a cantare qualunque cosa a
tempo e intonati siano pari a quelle che ho io di diventare un
buon ballerino. Farò comunque del mio meglio per
infondere in loro fiducia, per dare loro gli strumenti e le
conoscenze per esercitarsi da soli a casa, e per rendermi
utile alla loro voglia di condividere la musica. Questo è
l'importante.
Nel frattempo ho scoperto che c'è anche un altro
quotidiano qui, la Juventud Rebelde, e che il giornalaio di
Rodas lavora molto, ma non per sete di cultura
rivoluzionaria, bensì perché, non essendoci molta carta
igienica, all'occorrenza la gente compra il giornale a questo
scopo. Pare che funzioni molto bene, sebbene rilasci
striature di inchiostro rosso, nel caso della Granma o
azzurro con la Juventud Rebelde. E così, quotidianamente,
molti cubani si gustano una piccola, intima soddisfazione
pulendosi il culo con la faccia di Fidel o di Raul. Magra
consolazione in confronto a ciò che tuttora subiscono, ad
esempio lavarsi i denti con la cenere al posto del dentifricio.
Ho anche scoperto che il cibo è razionato e ogni persona
può mangiare solo una certa quantità di cose ogni mese,
come in Italia nel dopoguerra: cinque uova, mezza coscia di
pollo, un chilo di riso, due chili di zucchero, eccetera.
Invece hanno liberalizzato le patate e le cipolle, che oggi si
possono comprare anche in paese senza andare dai
commercianti ambulanti sull'autostrada a prenderle a prezzi
esorbitanti. In ogni caso in luglio e agosto non c'è proprio
nulla da comprare e quindi ogni famiglia fa una scorta
durante i mesi più freschi, quando qualcosa nei campi
cresce sempre. Tuttavia rimane sempre rigorosamente
vietato mangiare carne di mucca, animale troppo prezioso
nella catena alimentare, al punto che chi ne viene derubato
riceve una multa pari a dieci volte il suo valore perché
doveva prendersene maggior cura. Così, mentre il ladro si
spartisce la mucca, magari con qualche poliziotto, per
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mangiarsela alla prima occasione, l'allevatore, oltre al danno
di essere stato derubato, deve sborsare una cifra esorbitante
al governo. Vedi, qui si trova più utile punire la vittima per
creare un clima di diffidenza e paura maggiore di quello che
si otterrebbe punendo solo il trasgressore. E' davvero una
giustizia rivoluzionaria!
Mercoledì 10 aprile
Oggi sono stato a Cienfuegos nell'unico posto dove è
possibile connettersi a internet. Anche qui, come in tutti i
paesi sperduti dove la connessione è lentissima, l'unico sito
che funziona è Facebook. Google e tutti i servizi connessi,
oggi non funzionavano. Inizialmente Victor non è sembrato
molto interessato a Facebook, ma quando gli ho mostrato le
fotografie della sua fidanzata virtuale, italiana, lo ha molto
rivalutato e i suoi occhi hanno cominciato a brillare. Così,
per la sua gioia, ho dovuto fare un tour sulle fotografie di un
po' di mie amiche (il suo è un amore fragile).
Poi ho visitato una classe di disabili che hanno preparato
un piccolo spettacolo appositamente per me, fatto di
canzoni, recite e marionette. In particolare, quando Raulito,
un ragazzo cieco che suona la chitarra, ha cantato una
canzone di Silvio Rodriguez sulla speranza non sono riuscito
a trattenere le lacrime. Infine, tornato a Rodas, nel
pomeriggio ho ricevuto uno dei regali più belli della mia
vita.
Maria ha dodici anni e due occhi immensi. L'avevo notata
nei giorni precedenti perché mi scrutava in silenzio. Un po'
alla volta ha preso confidenza, finché oggi mi ha chiesto se
sapevo leggere in spagnolo. Le ho risposto di sì, così mi ha
dato un bigliettino piegato a forma di pentagono, con un
fiorellino di legno come chiusura. Ecco cosa c'era scritto:
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Amico, ti auguro la fortuna di avere sempre
qualcuno con cui condividere le cose. Ti
auguro di ottenere ciò che aneli, invece di ciò
di cui hai bisogno. Ti auguro dei buoni ricordi
con cui sopportare i tempi difficili. Ti auguro la
sorpresa di trovare qualcosa di migliore di ciò
che hai osato sperare. Ti auguro che qualcuno
che ti preme, comprenda come sei dentro e chi
ti ami per questo. Di correre il rischio di amare
e mai nessun dubbio di essere un essere...
Meraviglioso. Grazie per la tua amicizia.
Maria
Maria
Non ero preparato per questo e non lo sono nemmeno ora
che lo rileggo. Sono rimasto senza parole. Poi abbiamo
parlato un po' e mi ha detto che lei regala dei bigliettini con
delle riflessioni ad ogni persona che viene a Rodas da
24
lontano e che queste le aveva scritte ieri sera, per me 1. Mi ha
detto che da grande vuole studiare inglese, francese e
italiano e che desidera diventare una scrittrice.
“Te deseo che consigas lo que anhelas, en vez de lo que
necesita”. Ciò che aneli, Lorenzito, è più importante di ciò
di cui hai bisogno, perché la vita è un soffio e alla fine, se ci
pensi bene, conta di più il volo dell'anima che un pasto caldo
o un riparo dalla pioggia. Maria, ti auguro cento volte quello
che desideri per me.
Giovedì 11 aprile
Parlare in pubblico, liberamente, di politica e della
Rivoluzione cubana non si può. Quando dici parole come
“Fidel” o “Che” devi pronunciarle tra i denti e abbassando il
tono di voce: non si sa mai chi ti potrebbe ascoltare. In ogni
quartiere c'è una persona che informa il governo di cosa
accade e nessuno sa di preciso chi sia, proprio come
accadeva nella Germania dell'Est. Quando io sono arrivato,
mi è stato spiegato che certamente è partita una telefonata
che ha informato chi di dovere del mio arrivo, di dove
dormo, che cosa faccio, con chi, per quanto tempo, se ci
troviamo in piccoli gruppi o con più persone, fino a che ora
parliamo la notte, se parliamo piano oppure cantiamo e
balliamo. Forse una persona che ha frequentato le mie
lezioni ha riferito che tipo sono, di cosa parlo e come.
Come è successo? Per dirla in breve, una volta Cuba era
la terza potenza economica del continente americano, un
paese ricco, ma con grandi disparità sociali: pochissimi
benestanti, una classe media e moltissimi poveri. In seguito
ci fu un colpo di stato, una dittatura di destra, a cui seguì la
1
In realtà, per metà, si tratta di una poesia di Pam Brown, una poetessa
australiana. L'altra metà, compresa la frase più bella, che commento
tra poco, sembra originale.
25
Rivoluzione comunista, una dittatura ancora più feroce della
precedente che trasformò tutti, e definitivamente, in poveri.
Nel 1962, tre anni dopo la Rivoluzione, il popolo si rese
conto di essere stato ingannato e la grande speranza di un
cambiamento di vita si trasformò in un incubo. Dal 1959 agli
anni settanta Fidel Castro fece uccidere almeno 10.000
persone: chiunque avesse idee politiche diverse,
omosessuali, credenti di qualunque fede religiosa, etc.
Che Guevara fu un avventuriero argentino, un valoroso
combattente che in nome del comunismo e della libertà
uccise molte persone. Un idealista per il quale il fine
giustificava i mezzi. Una persona intransigente e spietata: mi
raccontavano che una volta un soldato sedicenne rubò una
razione di latte condensato e per questo lo fece fucilare.
Dettagli. Invece, quando era a capo del primo campo di
concentramento castrista a Guanahacabibes, fece fucilare
settecento prigionieri e negli Stati Uniti, dopo il discorso
all'Onu, confermò serenamente: “Stiamo fucilando, abbiamo
fucilato e continueremo a fucilare finché sarà necessario”.
Ma in fondo per capire come intendeva migliorare il mondo
basta leggere quello che lui stesso scriveva in un articolo il
16 aprile del 1967 per la rivista Tricontinental:
“L'odio come fattore di lotta; l'odio intransigente
contro il nemico, che permette all'uomo di
superare i suoi limiti naturali e lo trasforma in
una efficace, violenta, selettiva e fredda
macchina per uccidere. I nostri soldati devono
essere così: un popolo senza odio non può
distruggere un nemico brutale. Bisogna portare
la guerra fin dove il nemico la porta: nelle sue
case, nei suoi luoghi di divertimento. Renderla
totale.”
Qui lo considerano un “loco”, termine usato da molti
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cubani per definire il Che, mentre in Italia si celebra al
concerto del primo maggio, tra magliette e cappellini, ormai
simbolo eloquente di un consumismo che più di ogni altra
cosa celebra la sua sconfitta.
Come se non bastasse, dal 1989, con la caduta del muro
di Berlino, mancò a Cuba l'appoggio dell'Unione Sovietica e
il paese cadde in una spirale di degrado economico e sociale
senza fine. Oggi un laureato in medicina che esercita la sua
professione in un ospedale, guadagna ogni mese circa 750
pesos, ovvero 30 dollari e per questo il sistema sanitario,
tanto celebrato in Italia, probabilmente da persone che non
sono mai state ricoverate a Cuba – in ospedali per cubani,
non in quelli per turisti – è allo sfascio. Gli atri degli
ospedali sono magnifici, ma le stanze sono ben altra cosa:
reparti femminili e maschili con i bagni e le docce in
comune; mancanza di aria condizionata, fondamentale per il
clima di Cuba; ospedali che cadono a pezzi, mancanza di
acqua, mancanza di equipaggiamento adeguato, continue
rotture agli impianti. Medici e infermieri ben preparati ma
assolutamente sottopagati che riversano l'indifferenza e la
poca cura con cui vengono trattati sui loro pazienti. Guardie
mediche obbligate a lavorare gratis, in condizioni
impossibili sotto ogni punto di vista. Ho letto tutte queste
cose in una lettera sottoscritta da molti medici e infermieri
cubani, indirizzata a Raul Castro tempo fa e rimasta tuttora
senza alcuna risposta ufficiale. Per completare il quadro,
nella farmacia di Rodas, un paese di ventimila persone, oggi
11 aprile 2013 non c'è nessuna confezione di antibiotici e gli
unici medicinali decenti arrivano dalla Spagna grazie al
parroco, quello fissato con la disposizione dei chierichetti,
che però salva la vita di molte persone.
