SCRITTURA E PRATICA EDUCATIVA Prefazione:
Lo scopo di questo lavoro quello di accedere al sapere pratico dell’insegnamento.
Nel testo si analizzano le pratiche degli insegnanti attraverso le testimonianze
Cap.1 LO STUDIO DELLE PRATICHE DIDATTICHE
Oggi, il rinnovamento della Didattica, intesa come teoria dell’insegnamento, passa per la riscoperta
dell’insegnamento come pratica situata.
Infatti, grazie all’apporto di quanti si sono interessati a fare ricerca sull’azione, possiamo
individuare, una vasta area di ricerche che va sotto il nome di “studi basati sulla pratica”:
Lo scopo è quello di avvalersi di questi studi per conoscere meglio la figura dell’insegnante.
In effetti, qui si vuole leggere come si compie l’insegnamento, quali sono le attività che si
svolgono, quali sono i gesti che si compiono, quali i processi entrano in gioco,
quali le procedure che si seguono, quali tecniche risultano utili,..in modo da poter contribuire alla
costruzione di una epistemologia delle conoscenze localizzate nei contesti pratici e incorporate
nelle competenze e nelle abilità degli insegnanti.
Cap 1 PAR.1 IL RISCATTO DEL SAPERE PRATICO
la formazione dell’insegnante, ma anche quella dell’allievo, centrata solo sulle teorie è senza dubbio
incompleta.
Tuttavia, dalla fine degli anni ’80, è cresciuto l’interesse per il sapere pratico.
La pratica è riconosciuta sempre più come contesto epistemologico in cui si trasmettono e
generano conoscenze, luogo fisico e sociale in cui si compie il lavoro e si sviluppa l’apprendimento.
La pratica si configura come un intreccio complesso di azioni, di attività, di atti,
e non solo la semplice applicazione di una teoria.
Pertanto vanno studiate proprio le variabili dell’azione, che sono:
1. variabili didattiche disciplinari
2. variabili organizzative
3. variabili pedagogiche
Si capisce bene che i saperi pratici sono un modo per conoscere in situazione.
Praticare è conoscere-in-pratica, è agire in quanto praticante competente.
Le caratteristiche del sapere pratico sono:

un discorso capace di orientare la pratica verso un fine (l’utile, il bene morale o sociale);

un orientamento pragmatico diretto a prendere una decisioni in-situazione, a risolvere un
problema, e così via;
1

uno stretto collegamento storico-culturale mediato anche da ciò che è avvenuto in passato;

una componente eminentemente “tacita”, cioè, nello svolgere l’attività di insegnamento il
corpo è fonte di conoscenza;

un saldo riferimento alle pratiche discorsive.
Il sapere pratico, rispetto al sapere teorico, è sempre stato messo in 2° piano.
Nelle botteghe di un tempo dove si praticava pittura, scultura, metallurgia,
il sapere non si costruiva in solitudine ma cresceva tra collaborazioni e contrasti, all’interno di un
gruppo. Quelle botteghe oggi rappresentano quei luoghi nei quali inizia ad accorciarsi la distanza
che separa la teoria dalla pratica,
le operazioni della mente da quelle delle mani.
Cap.1 PAR.2 L’INSEGNAMENTO COME PRATICA SITUATA E SOCIALE
Si parla di insegnamento situato, poiché l’insegnamento avviene in uno spazio ben definito,
mediato dal corpo, dalla tecnologia, dagli oggetti, dalle regole, dai discorsi e dalle persone che
compongono il contesto e assume quindi tutta la variabilità connessa al contesto.
In questo senso, insegnare diventa un saper fare in situazione;
cioè un saper utilizzare, come risorse per l’azione, tutta quella serie di conoscenze che, insegnando,
generano ulteriori conoscenze;ma è anche un saper lavorare insieme (con alunni e con colleghi)
poiché continuamente si intrecciano relazioni tra persone.
Insegnare allora non è o, non è solo, conoscere le pratiche, bensì, è sapere in-pratica come fare la
professione di insegnante.
Insegnare è, utilizzare conoscenze a fini pratici: è conoscere e non solo applicare le conoscenze
acquisite.
Un fattore importante della pratica situata è il contesto che non è un semplice contenitore, bensì
una risorsa per l’azione, una situazione in cui gli interessi di tutti si incrociano continuamente e
dove, come ci ricorda Margaret Mead, “l’azione situata ha una relazione privilegiata con l’idea
dell’altro”.
Tutte le pratiche lavorative sono pratiche sociali, socialmente riconosciute, poiché dentro ogni
pratica c’è una comunità di praticanti, di persone cioè socialmente riconosciute come legittimate
a partecipare a quel fare situato.
Una comunità-di-pratiche è un luogo dove si richiede continuamente l’esercizio del pensiero
riflessivo, è un luogo che produce conoscenze, teorie, schemi di azione e dove l’apprendimento è
un’attività sociale e collettiva e non solo individuale.
2
Cap.1 PAR.3 L’INSEGNANTE COME SOGGETTO EPISTEMICO
L’insegnante come soggetto epistemico è colui che applica le teorie apprese, ma anche colui che
opera pensando alle teorie e utilizzando la “riflessione-in-azione”(riflessione durante l’azione),
ossia utilizzando un repertorio di insegnamenti esperti costruiti sul campo. In questo senso,
l’insegnante, si configura come soggetto produttore di conoscenze.
I contesti pratici di insegnamento invece sono i luoghi in cui l’insegnante manipola, più o meno
creativamente teorie, elabora conoscenze, vi costruisce un mondo di regole attraverso le esperienze
e le interazioni quotidiane. In pratica l’insegnante costruisce sapere in corso d’opera.
Naturalmente, l’insegnante professionista non può costruire la sua identità professionale negando il
suo passato; infatti, il legame con il passato lo rende dipendente da certe routine che lo rassicurano
e lo fanno sentire adeguato e capace di prendere decisioni giuste. Ed è proprio questo vincolo al
sapere procedurale che lo qualifica come insegnante esperto.
Le resistenze che talvolta manifesta nei confronti di nuove pratiche vanno lette come difficoltà a
transitare dal noto all’ignoto, dalla condizione di certezza a quella di rischio.
Il lavoro dell’insegnante consiste in un insieme di pratiche lavorative che vengono quotidianamente
ripetute e adattate alle mutevoli circostanze in cui si svolgono.
Caratteristica di queste pratiche è la ripetizione.
Naturalmente, non tutte queste pratiche lavorative sopravvivono ma restano in uso solo quelle che
hanno maggiore efficienza, certe pratiche infatti, nella comunità degli insegnanti sono considerate
“il modo giusto di insegnare”. Del resto quasi tutte le diverse comunità di docenti sono attraversate
da scuole di pensiero su quale modalità sia più giusta, più bella o più efficace. Questa diversità
contribuisce al dinamismo della pratica entro la ricorsività. La comunità dei docenti può essere
studiata:

come contenitore di attività e di competenze in cui le abilità collettive vengono create,
trasmesse, conservate e mutate;

come processo nel suo snodarsi;

