Fig. 1 - Università degli Studi di Parma

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI
PARMA
Dipartimento di Diritto, Economia e Finanza Internazionale
Pietro A. Vagliasindi
Scelte Pubbliche, Bilancio e Politiche Fiscali
Indice
PAGINA
INTRODUZIONE........................................................................................................................1
I. SCELTE PUBBLICHE E BILANCIO PUBBLICO. ..............................................................2
1. FINALITÀ PUBBLICHE E BILANCIO PUBBLICO. ......................................................................... 2
2. L’ANALISI ECONOMICA DEL BILANCIO.................................................................................... 5
3. ANDAMENTI RECENTI DEI FLUSSI FINANZIARI. ......................................................................... 6
4. LA VALUTAZIONE DELLA PRESSIONE TRIBUTARIA E DELL’ATTIVITÀ FINANZIARIA. ............... 11
5. SCELTE PUBBLICHE INTERTEMPORALI ED ANALISI COSTI BENEFICI....................................... 18
APPENDICE A: PREZZI OMBRA E SPIAZZAMENTO...................................................................... 25
APPENDICE B: LA VALUTAZIONE DI BENI E SERVIZI IN ECONOMIE APERTE................................ 28
II POLITICHE DI STABILIZZAZIONE E DEBITO PUBBLICO..........................................31
1. IL MODELLO REALE ED IL TEOREMA DEL BILANCIO IN PAREGGIO. ......................................... 31
2. INDICATORI E LIMITI DELLE POLITICHE FISCALI .................................................................... 39
3. BILANCIO, FINANZIAMENTO DEL DEFICIT ED EQUILIBRIO DI LUNGO PERIODO ....................... 45
4. EQUILIBRIO DI LUNGO PERIODO NEL MODELLO IS-LM ........................................................ 47
5. DEFICIT, DEBITO, SOSTENIBILITÀ, INFLAZIONE E IMPOSIZIONE. ........................................... 50
APPENDICE A: SPESA PUBBLICA, DEBITO E COMPORTAMENTI STRATEGICI.............................. 60
APPENDICE B: IMPOSIZIONE SUGLI INTERESSI E ONERE DEL DEBITO PUBBLICO........................ 63
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
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Prima Versione.
INTRODUZIONE
La conoscenza del Bilacio della Pubblica Amministrazione e nei suoi aspetti giuridici ed
economici è ormai una parte importante del bagaglio professionale anche per gli studenti di
giurisprudenza. Questo quaderno didattico, non tecnico specificamente mirato a tali studenti,
riprende e fornisce tutte le nozioni utili per una comprensione di tutti gli argomenti, offrendo
da un lato le conoscenze teorico-istituzionali e dall’altro gli strumenti necessari per
comprendere in termini generali il bilancio settore pubblico, il suo funzionamento e le
conseguenze macroeconomiche generali legate a date decisioni discrezionali pubbliche.
Nella prima sezione, particolare attenzione è dedicata ad introdurre il problema generale
del bilancio e dell’attività finanziaria con particolare riferimento alla politica di bilancio ed
espansione della spesa pubblica. Vengono così considerate le diverse finalità pubbliche e i
loro riflessi sul bilancio pubblico, in termini normativi e positivi. All’analisi economica del
bilancio fa seguito l’esame dell’aumento tendenziale della spesa pubblica e della pressione
fiscale. Vengono poi analizzati gli andamenti recenti dei flussi finanziari della Pubblica
Amministrazione dal lato delle spese e delle entrate e dei riflessi sul debito. In conclusione
sono sviluppate brevi considerazioni sulla valutazione della pressione tributaria e dell’attività
finanziaria.
Su tali fondamenta generali, nella seconda sezione si procede ad analizzare l’equilibrio
aggregato di un sistema economico e le implicazioni in termini di politica economica,
partendo dall’equilibrio dei mercati reali, considerando quindi i mercati finanziari e le loro
implicazioni nel breve e lungo periodo. In appendice, vengono analizzati il problema della
politica fiscale come interazione tra operatore pubblici e privati ed i riflessi dell’imposizione
dei redditi da capitale sull’onere del debito pubblico.
Come usuale per ogni lavoro con finalità didattiche, l’autore ha una serie di debiti
scientifici e culturali che non è facile elencare senza commettere gravi omissioni, più facile
riconoscere il debito verso il testo di Cesare Cosciani.
Gli argomenti sviluppati in questo quaderno coprono l’intero contenuto della seconda parte
del corso di Giurisprudenza. All’inizio di ogni sezione vengono poste una serie di questioni,
alle quali il lettore dovrebbe essere in grado di rispondere una volta raggiunta la fine della
seconda sezione, in modo più o meno approfondito.
A parte, sulla web-page del corso, sono disponibili una lista di riferimenti bibliografici, per
chi intende approfondire tali problematiche e dei set di esercitazioni, relativi ai contenuti
presenti in questo quaderno, per dar modo agli studenti di mettere alla prova il proprio livello
di preparazione; aiutandoli a comprendere con esattezza quello che sanno e quindi a superare
meglio l’esame.
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Prima Versione.
I. SCELTE PUBBLICHE E BILANCIO PUBBLICO.
Quali sono le principali finalità pubbliche? Come vengono realizzate? Cos’è il bilancio? In che
consiste il DPEF, la legge finanziaria e la politica di bilancio? Gli obiettivi di politica fiscale
possono essere conseguiti simultaneamente? In cosa differiscono il Settore Statale, quello
Pubblico e Pubblico Allargato e la PA? Come si spiega la tendenza all’aumento della
pressione fiscale e del bilancio pubblico? Come evolve la finanza pubblica in Italia? Come
confrontarla con quella di altri paesi? Come valutare l’attività finanziaria e la pressione fiscale
nel suo complesso? Quali strumenti per valutare l’attività finanziaria disponiamo? Cos’è
l’analisi costi-benefici? Quali costi e benefici vanno inclusi? Come vanno valutati e a quale
saggio di sconto?
1. Finalità pubbliche e bilancio pubblico.
Le finalità pubbliche più usuali, sono quella allocativa (fornitura di beni e servizi pubblici),
redistributiva (dei redditi di individui, settori produttivi, regioni), macroeconomica (di
stabilizzazione economica nel breve periodo e di sviluppo nel lungo) regolatrice-assicurativa
(regolare i comportamenti economici, la sicurezza e le prestazioni sociali e tutelando
consumatori, lavoratori, etc). Per raggiungere tali obiettivi e produrre i servizi pubblici, lo
Stato deve opportunamente gestire le proprie risorse, che formano (o si trasformano) nel suo
capitale fisso e circolante. Gran parte delle precedenti finalità sono realizzate attraverso il
bilancio pubblico modificando (con imposte, trasferimenti di reddito, remunerazioni e
pagamenti di beni e servizi) l’operare del sistema economico ed in particolare i flussi di
reddito tra i diversi agenti economici: famiglie, imprese ed operatori esteri. Anche i flussi
reali si modificano sia di riflesso sia in conseguenza all’attività di fornitura di beni strumentali
e di consumo pubblico.
Mercati:
Lavoro
Operatori:
Famiglie
Beni consumo
Org. Pubbl.
Beni capitale
Im p r e s e
Finanziari
Estero
I mercati interessati dalle politiche di bilancio sono quelli interni dei fattori e dei mercati
finanziari e dei capitali (con l’imposta sui capital gain, sul reddito, sulle società e l’offerta di
titoli pubblici), dei beni di consumo (con l’imposta sul consumo), oltre ai quelli con l’estero
delle importazioni delle esportazioni (con dazi e tariffe) e dei capitali internazionali (con
l’imposta sul reddito e l’offerta di titoli pubblici). Viene così influenzato il processo
produttivo, distributivo e finanziario. La politica di bilancio quindi non va spiegata
astrattamente, solo in base a principi economici o giuridici, ma evidenziando gli obiettivi
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Prima Versione.
concreti perseguiti dalla classe dirigente e dalla collettività. Il livello e la composizione di
entrate e spesa pubblica indicano la dimensione e la natura dell’intervento pubblico.
Il bilancio è uno strumento complesso: politico (basato sul rapporto fiduciario governoparlamento), giuridico (di autorizzazione preventiva) e contabile (traduzione numerica della
politica finanziaria) che costituisce un momento di quantificazione fondamentale per la
realizzazione delle scelte collettive. Col bilancio il legislativo autorizza l’esecutivo ad erogare
le spese ed incassare le entrate, vincolando l’attività futura dello Stato. Il bilancio deve
rispettare (salvo più o meno ampie deroghe) una serie di principi giuridici e formali-contabili:
annualità (come periodo di riferimento salvo per quello pluriennale), unità (rappresentando
l’attività finanziaria nel suo complesso come un tutto unitario evitando collegamenti specifici
tra entrate e spese), universalità (con l’iscrizione di tutte le entrate e spese in bilancio
evitando gestioni fuori bilancio), integrità (con l’iscrizione delle poste lorde, senza tener
conto spese o entrate connesse), specializzazione (rappresentando analiticamente le poste,
distinte con precisione) e pubblicità (trasparenza nelle procedure). Il principio di
specializzazione, attribuendo competenze e responsabilità porta ad una classificazione
amministrativa di entrate e spese (tra ministeri etc). A questa si affiancano le classificazioni:
funzionale ed economica (attraverso i conti consolidati della PA e del settore pubblico). Esse
rispondono alle necessità della contabilità nazionale raggruppando le spese a seconda delle
finalità collettive.1
Il bilancio di competenza considera tutte le entrate accertate e le spese impegnate nel
corso dell’esercizio, prescindendo dal fatto che siano riscosse o pagate nell’anno stesso o
successivamente Invece il bilancio di cassa considera tutte le entrate (e le spese)
effettivamente versate al (pagate dal) bilancio nel corso dell’anno, riferiti sia ad accertamenti
o impegni dell’esercizio finanziario corrente, che a quelli di esercizi precedenti. Le entrate e
le spese iscritte nel bilancio di competenza ma non riscosse o pagate (non iscritte nel bilancio
di cassa) costituiscono i residui attivi e passivi. I bilanci possono essere consuntivi (con
funzione di controllo, oggi da parte dell’UE rispetto alle PA) o di previsione. Questi si
distinguono in tendenziali (a legislazione invariata, in base alle leggi vigenti) e programmatici
(a politiche invariate, in base alle norme necessarie per garantire l’attuazione delle politiche
programmate).
La legge 486/78 prevede un bilancio dello Stato di previsione annuale (a legislazione
vigente sia di competenza che di cassa, entro luglio), uno pluriennale (triennale di competenza,
per futura memoria), la legge finanziaria (che fissa il limite massimo del ricorso al mercato e
fabbisogno; contiene i fondi speciali per i provvedimenti legislativi in itinere, rimodulazioni
spese pluriennali, quote spese permanenti e modifiche di entrate e spese. Restando tuttavia il
1
Questi principi sono un’eredità del passato quando il bilancio era di dimensioni ridotte e poteva considerarsi
pessoché certo (con voci di entrata e spesa in somma fissa, indipendenti da andamenti e comportamenti
economici ) e facilmente controllabile (in base ad informazioni precise e frequenti su risorse assegnate, input
acquisiti ed utilizzati, output prodotti e risultati conseguiti). Oggi le quantificazioni delle vari poste si basano
largamente su ipotesi convenzionali e valutazioni degli andamenti economici. Le gestioni fuori bilancio, creano
un circuito finanziario esterno ai bilanci, grazie a società azionazie pubbliche che svolgono funzioni (prima
svolte dalla PA), intervenendo in modo più rapido.
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Prima Versione.
ricorso a provvedimenti di accompagno per sanità previdenza, finanza locale e riforme fiscali,
entro 30 settembre).
La 362/88 ha introdotto: 1) i disegni di legge di accompagnamento della finanziaria (che
contengono nuove disposizioni di spesa ed entrata), 2) la presentazione a giugno di un atto di
indirizzo vincolante il DPEF (documento di programmazione economico finanziaria) che
determina gli aggregati di bilancio (fabbisogno)e gli strumenti per realizzarli.
Già l’art. 81 della Costituzione - “ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve
indicare i mezzi per farvi fronte” - prescrive per il bilancio annuale di previsione il pareggio
del saldo incrementale, in termini di competenza; senza peraltro prevedere sanzioni od
imporre vincoli sull’indebitamento netto effettivo, essendo comunque le previsioni aleatorie.
Con l’UME per consentire una piena autonomia alla Banca Centrale Europea nel perseguire
stabilità dei prezzi, si è imposta una particolare disciplina di bilancio, che vincola i singoli
paesi ad un indebitamento netto della PA inferiore al 3% del PIL in termini di competenza
economica, onde consentire maggiori investimenti e crescita.2
Numerosi fattori influenzano nel tempo la dimensione e la composizione del bilancio
pubblico. La tendenza all’aumento della pressione fiscale e del bilancio pubblico è un
fenomeno moderno evidenziato e teorizzato da diversi studiosi, anche se resta difficile
confrontare correttamente bilanci pubblici che si riferiscono ad epoche differenti.
Innanzitutto, sarebbe opportuno eliminare l’influenza di differenti procedure contabili o
attribuzioni dei compiti tra i vari enti e di semplici variazioni nei prezzi e nel territorio
amministrato. In termini reali è altresì utile eliminare dall’analisi effetti dovuti all’aumento
della popolazione o del reddito nazionale. Quindi, per parlare propriamente di espansione del
settore pubblico, è necessario comparare la crescita del rapporto bilancio/reddito a quello del
reddito pro-capite, per verificare se abbia un andamento più che proporzionale.3 Per spiegare
tale tendenza Pantaleoni e J.M. Clark evidenziavano che lo sviluppo economico aveva portato a
trasformare spese specifiche private (istruzione, trasporti, comunicazioni, ...) in servizi
generali pubblici indipendenti dal consumo individuale. Secondo De Viti al fenomeno
contribuisce il mutamento socio-politico nella natura delle istituzioni, con l’affermarsi del
regime rappresentativo parlamentare e a causa della preponderanza dei ceti meno agiati. Inoltre
egli evidenzia come per ogni gruppo sia vantaggioso mobilitarsi per far approvare spese e
privilegi che lo avvantaggiano e come esso trovi scarsa resistenza essendo il costo poco
oneroso se ripartito sull’intera collettività. Ciò porta a considerare anche le forme
istituzionali dei paesi in esame - e.g. democrazie parlamentari (Italia) o presidenziali (USA) - e
2
A tal fine, il Patto di stabilità e crescita impegna i paesi della UE a rispettare l’obiettivo di medio termine di
un saldo di bilancio vicino al pareggio o positivo. Il Patto stabilisce inoltre: a) i limiti temporali per i vari livelli
d’intervento della Procedura dei disavanzi eccessivi (la Commissione della UE sorveglia l’evoluzione dei conti
pubblici e ne verifica la conformità ai criteri di convergenza, predisponendo una relazione per il Consiglio dei
Ministri economici e finanziari che formula raccomandazioni), b) l’entità e le condizioni di applicazione delle
sanzioni e c) le caratteristiche dei Programmi di stabilità e di convergenza che i paesi della UE presentano. Si
è così andati verso la proposta di Buchanan di definire le regole in materia di finanziamento della spesa
pubblica (imposte, debito, …) per frenare persistenti deficit, imponendo il vincolo di bilancio in pareggio (anche
se tendenziale e senza porre un tetto alle entrate pubbliche).
3
È possibile anche che per i paesi più progrediti (come gli USA) si abbia una tendenza opposta.
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Prima Versione.
connessi sistemi eletorali - e.g. proporzionale, con soglia minima, con premio di maggioranza,
con colleggi uninominali, con ballottaggio, etc. e le influenze sulla determinazione e sul
controllo delle spese.
Vanno anche considerati: (a) l’affermazione di una visione welfarista interessata a
redistribuire il reddito a favore dei meno abbienti (attraverso la sicurezza sociale) oltre che
favorire lo sviluppo economico, (b) aumenti dovuti a spese straordinarie di guerra o
antideflazionistiche che diventano permanenti generando una crescita discontinua, (c) la teoria
dello sviluppo squilibrato di Baumol che evidenzia come le attività pubbliche (a differenza di
quelle private) siano prevalentemente di tipo non progressivo (con una limitata crescita della
produttività), il che comporta, per mantenere invariata la composizione dell’output (in termini
di unità fisiche di beni e servizi pubblici e privati), un aumento della spesa pubblica sul reddito
in termine di valore.
2. L’analisi economica del bilancio.
Nel nostro contesto istituzionale parlamentare legislativo (che comprende rappresentanti
eletti dal popolo) ed esecutivo (formato da presidente del consiglio e ministri, che hanno la
fiducia del legislativo, e dai funzionari della P.A.) interagiscono nella formulazione del
bilancio.4 Al di la del processo di formazione del bilancio (e delle mediazioni col legislativo
ed all’interno dello stesso esecutivo) non sempre tutti gli obiettivi sono efficacemente
conseguibili simultaneamente perché: (a) le risorse disponibili sono limitate, (b) gli strumenti
da utilizzare possono essere insufficienti, (c) gli obiettivi stessi possono essere confliggenti.
Il problema politico consiste nell’individuare le priorità, quello economico nel limitare la
conflittualità individuando opportuni strumenti.
Tradizionalmente, la teoria è solita distinguere tra finanza: i) patrimoniale e tributaria a
seconda che lo Stato derivi il proprio reddito dal suo patrimonio o dal reddito dei cittadini,
prelevato a mezzo dei tributi, ii) ordinaria e straordinaria a seconda che si attinga al flusso
corrente di reddito per finanziare le normali attività pubbliche o si assorba parte del capitale e
risparmio con imposte straordinarie e debito per far fronte a spese straordinarie.
Negli ultimi decenni, col crescere delle operazioni di tesoreria esterne verso enti del
settore pubblico che hanno un conto corrente (attraverso cui passa la quasi totalità dei flussi di
cassa), il bilancio dello Stato ha perso di importanza e significatività.5 In termini praticioperativi è fondamentale distinguere diverse definizioni quali il Settore Statale (nella
Relazione sulla Stima del Fabbisogno di Cassa del Settore Pubblico; comprendente le
amministrazioni centrali: Stato, Organi Costituzionali, Ministeri, Casse Depositi e Prestiti e di
Risparmio Postale ed altri Enti Centrali, CNR, ISTAT, ENEA, CRI, ...), la Pubblica
Amministrazione (di contabilità nazionale con criterio funzionale SEC95 elaborati dall’ISTAT
4
Tale processo è stato discusso tra i primi da Pantaleoni nel 1880, che ha descritto e giustificato la teoria
incrementalista del bilancio pubblico (recentemente riformulata da Wildavsky) basata sulle scelte del passato.
In tale schema, incrementando o decrementando le singole voci per eguagliare, in base alle loro stime, utilità
(e disutilità) marginali di spese pubbliche (e imposte) per la collettività, parlamento e governo, non solo
individuano le dimensioni del settore pubblico, ma possono migliorare il benessere collettivo.
5
La PA ha invece acquistato maggiore rilevanza specie dal 1996 dati i criteri di convergenza e di stabilità
europei e l’unificazione di criteri e gli schemi di contabilità economica SEC95.
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Prima Versione.
come conti economici di cassa, comprendente anche le Amministrazioni Locali: Comuni,
Province, Regioni, USL, Università; gli Enti di Previdenza: INPS, INAIL, IMPDAP, ENPDEP,
...; gli Enti Pubblici: Anas, ex Foreste Demaniali), il Settore Pubblico (Conto Consolidato
elaborato dalla Banca d’Italia inclusivo delle Aziende Municipali, Provinciali e Regionali e
delle ex Autonome; Monopoli, Poste e Telefoni) e Pubblico Allargato (di tipo istituzionale,
contenente anche Ferrovie ed Enel) sulla cui base sono possibili dei conti economici
consolidati come quello del settore pubblico (ex 486/78).
Monopoli, FS, ex
Aziende autonome
Anas, Cassa dep. e
prest. Cassa Mezz.
Incassi
Pagamenti
A. entrate correnti B. spese corr. nette
C. disav. primario
SS
D. spese interessi
E. disav corrent
Stato
F. entrate capitali G. spese capitali
Amm. Centr: Istat CNR
SP
SPA H. disavanzo
PA Amm. Loc: regioni,
I. Rid. att. finanz. L. Acq. att. finanz.
province, comuni,
M. Acq. pass finanz N. Rid. pass finanz
Università, …
O. Saldo tesoreria
Enti prev: Inps, Inail, …
P. fabbisogno
Aziende municip. prov. reg.,
Q’. Accens. prestiti Q”. Rimbors prestiti
Enel
R. ricorso mercato
Facendo as es. riferimento a quest’ultimo, possiamo desumere una serie di saldi: il
disavanzo primario (=B–A, differenza tra spese e entrate correnti al netto degli interessi) e di
parte corrente (=B+D–A, lordo o risparmio pubblico perché mostra il contributo al risparmio
nazionale), in conto capitale (=G–F, differenza tra spese e entrate in conto capitale) e
l’indebitamento netto (=B+D+G-A-F; differenza tra spese e entrate complessive). Sommando
a quest’ultimo il saldo delle operazioni di tesoreria (=L+N-I-M; rimborso crediti e partite
finanziarie) abbiamo il fabbisogno (=H+O, o saldo netto da finanziare) che si finanzia con
titoli pubblici, raccolta postale, debiti verso Bankitalia, istituti di credito ed estero. Questo
consente di collegare la politica di bilancio a quella monetaria e del debito pubblico, oltre ad
essere usualmente disponibile ed aggiornato. Infatti, da un lato tale saldo, calcolato dal lato
della “formazione”, valuta in termini di cassa, partite correnti, in conto capitale e di natura
finanziaria può essere calcolato dal lato della “copertura”, come saldo fra le accensioni e i
rimborsi di prestiti (i.e. il ricorso all’indebitamento nei confronti di altri soggetti, in forma di
titoli, crediti bancari e altri strumenti finanziari). (Il fabbisogno primario è calcolato al netto
delle uscite per interessi passivi.) Sommando infine al fabbisogno il rimborso prestiti
otteniamo l’ultimo saldo: il ricorso al mercato.
3. Andamenti recenti dei flussi finanziari.
I dati analizzati nella sezione sono quelli della relazione 2002 della Banca d’Italia rilevanti
per la Procedura per i disavanzi eccessivi del Trattato di Maastricht che include gli effetti
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Prima Versione.
delle operazioni di swap6 dalla spesa per interessi e fa riferimento al SEC95.
Nel 2001, per la prima volta dal 1993, si è avuta un’inversione nella tendenza a ridurre
l’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, che è invece salito all’1,3% del PIL,
da 0,8% nel 2000 (corrispondente a un avanzo di 0,2% includendo i proventi delle licenze
UMTS). I disavanzi più elevati si registrano in Germania (2,7%), Portogallo (2,7), Francia
(1,5) e Italia (1,4 con il 2,5 previsto per il 2002). Germania e del Portogallo hanno
riaffermato la volontà di evitare che il disavanzo superi la soglia del 3%. Gli altri paesi, ad
eccezione della Grecia (con un disavanzo di 0,4), hanno raggiunto il pareggio o l’avanzo. Dei
tre paesi della UE che non appartengono all’area dell’euro, Danimarca e Svezia anche nel 2001
hanno registrato forti avanzi. L’avanzo del Regno Unito si è ridotto da 1,7 a 0,9.
In Italia, l’indebitamento netto della PA si è ridotto dal 7,1% del reddito nel 1996 a meno
del 3% nel 1997 (valore sufficiente per l’ammissione all’UE), a 1,4 nel 2001 (dall’1,7 del
2000, 0,5 con i proventi da UMTS). Le spese sono scese grazie alla riduzione dell’onere degli
interessi, mentre quelle al netto degli interessi si sono mantenute sul 42%.7
6
Operazione consistente nello scambio di flussi finanziari tra operatori (i.e. flussi di pagamento di interessi
calcolati su un capitale nozionale di riferimento in base a criteri differenziati; ad es. una controparte
corrisponde un flusso a tasso fisso, l’altra a tasso variabile).
7
Il disavanzo è stato ridotto intervenendo sulla cassa ed affidando il controllo della spesa pubblica al Tesoro,
che autorizza il trasferimento dei fondi dalla competenza alla cassa. Gli stanziamenti non si riducono ma le
spese si perché il Tesoro riduce il trasferimento di fondi. Un meccanismo che produce residui passivi, che si
accumulano e che possono, ove trasferiti, divenire un problema in futuro.
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Prima Versione.
Il fabbisogno complessivo delle Amministrazioni pubbliche è salito dal 2,2% del PIL del
2000 al 3,4. La riduzione del disavanzo tra il 1994 e il 2001 riflette sia il calo della spesa per
interessi, dal 13% al 6,3, sia l’aumento dell’avanzo primario. La congiuntura economica ha
avuto un impatto sfavorevole sull’andamento del saldo 2001, stimabile in circa 0,2 punti.
L’avanzo primario è salito da 4,7 a 4,9. Infine, dal 2000 le entrate sono diminuite dal 45,9 al
45,8 la pressione fiscale è scesadi 0,1 punti percentuali, al 42,4%.
