P S I C O L O G I A
Cesare Cornoldi
Rossana De Beni
Vizi e virtù
della memoria
La memoria nella vita
di tutti i giorni
Nuova edizione
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ISBN 9788809754461
Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
Prima edizione digitale 2010
Indice
PREFAZIONE
PRIMA PARTE
I vizi della memoria
Le credenze ingenue sulla memoria
La metamemoria
La leggenda della “memoria fotografica”
Gli scherzi della memoria visiva
La mente smarrita
La memoria spaziale
È successo realmente?
Monitoraggio di realtà e false memorie
Verità e sincerità
Gli errori dell’autobiografo
Le cicatrici della memoria
Testimonianza e ricordi emotivi
Perché dimentichiamo le barzellette?
Gli effetti della bizzarria sul ricordo
SECONDA PARTE
Le virtù della memoria
Sull’onda dei ricordi
Le funzioni della memoria personale
Gli amanti della memoria
Differenze individuali di fronte alla memoria
Incursioni nella mente
Memorie involontarie e processi di recupero
La forza dell’immaginazione
Immagini mentali e memoria
L’arte di ricordare
Semplicità e potenza delle mnemotecniche
La terza età della memoria
Memoria e invecchiamento
I grandi memorizzatori
Saper ricordare, saper dimenticare
Conclusioni
La memoria nella vita di tutti i giorni
Bibliografia
Prefazione
I vizi della memoria
La memoria è il pilastro della vita umana. Tutti noi, infatti, siamo
costruiti sul nostro passato sia per quel che siamo, sia per quel che
sappiamo, sia per quel che desideriamo e ci aspettiamo. Al tempo stesso,
però, la memoria è fonte di errori. In questo libro li chiamiamo “vizi”,
riprendendo una metafora di Schacter che, in un suo bel libro (2002), ha
mostrato che la memoria possiede virtù e anche vizi, che però riflettono
la ricchezza della psiche.
All’origine di questi vizi stanno spesso le idee ingenue sul
funzionamento della memoria (Capitolo I). Esse derivano dall’esigenza,
tipicamente umana, di pensare in maniera semplice e di avere
un’altrettanto semplice chiave di lettura della realtà. Intendiamoci:
questo modo di “economizzare sul pensiero” ha anche notevoli vantaggi
in termini di adattamento e sviluppo, ma diventa estremamente
ingannevole quando viene applicato in modo rigido e indiscriminato. Un
buon esempio è costituito dalla fiducia che moltissime persone nutrono
nell’accuratezza della memoria visiva (Capitolo II). Dietro quest’idea
ingenua c’è il vizio di una semplificazione del tutto ingiustificata, cioè
quella che la nostra mente funzioni come una macchina fotografica e che
la memoria sia, più o meno, la sua pellicola.
Ma se la memoria funzionasse davvero come la pellicola di una
macchina fotografica, nessuno dovrebbe mai perdere l’orientamento
(Capitolo III), cosa che invece succede con impressionante frequenza.
Forse che tutte queste persone sono incapaci di consultare le loro
“fotografie mentali” dell’ambiente che le circonda? In realtà, non solo la
nostra mente non è una macchina fotografica, ma deve saper compiere sul
mondo un accurato lavoro di monitoraggio. Questo monitoraggio non è
esente da errori, come succede, ad esempio, quando la memoria
confonde il livello di realtà con quello del pensiero (Capitolo IV): «L’ho
detto o ho solo immaginato di dirlo?», «Ho spento il gas, o ho solo
pensato di farlo?». Questa distinzione è ovviamente abbastanza facile
(anche se non banale) quando stiamo sperimentando l’evento, ma è più
difficile sul piano della memoria, in cui tutti i ricordi (siano essi di cose
fatte oppure solo pensate) sono ugualmente “pensieri della mente”.
Al vizio di attribuire al pensiero un carattere di realtà si devono molti
clamorosi errori autobiografici (Capitolo V). In alcuni di questi sono
incappati anche personaggi famosi, quando hanno deciso di scrivere le
loro memorie. La cosa più curiosa, a questo riguardo, è la fiducia del
lettore nella verità dei fatti narrati, secondo l’assunto che «se il narratore
ricorda, ed è in buona fede, non c’è ragione per dubitare di lui». In
realtà, sono molti i fattori che possono interferire con l’accuratezza dei
ricordi. Fra questi vi sono senza dubbio le emozioni (Capitolo VI).