come risultato di un processo di stabilizzazione.
La tecnologia può essere considerata sia come un supporto sia come una risorsa, come
ingrediente dell’insegnare e perciò come sapere in pratica.
Tutte queste cose che si trovano nel campo dell’azione didattica devono essere messe insieme in
una rete che le connetta in maniera sensata e che la faccia stare insieme in modo che possano andare
d’accordo.
L’insegnante si configura quindi come soggetto epistemico, capace di costruire conoscenze
attraverso la partecipazione ad attività e l’attribuzione di significato a tali attività.
3
Cap.1 PAR.4. LA VALENZA EPISTEMICA ED ESPISTEMOLOGICA DELL’ANALISI DELLE
PRATICHE p.44
L’analisi della pratica mira a produrre sapere dell’azione e a formalizzare i saperi del fare,
attraverso la messa a distanza delle pratiche.
Nello studio di una pratica d’insegnamento non basta analizzare soltanto la conoscenza
dell’insegnante,attraverso quello che fa, dice, scrive o narra, ma occorre indagare il “mondo
materiale”. Del resto le persone che interagiscono all’interno di una pratica d’insegnamento
possiedono diversi pezzi di conoscenza e, come in un puzzle, i pezzi devono essere allineati con
altre tessere per acquisire intelligibilità e perspicuità (chiarezza)
Cap. 1 PAR.4 /1. L’EPISTEMOLOGIA DELLA TESTIMONIANZA p.46
Si parla di ↑poiché molte delle conoscenze che possediamo sono il risultato di una serie di
comunicazioni che altri ci fanno e che noi stessi, diamo per vere, solo sulla base della fiducia.
Naturalmente occorre chiedersi se realmente si possono acquisire conoscenze grazie a quanto gli
altri ci dicono. Annette Wieviorka ha definito la nostra epoca come “l’era del testimone”,
sottolineando l’attenzione che oggi è riservata al racconto dei protagonisti del passato.
Così in questi ultimi anni il valore della testimonianza è stato rivalutato.
La “epistemologia della testimonianza” studia proprio come si acquisisce una conoscenza
semplicemente sulla base del “dire degli altri” e cerca di capire, non solo, se la testimonianza
promuove la conoscenza, ma anche che cos’è la testimonianza e ne studia la relazione con la
fiducia. Di qui la centralità del dibattito tra teorie riduzionistiche e non riduzionistiche della
giustificazione (intesa come garanzia, processo di conferma, verifica di un’opinione) e della
conoscenza nella testimonianza.
Cap.1 PAR.4 / 2. UN DISPOSITIVO DI ANALISI p.48
Leggere e analizzare una pratica vuol dire sforzarsi di rendere esplicite le teorie, cogliere elementi
comuni, retroagire a partire dai dati rilevati sul campo per indirizzare i processi in una direzione
desiderata.
Esistono diversi dispositivi x l’analisi delle pratiche, noi ci soffermeremo solo su due:
il Rèseau Open, per la soluzione di problemi posti dall’azione immediata
e l’ISATT che promuove, presenta, discute e diffonde la ricerca dell’insegnamento.
La posizione italiana,attraverso l’APRED (analisi delle pratiche educative) tende, lungo questo
ambito di studi anche a considerare gli aspetti di senso e di significato educativo che non possono
essere ignorati.
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L’analisi delle pratiche comprende:
a) saper vedere, cioè saper rivolgere un sguardo attento, saper analizzare le variabili di una
situazione, saper fare sintesi;
b) saper osservare le pratiche discorsive dell’insegnante. Nelle situazioni didattiche il dire è
sempre diretto verso una finalità, verso un’azione da compiere o una soluzione da trovare.
Inoltre non è mai indipendente dall’ambiente, ma anzi è fortemente contestualizzato:
richiede una attenta valutazione della situazione per scegliere come rendere la parola
appropriata alla circostanza.
Ciò si configura come conversazione istituzionale, diretta allo svolgimento dell’insegnamento.
Secondo Drew e Heritage, le caratteristiche delle conversazioni istituzionali sono:

l’orientamento a uno scopo di almeno uno dei due partecipanti all’interazione;

la presenza di vincoli su uno o su entrambi i partecipanti;

la connessione a schemi e a procedure,proprie di quel particolare contesto istituzionale.
Questi studi incentrati sull’analisi conversazionale mettono in luce:

le scelte lessicali, cioè il modo con cui si parla;

i turni della conversazione;