Passando alle imposte, dopo il picco registrato nel 1997 (44,5%), la pressione fiscale è
diminuita di 1,6 punti percentuali nel 1998, prevalentemente per il venire meno di alcune
imposte di natura straordinaria.
Nell’ultimo decennio le imposte indirette sono cresciute più rapidamente delle dirette
raggiungendole. Nel 2001 il gettito delle imposte dirette è aumentato del 7,9%; 0,5 punti in
rapporto al PIL al 15,1%. Il gettito Irpef e Irpeg sono cresciuti del 4,7 (le ritenute sui redditi
da lavoro dipendente sono aumentate dell’8,1%) e del 13,5%. Gli incassi relativi all’imposta
sostitutiva sugli interessi e sulle plusvalenze sono invece diminuiti del 17,7%.
La dinamica Irpef è stata contenuta dagli sgravi fiscali disposti con la manovra di bilancio
2001 e sostenuta dall’inserimento dei redditi derivanti da rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa fra quelli da lavoro dipendente. Le ritenute sui redditi da lavoro
autonomo sono diminuite del 17,8%. Il gettito dell’Irpeg ha beneficiato del buon andamento
dei profitti nel 2000. Esso è cresciuto nonostante l’operare del meccanismo della DIT e la
riduzione dell’aliquota legale dal 37 al 36%, che può aver diminuito l’ammontare degli
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Prima Versione.
acconti. Gli incassi relativi all’imposta sostitutiva sugli interessi e sulle plusvalenze hanno
risentito del forte calo registrato dalla componente relativa al risparmio gestito.
Il gettito delle imposte indirette è cresciuto dello 0,9%; sul PIL è diminuito di 0,5 punti, al
14,5%. Gli incassi dell’IRAP sono cresciuti del 13,3%. Al netto della parte destinata alla UE,
il gettito dell’IVA, contenuto dalle misure disposte alla fine del 2000, è aumentato del
2,5%.Le imposte sulla produzione e sui consumi sono diminuite del 2,4%; l’aumento
registrato dall’imposta di fabbricazione sugli oli minerali (2,4%) è stato più che compensato
dalla riduzione del gettito dell’imposta di consumo sul gas metano e sull’energia elettrica,
disposte con la manovra di bilancio per il 2001. Gli incassi dei monopoli di Stato sono
rimasti sostanzialmente invariati; quelli del lotto e delle lotterie sono diminuiti (-13,1%).
Nel decennio i contributi sociali effettivi si sono ridotti di un punto (come quelli
figurativi). Nel 2001 sono aumentati del 4,5%, contro una crescita delle retribuzioni lorde
complessive del 5,1; la loro quota è rimasta invariato al 12,4%. I contributi effettivi pagati dai
datori di lavoro privati (stabili al 5,8% del PIL) sono saliti del 4,0%, a fronte di una crescita
delle retribuzioni del 5,0, stante la riduzione di 0,8 punti percentuali dell’aliquota contributiva.
Quelli a carico delle Amministrazioni pubbliche (stabili al 5,8% del PIL) sono cresciuti del
4,9, contro il 5,3% delle relative retribuzioni. I contributi pagati dai lavoratori dipendenti sono
aumentati del 5,7%; quelli degli autonomi sono cresciuti del 3,4.
Escluso l’onere del debito le spese totali e correnti sono inferiori alla media europea, pur
essendosi ridotto il divario nell’ultimo ventennio.
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Prima Versione.
Le spese delle Amministrazioni pubbliche (47,2% PIL). Se si escludono i proventi da
UMTS (13,8 miliardi nel 2000) e quelli da cartolarizzazioni (6,8 miliardi nel 2001),
contabilizzati in riduzione delle uscite in conto capitale, le spese sono cresciute del 4,8%; dal
47,6 al 47,8. La spesa per interessi si è ridotta; le uscite correnti primarie sono aumentate
come quelle in conto capitale, al netto dei proventi straordinari.8
La flessione degli interessi è modesta, dopo il triennio 97-99 di significative riduzioni.
Nonostante il calo del rapporto tra il debito e il prodotto ha operato l’aumento dell’onere
medio del debito, ritornato al 6,0% del ‘99, dopo aver raggiunto il 5,9 nel 2000.
La dinamica delle prestazioni sociali in denaro è diminuito di 0,1 punti percentuali, al 16,7,
riflettendo l’aumento (4,5 % contro 2,8 del 2000) della spesa per pensioni e rendite (stabile
al 15,1%) e il forte calo delle indennità di fine rapporto dei dipendenti delle Amministrazioni
pubbliche (-24,8 %). Le indennità di disoccupazione e per la CIG sono aumentati (7,1%,
contro -13,6 nel 2000). Le spese per gli assegni familiari sono cresciute dell’1,3%, contro
l’11,5 del 2000.
La dinamica dei redditi da lavoro dipendente esborsi (+0,1 sul PIL; 5,1%, contro il 4,3 del
2000) riflette gli aumenti delle retribuzioni lorde dei dipendenti pubblici (5,3%).
L’occupazione, dopo quasi un decennio di riduzioni sino al 1999, è cresciuta per il secondo
anno consecutivo (0,7% e 0,1 nel 2001), sostenuta dalla dinamica degli occupati negli enti
previdenziali (1,6%), in quelli economici e di ricerca (0,8) e nel comparto sanitario (0,7).
Le altre voci della spesa corrente sono aumentate di 0,1 punti rispetto al 2000, al 10,2%.
Le prestazioni sociali in natura sono cresciute (10,2 % nel 2000 e 9,9 nel 2001), passando dal
8
Oltre alle cartolarizzazioni immobiliari ci sono state vendite dirette per circa 1,5 miliardi (1,0 miliardi nel
2000). Nel dicembre 2001 la Società per la Cartolarizzazione degli Immobili Pubblici ha versato allo Stato 2,0
miliardi di euro. L’importo incluso nell’indebitamento netto del 2001, pari a 3,8 miliardi, si riferisce invece
all’intero valore di tali immobili.
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
11
Prima Versione.
2,1% del PIL nel 1999 al 2,3 nello scorso anno, per l’espansione della spesa farmaceutica
(32,8% passando da 8,7miliardi di euro nel 2000 a 11,6 dato l’ampliamento delle prestazioni
garantite dal Servizio sanitario nazionale e all’abolizione dei ticket, disposti con la manovra di
bilancio per il 200); le altre prestazioni sono diminuite dell’1,8%. I consumi intermedi hanno
registrato un tasso di crescita contenuto (4,1%, contro il 7,9 del 2000), rimanendo stabili al
5,1%.
La spesa sanitaria è cresciuta complessivamente del 15,9%. Nell’agosto del 2001
l’accordo Stato-Regioni ha previsto l’incremento del concorso dello Stato al finanziamento
del Servizio sanitario nazionale, trasferimenti per il ripiano dei disavanzi degli anni precedenti
ed un rapporto tra il finanziamento del SSN / PIL al 6%, cifra poi superata.
Le spese in conto capitale (al netto dei proventi UMTS e cartolarizzazione) sono aumentate
del 13 % rispetto al 2000 (19,2 i trasferimenti in conto capitale alle imprese e 12 gli
investimenti diretti; sul PIL aumentati rispettivamente dall’1,1 all’1,3 e dal 2,5 al 2,7). Le altre
uscite in conto capitale sono rimaste stabili in rapporto al PIL, sullo 0,2.
Il rapporto tra debito delle PA e PIL è risultato pari al 109,4%, con un calo di 1,1 punti, la
variazione bassa dal 1996 (inferiore di 2,9 punti a quella registrata nel 2000). Gran parte del
divario è attribuibile all’effetto netto dei flussi finanziari che concorrono a determinare la
variazione del debito ma non l’indebitamento netto. Nel 2001 essi hanno accresciuto il debito
di 2,1 punti percentuali del prodotto. Si tratta, in particolare, dei proventi delle dismissioni
mobiliari, delle uscite per regolazioni debitorie e delle variazioni delle disponibilità liquide
presso la Banca d’Italia (1,1 punti). Ha influito, per 0,7 punti, l’ampliarsi del differenziale tra
l’onere medio del debito e la crescita nominale del PIL (dallo 0,9% all’1,6).
4. La valutazione della pressione tributaria e dell’attività finanziaria.
Concettualmente si è cercato di misurare il sacrificio complessivo imposto alla collettività
facendo ricorso al concetto di pressione tributaria. L’indice più elementare del sacrificio è il
rapporto tra imposte coattive e reddito nazionale P = I/R. Esso misura un aspetto
fondamentale della collettivizzazione, ossia la sostituzione forzosa delle scelte libere o di
mercato con quelle pubbliche che possono essere più o meno gradite. Per meglio evidenziare
il sacrificio, tenendo conto del diverso grado di svi luppo, si può considerare P* = I/(R-V)
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
12
Prima Versione.
ponendo a denominatore il reddito al netto della sussistenza (necessaria il mantenimento della
collettività). Può essere infine utile sottrarre al numeratore il valore dei servizi pubblici
finanziati dalle imposte P° = (I-S)/(R-V) considerando esplicitamente i benefici dell’attività
finanziaria. In un’ulteriore approssimazione sarebbe utile distinguere le partite correnti da
quelle in conto capitale suddividendo opportunamente anche i flussi di reddito.
Tuttavia tali misure restano comunque insoddisfacenti non partendo dalle utilità individuali
o di gruppi omogenei. Inoltre, non è detto che l’indice assuma un valore necessariamente
negativo dato che l’intervento pubblico potrebbe aumentare i benefici netti. Gran parte dei
lavori che affrontano la problematica, relativa al livello della pressione fiscale, alla struttura
impositiva ed alla loro evoluzione ed adeguatezza rispetto agli standard europei, considerano i
valori medi, delle grandezze fiscali in quota sul reddito nei paesi CEE, OCSE o nei 7 (o 9)
paesi più industrializzati. Questi indici sintetici indubbiamente forniscono alcuni elementi di
valutazione. Tuttavia, operando in modo meccanico si rischia di ottenere aggregati eterogenei
e privi di grande significatività. Per esprimere giudizi sulla congruità del prelievo complessivo
e sulle sue modalità è utile confrontare i dati italiani con validi standard di riferimento.
È perciò necessario confrontare correttamente le grandezze fiscali italiane con quelle degli
altri paesi europei a noi più simili senza trascurare le implicazioni della teoria che riconduce,
quantomeno in prima approssimazione, le molteplici e complesse determinanti
dell’evoluzione dei sistemi tributari al grado di sviluppo socio-economico. Per limitare al
massimo l’arbitrarietà dovremmo considerare i dati di paesi con livelli di reddito pro-capite
simili, ed aggregarli per costruire uno standard di riferimento almeno potenzialmente
significativo. Ben difficilmente ha senso aggregare insieme dati relativi a paesi così differenti
come Grecia e Lussemburgo (pur se appartenenti alla CEE), o come Turchia e Svizzera (pur se
membri dell’OCSE). Prevedendo una sufficientemente omogeneità di culture e redditi pro
capite (a parità di potere d’acquisto) i paesi da considerare potrebbero essere: Austria, Belgio,
Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Germania, Olanda, Svezia e Norvegia. Rispetto a tale
standard (E9), la quota delle entrate correnti della PA italiana sono di norma nettamente
inferiori negli anni 80 e 90.
43
40
37
34
31
28
25
22
E
E9
I
US
J
77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99
Nonostante la rapida crescita delle entrate italiane, differentemente da quanto normalmente
ritenuto, tale quota è rimasta inferiore al livello dell’Europa dei 15 (E) fino al 1991 e resta in
media inferiore allo standard dei paesi europei più simili E9, come si vede dalla figura
precedente. Il discorso vale a maggior ragione per la quota delle imposte sul reddito, che si
13
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
attestavano nel ‘99 sul 30% un valore prossimo alla media europea E e inferiore allo standard
E9 di circa 2 punti.
32
29
26
E
23
E9
I
US
J
20
17
14
65
70
75
80
85
90
95
96
97
98
99
Le spese invece prima inferiori a quelle EU sono superiori allo standard dal 1986, a causa
dell’elevato onere del debito, per tale motivo si tende ad esaminare le spese primarie.
Utili strumenti di valutazione dell’attività finanziaria, di frequente utilizzo anche a livello
istituzionale, sono: l’analisi di casi rappresentativi, la contabilità generazionale (o
“generational accounting” di Auerbach, Gokhale e Kotlikoff) e la microsimulazione
(sviluppatasi col contributo di Guy Orcutt).
L’ormai consueta analisi dei casi rappresentativi esamina le variazioni del reddito
disponibile generate dalla politica di bilancio su date tipologie familiari relativamente diffuse:
per es. una coppia sposata con un figlio, una coppia sposata monoreddito con due figli, un
pensionato, e così via. Presenta il vantaggio della semplicità di calcolo, ma è parziale perché
non può confrontarsi con la complessità dei casi reali, dei comportamenti economici, o
considerare la redistribuzione complessiva all’interno della stessa generazione o fra
generazioni differenti.
L’attenta considerazione degli equilibri fra generazioni appare particolarmente utile in
Italia, poiché con l’aumento del rapporto fra classi d’età anziane ed in età lavorativa si
determinano tensioni nel sistema dei conti pubblici. All’aumento di trasferimenti e sussidi per
gli anziani, si contrappone una diminuzione delle entrate, provenienti dai giovani attivi, se le
scelte politiche rimangono favorevoli agli anziani, una delle classi votanti più numerose. La
contabilità generazionale risponde all’esigenza specifica di valutare la sostenibilità delle
politiche di bilancio, evidenziando i costi per le nuove generazioni se le scelte presenti
permanessero nel futuro. Essa trasforma i valori aggregati del bilancio pubblico in una serie di
conti individuali, che misurano per ogni generazione il futuro carico fiscale (in termini di
valore attuale delle imposte nette). Il conto generazionale misura quindi l’ammontare delle
imposte (al netto dei benefici ricevuti sotto forma di beni e servi zi pubblici), che un agente
rappresentativo di una data generazione dovrà pagare nel corso della sua vita residua, data la
vigente politica fiscale. Considerando l’intera popolazione nazionale, distinta per sesso, esso
valuta le conseguenze future delle attuali politiche di bilancio e dell’evoluzione demografica,
verificando gli effetti redistributivi in termini di equità intertemporale tra le diverse
generazioni.
In pratica, il bilancio pubblico viene suddiviso in aggregati di bilancio (che rappresentano
una imposta od un beneficio) poi scomposti in base ai profili relativi per età e sesso, tenendo
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
14
Prima Versione.
conto della numerosità della popolazione. Dai profili assoluti si calcola il valore attuale delle
imposte nette future degli individui (riferite all’anno corrente); la somma di tutte le imposte
nette degli individui a partire dall’anno corrente (o dall’anno di nascita, per le generazioni nate
successivamente).
Lo squilibrio intergenerazionale della politica di bilancio si misura confrontando il conto
generazionale di un neonato, basato sui profili correnti, con quelli ipotetici di chi nasce l’anno
successivo; imponendo a tutte le generazioni future il rispetto del vincolo intertemporale del
bilancio pubblico ed ipotizzando una pressione complessiva eguale e differenze tra i sessi,
costanti. Ove il carico fiscale sostenuto dalle generazioni future è relativamente molto più
alto, le politiche correnti non sono ne eque ne probabilmente incentivo -compatibili. Il che
significa che non danno alle generazioni più giovani e future un incentivo sufficiente per
mantenere la politica fiscale vigente.
Differentemente da paesi più avanzati [quali gli USA; vedi Auerbach Kolikoff (1987) e
(1991)], tale strumento non ha trovato in Italia applicazione a livello istituzionale,
probabilmente anche a causa della sua specificità [per applicazioni al caso italiano Franco
Gokhale Guiso Kotlikoff Sartor (1994), Sartor (1997)]. Tale procedura si richiama all’analisi
della politica fiscale dinamica e dell’indice di disuguaglianza intergenerazionale. In
particolare, per confrontare le generazione future e presenti assume la costanza dei profili
relativi, la soddisfazione del vincolo intertemporale del bilancio, un’eguale pressione
complessiva e la costanza delle discriminazioni tra gruppi dive rsi per le generazioni future. In
sostanza, l’analisi si basa sui costi residuali che le future generazioni devono sostenere
(mantenendo costanti i rapporti tra i conti tra i diversi gruppi appartenenti ad ogni singola
generazione, implicando una disuguaglianza intragenerazionale costante) senza stabilire se si
modificheranno le imposte o i benefici. Non è poi possibile considerare esplicitamente come
i comportamenti mutino al modificarsi di regole fiscali e contributive né come i disavanzi
correnti (e.g. del sistema pensionistico) non possano essere rinviati e posti a carico
generazioni future. Infine, tale analisi non effettua confronti utilitaristici né ha implicazioni
normative.
La microsimulazione è più flessibile ed ha un più vasto ambito di applicazione. Essa simula
con maggiore precisione i possibili scenari futuri che si presentano date particolari ipotesi,
utilizzando microdati provenienti da indagini che forniscono informazioni su redditi, consumi
e caratteristiche socio-demografiche di un campione (quali il bilancio delle famiglie della
Banca d’Italia BI del 1995 o del 1998) e può considerare risposte comportamentali
individuali.9 Il suo presupposto è che i comportamenti dell’intera popolazione si possono
dedurre, con elevata precisione, da un campione rappresentativo. In questo modo è anche
possibile realizzare analisi dettagliate esaminando quali tipologie familiari sono avvantaggiate
(o svantaggiate) da una politica economica e scomporre i risultati per regione, occupazione
del capofamiglia, etc.
9
Il database iniziale è composto da migliaia di famiglie e riporta una serie di dati di ogni persona sia individuali
(indicando ad esempio un numero univoco di identificazione, proprio di ciascun soggetto e caratteristiche
socio-demografiche ed economiche come l’età, il sesso, l’occupazione e il reddito) che relazionali (la posizione
del soggetto all’interno della famiglia: 1° componente, 2° componente e così via).
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
15
Prima Versione.
Nella microsimulazione statica la composizione del campione rimane praticamente
immutata nel corso della simulazione. Il numero di unità presenti nel campione e le relative
caratteristiche rimangono, dunque, sostanzialmente invariate. Le procedure di aggiornamento
dei dati originari si basano infatti sulla tecnica static ageing che consiste esclusivamente nella
riponderazione dei dati campionari, in base ai nuovi pesi. In pratica, nuovi pesi sono attribuiti
alle unità iniziali in modo che, ciascuna microunità del campione rappresenta una quota della
popolazione diversa da quella iniziale, senza che la struttura del campione sia stata modificata.
Tale analisi risulta quindi più precisa quando si considerano interventi di policy relativamente
vicino nel tempo al periodo nel quale è stata condotta l’analisi campionaria. Nel breve periodo,
è infatti possibile assumere che le caratteristiche socio-demografiche della popolazione non
abbiano subito variazioni apprezzabili. Concretamente, al momento il campione BI del 1998,
una volta utilmente predisposto, può servire ad analizzare gli effetti delle riforme fiscali del
2002 e del 2003. L’analisi non è perciò particolarmente adatta per considerare gli effetti
dinamici di riforme (come ad esempio quella pensionistica) che hanno lunghi percorsi di
transizione, né le implicazioni od i riflessi di dati meccanismi od automatismi economici o
fiscali nel lungo periodo.
Nella microsimulazione dinamica invece il campione viene fatto evolvere secondo le
probabilità di nascita, morte, matrimonio della popolazione, rendendo possibile valutare, gli
effetti redistributivi delle politiche di spesa e di prelievo con maggior precisione rispetto alla
data di realizzazione. In questo modo è anche possibile fare analisi dettagliate esaminando
quali tipologie familiari sono avvantaggiate (o svantaggiate) dalla riforma e scomponendo i
risultati per regione, occupazione del capofamiglia, etc. L’attendibilità dei risultati è
generalmente buona ma difficilmente valutabile con precisione, dipendendo da numerosi
fattori, quali il grado di rappresentatività del campione, la precisione dei dati, le ipotesi
utilizzate, le carenze informative, etc.
All’Istituto di Studi per la Programmazione Economica (I.S.P.E.), dal 1988 un modello
statico Itaxmod forniva informazioni sull’impatto della legge Finanziaria, simili modelli
esistono anche all’Istat, e così via. In particolare, a fini fiscali, sarebbe molto utile partire da
un campione casuale delle dichiarazioni dei redditi evitando così rispetto ai dati della Banca
d’Italia, incertezze sull’attendibilità delle risposte fornite sul reddito dichiarato al fisco.
I modelli dinamici, invece notevolmente più complessi, sono ancora solo agli inizi in Italia,
in notevole ritardo (venti anni) rispetto a Germania o Stati Uniti che li utilizzano dagli anni
settanta.
Un utile strumento applicato dell’economia del benessere per valutare singole spese
pubbliche alternative è l’analisi costi-benefici, una metodologia che approfondiremo in
seguito cui vale la pena accennare. Essa è uno strumento che consente di calcolare il beneficio
sociale netto di una modifica nell’allocazione delle risorse. Si tratta di: (1) identificare costi e
benefici sociali attesi (compresi quelli esterni non monetari, che modificano le possibilità
produttive e di consumo), (2) valutarli in termini monetari Ct e Bt (stimando i prezzi di
mercato o i prezzi ombra che esprimono i benefici e i costi sociali quando i primi non
esistono o non sono soddisfacenti; esistono problemi specifici nel valutare la vita, i beni
intangibili e gli effetti redistributivi), (3) misurarne la differenza in termini di valore monetario
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Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
attuale VA = (B1-C1)/(1+r) + (B2-C2)/(1+r)2 + … + (Bn - Cn)/(1+r)n = Σ t (Bt - Ct)/(1+r)t
(attualizzando i valori futuri con un opportuno tasso di sconto r), possibilmente considerando
che si riferiscono a soggetti con diverse classi di reddito, e (4) realizzare l’alternativa più
efficiente (ovvero le spese aventi un maggior beneficio netto o rendimento sociale). I progetti
sono ammissibili se hanno un valore attuale positivo, tuttavia essendo le risorse limitate vanno
ordinati secondo la preferibilità considerato il costo opportunità ovvero i benefici che la
collettività avrebbe avuto dalle spese alternative. Va tuttavia considerato come gli effetti
monetari pur non essendo reali hanno senza dubbio conseguenze redistributive.
È possibile partire dall’esempio di come modificare lo sfruttamento di una risorsa naturale
non esauribile, prodotta a costi nulli, per illustrare il problema del calcolo costi-benefici ed
introdurre alcuni semplici elementi di analisi economica, che torneranno utili nel seguito.
Supponiamo l’esistenza di una domanda aggregata di mercato lineare e decrescente per il
bene in questione, che possiamo scrivere come P = a - b Q. Essa mostra le quantità
domandate dai consumatori in corrispondenza ad ogni livello del prezzo Q = (P-a)/b. Partendo
da tali relazioni, è facile ricavare il valore massimo del prezzo PM = a (per Q=0) e della
quantità venduta QM = a/b (per P=0). Inoltre, un aumento della quantità venduta dQ = QB - QA
[dQ = QC-QB] riduce il prezzo dP = PB-P A = -b(QB-QA) [dP = -b(QC-QB)]. In particolare, -b
indica di quanto varia il prezzo al variare della quantità dP/dQ = -b.
Con un’unica impresa, avremo un live llo differente del ricavo totale R = P Q = (a - b Q) Q
= P (P-a)/b (pari al prodotto tra quantità e prezzo) al variare della quantità venduta (o del
prezzo di vendita). In particolare, nel grafico di destra il ricavo in corrispondenza a QA è pari
all’area 0QAAP A, o all’area 0QBAP B e 0QCAP C, rispettivamente in corrispondenza a QB e QC.
Riportando i diversi livelli in funzione delle quantità otteniamo il grafico a destra, che mostra
come il ricavo inizialmente cresce e poi decresce al crescere della quantità prodotta.
P
PM = a
PA
PB
Fig. 1
P=a-bQ funzione di domanda
A
}dP
B
RB
RA
R Rmg > 0
εD > 1
Fig. 2
Rmg < 0
B
εD < 1
R = aQ - b Q2
A
P-Rmg =-bQ
C
RC
C
PC
dQ
0
Q
QA QB
QC QM=a/b
Rmg=a-2bQ ricavi marginali
Q
0
QA
QB
QC
QM
L’incremento del ricavo totale generato dalla vendita di una unità addizionale, è il ricavo
marginale Rmg. Esso da positivo (quando i ricavi crescono) diviene negativo (quando i ricavi
decrescono). Il valore del ricavo marginale non supera mai il prezzo, inizialmente è pari a P M
in corrispondenza alla prima unità venduta, ma poi diminuisce perché via via ogni unità
addizionale venduta fa ridurre in misura pari a b il livello del prezzo di vendita delle Q unità
(già vendute in precedenza). Lo scarto tra prezzo e ricavo marginale è quindi P-Rmg = bQ = a –
2bQ. Il ricavo marginale Rmg = P - bQ è associato all’inclinazione del ricavo totale, indicando
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Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
di quanto varia il ricavo al variare unitario della quantità (Rmg = dR/dQ). Quando la quantità
venduta è ridotta, il suo valore positivo, indica la possibilità di aumentare i ricavi aumentando
le vendite. Il suo valore negativo, in corrispondenza a quantità vendute elevate, mostra come i
ricavi aumentino se si riducono le vendite.