A Cuba si estrae il petrolio, ma per le strade sono di più i
carri trainati dai cavalli che le auto. Un ragazzo come Victor
non compra un vestito da anni. Quello che indossa lo compra
con i soldi della madre che vive in Venezuela o lo riceve in
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regalo dalle suore e dai turisti che passano di qui. A Rodas ci
sono pochissimi telefoni fissi e qualche anno fa Victor, per
comprarsi il suo primo apparecchio telefonico saltò il pranzo
per due mesi.
Certo, c'è l'embargo, ma è sempre stato attuato solo da
parte degli USA. Oggi nominalmente si ritorcono contro i
paesi che lo violano, ma di fatto non lo fanno perché anche a
loro preme il mercato. E quindi sul bloqueo il regime ha
costruito per bene la causa di tutti i suoi mali. In realtà oggi,
per fare entrare cose a Cuba, basta che un'impresa statunitense
venda il prodotto ad un'impresa messicana, la quale poi lo
esporta a Cuba senza problemi. Il vero motivo per cui a Cuba
manca tutto è che il paese non ha più un soldo per comprare
nulla. Almeno così mi hanno detto i cubani.
Oggi, con Raul alla guida del paese, le cose sono un po'
migliorate, ad esempio ci sono i cellulari, ma la gente è
quotidianamente sottoposta ad un lavaggio del cervello
costante, capillare, ostinato. E anche la mente più resistente
non può che cedere ogni tanto, e credere a qualche bugia per
riposarsi. Dovresti dare un'occhiata ai titoli dei quotidiani o
seguire un telegiornale, scusa, il telegiornale: capiresti che
Emilio Fede è un dilettante. Qui per scherzare si dice che
l'unica cosa vera scritta sui giornali è la data.
Allo stesso tempo, la mancanza di possibilità rende la vita
dei cubani più semplice. Come dice un mio amico “Se non c'è
alternativa, non c'è nemmeno il problema”. E se non c'è il
problema la gente è un po' più felice. Una felicità pari a quella
di un bambino che non decide nulla della propria vita, perché
ci pensa il governo. Una felicità imparagonabile alla
devastante crisi adolescenziale che vive il mondo in cui vivo
io, nel quale per molti l'idea di fondo è “La felicità è fare tutto
quello che voglio, indipendentemente dalla felicità degli
altri”. È triste, ma purtroppo credo che una società adulta e
matura non possa fare a meno di attraversare le follie di un
mondo libero come il nostro, follie di gioventù, speriamo.
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Il miglior modo di descrivere la Cuba di oggi sono le
parole pronunciate dallo stesso Fidel prima della
rivoluzione. Con esse si proponeva di spiegare al popolo il
suo presente, mentre ha descritto profeticamente ciò che
avrebbe attuato lui stesso pochi anni dopo. Ecco alcuni
stralci tratti da un discorso del 4 gennaio del 1959:
“Come possiamo dire «Questa è la nostra patria», se
dalla patria non riceviamo nulla? «È la mia patria», però la
mia patria non mi dà nulla, la mia patria non mi sostiene,
nella mia patria muoio di fame. Questa non è patria! Sarà
patria per qualcuno, ma non per il popolo. La patria non è
un luogo dove uno possa solo gridare, parlare e camminare
senza che lo uccidano; la patria è un luogo dove si può
vivere, lavorare e guadagnare il proprio sostentamento in
modo onorevole e, inoltre, guadagnare ciò che è giusto per
il proprio lavoro. [...]
Propaganda su un muro: “Vivo in un paese libero”
La tragedia del nostro popolo è proprio quella di non
avere una patria. E la miglior prova di questo è che decine
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di migliaia dei figli di questa terra se ne vanno da Cuba in
altri paesi, per poter vivere, ma senza patria. E non se ne
vanno tutti quelli che lo desiderano, ma solo quelli che
possono. E questa è la verità e voi lo sapete.”
Se il mondo attuasse tutti propositi dei dittatori prima di
raggiungere il potere, sarebbe un paradiso.
Venerdì 12 aprile
Invidio la felicità di queste persone. Per certi versi
inspiegabile. A Rodas si muore ogni giorno, come in ogni
altra parte del mondo, ma forse qui un po' di più. Sono
moltissime le persone che tengono in casa un malato, un
anziano che necessita di cure o un disabile. Le malattie
veneree sono molto diffuse, a causa della promiscuità
sessuale, e la gonorrea si prende come se fosse una normale
influenza. C'è prostituzione, alcolismo, ragazzine
giovanissime che hanno già rapporti completi con adulti,
totale mancanza di igiene, molte malattie, tumori di ogni
genere, specialmente della pelle, case pericolanti, fame.
Eppure capisco suor Anna quando mi dice che non
riuscirebbe più a tornare a Rovereto. Qui, con la sua eroica
automobile, sempre abitata da nuovi passeggeri, macina
chilometri da un paesino all'altro e il suo sguardo non si
ferma sul fianco di una montagna distante pochi chilometri,
ma viaggia lontano, a perdita d'occhio.
Questo è un posto dove i ragazzi fanno il bagno nel
torrente, dove i bambini giocano ancora per strada perché
non esistono videogiochi, playstation e Facebook. Questo è
un posto dove, se c'è qualcuno in casa, la porta è sempre
spalancata, perché fa caldo. Un posto dove si va a trovare
qualcuno, semplicemente perché si va a trovare qualcuno,
punto. Perché passando davanti alla sua casa lo trovi lì, a
prendere il fresco e allora ti fermi a chiacchierare, a sentire
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come va, a parlare con leggerezza di problemi immensi e
molto concreti, a dire una preghiera per un vecchio che sta
morendo di cancro nella stanza accanto.
È un posto dove molti ragazzi hanno smesso di sognare,
ma sopravvivono grazie all'amicizia. E allora ti capita, come
mi è successo oggi, di passare tutta la sera ad un incrocio,
suonando la chitarra su un marciapiede, cantando, ballando,
ridendo. Poi da lontano arriva una donna di colore dallo
sguardo fiero, severo e incomincia a ballare con noi,
cantando con una voce intensa, quasi per lei fosse l'ultima
volta, “Gracias a la vida”.
Ragazzini che giocano
Come può suor Anna preferire il quieto torpore di
Rovereto? Qui conosce ogni singola persona e dietro ogni
cenno sta una storia, un bisogno, una vicinanza e sempre,
sempre, un sorriso. A Rovereto tutti si mostrano molto meno
vulnerabili, molto più sicuri di una vita costruita per bene,
mattone su mattone, e forse si perdono il meglio. Proprio
come me. Spero di portarmi via un centesimo di quello che
sto vivendo qui: al ritorno mi servirà.
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Sabato 13 aprile
Questa sera Maricarmen ha compiuto quindici anni.
Niente di speciale, dirai tu, ma non è così. Compiere
quindici anni a Rodas equivale più o meno a sposarsi. È un
momento in cui si celebra il passaggio dall'infanzia all'età
adulta ed è una festa in cui ogni famiglia dà sfoggio delle
proprie possibilità economiche, magari dopo aver
accumulato i soldi necessari per lungo tempo, un po' come
avviene proprio per i matrimoni in altri posti.
La famiglia di Maricarmen, per lo standard di Rodas, è
benestante e quindi ho potuto vivere la versione più sfarzosa
di quello che qui si chiama comunemente un quince.
Innanzitutto la chiesa era addobbata con festoni bianchi e
azzurri, Maricarmen è arrivata su un taxi giallo – un'auto
insolita e quindi molto speciale da queste parti – è entrata in
chiesa con uno strascico chilometrico in pendant con gli
addobbi, al fianco del fratello gemello che evidentemente
compiva gli anni anche lui, ma che è passato in secondo
piano per tutta la sera, perché è un maschio e per lui il rito è
molto meno importante.
Dopo la messa, a cui è stata invitata tutta la popolazione,
abbiamo assistito alla proiezione video di una serie di
fotografie ordinate cronologicamente dal primo anno di età,
al secondo, al terzo e così via, fino al mitico quindicesimo
anno, per il quale è stato realizzato un vero e proprio book
con cambi di abito e location elaborate, come si fa per le
modelle. In seguito i due gemelli hanno ballato in mezzo alla
gente un valzer in stile ballo delle debuttanti, ma a me
sembravano più i protagonisti di “Via col Vento” e
francamente a vedere come si fissavano con sguardi
passionali la cosa mi è sembrata vagamente incestuosa, ma è
solo perché vivo a diecimila chilometri di distanza. Infine
abbuffata finale con una torta a due piani completa di omini
e donnine di plastica che scendevano da due scalette laterali
verso una fontanella d'acqua alimentata da una pompetta che
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zampillava sotto un immenso numero quindici. Ovviamente
anche la torta era di colore blu e bianco, i colori ufficiali
scelti per questa festa e riprodotti anche sui santini distribuiti
a piene mani a tutti gli invitati.
Una nota a parte meritano i palloncini. A Rodas non se ne
vedono proprio e in genere, alle feste di compleanno, si
comprano dei preservativi che vengono allegramente
gonfiati dai bambini e appesi alle pareti. Visto che i
palloncini di ieri erano stati fabbricati esattamente per una
festa di questo tipo, anziché per altri festeggiamenti, più
intimi, tutti i bambini ne hanno preso un po' e sono tornati
orgogliosamente a casa con il loro mazzo di globos.