l’organizzazione delle sequenze: la sequenza domanda-risposta è comune a molte attività
scolastiche e formative;
Ne consegue che le interazioni istituzionali rappresentano un modo per esaminare l’insegnamento
come insieme di pratiche discorsive.
Infine, insegnare significa mettere in atto un dire competente, cioè appropriato non solo
grammaticalmente, ma anche rispetto alla situazione.
Il dire, nei contesti didattici, ha sempre un carattere subordinato rispetto all’attività;
c) saper dire per far dire. Cioè condurre l’insegnante a saper dire della propria pratica.
Cura particolare deve essere rivolta, (da parte del ricercatore), nell’invitare il “pratico” a saper dire
di tutta la sua vita professionale, non solo delle soddisfazioni o dei successi raggiunti , ma anche
degli insuccessi, dei dubbi, o dei fallimenti, poiché proprio questi rappresentano una condizione
favorevole per migliorarsi.
Le categorie tradizionali devono essere sostituite da nuove categorie.
Una ulteriore nuova categoria, di cui già abbiamo parlato, è quella della narrazione,cioè del
narrare dell’insegnamento (di ciò che è accaduto o che ci si aspetta che accada) che evidenzia
come insegnare sia un’attività che richiede competenze comunicative.
5
Le narrazioni del resto hanno conosciuto recentemente una grande rivalutazione come strumento di
analisi della vita quotidiana nei luoghi di lavoro: le storie fanno comunità sia per chi le racconta sia
per chi le ascolta.
Si profila, in questa prospettiva l’importanza del laboratorio didattico nella scuola come luogo per
dire e per ascoltare, ma anche per sapere riflettere insieme, come luogo di osservazione per
un’analisi diretta del dire e dell’ascoltare dell’insegnante e perciò luogo di dialogo.
Ma nel laboratorio anche la riflessività ha la sua valenza, poiché favorisce la consapevolezza critica
dei soggetti coinvolti.
E se la pratica riflessiva è al centro di una professionalità insegnante esigente, il laboratorio diventa
il luogo accreditato, in grado di alimentare e legittimare il divenire della professionalizzazione,
proprio perché è il luogo che rende intelligibile l’esperienza condotta sul campo.
d) far scrivere rievocando la propria esperienza. Qui la scrittura è intesa come costruire delle
rappresentazioni, rivenire memorie, fare osservazioni, rivedersi nella pagina. È un modo per parlare
di sé a se stessi e agli altri.
Si tratta di invitare l’insegnante a mettere da parte la dimensione emotiva e quindi riuscire ad
esprimerla; ed ancora sollecitarlo a argomentare le scelte operate, discuterle e commentarle.
Certo, ci sono insegnanti restii a riflettere per iscritto, ma disposti invece a parlarne e a discuterne in
gruppo, da qui l’importanza che acquista il laboratorio della scrittura come luogo idoneo per
aiutare i docenti a vincere certe resistenze
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CAP.2 LA SCRITTURA PROFESSIONALE “FONTE” PER LA CONOSCENZA
DELL’INSEGNAMENTO
pag. 59
Solo di recente gli studiosi hanno iniziato a considerare la testimonianza una fonte
attendibile x la ricerca scientifica.
Costituire il sapere didattico mediante la testimonianza (orale o scritta) degli insegnanti può
ritenersi pertanto un itinerario perfettamente in linea con i nuovi orientamenti dell’epistemologia
contemporanea.
Cap 2 – Parag.1 - OLTRE IL DIRE PROFESSIONALE p.58
In generale, del sapere esperienziale, messo in atto durante le attività del quotidiano fare scuola,
non si parla, in quanto la nostra cultura tende a svalutare proprio i saperi pratici poiché visti solo
come semplice routine quotidiana.
Eppure le routine didattiche sono le linee portanti delle imprese educative in tutte le società
occidentali.
Chiedere agli insegnanti di raccontare le esperienze scolastiche si configura proprio come un
dispositivo euristico1 che facilita la conoscenza dell’insegnamento, inoltre non bisogna dimenticare
che quasi tutta l’attività didattica è incentrata proprio sulla parola.
Ma bisogna anche dire che le istituzioni formative fanno poco per l’apprendimento di questa abilità
linguistica, cioè di quel saper parlare volto a sostenere le proprie idee, ad argomentare le proprie
opinioni, le proprie tesi di fronte ad altre persone.
Come diceva Don Milani “per andare in Parlamento bisogna impadronirsi della lingua”.
E del resto non è difficile usare la parola per descrivere l’esperienza didattica poiché l’insegnante,
sia per fare gruppo, sia per ripensare al proprio lavoro che per avere sostegno nell’attività
professionale parla di tutto e volentieri di sé e del suo lavoro con i colleghi.
In effetti, la difficoltà maggiore sta nel tradurre le esperienze in concetti, in idee, che si trasformano
poi in conoscenze da trasferire in altre situazioni didattiche.
Tra le altre cose, parlare di sé, del sé professionale, rafforza l’identità individuale;
la quale, a partire da Locke, (la questione dell’identità individuale o personale) è stata legata proprio
alla questione della memoria.
1
Euristico: nel linguaggio scient., detto di ipotesi che viene assunta primariamente come idea direttrice nella ricerca dei
fatti, e del metodo stesso di ricerca così condotta: mezzo e., in senso lato, mezzo di ricerca.
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La memoria, specie quella autobiografica, è ciò che fornisce agli individui il senso della propria
collocazione nel tempo collegando passato, presente e futuro in una rete di vissuti, in effetti, essa
permette di richiamare eventi e fatti che abbiamo personalmente vissuto.
Si tratta di memoria dichiarativa ed esplicita in quanto il nostro vissuto può essere descritto
mediante il linguaggio verbale o scritto.
La memoria professionale diventa così l’esercizio che mette in scena il suo autore e ne lascia
intravedere l’identità professionale.
Parlare a se stessi e di se stessi è, certo, un discorso che rischia omissioni, ma è anche rivolto a darsi
ordine e senso e quindi a dare consistenza ad un nuovo io,
+ consapevole di sé e della sua storia.
Tuttavia la parola è spesso carica di elementi legati alla dimensione emotiva e al contesto e per
questo non riesce a rendere, in pieno, l’esperienza didattica, cosa che invece può riuscire attraverso
la scrittura.
Del resto la scuola è il luogo ufficiale della scrittura, eppure l’insegnante parla molto ma scrive
poco e quando lo fa, o è alla lavagna, o impegnato in scritture burocratiche sui registri.
Cap 2 - Parag.2 - LA SCRITTURA DEL “TEMPO RUBATO” p.64
È quella scrittura di sé, non burocratica, che l’insegnante realizza in momenti particolari
della sua esistenza….una sorta di faccia a faccia con se stessi.
In questo tempo rubato, lontano da controlli sociali e professionali, l’insegnante cerca soprattutto
sfogo, riflessione, comprensione, per raccontarsi e raccontare le storie di cui si è reso interprete e
protagonista.
È un ripensare alla propria pratica professionale per recuperare azioni, emozioni, processi e
significati che quotidianamente vive.
Ma può anche essere soltanto il semplice fissare le immagini di una vita, quella professionale,
mentre il tempo fugge.
Scrivere come esercizio del “silenzio che dice” è un prendersi cura di sé, è disporsi a nuove
avventure interiori. Scrivere, per darsi tempo nel decidere e per darsi pazienza.
Ma è anche un vedere e rivedere come la professione educativa sia frequentemente minata da fattori
estrinseci, come i risultati che riesce o non riesce a raggiungere, sia dalla propria esistenza
personale.
Ma vi è anche, in chi scrive, quasi una tensione costante a rinnovare le ragioni dell’interesse verso il
proprio lavoro.
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Secondo Bruner, lo studio delle narrazioni autobiografiche è fondamentale per la ricerca
psicopedagogia. In tali narrazioni viene messo in evidenza come l’aspetto più significativo di questi
resoconti non riguarda i contenuti narrati quanto piuttosto l’informazione sul modo in cui la persona
riesce a organizzarli.
Naturalmente, ricapitolare e riorganizzare la propria vita in una narrazione scritta richiede che la
creatività e l’originalità personali siano inquadrate nella cornice culturale a cui la persona
appartiene.
Il che significa permettere all’insegnante di risignificare, (ri-dare significato alla) la propria identità
professionale.
La risorsa autobiografica si manifesta soprattutto nella capacità del singolo di cogliere immagini
che spingono al di là delle sue paure, e che costringono a fronteggiare l’indicibile delle situazioni
professionali concrete. È una scrittura che usa le parole, ma le riscopre, anche, e le rimette al
servizio dell’io e fa dire loro il segreto della vita interiore, liberandola, potenziandola.
Lo studio della scrittura professionale mira ad evidenziare la conoscenza che si impara dalla
pratica e quindi, a dare valore al processo stesso della formazione e meno al prodotto, ovvero a
quella forma di conoscenza che viene generata nei contesti pratici.
Attraverso tali pagine, assume valore anche la vita emotiva, nell’agire professionale dell’insegnante.
È prendere coscienza delle proprie emozioni, delle proprie frustrazioni nella gestione della classe
scolastica.
In questi ultimi decenni si è riconosciuto, alle emozioni, un ruolo importante per quanto riguarda le
operazioni cognitive. In pratica, la parte del nostro cervello responsabile delle emozioni è in grado
anche di inibire, ostacolare o favorire il corretto funzionamento della parte deputata al pensiero
razionale.
Diventa allora importante imparare a gestire efficacemente le proprie emozioni in modo da
potenziare le proprie capacità cognitive e razionali.
Goleman ha definito l’intelligenza emotiva come la capacità di motivare se stessi,
di persistere in un obiettivo nonostante le frustrazioni,
di controllare gli impulsi e modulare i propri stati d’animo.
Conoscere le proprie emozioni permette di governarle e guidarle nelle direzioni più vantaggiose.
La memoria non fa affidamento solo sulle capacità mentali, ma o quindi di usoessa si affida anche