Analogo il discorso in termini di elasticità della domanda rispetto al prezzo ε D = (dQ/Q)/(dP/P) = -(dQ/dP)/(Q/P) = 1/(bQ/P), che indica quanto varia percentualmente il
prezzo al variare percentuale della quantità del bene. Infatti, essendo lo scarto tra prezzo e
ricavo marginale pari all’inverso dell’elasticità in valore assoluto (P-Rmg)/P = 1/ε D, il valore
assoluto dell’elasticità sarà maggiore (minore) dell’unità per valori positivi (negativi) del
ricavo marginale. Ovvero, in corrispondenza a quantità ridotte, la domanda è elastica ε D > 1 ed
è quindi possibile aumentare i ricavi riducendo i prezzi. Tuttavia, in corrispondenza a quantità
elevate, la domanda è rigida ε D < 1 ed i ricavi aumentano solo se il prezzo aumenta. Il ricavo
totale è massimo quando il ricavo marginale è nullo. Questo avviene per un valore di Q pari a
a/2b ovvero alla metà di QM. Il ricavo marginale Rmg, nel grafico a sinistra, è quindi una retta
che parte dal prezzo massimo ed interseca l’asse delle x a metà del segmento 0QM (in fig. 1).
Fig. 1’
H
R°
R
A
Fig. 2’
A
P°
Dom
Rmg
Q
Q
0
Q°
Q*
0
Q°
Q*
Ciò detto ipotizziamo di essere in un regime di monopolio privato non regolamentato.
L’impresa vende ogni periodo al prezzo P° una quantità Q° con un profitto Π° = R° - C° pari ai
ricavi meno i costi (in questo caso nulli) dato dall’area 0Q°AP° (Π° = R° = P° Q°, prezzo per
quantità). Nel grafico a destra, che riporta il livello dei ricavi R = P Q in funzione alla
quantità prodotta, i ricavi sono pari ad 0R°. Questo è il livello massimo, al quale il ricavo
marginale Rmg (la tangente ai ricavi, il cui valore è riportato nel grafico a sinistra) è pari al
costo marginale Cmg (in questo caso pari a zero come il costo medio CM e totale C). Il
monopolista rende massimo il profitto, quando il ricavo marginale dell’ultima unità è pari a
zero (il costo marginale Cmg). Infatti, non è logico vendere più di Q° (né di meno) riducendo i
profitti. Invece fornendo gratuitamente la quantità Q*, si eguaglia il prezzo al costo marginale
P = Cmg = 0 (come in concorrenza). Ciò è possibile, senza incorrere in un deficit, essendo i
ricavi pari ai costi e quindi a zero.
Vediamo di analizzare costi e benefici del precedente mutamento di regime. In
corrispondenza a Q* l’area del triangolo 0HQ* (al di sotto della curva di domanda) misura
approssimativamente la propensione a pagare dei consumatori. Analogamente, in monopolio,
la propensione a pagare dei consumatori era 0Q°AH, sicché BN = AQ°Q* è il beneficio netto
ottenuto con l’intervento pubblico. Si tenga presente come 0Q°AP°, la rendita persa dal
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
18
Prima Versione.
monopolista (i ricavi estratti dai consumatori), pur configurando un trasferimento, possa
essere considerato, quantomeno in prima istanza, un effetto pecuniario.
Estendendo il ragionamento per tutto il futuro, il valore attuale dei benefici netti ottenuti
sarà la somma di tutti i benefici netti scontati nel tempo VA = Σ t BN/(1+r)t = BN/r. Infatti,
sottraendo a VA il valore VA(1+r) = Σ t BN/(1+r)t-1 = BN + Σ t BN/(1+r)t otteniamo r VA =
BN. Se attribuiamo un valore maggiore al benessere dei consumatori (pari a Ω > 0) rispetto al
benessere del monopolista privato, il trasferimento della rendita dal monopolista ai
consumatori costituirebbe un beneficio pari a Ω volte il valore attuale del flusso dei profitti
Ω Π°/r > 0.
Quando i prezzi di mercato non sono disponibili o significativi si ricorre a “prezzi ombra”,
attribuendo dei valori a vantaggi e danni non commensurabili, valutando le “potenziali”
propensioni a pagare. Il tasso di sconto di riferimento da utilizzare può essere alternativamente
il rendimento marginale del capitale (comparando il rendimento con gli investimenti privati,
senza tuttavia considerare esternalità e differenziali di rischio), il tasso di interesse sul debito
pubblico (il costo effettivo del finanziamento), il tasso marginale sociale della preferenza
temporale (che induce a sostituire consumo presente e futuro). Un criterio alternativo
consiste nel confrontare i tassi di rendimento interni i r dalle spese alternative. Per definizione
essi azzerano il valore attuale della differenza tra costi e benefici Σ t (Bt - Ct)/(1 + ir)t = 0. Il
progetto migliore ha il rendimento più elevato e verrà scelto sempre che sia ammissibile,
ovvero abbia un rendimento interno maggiore del tasso di sconto di riferimento r.
È infine possibile classificare in base al rapporto tra i valori attuali, considerando solo
valori maggiori dell’unità Σ t Bt/(1 + i r)t / Σ t Ct/(1 + i r)t > 1.
5. Scelte pubbliche intertemporali ed analisi costi benefici.
Nel seguito esamineremo in modo più approfondito, le tecniche dell’analisi costi benefici,
che applica i principi dell’economia del benessere e del second best a progetti di investimento
pubblici (e.g. la realizzazione di infrastrutture), partendo dall’ipotesi che le scelte pubbliche
mirino alla massimizzazione del benessere, stabilendo in tal modo utili tecniche e standard di
riferimento. Esse da utile strumento di conoscenza e decisione non devono trasformarsi in
modi per giustificare l’espansione o l’esistenza di uffici interessati meramente al supporto di
scelte di burocrati e/o politici.
5.a. Investimenti, crescita e benessere
La valutazione di un progetto passa in generale attraverso diverse fasi: identificazione della
vita economica del progetto, dei costi e benefici, valutazione in relazione agli obiettivi della
politica di bilancio. Il primo problema consiste nel delimitarne gli effetti. Usualmente si
distinguono quelli primari, direttamente legati al progetto, i.e. gli “effetti da output” da
includere nel computo e indiretti, derivanti da fenomeni moltiplicativi (da considerare se
vengono mobilitate risorse inutilizzate e non precludono lo sviluppo di altre attività), dovuti a
redistribuzione, esternalità, etc. Il problema si pone sia a livello locale che nazionale, nel
breve come nel lungo periodo. Nel breve, il moltiplicatore regionale data q, la quota marginale
di benefici netti diretti spesi nella stessa regione, i benefici totali inclusi quelli indiretti sono
BT = BD + BI = BD (1 + q + q2 + q3+ ...) = BD/(1-q).
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
19
Prima Versione.
Il moltiplicatore degli investimento pubblici è quindi m = 1/(1-q). Il moltiplicatore si può
stimare anche col metodo della base delle esportazioni, i.e. suddividendo il reddito totale YT
in base YB=X-M (export meno import) e non base YN = C+I+G (consumi investimenti e spesa
pubblica) ed ipotizzando quote b+n=1 costanti: m = 1/(1-n) = 1/b = YT /YB. In assenza di dati
sul reddito è possibile basarsi sulla ripartizione dell’occupazione m = NT /NB.
Resta tuttavia dubbia la validità degli effetti moltiplicativi sull’attività economica regionale
vista l’interconnessione dei sistemi economici; anche rilevanti investimenti possono essere
accompagnati da modesti e deludenti effetti moltiplicativi. È quindi problematico individuare
progetti in grado di stimolare e diffondere attività produttive in una data area nel breve
periodo.
Da un punto di vista complessivo di un sistema economico il problema dell’investimento
pubblico può essere esaminato in base alle conclusioni cui giunge la teoria della crescita;
basate sui modelli di Harrod, di Solow e più recentemente di crescita endogena. E’ chiaro
come il risparmio (rinuncia al consumo presente) quando si traduce in investimento
incrementa il capitale e quindi le possibilità di consumo futuro.
Nella versione più semplice del modello Harrod-Domar la crescita è il risultato del
risparmio e del conseguente investimento (di norma in capitale fisico) non influenzato
dall’incremento della forza lavoro.
In pratica, il reddito si compone di beni di consumo Ct e beni capitale Kt. L’aumento della
proporzione di questi ultimi in quota sul reddito (saggio di risparmio s = St/Yt) si traduce in un
aumento dell’output se il rapporto capitale reddito θ = Kt/Yt non si riduce. In pratica,
dall’equilibrio macro tra risparmio ed investimento Yt = Ct + St = Ct + It, - supponendo un
saggio di risparmio s ed un rapporto capitale reddito θ costanti e dato il coefficiente δ di
deprezzamento [con una crescita - otteniamo [dall’evoluzione dello stock di capitale Kt+1 =
(1-δ)Kt + It ] la seguente equazione It /Kt = Kt+1 /Kt - (1-δ) ovvero: s/θ = g + δ. Ciò implica
che in equilibrio un aumento del saggio risparmio-investimento s influenza positivamente la
crescita g = Yt+1 /Yt –1.
Naturalmente, il modello può essere modificato ragionando in termini di reddito per unità
di lavoro y = Y/L, introducendo l’input di lavoro Lt = Nt Tt e considerando saggi di crescita
costanti della popolazione lavorativa n = Nt+1 /Nt –1 e del progresso tecnico in termine di
efficienza del lavoro τ = Tt+1 /Tt -1 ottenendo s/θ = (1+g°)(1+n) (1+τ) – (1-δ) ≈ g° + n + τ +
δ, dove g° indica il saggio di crescita del reddito per unità di lavoro y = Y/L. Ne consegue che
la crescita della popolazione riduce la crescita del reddito pro capite gN = g°+τ dato che il
ruolo del fattore lavoro è bloccato dalla costanza del rapporto capitale reddito θ; un’ipotesi
non sempre vicina alla realtà.
Nel modello Solow, ipotizzando una funzione di produzione y = f(k) con rendimenti
decrescenti rispetto al capitale per unità di lavoro k = K/L, i due fattori produttivi devono
crescere allo stesso saggio nell’equilibrio di lungo periodo. Quindi l’aumento del saggio di
risparmio non influenza più permanentemente il saggio di crescita, ma può solo aumentare una
tantum il rapporto capitale-output. Infatti, col precedente procedimento otteniamo: k/y = s /
[(1+n) (1+τ) – (1-δ)] ≈ s / (n + τ + δ), e di conseguenza il livello del reddito pro-capite.
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20
Prima Versione.
Chiaramente, l’output è più elevato in ogni periodo a seguito della crescita del risparmio
(aumentando il rapporto capitale-output pro capite di lungo periodo), ma il saggio di crescita g
rimane comunque pari alla crescita di input lavoro nel lungo periodo e quello del reddito pro
capite gN pari a τ. Vi è quindi solo un effetto di “livello” e non di “crescita”. La maggior
crescita iniziale viene meno data la riduzione nei rendimenti del capitale per unità di lavoro
(invece costanti nel modello Harrod-Domar). Ciò implica la tesi della convergenza del
capitale per unità di lavoro k ove i parametri s, n, τ, δ non differiscano nei diversi paesi o
quantomeno dei tassi di crescita; conclusioni tuttavia rigettate dall’evidenza empirica. Inoltre,
anche se il rapporto capitale reddito è endogeno, propensione al risparmio e saggi di crescita
del lavoro e del progresso tecnico sono ancora esogeni.
I modelli di crescita endogena sviluppano l’analisi della crescita per dare risposta a tali
questioni teoriche ed empiriche. Viene così esaminato esplicitamente il ruolo del capitale
umano nel sistema economico. L’istruzione (privata e pubblica) genera da un lato una
maggiore produttività del lavoro (portando alla specializzazione di parte di tale input) e
dall’altro influenza il progresso tecnologico, consumando risorse ma producendo nuove
conoscenze, innovazioni e generando esternalità positive (complementarietà) tra le varie
imprese ed industrie. In pratica, l’accumulazione di capitale umano (e pubblico) migliorando i
processi produttivi (propri ed altrui), può contrastare efficacemente la presenza di rendimenti
decrescenti del capitale. Ciò crea inoltre la possibilità di equilibri e percorsi di crescita
multipli a seconda di aspettative e comportamenti, creando così nuovo scopo per l’intervento
pubblico. In particolare, esso può evitare che si segua un percorso con risparmi ed
investimenti inferiori ai livelli ottimali.
I progetti pubblici di investimento e le scelte pubbliche intertemporali implicano quindi la
valutazione di diversi sentieri di crescita caratterizzati nella fase iniziale da minor (maggior)
consumo ovvero maggiore (minore) accumulazione, e successivamente maggiori (minori)
possibilità di consumo.
La valutazione di costi e benefici non è quella privata ma sociale, i.e. tiene conto degli
effetti esterni reali (o tecnologici) che alterano funzioni di produzione o di utilità, i.e. non
meramente pecuniari (mutamento di prezzi, salari, profitti). Oltre agli effetti diretti (o
primari) e tangibili (concretizzantisi di norma in variazioni degli output misurabili dal
mercato) vanno valutati quelli indiretti (secondari) ed intangibili (che necessitano prezzi
ombra come i miglioramenti nello stile di vita, l’impatto sull’ambiente …).
Non essendo di norma risolutivo il confronto tra input ed output associati ai diversi progetti
(e quindi scegliere quello che realizza l’output maggiore, utilizzando l’input minore) è
necessario usare dei prezzi per valutare costi e benefici in termini monetari. L’utilizzo dei
prezzi di mercato si basa, come vedremo, sul fatto che in presenza di mercati concorrenziali
essi rispecchiano la disponibilità a pagare per un’unità addizionale del bene. Quando questo
non si verifica (e.g. nel caso di esternalità e beni pubblici) è necessario stimare tale
disponibilità calcolando un prezzo ombra (vedi appendice).
Infine, di norma costi e benefici si realizzano in tempi differenti. Siamo così giunti al
problema di trovare regole e criteri per valutare flussi di reddito diversi nel tempo,
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21
Prima Versione.
comparare i progetti tra loro per decidere quali attuare. Nel caso di un progetto privato: costi e
benefici si riducono al flusso di cassa scontato, incassi e pagamenti (ad es. dei fattori, tasse),
esclusi quindi poste contabili (ammortamenti)e costi finanziari (già considerati con lo
sconto). Nel valutare un progetto pubblico invece esistono, come in parte visto, notevoli
margini di discrezionalità essendo i costi (dati dalla rinunzia della collettività a dati beni e
servizi) ed i benefici (l’utilità che la collettività deriva dai nuovi beni e servizi) da definire e
valutare in relazione alle finalità pubbliche. Ad esempio, l’utilizzo del fattore produttivo
lavoro non rappresenta necessariamente un costo ma può essere annoverato tra i benefici
rispondendo a finalità “occupazionali”.
Tuttavia, nonostante le differenze appena discusse in relazione alla individuazione e
valutazione di costi e benefici, i criteri complessivi di valutazione di opportunità e merito
relativo sono sostanzialmente simili. È chiaro come il risparmio (rinuncia al consumo
presente) quando si traduce in investimento incrementa il capitale e quindi le possibilità di
consumo futuro.
Le variazioni del consumo futuro vanno scontate per un fattore pari a (1+r*)-t nel periodo
t, ma questo è esattamente il principio alla base del valore attuale netto, se in ogni periodo i
benefici al netto dei costi NBt si traducono in consumi addizionali: dW = Σ t (1+r*)-t dCt .
Ipotizzando un consumatore tipo U = U(C0, C1, C2, ...Cn) (per evitare problemi
redistributivi), avremo dU = U0 dC0, + U1 dC1 +... + Un dCn. Dalla teoria del consumatore λ =
U0/p0 = U1/p1 = ...= Un/pn è l’utilità marginale del reddito nella condizione di ottimo.
Dividendo quindi la variazione dell’utilità per l’utilità marginale del reddito potremo ottenere
una misura monetaria della variazione del benessere:
dW = dU/λ = p0 dC0 + p1 dC1 + ... + pn dCn
Ipotizzando un impatto marginale del progetto, e quindi la costanza dell’utilità marginale
del reddito λ, e prezzi al consumo dati - in questo caso di scelta intertemporale pari al tasso di
sconto di mercato pt = (1+r*)-t (con r* costante nel tempo) - avremo: dW = Σ t (1+r*)-t dCt
Sulla base di questo principio sembra corretto valutare i benefici del progetto in base al
valore attuale netto NPV, un numero assoluto, dato dalla somma scontata dei benefici netti
dei costi.
NPV = Σ t NBt (1+r*)-t ≥ 0
Quando tale valore è positivo il benessere della collettività migliora (dato che è possibile
aumentare il valore scontato dei consumi). Inoltre il valore attuale netto consente di
classificare diversi progetti alternativi rispetto al beneficio netto sociale generato.
Implicitamente, il valore del beneficio netto calcolato col criterio del NPV giustifica il
progetto in termini di aumento di benessere, basandosi sul criterio Hicks-Kaldor (i.e. chi
riceve un beneficio netto sarebbe in grado di compensare chi invece sostiene costi netti). È
quindi applicabile in tale contesto una critica basata sul paradosso di Scitovsky (i.e. una volta
realizzato il progetto il ritorno alla situazione precedente aumenta il benessere col criterio
Hicks-Kaldor).
Simile logica è alla base del tasso interno di rendimento IRR.
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⇒
r° = IRR
Prima Versione.
NPV = Σ t NBt (1+r°)-t = 0
IRR è il tasso r° che rende nullo NPV. Quando il valore di r° è maggiore del saggio di
riferimento r* il benessere aumenta, inoltre i progetti sono classificati in base al valore di r°,
che indica il rendimento sociale del progetto.
Anche il rapporto tra benefici e costi totali scontati (BT/CT) consente di decidere circa
l’opportunità di realizzare un progetto così come di confrontare progetti diversi.
BCR = Σ t BTt (1+r*)-t / Σ t CTt (1+r*)-t ≥ 1
In questo caso un valore maggiore dell’unità indica la validità del progetto (dW>0), e valori
maggiori la sua preferibilità rispetto ad eventuali alternative, indicando il ritorno sociale
medio per unità di investimento. Tuttavia il saggio di riferimento r* resta fondamentale.
Graficamente possiamo rappresentare NPV in funzione del tasso di sconto, l’intersezione tra
la curva e l’asse delle x indica il tasso interno di rendimento. Chiaramente possono esistere
più intersezioni e quindi più IRR. Inoltre, il criterio tasso interno di rendimento ipotizza che i
flussi netti vengano reinvestiti al tasso interno di rendimento. Naturalmente è possibile
ipotizzare che il reinvestimento avvenga ad un tasso diverso.
Considerando 2 progetti alternativi è possibile che l’ordine di preferenza vari al crescere
del tasso di sconto e quindi quello con il tasso interno di rendimento più elevato non sia
preferibile rispetto al vigente saggio di sconto r*. D’alto canto va anche considerata la
dimensione del progetto ed il fattore rischio.
Fig. 1
NPV
Valore attuale
NPV
Fig. 2
b
NPV*
Fig. 3
a
NPV*b
b
NPVa*
a
a-b
r
r
r*
r°
r °1
r °2
r*
r°a
r°b
r°
r’
r
E’ utile a questo punto aprire una breve parentesi per considerare il caso di progetti
vicendevolmente escludentesi e di vincoli ai fondi pubblici disponibili. Nel caso di progetti di
dimensioni diverse (a > b) che si escludono a vicenda i criteri NPV, IRR e BCR non sempre
forniscono utili indicazioni e possono essere ingannevoli. È utile quindi una valutazione del
progetto differenziale (a-b) in termini di uno dei suddetti criteri per stabilire (in caso
positivo) se l’adozione di a sia giustificata. Il confronto deve essere fatto però tra progetti
comunque opportuni in assoluto.
Infine, nel caso di vincoli ai fondi disponibili il criterio BCR sembra tornare
particolarmente utile. Infatti, in questo caso è necessario confrontare il valore di capitale
attuale per lira investita. Tuttavia questo rapporto è estremamente sensibile alla distinzione tra
costi di investimento CI e di gestione CG, dando risultati differenti a seconda che il rapporto
sia tra benefici e costi totali (BT e CT) o tra benefici netti e costi di investimento (BN=BTCG e CI). Chiaramente, a parità di benefici netti la presenza di maggiori costi di gestione è
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Prima Versione.
penalizzante con la prima soluzione, diminuendo il rapporto quando viene sommata la
medesima quantità a numeratore e denominatore.
Poche cose nella vita sono certe, tra queste difficilmente rientra il NPV di un progetto
pubblico. Nella realtà a seconda dei differenti scenari che si realizzano avremo diversi valori
realizzati del NPV di un progetto. Conoscendo la probabilità di differenti scenari potremo
calcolare ex ante per il progetto A il valore atteso del flusso dei benefici netti E NPVA e la
relativa varianza σ2(NPVA). Un operatore pubblico neutrale rispetto al rischio baserà la propria
decisione dal semplice confronto dei valori attesi dei differenti progetti. Con avversione al
rischio un possibile metodo consiste nel calcolare il valore certo equivalente supponendo che
date le preferenze dell’operatore pubblico una data riduzione della varianza σ2(NPVA) sia
equivalente ad un dato aumento dei benefici E NPVA.
5.b. La scelta del saggio di sconto sociale.
È utile ritorniare ora al problema della scelta del saggio di sconto sociale, fondamentale per
decidere in merito agli investimenti. Con investimenti privati sarà logico investire finché r k la
produttività marginale del capitale K è pari al saggio di interesse di mercato rm. Il discorso è
meno ovvio con un progetto di investimento pubblico. Essendo i beneficiari i consumatori, un
candidato è il saggio di sconto delle preferenze dei consumatori r c.
Peraltro in concorrenza perfetta la scelta di un saggio di sconto sociale è indifferente.
Infatti -assumendo Yt = Yt (Kt-1) = Ct + It , Kt = Kt-1 + It - l’inclinazione della curva di
trasformazione tra consumo presente e futuro 1 + rk riflette il valore di rk, la produttività
marginale del capitale K, derivante dalle decisioni passate di investimento dei produttori (che
trasformano output presente in output futuro). In concorrenza perfetta, la produttività
marginale del capitale rk è pari al saggio di interesse di mercato rm ed al tasso di sconto dei
consumatori rc. Infine un’economia aperta con mercati dei capitali internazionali
perfettamente concorrenziali il saggio di interesse di mercato rm è altresì pari al saggio di
interesse internazionale rw. Quindi i progetti di investimento sociale (ad esempio in
infrastrutture) dovranno essere realizzati finché il loro rendimento r g è non inferiore al saggio
di interesse r* che pagano produttori e consumatori. In sostanza - dato che rk = rc = r m = r w =
r* - in concorrenza perfetta (ed in assenza di imposte) la scelta di un saggio di sconto sociale
è indifferente.
Il problema della scelta del saggio di sconto sociale è più complesso quando nel sistema
economico sono presenti distorsioni, dovute anche all’operare del settore pubblico.
La questione può essere affrontata in termini generali ripartendo dalla massimizzazione del
benessere. Per semplificare l’analisi assumiamo che l’obiettivo base sia massimizzare il
consumo pro capite e specifichiamo la funzione di utilità intertemporale additiva, indicando
con δ il saggio di preferenza intertemporale pura:
U = U0(C0) + U1(C1)/(1+δ) + ... +
n
-t
Un(Cn)/(1+δ) = Σ t (1+δ) U(Ct )
La variazione dell’utilità è dU = U0 dC0, + (1+δ) U1 dC1 +... + (1+δ)-n Un dCn; dividendo
quindi la per l’utilità marginale del primo periodo U0 otteniamo:
dU = dC0, + (1+δ) (U1/U0) dC1 +... + (1+δ)-n (Un/U0) dCn
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Prima Versione.
Il termine (1+δ) (U1/U0) rappresenta l’inclinazione della curva di indifferenza tra consumo
presente e futuro (il TMS tasso marginale di sostituzione tra consumo presente e futuro che è
quindi pari al rapporto tra i prezzi relativi p1/p0 = 1+r*, inclinazione del vincolo di bilancio) è
il tasso di sconto dei consumatori 1+rc. Esso riflette il saggio di preferenza intertemporale
pura e la diminuzione dell’utilità marginale del consumo pro capite. Tale termine può essere
riscritto - in termini di tasso di crescita del consumo g e di elasticità dell’utilità marginale
rispetto al consumo - per come segue:
(1+δ) (U1/U0) = (1+δ) (1+∆U1/U0) = (1+δ) [1+(∆U/∆C)(C/U)(∆C/C)] = (1+δ) (1 + ε g)
In un sistema perfettamente concorrenziale vale l’eguaglianza tra TMS tra consumo
presente e futuro e prezzo del consumo futuro in termini di consumo presente:
-dC1/dC0 = (1+δ) (1 + ε g) = p1/p0 = 1 + r*
Tale termine quindi può essere immesso nella variazione del benessere
dW = dC0 +(1+r*)dC1 + ...