Lorena
Tra questi c'era anche Lorena, la figlioletta di un uomo che
ha venduto carne di mucca, atto per il quale è stato
condannato a cinque anni di prigione assieme alla nonna
della piccola, perché anche lei sapeva. Solo l'intercessione di
Anna, Teresa e Giulia, Las Hermanas come le chiamano qui,
ha evitato che venisse portata in prigione pure la madre. Solo
per questo Lorena non è orfana.
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Ho concluso la serata festeggiando molto e ballando
scalzo e ubriaco, circondato da molte ragazze con vent'anni
meno di me che, mettendo a serio rischio la loro incolumità,
roteavano tra le mie braccia nel vano tentativo di insegnarmi
a ballare. Potenza della vodka. Stando ai commenti del
giorno dopo, pare che abbia pure appreso qualche passo.
Domenica 14 aprile
Oggi pomeriggio sono stato invitato a vedere un concerto
di musica classica a Cienfuegos. Il teatro, in stile coloniale,
era molto bello e, sebbene le sedie fossero in legno e non
imbottite, era già di per sé affascinante vedere la luce esterna
filtrare dalle veneziane di cui erano fatte le pareti dei
palchetti. Le signore nel pubblico agitavano i loro ventagli e
i ventilatori facevano il resto, rendendo il clima vivibile.
Sul palco c'era José Maria Vitier, uno dei più famosi
compositori cubani, assieme ad altri ventinove musicisti: un
coro di dodici persone, undici archi, un pianista, due
percussionisti e tre cantanti solisti. Mi sono trovato ad un
evento unico per questa città. Veniva infatti eseguita per la
prima volta a Cienfuegos la Misa Cubana, una composizione
molto famosa, apprezzata in tutto il mondo da tempo, tranne
che a Cuba: un vero paradosso. Il fatto è che si tratta di una
messa, proprio come quelle di Mozart, Beethoven e Verdi, e
fino a cinque anni fa, essendoci a Cuba la più totale
repressione religiosa, ovvero l'ateismo di stato, questa era
musica proibita. Tutto risale anche alla dittatura artistica
promossa dal Che che proibiva anche solo di nominare i
Beatles in pubblico. Credimi, non sto inventando nulla
purtroppo. Altro che concerto del primo maggio. Comunque,
proprio in questi giorni, la Misa è stata eseguita per la prima
volta nel paese di cui porta il nome e oggi toccava alla città
di Cienfuegos.
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Era musica bella. Molto bella. I musicisti erano bravi,
perfettamente a tempo, la sezione d'archi e il coro creavano
un'armonia classica contemporanea influenzata anche dal
jazz, e il risultato era sofisticato e semplice allo stesso
tempo. Su alcuni brani i percussionisti aggiungevano le
sonorità tipicamente cubane, ereditate dall'Africa, e questo
faceva ondeggiare il coro e pure i cantanti solisti, perché qui
danza e musica non si separano mai.
Ad un certo momento, mentre il soprano cantava
qualcosa di magnifico, mentre la musica mi faceva volare,
ho pensato che ero a pochi chilometri dai ragazzini di
Cartagena dove l'altro giorno ho insegnato un po' di chitarra.
Ho pensato a dove vivono, come vivono. Ho pensato alle
parole che mi ha detto Anaberquis, una ragazzina sulla sedia
a rotelle con gli occhi che ridono, come per lei la musica sia
letteralmente tutto, perché, come mi ha insegnato Maria, è
ciò che lei anela. Ho pensato a Neife, che ha ottant'anni e per
seguire le lezioni di chitarra esce dalla sua casupola sfidando
il sole perché non si permette di morire prima di aver
imparato un giro di Do. Ho pensato a quando mi hanno
chiesto se sarei tornato da loro, perché era qualcosa di
importante, e al fatto che più della metà di loro non possiede
una chitarra ed è rassegnata a non possederla mai.
Mentre il soprano volava, volavo anch'io sopra queste
immagini, sopra le parole di queste persone, e la bellezza
della musica mi faceva soffrire doppiamente. Quei ragazzi
sul palco erano tra i pochissimi che avevano scelto a otto
anni di entrare in una scuola d'arte, erano stati ammessi solo
perché studenti talentuosi, ed oggi potevano esibirsi su un
palco ufficiale come rappresentanti della cultura cubana,
strumenti più o meno consapevoli della propaganda di
regime. E cosa ne era degli altri? Di tutti gli altri? Della loro
brama di musica? Del loro diritto di godere di qualcosa di
inutile per chiunque tranne che per loro? Su quel palco si
premiava solo l'élite, il risultato, il talento e si trascurava la
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parte più importante della musica: il mezzo per dare un
colore alla propria esistenza.
Ho pianto dalla rabbia e dall'emozione. E allora sai cosa
ti dico? Che io voglio che a Cartagena ci sia un coro
sgangherato, perennemente stonato, che non va mai a tempo,
nemmeno se nevica, e che ci suonino la chitarra Neife e
Anaberquis, e che la gente scappi lontano quando fanno le
prove perché lì da loro, in quella stanzetta in mezzo alla
polvere, c'è la Musica e la puoi trovare nei loro occhi perché
brillano di qualcosa che gli altri non capiscono e non
capiranno mai: musica stonata suonata da anime intonate. E
il talento lo lasciamo agli altri, ai Professori, ai Conservatori,
alle Accademie di Alto Perfezionamento, ai College e alle
Università. E io chiedo proprio ora, proprio a te, di aiutarmi
a fare questo. Non so come, non so quando, però so che mi
puoi aiutare. Non è solo una questione di denaro, anche, ma
non solo. Lascio a te immaginare come. Aiutami, per favore.
Quando sono uscito dal teatro non mi andava di parlare e
nonostante gli sforzi, in automobile continuavano a
scendermi le lacrime, cosa ti devo dire? Sarà la vecchiaia...
Sto diventando come le signore di una certa età che si
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commuovono per ogni telenovela. Allora me ne sono andato
al mare, da solo, a vedere un gruppo di ragazzi selvaggi che
si tuffavano da un molo facendo salti mortali al tramonto.
Lunedì 15 aprile
Carlos mi ha detto che tecnicamente qui viene chiamato
assedio totale e, sì, sto parlando proprio di ragazze. [...]
Martedì 16 aprile
[...] A tutto questo aggiungi Maria; a dire il vero si
chiama Maria de Jesus e oggi mi ha consegnato un'altra
lettera. Ho capito che non la scorderò mai. Perché?
Semplice, io pensavo che la voce della mia coscienza si
trovasse da qualche parte dentro di me, invece ha dodici
anni, abita in uno sperduto paesino cubano e mi scrive come
se mi conoscesse da sempre e come se sapesse tutto quello
che sto vivendo. Ecco la lettera di oggi:
Non incolpare nessuno, né incolpare te
stesso mai di nulla perché fondamentalmente tu
hai fatto ciò che desideravi con la tua vita. Il
trionfo dell'uomo sorge dalle ceneri dell'errore.
Non incolparti mai della tua solitudine o della
tua sfortuna, affrontala con valore e accettala
in un modo o nell'altro, sono gli effetti delle tue
azioni e devi provare quello che vuoi avere.
Ricorda che qualunque momento è buono per
cominciare e nessuno è così terribile come
quello in cui ti senti sconfitto. Pensa meno ai
tuoi problemi, senza alimentarli, moriranno.
Impara a nascere dal dolore e fai cose più
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grandi del tuo più grande ostacolo. Guardati
nello specchio di te stesso e sarai libero e forte,
e smetterai di essere un pupazzo delle
circostanze, perché tu stesso sei il tuo destino e
nessuno può sostituirti nella costruzione del
tuo destino. Alzati e guarda il sole del domani e
respira la luce dell'aurora, tu sei parte della
forza della tua vita. Ora svegliati, combatti,
cammina, deciditi e trionfa nella vita. Non
pensare mai alla fortuna perché la fortuna è il
pretesto dei perdenti ed è ovvio che tu non lo
sei.
Spero che queste parole ti facciano sentire più
utile.
Maria de Jesus, non so proprio dove copi questa roba,
però a me serviva proprio oggi. Grazie.2
Mercoledì 17 aprile
Oggi ho bisogno di inventare storie. Quindi tutto ciò che
segue, relativo a questo giorno, è totalmente inventato. Un
esercizio di fantasia. Ok? Comincio.
Se Yesenia sapesse che stasera sono stato invitato ad una
cena in cui si è mangiato carne di mucca impazzirebbe.
Dovresti vedere come le viene l'acquolina quando parliamo
di una bistecca fiorentina, quando lei mi illustra l'importanza
della emoglobina e il gusto intenso del manzo. Va fuori di sé
e mi fa troppo ridere. È troppo simpatica.
2 È una poesia di Pablo Neruda un po' “aggiustata”. Per essere una
dodicenne Maria ha decisamente delle buone letture...
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Non ricordo chi mi ha invitato alla cena proibita, non so i
loro nomi, non li avevo mai visti prima. [...]
Prima della cena ho fatto un sogno ad occhi aperti:
mentre inghiottivo la bistecca più inquietante della mia vita,
una guardia comunista minacciava di sfondare la porta se
non aprivamo, poi entrava e con uno sguardo severo
infilzava con una forchetta un boccone nel mio piatto e lo
passava sotto il naso per sincerarsi che si trattasse proprio di
mucca. Poi venivamo trasferiti nel carcere di Cienfuegos e
dopo alcuni giorni di prigionia, essendo stati tutti condannati
a cinque anni di reclusione, la Farnesina iniziava un fitto
scambio diplomatico per liberarmi. Si creavano dei comitati
di difesa della mia persona, comprese varie pagine
Facebook, e alcuni arrivavano perfino a squartare una mucca
davanti all'ambasciata cubana a Roma, per protesta. Infine
venivo liberato in seguito ad un permesso premio, dovuto
alle vacanze estive, permesso dal quale non rientravo per via
di uno scambio fatto sottobanco dal governo italiano in
cambio di un ribasso sul prezzo di alcuni carri armati
venduti all'esercito cubano.