alle cose e agli oggetti per ricordare: oggetti che al loro interno racchiudono esperienze passate.
Dunque, la memoria autobiografica non è formata solo dai ricordi lucidi,
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ma anche da tutti quei ricordi che risultano accessibili mediante una molteplicità di processi che
emergono dalla sensibilità interpretativa della persona che ricorda e attraverso la trama delle
associazioni che usa fare:
col sentire odori familiari, con il riguardare colori, col risentire suoni noti e soprattutto col rivedere
tradizionali oggetti di scuola.
Scrivere,alla fine, non permette di guardare solo ciò che avviene intorno all’insegnante, ma
anche ciò che avviene dentro di lui.
 Scrivere è osare dire io;
 è prendere il proprio posto nell’azione;
 è riappropriarsi della propria soggettività.
 è la creazione di un io tramite parole.
Oggi sono molte le donne che scrivono, ciascuna a modo suo, tutte a partire dalla stessa necessità e
con lo stesso scopo: la creazione di un “io” grazie e in virtù della scrittura. E tutte scrivono con lo
stesso obbiettivo. In positivo: x far sì che la loro vita diventi un racconto o un romanzo; in
negativo: x inventare personaggi che personifichino le loro più oscure tentazioni e le vivano al loro
posto.
L’ultimo punto, forse il più importante, è quello che la scrittura del tempo rubato è anche un
dispositivo utile per la formazione delle professioni educative, anzi,
la scrittura del tempo rubato ha una forte ricaduta formativa in quanto innesca processi di
autoanalisi, di introspezione, di riflessione e consente di ripercorrere la storia personale marcandone
gli elementi significativi che l’hanno connotata.
La “formazione esperienziale” si inserisce in quel movimento degli anni ‘70/’80 in cui grazie allo
sviluppo dell’educazione permanente, il modello dominante della semplice trasmissione delle
conoscenze viene superato.
Si tratta in effetti di un atto di autoformazione e come tale va valorizzato, esteso, fatto divenire
nuovo paradigma della formazione contemporanea.
Una professionalità consapevole, critica, responsabile si acquisisce non sono attraverso
l’approfondimento o l’acquisizione di saperi disciplinari e metodologici, quanto piuttosto attraverso
un costante esercizio di procedure di revisione critica delle esperienze vissute.
La pedagogia della scrittura professionale non burocratica e quindi, quella del tempo rubato, aiuta il
professionista a prendere in carico il proprio sé, lo rende capace di pensarsi liberamente, favorisce il
piacere di produrre conoscenze in prima persona a partire dalla propria esperienza professionale.
In sintesi, la scrittura sollecita e abitua l’insegnante a:
 coltivare la pensosità e la lentezza introspettiva, (coltivare il pensiero);
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 ascoltare se stesso per essere capace poi di ascoltare l’altro (l’allievo, anche se poi il
processo non è unidirezionale);
 delineare attraverso gli eventi un senso in modo consapevole, critico e responsabile;
 dare al processo formativo un traguardo personale.
Da qui, brevemente, alcuni obiettivi:
 scoprire, conoscere e potenziare i livelli di motivazione;
 affinare la consapevolezza del ruolo delle emozioni in ambito lavorativo;
 fornire nuove prospettive per la comprensione dei propri bisogni, di quelli dei
colleghi e degli studenti;
 contribuire a diminuire lo stress;
 riconoscere tempestivamente i segnali del burn-out2, ovvero del logoramento da
stress professionale;
 incrementare la capacità di ascolto e comprensione degli altri.
Cap 2 - Parag.2/1 - LO SCRIVERE COME CURA DI SE’
Oggi sempre + insegnanti soffrono di stress, depressione, esaurimento, anche se non mancano quelli
che sanno riconoscere il problema e come occuparsene.
Secondo uno studio di Vittorio Lodolo D’Oria quasi la metà degli insegnanti risulta affetta da
patologie psichiatriche, questo senza fare distinzioni tra chi insegna bambini piccoli e chi insegna
invece a studenti più grandi, tra insegnante uomo e insegnante donne, tra chi insegna nel Nord e chi
insegna nel sud del paese.
Le cause di questo sono certamente il lavoro quotidiano non gratificante, mal pagato, con leggi che
richiedono cambiamenti continui, il venir meno del prestigio del ruolo sociale dell’insegnante, l’uso
di una didattica tradizionale che non stimola + gli alunni, il cui stile di apprendimento e gli interessi
sono ormai inafferrabili con gli strumenti di una didattica tradizionale pensata per altri tempi e per
altre generazioni.
Alla fine si scopre che nelle scuole oggi insegnano docenti depressi, frustrati, scarsamente preparati
e non sempre maturi per saper affrontare il proprio e l’altrui disagio.
Come se tutto questo non bastasse, dobbiamo aggiungere la condizione di malessere diffuso da
parte degli studenti. Si tratta di un fenomeno che richiede strategie di intervento differenziate
almeno per prevenire l’abbandono scolastico e poi, da non
2
La sindrome da burnout è l'esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano
professioni d'aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li
porta ad assumere.ma non sa
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sottovalutare, c’è anche quel malessere fatto di noia e di incapacità a trovare un senso a quello che
si fa.
È comprensibile allora questo fuggifuggi dalla scuola, infatti tra il 2007 e il 2008 sono stati
numerosissimi i docenti che hanno chiesto di andare in pensione.
La scrittura come cura di sé allora può costituire un farmaco assai efficace per riscoprire
l’autocontrollo, la ri-comprensione di sé e non raramente una ri-progettazione di sé. In un
orizzonte scolastico plumbeo che oscura la relazione educativa e non consente la costruzione di un
clima in grado di alleviare le situazioni di malessere connesse all’età, scrivere consente lo sfogo e
favorisce l’elaborazione della frustrazione.
La scrittura come cura di sé ha una triplice valenza:
psicologica, etico-politica e pedagogica.
 Psicologica perché, occupandosi delle proprie zone d’ombra, degli angoli bui del proprio io,
mira quasi allo smascheramento e alla riscoperta dell’io profondo. Vuol dire riconoscere
l’importanza del fattore inconscio, dell’io + profondo. Del resto la psicanalisi ha mostrato
che l’individuo si costruisce proprio attraverso i frammenti della sua storia.
Ciò naturalmente, dovrebbe poter avvenire anche nella vita professionale.
In questo
senso, la scrittura come cura di sé, non pretende di curare patologie, bensì di agevolare
processi di trasformazione, di miglioramento della propria consapevolezza fino ad aiutare le
persone a prendere decisioni importanti: la
scrittura, allora, diventa momento catartico,
momento di liberazione.
 In ambito filosofico è stato Foucault a riportare l’attenzione sulla cura di sé al centro del
processo di umanizzazione. Per l’uomo di oggi, la cura di sé, secondo Foucault, è un
dispositivo formativo attualissimo, x la ricerca di se stesso, di una propria identità, di un
proprio statuto intimo, da cui sempre più dipende il suo ruolo pubblico in quanto è dalla
chiarezza del primo che si profila il secondo. Già in epoca classica c’era la terapia animae
di Panezio di Rodi, poi Seneca che suggerì invece una morale sull’esistenza fondata sul
piacere del vivere e sul vivere conoscendo, avvertendo che l’occuparsi di sé richiede
esercizi, attività diverse, regimi dietetici, persino e poi meditazioni, letture e appunti. Nel
medioevo sia la cura di sé, sia l’askèsis3 prendono sempre più l’aspetto della raccolta di
3
Il termine, deriva dal greco "askesis", connesso al verbo "askeo", con il significato originario di "esercizio",
"esercitarsi", "piegare qualcosa con l'esercizio". L'ascesi è, quindi, altissimo esercizio dell'anima, capacità di staccarsi
dalla realtà, di ergersi contro di essa in segno di protesta, senza farsi de-terminare in modo necessario, soggiogare da
essa.
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massime, di schegge che emergono dal vissuto. Poi c’è la triangolazione tra Agostino, la
coscienza e Dio che diventa viaggio pedagogico e genera rinnovamento e acquisizione di
senso, la redenzione attraverso la memoria. Sant’Agostino dice: “chi scrive sinceramente di
se vive un’esperienza di verità” cioè, chi dice di sé quello che pensa, vive un’esperienza di
verità. Nella cultura moderna nascono poi le scritture private come esposizione di sé, come
testimonianze. Con Rousseau la confessione si fa modello letterario, strumento di
conoscenza di sé e ricostruzione di un’identità e di un senso. Infine, l’epoca
contemporanea. E anche qui troviamo sempre + al centro, dell’esercizio psicologico e
spirituale, le confessioni e l’autobiografia. Addirittura, alcune Università, all’interno degli
studi filosofici, inseriscono corsi e laboratori per la cura di sé in modo da favorire una
migliore comprensione dell’esperienza umana.
 L’ ambito pedagogico costituisce l’espressione massima della cura che il soggetto pone a se
stesso e dell’atto stesso di prendersi cura. È un viaggio formativo: nel sé, per sé, per darsi
forma. Il tutto all’interno di una scrittura che lavora in una rete di ricordi che riflettono
intorno al senso e al non senso di sé. “In queste scritture il soggetto si guarda come
processo, si articola nella costruzione, si delinea in un progetto e distilla una direzione di
senso”.
Cap. 2 - Parag.2/2 LO SCRIVERE COME PARESSìA PROFESSIONALE p.83
La paressia è la scrittura che dice sinceramente di sé, ovviamente del sé insegnante e della propria
attività didattica, della vita professionale.
Certo può accadere che quello che si dice non è vero, infatti bisogna distinguere tra sincerità e
veracità.
Quando si parla di sincerità si intende la semplice coerenza tra ciò che si pensa e ciò che si dice e
non è detto che ciò che si pensa sia sempre la verità.
(La sincerità riguarda la coscienza di chi parla, la verità riguarda l'essere in sé).