Optando per una scelta soggettiva possiamo quindi riferirci alle preferenze dei consumatori
r . In tal caso, sorge il problema se considerare o meno il saggio di preferenza temporale δ,
essendo in fondo un giudizio di valore soggettivo. Al di là di ragioni di miopia pura, gli
individui scontano il consumo futuro per tener conto del rischio di morire (un movente
razionale a livello individuale ma meno di collettività) e come abbiamo visto per la riduzione
dell’utilità marginale al crescere del reddito pro capite. Inoltre, il valore di rc può variare da
individuo a individuo a seconda dell’età del reddito dello status e a seconda delle decisioni
prese in passato. Naturalmente i comportamenti possono mutare quando essi ragionano in
termini di componenti della collettività. Conseguentemente il saggio di interesse privato va
visto come media e potrebbe essere superiore a quello sociale. Questo sembra in contrasto
con quanto suggeriscono alcuni modelli generazionali dove i giovani risparmiano per garantirsi
il consumo futuro. Tuttavia ove si consideri il motivo ereditario anche in tal caso si conferma
l’esigenza di scegliere un saggio di preferenza temporale inferiore specie nello sfruttamento
di risorse scarse e esauribili.
c
Il saggio di interesse di mercato rm mostra invece una propensione istituzionale ed una
fiducia nell’operare dei mercati finanziari e dei capitali (al di là delle lentezze dei processi di
aggiustamento e degli ostacoli posti da informazioni imperfette ed asimmetriche). Un logico
candidato appare in questo caso il rendimento dei titoli pubblici a lungo termine, che
rispecchia anche il costo di ottenere fondi da parte del settore pubblico.
Il saggio di sconto sociale può essere visto anche in termini di costo-opportunità (pari a r m
in un mercato perfetto) che misura il sacrificio imposto ai possibili impieghi nel settore
privato in presenza di vincoli sulla disponibilità delle risorse agli impieghi privati.
L’investimento pubblico si giustifica quindi solo in presenza di un maggior rendimento
rispetto a rk derivante da esternalità o benefici intangibili. Tale valore potrebbe coincidere col
rendimento marginale di investimenti poco rischiosi o con la remunerazione lorda garantita
agli azionisti, in modo da evitare di spiazzare attività private profittevoli. Tuttavia il costo
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Prima Versione.
opportunità sociale potrebbe essere inferiore essendo il rendimento nominale dei progetti
pubblici inferiore a quello effettivo e il saggio rk essere troppo elevato rispetto a quello
socialmente ottimo sfavorendo le generazioni future.
Per un’economia aperta un ottimo candidato sembra il saggio di interesse internazionale r w,
ammesso che sia sempre possibile per la collettività fare ricorso a prestiti internazionali o
investire all’estero le proprie risorse. Essi in ogni caso possono rappresentare un valore
limite, al di sopra del quale il saggio di sconto non dovrebbe salire (essendo possibile
prendere a prestito all’estero riducendo i costi), ed al di sotto del quale il rendimento
dell’investimento pubblico non dovrebbe scendere (essendo sempre possibile l’alternativa di
un investimento all’estero).
Secondo alcuni non è neppure detto che debba esistere un unico saggio di sconto, identico
per ogni tipo di progetto. Ad esempio, al di là dell’obiettivo di ridurre gli squilibri regionali,
da un lato non è detto che l’utilità marginale decresca allo stesso modo per ogni tipologia di
consumo (sicché il consumo di beni culturali potrebbe essere privilegiato), dall’altro non
sempre le risorse da utilizzare nei diversi progetti sono mobili, pienamente utilizzate o danno
luogo al medesimo rendimento.
Appendice A: Prezzi ombra e spiazzamento.
Ipotizzando il tasso di sconto rc, per non discriminare contro gli investimenti alla lunga i
costi sostenuti col progetto di investimento dovrebbero riflettere il costo-opportunità degli
investimenti privati cui si rinuncia, ossia il prezzo ombra del capitale κk.
In tal modo, il criterio corretto diviene secondo Eckstein (ipotizzando κk = r k/rc):
Σ t BTt (1+rc)-t ≥ κk Σ t CTt (1+rc)-t
Tuttavia, il valore da attribuire a κk è oggetto di controversia. In particolare possiamo
considerare tre ipotesi distinte.
Nel caso biperiodale, con un prezzo unitario del consumo, il prezzo ombra del capitale - il
valore presente del consumo futuro generato da un’unità iniziale - è κk = (1+rk)/(1+rc) ed
assume valori positivi in presenza di distorsioni impositive r k > r c.
Allargando l’orizzonte temporale, senza reinvestimento, si genera un flusso perpetuo di
consumi futuri con un valore scontato rk/(1+rc)t ; ed il prezzo ombra del capitale diviene κk =
rk/rc > 0. Infine nel caso (ipotizzato dall’UNIDO) di reinvestimento di una quota del
rendimento pari a s rk (da valutare al prezzo ombra) il flusso perpetuo sarà pari a r k(1-s) ed il
prezzo ombra diviene:
κk = [rk(1-s)+κksrk]/rc ⇒ κk = (1-s) r k/(rc-srk).
Un approccio rigoroso consiste nel calcolare il costo-opportunità sociale come media tra
remunerazione marginale dell’investimento privato spiazzato e saggio di preferenza temporale
in relazione al risparmio indotto dall’aumento del saggio di interesse, rifacendoci all’analisi di
Harberger. Nei 2 opposti casi limite spiazzamento dei soli investimenti privati o dei soli
consumi privati il costo opportunità sarà dato rispettivamente da rk la remunerazione
marginale dell’investimento e da r c il saggio di preferenza temporale dei consumatori.
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r
IP + IG
IP
r’
Prima Versione.
E’
D
rk
rc
r
E
R+T
R
Fig. 4
G
F
→ ∂C
∂I ←
B
A
C
Naturalmente, se l’investimento pubblico spiazza un ammontare equivalente di investimenti
e consumi privati, resta da determinare esattamente le rispettive quote ed i rispettivi costi
opportunità. Esaminiamo la questione quando le imposte creano un cuneo tra domanda ed
offerta nel mercato dei capitali. Ponendo sull’asse delle y il saggio di interesse e sulle x
investimento privato IP , pubblico IG e risparmio R, sia E il punto iniziale di equilibrio in
presenza di imposte T; ossia l’intersezione tra R+T ed IP . In presenza di investimento pubblico
la domanda diviene IP +IG il punto di equilibrio si sposta in E’ e l’interesse aumenta, divenendo
r’. Nella nuova situazione gli investimenti pubblici spiazzano quelli privati di BA ed i consumi
di AC. Le aree tratteggiate sopra tali segmenti rappresentano quindi il costo opportunità
dell’investimento pubblico in termini di investimenti e consumo. In base a quest’analisi di
equilibrio parziale, il saggio di sconto appropriato r* è una media della preferenza temporale
di consumatori rc e del rendimento del capitale rk. La conclusione raggiunta non muta in
equilibrio generale, quando la durata del progetto è limitata.
Per derivare rigorosamente il prezzo ombra di una variabile di controllo pubblica (ovvero
l’investimento pubblico IG) si parte dall’equazione strutturale del benessere dW = Σ t (1-rc)-t
dCt per giungere alla forma ridotta dW = Σ j ∂W/∂Gj dGj dove il benessere dipende dagli
input ed output del progetto pubblico e ∂W/∂Gj rappresenta il prezzo ombra, ossia la
variazione marginale del benessere ad una incremento marginale della variabile di controllo Gj.
Esaminando per semplicità il caso bi-periodale e moltiplicando per (1+rc) possiamo
scrivere la variazione del benessere al variare di IG come:
dW°/dIG = (1-rc) dC0/dIG + dC1/dIG
Ipotizzando che il consumo nel periodo zero si riduce al crescere degli investimenti privati
e pubblici dC0 = -dIP -dIG ed in particolare che consumi ed investimenti siano funzione del
saggio di interesse rc avremo ∆C0 drc/dIG = -∆IP drc/dIG -1, dr c/dIG = -1/(∆C0+∆IP ) e quindi
dC0/dIG = -∆C0/(∆C0+∆IP ). Assumendo inoltre che il consumo nel periodo 1 cresca in
proporzione alla produttività del capitale privato e pubblico possiamo la variazione del
consumo dipende dalla variazione del capitale per il suo rendimento marginale, ossia: dC1 =
(1+rk)dIP +(1+rg)dIG. Ne consegue dC1/dIG = -(1+rk)∆IP /(∆C0+∆IP ) + (1+rg). Sostituendo nella
formula precedente avremo quindi:
dW°/dIG = (1+rg) -[(1+rc)∆C0 + (1+rk)∆IP ]/(∆C0+∆IP ) = r g - r*
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Prima Versione.
dove r* = (1-s) rc + s r k [con s = ∆IP /(∆C0+∆IP ) quota del risparmio privato (= investimento
IP ) spiazzato e (1-s) quota del consumo spiazzato] è una media delle preferenze dei
consumatori e del rendimento del capitale.
A conclusioni simili si giunge in un modello biperiodale con propensione al risparmio pari
ad s,
dW°/dIg = (1+rg) -[(1+rc)(1-s) + (1+rk)s] = r g - r*.
In pratica il saggio di sconto di riferimento è una media dei saggi di interesse di
consumatori e produttori ponderata per la riduzione di consumi ed investimenti conseguente
alla realizzazione dell’investimento pubblico. In questo modello (dove rk > rc a causa della
distorsione fiscale) posto il prezzo del consumo pari ad uno i prezzi ombra dell’investimento
pubblico e privato (il valore presente del consumo futuro generato da un’unità iniziale di
investimento) sono rispettivamente: κg = (1+rg)/(1+rc) e κk = (1+rk)/(1+rc) > 0. Sicché in
second best avremo r k > r g > r c e κk > κg > 1.
dW/dIG = κg -[(1-s) + κk s] = r g - r*.
In conclusione, solo quando il rendimento del progetto pubblico supera il saggio di sconto
sociale r g > r* potremo realizzarlo sicuri che il benessere sociale aumenta dW°/dIG > 0.
Si noti come allargando il nostro orizzonte, senza considerare reinvestimento, si generi al
limite un flusso perpetuo di consumi futuri ed i prezzi ombra dell’investimento siano: κg =
rg/rc e κk = r k/rc > 0.
Tale conclusione va tuttavia rivista al crescere dell’orizzonte del progetto dato che nel
tempo al crescere del reddito parte dei redditi derivanti dagli investimenti (privati e pubblici s
rk ed s rg) è reinvestita. In particolare essendo il consumo al tempo t pari a Ct = (1-s)Kt-1 ed il
livello del capitale Kt = (1+srk)t K0 il valore presente del flusso sarà per rc > srk [essendo la
ragione della progressione (1+srk)/(1+rc)].
Σ t (1+rc)-t Ct = (1-s) r k/(rc-srk) K0
Il prezzo ombra del capitale privato - ossia il valore presente del flusso futuro di reddito
generato da un’unità di capitale privato - è quindi κk = (1-s) r k/(rc-srk). Analogamente il prezzo
ombra del capitale pubblico sarà κg = (1-s) rg/(rc-srk). Sostituendo tali valori nell’equazione
della misura del benessere avremo:
dW/dIG = κg -[(1-s) + κk s] = (1-s)(rg-rc)/(rc-srk) > 0
⇒ rg - rc > 0.
Quindi in un modello multiperiodale (con reinvestimento) il rendimento del progetto
pubblico rg non deve essere inferiore al saggio di sconto sociale, dato dalla preferenza
temporale dei consumatori rc. Naturalmente, si tratta di una regola marginale essendo
implicito che l’investimento pubblico non alteri significativamente il funzionamento del
sistema economico (i.e. s, r k, r c costanti).
Inoltre, va tenuto conto come in dati settori e regioni esistano risorse finanziare non
pienamente utilizzate (il che riduce il loro prezzo ombra) o rendimenti differenziati (il che
complica l’analisi del reinvestimento), specie con fattori non perfettamente mobili.
Viste le difficoltà di computo di questi differenti costi-opportunità Harberger propone di
basarsi unicamente sul tasso rm emergente dal mercato dei capitali, che tuttavia è significativo
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Prima Versione.
solo in presenza di mercati ben funzionanti. In realtà, in un’economia aperta - dove i fondi
fluiscono liberamente tra i paesi (invece di essere non trasferibili come ipotizzato
implicitamente finora) il saggio di interesse internazionale r w, è il candidato naturale.
Appendice B: La valutazione di beni e servizi in economie aperte
Non sempre il prezzo dei beni di mercato ha un significato di efficienza corrispondendo ad
un equilibrio concorrenziale, che come abbiamo visto costituisce una guida nell’allocazione
efficiente delle risorse e un valore rispetto al quale produttori e consumatori si comportano da
price taker. Si tratta di valutare il costo effettivo sostenuto dalla collettività in termini di
minor benessere ed i benefici del progetto in termini di costo-opportunità. Ad esempio,
mentre in concorrenza perfetta un dato fattore è ugualmente produttivo in qualunque impiego
in presenza di imperfezioni, vincoli e distorsioni si tratta di valutarne la produttività
nell’impiego attuale (costo-opportunità effettivo) o nell’alternativa più efficiente (costoopportunità ideale). Il costo è zero se non esiste il sacrificio di un possibile impiego
alternativo. In pratica, aggiungendosi queste ambiguità ai problemi decisionali di un soggetto
collettivo, la valutazione è a volte incerta, frutto di compromesso. Limitandosi ai problemi di
efficienza componenti di rendita e quasi-rendita presenti nella remunerazione dei fattori vanno
in prima istanza trascurate avendo solo effetti redistributivi.
All’acquisto di un bene o di un servizio intermedio o finale da parte del settore pubblico
corrisponde una diminuzione della preesistente domanda dei privati ed un aumento
dell’offerta. È utile esaminare questo problema quando le imposte complicano la questione
creando un cuneo tra domanda ed offerta (analisi analoghe valgono per sussidi, dazi etc).
Ponendo sull’asse delle y i prezzi e sulle x domanda D suddivisa in privata DP , pubblica DG e
offerta al netto S ed al lordo delle imposte ST . Sia E il punto iniziale di equilibrio con DG = 0
in presenza di imposte; ossia l’intersezione tra ST ed DP . In presenza di intervento pubblico la
domanda diviene DP+G il punto di equilibrio si sposta in E’ e il prezzo aumenta, divenendo p’.
Nella nuova situazione gli acquisti pubblici spiazzano quelli privati di BA e fanno crescere
l’offerta di AC. Le aree tratteggiate sopra tali segmenti rappresentano quindi il costo
opportunità del bene in termini di surplus di consumatori e produttori. Quindi la valutazione
appropriata del bene p* è una media della valutazione dei consumatori pc e dei produttori pk.
Tale conclusione non muta sostanzialmente con analisi di equilibrio generale anche in modelli
di economia aperta, quando si consideri un bene non commerciato a livello internazionale il
cui prezzo è flessibile.
29
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
p
DP + DG
DP
p’
pc
p
pk
Prima Versione.
E’
D
E
Fig. 1
ST
S
G
F
→ ∂S
∂D ←
B
A
C
Quando il bene è oggetto di commercio internazionale è proprio il prezzo internazionale
che offre una corretta valutazione in termini costo opportunità del bene e non la disponibilità a
pagare interna. Questa scelta, basata su una logica economica che mira a distinguere il
momento produttivo - dove predomina l’efficienza e vige il principio di realizzare al massimo
i vantaggi legati alle possibilità di scambi internazionali - da quello redistributivo che
possibilmente non deve influenzare, se non limitatamente (e a ragion veduta) logiche e prezzi
di mercato. In pratica, solo quando i prezzi internazionali sono quelli rilevanti a fini di
efficienza produttiva interna, il massimo benessere può realizzarsi una volta che la struttura
produttiva efficiente viene tradotta nella struttura dei consumi desiderata, essendo così
sfruttate tutte le opportunità offerte dagli scambi internazionali. Questo è il ragionamento alla
base della metodologia OECD, formulata da Little e Mirrlees che mira a valutare input ed
output in termini di valuta estera, dove il costo opportunità interno vale solo per i beni non
commerciati internazionalmente e non facilmente traducibili nei primi (ad es. servendosi di
sostituti). Anche le retribuzioni vanno valutate in base al paniere dei consumi e tradotte in
valuta estera. I costi relativi a beni non commerciati vanno espressi in valuta dividendo per i
SER (Shadow Exchange Rate) saggio-ombra di cambio (quello di equilibrio con cambi
liberamente fluttuanti ed in assenza di distorsioni). Nessuna correzione va apportata ai prezzi
internazionali dei beni commerciati.
Analoga la metodologia UNIDO che invece esprimendo i prezzi in valuta nazionale
moltiplica il valore di tali beni per dei fattori di conversione AC (accounting ratios) pari al
rapporto tra saggio di cambio OER (Official Exchange Rate) e SER e traduce i prezzi esteri
dei beni commerciati moltiplicandoli per OER. Questo metodo risulta più semplice
richiedendo informazioni ricavabili della struttura (al margine) del commercio con l’estero.
Più differenziata è la valutazione della terra (la capitalizzazione della sua rendita) non
esistendo un mercato concorrenziale ed essendovi innumerevoli alternative le cui probabilità
di realizzazioni sono aleatorie e fortemente influenzati da comportamenti della PA.
Un fattore degno di particolare attenzione per la sua complessità è il trattamento del lavoro,
data la presenza di disoccupazione con (o senza) sussidi, aspettative e vincoli psicologici,
costi di mobilità, benefici dalla creazione di nuove occassioni di lavoro. Nel mercato del
lavoro accanto a un comparto formale (con settori distinti: agricolo, industriale e terziario)
esiste un settore informale ed uno di lavori temporanei, occasionali e stagionali. Non esiste
quindi un costo opportunità unico (neppure all’interno dello stesso settore caratterizzato da
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
30
Prima Versione.
una pluralità di situazioni anche regionali) ma tutto dipende dal flusso messo in moto dalla
offerta pubblica incrementale di lavoro. Secondo alcuni non esisterebbero reali differenze
essendo in realtà l’equilibrio raggiunto - quando gli operatori sono razionali e funzionano i
meccanismi di mercato - a parità di salario atteso; una retribuzione sicura ws (comprensiva di
redditi in natura) sarebbe pari al valore atteso di una insicura p wi (=ws) a parità di costo della
vita. Altri (a dispetto dell’eccesso di figure professionali con elevata istruzione) ritengono che
i mercati di manodopera specializzata siano perfettamente concorrenziali e non necessiti
quindi calcolarne i prezzi ombra.
Oltre al prodotto perduto con il trasferimento (prossimo a zero per disoccupati o occupati
in settori inefficienti, salvo conseguenti aumenti del costo del lavoro) vanno considerati i
costi addizionali (e.g. il disagio dovuto al trasferimento) connessi al flusso complessivo dei
lavoratori (bisognerebbe quindi considerare come beneficio solo la differenza tra retribuzione
effettiva e “di riserva” che comporta un’utilità invariata) e gli effetti indiretti sull’efficienza
complessiva derivanti dal nuovo equilibrio.
Rispetto alle retribuzioni corrisposte ai lavoratori utilizzati nel progetto (ipotizzando siano
interamente consumate) esse avranno un prezzo ombra nullo se l’obiettivo è massimizzare il
reddito aggregato, unitario ove si voglia invece massimizzare la crescita (e quindi il
reinvestimento). Tali valori si riducono in presenza di risparmio divenendo rispettivamente s e
(1-s). Naturalmente in presenza di disoccupazione involontaria tra i benefici andrebbero
inclusi gli ulteriori effetti moltiplicativi sul reddito. Questi obiettivi sono a volte tra loro in
conflitto e si riflettono nei prezzi ombra del lavoro e del capitale.
Infine, si ritiene che l’incremento dell’occupazione in se stesso (a prescindere da effetti
redistributivi) non vada considerato un beneficio, sempre che non si consideri la sua specifica
componente di bene meritorio. In realtà, al di là di valutazioni connesse ad un generico
obiettivo occupazionale sarebbe meglio esplicitare gli eventuali riflessi del progetto in
termini specifici di contributi al risanamento di situazioni di degrado sociale, alla riduzione
della criminalità, e alla ristrutturazione del tessuto industriale e terziario locale.
Non vi è dubbio che l’uso dei prezzi ombra (molti dei quali andrebbero definiti a livello
quantomeno nazionale) dovrebbe essere diffuso in tutto il settore pubblico. In alcuni casi
specifici tuttavia sarebbe opportuno usare una particolare cautela, specie quando i beni e
servizi derivanti da una data attività pubblica sono in concorrenza con beni e servizi simili
prodotti da imprese private, in modo che non si generino inefficienza e distorsione. Alcuni di
questi problemi saranno affrontati nella sezione sugli interventi nel mercato. Tuttavia,
l’impostazione generale mira a far governare la produzione da principi di efficienza e quindi
non contrasta con scelte concorrenziali.
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
31
Prima Versione.
II POLITICHE DI STABILIZZAZIONE E DEBITO PUBBLICO.
Come si determina l’equilibrio macroeconomico nel breve periodo? Come agiscono le
politiche fiscali? Cos’è lo spiazzamento? Si può aumentare reddito e surplus di bilancio?
Cos’è la stabilizzazione automatica? Quali indicatori della politica fiscale sono disponibili? Il
deficit influenza l’equilibrio di lungo periodo? Cos’è la sostenibilità del debito? Quali sono
gli effetti dell’imposizione sugli interessi delle obbligazioni pubbliche?
In questa sezione svilupperemo l’analisi delle problematiche legate alla politica fiscale e
del debito pubblico nel modello IS-LM in economia chiusa con un solo bene. In particolare
inizieremo con l’equilibrio sul mercato dei beni IS, considerando gli effetti economici
collegati al bilancio pubblico e trascurando con opportune ipotesi per il momento il mercato
monetario LM e quello dei fattori produttivi AS, ipotizzando un adeguamento automatico della
domanda all’offerta senza crescita dei prezzi. Il livello del saggio di interesse i e dell’indice
dei prezzi alla produzione P, sono per ora assunti costanti, in prima approssimazione.
Considerando la moneta nel modello ed esamineremo l’equilibrio stazionario della economia
nel modello IS-LM.
Partiremo dal modello complessivo. Il seguito può essere interpretato come l’esame di
casi particolari del modello o come una serie di approssimazioni successive. Ciò permette un
esame accurato del modello e delle conseguenze delle possibili ipotesi semplificatrici).
1. Il modello reale ed il teorema del bilancio in pareggio.
Il nostro punto di partenza è l’equilibrio sul mercato dei beni (Y = C + I + G + E - X) tra
offerta Y e domanda aggregata in termini reali (C + I + G), destinata al consumo privato C
pubblico G ed all’investimento privato I; ignorando il settore estero, ipotizzando la bilancia
commerciale E - X (esportazioni meno importazioni) costante e pari a zero. Tutte le grandezze
sono espresse in termini reali ipotizzando prezzi alla produzione unitari.
Questa identità si trasforma in condizione di equilibrio di mercato considerando le
relazioni che definiscono le funzioni dell’investimento I = I(i -ð*, K-K°) che dipende in
generale negativamente dal saggio di interesse reale atteso r*=i-ð* (qualora il tasso di
inflazione atteso ð* sia nullo r* è pari al saggio nominale i) e dallo scostamento del capitale K
dal suo livello desiderato K° (Ii = dI/di<0, Ik=dI/dK< 0) e del consumo al netto delle imposte
TC C -TC = c(YD, W) che dipende dal reddito disponibile in termini di prezzi al consumo YD,
e dalla ricchezza privata W, che nel seguito ipotizzeremo esogenamente data.
È inoltre utile definire il deficit reale del bilancio pubblico D = G – TD - TC, come
differenza tra spesa G e imposte indirette TC e imposte dirette (al netto dei trasferimenti TR,
comprensivi degli interessi sul debito pubblico) TD = TY - TR (dove le imposte sul reddito
TY = T + t Y possono essere in parte costanti ed in parte funzione del reddito). Si noti come il
deficit reale dipenda quindi, in presenza di una funzione delle imposte (t > 0), dal livello del
reddito e deve quindi essere determinato dall’equilibrio del sistema. Nel modello tradizionale
di breve periodo viene inoltre usualmente ignorato il problema del finanziamento del deficit.
Il modello rimane incompleto senza una definizione del reddito disponibile YD e della
ricchezza W. Usualmente YD = (Y – TD)/Pc = (Y-TY+TR)/Pc è pari al reddito Y meno le
32
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
imposte nette TD, mentre la ricchezza é definita come somma di moneta, titoli e capitale reale
W = (M+B)/P +K. I prezzi al consumo Pc sono pari al costo di produzione dei beni più il
gettito dell’imposta sui consumi TC il tutto diviso per la quantità di beni di consumo C.