In realtà, sì, la porta è stata chiusa a chiave, ma
l'atmosfera era molto rilassata. Mi hanno spiegato che tutti di
nascosto mangiano carne di vacca, in primis gli allevatori,
che la stessa carne viene comunque data alle famiglie che
hanno un bambino nell'età dello sviluppo, fino ai sette anni –
qui bisogna crescere in fretta – e che uno straniero come me
può comprarla e mangiarla. Ciò che non si può fare è quello
che ha fatto il padre di quella bambina: venderla per la strada
senza nascondersi.
Ma fortunatamente tutto questo non è successo, perché
avrei rischiato troppo. Si va in prigione, senza tante storie. A
Cuba chi uccide, vende o mangia una mucca si prende
cinque anni, chi uccide un uomo otto. Perché qui tra l'uomo
e la bestia non c'è molta differenza.
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Giovedì 18 aprile
Oggi sono stato a Cartagena dai ragazzi disabili.
All'entrata c'era sempre il mio amico Luis, seduto là, sulla
sua sedia a dondolo. Cappello da baseball e sigaro,
osservava la stanza vuota in cui filtrava il sole da una
finestra. Ero stanco e così mi sono messo a parlare un po'
con lui, anche se sapevo che non avrei capito nulla di ciò che
mi avrebbe detto, perché ha ottant'anni ed è malato, ma
sapevo anche che ci saremmo capiti con gli occhi, perché ci
siamo simpatici.
Poco dopo è arrivata Mariaelena, la moglie. Un po' alla
volta mi ha raccontato la sua vita. Lei ha quindici anni meno
di Luis e quando lui si ammalò di cancro e doveva essere
operato fece un pegno con la Madonna: se fosse
sopravvissuto avrebbe dedicato la sua vita agli altri. Luis fu
l'unico a superare l'intervento tra le varie persone che furono
operate in quel periodo nel suo stesso reparto e così
Mariaelena mantenne il pegno: ritirò le sue cose in una metà
della casa, lasciando le altre stanze a disposizione di questo
laboratorio per disabili. Oggi accade che ogni giorno una
quindicina di ragazzi e ragazze arrivano da lei per fare varie
attività, tra le quali quelle musicali per le quali oggi sono
stato chiamato.
Poi Mariaelena mi ha chiamato in disparte e, tra le
lacrime e sottovoce, mi ha confessato che Luis sta per
morire, ma non lo sa. Inoltre è preoccupata che il tetto della
casa ceda - per questo la stanza è vuota - e ogni rumore può
essere il sintomo di un crollo imminente. Tra pochi mesi
arriverà la primavera, la stagione delle piogge, che
certamente farà crollare il tetto. Per questo motivo non
dorme da mesi e si fa aiutare da uno psicologo. Rifare il tetto
costa una cifra per lei totalmente irraggiungibile, settecento
euro; inoltre la casa è tutta in legno, molto vecchia e tra le
assi delle pareti entrano vento e pioggia. Per finire, nella
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casa vivono anche due nipotini, sempre nella stessa stanza in
cui dormono lei e Luis. Insomma in questa stanza vuota e
assolata ho ricevuto la mia dose quotidiana di emozioni forti,
dose che non riesco più a gestire. Mi è difficile. Per
liberarmi un po', anch'io le ho raccontato la mia vita e alla
fine ci siamo abbracciati.
Luis nella stanza vuota
Nonostante questo l'atmosfera tra i ragazzi è stata solare,
come la settimana scorsa. Abbiamo cantato, inventato storie
strane, suonato la chitarra al rovescio, percosso oggetti di
ogni tipo, scattato fotografie a caso, ascoltato rumori, gridato
e mangiato crackers con dentro una salsina ignota e
inquietante. Di tanto in tanto un colibrì entrava a farci visita
e sostava a mezz'aria nel centro della stanza per poi fuggire
dalla finestra opposta. I ragazzi lo chiamano “Esperanza” e
non ho potuto fare a meno di ricordare la canzone cantata da
Raul qualche giorno fa:
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Dice que se empina y que no alcanza,
que solo ha llegado hasta el dolor.
Dice que ha perdido la buena esperanza
y se refugia en la piedad de la ilusion.
Sé de las entrañas de su queja
porque padecì la decipciòn,
fue una noche larga que el tiempo despeja
mientras suena en mi memoria esta canciòn:
Venga la esperanza,
venga sol a mi.
Làrquese la escarcha,
vuele el colibrì.
Hinchese la vela,
ruja el motor,
que sin esperanza
donde va el amor?
Venerdì 19 aprile
L'altro giorno ho parlato con Diana, una ragazza che studia
oboe a L'Avana, la quale mi ha spiegato bene come funziona il
sistema didattico musicale cubano. Ogni anno, solo a
Cienfuegos, circa 500 ragazzi di circa dieci anni d'età chiedono
di poter accedere alla scuola d'arte, la sola che permetta di
ricevere una seria educazione musicale. Affrontano così una
serie di test che durano circa una settimana, tra i quali un test
psicometrico, definizione agghiacciante di per sé - mi chiedo
che risultato avrebbero ottenuto Charlie Parker, Jimi Hendrix,
John Lennon e mille altri artisti che hanno rivoluzionato la
musica del Novecento in un test simile. Alla fine venti di loro
lo superano e accedono alla scuola con il costante terrore di
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uscirne rapidamente se non mantengono un'alta qualità nei
risultati. Non c'è che dire: una serissima selezione di talenti per
essere certi di avere sempre il massimo dell'eccellenza tra i
musicisti cubani.
Al contrario, ai corsi di musica del “Patrocinio”,
un'organizzazione cattolica, possono accedere tutti, anche
non cristiani, e oggi sono stato proprio da loro, con
l'inseparabile Victor. È stato bello, i ragazzi hanno presentato
una serie di brani e alla fine li ho intervistati. Se vedrai il
video, sul mio profilo Facebook, capirai da ciò che dicono
cosa significhi per loro studiare musica.
Tra i tanti, rimane sempre il problema delle chitarre.
Sono troppo preziose qui, e allora si permette ai ragazzi di
esercitarsi solo presso la scuola, per un'ora alla settimana,
senza portare a casa lo strumento. Così, anche qui, l'idea
della chitarra propedeutica può tornare comoda. Tempo fa ho
infatti chiesto a Stefano Robol, un liutaio di Rovereto, di
realizzare una chitarra spartana, fatta di un solo pezzo di
legno, bava da pesca e filo di ferro, per poterla dare a
chiunque abiti in paesi come questo, senza troppi problemi.
Prima di partire per Cuba abbiamo realizzato il prototipo e
funziona bene, anche se dobbiamo ancora sistemare alcune
cose. In tutto costa circa tre euro.
Chiquitica: la chitarra da tre euro
È una “chitarra”, se vogliamo usare questo termine, alla
quale si può applicare una qualunque cassa armonica fatta ad
esempio con un cartone, un barattolo o qualcosa di simile.
Inoltre è così piccola che se ne possono trasportare circa una
ventina in una sola valigia, senza avventurarsi in costose e
difficili spedizioni tramite container. Qui a Cuba ho deciso
che si chiamerà Chiquitica, piccolina.
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Dopo questa visita, l'idea di sviluppare un progetto
musicale in questa zona si è fatta un po' più concreta. Potrei
aiutare il Patrocinio e suor Anna facendo arrivare loro via
container alcuni pianoforti e una batteria, chitarre,
amplificatori, un po' di leggii e altro, assieme a una quantità
di Chiquiticas. I ragazzini potrebbero portarsele a casa e,
dopo aver mostrato di essere motivati e dediti allo studio, si
potrebbe passare a dare loro in prestito una chitarra vera e
propria. Il progetto potrebbe avere una base a Cienfuegos e
un'altra a Rodas, diretta da Victor.
Il mio uomo a Cuba: Victor
Quest'ultima sede si occuperebbe di mantenere le lezioni di
chitarra e di sviluppare anche su altri strumenti i corsi di
Cartagena, Congojas e altri villaggi. I ragazzi di Rodas
potrebbero farne parte, guadagnando qualcosa, insegnando
ciò che sanno e seguendo di tanto in tanto corsi di
formazione tenuti da musicisti europei che potrebbero stare
qui qualche tempo, come ho fatto io. Per tutti loro sarebbe
una vera sfida: sono giovani e fanno molta fatica a
perseguire un obiettivo comune, inoltre Victor è un ragazzo
tanto intuitivo, vivace e intelligente quanto impulsivo e
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volubile. Non so cosa succederà, ma l'unico modo per
saperlo è tentare. Non c'è cosa migliore per un ragazzo di
qualcuno che creda in lui, di qualcuno che creda davvero in
lui, nel fatto che potrà superare i propri limiti. Io ci credo,
così come ha fatto fino ad oggi suor Anna. E credo anche in
Cesar, Carlito, Melissa e Daineris.
Sabato 20 aprile
Spesso in questi giorni sono stato a godermi il tramonto
sul fiume, ad ascoltare i suoni della natura e ad osservare gli
avvoltoi salire lentamente disegnando cerchi nel cielo. Oggi
abbiamo preso una barchetta e siamo andati a pescare sul
rio, come lo chiamano qui. Quattro uomini, un bambino, tre
bave da pesca, due litri di birra e qualche esca. Naturalmente
non abbiamo preso nessun pesce, ma ci siamo distesi con la
lenza legata ad un alluce, sorseggiando birra, canticchiando
e parlando del più e del meno. La barca era spinta da un
motore del 1952, un marchingegno rumorosissimo che si
avviava a manovella e che mi ha fatto ingoiare in un'ora più
smog di tutto quello che respiro in un anno intero.