Scrivere secondo verità presuppone uno scrivente che abbia coscienza di sé
e del
valore del suo dire, mentre di solito si tende a non dire tutto, a non dire del sé autentico, e
soprattutto a non evidenziare le contraddizioni e le debolezze.
Quando la scrittura è
intenzionata alla paressia, essa si configura come risorsa, come spazio di libertà, ma soprattutto
come racconto di ciò che ha fatto e fa l’insegnante.
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Alla fine è proprio quel sapere pratico che l’insegnante mette in atto quando insegna che gli
interessa rendere pubblico e far si che si trasformi in conoscenza.
Questa scrittura è l’archetipo della scrittura contemporanea.
Ritornando alla modernità, ci sono tre romanzi che esprimono nel migliore dei modi il ruolo del
soggetto: Julie ou la nouvelle Eloise di Rousseau; I dolori del giovane Werther di Goethe e Madame
Bovary di Flaubert. In tutti e tre è il soggetto come persona a farsi protagonista di una storia che lo
ricostruisce nella sua singolarità.
È lo spazio del suo privato che viene messo alla luce, tralasciando la società, le sue istituzioni e le
sue regole. I tre protagonisti sono persone alla ricerca di se stesse e solo tale soggettività è capace di
una scrittura sincera, una scrittura che impegna chi scrive e chi legge.
La pagina, se è sincera, consente l’autosvelamento dell’io e dell’altro, e il dire di sé in sincerità
significa dare alla scrittura una funzione contagiante.
La scrittura che dice di sé riaccende la memoria, ma è anche una scrittura che va oltre la memoria
attraverso cui il soggetto si decostruisce e si costruisce.
è naturale che se se del quarto anno qualche programma del quarto anno
Cap. 2 - Parag.2/3 LO SCRIVERE COME PRATICA AUTORIFLESSIVA p.86
L’esperienza professionale, è un “capitale” pedagogico-didattico, ma perché sia tale è necessario
che sia formalizzato. Così, attraverso la scrittura l’io, opaco a se stesso, si fa perspicuo
Secondo Velleman, l’io è un modo riflessivo di presentazione sotto diverse guise, ovvero un modo
attraverso il quale parti e aspetti della persona si presentano alla mente del soggetto.
Secondo questo studioso esistono tre tipi di io:
1. l’io che corrisponde alla rappresentazione che si ha di sé stesso, che comprende non solo
i dati anagrafici, ma anche il tipo di personalità che si ha;
2. l’io del passato e l’io dell’avvenire, al primo si accede con una riflessione sui propri ricordi
e al secondo anticipando rappresentazioni del proprio futuro;
3. l’io che esercita la propria autonomia. Riguarda le considerazioni su cosa pensiamo di
essere e sulla nostra capacità di capire il nostro modo di agire.
Dunque secondo Velleman siamo una creazione di noi stessi.
Del resto, è il lavoro della mente che crea il proprio pensiero, lo spande, lo intreccia, lo compone
come un tessuto; anche la lingua s’irrobustisce o cambia quando ci sono grandi movimenti di
pensiero.
Il pensiero è dentro e fuori di noi e l’unica occasione in cui ce ne liberiamo, forse è durante il sonno
anche se, a dire il vero mancando la coscienza non siamo nemmeno in grado di avvertire l’assenza
stessa del pensiero.
14
I modi della pratica riflessiva sono molteplici,
secondo Anthony e Kay Ghaye la pratica riflessiva può essere intesa come:
1. un discorso che comprende significati, storie,una particolare versione degli eventi;
2. un’attività alimentata dall’esperienza;
3. un processo che comprende una fase di riflessione;
4. un modo di responsabilizzarsi;
5. una disposizione alla ricerca;
6. un impegno in un processo di conoscenza;
7. una messa in atto da parte dei pensatori critici;
8. un modo di leggere i mondi simbolici della scuola e della classe;
9. un’interfaccia tra teoria e pratica;
10. un modo postmoderno di conoscere.
La riflessione nella pagina è intesa essenzialmente come funzione di ricostruzione dell’esperienza
professionale e personale mediante:
 il ritorno sul proprio sé, prima dell’esercizio, durante e dopo;
 l’attribuzione di significato all’esperienza professionale, un distanziarsi che permette non
solo di adattarsi alle situazioni inedite, ma anche di apprendere a partire dall’esperienza.
Così intesa la scrittura, mediante il dispositivo riflessivo, genera una nuova comprensione delle
situazioni educative e rende visibili le strutture di conoscenza. L’insegnante, attraverso lo scritto
riflessivo, prende coscienza del suo lavoro quotidiano e impara a dar conto al sé professionale.
Cap. 2 - Parag. 2/4 L’AUTOBIOGRAFIA DIDATTICA: DALL’ERMENEUTICA AL NUOVO
PROGETTO p.90
La scrittura che dice di sé è comunicativa, ma soprattutto auto comunicativa, permette di
esprimersi e di comprendersi.
Volendo riassumere possiamo dire che scrivere di sé è prendere coscienza della strutturazione del
proprio io professionale,
prendere coscienza di quello che si è come docente,
affrancarsi dagli stereotipi ,
liberarsi da un imprinting professionale non scelto,
andare oltre i proprio limiti culturali.
Ciò che merita rilevanza è il concetto di “dominio di sé” che esprime il concetto di libertà dell’io e
la condizione della massima indipendenza, quella, appunto, del saggio che è totalmente autonomo e
“signore di se stesso”.
15
2° PARTE
CAP.3 LE SCRITTURE DELLA PRATICA D’INSEGNAMENTO
La ricerca che si è svolta in scuole primarie e varie università tra gli anni 2005/08 si articola in due
fasi:
la prima, volta all’analisi delle scritture burocratiche;
la seconda, diretta alla lettura delle scritture del “tempo rubato”.
Mentre nelle scritture burocratiche l’obiettivo è stato quello di cercare di cogliere
 le procedure professionali,
 gli atti collettivi,
 i procedimenti condivisi;
nelle scritture del tempo rubato ( attraverso la narrazione dei vissuti, ch rafforzano le competenze
rendendole risorse), si è cercato di
 cogliere gli atti personali,
 i gesti professionali individuali,
 le scelte collettive,
 il ruolo degli alunni e le interazioni con essi,
 la gestione della classe e delle risorse
 e lo stile didattico.
Cap. 3 - Parag.1 ANALISI DELLE SCRITTURE BUROCRATICHE
La funzione dei documenti scritti, prodotti all’interno di un contesto istituzionale, è uno degli aspetti
su cui si è soffermato Foucault, il quale nell’avvento di queste scritture istituzionali vedeva un
nuovo livello di interconnessione tra individuo e società e quindi, la possibilità, da parte dei centri
di potere, di sorvegliare e regolamentare l’attività pratica lavorativa dell’individuo.
Cap.3 - Parag.1/1 IL METODO DI CAMPIONAMENTO
Le scuole prese in considerazioni sono 30 e sono state selezionate in base a fattori:
- storico-geografici; - socio-economici; - innovativi; - disponibilità alla ricerca.
Su scuole, quindi che hanno permesso di esprimere le diverse sfaccettature del fare scuola,
appartenenti a diversi ordini e a diverse realtà sociali, e scuole che hanno fatto emergere piena
disponibilità al lavoro di ricerca.
Cap.3 - Parag.1/2
IL TIPO DI MATERIALE
16
È costituito da scritture istituzionali aventi la precisa finalità di rendicontare il lavoro svolto
dall’insegnante. In generale tali scritture si presentano schematiche, standardizzate, uniformi.
Pertanto, le scritture burocratiche possono essere considerate dei veri e propri generi e questo ha
facilitato una lettura quantitativa, tuttavia, altre caratteristiche non hanno agevolato invece la lettura
qualitativa. Le caratteristiche che appunto non hanno agevolato la lettura sono:
- la preesistenza, sono state prodotte indipendentemente dalla finalità della ricerca;
- la finalizzazione:per cui il fatto che si tratti di un documento destinato al pubblico influenza la
spontaneità dell’insegnante.
Un fatto importante da tener presente è che gli scritti burocratici non sono “manifestazioni
incontaminate” del pensiero dello scrivente, ma anzi, sono il prodotto di una rielaborazione tra il
sé scrivente, il ruolo istituzionale dell’insegnante e il destinatario a cui lo scritto è rivolto.
Cap.3 - Parag.1/3 LA PROCEDURA DI ANALISI
La procedura di analisi è consistita di due letture.
La prima, x reperire le componenti linguistiche, e x rilevare tracce che segnalano aspetti delle
pratiche didattiche che denotano anche il lavoro soggettivo dell’insegnante;
la seconda, volta a capire quanto le interpretazioni influenzano l’azione quotidiana.
Il gruppo di lavoro era composto da dottori di ricerca e dottorandi, istruiti sulle modalità di ricerca.
Cap.3 - Parag.1/4 PRIMA LETTURA
Cap.3 - Parag.1/4-2 LA GRIGLIA DI LETTURA
Al termine della lettura analitica, in cui i documenti sono stati suddivisi fra i ricercatori e poi sono
stati confrontati, i risultati hanno dimostrato che si tratta di scritture stereotipe in cui lo schematismo
mortifica ogni fattore espressivo e ne diluisce il significato.
I testi che esprimono una maggiore soggettività sono le relazioni finali, i registi della attività
opzionali/laboratori, i registri delle riunioni e i progetti relativi alle attività extracurricolari.
In queste tipologie burocratiche è stato possibile reperire anche elementi di personalizzazione al
livello del linguaggio, di scelta redazionale e di curvatura educativa dei contenuti.
In altre tipologie si è rilevata una sorta di cristallizzazione nel lavoro della scrittura, una scrittura
espressa in forma essenziale e stereotipata.
La soggettività tende quindi a sfumare a vantaggio della prassi.
Quando i contenuti dello scritto riguardano esperienze vissute e agite prevale l’elemento narrativo.
Cap.3 - Parag.1/5. SECONDA LETTURA INCROCIATA
17
Gli obiettivi dell’indagine hanno indotto a concentrare l’analisi su due tipologie di scritti:
la relazione finale e la programmazione disciplinare.
Questo per due motivi:
 perché in questi scritti il docente esplicita riferimenti personali sulla scuola, sulla classe e sul
proprio lavoro e vi riporta considerazioni personali e riflessioni;
 perché il buon numero di programmazioni disciplinari acquisite permette una trattazione
quantitativa e dunque permette di ricavare delle ricorrenze generali.