Ovvero essi sono pari all’unità (i prezzi alla produzione) più t c l’aliquota media dell’imposta
sul consumo (PC+TC)/C = 1+tc, ipotizzando completa traslazione.10
Sostituendo le funzioni comportamentali otteniamo la curva IS
Y = C((Y-TY+TR), W) -TC + I(i-ð*, K-K°) + G
Essa sarà inclinata negativamente nello spazio i,Y (come in figura). Ciò avviene perchè una
diminuzione del saggio di interesse i provoca (a parità di ð*) un aumento dell’investimento
privato e quindi un aumento del reddito.
i
i
IS°
LM
E’
i’
IS’
IS°
E°
i°
LM
∞
E°
i*=i°
LM
∞
E*
LM
Y
Y°
Y
Y°
Y’
Y*
Il mercato finanziario è introdotto con l’equilibrio del mercato della moneta M/P = L(i, Y,
W), dove M é l’offerta di moneta in termini nominali è eguagliata in termini reali alla
domanda L(i, Y, W) che dipende negativamente dal costo relativo del denaro (il saggio di
interesse nominale) e positivamente dal reddito Y e dalla ricchezza W (Li = dL/di<0,
Ly=dL/dY>0, 0<Lw=dL/dW<Ly). La LM é inclinata positivamente nello spazio i,Y. Infatti
differenziando l’equazione rispetto a tali variabili otteniamo di/dY > 0. Ciò avviene perchè un
aumento del saggio di interesse i provoca (a parità di ð*) una diminuzione della domanda di
moneta che deve essere compensato da un aumento del reddito, perché il mercato resti in
equilibrio. Con trappola della liquidità (LM orizzontale di/dY = Li = dL/di = ) si ritorna al
caso di un’economia reale. Con questa ipotesi possiamo procedere ad analizzare il modello
base (ð* = t = W = 0) con riferimento ad un aumento della spesa pubblica e del debito.
Nel seguito, esaminiamo la funzione delle imposte dirette sul reddito e le conseguenze di
una manovra espansiva che aumenti in eguale misura spesa pubblica G e imposte sul reddito TY
lasciando così invariato il saldo di bilancio. Tale politica, nota come manovra del bilancio in
pareggio, sarà poi esaminata con imposte in funzione del reddito.
1a. Il teorema del bilancio in pareggio con imposte fisse
La nostra economia reale può essere semplificata assumendo una funzione lineare
dell’investimento dipendente unicamente dal tasso di interesse i (ipotizzato costante così
come il tasso di inflazione p*) I(i-p*)=I ed una funzione lineare del consumo C = cYD
10
Nel seguito mostreremo come tale definizione di reddito disponibile nasconda in realtà varie ipotesi implicite
e vada perciò per correttezza derivata, date le appropriate assunzioni di comportamento, dalle altre equazioni
del modello e non assunta a priori.
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
33
Prima Versione.
dipendente unicamente dal reddito disponibile in termini reali rispetto ai prezzi al consumo
dato dal reddito Y (reale ai prezzi dei fattori P=1) più i trasferimenti TR meno le imposte sul
reddito TY il tutto diviso per i prezzi al consumo YD=(Y-TY+TR)/(1+tc). Si noti come in
questo caso (C=cYD) la funzione diviene lineare anche rispetto al gettito reale dell’imposta
sul consumo (e possa quindi essere ignorata l’aliquota media tc) e come c rappresenti la
propensione media e marginale a consumare sia dal reddito complessivo Y che da quello
disponibile YD.
Tecnicamente, i problemi della politica fiscale possono essere esaminati considerando un
modello di equazioni che rappresenta l’equilibrio del sistema economico [1].11 Questo
modello è lineare, con un deficit predeterminato, in mancanza di funzioni delle imposte dirette
ed indirette:
[1]
Y= C + I + G
C = c (Y - TY + TR) – TC
D = G + TR - TC - TY
[2]
Y = (I +G -TC -cTD)/(1-c)
C = (cI+ cG -TC -cTD)/(1-c)
D = G -TC -TD
Un aumento della spesa pubblica ha un effetto espansivo sul livello del reddito, al contrario
di un aumento delle imposte dirette. Considerando TD = TY -TR, essendo i due strumenti
indistinguibili, avremo il modello [2] in forma ridotta, che evidenzia l’influenza degli
strumenti fiscali (variabili esogene) sulle variabili endogene; Y = (I+G-TC-cTD)/(1-c).
Indicando con dY le variazioni della variabile Y dall’equilibrio iniziale (Y°-Y’) possiamo
riscrivere il modello in termini di variazioni differenziali [3].
[3]
dY = (dI +dG -dTC -cdTD)/(1-c)
dC = (cdI +cdG -dTC -cdTD)/(1-c)
dD = dG -dTC -dTD
[4]
dY = (dG-cdG)/(1-c) = dG
dC = (cdG -cdG)/(1-c) = 0
dD = dG -dG
=0
I coefficienti associati alle esogene sono i moltiplicatori e indicano l’effetto discrezionale
di un aumento unitario dell’esogena, sull’endogena. Ad es. i moltiplicatori della spesa G e
delle imposte dirette TD sul reddito Y sono rispettivamente dY/dG = 1/(1-c) e dY/dTD = c/(1-c) ed i rispettivi impatti iniziali (pari al numeratore) 1 e –c. Un aumento unitario della
spesa pubblica G ha un effetto unitario sul reddito mentre quello delle imposte sul reddito (o
la riduzione dei trasferimenti) riduce il consumo (e quindi il reddito) di c i.e. della
11
Generalmente si ipotizza che il comportamento di un dato sistema economico possa essere descritto con un
modello strutturale, formato da un sistema di equazioni all’interno delle quali si distinguono le variabili
endogene (e.g. Y determinate all’interno del modello, che a seconda dei programmi delle autorità sono
obiettivi o strumentali), gli strumenti controllati dalle autorità (esogene strumentali e.g. G) e le variabili esogene
(e.g. I predeterminate all’esterno del modello). La teoria economica è in grado di spiegare i valori assunti dalle
variabili endogene in base alle esogene. Se le condizioni del teorema delle funzioni implicite sono soddisfatte il
sistema [1] può essere risolto esplicitamente in funzione delle variabili endogene ottenendo il modello in
forma ridotta [2]. Una condizione necessaria per risolvere il modello [1] rispetto alle endogene è che il loro
numero sia pari a quello delle equazioni indipendenti presenti nel modello. La forma ridotta permette di
esaminare esplicitamente gli effetti degli strumenti fiscali e delle esogene sulle variabili endogene. Se il
modello iniziale ha una soluzione unica, avremo (date le esogene) due equilibri, corrispondenti a due diversi
valori degli strumenti, da confrontare tra loro, con l’analisi statica comparata (quando non compaiono variabili
endogene con diversi indici temporali, ovvero le grandezze che interagiscono fra loro si riferiscono allo stesso
periodo) che tuttavia ha solo un valore didattico.
34
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
propensione a consumare. Possiamo chiederci cosa succede quando spese G e imposte nette
TD variano nella stessa misura. La risposta é immediata nel modello in forma ridotta,
imponendo dG = dTD (manovra equivalente a dG =dTY o dG =-dTR) e dTC = 0 otteniamo
la soluzione [4]. La precedente manovra comporta un aumento del reddito pari a quello di G,
mentre lascia invariati i consumi privati ed il deficit. Sicché il moltiplicatore del bilancio in
pareggio sarà unitario. Questo é il famoso teorema del moltiplicatore del bilancio in pareggio di
Haavelmo, che contraddice la neutralità della spesa pubblica finanziata da imposte sul reddito.
Vediamo ora di esaminare le ragioni di tale risultato. Un aumento del reddito pari a quello
della spesa pubblica G ha un effetto sul consumo identico ad un aumento dei trasferimenti o ad
una riduzione delle imposte sul reddito. Rimanendo così i consumi e gli investimenti costanti
tale sarà la variazione di equilibrio del reddito. Essendo l’aumento della spesa pari a quello
delle entrate, il deficit pubblico rimarrà anch’esso invariato. L’aumento della spesa ha solo
l’effetto di impatto dG, non variando i consumi (i.e. nessun effetto moltiplicativo).12
È così chiara l’importanza della dimensione e composizione del bilancio pubblico nel
determinarne l’impulso espansivo sul reddito. Infatti, come si vede in fig. 1 esso equivale alla
combinazione della crescita del reddito da Y° a Y’ dovuto a dG e della riduzione da Y’ a Y”
dovuto a dTD. La manovra del bilancio in pareggio sfrutta così la differenza, in valore assoluto,
tra i moltiplicatori delle diverse poste di bilancio.
fig.1
i
IS”
IS°
IS’
i
fig.2
IS’
IS°
dY = dG/(1-c)
dY = dG/(1-c)
dY=dG dY=cdTD/(1 -c)
Y°
Y”
Y’
dY=-dTC/(1-c)
Y°
Y’
Quando si varia invece il gettito dell’imposta sui consumi non si produce un aumento del
reddito perchè l’aumento della spesa pubblica spiazza i consumi privati che diminuiscono
dello stesso ammontare dC = - dG. Come è illustrato in fig.2. Questo è un primo caso di
spiazzamento completo della spesa pubblica, dove ad un aumento della spesa pubblica
corrisponde un eguale e contraria risposta dei privati che riducendo i consumi mantengono
12
La spesa pubblica ha moltiplicatore unitario (ossia il finanziamento con debito di nuova spesa pubblica ha gli
stessi effetti di una manovra di bilancio in pareggio) quando il debito non costituisce ricchezza perché gli
operatori scontano le imposte aggiuntive future necessarie per provvedere al finanziamento degli interessi ed
al rimborso del debito. Non è più necessario un bilancio in pareggio poiché l’emissione di titoli pubblici non
costituisce ricchezza W = K ed è equivalente dai consumatori immediatamente ad un incremento delle
imposte dirette. Se, per semplicità, assumiamo TC = 0, e deduciamo il deficit (D = G+TR-TY pari
all’aumento di debito) dal reddito disponibile, otteniamo: YD = Y - TY + TR - D = Y - G una nuova
definizione di reddito disponibile Y - G non influenzata dalla scelta tra imposte e debito. Il reddito di equilibrio è
ora Y = [I(r) + G(1-c)]/(1-c). Mentre una riduzione delle imposte non influenza il reddito un aumento della
spesa pubblica continua ad avere effetti espansivianche se con un moltiplicatore unitario, come una manovra
di bilancio in pareggio. Solo uno spiazzamento dei consumi, come vedremo, è quindi in grado di rendere la
spesa pubblica inefficace.
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
35
Prima Versione.
invariato il reddito di equilibrio. Tale risposta tuttavia deriva dalle modalità specifiche del
finanziamento della spesa pubblica (attraverso imposte sul consumo e non sul reddito) e non
dal fatto che i servizi pubblici sono aumentati e quindi i privati richiedono una quantità minore
di servizi privati: un secondo caso di spiazzamento, dovuto al comportamento degli operatori
privati.
Quest’ultima possibilità invece blocca ogni effetto espansivo della spesa pubblica qualora i
privati desiderino che la somma della spesa pubblica e privata sia una quota costante del
reddito disponibile ad esempio dG + dC = cdY. Avremo così dC = cdY - dG ed un aumento
della spesa pubblica comunque finanziato provocherà una pari riduzione del consumo ed un
totale spiazzamento comunque la spesa sia finanziata. La funzione del consumo sarà quindi del
tipo: C = C(YD, G) = c(Y) - G. Ciò implica nel modello ad esempio una definizione di reddito
disponibile differente YD=Y-G=Y+TR-T-TC-D (si noti come ora i consumatori siano
interessati anche al livello del deficit ma non al fatto che TC influenza il prezzo dei consumi
privati). Tale assunzione nega ogni possibile effetto espansivo o restrittivo delle politiche di
bilancio basate sulla manovra della spesa pubblica (anche quando l’investimento dipende dal
reddito). Tuttavia questo presuppone una perfetta sostituibilità tra spesa pubblica e privata, i.e.
lo Stato è in grado di soddisfare perfettamente i desideri dei privati (sostituendosi alle loro
libere scelte) ed per converso che i privati sono perfettamente in grado di sostituirsi allo Stato
nel fornire i servizi pubblici.
1b. La funzione del gettito e la propensione a consumare reddito disponibile.
Introducendo ora una funzione del gettito TY = t Y - T rispetto al reddito,13 avremo
[5]
TD = t Y - T
(con TR = 0 per semplicità)
Aggiungendola al modello [1], il gettito fiscale da variabile discrezionale (strumento
esogeno) diventa una variabile strumentale endogena. L’ipotesi di linearità non è ai nostri fini
così restrittiva come appare.14 Il modello [6] subisce così una notevole trasformazione nella
sua struttura non essendo più il disavanzo pubblico determinabile precedentemente ed
indipendentemente dal livello dei consumi e del reddito, vedi modello in forma ridotta [7].
[6]
13
Y= C + I + G
C = c (Y(1-t) + T) – TC [7]
Y = (I + G - TC + c T)/[1-c(1-t)]
In realtà t è l’aliquota marginale fissa, sicché la nostra analisi comprende il caso delle imposte lineari
progressive, essendo T un’imposta fissa negativa. Mentre nel precedente modello t era contemporaneamente
l’aliquota media (ta = TY/Y) e marginale (tm = dTY/dY = t) ora dobbiamo distinguere tra le due aliquote.
Possiamo facilmente vedere come i valori delle due aliquote siano sempre differenti ed in particolare come
l’aliquota media ta sia in questo caso minore di quella marginale: ta = t - T/Y < t. Tale condizione ta < t è un
requisito sufficiente per affermare a livello di reddito individuale che l’imposta è di tipo progressivo ed essendo
tale imposta lineare ciò sarà vero anche a livello aggregato dato il numero delle unità.
14
Un’analisi con una funzione del gettito generica: TY = T(Y) + T (con 0 < dTY/dY = t < 1) porta ai
medesimi risultati. Ovviamente una differenza esiste e consiste nel fatto che mentre con un’imposta lineare
l’aliquota marginale tm è costante mentre ora dipende dal livello del reddito di equilibrio dove le equazioni sono
linearizzate. In entrambe i casi essendo l’aliquota marginale superiore a quella media otterremo un
moltiplicatore minore rispetto al modello con imposte proporzionali. Infatti in corrispondenza al livello di reddito
di equilibrio con imposta proporzionale valgono le seguenti condizioni (1-t)-1 > (1-ta)-1.
36
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
D = G + T - TC - t Y
Prima Versione.
D = G -TC +cT +t {(I +G - TC + cTR)/[1-c(1-t)]}
Differenziamo il modello precedente, assumendo di = dI = 0, otteniamo:
[8]
dY = (dG + c dT -cY dt)/[1-c(1-t)]
[9]
dD = [(1-c)(1-t) dG + (1-c) dT - (1-c)Y dt]/[1-c(1-t)]
Si noti come: a) t é uno strumento della politica fiscale, b) pur essendo il sistema lineare in
G e TR esso non é lineare in t (ciò significa che il moltiplicatore dipende dal suo livello), c)
gli effetti di t e TR sulle varie esogene siano proporzionali e come quindi i due strumenti non
siano indipendenti.
Qualora si fosse interessati ad utilizzare il modello a fini empirici potremo servirci di
alcuni indici della progressività, basati sull’elasticità del gettito o del reddito disponibile.
Tale applicazione empirica sarà accettabile qualora essi siano pressocchè costanti nella
struttura impositiva vigente nel sistema economico. I principali indici utilizzabili sono ET =
[dTY/dY]/[TY/Y] = t/ta
l’elasticità del gettito rispetto al reddito ed
EYD =
[dYD(Y)/dY]/[TD(Y)/Y] = [d(Y-TY)/dY]/[(Y-TY)/Y] = (1-t)/(1-ta) l’elasticità del reddito
disponibile rispetto al reddito. L’imposta TY sarà progressiva se t > t a ovvero quando ET > 1
e 0 < EYD < 1. Dalle definizioni nel moltiplicatore otterremo:
[8G]
dY
1
1
1
---- = ------------- = -------------------- = ---------------------dG
1 - c(1-t)
1 - c(1-ta ET)
1 - c(1-ta) EYD
L’unicità dell’equilibrio e la stabilità del sistema richiedono 1-c(1-t)>0 ovvero c<1/(1-t).
La propensione marginale a consumare reddito disponibile può essere maggiore dell’unità
senza che il modello sia instabile, essendo ora c(1-t) la propensione alla spesa dal reddito.15
G, T, TC
fig.3 i
tY
D”
G-T-TC
deficit
D*
IS^
IS
fig.4
dI(1-c(1-t))
stabilizzazione
surplus
fluttuazione
D°=0
dI/(1-c)
Y*
Y°
Y’
Y2
Y ” Y°
Y’
Y1
Graficamente, il livello del deficit dipende dal reddito come rappresentato in fig. 3 dove in
corrispondenza al reddito Y* abbiamo un deficit in corrispondenza al reddito Y° abbiamo un
pareggio in corrispondenza al reddito Y’ abbiamo un surplus.
15
La condizione c>1 non risulta irrealistico visto che c rappresenta ora la propensione marginale a
consumare rispetto al reddito disponibile e non più al reddito totale. Già in questo semplice modello non siamo
più in grado, in base alle considerazioni relative al principio di stabilità dell’equilibrio, di determinare il segno di
alcuni moltiplicatori. Essendo il segno di 1-c indeterminato non possiamo infatti determinare il segno dei
moltiplicatori del deficit pubblico.
37
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
La presenza della funzione del gettito [5], riducendo il moltiplicatore, attenua le capacità
espansive di ogni impulso delle variabili esogene sul reddito; effetto noto come stabilizzazione
automatica. Nel caso particolare in cui c fosse stato maggiore dell’unità e quindi la nostra
economia instabile un livello adeguato dell’aliquota restaura la stabilità dinamica della nostra
economia. Inoltre, a parità di propensione al consumo (inferiore all’unità), l’inclinazione
della IS aumenta (vedi fig.4), e per una data fluttuazione del saggio di interesse la variazione
del reddito risulta minore grazie ad un effetto di stabilizzazione, essendo ora c(1-t) e non più c
la propensione alla spesa.
Si riduce anche lo spostamento verso destra della IS in corrispondenza di un impulso fiscale
(vedi fig.6), dato che l’imposta sul reddito preleva parte dell’incremento del reddito
disponibile t dY (come se la propensione marginale a consumare fosse diminuita).
i
fig.5
IS’
IS”
IS°
m=1-c(1-t)
dY = dG/m
Y°
dY= c(1-t)dG/m
Y”
tY
G+T+dG
D’ = d G - t dY
dY=cdG/(1-c)
dY=dG
fig.6
G, TY
G+T
ctdG/m
Y’
Ys
D°=0
dY’ = dG(1-c)/(1-c(1-t))
Y°
Y’
L’effetto discrezionale di un aumento delle imposte sarà dato da -dY/dT mentre l’effetto
totale dell’aumento del gettito sul livello del reddito, detto da Samuelson pseudomoltiplicatore è dato dal rapporto tra il moltiplicatore del reddito e del gettito dell’imposta
desiderata, rispetto ad un dato strumento fiscale, nel nostro caso (dY/dT)/(dTY/dT).16
[10]
dY/dT
-c/[1 - c(1-t)]
-c
----------- = ------------------- = -------dTY/dT
(1-c)/[1-c(1-t)]
1- c
Il valore dello pseudo moltiplicatore del reddito rispetto al gettito dipenda crucialmente
dallo strumento utilizzato. Infatti, facendo invece variare la spesa pubblica dG lo pseudo
moltiplicatore sarà (dY/dG)/(dTY/dG) = 1/t sicchè apparentemente un incremento del gettito
provocherebbe un aumento delle imposte. Tale pseudo moltiplicatore coglie l’effetto
automatico dell’incremento del gettito all’aumentare del reddito ed indica invece di quanto è
necessario che il reddito aumenti perchè l’aumento del gettito sia pari a quello della spesa. In
sostanza avremo free lunch quando dY/dG>1/t ovvero dTY/dG>1. L’uso degli pseudo
moltiplicatori é legittimo, tuttavia è necessaria attenzione e cautela, non dimenticando di
evidenziare sempre lo strumento, o la manovra fiscale utilizzata.
Collegati alla distinzione precedente ci sono a) il concetto di effetto automatico (quale
differenza tra l’effetto totale e l’effetto discrezionale (dY/dT)/(dTY/dT)-dY/dT e b) il
16
Nel presente modello, con funzione del gettito, l’effetto totale del gettito, manovrando le imposte fisse è
eguale al moltiplicatore dY/dTY nel modello [1], dove l’imposta sul reddito era un semplice strumento e non
un’endogena.
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38
Prima Versione.
concetto di stabilizzatore automatico (che indica di quanto l’effetto automatico riduce il
moltiplicatore delle esogene). Un modo esatto per misurare quest’ultimo concetto è l’indice
ISA, proposto da R. Musgrave, che consiste nel rapportare la differenza tra la variazione del
reddito in presenza di imposte fisse TY e della funzione del gettito T(Y) con la variazione del
reddito in presenza di imposte fisse TY.
1/[1-c(1-t)]
ct
[11] ISA = 1 - ---------------- = ---------------1/(1-c)
1/[1-c(1-t)]
Tale indice mostra di quanto si riduce in percentuale la variazione del reddito per effetto
della presenza della funzione del gettito nel nostro modello al posto dell’imposta fissa.
1c. Due distinte manovre del bilancio in pareggio.
Ripetiamo ora una manovra di bilancio in pareggio simile a quella svolta all’inizio, con una
propensione marginale c inferiore all’unità. Volendo trovare il risultato di un’eguale
variazione di G e TR di segno opposto imponiamo dG = -dT e dt = 0 ottenendo:
[12]
dY = (1-c) dG / [1-c(1-t)]
dC = -c t dG / [1-c(1-t)]
dD = -t (1-c) dG / [1-c(1-t)]
In questo caso avremo un aumento del reddito inferiore a dG, essendo c<1, ed una
riduzione dei consumi e del deficit di bilancio. Ciò avviene perchè il gettito TY aumenta
automaticamente all’aumentare del reddito Y (essendo l’aliquota t costante) e quindi la
manovra che comporta un saldo di bilancio invariato al livello iniziale del reddito comporta
invece un surplus di bilancio al livello finale di equilibrio (maggiore di quello iniziale).
La presenza della funzione del gettito [5] ci costringe a distinguere due manovre di bilancio
in pareggio una “ex ante” dG = - dTR (relativa al livello iniziale del reddito) e una “ex post”
dG = - dTR + t dY (relativa al livello finale del reddito di equilibrio).
La manovra precedentemente studiata era di pareggio “ex ante”. Mantenendo invariato il
disavanzo al livello di reddito di equilibrio finale (manovra di bilancio in pareggio “ex post”)
abbiamo il moltiplicatore unitario di Haavelmo. Tale manovra comporta chiaramente un
aumento della spesa maggiore dell’aumento delle imposte dirette, poichè l’incremento del
reddito finanzia automaticamente parte dell’aumento della spesa pubblica. Tale aumento
automatico del gettito tdY è l’effetto automatico (risultato della variazione del reddito, rispetto
al livello iniziale che può derivare o meno dalla manovra di politica fiscale) e va distinto
accuratamente dall’effetto discrezionale -dT, che deriva direttamente dalla manovra di politica
fiscale in corrispondenza del livello iniziale del reddito. Ovviamente un aumento delle imposte
eguale a quello della spesa, nell’equilibrio finale, è coerente con un aumento del reddito pari a
quello della spesa, poichè ciò implica consumi e investimenti costanti. Tale caso è
rappresentato in figura 7 che mostra la permanenza del bilancio in pareggio nel caso ex post.
39
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fig.7
G, TY
Prima Versione.
G, TY
fig.8
tY
G-T°+dG
G+T+dG -tdY’
G+T
tY
D°=0
D’ = t dY’
dY*=dG/t
D^
D'
G-T°
dG
t dY’
dY’ = dG(1-c)/(1-c(1-t))
Y°
Y”
Y°
Y’
Y*
Y^
Per valori elevati della propensione marginale al consumo tuttavia la crescita del reddito in
risposta ad un aumento della spesa pubblica dG può essere talmente elevata da portare da una
situazione di pareggio ad un surplus, come in figura 8.17 Tale situazione estremamente
favorevole per l’operatore pubblico è nota sotto il nome di “free lunch” ed è esclusa
imponendo a priori che la propensione marginale al consumo sia inferiore all’unità c < 1. Lo
Stato aumentando le proprie spese o diminuendo le imposte non solo aumenta il livello del
reddito, ma diminuisce il propio deficit di bilancio. Tale situazione ammissibile per lo Stato
diviene assurda se pensata per i privati: come se, andando al ristorante dopo la consumazione,
il cameriere vi pagasse per aver gradito il pasto.
Ritornando al segno dei moltiplicatori è istruttivo esaminare cosa succeda quando
1 < c < 1/(1-t), dove c indica la propensione marginale a consumare dal reddito disponibile.
Come evidenziato tale condizione è identica per tutti gli strumenti fiscali (ciò è vero però
se gli investimenti dipendono dal reddito) essendo:
[13] dD/ dG = (1- c) (1- t) / [1 - c(1-t)] < 0 per (1-t)-1 > c > 1
[14] dD/dTR = (1-c)/[1 - c(1-t)] = -dD/Ydt < 0 per (1-t)-1 > c > 1
e non contraddice la coerenza del modello, né l’unicità e la stabilità dell’equilibrio.