Ho parlato a lungo con Alexis, il vecchio che stava al
timone. Mi ha raccontato dei suoi figli, della nostalgia per
uno di loro che vive a Miami, di come è cambiato il mondo,
dei suoi desideri, dei suoi sogni.
I sogni. Sono un argomento difficile qui. L'altra sera ho
chiesto ai ragazzi cosa sognavano e tutti hanno accennato un
mezzo sorriso, guardando per terra. Mi hanno detto di non
averne; penso che i loro genitori abbiamo insegnato loro che
è meglio così, per proteggersi dalle disillusioni. Allora mi
sono presentato come un Sognatore Professionista ed ho
inventato per ognuno di loro una vita, un amore splendido,
un lavoro interessante, qualche viaggio all'estero e molto
altro. Così, tra una risata e l'altra, anche i loro occhi hanno
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cominciato a ridere e io mi sono sentito tanto irresponsabile
quanto felice. So che i sogni non si realizzano quasi mai,
però credo anche che ogni passo avanti è stato dapprima
un'idea e prima ancora un sogno, talvolta impossibile. E
comunque credo che tutti i sogni che non si realizzano ci
aiutino nell'esercizio della speranza e nel lasciar correre le
nostre idee, come animali liberi in un prato; non come una
fuga dalla realtà, ma come una fucina creativa di possibilità
che reagiscono tra loro, finché prima o poi incontrano una
opportunità reale e si trasformano in qualcosa di molto
diverso dal sogno iniziale, ma comunque bello e utile. [...]
Domenica 21 aprile
Mi sono spostato a Santa Clara, una città ad un'ora da
Rodas. È un posto culturalmente molto vivace dove ci sono
musicisti e persone che mi potranno aiutare a sviluppare il
mio progetto. Mi ha accompagnato Carlito, che studia
all'università in questa città e mi fa molta tenerezza perché lo
trovo spaesato, come accadeva in Italia ai ragazzi di un
paesino quando si spostavano in una grande centro. Carlito è
un tipo sveglio e un bravo studente, ma ha paura dei pericoli
della città, è timido e non vuole importunare le persone, al
contrario di me che attacco bottone con chiunque e sono un
po' più selvatico e fiducioso.
Nel pomeriggo ho conosciuto Ernesto. Camminavo da
solo verso la casa dove ero ospitato e quest'uomo di colore,
robusto, con i pantaloni sporchissimi e i piedi callosi dentro
sandali malconci, superandomi con un passo più svelto del
mio, ha letto la scritta sulla mia maglietta: Nixon. Allora si è
messo a sorridere scuotendo la testa e dicendomi:
“Nixon. È molto comico, amico.”
“Perché è comico?” ho risposto.
“Bè, qui non vuol dire assolutamente nulla!”
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“Bé, amico, è solo un cognome, come Rodriguez!”
Nel frattempo le nostre gambe si erano accordate e ora
camminavamo fianco a fianco; così di frase in frase, di passo
in passo, ci siamo conosciuti. Mi ha detto di chiamarsi
Ernesto, un panettiere che lavora settantadue ore alla
settimana per otto dollari al mese, e mi ha spiegato che a
Cuba ci sono sette classi sociali: da chi lavora con i turisti a
chi ha parenti all'estero, da chi ha un impiego statale a chi
lavora solo per i cubani, in una graduale discesa da un
timido benessere alla totale miseria. Dopo un po' ci siamo
seduti al parco, sotto un albero fiorito, e ha cominciato a
parlarmi sommessamente:
“Mi chiedo che senso abbia lavorare così tanto. Per chi?
Quando torno a casa e vedo il luogo dove vivo penso che
nemmeno i prigionieri vivono in un posto del genere.
Quando vedo la mia bambina e penso che non riesco
nemmeno a procurarle qualcosa di decente da mangiare non
capisco proprio che senso abbia tutto questo.”
“Credo che un giorno Cuba sarà migliore e le cose
cambieranno in meglio. Prima o poi tutto cambia,” ho
risposto.
“Fratello, qui non cambia nulla. È da cinquantaquattro
anni che viviamo così. Qui non cambierà mai nulla”.
“Ci sono cose che non sono cambiate in molti anni che si
cambiano in un solo giorno.”
Ernesto scuoteva la testa. Poi mi ha chiesto:“Sei credente?”
“Sì,” ho risposto.
“Lo sapevo. Si sente da quello che dici e da come lo dici.
Vedi, non dico di aver perso la fede, non è scomparsa del
tutto, ma è molto diminuita rispetto ad un tempo. Io non
chiedo di avere molte cose, cose materiali. So che non
danno la felicità, però si dice «il pane quotidiano» no?
Bene, sappi che a casa mia il pane non è quotidiano. E
allora che senso ha questa sofferenza?”
“Amico, io non sono nulla, sono polvere dell'universo,
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proprio come te e non posso parlare a nome di Dio. Quello
che credo è che Dio non abbia tolto la sofferenza dalle
nostre vite, ma le abbia dato un senso, un'utilità per la
felicità di qualcun altro e quindi anche della nostra. Forse il
senso della tua sofferenza sta tutto qui: lavorare perché la
tua bambina cresca e viva in una Cuba migliore.”
Non so se l'ho convinto, e non so nemmeno se io stesso
riesco a vivere quello che gli ho detto, però ci siamo
abbracciati. Ernesto non mi ha chiesto nulla, sapevo che non
mi avrebbe chiesto nulla; desiderava solo parlare un po' con
me. Allora mi sono tolto la maglietta e gli ho detto:
“Ho finito i miei soldi e quelli rimasti mi servono per
tornare a Rodas, però posso regalarti questa. È solo una
maglietta, ma quando la indosserai forse potrai ricordarti,
leggendo “Nixon”, che qualcosa che non conosci e che oggi
ti fa solo ridere può nascondere un buon incontro e
un'opportunità. Quando Cuba sarà un posto migliore e
guarderai questa maglietta forse ti ricorderai di me.”
Così sono ritornato a casa a petto nudo e ti assicuro che,
nonostante le mie due ore di nuoto settimanale, non è un
belvedere; ma quella maglietta era troppo importante e non
potevo tenermela.
Lunedì 22 aprile
Questa mattina l'ho passata tutta con Christina. Ieri mi
aveva avvicinato nella piazza principale della città per
vendermi un libro scritto in francese; avevo scherzato un po'
e alla fine avevo acquistato il libro che poi ho subito lasciato
alla cameriera di un ristorante pregandola di regalarlo alla
prossima ragazza francese che fosse entrata: sono un vero
maestro di corteggiamento virtuale, non c'è che dire.
Oggi l'ho incontrata di nuovo e non casualmente. Lei
cerca sempre il contatto con i turisti gironzolando per le
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strade e proponendosi come guida turistica alternativa. È un
personaggio curioso: una signora di mezza età, magrolina,
con la voce esile che parla un inglese americano perfetto.
Una persona molto colta che però vive di espedienti. Nel
corso della mattina ho capito che la sua mente, la sua
sensibilità e la sua cultura non hanno retto all'impatto con
questa dittatura e nel suo cervello qualcosa si è rotto. Così,
dopo aver parlato di politica internazionale, mi ha pregato di
farla accedere a internet per ricontattare alcuni suoi amici. È
stato demenziale perché cercava i dati e la password di
Facebook su una serie di appunti cartacei disordinatissimi.
Era entrata in internet un anno prima e non trovava più nulla,
ovviamente. Sembravano i miei appunti di matematica
quando andavo al liceo. In sostanza una mattinata totalmente
inconcludente a cercare di spiegarle cos'è un account, cos'è
una email, cos'è la verifica tramite cellulare, cos'è quella
serie di caratteri tutti storti, cos'è Google, cos'è Yahoo. Ho
sfiorato la follia, la sua.
Poi ho visitato uno studio di registrazione molto bello,
considerato che siamo a Cuba, dove ho conosciuto vari
musicisti professionisti tra cui Fortun, un chitarrista bravo e
preparato con il quale ho trascorso il pomeriggio. Fortun è
un'istituzione qui a Santa Clara e ogni dieci passi qualcuno
lo ferma per parlare. Lui, assieme ai ragazzi del suo
quartetto sono i primi veri musicisti professionisti che ho
conosciuto a Cuba. Persone realmente competenti con cui
posso parlare “alla pari”, musicisti che conoscono bene un
po' tutti i generi musicali. Sono molto contento perché tutti
loro mi hanno confermato la disponibilità a dare lezioni ai
ragazzi di Rodas per formarli e farli crescere sia sul loro
strumento che nelle tecniche di registrazione e
nell'arrangiamento.
Mentre mangiavamo una pizza decisamente cancerogena,
Fortun mi ha sconvolto quando mi ha detto di aver suonato a
casa di Maurizio Costanzo. Il fatto è che è stato in Italia per
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due anni, dove ha suonato nel gruppo di Buona Domenica,
su canale 5, nell'orchestra di Demo Morselli, a Cinecittà, etc.
A quel tempo aveva una ragazza in Italia, ma poi è tornato
qui, dove ha ritrovato la propria dimensione, la propria
cultura e un altro amore. Meglio così, altrimenti oggi
suonerebbe per Maria de Filippi.
La sera ho suonato con Fortun e la sua band al Mejunje,
uno dei locali più famosi di Cuba. È un circolo culturale,
dove si suonano tutti i generi musicali e si fanno spettacoli di
danza, teatro e poesia. È sempre pieno di studenti
universitari, per via dei prezzi popolari e questa sera c'era
pure la televisione.
Io e Fortun al Mejunje
Abbiamo suonato un po' di jazz fino alle una e mezza di
notte e nel corso della serata ho suonato pure un brano in
solo; un brano che avevo scritto ieri al parco, dopo l'incontro
con Ernesto. Si intitola Danza de la Flor y del Viento. Sotto
quell'albero fiorito c'erano molti petali e così ho pensato che
Cuba, il popolo cubano e in particolare una ragazza che ho
conosciuto, sono come fiori che lottano contro il vento.