Dei 96 scritti totali ne sono stati effettivamente analizzati 56.

Ogni scritto è stato trasferito al computer per permettere un’analisi + immediata,
lasciando inalterata ogni caratteristica del testo.

Il materiale presenta uno stile essenziale, spesso con elenchi puntati.

Compaiono scritti caratterizzati da andamento riflessivo o addirittura autobiografico.
Cap.3 - Parag.1/5- 1 LA PROCEDURA DI ANALISI:QUALITATIVE DATA ANALYSIS
In un primo momento sono stati evidenziati i punti nei quali lo scrivente faceva riferimento alla
dimensione del proprio lavoro.
Nel passaggio successivo i vari punti sono stati articolati in categorie.
Le difficoltà maggiori sono sorte nel momento della lettura incrociata per le numerose difformità di
interpretazione che ogni lettore aveva dato.
Le difformità sono state controllate con tutto il resto dei colleghi e poi risolte.
Per ottenere la sintesi complessiva dei dati è stato usato il metodo etnografico Qualitative Data
Analysis che ha previsto:

la lettura del documento,

la ricerca del segmento,

l’organizzazione dei segmenti,

l’estrapolazione delle categorie

l’organizzazione dei segmenti all’interno delle categorie.
Nelle scritture analizzate si presentano prima i commenti estrapolati e radunati per categoria, poi
effettua una sintesi. Ecco i risultati.
I punti che fanno riferimento alla categoria scuola sono di due tipi: quelli in cui lo scrivente esprime
considerazioni molto generali e personali sull’idea di scuola;
quelli in cui vi sono riferimenti all’istituto scolastico in cui si è lavorato.
18
I primi richiamano il dover essere della scuola, le sue finalità e i termini educativi; i secondi
richiamano le regole implicite del fare scuola, il clima e i rapporti personali che l’insegnante vive
con gli alunni.
I punti che fanno riferimento al processo di insegnamento/apprendimento prevedono 3 modelli:
1. nel primo è riscontrabile un’idea d’insegnamento che deve sapersi conformare alle capacità
apprenditive della classe anche se limitate;
2. nel secondo emerge la funzione di sollecitazione e di stimolo dell’intervento insegnativo nei
confronti dell’apprendimento degli alunni;
3. nel terzo l’insegnamento sollecita gli interessi degli alunni che rispondono in maniera
positiva lasciandosi coinvolgere.
I punti che fanno riferimento all’insegnamento prevedono una distinzione tra organizzazione e
pianificazione dell’insegnamento.
Nel primo i riferimento vanno nella direzione della gestione della scuola;
nel secondo vi è la tendenza a stabilire regolarità, temporali o operative, alle quali sono però
ammesse delle modifiche possibili.
I punti che fanno riferimento alla categoria dell’apprendimento sono numerosi e non è possibile
individuare delle similitudini per poi adoperare una sintesi.
I punti che fanno riferimento alla disciplina prevedono una duplice posizione dell’insegnante nei
confronti di essa: formale e informale.
Quella formale richiama elementi disciplinari convenzionali, come gli obiettivi formativi, i saperi e
le competenze estrapolate dai Programma o dal Pof.
Quella informale è la capacità dell’insegnante di restituire una propria rappresentazione delle
disciplina.
I punti che fanno riferimento al binomio alunni/classe riguardano la componente comportamentalerelazionale in cui emergono le condizioni affettivo-motivazionali degli alunni.
I punti che fanno riferimento alla valutazione riguardano le modalità e gli oggetti di valutazione.
I punti che fanno riferimento alla meta valutazione riguardano le riflessioni dello scrivente sulla
valutazione.
I punti che fanno riferimento al meta insegnamento riguardano le relazioni d’ingresso in cui lo
scrivente riflette sull’insegnamento proprio e generale.
Dai documenti analizzati emergono processi di pensiero che l’insegnante mette in atto prima
dell’intervento, nel corso della sua attuazione e nella fase successiva all’intervento stesso.
19
Nella fase della programmazione gli insegnanti sono rivolti soprattutto a prevedere le molteplici
variabili e sono agevolati dal fatto di poter analizzare un ampio repertorio di piani di lavoro svolti
nel passato.
Nella fase in-azione mettono in atto processi interattivi rapidi multidimensionali e sorvolano su
elementi didatticamente significativi.
Ciò che sorprende è la rappresentazione che lo scrivente restituisce alla propria disciplina in cui
emerge un repertorio che nulla ha a che vedere con le dinamiche reali dell’insegnante.
FINO QUI è RIASSUNTO MIO. QUELLO Giù è SCARICATO
PAR.3.2. ANALISI DELLE SCRITTURE “DEL TEMPO RUBATO
Si tratta di microbiografie contenenti le osservazioni, le sensazioni, le impressioni, relative alle
difficoltà didattiche, trascritte, è bene ricordarlo, su sollecitazione da parte del ricercatore, ma tutte,
comunque, prodotte per libera scelta.
Coloro che hanno aderito all’invito (gruppi docenti scuola “Dante Alighieri di Taranto, gruppo
docenti scuola san Giovanni Bosco di Taranto, corsisti SSIS di Taranto, supervisori del tirocinio di
laurea in scienze della formazione primaria di Bari, studenti del corso di laurea di scienze della
formazione primaria del Suor Orsola di Napoli) si sono dovuti attenere ai seguenti ambiti tematici:
1. campo dei saperi disciplinari;
2. ambito delle conoscenze, distinte in conoscenze teoriche, conoscenza del mestiere e
conoscenza di casi;
3. complesso delle credenze, che influenzano ciò che l’insegnante mette in atto;
4. interazione con gli alunni;
5. organizzazione delle attività;
6. gestione della classe;
7. ruolo del contesto;
8. gesti personali finalizzati al senso dell’apprendere;
9. riferimento alla comunità degli insegnanti.
La lettura di questi testi è stata svolta in due fasi:
la prima effettuata dall’autore del volume in modo libero e senza espliciti schemi; la seconda
attraverso specifiche griglie e con la partecipazione della dott.ssa Laura Agrati.
I gruppi della scuola Dante Alighieri hanno fornito circa 20 scritture incentrate su ricordi e su
situazioni problematiche.
Chi scrive si sofferma sul valore del riflettere come tempo della persona,
20
attribuisce grande importanza al coinvolgimento e alla partecipazione degli alunni, esprime le
perplessità riguardo alle strategie che l’insegnante vorrebbe condividere con il dirigente o con i
colleghi,
riflette sugli eventi educativi e sugli eventi che si sono verificati in classe per accrescere la propria
esperienza professionale,
ricorda quando dovette insegnare per la prima volta,
narra la propria esperienza didattica.
Il testo del gruppo della scuola San Giovanni Bosco si è soffermato:
sulla scuola come centro di ricerca,
sull’attività ludica come strategia privilegiata,
sul pieno coinvolgimento degli alunni,
ha riconosciuto la valenza formativa del tutor e dell’esperienza laboratoriale,
fa riferimento al ruolo del mentore,
vede l’insegnante come soggetto che favorisce lo sviluppo cognitivo.
Vi è in questi scritti la tensione costante a rinnovare l’interesse per il proprio lavoro. Non emerge la
distinzione tra saperi e credenze e quindi non risultano significative, le seconde, ai fini delle scelte e
delle decisioni nell’insegnamento.
Grande importanza viene attribuita al coinvolgimento e alla partecipazione degli alunni.
Seri problemi manifestano nella comprensione dello sviluppo della conoscenza pedagogica della
disciplina, mentre un ruolo importante per loro hanno le nozioni come conoscenze sistematiche ben
memorizzate.
Assai utili sono ritenute le osservazioni in classe e la possibilità di ricevere feedback relativi al loro
intervento.
Gli scritti dei corsisti SSIS si compongono di 70 scritture relative all’immagine che si ha della
professione insegnante o che si intende avere.
Negli scritti troviamo:
ampie conoscenze in vari territori del sapere;
la scrittura è vista come un autobiografismo narrativo che scava nella propria esperienza;
è avvertita la debolezza della preparazione sul piano della pratica.
Questi testi mettono in evidenza la capacità degli specializzandi di esaminare e interpretare gli
aspetti fondamentali di una situazione didattica, rivolgendo molta attenzione alla cura degli aspetti
affettivi dell’interazione in classe e all’interesse e alla motivazione degli allievi.
Di rilievo è il ruolo della conoscenza teorica nei confronti della loro pratica professionale, mentre
scarso è il riferimento alle esperienze didattiche pregresse.
21
In tutte o quasi si riscontra un apprezzamento per le attività di tirocinio e di laboratorio. Importante
viene ritenuto l’apporto delle nuove tecnologie didattiche ai fini del successo nell’insegnamento
Gli scritti dei supervisori di scienze della formazione primaria è formato da 10 microbiografie
didattiche in cui si è rilevato:
il sapere disciplinare,
la relazionalità con gli allievi,