2. Indicatori e limiti delle politiche fiscali
2a.Gli indicatori fiscali
Gli indicatori fiscali servono usualmente a descrivere gli effetti della politica fiscale o di
bilancio sul livello dell’attività economica. Spesso ad essi si richiede anche di distinguere tra
effetti discrezionali ed automatici che derivano dalle funzioni vigenti delle entrate e delle
spese o da quelle di futura attuazione. Per raggiungere tali finalità potrebbe sembrare
opportuno affidarsi a modelli econometrici in grado di fornire previsioni numeriche circa
l’effetto di date politiche fiscali. Tuttavia si ricorre spesso a tali indici di bilancio per la
mancanza d\i modelli affidabili o per ragioni di risparmio in termini di costi monetari e di
17
Tale caso non è improbabile quando il sistema attraversi una fase di euforia (o quando reddito disponibile e
consumi non sono direttamente confrontati nelle decisioni dagli operatori che usano assegni e carte di credito).
Inoltre esso non implica necessariamente (a parte il caso di modello lineare) un risparmio negativo, ma solo un
risparmio marginale negativo. La propensione marginale alla spesa rispetto al reddito c(1-t) rimane sempre
minore dell’unità.
40
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
informazioni necessarie richieste.18
La misura più semplice del comportamento delle autorità fiscali è il deficit D = t Y- T-G.19
In prima approssimazione si può infatti sostenere che un aumento del deficit, in generale é
indice di una politica fiscale di tipo espansivo. Viceversa una riduzione del deficit, indica una
politica fiscale recessiva. Questo primo indicatore risulta ingannevole.
Le imposte sono una variabile endogena, come i trasferimenti sociali e gli interessi sul
debito. Qualsiasi variazione del reddito, del tasso di interesse e del tasso di inflazione di
equilibrio (dovuta a motivi differenti da una manovra degli strumenti fiscali) comporta una
variazione del deficit, che da messaggi errati circa l’effettiva politica fiscale. Un aumento del
livello del reddito dal valore Y° al livello Y’ in seguito ad una variazione autonoma degli
investimenti, come in figura 1, il fa diminuire il deficit dal livello D° al livello D’, segnalando
una politica fiscale di tipo deflattivo. Avremo infatti dD = t dY. Il valore del saldo di bilancio
misurato per un dato livello di reddito e di tasso di interesse e di inflazione (ad esempio quelli
correnti all’inizio del periodo o quelli di pieno impiego) non subirebbe invece, in tale caso,
alcuna variazione nel suo ammontare; così il deficit discrezionale DD = t Y° - T - G ed il
surplus di pieno impiego SPI = t Y* - T - G risultano degli indicatori della politica fiscale più
corretti (poichè dY° = dY* = 0).
Tuttavia queste misure soffrono del fatto che variazioni di diverso ammontare delle imposte
e delle spese, aventi effetti opposti ma eguali in valore assoluto sul livello del reddito, non
hanno necessariamente effetti eguali sul livello degli indici precedenti ma comportano una
variazione di tali indici. Viceversa una manovra (delle spese e delle imposte fisse) di bilancio
in pareggio (come si é dimostrato) porta ad un’aumento del reddito, pur lasciando inalterato il
deficit ed il surplus di pieno impiego.
fig.1
G, TY
G, TY
t Y+ dT°
fig.2
t Y
SPI'
cdT°
SPI
D°
D’
G+dG
SPI°
G
D'
D°
dT°
Y°
Y'
Y*
Y
Y”
Y*
Quest’inconveniente può essere evitato qualora le poste di bilancio presenti nei precedenti
indici vengano opportunamente ponderate con pesi proporzionali ai valori dei moltiplicatori
rispetto al reddito di equilibrio. Otterremo così il deficit ponderato DP = ctY - cT – G (non
corretto per gli effetti automatici del ciclo e dell’inflazione). Qualora si voglia misurare solo
18
Gli indicatori di bilancio sono inoltre generalmente diffusi a livello di organizzazioni internazionali. Ciò è
giustificato dalla più facile comparabilità delle politiche fiscali dei diversi paesi attraverso l’uso di tali strumenti
di analisi, dato che le risposte dei modelli econometrici dipendono crucialmente dalle strutture degli stessi.
19
In seguito nella costruzione dei nostri indici di bilancio per semplicità ci serviremo di funzioni di
comportamento lineari come nel modello reale semplificato linearizzando le imposte sul reddito e ignorando
inflazione, imposte sui consumi e trasferimenti.
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41
Prima Versione.
l’impatto degli effetti discrezionali, bisogna passare al surplus di pieno impiego ponderato
SPIP = c t Y* - c T - G. SPIP come SPI indica gli effetti ipotetici di impatto politica fiscale in
condizioni di pieno impiego. Non è perciò un indicatore corretto della politica discrezionale
(dG = cdT) a reddito corrente come si vede in figura 2. Ad esempio nel caso di variazioni delle
spese pubbliche e dell’aliquota impositiva tali da lasciare inalterato il livello del reddito di
equilibrio esso aumenterebbe qualora il livello del reddito sia inferiore a quello di piena
occupazione. Per evitare tale difetto possiamo misurare il valore del surplus per livelli di
reddito. tasso di interesse e inflazione iniziali DDP = c t Y°- c T - G. Tale nuovo indicatore,
deficit ponderato discrezionale, da anche in tale occasione, indicazioni corrette circa la
politica fiscale discrezionale. Ciò che desideriamo è quindi la variazione del saldo ponderato
discrezionale; l’indicatore che risponde alle nostre esigenze è quindi il deficit ponderato
discrezionale che considera Y°, il livello corrente del reddito.
2a. Limiti delle politiche fiscali e crowding out
Ritornando al modello IS-LM standard è utile considerare il problema dell’inefficacia delle
politiche fiscali e del crowding out (o spiazzamento dovuto alla spesa pubblica).
A parte le ipotesi etichettate sotto il nome di “caso classico” (Li=0 teoria quantitativa della
moneta, e/o Ii= saggio di interesse naturale dato), si ha invarianza del reddito e del saggio di
interesse con l’equivalenza neo-ricardiana quando il finanziamento del deficit avviene
interamente con titoli se i beni pubblici sono perfetti sostituti di quelli privati -(1- CY) = CG.
Solo in questo caso la curva IS non si muove all’aumento del reddito da interessi, non
corrispondendo ad esso un aumento del reddito disponibile a causa dell’eguale aumento del
valore presente delle imposte addizionali future attese. Questo è il caso di crowding out da
ultrarazionalità in cui vige perfetta sostituibilità tra investimenti pubblici e privati.
Normalmente, nel caso (a) di crowding out transazionale, con l’aumento del reddito,
fermo restando lo stock di moneta, l’equilibrio del mercato monetario implica la crescita del
tasso di interesse. Ne consegue una diminuzione della domanda aggregata, in seguito allo
spiazzamento dell’investimento privato, derivante dall’aumento del tasso di interesse.
Tuttavia in generale, l’aumento del tasso di interesse potrebbe accrescere consumi e
investimenti, perché da un lato sono necessari meno risparmi per mantenere lo stesso livello
di consumi futuri e risulta inoltre più conveniente l’acquisto di beni durevoli, mentre dall’altro
se l’impresa massimizza la propria crescita (invece del profitto) il suo tasso di crescita
potrebbe esserne positivamente influenzato. In questo caso avremo una curva IS inclinata
positivamente. Il sistema è ancora stabile se la IS è più verticale della LM. L’aumento del
saggio di interesse quindi rafforza l’effetto espansivo tramite la crescita di consumi e
investimenti privati. Queste possibilità sono confrontate in figura 3 e 4. Nel caso (b)
all’effetto espansivo della spesa pubblica si aggiunge un ulteriore aumento della domanda
aggregata quando all’aumentare di i l’incremento del consumo -CY (1-ti)B derivante
dall’aumento del tasso di interesse- domina la riduzione dell’investimento privato Ir.
L’investimento non si riduce se -Ir RG < IY YG. Infine, un aumento dell’offerta di moneta,
spostando la LM verso destra, riduca il reddito, con effetto opposto rispetto al caso (a).
42
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
i
fig. 3
Caso (a)
Prima Versione.
i
fig. 4
Caso (b)
LM
LM
i^
i^
i*
i*
IS'
IS
Y
Y* Y^
IS
IS'
Y*
Y
Y^
Da distinguere rispetto all’usuale crowding out di tipo transazionale appena esaminato è
quello di tipo finanziario a là Milton Friedman, in cui è la carenza di risparmio disponibile per
investimento privato ad influenzare negativamente gli investimenti ed a riportare indietro nella
situazione di equilibrio iniziale la IS, se gli investimenti dipendono anche dall’offerta di fondi
disponibili.
[2]
I(i-π*, Y, K, F)
dI/dF < 0
In sostanza i fondi disponibili per gli investimenti privati si ridurrebbero di un ammontare
pari alla crescita del deficit pubblico dF = dB. Naturalmente ciò provocherebbe una riduzione
degli investimenti, che sarebbe totale solo per dI/dF = -1. Ne segue che il livello del reddito
resta invariato e la spesa pubblica finanziata con titoli spiazza gli investimenti privati. Tuttavia
un tale spostamento dovrebbe verificarsi in un periodo sequenzialmente successivo, ovvero
dopo che il reddito ed il risparmio sono già aumentati. Inoltre il risultato vale solo in un
modello di economia chiusa. Risultati opposti possono valere in economia aperta, data
l’affluenza di fondi esteri che dF/dB>0 consentirebbero di finanziare maggiori investimenti.
Nel crowding out di portafoglio, si ipotizza un effetto ricchezza netta sulla domanda di
consumo e di moneta. Nel caso estremo il valore di (dY/dB) è negativo (a causa di un effetto
ricchezza perverso); la LM si sposterebbe verso sinistra mentre la IS rimarrebbe
comparativamente fissa. Di conseguenza il reddito diminuirebbe per effetto dell’aumento del
debito pubblico. Tuttavia tale fenomeno continuerebbe all’infinito dato che il deficit aumenta
al ridursi del reddito ed il sistema sarebbe instabile.
Nell’ampia casistica dello spiazzamento una menzione meritano anche i casi di crowding
out da sostituzione di portafoglio, da reddito permanente e da esportazioni. In pratica con
la sostituzione di portafoglio i titoli pubblici sono sostituibili oltre che con moneta e titoli
privati con le altre attività reali, presenti nel portafoglio allargato degli operatori privati. Ciò
riduce la domanda di beni e (in assenza di effetti ricchezza) sposterebbe la IS all’indietro nel
successivo periodo.
Il crowding out da reddito permanente si verifica in presenza di una politica di
stabilizzazione. Gli operatori sanno che l’aumento della spesa pubblica è temporaneo, così
come il conseguente flusso di reddito. Ma un flusso di reddito transitorio esercita
un’influenza trascurabile sul consumo privato, ovvero lo spostamento della IS è trascurabile
anche se la sua inclinazione è diventata maggiormente verticale. Un discorso analogo vale però
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43
Prima Versione.
anche per una domanda di moneta (dei consumatori) funzione del reddito permanente, la cui
inclinazione sarebbe maggiormente orizzontale e non avrebbe forti conseguenze sul livello del
saggio di interesse.
Infine il crowding out da esportazioni ha luogo in economia aperta, dove un aumento di i,
provoca un apprezzamento del cambio, una riduzione delle esportazioni ed un aumento delle
importazioni nel periodo successivo, sicchè la IS ritorna nella posizione iniziale. Tuttavia se la
ricchezza netta rispetto all’estero aumenta, aumentano i consumi interni tali effetti.
Quando il finanziamento della spesa avviene con moneta può invece aver luogo il crowding
out da inflazione. L’aumento del livello dei prezzi provoca un innalzamento della LM
riducendo l’offerta di moneta in termini reali. A ciò segue una riduzione del reddito, in
presenza di un saggio di interesse più elevato. Si riduce inoltre la ricchezza in termini reali
con un conseguente spostamento della IS verso il basso. Anche in questo caso, avremmo un
effetto opposto sulla LM riducendosi la domanda di moneta e con le aspettative d’inflazione il
tasso di interesse reale, accrescendo gli investimenti, fin dal primo periodo.
Al principio interventista di derivazione keynesiana il monetarismo a là Friedman
contrappone quello di regole costanti, in primis quella di una crescita costante della base
monetaria, in linea col trend del reddito reale, senza tener conto degli scostamenti delle
variabili obiettivo dai valori desiderati. Nel nuovo modello il sistema tende a situarsi a un
livello di disoccupazione naturale, compatibile con un qualsiasi tasso di inflazione (pari al
tasso di crescita della moneta). Ogni politica discrezionale espansiva riduce la disoccupazione
nel breve periodo perché l’aumento dei prezzi non è correttamente previsto (dai soggetti
economici privati che rimangono ingannati dalle autorità) ma nel lungo periodo provoca solo
effetti distorsivi (riducendosi ad es. gli investimenti privati). La riduzione della
disoccupazione avviene solo a prezzo di una continua accelerazione del tasso di inflazione e di
continui errori di previsione degli operatori privati. Una politica discrezionale (al contrario
della regola fissa) non può minimizzare gli scostamenti delle variabili obiettivo dai valori
desiderati perché non è possibile regolare il sistema economico e rischia di destabilizzarlo,
essendo le conoscenze delle autorità (circa la grandezza di moltiplicatori e lag temporali)
limitate. Tale obiezione sembra però poco valida perché in principio i modelli teorici possono
facilmente tenerne conto (grazie ai metodi della teoria del controllo ottimale stocastico)
mentre nella pratica studiando attentamente gli intervalli di confidenza possiamo giungere ad
una conoscenza della realtà sufficiente per applicare tali metodi. Quindi i monetaristi
concordano con la sintesi neoclassica su di un modello IS-LM-AS. La contesa è limitata ad
aspetti empirici: la reale rilevanza della moneta, della politica di bilancio e dei meccanismi
riequilibratori di mercato.
Una critica più pertinente alla sintesi IS-LM-AS proviene dalla nuova macroeconomia
classica ed è collegata al trattamento tradizionale del comportamento e delle aspettative degli
agenti privati. Gli operatori non hanno aspettative arbitrarie o sistematicamente errate, ma
sono caratterizzati da aspettative razionali che tengono conto della possibilità di azioni a
sorpresa. Lucas e Sargent applicando tale modifica al modello standard (domanda aggregata e
curva di offerta basata sull’ipotesi del tasso naturale) eliminano la possibile esistenza di un
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44
Prima Versione.
tasso di disoccupazione diverso da quello naturale anche nel breve, a parte il caso di disturbi
imprevedibili. Sulla base di tale applicazione essi sono inizialmente visti come una sorta di
monetaristi radicali, infatti il modello “classico” viene riproposto dai nuovi classici in termini
più precisi e rigorosi con conseguenze estreme anche nel breve periodo. Ogni decisione di
bilancio volta a stabilizzare l’economia fa parte di un modello noto sulla cui base le aspettative
sono formate e muta il comportamento degli operatori. In tal modo qualsiasi politica di
stabilizzazione non è più a lungo ottimale. Essendo le deviazioni dal reddito naturale
proporzionali alle deviazioni dai prezzi attesi, qualsiasi regola nota non ha effetti reali, mentre
una politica imprevedibile è controproducente perché confonde le idee degli operatori
economici e accresce l’instabilità del sistema economico. Infine dato che le aspettative non
possono essere errate sistematicamente non vi è spazio per politiche sistematiche. E` quindi
indifferente o al limite preferibile adottare una semplice regola costante alla Friedman per non
trarre in inganno gli operatori, salvo l’improbabile presenza di un vantaggio informativo a
favore delle autorità e di una grande rapidità di attuazione. Il livello dell’occupazione risulta da
libere scelte e shock stocastici; esso non è quindi né prevedibile né rilevante mentre lo è la
stabilità dell’indice dei prezzi che può trarre in inganno gli operatori sui valori dei prezzi
relativi. La presenza di aspettative razionali apre la via inoltre a possibili scorciatoie nella lotta
all’inflazione.20 E` ovvio che le precedenti impostazioni teoriche, escludendo a priori i
problemi keynesiani, attraverso l’ipotesi del “tasso naturale” di disoccupazione e delle
aspettative razionali, eliminano i presupposti stessi della politica di stabilizzazione. Non ha
senso una manovra espansiva in un mondo con domande ed offerte sempre in equilibrio ai
prezzi correnti ed attese normalmente verificate (dove l’economia è in un equilibrio di
disoccupazione “naturale” determinata da libere scelte dei soggetti), che anche se avesse
effetti reali sarebbe per definizione distorsiva.
È difficile sottoporre a verifica empirica la nuova macroeconomia classica. Non basta
costruire un modello strutturale (con tasso naturale di disoccupazione e aspettative razionali)
e confrontarlo ad es. con un modello strutturale keynesiano, per poter effettuare le stime
dobbiamo passare alla forma ridotta. Ma come dimostra Sargent i due modelli, keynesiano e
nuovo-classico, nelle loro forme ridotte risultano equivalenti. Non è quindi possibile
distinguere i due modelli sulla base di osservazioni empiriche.21 Non possiamo perciò sperare
20
E` anche interessante trarre coerentemente le conseguenze dei precedenti ragionamenti. 1) Se realmente
crediamo al precedente modello, l’inflazione ha costi trascurabili e può essere a loro avviso facilmente
eliminata. Perché preoccuparsene tanto? 5% o 20% è lo stesso purché sia prevista. 2) I lavoratori non
possono essere i responsabili dell’inflazione, così come le politiche di bilancio; la colpa è sempre e comunque
delle autorità monetarie, data l’identità che sussiste tra tasso di inflazione e tasso di crescita dello stock di
moneta.
21
Questa equivalenza può essere spiegata come segue. Nei modelli con aspettative razionali gli operatori
tengono conto delle politiche seguite dalle autorità nel formulare le loro aspettative sui prezzi. In assenza di
mutamenti delle regole generali di tali politiche tali modelli catturano, come quelli di tipo keynesiano, dei
parametri apparentemente costanti associati ad esempio ai vari strumenti della politica fiscale. Sicché risulta
impossibile in tale caso distinguere i due modelli poiché entrambi spiegano egualmente bene i dati. L’unica
possibilità di distinguere i due modelli consiste nel considerare i periodi successivi a quello in cui vengono
introdotte variazioni nelle regole generali (di politica economica) e verificare se si siano avute simultanee
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45
Prima Versione.
in un grande contributo dell’evidenza empirica per falsificare l’ipotesi del tasso naturale di
disoccupazione e delle aspettative razionali.
La fede in un modello astratto di un’economia con forti meccanismi di aggiustamento che
assicurano la stabilità di un equilibrio di pieno impiego dove le sole fonti di instabilità sono le
politiche governative sembra portarci lontano dai problemi reali. Una possibile via di uscita
consiste nel costruire le fondamenta teoriche di una visione alternativa, dove il sistema
economico non è in grado di raggiungere l’equilibrio di pieno impiego attraverso i soli
meccanismi di mercato e dove l’intervento della politica di bilancio è idoneo almeno in teoria
a minimizzare gli scostamenti del reddito dal valore di equilibrio naturale. Perciò si ripropone
il problema fondamentale della scelta degli assiomi macro e delle premesse metodologiche.22
Le precedenti discussioni evidenziano inoltre l’interdipendenza strategica tra i comportamenti
degli agenti privati e delle varie autorità, poiché le scelte dei primi si basano sulle decisioni
attese di queste ultime. Ciò si presta ad essere descritto, utilizzando alcune delle tecniche
della teoria dei giochi, come una sorta di gioco in atto tra questi vari operatori (come mostrato
in appendice A). La stessa politica complessiva inoltre non è frutto di un unico soggetto ma di
un’interazione tra le varie autorità.
3. Bilancio, finanziamento del deficit ed equilibrio di lungo periodo
3a. L’inserimento del debito nel bilancio e nel settore reale
Fino ad ora abbiamo ignorato il problema del finanziamento del deficit e dell’esistenza del
debito pubblico. Tale problema va esaminato contestualmente con la definizione di ricchezza
reale W che è formata dagli stock di moneta M/P, titoli pubblici B/P e capitale privato K.
Ovviamente il saldo di bilancio può essere finanziato con l’emissione di moneta M/P o di
titoli B/P (dove indica il differenziale rispetto al tempo); lo stock di titoli accumulato nel
passato B/P è normalmente indicato col termine debito pubblico, anche se esso a rigore
comprende oltre ai titoli del debito pubblico anche lo stock di moneta M/P. Gli interessi reali
netti corrisposti al settore famiglie rn B/P = [i(1-ti)-p]B/P costituiscono il servizio (o
l’onere) reale netto del debito pubblico e sono parte dei trasferimenti netti di reddito T+i(1-
variazioni nei parametri. Tuttavia, è del tutto ragionevole supporre, che anche adottando aspettative non
razionali possa verificarsi un mutamento della struttura del modello simultaneo alla modificazione delle regole
di politica economica. Sicché anche tale test proposto dallo stesso Sargent non discrimina validamente tra le
due teorie.
22
E` però necessario recepire anche i contributi critici validi della nuova macroeconomia classica anche se in
un contesto differente. Ad esempio va tenuto conto dell’importanza del messaggio pratico circa le cautele
necessarie nel valutare le conseguenze di politiche alternative con esercizi di simulazione. Esse saranno
distorte se assumiamo invarianti parametri quali la posizione e l’inclinazione della curva di Phillips, dietro i quali
si nascondono decisioni e comportamenti basati sulle preferenze individuali, sulle possibilità produttive e sulle
regole previste di politica economica. Per giungere effettivamente ai risultati desiderati dovremo tenere conto
che da parte degli operatori abbiamo nel breve anche reazioni ragionate, sicché diviene necessario verificare
che quelle simulate riflettano effettivamente l’interesse degli operatori.In tale prospettiva teorica il lavoro
sull’esistenza e la stabilità di equilibri non walrasiani, l’esame di modelli di disequilibrio e razionamento,
assieme ad una più concreta applicazione della teoria dei giochi possono forse fornire fondamenta alternative
alla nuova macroeconomia classica e utili indicazioni per la politica di bilancio.
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46
Prima Versione.
ti)B/P.23 Il vincolo del bilancio ed il reddito disponibile devono comprendere tale
trasferimento di reddito
[1]
D = G + T + i(1-ti)B/P - t Y =
[2]
YD = Y - tY + T + i(1-ti)B/P
M/P +
B/P
Mantenendo invariate le altre equazioni la curva IS diviene:
[3]
Y = Cy(Y(1-t)+T+[i(1-ti)-p*]B) + Cw(M+B+K) +I(i-p*, K) +G
Essa sarà inclinata negativamente nello spazio i,Y solo qualora |Ir|>Cy(1-ti)B la riduzione
degli investimenti sia maggiore dell’aumento dei consumi dovuti ad un aumento del saggio di
interesse.24 Esaminiamo ora gli effetti dello stock del debito sul reddito, fermo restando il
saggio di interesse.
dY/dB = [Cy i(1-ti) +Cw]/[1-Cy(1-t)]
Il reddito aumenta per due motivi: 1) perchè aumenta il reddito disponibile ed i consumi
essendo maggiore il servizio del debito Cy i(1-ti), 2) perchè aumenta la ricchezza e quindi i
consumi Cw. Il finanziamento dell’aumento della spesa pubblica (in assenza di free lunch) con
debito pubblico provoca quindi ulteriori effetti espansivi.
Se i titoli pubblici non costituiscono ricchezza W = K, seguendo il ragionamento basato
sulla equivalenza ricardiana possiamo dedurre l’aumento di debito (pari al deficit D = G + T +
i(1-ti)B/P - t Y = B/P) dal reddito disponibile, la nuova definizione di reddito disponibile:
YD = Y - tY + T + i(1-ti)B/P - B/P = Y - G non influenzata dalla scelta tra imposte e debito.
Vale la neutralità del debito pubblico, annullandosi l’effetto reddito (poiché gli interessi
pagati sono completamente compensati da un aumento dell’imposizione) e ricchezza (solo il
capitale reale è ricchezza). Un aumento del debito non ha perciò alcuna conseguenza dY/dB =
0.
3b. L’equilibrio stazionario di lungo periodo
E` possibile ora analizzare (sotto le condizioni restrittive) gli effetti delle politiche di
bilancio sull’equilibrio stazionario, i.e. assumendo il saggio di interesse (e gli investimenti
netti) costante (pari a zero).
Gli unici stock che possono variare sono quindi quelli di moneta e titoli pubblici ed essi
dovranno essere costanti nel nostro equilibrio di lungo periodo. Lo stock di moneta e titoli si
manterranno costanti nel tempo solo per un livello di reddito di equilibrio con un deficit nullo,
ovvero con un bilancio pubblico in pareggio. Infatti non avendosi variazione del reddito e degli
stock di titoli e capitale la quantità di moneta rimarrà costante. Ponendo tale condizione D=0
dalla [1] otterremo:
23
Naturalmente nel modello a prezzi fissi P=1, tc = 0 essendo il tasso di inflazione π nullo non avremo il
termine πB/P (o πM/P) nel Bilancio dello Stato che è assimilabile ad un rimborso anticipato essendosi
svalutato lo stock di titoli del debito pubblico (o di moneta).