Quello che spero è che la loro vita si trasformi in una danza
che permetta loro di sopravvivere senza essere strappati.
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Martedì 23 aprile
Ogni tanto penso ai turisti. Non possono veramente
capire nulla di Cuba. Li vedo nelle terrazze degli hotel, nei
luoghi a loro dedicati, nelle strade fatte per loro, mentre
sorseggiano qualche cocktail ascoltando un orchestrina di
son, la musica tradizionale cubana. Dormono in case
comode e pulite e viaggiano su pullman appositi. Anch'io
stamattina, per tornare a Rodas, ho dovuto prendere un
autobus per turisti, perché ad uno straniero è severamente
vietato salire sulla compagnia usata dai cubani. Così sono
entrato nella realtà parallela: aria condizionata, sedili
comodi, molti posti vuoti, viaggio confortevole. Poi, da
Cienfuegos sono ricaduto nella realtà: nel retro di un
furgone, in piedi con trenta persone, anziani e bambini
compresi, in mezzo allo smog, strattonati da una parte
all'altra. Davanti a me una bambina ha vomitato in un
sacchetto, tra le carezze di sua madre; poi, senza tanti
drammi, si è pulita la bocca e ha continuato a guardare fuori
dal furgone.
Per questo domani mattina Merlyn, una ragazza di Rodas,
si sveglierà alle quattro e mezzo per guadagnarsi il posto a
sedere sull'unico autobus che parte da qui per portarla
all'università. È contenta perché ora lo deve fare solo una
volta in settimana, anziché tutti i giorni come le capitava
qualche tempo fa. Stasera mi ha fatto felice quando le ho
chiesto se a Cuba avesse mai nevicato. Mi ha detto: “No, ma
sogno che un giorno ci sia una grandissima nevicata. Vedi
che anch'io ora ho imparato a sognare?” Grazie Merlyn, io
cercherò di imparare da te ad affrontare con il sorriso
problemi ben più grandi dei miei. E non mi riferisco solo
all'orario dell'autobus.
Sono molto stanco. In questi quindici giorni ho insegnato
parecchio: a Rodas ho tenuto qualche lezione di chitarra, ho
insegnato al laboratorio con i bambini, al laboratorio con i
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disabili, al coro delle ragazze, al coro degli adulti, ho tenuto
le lezioni quotidiane a Victor e lezioni di musica d'insieme ai
Payasos. A Cartagena ho tenuto il corso di chitarra e di coro
e ho partecipato al laboratorio con i disabili; infine a
Congojas ho tenuto il corso di chitarra. A questo si aggiunge
una vera e propria tempesta emotiva, vissuta giorno dopo
giorno; persone nuove da scoprire e talvolta da decifrare,
una cultura, la storia di un popolo e una dittatura da
comprendere, e poi il clima caldo, molto caldo. Ho davvero
bisogno di riposo.
Mi spiace che suor Anna sia un po' delusa del mio lavoro.
Pensava che avrei risolto dei problemi contingenti che le
premevano di più, come ad esempio aiutare il gruppo a
scrivere delle canzoni per preparare un nuovo spettacolo.
Quando parliamo mi dice di avere fiducia nei ragazzi, ma nei
suoi occhi leggo il contrario, leggo preoccupazione, un po' di
disillusione e molta stanchezza, ma questo le capita solo la
sera; la mattina è sempre di buon umore. Questo posto
consuma l'ottimismo. Lei è qui da sette anni e ha visto cose
che io non posso minimamente immaginare. Forse nei suoi
occhi e nel suo cuore c'è solo la coscienza dell'esperienza.
Eppure voglio credere e sperare che i tempi siano maturi per
un progetto musicale in cui per scrivere nuove composizioni,
nuovi arrangiamenti e per un sistema capillare di corsi
musicali, non sia necessario che arrivi uno straniero
capellone e si fermi qui un mese sostituendosi ai cubani per
risolvere i loro problemi musicali. Devono farcela loro, da
soli. Certo, con un sostegno economico e progettuale
esterno. Mi è piaciuto molto quando questa sera, parlando a
tu per tu con Victor, lui stesso mi ha suggerito: “Facciamo
parlare i fatti, poi vedrai che anche Anna crederà di più in
quello che possiamo fare.” Grande Victor! Sei già il mio
Direttore preferito.
In fondo anche in Burundi, due anni fa nessuno credeva
fosse possibile aprire una scuola di musica. Non ce n'era
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nemmeno una. Eppure dopo un mese esplorativo, proprio
come quello che sto passando qui a Cuba, io e Carlo
Canevali, un altro musicista di Rovereto, abbiamo gettato le
basi per la creazione della prima scuola di musica di
Bujumbura, la capitale del Burundi. L'avvio è stato
estremamente difficoltoso a causa di enormi problemi
logistici e burocratici e soprattutto alla totale incapacità dei
burundesi di pensare collettivamente. Ma oggi la scuola è
aperta, ha una sede, degli insegnanti e degli studenti, e
questo lo dobbiamo in primo luogo a Claire, una ragazza
belga sposata con un burundese, che ha messo anima e corpo
nel progetto e poi all'associazione che ci aiuta nella gestione
di tutte queste iniziative: l'associazione Spagnolli Bazzoni di
Rovereto, un ente dalle spalle molto solide e con persone
molto esperte al suo interno. In particolare Giuliano, il
Presidente, ha uno dei difetti più preziosi: quello di riporre
incondizionata fiducia in gente sconsiderata come, ad
esempio, il sottoscritto. Ovviamente io cerco di diffondere il
suo stile credendo in gente come Victor. Que locura!
Mercoledì 24 aprile
La casa di Frank si trova ad un'ora e mezzo di cavallo da
Cartagena. In mezzo ai campi di canna da zucchero.
Trascorrerò un paio di giorni con lui e la sua famiglia per
avere un'idea di quanto Rodas rappresenti, rispetto alla vita
che si conduce in un pueblo come questo, una metropoli
pulsante di vita.
La casa di Frank ha le pareti di legno, il tetto di tegole e il
pavimento di cemento. Ha grandi finestre, senza vetri, con
delle veneziane dalle quali entra una brezza leggera.
Dormire qui è come dormire all'aperto. Sugli stipiti non ci
sono le porte e le pareti interne non arrivano al soffitto. La
cucina è fatta da due fuochi a legna, due veri fuochi, non una
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stufa, e la doccia è un catino pieno d'acqua con un barattolo
per versarsi l'acqua in testa.
La casa di Frank nascosta tra le palme
La casa di Frank è un posto dove vive un uomo felice. Un
uomo che al mattino mi ha insegnato un po' a cavalcare e poi
è andato a seminare il mais, mentre suo fratello arava il
campo con i buoi. Non so se hai mai visto due buoi da
vicino: sono impressionanti! Qui i maiali vivono liberi per la
strada, e in ogni casa abbondano mucche, pecore, capre,
cavalli, cani, gatti, tacchini, pavoni e quant'altro. Di tanto in
tanto nella mia stanza viene a dare un'occhiata una gallina,
poi se ne va, seguita dai suoi pulcini.
Qui, così come a Cartagena o a Congojas, non c'è
l'acquedotto, sebbene entrambi i villaggi si trovino sulle
sponde di un fiume. La gente beve l'acqua dai pozzi, acqua
contaminata che non possono depurare poiché non hanno i
soldi per permettersi un filtro. Questo è il motivo di tante
malattie. In realtà forse è meglio così. Infatti a Rodas quasi
tutto l'acquedotto è fatto con tubi in amianto, così come la
metà dei tetti delle case. La maggior parte della gente non sa
che è velenoso. Il governo lo sa, ma al tempo era troppo
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preoccupato a sostenere la rivoluzione comunista in Angola
che a preoccuparsi di cose irrilevanti come un acquedotto
per il suo popolo. Qui il governo controlla ogni cosa e si
assicura che la gente rimanga sempre povera, che il paese
non cresca, che nessuno si arricchisca, altrimenti un potere
politico così monolitico crollerebbe in breve tempo. Ad
esempio è vietato pescare, se non per la propria
sopravvivenza. Per questo i cubani mangiano pochissimo
pesce: se pescano un'aragosta vanno in prigione, perché le
aragoste si vendono solo nei ristoranti per i turisti, proprio
come le bistecche di mucca.
Frank è uno dei pochi fortunati a ricevere Radio Marti,
una radio gestita dai dissidenti cubani che stanno a Miami,
negli Stati Uniti, e che divulga la sua verità su ciò che sta
accadendo oggi in questo paese. Per questo il governo
cubano ha acquistato a caro prezzo dal Giappone una serie di
antenne da posizionare in ogni villaggio per interferire con il
segnale di questa radio e mantenere la popolazione all'oscuro
di tutto. Ma nel resto mondo la voce di ciò che questo
popolo sta vivendo si sta diffondendo velocemente; grazie
anche all'aiuto di persone coraggiose come la blogger Yoani
Sànchez o dei molti dissidenti che proprio in questo periodo
stanno facendo lo sciopero della fame, il cui numero
aumenta di giorno in giorno. Oggi sono cinquantadue e se
continuano così si lasceranno morire.
Ora ti spiego come funzionano le elezioni a Cuba. Prima
di tutto non ci sono le elezioni politiche, ma solo le
amministrative: che senso ha andare a votare se sulla scheda
c'è solo un simbolo? Alle amministrative la gente può
scegliere un candidato tra due o tre per ogni villaggio, un
candidato deciso dal governo. Questi candidati si riuniscono
poi per eleggere il vero sindaco di ogni comune, una persona
già decisa in precedenza dall'alto. Infine c'è un'assemblea di
seicento persone che è periodicamente chiamata a votare le
decisioni del Presidente Raul Castro e, pensa un po', tutte le
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votazioni vengono approvate sempre all'unanimità. A
corollario di tutto questo, come ti spiegavo in precedenza, in
ogni comune ci sono le guardie della sicurezza, persone
incaricate di riferire a chi di dovere ogni cosa, persone di cui
nessuno conosce l'identità: potrebbe essere il tuo vicino di
casa o tuo zio. Anche se hai i tuoi sospetti non lo saprai mai.