la capacità di organizzazione delle attività,
una buona conoscenza dei problemi della formazione,
il riferimento al diario di bordo come strumento di formazione riflessiva,
il riconoscimento dell’autobiografia a fini formativi.
Molti riferimenti riguardano le competenze che l’insegnante ha sviluppato nel corso della sua
esperienza che gli hanno consentito strategie, tattiche, routine per iniziare, per coordinare le diverse
attività di classe e di laboratorio.
Assai utili sono ritenute le osservazioni in classe e la possibilità di ricevere feedback relativi al loro
intervento.
Gli scritti degli studenti del Suor Orsola si sono focalizzati:
1. sulla motivazione della scelta universitaria, dove vi è una scissione tra chi ha volontà di
diventare insegnante e chi in cui tale volontà non solo è assente, ma è persino dettata dal
caso;
2. sui riferimenti alla figura dell’insegnante con riferimento alla consapevolezza del ruolo
professionale, alle capacità comunicativo-relazionali, all’essere da modello, alla capacità
critica di apertura, alla capacità di intervento diversificato, alla consapevolezza e capacità di
intervento su diversi tipi di sapere;
3. sulla rappresentazione dell’insegnamento, con la definizione dei presupposti, delle relazioni
persoli, del sapere personale dell’insegnante, delle finalità, del processo di insegnamentoapprendimento;
4. sui riferimenti alle modalità di formazione, prendendo in considerazione il rapporto tra la
componente pratica e quella teorica nel processo di formazione dei futuri insegnanti
l’esigenza di una continuità tra il percorso scolastico e universitario, il rapporto tra discipline
e pratica, i riferimenti + mirati all’esperienza di tirocinio.
Le studentesse dimostrano di avere presente il ventaglio di competenze che deve possedere un
insegnante e sono consapevoli della complessità del processo di insegnamento-apprendimento.
Le caratteristiche + frequenti del profilo di insegnante desumibili dai testi sono:
22
la capacità di interpretazione e analisi del contesto;
la capacità di attivare con l’alunno un feedback circolare continuo.
Per quanto riguarda la formazione dell’insegnante un ruolo importante è dato alla pratica.
Per conoscere la realtà scolastica e imparare a gestire le situazioni complesse della quotidianità; per
integrare sul sapere teorico attraverso un repertorio in esperienze proprie e altrui.
Molte studentesse esprimono un vivo interesse nei confronti del compito delicato e complesso che
attende il futuro insegnanti, ma non poche utilizzano espressioni di dubbio e di perplessità.
I risultati di tutte queste scritture hanno dimostrato che ciascuna scrittura è personale, intessuta di
mille memorie e di molteplici esperienze.
Tuttavia tale ricerca effettuata dai ricercatori, per vari problemi, non è mai stata restituita ai docentiscriventi.
I testi presentano seri problemi nella comprensione approfondita e nello sviluppo di una conoscenza
pedagogica della disciplina, infatti, sono poche le insegnanti che riferiscono sul perché è importante
apprendere.
Inoltre molta è la routine per eventuali situazioni che richiedono un adattamento o un cambiamento
di strategia e viene attribuito un considerevole ruolo alla pratica scolastica.
Un ruolo non secondario viene attribuito all’organizzazione delle attività proprie della scuola e
peculiare attenzione viene rivolta agli aspetti affettivi dell’interazione in classe.
Non poco rilievo viene conferito alla conoscenza pratica personale così come buona capacità di far
fronte a eventi e imprevisti, e di scegliere rapidamente le risposte e le strategie di intervento +
appropriate.
Oltre a ciò viene ribadito che l’insegnamento è un processo complesso e impegnativo, e si fa spesso
riferimento al fatto che il successo dipende non solo dalle caratteristiche degli alunni e dai modi con
cui apprendono, ma dalla loro motivazione e dal loro impegno.
Inoltre molte docenti provano insicurezza nel tradurre le conoscenze teoriche in attività pratiche e
quindi densa rilevanza formativa viene attribuita al tirocinio e alle attività di laboratorio.
Se sono di rilievo alcune emozioni espresse poca invece è l’autoriflessività, la cui pratica ridotta va
attribuita alla debolezza di piste teoriche di riferimento.
Dunque ciò che ai augurava non è stato pienamente raggiunto perché sono mancate le linee guida
che avrebbero permesso all’insegnante di scrivere del proprio lavoro.
CAP.4 LA BIOGRAFIA DIDATTICA. FAR SCRIVERE CHE COSA E COME
PAR.4.1. OLTRE IL “TEMPO RUBATO”: VERSO UN TEMPO DELLA SCRITTURA
LEGITTIMATA E NON-BUROCRATIZZATA
23
Questo tipo di scrittura è il desiderio di colloquio con se stesso che si fissa per iscritto con
un’intenzione che, anziché consumarsi nella distrazione, mira a diventare attività spontanea tale che
riesca a far parlare l’insegnante delle cose di cui ha esperienza e dire quelle che gli stanno a cuore,
facilitando uno stile di pensiero + strutturato.
Si tratta di mettere sulla carta non solo quello che si è fatto, ma anche quello che si è pensato di fare
e chi si è fatto e quello che si è pensato di fare e non si è fatto. Raccontare un’esperienza educativa
significa ricostruire quello che si fa, ma anche quello che si pensa e si prova.
Si tratta di far compiere un percorso di scoperta della soggettività professionale. L’insegnante che
scrive sarà in grado di riconoscere delle regole, di ravvisare dei gesti professionali, di esplicitare
alcune strutture di riferimento che usa, svelando gli intrecci e le deviazioni.
In questo processo tuttavia l’insegnante si scontra con molte difficoltà, infatti, tende a introdurre
elementi di falsificazione e di immaginazione, per colorare le sue azioni didattiche soddisfacendo il
proprio narcisismo, per superare ciò che ha vissuto.
Solo dopo avere superato la barriera dell’insicurezza verso se stessi e gli altri si riescono a misurare
le potenzialità trasformative ed è possibile cogliere la forza connessa all’esperienza di dare ordine
alle esperienze professionali.
PAR.4.1.1. LA SCRITTURA AL FEMMINILE
La donna, + dell’uomo, riesce a manipolare immagini e lavorare sulle idee.
Scrivere significa proprio questo, manipolare immagini,lavorare sulle idee e lavorare sulle e con le
parole.
La scrittura richiede un prima fase che è fatta di saper vedere, di capire la realtà e rappresentarla e in
questo saper vedere la donna è evidentemente favorita.
La donna è senza alcun dubbio dotato di fine e incomparabile sensibilità che consente di leggere il
mondo in maniera ancora + acuta.
PAR.4.1.2. INDICAZIONI TEMATICHE
Le indicazioni tematiche ci permettono di capire la complessità professionale, di accedere a quelle
esperienze non menzionate dall’insegnante e di studiare gli episodi che sono tenuti segreti.
Gli studi su questo campo hanno premesso due condizioni:
la prima, garantire al docente l’anonimato assoluto;
la seconda, non esprimere nessun giudizio circa la pratica educativa espressa.
24
Tali indicazioni sono:
1) ricostruire le memorie, dalla memoria studentesca a quella familiare fino alla memoria
professionale, e ancora attingere al patrimonio del lavoro didattico attraverso cui
l’insegnante può ricostruire la sua biografia.
Un modo per aiutare a
saper organizzare la memoria professionale è quello di analizzare le strategie di rievocazione
attraverso la ricerca nel contesto
(a partire da una domanda si delimita il contesto
particolare) e la ricerca entro il contesto (cercare l’evento + clamoroso di una circostanza,
ragionare sul modo migliore con cui cercare dei contesti, cercare una catena causale);
2) riferire le conoscenze pratiche;
3) esplicitare le conoscenze tacite, conoscenze apprese attraverso il corpo, l’imitazione, o le
forme di trasmissione delle conoscenze che passano attraverso le relazioni interpersonali.
Il sapere pratico è un sapere ancorato al corpo quindi, nell’attività di insegnamento, il corpo
è fonte di conoscenza e sa fare + di quanto il soggetto saprebbe spiegare in termini verbali o
procedurali;
4) enunciare le convenzioni di fondo;
5) verbalizzare le credenze e le interpretazioni della pratica didattica;
6) richiamare l’importanza delle componenti epistemiche relative al sapere da insegnare e
al ruolo e alle funzione delle discipline;
7) manifestare la propria intenzionalità di docente in relazione a una situazione classe;
8) esprimere le proprie emozioni;
9) esplicitare la “didattica dell’oscuro”, la didattica che non viene manifestata con la
medesima intenzionalità tra cui vi sono le convinzioni, le preferenze, i pregiudizi, le paure ,
le insicurezze;
10) narrare l’indicibile e l‘impresentabile, varcare i limiti dell’indicibile attraverso la
narrazione letteraria rendendo disponibili gli eventi e i fatti sotto altra forma;