24
Infatti differenziando ripetto a tali variabili otteniamo di/dY =[Cy(1-t)]/[Ir+Cy(1-ti)B]. Ciò avviene perchè
un’aumento del saggio di interesse i provoca (a parità di p*) un aumento del consumo ed una diminuzione
dell’investimento privato con un effetto quindi incerto sul reddito. Ciò non ha grosse implicazioni per il nostro
modello di economia reale ma influenza come visto la politica monetaria.
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[4]
47
Prima Versione.
Y = G+(1-Cy)[T+i(1-ti)B]/t
Possiamo così esaminare eve ntuali politiche fiscali di lungo periodo differenziando
l’equazione precedente tenendo conto che il livello di B dipende dalla manovra fiscale (e dalla
politica monetaria). Ci limiteremo ad esaminare la più semplice manovra fiscale espansiva.
Essa consiste in un aumento della spesa pubblica dG>0 e nel mantenimento dei trasferimenti
netti di reddito al livello di partenza dT+i(1-ti)dB=0, assieme alle aliquote impositive.
Possiamo di conseguenza ignorare nella nostra differenziazione il problema della
determinazione di dB essendo il differenziale dell’intero aggregato trasferimenti T+i(1-ti)B
pari a zero, e risolvere il problema in termini di dW=dB+dM.
[5]
dY/dG = 1/t
Esso indica di quanto deve aumentare il reddito perchè la variazione automatica del gettito
impositivo riporti il bilancio in pareggio: ignorando l’imposta sul consumo il moltiplicatore
sarebbe pari al reciproco dell’imposta sul reddito 1/t. Il termine dW/dG indica di quanto
aumentano gli stock di moneta e titoli a causa della manovra di bilancio, ovvero il
moltiplicatore di lungo periodo della ricchezza rispetto alla spesa pubblica.
Partendo da un equilibrio stazionario, quando non abbiamo free lunch, all’aumentare della
spesa abbiamo un deficit finanziato con titoli. Nel periodo successivo abbiamo un aumento
dello stock di ricchezza e di conseguenza un aumento dei consumi autonomi CwdW ed un
ulteriore aumento del reddito. Tale processo continua fino a che il nuovo livello di reddito
stazionario è raggiunto, il bilancio è in pareggio e quindi dW=0. In questo caso avremo un
moltiplicatore dW/dG positivo. In presenza di free lunch invece avremo inizialmente un
surplus di bilancio. Avremo una riduzione della ricchezza dW<0 con una conseguente
diminuzione del reddito fino al nuovo reddito di equilibrio. In questo caso avremo invece un
moltiplicatore dW/dG negativo. Tale equilibrio è dunque stabile.
Esaminiamo ora analiticamente la stabilità della manovra ed il segno del moltiplicatore.
Differenziando il vincolo di bilancio [1] nel punto di equilibrio otterremo W = dG -tdY e
facendo
riferimento
al
fatto
che
dY=(dY/dW)dW+(dY/dG)dG
e
dC=(dC/dY)[(dY/dW)dW+(dY/dG)dG]+CwdW possiamo scrivere:
[6]
∆W = - ty(dY/dW) dW + [1-t(dY/dG)]dG = 0
dove dY/dW = Cw/[1-Cy (1-t)] > 0 è l’effetto ricchezza (che possiamo ricavare dalla [3]) e
non esiste alcun effetto reddito, essendo costanti i trasferimenti complessivi. Possiamo così
affermare che il coefficiente di dW è negativo e quindi l’equilibrio è stabile. Infine ponendo
∆W=0 possiamo individuare il moltiplicatore dW/dG (presente nell’equazione [5]).
[7]
dW/dG = [1-ty (dY/dG)}/[(t(dY/dW)+Cw]
Esso sarà positivo quando 1-t(dY/dG)>0 non abbiamo free lunch.
4. Equilibrio di lungo periodo nel modello IS-LM
4a. Equilibrio di lungo periodo con trasferimenti costanti.
L’analisi precedente può essere illustrata nello schema IS-LM. In figura é rappresentato il
raggiungimento di una nuova posizione di equilibrio di lungo periodo partendo da un equilibrio
48
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
iniziale Y* passando ad un equilibrio di breve periodo Y’ per raggiungere grazie allo
spostamento della LM il nuovo equilibrio di lungo in Y°°.
Fig. 1
i
LM
Fig. 2
G, T
t Y -T -i(1 -t i )B/P
LM'
surplus
i^
G+dG
i*
G
IS'
deficit
IS
Y* Y^ Y°°
Y
Y* Y^ Y°°
Y
A fianco è illustrata la dinamica del bilancio che parte da una situazione di pareggio con il
livello di reddito iniziale Y* passando ad un deficit di breve periodo al livello Y’ per
raggiungere grazie alla crescita del reddito il nuovo pareggio in Y°°. Si noti altresì come nel
grafico per semplicità espositiva venga trascurato l’effetto ricchezza che produrrebbe ulteriori
spostamenti della IS all’aumentare dello stock di moneta.
Lo Stato può finanziare il deficit di lungo periodo con debito. Il risultato di tale politica é
illustrato nel grafico dove é la IS a spostarsi, al posto della LM, essendo il finanziamento con
debito. Il raggiungimento della nuova posizione di equilibrio di lungo periodo Y°°, partendo da
un equilibrio iniziale Y* passa per l’equilibrio di breve periodo Y’. A fianco è illustrata la
dinamica del bilancio che partendo da una situazione di pareggio con il reddito iniziale Y*
passa per un deficit di breve periodo al livello Y’ e raggiunge grazie alla crescita del reddito il
nuovo pareggio in Y°°. Anche in questo caso nel grafico per semplicità espositiva si trascura
l’effetto ricchezza che farebbe spostare la LM verso sinistra all’aumentare dello stock di
titoli.
Fig.3
i
LM
Fig.4
G, T
t Y -T -i(1 -t i )B/P
i°°
i^
i*
surplus
G+dG
IS"
G
IS'
deficit
IS
Y* Y^ Y°°
Y
Y* Y^ Y°°
Y
Il risultato è il medesimo salvo il caso monetarista. estremo quando il valore di (dY/dB) è
negativo (a causa di un effetto ricchezza perverso) e quindi a causa dell’instabilità il sistema
economico non raggiunge la situazione di equilibrio Y°° (spostandosi la LM verso sinistra con
una IS’ fissa) ed il reddito diminuisce all’infinito. Infine, nel caso di equivalenza ricardiana,
essendo dY/dB=0; rimanendo la IS’ fissa, si resta nell’equilibrio di breve periodo Y^ con un
deficit ed un’emissione di titoli costanti e continue.
49
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
Nel caso di finanziamento con moneta la stabilità, data l’equazione
∆M = - t (dY/dM) dM + [1-t(dY/dG)]dG = 0
[8]
richiede che il moltiplicatore del reddito rispetto alla quantità di moneta sia positivo ossia:
dY/dM > 0. Solo in questo caso infatti l’aumento dello stock di moneta ∆M farà aumentare il
reddito, ridurre il deficit e quindi ridurre ∆M progressivamente fino a zero (equilibrio nel
periodo medio-lungo).
Nel caso di finanziamento con creazione di nuovo debito essendo:
∆ B = - t (dY/dB) dB + [1-t(dY/dG)]dG = 0
[9]
la stabilità richiede che il moltiplicatore del reddito rispetto allo stock di debito sia positivo
dY/dB > 0, condizione automaticamente soddisfatta dal modello grazie all’effetto ricchezza
salvo i casi di equivalenza ricardiana e monetarismo estremo. Si noti infatti come essendo i
trasferimenti netti costanti operino i soli effetti ricchezza.
4b. Moltiplicatori di lungo periodo nel caso generale
Il valore unico del moltiplicatore di lungo periodo della spesa pubblica, indipendente dal
finanziamento (con moneta o con titoli), è dovuto alla costanza dei trasferimenti netti.
i
finanziamento con titoli
fig. 5
LM
fig. 6
G, T
t Y -T
-i(1 - ti ) B ° ° / P
t Y -T - i(1 -t i ) B * / P
IS"
i^
G+dG
i*
G
IS'
IS
Y
Y* Y^
Y* Y^
YB
Y
Y ° ° YB
In effetti supponendo T costante possiamo facilmente osservare come la grandezza del
moltiplicatore di lungo periodo dipenda dalle modalità di finanziamento del deficit.Come si
vede in figura l’incremento del reddito di equilibrio YM-Y*, derivante dall’aumento della
spesa pubblica finanziato con moneta, risulta minore di quello raggiungibile con il
finanziamento con titoli YB-Y*, essendo la variazione del servizio del debito i(1-ti)B inferiore
nel primo caso a causa sia del minore livello del tasso di interesse di equilibrio di breve e
lungo periodo, sia dell’ammontare del debito.
i
fig. 7
fi n a n z i a m e n t o c o n m o n e t a
LM
G, T
t y Y + T -T R - i ° ( 1 - t ) B ° / P
LM'
i^
fig. 8
ty Y +T-T R
-i * ( 1 -t ) B * / P
G+dG
i*
G
IS'
IS
Y
Y* Y^
YM
Y* Y^ Y
M
Y°°
Y
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50
Prima Versione.
Nel caso di equivalenza neo-ricardiana finanziando con moneta nel breve periodo la IS si
sposterà verso destra e partendo da una situazione di pareggio di bilancio si produrrà un deficit
che provocherà uno spostamento della LM verso destra essendo il deficit finanziato con
moneta. Per l’equilibrio di lungo periodo sarà quindi come prima richiesto che ∆M=0. Solo
quando finanziamo con titoli la variazione del reddito di equilibrio di breve periodo sarà
eguale a quella del reddito di equilibrio di lungo periodo essendo in questo caso la variazione
del reddito (e del saggio di interesse) derivante dall’emissione di titoli pari a zero. Di
conseguenza in questo caso saremo in equilibrio di lungo periodo con qualsiasi valore di ∆B e
non si porranno problemi di stabilità, avendosi coincidenza tra equilibrio di breve e lungo
periodo. Sicché il deficit potrà permanere all’infinito finanziato con titoli.25 Tuttavia ciò vale
solo qualora gli operatori si aspettino un aumento delle imposte sul reddito od una riduzione
dei trasferimenti e non altri tipi di manovre fiscali. Il caso di monetarismo estremo pone un
problema di stabilità ed implica un sufficiente aumento dello stock di moneta nel medio-lungo
periodo per scongiurare lo spiazzamento degli investimenti.
5. Deficit, debito, sostenibilità, inflazione e imposizione.
Nel seguito affronteremo nella prima sezione il problema della sostenibilità del debito in
un’economia in crescita, partendo dal contributo di Domar per giungere all’analisi di Sargent e
Wallace. Evidenzieremo così con maggiore precisione le grandezze in gioco ed i limiti
dell’utilizzo della sola politica monetaria. Nella seconda sezione considereremo in dettaglio il
problema della minimizzazione del servizio del debito pubblico attraverso lo strumento
impositivo nel breve in uno schema di equilibrio parziale.
5a. Deficit e debito nel lungo periodo: un approfondimento
I modelli teorici alla base delle correnti discussioni sugli effetti del debito sono piuttosto
complicati, dato il contesto di generazioni sovrapposte (overlapping generation) e la presenza
di funzioni di comportamento individuali di tipo massimizzanti. Tuttavia, le principali
intuizioni ed i termini generali del problema possono essere adeguatamente illustrati partendo
da ipotesi più semplici.
Il modello che prendiamo a riferimento è quello aggregato, con mercati in equilibrio, prezzi
flessibili ed una tecnologia a rendimenti di scala costanti. In generale tutte le grandezze sono
funzione del tempo j. Per semplicità scegliendo opportunamente l’unità di misura possiamo
eguagliare in ogni periodo j output (Y) e input (rappresentato dal lavo ro L) Y = L. Indicando
25
In un mondo dove i titoli del debito pubblico non rappresentano ricchezza, per i consumatori, non si pone
alcun problema di livello di debito di equilibrio essendo il suo livello completamente indifferente per gli
operatori. Ossia è indifferente che il deficit esista e venga finanziato con titoli o che venga eliminato
definitivamente con un aumento delle imposte dirette. (Nel caso particolare in cui si abbia perfetta sostituibilità
tra beni pubblici e di consumo privato il moltiplicatore della spesa pubblica sarà nullo nel breve e nel lungo
periodo.) Il verificarsi dell’equivalenza neo-ricardiana implica dunque un sostanziale mutamento dell’analisi di
lungo periodo essendo il moltiplicatore della spesa pubblica, quando il deficit è finanziato con moneta,
superiore a quando esso invece é finanziato con titoli del debito pubblico. E’ importante notare come il caso
neo-ricardiano quindi non solo riconduce il nostro modello a quello originale senza effetto ricchezza, ma inoltre
riduce l’efficacia del moltiplicatore della spesa pubblica al caso di manovra di bilancio in pareggio. Di
conseguenza pone un serio limite alla conduzione della politica fiscale attraverso tale strumento.
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
51
Prima Versione.
con ∆ il differenziale rispetto al tempo (ad es. ∆L =dL/dj) possiamo inoltre supporre che
l’offerta di lavoro cresca ad un ritmo costante g, che nel modello determina la crescita
dell’output.
[1]
∆L/L = ∆Y/Y = g
In presenza di una componente monetaria ipotizzeremo generalmente che valga la teoria
quantitativa della moneta, secondo la quale la quantità reale di moneta (M/P) dipende
unicamente dal reddito, ovvero M/P = kY. Il parametro k è quindi un dato; in particolare k è
indipendente dal livello del tasso di interesse r fissato esogenamente (ad esempio dai mercati
internazionali).26 Considerando tutte le variabili in quota sul reddito PY (ed in particolare il
rapporto debito/pil, b = B/PY) l’analisi può essere condotta sulla base del vincolo del
finanziamento del deficit e del comportamento delle autorità fiscali e monetarie, partendo dal
contributo di Domar del 1944 sull’onere del debito pubblico (The “burden of the debt” and
the national income) in presenza di debito pubblico fruttifero (ovvero considerando un
modello di economia reale in assenza di inflazione ed imposizione sui titoli i(1-ti)-π = i = r).
L’analisi di Domar
Quando gli interessi sul debito sono finanziati con un’imposta addizionale sul reddito tY,
[2]
∆B = dB/dj = s Y = G-T+(iB-tY) > 0
con s > 0
il deficit complessivo del bilancio pubblico sY = (G-T) è una quota costante del reddito
(essendo gli interessi pagati con l’imposta addizionale iB = tY) e viene finanziato con
emissione o riacquisto di titoli del debito pubblico a seconda che s sia positivo (deficit) o
negativo (surplus). Limitandoci al solo caso di deficit (s > 0) ciò implica l’esistenza di uno
stock di debito B crescente nel tempo j ed una spesa per interessi r B che può venire finanziata
con imposte aggiuntive sul reddito t Y. Se il debito cresce ad un tasso costante gb pari a g la
sua quota sul reddito b=B/Y si mantiene costante nel tempo così come l’aliquota t. La
sostenibilità del debito pubblico implica quindi l’esistenza di un’aliquota impositiva di
equilibrio t* costante (possibilmente minore del 100%) e la stabilità dinamica la tendenza
dinamica dell’aliquota a portarsi verso questo livello di equilibrio. In questo modello b
rappresenta la variabile endogena del sistema economico ed s lo strumento fiscale. La
variazione della quota del debito è pari alla quota del deficit s meno la riduzione della quota
del debito a causa della crescita del reddito:
[3]
∆b = s - g b
L’economia è in equilibrio quando la quota del debito si mantiene costante nel tempo.
Ovvero quando il rapporto debito/pil è pari a: b* = s/g. Sostituendo il valore di b* possiamo
riscrivere l’equazione dinamica più semplicemente come: ∆b = -g (b - b*)
Essendo -g il coefficiente di b negativo per un tasso di crescita g positivo possiamo
facilmente verificare graficamente come il sistema sia stabile. Infatti, per un livello corrente
del rapporto debito/pil superiore a quello di equilibrio (b’ > b*) la quota del debito pubblico
26
Ciò implica che la quantità di moneta detenuta dagli operatori in quota sul reddito (m = M/PY = k) sia
costante. In sostanza, come avremo modo di notare in seguito, si tratta solo di far valere nell’immediato con il
riequilibro del livello dei prezzi un aggiustamento che se graduale complicherebbe la dinamica del modello.
52
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
diminuirà nel tempo (∆b < 0). Viceversa, per un livello corrente inferiore a quello di
equilibrio (b” < b*) la quota del debito aumenterà nel tempo (∆b > 0). Poiché in ogni caso
essa tenderà al livello di equilibrio b* questo risulta dinamicamente stabile. Tale situazione
può essere facilmente rappresentata (vedi fig. 1a), ponendo sull’asse delle ordinate la
variazione nel tempo della nostra endogena ∆b e sull’asse delle ascisse il suo livello b. In
generale, l’equilibrio è localmente stabile se il coefficiente, che indica l’influenza dello
scostamento della variabile endogena sul suo aggiustamento nel tempo, è negativo. Ossia lo
scostamento di una endogena dalla posizione di equilibrio deve influenzare negativamente la
sua variazione nel tempo. L’evoluzione nel tempo della quota del debito è rappresentata in fig.
1b, ponendo sull’asse delle ordinate b (il rapporto debito/pil) e sull’asse delle ascisse il tempo
j.
∆b
fig.1b
b"
b*
b”
b’
b
fig.1a
∆b= s - g b
b*
b
b'
j
Quindi per arrivare ad un debito pari al 60% del pil (per come previsto dagli accordi
comunitari) partendo da un deficit complessivo del 3% è necessario un tasso di crescita del
5%. Con un saggio di crescita del 2,5% il debito tendenziale sarebbe invece il 120%.
Alternativamente, con una crescita al 2,5% per riportare la quota del debito pubblico di
equilibrio al 60% dovremmo ridurre il deficit complessivo al 1,8%.
Il livello dell’aliquota di equilibrio t* può essere facilmente ottenuto poiché t = rB/Y:
[4]
t* = i s / g = r s / g
(essendo i = r in assenza di inflazione)
In pratica, se il tasso di crescita è maggiore del tasso di interesse finanziando parte della
spesa pubblica con debito fruttifero siamo persino in grado di ridurre l’aliquota impositiva
complessiva di equilibrio essendo l’imposta addizionale inferiore al deficit (essendo tY<sY).
Introducendo un’imposta sugli interessi ti avremo t* = i(1-ti)s/g l’autorità fiscale può
ridurre l’aliquota addizionale sul reddito se non si ha traslazione; ovvero se il rendimento netto
del debito si mantiene costante (una questione verrà affrontata in maggior dettaglio nella parte
finale).
Passiamo ora ad esaminare un secondo modello in cui il servizio sul debito è finanziato con
emissione di nuovo debito e l’autorità mantiene costante il saldo primario:
[5]
∆B = sp Y + i B = G - T + iB > 0
In questo caso il deficit è una funzione crescente del livello del debito perché gli interessi
da pagare iB crescono all’aumentare dello stock del debito.
53
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
L’equazione dinamica, mostra ora come la variazione in quota del debito “∆b” sia pari al
deficit “sp”, più l’aumento della quota dato l’onere del debito pregresso “i b”, meno la
riduzione della quota dovuta alla crescita del reddito “g b”:
[6]
∆b = sp + i b - g b = sp -(g - i)b
L’economia sarà in equilibrio quando la quota del debito si mantiene costante nel tempo
∆b=0. Ovvero quando il rapporto del debito/pil è pari a: b° = sp/(g - i).
Sostituendo il nuovo termine b° nell’equazione dinamica avremo: ∆b = -(g - i)(b - b°)
L’equilibrio é quindi stabile in questo secondo modello solo se g > r essendo solo in tale
caso il coefficiente di b negativo. Infatti, per un livello corrente b’ del rapporto debito/pil
superiore a quello di equilibrio b° la quota del debito pubblico diminuirà nel tempo (∆b < 0).
Viceversa, per un livello corrente b” inferiore a quello di equilibrio b° la quota aumenterà nel
tempo (∆b > 0). Il processo dinamico si arresterà solo quando il rapporto debito/pil raggiunge
il valore di equilibrio b°.
Ove invece il rendimento del debito sia superiore al tasso di crescita r > g la dinamica del
debito divergerà dal livello di equilibrio b° che risulta dinamicamente stabile.
La due situazioni sono rappresentate in fig. 2a e 2b, ponendo sull’asse delle ordinate la
variazione nel tempo del rapporto debito/pil ∆b e sull’asse delle ascisse il suo livello b.
∆b
fig.2a
g>i
∆b
∆ b = sp-(g-i)b
∆ b = sp-(g-i)b
b"
b'
b*
fig.2b
g<i
b'
b
b*
b"
b
L’evoluzione nel tempo della quota del debito nelle medesime situazioni è rappresentata
nelle fig. 3a e 3b, ponendo sull’asse delle ordinate b (il rapporto debito/pil) e sull’asse delle
ascisse il tempo j.
In questo secondo modello, nel caso di equilibrio dinamicamente stabile partendo da b’ la
politica fiscale può raggiungere il rapporto desiderato b°, fissando opportunamente il saldo
primario al livello sp° = (g - i)b°. Ad es. mantenendo costante il deficit primario, per arrivare
ad un debito pari al 60% del pil (per come previsto dagli accordi comunitari) partendo dal un
saldo primario del 0,3% è necessario un tasso di crescita che superi del 0,5% la
remunerazione reale del debito pubblico.
In generale quando l’equilibrio risulta localmente instabile (per i > g) per stabilizzare il
livello del debito in quota sul reddito (mantenendolo invariato nel tempo al livello corrente b’)
l’autorità fiscale deve ridurre il saldo primario fino al valore sp’ = (g - i)b < 0. Invece, per
ridurre progressivamente il debito fino a raggiungere b° l’autorità fiscale deve ridurre il saldo
primario al di sotto del precedente livello sp’.
54
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
b
g>i
Prima Versione.
fig. 3a
b
b"
g<i
fig.3b
b"
b*
b*
b'
b'
j
Ad es. con un saggio di crescita inferiore del 2% alla remunerazione reale del debito
avremo una quota del debito tendenziale pari a 130% con un saldo primario di -2,6%. In questo
caso, il rapporto debito/pil tenderà a ridursi solo partendo da valori inferiori al 130% od a
permanere su tale valore se questo è il livello corrente.
Introducendo un’imposta sugli interessi ti il rendimento netto diviene i n = i(1-ti). Se non si
ha traslazione, l’autorità fiscale può essere in grado di aumentare il livello del saldo primario
sp’ o addirittura di rendere il sistema dinamicamente stabile, facendo scendere il rendimento
netto al di sotto del saggio di crescita. Alternativamente, per migliorare la situazione,
l’autorità fiscale può cercare di aumentare la crescita economica del sistema, conclusione per
la quale propendeva Domar.
Finanziamento del deficit, stabilità e valori di equilibrio.
Considerando l’eventuale presenza di variazioni nei prezzi possiamo sviluppare il secondo
modello di Domar riscrivendo il vincolo di bilancio in termini nominali come:
[7]
∆M + ∆B = sp P Y + i (1-ti) B
Dividendo entrambe i lati della precedente equazione per il reddito nominale avremo:
[8]
∆M/P Y + ∆B/P Y = gm m + gb b = sp + i (1-ti) B/P Y
dove m = M/PY e b = B/PY sono le quote di moneta e titoli sul reddito, mentre gm= ∆M/M e
gb= ∆B/B indicano rispettivamente il tasso di crescita dello stock di moneta e di titoli. La
variazione del reddito monetario nel tempo g = π + gy è funzione del tasso di crescita dei
prezzi π = ∆P/P e del reddito reale gy.27
27
In questo caso più generale lo Stato, emettendo moneta (una forma di debito non fruttifero), si appropria di
risorse reali dell’economia pari all’incremento dello stock di moneta detenuto dagli operatori. Tecnicamente in
ogni periodo gode di un signoraggio pari alla crescita reale dello stock di moneta gmM/P; ovvero gmm in
quota sul reddito. In generale lo stock reale di moneta M/P detenuto dagli operatori decresce al crescere del
saggio di inflazione atteso (e quindi per valori maggiori di gm), sicché il signoraggio è una funzione prima
crescente (fino al livello massimo g°m) e poi decrescente di gm. Tale situazione non si verifica se il parametro
k è costante. In questo caso lo Stato può sempre aumentare il signoraggio accrescendo l’offerta di moneta e
quindi il tasso di inflazione. E’ utile segnalare inoltre come, se vale la teoria quantitativa della moneta, anche
nel breve periodo (e non solo nell’equilibrio di lungo) avremo m = 0 e quindi gm = gy + π. Infine, crescendo il
reddito al saggio gy il signoraggio è inoltre maggiore dell’imposta inflazionistica (pari alla svalutazione dello
stock reale πM/P); le due grandezze coinciderebbero invece in un’economia stazionaria (gy = 0).
j
55
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
Per esaminare l’evoluzione di b esplicitiamo il comportamento delle autorità, considerando
l’ipotesi di crescita dello stock di moneta a tasso gm è costante nel tempo.
gm m + ∆b + ( π + gy) b = sp + i (1-ti) b
[9]
Dal precedente vincolo di bilancio otteniamo l’equazione della crescita di b.
