P S I C O L O G I A Cesare Cornoldi Rossana De Beni Vizi e virtù della memoria La memoria nella vita di tutti i giorni Nuova edizione L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte. È vietata la riproduzione dell'opera o di parti di essa con qualsiasi mezzo, se non espressamente autorizzata dall'editore. www.giunti.it © 2005, 2009 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165, 50139 Firenze - Italia Via Dante 4, 20121 Milano - Italia ISBN 9788809754461 Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl Prima edizione digitale 2010 Indice PREFAZIONE PRIMA PARTE I vizi della memoria Le credenze ingenue sulla memoria La metamemoria La leggenda della “memoria fotografica” Gli scherzi della memoria visiva La mente smarrita La memoria spaziale È successo realmente? Monitoraggio di realtà e false memorie Verità e sincerità Gli errori dell’autobiografo Le cicatrici della memoria Testimonianza e ricordi emotivi Perché dimentichiamo le barzellette? Gli effetti della bizzarria sul ricordo SECONDA PARTE Le virtù della memoria Sull’onda dei ricordi Le funzioni della memoria personale Gli amanti della memoria Differenze individuali di fronte alla memoria Incursioni nella mente Memorie involontarie e processi di recupero La forza dell’immaginazione Immagini mentali e memoria L’arte di ricordare Semplicità e potenza delle mnemotecniche La terza età della memoria Memoria e invecchiamento I grandi memorizzatori Saper ricordare, saper dimenticare Conclusioni La memoria nella vita di tutti i giorni Bibliografia Prefazione I vizi della memoria La memoria è il pilastro della vita umana. Tutti noi, infatti, siamo costruiti sul nostro passato sia per quel che siamo, sia per quel che sappiamo, sia per quel che desideriamo e ci aspettiamo. Al tempo stesso, però, la memoria è fonte di errori. In questo libro li chiamiamo “vizi”, riprendendo una metafora di Schacter che, in un suo bel libro (2002), ha mostrato che la memoria possiede virtù e anche vizi, che però riflettono la ricchezza della psiche. All’origine di questi vizi stanno spesso le idee ingenue sul funzionamento della memoria (Capitolo I). Esse derivano dall’esigenza, tipicamente umana, di pensare in maniera semplice e di avere un’altrettanto semplice chiave di lettura della realtà. Intendiamoci: questo modo di “economizzare sul pensiero” ha anche notevoli vantaggi in termini di adattamento e sviluppo, ma diventa estremamente ingannevole quando viene applicato in modo rigido e indiscriminato. Un buon esempio è costituito dalla fiducia che moltissime persone nutrono nell’accuratezza della memoria visiva (Capitolo II). Dietro quest’idea ingenua c’è il vizio di una semplificazione del tutto ingiustificata, cioè quella che la nostra mente funzioni come una macchina fotografica e che la memoria sia, più o meno, la sua pellicola. Ma se la memoria funzionasse davvero come la pellicola di una macchina fotografica, nessuno dovrebbe mai perdere l’orientamento (Capitolo III), cosa che invece succede con impressionante frequenza. Forse che tutte queste persone sono incapaci di consultare le loro “fotografie mentali” dell’ambiente che le circonda? In realtà, non solo la nostra mente non è una macchina fotografica, ma deve saper compiere sul mondo un accurato lavoro di monitoraggio. Questo monitoraggio non è esente da errori, come succede, ad esempio, quando la memoria confonde il livello di realtà con quello del pensiero (Capitolo IV): «L’ho detto o ho solo immaginato di dirlo?», «Ho spento il gas, o ho solo pensato di farlo?». Questa distinzione è ovviamente abbastanza facile (anche se non banale) quando stiamo sperimentando l’evento, ma è più difficile sul piano della memoria, in cui tutti i ricordi (siano essi di cose fatte oppure solo pensate) sono ugualmente “pensieri della mente”. Al vizio di attribuire al pensiero un carattere di realtà si devono molti clamorosi errori autobiografici (Capitolo V). In alcuni di questi sono incappati anche personaggi famosi, quando hanno deciso di scrivere le loro memorie. La cosa più curiosa, a questo riguardo, è la fiducia del lettore nella verità dei fatti narrati, secondo l’assunto che «se il