Anche in questo caso, la fondata concezione ingenua che l’emozione
fortifichi il ricordo porta all’indebita generalizzazione che il ricordo
forte sia anche automaticamente accurato. Ma non è così: c’è chi
nasconde con ansia e trepidazione il proprio bancomat e poi non lo
ritrova più. Oppure chi, più semplicemente, non ricorda più come finisce
la barzelletta che appena il giorno prima lo aveva messo di ottimo umore
(Capitolo VII).
Le virtù della memoria
Parlavamo, poc’anzi, della memoria autobiografica e delle possibili
disavventure in cui può incappare. È ora doveroso richiamare
l’attenzione sull’altro lato della medaglia, ossia sull’aspetto virtuoso
della memoria del nostro passato. Quest’ultima ha infatti un ruolo
assolutamente centrale nella costruzione dell’identità personale
(Capitolo VIII). Il ricordo autobiografico risponde al tempo stesso a
bisogni emotivi e a caratteristiche di personalità. Ci sono, ad esempio,
persone che amano in modo del tutto particolare i ricordi del loro
passato. Fra questi virtuosi della memoria spicca Giacomo Leopardi,
che addirittura preferiva e anteponeva i ricordi, appassionatamente
ricercati, agli eventi stessi della vita reale (Capitolo IX).
Come si vede, il ricordo autobiografico è caratterizzato da
un’intenzionalità precisa, ossia da uno sforzo volontario che il soggetto
compie per ricostruire episodi ed eventi. Ma vi sono anche ricordi che
contengono in sé una tale e prorompente forza da riemergere senza essere
ricercati intenzionalmente. Sono i cosiddetti “ricordi involontari”
(Capitolo X), memorie spontanee di cui tra l’altro moltissimi artisti e
scrittori hanno decantato la fascinosità.
In ogni caso, volontari o involontari che siano, moltissimi ricordi si
presentano sotto forma di immagini mentali (Capitolo XI), tanto che
illustri pensatori del passato, tra cui lo stesso Aristotele, avevano
strettamente assimilato memoria e immaginazione. Il suggerimento di
questi pensatori fu accolto solo parzialmente dalla psicologia del XX
secolo, anche per le difficoltà incontrate a rendere obiettivo lo studio di
un fenomeno così interno, personale e accessibile solo attraverso
l’introspezione. Oggi gli psicologi sanno che l’immagine non è solo una
forma tipica del ricordo, ma anche una chiave che favorisce la memoria.
Non a caso proprio di questa idea si erano impadroniti i creatori delle
mnemotecniche per gettare le basi della loro “arte della memoria”
(Capitolo XII), un settore affascinante della storia della cultura, in cui si
sono intrecciati gli interessi di letterati, umanisti, retori, filosofi ed
educatori, oltre che, ovviamente, degli psicologi. Un settore che, tra
l’altro, oggi presenta importantissimi risvolti pratici nel sostegno alla
terza età (Capitolo XIII). E proprio ai memorizzatori eccezionali è
dedicato l’ultimo capitolo, in certo modo metafora di tutto il libro. Sono
loro infatti, i grandi memorizzatori, a riunire in sé gran parte dei vizi e
delle virtù della memoria.
Nuova edizione
Il presente volumetto costituisce la nuova edizione del testo,
semplicemente intitolato Vizi e virtù della memoria, da noi pubblicato
nel 2005. In questa edizione aggiornata abbiamo aggiunto il riferimento
al campo di indagine con il sottotitolo “La memoria nella vita di tutti i
giorni”, che costituisce una traduzione quasi letterale dell’espressione,
usata dalla ricerca scientifica, di “Everyday memory”. In questo modo
viene ricordato come, ai settori classici della ricerca di laboratorio sulla
memoria, si siano affiancati, in maniera sempre più autorevole, settori di
indagine focalizzati su come gli esseri umani usano la memoria nella vita
quotidiana.
Cesare Cornoldi, Rossana De Beni
estate 2009
Prima parte
I vizi della memoria
I
Le credenze ingenue sulla memoria
La metamemoria
Leggete le seguenti affermazioni e valutate in che misura vi sembrano
fondate.
1) Il ricordo di un evento vissuto intensamente si
imprime vividamente nella memoria come una
fotografia.
2) Ogni evento lascia una ben specifica e distinta
traccia in memoria.