Quando una persona famosa, ad esempio un artista o uno
sportivo, esce da Cuba viene accompagnata sempre da due
guardie della sicurezza. Cosa succede se qualcuno si
oppone? Frank mi ha raccontato dell'insurrezione di un
villaggio vicino a L'Avana qualche anno fa: li fucilarono
tutti. Quanta ignoranza e ideologia in Italia su tutto questo.
Non che il capitalismo sia la ricetta per la felicità, per carità,
ma quantomeno lascia all'individuo, e non all'esercito, la
scelta di poter condividere la propria ricchezza con gli altri.
E alla fine qualcuno lo fa.
Un momento che non dimenticherò è stato quando
davanti ad un caffè ho spiegato a Frank cos'è Wikipedia: la
più grande enciclopedia mai esistita al mondo, milioni di
voci tradotte in centinaia di lingue; un'enciclopedia gratuita,
realizzata da migliaia e migliaia di persone, me compreso,
per il puro piacere di condividere la loro conoscenza e di
renderla disponibile a chiunque. Mi commuovo sempre
pensando alla risposta di questo contadino dalle mani
callose, immobile, con gli occhi puntati sul tavolo mentre mi
sussurra con un filo di voce: “Cosa ci stiamo perdendo...”
Oggi, rientrando a casa, mi ha detto: “È un crimine quello di
toglierci la libertà. È difficile vivere da schiavi.” Non ho
saputo cosa rispondergli.
Giovedì 25 aprile
Perché la famiglia di Frank è felice? Semplicemente
perché lui è una persona buona. Stamattina siamo stati a
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Malesa, un villaggio a tre chilometri da Lajita, dove mi
trovo. Per Cuba tre chilometri nei campi sono una distanza
ragguardevole – ma in generale tutte le distanze, sappi ad
esempio che il treno che da L'Avana arriva a Cienfuegos
impiega tredici ore per fare duecentocinquanta chilometri – e
così, con il carretto trainato dal cavallo, ho accompagnato
Frank a fare la sua visita settimanale a questa gente. Siamo
entrati in una ventina di baracche e in una sola mattina sono
venuto a contatto con infermi o familiari di persone che
hanno il morbo di Parkinson, delle crisi epilettiche, una
peritonite, un cancro alla pelle e altro ancora. Ricordo in
particolare due anziane di cui una, che si era rotta una
gamba, non era stata curata e così l'osso si era riformato
male, in modo tale che non potrà mai più camminare. È su
una sedia a rotelle e nella sua baracca, con l'immancabile
tetto di amianto, il pavimento non c'è, perché è di terra
battuta. Il cemento per il pavimento costa cinquanta euro e ci
penserà padre Manel.
Un bambino sotto il rasoio di Frank
Per il governo questa gente non esiste e allora, per
fortuna, c'è Frank: va a trovarli, fa due chiacchiere, ascolta i
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loro lamenti, porta qualcosa, chiede se servono medicinali o
altro e, con il rasoio che le ha dato suor Anna, taglia pure i
capelli a chi ne ha bisogno. Assieme a questo porta la sua
incrollabile fede: “Tutto ha un senso, tutto ciò che accade è
permesso da Dio, per il nostro bene. Chiediamogli di essere
in grado di sostenere queste sofferenze”.
Più tardi alcuni ragazzini sono venuti a trovarmi e ti
lascio immaginare la loro reazione di fronte al mio computer
portatile: per loro è come una vera astronave. Ieri
pomeriggio ho giocato e cantato con loro in una baracca ed è
stato bellissimo. Alla fine ne abbiamo caricati un po' sul
carretto tirato dal cavallo e altri ci seguivano a piedi mentre
io suonavo la chitarra, un po' come il pifferaio magico.
Dovresti vedere come ballano.
Venerdì 26 aprile
Stamattina mi sono svegliato alle cinque e venti per
prendere l'unico mezzo che mi poteva portare fuori dai
campi, verso Cartagena: il Rickymbilly, un trattore elaborato
per il trasporto di persone. Tra donne, uomini, militari,
studenti e bambini eravamo trentaquattro persone, contando
anche i cinque appesi al cassone, all'esterno, tra cui me.
Tredici chilometri così, a trenta allora. Questa volta però
nessuno ha vomitato perché l'aria era fresca, era notte e la
luna piena svettava ancora tra le palme.
Avrei potuto prendere l'autobus con i bambini della
scuola, alle otto – questo è possibile quando non piove,
altrimenti, nel fango alto trenta centimetri, passa solo il
Rickymbilly e con fatica – ma l'autista ha detto a Frank: “A
Cuba ci si prende molta cura dei bambini... E allora, sai
com'è...” Cosa significava? Che uno straniero, così come
non può assolutamente entrare in nessuna scuola cubana, è
opportuno che non salga nemmeno sull'autobus con i
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bambini e soprattutto con i maestri, dipendenti del governo
che ogni mattina prima delle lezioni costringono i bimbi a
gridare: “Pionieri del comunismo, saremo come il Che!”. Ed
è solo l'inizio, pensa come sono le lezioni. Invece credo che
per prendersi davvero cura di loro dovrebbero dargli un po'
più di latte. Una ragazza di Santa Clara, l'altro giorno, mi
diceva di essere esasperata dal fatto che suo figlio vuole
sempre latte, ma che lei non può dargliene perché è
razionato. Ovviamente il latte c'è, ma è per i turisti, oppure
per essere venduto all'estero.
Dio ha un grande senso dell'umorismo. L'ho capito
quando stasera sono passato davanti alla casa di Coralia, una
anziana che sta sempre in terrazza sulla sua sedia a dondolo,
ad aspettare che qualcuno si fermi a fare due chiacchiere. Mi
ha rivelato che a Malesa, dove sono stato ieri, una manciata
di case vicino al villaggio di Lajita, alla periferia di Rodas, il
minuscolo paesino cubano... Proprio lì, dove vivono alcune
tra le persone più povere e abbandonate del mondo, un paio
di mesi fa è caduto un meteorite. Non è accaduto nulla di
grave: una scia luminosa e una buca. Il mondo intero lo ha
saputo cinque giorni prima dei cubani perché, prima di dare
la notizia, il governo ha dovuto sincerarsi che non si trattasse
di un aereo spia.
E allora Dio ha un grande senso dell'umorismo. Oppure a
suo modo voleva attrarre l'attenzione su questo luogo
sperduto. Ma pare che non abbia avuto molto successo:
nemmeno Frank me ne ha parlato e magari siamo passati col
carretto a un metro dalla buca. Per Frank un meteorite in più
o in meno non cambia granché e forse ha ragione: quello che
lui fa è più importante dell'astrofisica.
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Sabato 27 aprile
Stamattina Maité si è sposata. È una ragazza disabile
mentale che vive con un anziano da dieci anni e, in pratica,
sono marito e moglie. Oggi si è pure battezzata. Lo voleva
con tutte le sue forze e infine padre Manel, dopo una strenua
resistenza, ha dovuto cedere.
La sposa
Povero Manel, credimi non ho mai visto un matrimonio
tanto assurdo e improponibile quanto felice e vero in tutta la
vita. In questo paesino ogni giorno succede qualcosa che mi
emoziona. Come vedere questa ragazza completamente loca
che piange e ride di gioia mentre nasconde il suo volto tra le
braccia di questo settantenne, una torta semplice, un po' di
amici che cantano e ballano con lei. Un matrimonio felice.
Più tardi sono andato a cavalcare al campo di ananas di
Yasniel. È stato bello. Molto bello. [...]
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Domenica 28 aprile
Ha piovuto solo due volte a Rodas nell'ultimo mese: il
giorno in cui sono arrivato e oggi, il mio ultimo giorno qui,
con i miei amici. Era tanto tempo che non mi godevo la
pioggia; in faccia, con gli occhi chiusi e le braccia aperte
verso il cielo. Siamo stati per due ore sotto l'acqua e anche
dentro, perché ci siamo tuffati vestiti nel torrente. Penso di
aver perso vent'anni di vita e non tanto per i cavalli che
facevano il bagno assieme a noi, ma perché, se due più due
fa quattro, quell'acqua non era delle più salubri. Ma in fondo
qui a Rodas dimostro circa dieci anni in meno dei miei
coetanei, credo per via dell'amianto e di tutto il resto, e così
ora siamo pari: domani mi spunteranno delle rane viola tra i
capelli. Però, aprire le braccia alla pioggia che scrosciava
tutta attorno a noi, facendo esplodere il torrente, e vedere le
facce sorridenti di questi miei nuovi amici, sentirmi libero e
sporco di fango, pulirmi i piedi nelle pozzanghere,
continuare a parlare e ridere sotto l'acqua, tutto questo è stato
indimenticabile. E lo sarà per sempre.
Domani ritornerò nel primo mondo, il mondo iperconnesso dove le pozzanghere si evitano, dove tutto è più
efficiente, veloce, dove alle elezioni si può scegliere chi
votare e molto altro. Quanti sentimenti si mescolano dentro
di me... Il dispiacere di non vedere più queste persone, il
piacere di averle incontrate, la tristezza di vederle vivere in
un paese che non li merita, la voglia di rivedere gli amici che
ho lasciato in Italia... Ho il cuore così pieno che non ci sta
più nulla. Oggi ho solo voglia di ricordare, di godermi per la
prima volta il piacere di ripensare a quello che ho vissuto
qui. In questo mese ho ricevuto una quantità di affetto, forse
perfino d'amore, che mi sarà impossibile dimenticare queste
persone, di cui sentirò la mancanza da domani. Non puoi
capire. In questo diario mancano tante cose: le voci, i volti,
gli sguardi, alcune lettere, dialoghi, persone, rumori, odori,
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suoni, canzoni, sapori, profumi e mille altre cose che su un
pezzo di carta proprio non ci vogliono stare.