11) riferire della gestione dell’imprevisto e della pratica capacità di bricolage,
riconducibile per non pochi versi alla ragionevolezza scolastica.
È analizzare
l’insegnamento come se fosse una perfomance basata su una coreografia improvvisata di atti
da compiere e di elementi a disposizione, anziché una routine;
12) rivedere sulla pagina l’organizzazione delle attività d’insegnamento;
13) ricostruire il proprio fare, il proprio decidere, nell’azione;
14) scrivere il rapporto tra fra insegnante e strumenti di valutazione;
15) riferire della funzione del dirigente e del rapporto con lui.
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Così operando si disegna un itinerario in cui le pratiche possono divenire idee, le esperienze
concetti e le conoscenze teorie e saperi.
PAR.4.2. COME E QUANDO SCRIVERE
Una scrittura si dice riuscita quando dice esattamente ciò che intendeva dire e,inoltre, per essere
adeguata deve essere un’esperienza che va preparata.
Provo ora a scandire alcuni momenti che fanno riferimento al come e quando scrivere.
1. Il 1°: riaccendere il desiderio di ritrovare quello che si è vissuto sulla propria pelle nel corso
della propria vita professionale per fermalo sulla carta. Un ruolo determinante è svolto dalle
emozioni. La scrittura autobiografica ha la potenzialità di saldare la dimensione emotiva e
quella cognitiva.
2. Il 2°: organizzare i ricordi, rivivere emozioni, e provare a stendere una prima scrittura
attraverso l’individuazione di un filo conduttore che tenga legate tra loro le diverse forme di
esperienza.
3. Il 3°: è il momento riflessivo esplicativo. Siamo all’analisi di sé a cominciare dalle ragioni
della propria scelta professionale.
4. Il 4°: la descrizione precisa dell’azione o delle azioni intraprese, l’esplicazione delle azioni
messe in atto, le giustificazioni che tendono a sostenere le scelte fatte rispetto a quelle
possibili; le eventuali rivendicazioni che consistono nell’esporre.
5. Il 5°: tener conto delle attese del ricercatore.
6. Il 6°: scambio con i colleghi e ascolto di altre storie.
7. Il 7°: scrivere in modo sintetico perseguendo una scrittura semplice e perspicua.
8. L’8°: imbastire la sincerità con la ricerca della verità.
9. Il 9°: rileggere.
10. Il 10°: riscrivere.
PAR.4.2.1. IL PIACERE DELLA RISCRITTURA
Scrivere è fissare sulla pagine le proprie idee, le proprie emozioni, le proprie osservazioni, le
proprie riflessioni, ma non è solo questo, è anche riscrivere.
È rivedere, riesaminare, cancellare, ricombinare idee, percezioni,considerazioni, fermate su carta.
In breve: il pensiero, inteso nella duplice valenza mentale e cognitiva, elabora idee, riflessioni,
soluzioni ai problemi, ma anche impressioni, di affetti, di sentimenti; lo scrivere serve invece a
esprimere il risultato di tale elaborazione.
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PAR.4.2.2. IL GIORNALE DIDATTICO
Utile nella biografia didattica sarebbe un giornale didattico in cui l’insegnante può raccontare il
proprio fare professionale.
Tale giornale è pensato come un diario di bordo su cui si intende fermare, disegnare e recuperare la
propria figura d’insegnante.
I modelli da usare sono molteplici: scritto scientifico, scrittura clinica, narrazione o descrizione in
prima persona, riformulazione del discorso con note di lettura, commenti e citazioni, finzioni,
notazioni o semplice trascrizione, riflessioni.
Per facilitare la produzione biografica didattica, utili sono le varie forme di accompagnamento che
aiutano l’insegnante a trovare il tempo per scrivere.
Inoltre, occorre rilevare anche gli alunni cosa pensano della loro esperienza educativa in modo tale
che facendo dialogare i dati emersi da due tipi di narrazione, si può approdare a una visione +
articolata dell’agire didattico-educativo.
CAP.5 LEGGERE LE SCRITTURE
Il termine lettura rimanda a un reticolo di pratiche codificate messe in atto da diverse scienze.
Tutte riconoscono che il leggere è un tecnica di codificazione, ma qui la lettura è intesa non come
mera operazione, ma come attività destinata a organizzare il sapere.
PAR.5.1. SAPER INTERPRETARE I TESTI
Il testo scritto si configura come un “corpo” pigro che vive del senso datogli dal lettore.
Spettano al lettore, secondo le proprie disposizioni psicologiche, la propria cultura di appartenenza,
le proprie conoscenze, i proprio strumenti di decodifica, attuarne ed esplicitarne le potenzialità
semantiche.
Non basta però una mera codifica del testo, occorre sentire il testo, percepire quella materia verbale
per trovarne il senso.
Occorre quindi un lettore attento capace di tessere la trama interpretativa e di valorizzare la parola.
Il lettore che dà senso alla parola svela i significati, riconosce i valori di cui un testo è portatore
sempre nel rispetto di quei vincoli oggettivi proprio di un testo.
PAR.5.1.1. LE FASI
L’intentio è saper cogliere la storia interna di tanti insegnanti intesa come una ricostruzione delle
loro dinamiche psichiche, delle soddisfazioni o delle delusioni, degli atteggiamenti, delle
motivazioni, della storia personale, della vita emozionale. L’uso di fonti autobiografiche permette
27
l’accesso alla dimensione soggettiva, ovvero alla dimensione del senso che il soggetto attribuisce al
proprio agire interpretando e reinterpretando i dati della propria esistenza.
Le griglie di lettura costituiscono strumenti utili per l’interpretazione dei testi, divise in livello
autoanalitico-identitiario;
livello conoscitivo-espistemico;
livello prospettico.
Il primo riguarda l’autoanalisi con la ripresa di episodi e la strutturazione di questi e con l’esame
della componente personale e istituzionale.
Il secondo fa riferimento al complesso di risorse conoscitive divise in conoscenze formali e
informali e in saperi formali e canonici.
Il terzo fa riferimento al passato dell’azione narrata.
L’analisi testuale però non sempre funziona,infatti, si richiede sempre una visione di insieme che
solo una lettura fenomenologica consente.
È importante inoltre che chi legge lo faccia lentamente perché solo così potrà cogliere le parole nel
profondo.
PAR.5.1.2. PER UN’ETICA DELLA LETTURA
La lettura non è mai un monologo, ma l’incontro con un altro uomo, che nella sua pagina ci rivela
qualcosa della sua storia più profonda.
Così intesa, essa deve essere sentita come restituzione di forza a un testo, si tratta di entrare nello
scrivente e stabilire con lui un rapporto empatico.
La lettura allora è un’avventura complessa che chiede tempo, pazienza, capacità quasi di frugare
dentro il testo perché ciò che è informazione possa diventare esperienza e poi tradursi in
conoscenza.
L’etica del lettore nasce quando la sua attività viene sentita come restituzione di forza semantica a
un testo virtuale, realizzazione delle sue forze + nascoste, con la possibilità di scoprire spiragli
semici, che lo stesso autore non aveva intravisto.
PAR.5.2. IL RUOLO DELICATO DEL RICERCATORE-LETTORE
Si tratta di una professionalità che ruoto attorno a due capacità:
a)saper tacere per mettersi ad ascoltare il testo;
b)saper accettare che i suoi interlocutori/scriventi siano protagonisti.
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La lettura è possibile solo se si applicano strutture di conoscenza che la traducono in
rappresentazioni mentali.
I testi sono rappresentazioni simboliche, cioè stanno al posto della realtà che intendono
rappresentare e la loro lettura richiede conoscenze e abilità specifiche diverse da quelle implicate
nella realtà.
Il ricercatore/lettore deve avere una peculiare sensibilità ermeneutica diretta a cogliere le variabili
della pratica educativa:
le variabili didattiche disciplinari, relative al sapere da insegnare;
le variabili organizzative, relative alla gestione della classe;
le variabili relazionali, relative all’interazioni con gli alunni;
le variabili pedagogiche, relative alle finalità.
La lettura del ricercatore però non è mai neutra, quindi il ricercatore deve essere, per il possibile,
libero e sciolto da ogni pregiudizio, deve essere capace di una grande finezza di percezione, così da
sentire il testo come qualcosa di materiale.
Il criterio di validazione per le ricerche narrative è quello della fidelity, ossia la richiesta che le varie
interpretazioni siano il + possibile fedeli al testo.
Due sono gli approcci al testo: il primo, quello del riconoscimento dei temi; il secondo, quella della
comprensione della struttura, che di solito procede dalla rilettura.
Dopo questo il ricercatore è pronto per la prima stesura del resoconto che dovrà poi restituire
all’insegnante in vista di un negoziazione semantica che autentica l’interpretazione.
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