narratore ricorda, ed è in buona fede, non c’è ragione per dubitare di lui». In realtà, sono molti i fattori che possono interferire con l’accuratezza dei ricordi. Fra questi vi sono senza dubbio le emozioni (Capitolo VI). Anche in questo caso, la fondata concezione ingenua che l’emozione fortifichi il ricordo porta all’indebita generalizzazione che il ricordo forte sia anche automaticamente accurato. Ma non è così: c’è chi nasconde con ansia e trepidazione il proprio bancomat e poi non lo ritrova più. Oppure chi, più semplicemente, non ricorda più come finisce la barzelletta che appena il giorno prima lo aveva messo di ottimo umore (Capitolo VII). Le virtù della memoria Parlavamo, poc’anzi, della memoria autobiografica e delle possibili disavventure in cui può incappare. È ora doveroso richiamare l’attenzione sull’altro lato della medaglia, ossia sull’aspetto virtuoso della memoria del nostro passato. Quest’ultima ha infatti un ruolo assolutamente centrale nella costruzione dell’identità personale (Capitolo VIII). Il ricordo autobiografico risponde al tempo stesso a bisogni emotivi e a caratteristiche di personalità. Ci sono, ad esempio, persone che amano in modo del tutto particolare i ricordi del loro passato. Fra questi virtuosi della memoria spicca Giacomo Leopardi, che addirittura preferiva e anteponeva i ricordi, appassionatamente ricercati, agli eventi stessi della vita reale (Capitolo IX). Come si vede, il ricordo autobiografico è caratterizzato da un’intenzionalità precisa, ossia da uno sforzo volontario che il soggetto compie per ricostruire episodi ed eventi. Ma vi sono anche ricordi che contengono in sé una tale e prorompente forza da riemergere senza essere ricercati intenzionalmente. Sono i cosiddetti “ricordi involontari” (Capitolo X), memorie spontanee di cui tra l’altro moltissimi artisti e scrittori hanno decantato la fascinosità. In ogni caso, volontari o involontari che siano, moltissimi ricordi si presentano sotto forma di immagini mentali (Capitolo XI), tanto che illustri pensatori del passato, tra cui lo stesso Aristotele, avevano strettamente assimilato memoria e immaginazione. Il suggerimento di questi pensatori fu accolto solo parzialmente dalla psicologia del XX secolo, anche per le difficoltà incontrate a rendere obiettivo lo studio di un fenomeno così interno, personale e accessibile solo attraverso l’introspezione. Oggi gli psicologi sanno che l’immagine non è solo una forma tipica del ricordo, ma anche una chiave che favorisce la memoria. Non a caso proprio di questa idea si erano impadroniti i creatori delle mnemotecniche per gettare le basi della loro “arte della memoria” (Capitolo XII), un settore affascinante della storia della cultura, in cui si sono intrecciati gli interessi di letterati, umanisti, retori, filosofi ed educatori, oltre che, ovviamente, degli psicologi. Un settore che, tra l’altro, oggi presenta importantissimi risvolti pratici nel sostegno alla terza età (Capitolo XIII). E proprio ai memorizzatori eccezionali è dedicato l’ultimo capitolo, in certo modo metafora di tutto il libro. Sono loro infatti, i grandi memorizzatori, a riunire in sé gran parte dei vizi e delle virtù della memoria. Nuova edizione Il presente volumetto costituisce la nuova edizione del testo, semplicemente intitolato Vizi e virtù della memoria, da noi pubblicato nel 2005. In questa edizione aggiornata abbiamo aggiunto il riferimento al campo di indagine con il sottotitolo “La memoria nella vita di tutti i giorni”, che costituisce una traduzione quasi letterale dell’espressione, usata dalla ricerca scientifica, di “Everyday memory”. In questo modo viene ricordato come, ai settori classici della ricerca di laboratorio sulla memoria, si siano affiancati, in maniera sempre più autorevole, settori di indagine focalizzati su come gli esseri umani usano la memoria nella vita quotidiana. Cesare Cornoldi, Rossana De Beni estate 2009 Prima parte I vizi della memoria I Le credenze ingenue sulla memoria La metamemoria Leggete le seguenti affermazioni e valutate in che misura vi sembrano fondate. 1) Il ricordo di un evento vissuto intensamente si imprime vividamente nella memoria come una fotografia. 