Chissà se li rivedrò ancora, se tornerò ancora a Cuba.
Non voglio vivere pensando di non poter più condividere dei
momenti con loro. Forse un giorno potranno venire in Italia,
ma per il momento è impossibile: qui un biglietto aereo ha
un costo esorbitante. Per intanto gli aerei li guardano da
quaggiù, fantasticando: piccole isole volanti di un mondo
libero che a loro è negato.
Spero di poter tornare qui, spero di poter visitare una
scuola di musica aperta a tutti, spero di incontrare un sacco
di ragazzini che avranno potuto imparare a suonare in modo
semplice e libero. Spero che un giorno a Cuba venga la neve.
Un metro di neve fresca, bianca, abbagliante. Spero che un
giorno, finalmente, tutti i sogni di questi ragazzi diventino
realtà. Vedremo. Ojalà, come si dice qui. Ojalà, così sia.
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Lunedì 29 aprile
Viaggiare non è spostarsi nel mondo, ma è avere occhi e
cuore per le persone e le cose che ci stanno attorno. E allora,
Lorenzito, quando diventerai davvero un viaggiatore?
Quando imparerai a desiderare solo ciò che ti è già stato
donato e smetterai di vivere la vita come un'eterna, inutile
conquista? Ormai sei arrivato Lorenzito, il viaggio inizia
ora.
Io
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Ancora due parole
Sei sei giunto fino a questo punto vuol dire o che sono
stato bravo oppure che sei una persona molto paziente,
penso più la seconda: in genere i diari sono molto noiosi per
chi non li scrive. In ogni caso forse hai voglia di aiutarmi a
realizzare il progetto della scuola musicale di Rodas,
assieme a quello di Bujumbura, in Burundi, e di altri che
intendo attivare in altri paesi.
Potresti avere qualche vecchio strumento da donare, forse
potresti essere in grado di riparare quelli donati da altre
persone, potresti voler sostenere l'acquisto e la spedizione di
qualche “Chiquitica”, la chitarrina da tre euro, oppure di altri
strumenti musicali. Forse vorresti andare anche tu in qualche
paese ad insegnare musica per un mesetto, oppure ti
andrebbe di organizzare qualche concerto in Italia, o in altri
paesi, per raccogliere dei fondi da destinare a questi progetti.
O forse, e lo preferirei, l'idea migliore per aiutarmi sta nella
tua testa e non nella mia. Comunque sia, sto cercando di
creare un piccolo team di persone che lavorino su tutto
questo e, se ti va, puoi contattarmi scrivendomi a
[email protected].
Se invece vuoi semplicemente ricevere gli aggiornamenti
sugli sviluppi di questa e di altre iniziative, oppure vuoi che
un altra persona scarichi il file pdf di questo diario, puoi
indirizzarla a questa pagina web: www.updoo.it/world.
Se hai ricevuto una copia cartacea di questo libro, allora
non l'hai pagata nulla, perché è gratis. Se qualche persona
deciderà di donarmi degli euro per stamparne altre copie, ne
sarò felice: vorrà dire che questo diario le è piaciuto e
vorrebbe che anche altri lo ricevessero gratuitamente. Vorrei
regalarlo a più persone possibile, non tanto per raccontare il
mio viaggio, ma per diffondere i progetti di sviluppo
musicale a sfondo sociale.
È scontato, ma doveroso, che io ti garantisca che non
ricaverò economicamente mai nulla da questi progetti, se
non in termini umani, affettivi e musicali.
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Se vuoi ascoltare la musica, vedere i video e le fotografie
relative a questo diario puoi visitare la mia pagina Facebook:
www.facebook.com/lorenzofriz.
Se vuoi sapere cosa combino quando non sono in paesini
sperduti ad insegnare musica puoi visitare il mio sito:
www.lorenzofrizzera.it, d a l q u a l e p o t r a i s c a r i c a r e
gratuitamente un po' delle mie composizioni, sapere le date
dei miei concerti, iscriverti alla mia newsletter e molto altro.
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Ringraziamenti
A suor Anna, per la pazienza, infinita pazienza,
santissima pazienza portata con uno scriteriato e confuso
essere come me.
A Mercedes e Carlos che mi hanno ospitato come un
terzo figlio, che mi hanno dato aria condizionata, ventilatore,
magliette, cibo, ma soprattutto pazienza con il mio povero
spagnolo, un affetto gigantesco e risate infinite fino a notte
fonda.
A Victor perché grazie a lui ora “Yo tengo mas que un
leopardo”, a Marco per il motto prima di ogni pasto, quello
che sta all'inizio di questo diario, a José per avermi svegliato
ogni mattina presto ricordandomi che quando hai due anni
non c'è tempo da perdere, a Maria de Jesus perché ha il dono
divino di copiare le poesie giuste al momento giusto, a
Melissa perché ovviamente un giorno sarà una donna
importante, a Yesenia perché verrà il momento in cui le
offrirò una bistecca fiorentina e piangeremo di gioia dicendo
frasi senza senso, a Cesar perché ora sa cosa significhi
portare il peso della leadership e ne ha il talento, a Yasniel
perché mi ha insegnato come si fa a farsi rispettare da un
cavallo, a Frank perché mi ha insegnato che l'amore è meno
appariscente ma ha più senso di un asteroide che cade, a
Yane perché ha negli occhi tutto l'ottimismo che serve al suo
popolo, ad Ernesto perché un giorno mi restituirà la
maglietta e ci abbracceremo ancora, a Carlito per avermi
prestato i soldi dopo che la cameriera ci ha inseguito per
farci pagare, a Neife perché vorrei essere sempre giovane
come lei, a tutte le persone che, durante le mie lezioni, mi
hanno insegnato cose molto più importanti della musica.
A Sonko perché è l'unico pappagallo che quando cade un
mango dice: “Buenas Dias!”
A Giuliano perché i migliori tour operator ormai ci fanno
un baffo, a Dario per avermi telefonato la prima volta dando
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inizio a tutto questo, a tutti i soci dell'associazione Spagnolli
Bazzoni per la loro generosità, alle cento persone che mi
hanno donato i soldi per vivere questa esperienza, perché,
nonostante mi abbiano visto bene in faccia, inspiegabilmente
mi hanno creduto.
A Flavia e a tutti i bambini di Rodas perché, in qualunque
situazione mi troverò, mi basterà ricordare il loro sguardo
per sorridere.
A Giulia, Teresa, Elena, Manel, Rosio, Maricarmen,
Adriana, Sunsen, Olgita, Marlon, Titico, Albei, Pedro e tutte
le altre persone di cui non ricordo il nome. Grazie.
Ad Ornella per essere stata una fantastica compagna di
viaggi, a Yasnay per avermi scritto una cosa che non
dimenticherò e soprattutto a Merlyn: per avermi capito senza
che io le spiegassi nulla.
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Enti e associazioni partner
Ci sono vari enti e molte persone che mi hanno aiutato a
realizzare questi progetti e vorrei che tu ne sapessi qualcosa
in più.
Innanzitutto l'associazione Spagnolli Bazzoni, che si
occupa di molte attività, specialmente nel continente
africano. Il supporto dei soci di quest'associazione è stato
grande, fin dall'inizio, sia in termini economici che logistici
e umani. Non finirò mai di ringraziarli. Puoi trovare tutte le
informazioni, le opere e gli eventi sul sito www.spagnollibazzoni.org.
Poi l'associazione Tuko Pamoja, fondata e diretta da
Claire Olivier Gatabazi, la Direttrice della scuola di musica
di Bujumbura in Burundi. Se conosci le dinamiche delle
associazioni italiane e le loro mille difficoltà, forse puoi farti
un'idea di quanto possa essere eroico affrontare tutto questo
in un paese come il Burundi. Grande Claire!
Gli strumenti musicali della scuola di Bujumbura sono
stati raccolti, riparati e inviati tramite un container
dall'associazione belga Rock Bujumbura.
Personalmente sono il fondatore di una piccola realtà,
quella che oggi si dice una startup, in cui lavoro con
collaboratori molto giovani e talentuosi. Si chiama UpDoo!
ed è una music factory suddivisa in tre aree: didattica
musicale, produzione musicale e progetti di sviluppo
musicale in aree svantaggiate. Quest'ultima parte si chiama
UpDoo! World e questo diario si inserisce in queste attività
come veicolo di comunicazione dei vari progetti che stiamo
promuovendo. Il sito è www.updoo.it e visitandolo troverai
anche alcuni suggerimenti sulle modi in cui potrai aiutarmi a
realizzare questi progetti, se vorrai.
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Eccetto dove diversamente indicato
il contenuto di questo testo è pubblicato sotto la licenza Creative
Commons Attribution 3.0
In copertina: neve. Progetto grafico e fotografia: Lorenzo Viesi
“Ti auguro di ottenere ciò che aneli,
più di ciò di cui hai bisogno”
In questa frase, scritta da una ragazzina cubana,
si condensa il senso di questo viaggio, nato con
l’intenzione di creare una scuola di musica in
un piccolo paesino cubano.
La musica non è un bene indispensabile come
il cibo, la casa, i medicinali e l’istruzione, ma ha
ali possenti per far volare l’anima delle persone
sopra questi bisogni: lenisce il dolore, placa
la solitudine, unisce la gente e getta ponti tra
mondi distanti. Ecco perché, ad un certo punto,
sono volato fino a Cuba.
Questo è il diario che ho scritto mentre
mi trovavo là, ad insegnare a suonare e ad
imparare cose molto più importanti della
musica, su me stesso e sulla vita.
Lorenzo Frizzera | Diario di Cuba. La musica, aspettando la neve
Lorenzo Frizzera
Diario di Cuba
la musica, aspettando la neve.