3) Più l’evento è emotivamente carico, più dettagliata e
vivida sarà la sua traccia.
4) Se ricordo un evento ciò significa che questo si è
verificato.
5) I fallimenti nel ricordo sono dovuti a cattiva
memoria.
6) Con l’età si perde inevitabilmente la capacità di
ricordare.
Generalmente la gente pensa che siano vere. In realtà esse
costituiscono una generalizzazione indebita ed erronea. Nel corso di
questo capitolo vedremo perché.
LE INGENUITÀ DI SERGIO E LUCA
Sergio, per paura dei ladri, prima di partire per le vacanze nasconde
nel posto della casa che gli pare più strano il suo libretto degli assegni.
L’idea di prender nota di quel nascondiglio non lo sfiora neppure:
«Come posso dimenticarmelo? è così insolito… E poi in questa
operazione ci ho messo l’anima, mi resterà in testa come una foto!».
Luca è un giudice. Si ritiene un tipo dalla memoria molto accurata e
trova normale che anche gli altri siano così. Soprattutto i testimoni: «Con
la botta di adrenalina che hanno avuto assistendo al fatto», dice sempre
ai colleghi, «come fanno a non ricordare tutto per filo e per segno?».
Sergio commette diverse ingenuità.
Intanto dà per scontato che, se qualche volta è riuscito a ricordare un
episodio con molta precisione, questo debba valere per sempre:
un’indebita generalizzazione. Poi è convinto, aggrappandosi a
un’ingiustificata semplificazione, che la “stranezza” del nascondiglio ne
favorisca di per sé il ricordo. Infine è sicuro, ancora una volta
ingiustificatamente, che lo stato di attivazione emotiva favorisca la
formazione di una “foto” mentale indelebile. Risultato: Sergio ritroverà
il libretto degli assegni quando, mesi dopo, deciderà di cambiare la
fodera del divano.
Ma anche Luca non scherza quanto a indebite generalizzazioni.
Prima di tutto è convinto che il buon funzionamento della memoria
sia, in condizioni normali (cioè in assenza, come lui dice, di “incidenti
di percorso” del tutto casuali, oppure di “esaurimento mentale”,
“affaticamento”, “stress”, ecc.), un fatto scontato: come lui ricorda bene,
anche tutti gli altri, testimoni inclusi, ricordano bene. Anzi, i testimoni
di più, visto il loro carico emotivo. L’indebita semplificazione di Luca è,
in questo caso, che ci sia un rapporto diretto fra vividezza del ricordo e
veridicità della testimonianza (Figura 1.1).
L’AFFIDABILITÀ DEL TESTIMONE
Le idee ingenue sull’affidabilità dei testimoni (Loftus, 1979;
Cornoldi, 1995) hanno spesso oscillato fra i due poli dell’eccessiva
fiducia e dell’altrettanto eccessiva sfiducia. Ad esempio, per molto
tempo si è pensato che un ricordo fosse attendibile solo se prodotto da
una persona matura, razionale e moralmente a posto. Il sospetto è stato
rivolto in primo luogo ai bambini che, per misteriosi motivi, pur essendo
noti da sempre per le loro incredibili capacità di memoria, non
sarebbero in grado di ricordare eventi cui hanno assistito. Ma il sospetto
dei tribunali si è esteso a molte altre categorie di individui che, per
qualche verso, non potevano essere considerati a denominazione di
origine controllata. In un curioso passo, preso non da un giornaletto di
paese, ma da un libro pubblicato da Bocca all’inizio del secolo scorso,
l’avvocato Donà metteva in dubbio la capacità di testimoniare non solo
dei bambini, ma anche dei sordi, degli zoppi, delle prostitute, dei
mendicanti e, più in generale… delle donne! Tutte categorie che non
potevano essere considerate attendibili.
Figura 1.1 – Secondo Luca (e molti altri come lui), la scena di sinistra (emotivamente carica)
dovrebbe essere memorizzata meglio di quella di destra (emotivamente neutra). L’errore sta
nell’associare indebitamente la vividezza del ricordo alla veridicità della testimonianza.
Gli studiosi si sono occupati soprattutto del caso in cui il testimone
sia convinto di ricordare un evento e della credibilità che il giudice gli
assegna in base all’equazione “ricordo vivido = ricordo vero”. Questo
interesse è nato dalla giusta preoccupazione di tutelare imputati accusati
da testimoni che in buona fede avevano ricostruito inaccuratamente i