2) Ogni evento lascia una ben specifica e distinta traccia in memoria. 3) Più l’evento è emotivamente carico, più dettagliata e vivida sarà la sua traccia. 4) Se ricordo un evento ciò significa che questo si è verificato. 5) I fallimenti nel ricordo sono dovuti a cattiva memoria. 6) Con l’età si perde inevitabilmente la capacità di ricordare. Generalmente la gente pensa che siano vere. In realtà esse costituiscono una generalizzazione indebita ed erronea. Nel corso di questo capitolo vedremo perché. LE INGENUITÀ DI SERGIO E LUCA Sergio, per paura dei ladri, prima di partire per le vacanze nasconde nel posto della casa che gli pare più strano il suo libretto degli assegni. L’idea di prender nota di quel nascondiglio non lo sfiora neppure: «Come posso dimenticarmelo? è così insolito… E poi in questa operazione ci ho messo l’anima, mi resterà in testa come una foto!». Luca è un giudice. Si ritiene un tipo dalla memoria molto accurata e trova normale che anche gli altri siano così. Soprattutto i testimoni: «Con la botta di adrenalina che hanno avuto assistendo al fatto», dice sempre ai colleghi, «come fanno a non ricordare tutto per filo e per segno?». Sergio commette diverse ingenuità. Intanto dà per scontato che, se qualche volta è riuscito a ricordare un episodio con molta precisione, questo debba valere per sempre: un’indebita generalizzazione. Poi è convinto, aggrappandosi a un’ingiustificata semplificazione, che la “stranezza” del nascondiglio ne favorisca di per sé il ricordo. Infine è sicuro, ancora una volta ingiustificatamente, che lo stato di attivazione emotiva favorisca la formazione di una “foto” mentale indelebile. Risultato: Sergio ritroverà il libretto degli assegni quando, mesi dopo, deciderà di cambiare la fodera del divano. Ma anche Luca non scherza quanto a indebite generalizzazioni. Prima di tutto è convinto che il buon funzionamento della memoria sia, in condizioni normali (cioè in assenza, come lui dice, di “incidenti di percorso” del tutto casuali, oppure di “esaurimento mentale”, “affaticamento”, “stress”, ecc.), un fatto scontato: come lui ricorda bene, anche tutti gli altri, testimoni inclusi, ricordano bene. Anzi, i testimoni di più, visto il loro carico emotivo. L’indebita semplificazione di Luca è, in questo caso, che ci sia un rapporto diretto fra vividezza del ricordo e veridicità della testimonianza (Figura 1.1). L’AFFIDABILITÀ DEL TESTIMONE Le idee ingenue sull’affidabilità dei testimoni (Loftus, 1979; Cornoldi, 1995) hanno spesso oscillato fra i due poli dell’eccessiva fiducia e dell’altrettanto eccessiva sfiducia. Ad esempio, per molto tempo si è pensato che un ricordo fosse attendibile solo se prodotto da una persona matura, razionale e moralmente a posto. Il sospetto è stato rivolto in primo luogo ai bambini che, per misteriosi motivi, pur essendo noti da sempre per le loro incredibili capacità di memoria, non sarebbero in grado di ricordare eventi cui hanno assistito. Ma il sospetto dei tribunali si è esteso a molte altre categorie di individui che, per qualche verso, non potevano essere considerati a denominazione di origine controllata. In un curioso passo, preso non da un giornaletto di paese, ma da un libro pubblicato da Bocca all’inizio del secolo scorso, l’avvocato Donà metteva in dubbio la capacità di testimoniare non solo dei bambini, ma anche dei sordi, degli zoppi, delle prostitute, dei mendicanti e, più in generale… delle donne! Tutte categorie che non potevano essere considerate attendibili. Figura 1.1 – Secondo Luca (e molti altri come lui), la scena di sinistra (emotivamente carica) dovrebbe essere memorizzata meglio di quella di destra (emotivamente neutra). L’errore sta nell’associare indebitamente la vividezza del ricordo alla veridicità della testimonianza. Gli studiosi si sono occupati soprattutto del caso in cui il testimone sia convinto di ricordare un evento e della credibilità che il giudice gli assegna in base all’equazione “ricordo vivido = ricordo vero”. Questo interesse è nato dalla giusta preoccupazione di tutelare imputati accusati da testimoni che in buona fede avevano ricostruito inaccuratamente i