[10]
∆b = s - gm m + [i(1-ti)-(π
π + gy)] b = s - (π
π + gy)m + (r - i t i - gy) b
In questo modello la condizione di stabilità richiede che i(1-ti)-(π
π +gy) sia positivo. Ovvero
il tasso di crescita dell’economia deve essere maggiore del tasso di interesse reale netto gy >
i(1-ti)-π
π . Come già visto, nell’equilibrio di lungo periodo avremo ∆b=0 e gm=π
π +gy sicché
dalla [10] otterremo una quota di titoli pubblici di equilibrio pari a:
[11]
b* = [s - (π
π + gy) m*]/[gy - (i(1-ti)-π
π )] b
L’ipotesi appena presa in esame considera una regola tipicamente monetarista che implica
di norma l’indipendenza dell’autorità monetaria da quella fiscale. In particolare, se vale la teoria
quantitativa della moneta, l’autorità monetaria fissando il livello di crescita dello stock di
moneta gm decide il tasso di inflazione del sistema economico π e (dato il saldo primario sp e
l’aliquota impositiva ti) l’incremento dello stock dei titoli pubblici ∆b. In particolare, se la
remunerazione reale netta del debito è costante (o decrescente) al crescere dell’inflazione, a
valori più elevati di gm corrisponde una crescita minore del debito e valori più elevati
dell’inflazione. Se la remunerazione reale netta del debito decresce al crescere di π la scelta
dell’autorità monetaria può influenzare la stabilità dinamica del sistema economico. Infine in
situazioni di stabilità dinamica l’autorità monetaria influenza anche la quota di equilibrio del
debito.
Se invece ipotizziamo che la quota di deficit finanziata con titoli β sia costante sicché β
[sp+i(1-ti)b] = ∆B/PY. In particolare da questo deriva che il rapporto tra le variazione dello
stock di moneta e dello stock di titoli γ = (1-β
β )/β
β = ∆M/∆B > 0 sia costante; avremo quindi:
[10’]
[∆b + (π + gy) b]/β = sp + i (1-ti) b
Otteniamo così l’equazione della crescita della quota di titoli pubblici:
[10”]
∆b = sp β + [i(1-ti)β -(π
π + gy)] b
A parità di rendimento reale netto, la condizione di stabilità è ora meno stringente
richiedendo rispetto al caso precedente solo che i(1-ti)β-(π+gy) < 0 ossia gy > i(1-ti)β -π il
che implica che il tasso di crescita dell’economia sia maggiore di una quantità minore del
tasso di interesse reale netto. Essendo, come già visto nel lungo periodo ∆b=0 e gm=π
π +gy
dalla [11] otteniamo la quota di titoli di equilibrio pari a:
[11’]
b* = s/{gy/β
β - [i-π
π /β
β ]}
[11”]
m* = γ b* = γ s/{gy/β
β - [i-π
π /β
β ]}
e quella di moneta pari a:
E’ chiaro come le due condizioni di equilibrio in steady state siano sostanzialmente
equivalenti. Infatti inserendo il valore di m* determinato dalla [11”] nella [11] otterremo un
valore di b* pari a quello della [11’]. Sicché nell’equilibrio di lungo periodo esiste un valore
fisso di γ anche con la regola precedente.
56
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
L’analisi precedente ci permette di esporre sinteticamente le conclusioni raggiunte da
Sargent e Wallace nell’articolo “Some unpleasant monetarist arithmetic” del 1981 che
evidenzia l’interconnessione tra politica fiscale e monetaria. Per semplificare l’analisi
supponiamo che non vi siano imposte sui titoli e che il tasso di interesse reale i-π sia costante
e pari ad r.
In particolare supponiamo che nel caso in esame la condizione di stabilità non sia
soddisfatta (ossia il tasso di crescita sia inferiore alla remunerazione del debito pubblico) e
che l’autorità monetaria adotti la regola monetarista con crescita dello stock monetario a
tasso costante, mantenendo l’inflazione ad un dato livello. Sulla base dell’equazione [10] in
presenza di un disavanzo primario costante (e/o di un elevato stock di debito; s + (r - gy)b >
gm m) ciò implica una crescita esponenziale della quota del debito pubblico.
∆b = s - (π + gy) m + (r - gy)b
[12]
Chiediamoci ora cosa succede se ad esempio (per rispettare il dettato di trattati comunitari
o le indicazioni di organismi internazionali quali il fondo monetario) a partire da una certa data
sia necessario bloccare la crescita della quota di debito pubblico ∆b = 0, pur rimanendo
invariato il disavanzo primario. Risolvendo rispetto a π, vediamo come esiste un tasso di
inflazione π’ di equilibrio (e di conseguenza una crescita costante dello stock monetario g’m
= π’ + gy) tale da mantenere costante la quota del debito pubblico sul pil. In particolare
avremo:
π’ = s/m - gy + (r - gy)b/m
[13]
Si noti come il tasso di inflazione di equilibrio è tanto più elevato quanto maggiore è il
livello raggiunto dallo stock del debito pubblico ereditato dal passato.
In sostanza, nel modello in esame, una politica monetaria inizialmente più restrittiva (ossia
un livello iniziale minore di gm) ridurrà inizialmente il livello di inflazione (π = gm - gy), ma
provocando una maggiore crescita dello stock di debito (spostandosi in fig. 4a la traiettoria da
b’ a b”), condurrà nel futuro ad un tasso di inflazione permanente maggiore.
Del tutto simile il caso invece in cui (come nel modello originale di Sargent e Wallace)
esista un livello massimo di debito in quota sul pil b* che gli operatori sono disposti a
detenere. La quota massima di debito b* sarà raggiunta in un tempo più breve (in fig. 4b j”
invece che j’) se le autorità monetarie adotteranno inizialmente una politica più restrittiva
(ossia un livello iniziale minore di gm). Quindi perverremo prima alla situazione finale con
una quota di debito b* ed un tasso permanente di inflazione elevata.
b
fig. 4a
fig. 4b
b
b"
b"
b*
b"
b'
b'
b'
b¡
b¡
j*
j
j"
j'
j
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57
Prima Versione.
Di conseguenza nel modello in questione, se non si modifica il livello del saldo primario
sp, non c’è modo di ridurre in modo permanente l’inflazione con la sola politica monetaria.
Esiste un trade-off tra un livello minore di inflazione oggi ed uno maggiore per il futuro, a
meno che non si riduca il livello del saldo primario con la politica fiscale.28
I limiti della sola politica monetaria indicano la necessità di condurre un’idonea politica
fiscale volta ad una opportuna determinazione del saldo primario (o complessivo) e ad
influenzare il livello della remunerazione reale netta del debito. Nella successiva sezione
esamineremo approfonditamente quest’ultimo aspetto della politica fiscale, ovvero le
conseguenze dell’imposizione sugli interessi del debito pubblico.
5b. Il trattamento impositivo dei titoli pubblici
L’analisi del trattamento impositivo dei titoli pubblici va collocata in un più ampio contesto
dottrinale. La scuola italiana ha riscoperto la possibilità teorica della cosiddetta “equivalenza
ricardiana” e ne ha esplorato analiticamente il contenuto economico attraverso i contributi di
Ricca Salerno, Loria, Pantaleoni, De Viti De Marco e Griziotti. Ovviamente se accettiamo
l’equivalenza, essendo il debito pubblico mera una partita di giro, il trattamento degli interessi
dei titoli pubblici diviene un problema privo di rilevanza.29 Tale possibilità é inoltre
usualmente scartata da gran parte degli economisti moderni, che ipotizzano (come Sargent e
Wallace) un tasso di crescita inferiore od eguale a quello di interesse. Inoltre il ragionamento
base trascura, come evidenziato da alcuni dei precedenti studiosi, la presenza di problemi
redistributivi all’interno della collettività. Sviluppando tali tematiche si fa strada la teoria della
non-equivalenza (tra imposte e debito) e della minore pressione rispetto all’imposta.30
Una volta stabilita la non neutralità del debito sorge il problema del suo onere. In
particolare per quanto riguarda l’imposta sugli interessi si apre la questione se in presenza di
un unico tipo di soggetto tributario essa non si configuri come una pura e semplice partita di
giro. In sostanza, seguendo il ragionamento di Einaudi, quando gli operatori privati e pubblici
sono sufficientemente razionali da considerare solo gli interessi al netto dell’imposizione é
ovvio come un aumento dell’aliquota impositiva provochi unicamente un incremento degli
28
Naturalmente, ciò è vero solo quando la condizione di stabilità non è soddisfatta (il tasso di crescita sia
inferiore alla remunerazione del debito pubblico). Inoltre in modelli più complessi dove la domanda di moneta è
funzione del tasso di interesse e di inflazione è possibile che una politica monetaria più restrittiva oggi abbia
effetti perversi aumentando da subito il tasso di inflazione. In pratica, sapendo che l’inflazione aumenta (e così
il costo di detenere moneta) gli operatori tenteranno di ridurre da subito le scorte monetarie. La conseguente
diminuzione di k provoca di conseguenza un aumento dei prezzi.
29
Un’ipotesi implicita nello schema ricardiano (che evidenzia come una modificazione del profilo temporale
del reddito non muti il vincolo di bilancio intertemporale di un operatore) é il presupposto che occorra scegliere
tra imposte presenti o future data la necessità di pagare l’onere del debito pubblico con nuove imposte (e
rimborsarne alla fine l’importo) non essendo possibile finanziare in perpetuo gli oneri del debito pubblico con
nuovo debito (che non verrà mai rimborsato).
30
Ciò é argomentato ad esempio nella teoria del regime democratico-concorrenziale di De Viti De Marco nel
quale l’onere del debito deve necessariamente essere più che controbilanciato dalla utilità della spesa pubblica
che esso va a finanziare e l’indebitamento dalla possibilità di redistribuire più equamente il carico tributario
complessivo tra le diverse classi sociali e generazioni (che beneficiano della spesa). Considerazioni in gran
parte riprese dalle moderne teorie economiche (dei nuovi classici) che in presenza di imposte distorsive
tendono a vedere con favore una manovra abbastanza graduale delle aliquote (fiscal smoothing) a copertura
del deficit di bilancio.
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58
Prima Versione.
interessi lordi sulle obbligazioni pubbliche, fermi restando gli interessi al netto
dell’imposizione. A parte un ovvio ragionamento basato sull’arbitraggio con altre attività
finanziarie possiamo giustificare tale posizione con un semplice ragionamento. Se in
corrispondenza di una data quantità di titoli del debito pubblico esiste un saggio netto di
equilibrio (funzione decrescente della quantità di titoli) per cui gli operatori sono disposti a
detenerne l’intera quantità un aumento dell’aliquota impositiva provocherà, dato il saggio di
interesse lordo sulle obbligazioni pubbliche, un eccesso di offerta dei titoli stessi che si
riequilibra solo quando il saggio di interesse netto ritorna al livello precedente e l’incremento
di quello lordo copre l’aumento della pressione impositiva. Il ragionamento naturalmente si
complica in presenza di attività finanziarie aventi saggi di interesse netti ineguali, data la
diversa rischiosità a causa dell’effetto distorsivo dell’imposta sul reddito. Inoltre in generale
il ragionamento non é più valido in presenza di un’imposta personale progressiva sul reddito
data la presenza di aliquote marginali diverse per i soggetti con redditi complessivi diversi.
Tralasciando i precedenti ragionamenti e riprendendo il pensiero di De Viti De Marco
possiamo concludere che nel periodo anteguerra l’economia finanziaria giunge alle seguenti
posizioni vanno a favore dell’imposta vigente sugli interessi del debito pubblico.
- Seguendo la logica economica gli interessi sul debito pubblico devono essere soggetti alla
medesima imposta degli interessi privati che essi sostituiscono (salvo il problema della
diversa rischiosità).
- Non esiste in realtà una effettiva partita di giro stabile nel tempo poiché la parità iniziale tra
titoli esenti e non esenti si modifica qualora si accresca l’aliquota impositiva, sicché i titoli
esenti godono in concreto quantomeno di un privilegio tributario (certezza di trattamento)
rispetto agli altri.
- Nella realtà esiste inoltre il pericolo di abuso da parte dello Stato, che manovrando
l’aliquota impositiva nasconderebbe eventuali problemi di insolvenza. L’esenzione
rappresenterebbe in realtà quindi l’unica possibile situazione per i governi poco affidabili.
Conclusa la digressione sulle teorie anteguerra può essere utile ripercorrere brevemente le
tappe del dibattito contemporaneo, prima di esaminarne gli aspetti analitici della recente
letteratura. Il dibattito contemporaneo trae la sua origine dai contributi di Paladini e
Bernareggi nel 1985 che precedono di un anno la legge n. 759 del 1986 che assoggetta i titoli
di nuova emissione ad una ritenuta alla fonte. La discussione successiva, vede quale
protagonisti anche studiosi di grande livello quali Spaventa prima e poi Sylos-Labini.
Rispetto alle discussioni anteguerra abbiamo innanzitutto una differenza sostanziale, i.e.
quantomeno due soggetti tributari distinti (persone fisiche e giuridiche) e dal 1985 la parziale
esenzione delle persone fisiche. Sotto tale aspetto i primi lavori e l’approfondimento dovuto a
Spaventa hanno l’indubbio merito di sgombrare il campo alla teoria della “partita di giro”.
Nel 1987 assistiamo alla riformulazione della teoria della “partita di giro” ad opera di
Denicolò e Galli, che applicano al problema la teoria dell’ottima (o la discriminazione di 3°
grado). Infatti, se ipotizziamo due domande indipendenti rispetto ai rendimenti netti dei titoli,
possiamo facilmente dimostrare come in corrispondenza al minimo onere del debito pubblico
esista un rapporto ottimale tra i rendimenti netti e che alla domanda più rigida corrisponda il
rendimento netto minore (ovvero l’aliquota impositiva maggiore). Ciò che in realtà importa
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59
Prima Versione.
(per minimizzare la somma degli interessi netti) è il rapporto tra i rendimenti netti dei due
operatori. Sicché la partita di giro vale rispetto a manovre che mantengono invariato il
rapporto poiché l’onere non muta.
La successiva analisi di Sylos Labini sugli effetti macro dell’imposizione sui titoli pubblici
infine mostra come, in presenza di una domanda rigida delle persone giuridiche (circostanza
secondo lui vicina alla realtà italiana), sia possibile invece il verificarsi per lo Stato di un
aumento dell’onere del servizio del debito pubblico, ovvero una perdita secca. 31
Aumentano quindi le spese nette per interessi pagate dal settore pubblico e il deficit,
mentre l’inflazione colpisce i privati e l’aumento degli oneri finanziari riduce gli investimenti.
Ciò implica una perdita netta globale per lo Stato e per la collettività nazionale.
Poiché i privati pretendono lo stesso rendimento reale netto l’introduzione dell’imposta
provoca unicamente un aumento degli interessi nominali. Ciò implica però un maggior onere
per lo Stato perché le persone giuridiche (banche e imprese) percepiscono interessi reali netti
maggiori non essendo mutata la loro aliquota. L’aumento del tasso di interesse lordo dei titoli
pubblici (dato il ruolo guida esercitato dal tasso sui BOT nell’attuale sistema economico)
causa un innalzamento generale dei tassi (specie quelli delle banche). Si innesta a questo punto
un processo perverso perché le banche aumentano i rendimenti dei depositi ed il costo del
finanziamento alle imprese. Questo fenomeno genera spinte inflazionistiche sia dal lato della
offerta (attraverso il trasferimento degli oneri finanziari sui prezzi da parte delle imprese) che
dal lato della domanda (aumentano i consumi poiché gli interessi costituiscono reddito
disponibile) che a loro volta si ripercuotono sui tassi, attraverso l’identità di Fisher. I privati
pretendono un rendimento più elevato dei titoli pubblici e le imprese trasferiscono l’aumento
del costo del finanziamento sui prezzi. I tassi di interesse crescono quindi a causa
dell’aumento dell’inflazione. Si crea così un circolo vizioso tra interessi ed inflazione.
Ciò evidenzia come l’attuale sistema impositivo cedolare sugli interessi nominali sia
distorsivo e penalizzi il gettito impositivo. Dati anche dei vincoli posti dagli accordi europei si
impone il problema complessivo di un sistema impositivo che assicuri maggior gettito e
riduca le interferenze non desiderate con i comportamenti del libero mercato.
In conclusione l’elegante riformulazione analitica della partita di giro è poco convincente
sotto il profilo operativo per una serie di ragioni:
- L’aliquota sulle persone giuridiche si applica ad una base impositiva più ampia di quella
costituita dai soli interessi sui titoli pubblici per evitare perdite di gettito e distorsioni. (Lo
stesso dovrebbe naturalmente valere per quella sulle persone fisiche).
- Anche rimanendo nell’ambito della logica del modello, se gli operatori non soffrono di
illusione monetaria essi prendono in considerazione il saggio di interesse netto reale; in
31
Dopo aver posto eguale a zero l’elasticità della domanda delle persone giuridiche egli prosegue la sua
analisi nell’ambito dell’equilibrio macroeconomico. Nel precedente modello di equilibrio parziale un’elasticità
nulla della domanda delle persone giuridiche avrebbe indotto le autorità fiscali a fissare un’aliquota nulla sulle
persone fisiche, al fine di massimizzare il gettito. Infatti ad un aumento dell’aliquota sulle persone fisiche
sarebbe seguito un aumento dell’onere del debito pubblico, pari alla crescita “degli interessi lordi di cui
beneficiano le persone giuridiche, al netto dell’imposta che esse comunque pagavano” Spaventa (1987) p.15.
Su tale base lo stesso Spaventa, il principale sostenitore del beneficio netto, non avrebbe difficoltà a divenire
un esponente della teoria della perdita netta. Sicché in tale ottica una tassazione del reddito da interessi delle
persone fisiche comporta sicuramente un aumento dell’onere del debito pubblico.
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60
Prima Versione.
questo caso il rapporto ottimale tra le aliquote sugli interessi nominali dipende dal saggio di
inflazione.
- L’interdipendenza tra le domande di titoli e la presenza di aliquote impositive differenti apre
il campo ad una serie di arbitraggi a danno dell’erario che vede ridursi il proprio gettito.
Sorge così l’esigenza di unificare tali aliquote.32
In vista della creazione di un mercato europeo dei capitali l’attuale sistema impositivo
cedolare sugli interessi nominali risulta distorsivo e penalizzante. Si pone quindi il problema
complessivo di riformare il sistema impositivo (compreso il trattamento delle persone
giuridiche) in modo di assicurare maggior gettito e ridurre le interferenze con i
comportamenti dei privati. Siamo così passati alla prospettiva europea che implica una
riduzione del debito al 60% e l’azzeramento del deficit. Il raggiungimento di tali obiettivi,
seguendo modalità non fittizie, richiede chiaramente (oltre che tagli nelle spese ed un
aumento come si suole dire della loro produttività) un serio sistema impositivo. Pochi paesi
possono permettersi perdite di gettito date le precedenti condizioni sul deficit e sul debito
pubblico. Per giungere ad un effettivo federalismo fiscale europeo (non un’Europa di elusori
ed evasori) sarebbe quindi auspicabile la presenza di una cintura di sicurezza fornita dalle
imposte di acconto assieme ad una progressiva uniformazione dei sistemi impositivi.
Naturalmente, una struttura fiscale federale correttamente armonizzata sarebbe molto utile;
essa tuttavia, come dimostra l’esistenza di seri problemi reali che si incontrano tuttora in paesi
quali gli Stati Uniti che hanno avuto un lungo tempo per procedere su tale strada, non é un
risultato raggiungibile nel breve periodo. Un tale obiettivo non deve perciò essere un alibi per
la costruzione di strutture fiscali valide ed equilibrate da parte dei singoli Stati. Ciò vale in
particolare per le imposte sui redditi da capitale. In particolare, pur non riscontrandosi delle
precise e valide obbiezioni alla imposizione sugli interessi reali ed al loro inserimento
nell’ambito dell’imposta personale progressiva, le resistenze ad un sistema indicizzato
sembrano ancora oggi insormontabili.
Appendice A: Spesa pubblica, debito e comportamenti strategici
Recentemente si è sviluppato un interesse crescente attorno al tema della politica fiscale
vista in un’ottica intertemporale come un gioco di strategie tra policy makers e contribuenti
ed ai concetti di commitment, coerenza, credibilità, equità oltre che alla reputazione del
policy maker ed al problema dell’inconsistenza temporale. Non sempre è vantaggioso per
l’autorità pubblica far divergere la strategia fiscale e finanziaria da quella inizialmente ottima;
ad es. rinnegando promesse, poiché tale possibilità incentiva comportamenti anomali.
32
E’ chiaro quindi come l’attuale sistema impositivo cedolare sugli interessi nominali risulti fortemente
distorsivo. La manovra isolata di una singola aliquota può essere pericolosa e controproducente. Una
soluzione indicata da Sylos Labini consiste nell’assoggettare all’imposta personale progressiva gli interessi
reali. Rimanendo ancorati al sistema d’imposizione nominale si potrebbe tornare indietro riportando l’aliquota
dal 12,5% a zero. Non é detto che le banche seguirebbero autonomamente un’eventuale inversione di
corrente riducendo i saggi di interesse. Inoltre se gli operatori si attendono che dopo un breve periodo i loro
titoli verranno assoggettati all’imposta essi pretenderanno un rendimento più elevato per scontare tale onere
futuro.
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61
Prima Versione.
Data la complessità dell’argomento esamineremo in termini molto semplificati la
determinazione della spesa pubblica in beni pubblici durevoli e del debito quando il policy
maker massimizza il benessere collettivo mostrando come le aspettative sulla politica fiscale
condizionino i comportamenti degli operatori economici. Il modello, partendo dalle moderne
teorie economiche (dei nuovi classici) consente di evidenziare come in first best l’ammontare
del debito pubblico sia indifferente mentre in second best (con imposte distorsive) vi sia un
livello ottimo del debito che consenta di redistribuire più efficientemente le distorsioni del
carico tributario complessivo tra i due diversi periodi (essendo preferibili mutamenti minimi
nelle aliquote “fiscal smoothing” a copertura delle spese pubbliche).
Prendiamo in considerazione n operatori identici, che consumano e lavorano nel corso di
due periodi in un’economia senza capitale privato, sicché un’unità di consumo e di bene
pubblico è prodotta da un’unità di lavoro (Ci = Li; Gi = Li). L’autorità dispone sia di imposte in
somma fissa (T1 e T2), che sul lavoro, aventi aliquote non necessariamente identiche (t1 e t2).
Ogni operatore può lavorare in entrambi i periodi. Inoltre egli può trasferire ricchezza dal
primo periodo al secondo comprando titoli del debito pubblico B che fruttano un interesse
reale r. Tuttavia esiste la possibilità, se il governo non mantiene i propri impegni, che il
montante(1+r)B sia assoggettato ad imposta (al limite confiscatoria g = 0).
Per semplicità ipotizziamo che la funzione di utilità del consumatore j sia di tipo quasi
lineare e non dipenda dalla quantità di titoli sottoscritti BJ, ma dal proprio consumo C e lavoro
L nei due periodi e dalla disponibilità complessiva del bene pubblico di consumo durevole.
[1]
U(C1, C2 , L1, L2, G1, G2) = C1 + C2 -u(L1) -u(L2) +v(G1) +v(G1+G2)
v(0)>1,
v’>0,
v”<0
La massimizzazione dell’utilità è soggetta ai seguenti vincoli di bilancio nei due periodi.
[2]
[3]
C1 + BJ = L1(1-t1) - T1
C2 = g(1+r)Bi + L2(1-t2) - T2
I vincoli del policy maker coincidono con quelli del bilancio pubblico, che impone che la
spesa pubblica sia finanziata con imposte e debito.
[4]
[5]
G1 = B + n L1t1 + n T1
G2 + g(1+r)B = n L2t2 + n T2
Possiamo innanzitutto evidenziare come, data la struttura delle preferenze, in equilibrio la
remunerazione reale del debito pubblico sarà nulla r = 0.
First best. In presenza di imposte in somma fissa T1 e T2 il livello ottimale delle altre imposte
sarà pari a zero onde evitare oneri in eccesso dovuti ai loro effetti distorsivi t1 = t 2 = 0 e non
vi sarà motivo di assoggettare il debito ad imposta g = 1. Nel caso di imposte in somma fissa
la soluzione ottimale sará identica alla condizione di Samuelson per i beni pubblici ed
implicherá G1 = G1*; G2 = 0.
[6]
n v’(G1) + n v’(G1+G2) = 1
ovvero 2v’(G1) = 1/n
La soluzione ottima implica inoltre una completa indifferenza nella distribuzione temporale
delle imposte e non vi sarà alcun incentivo da parte del policy maker a offrire quantità
specifiche di debito nè a venir meno ai propri impegni nel secondo periodo.
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[7]
[8]
62
Prima Versione.
G1 = B + n T1
B = n T2
Second best: Escludendo la praticabilità di imposte in somma fissa, la regola di Ramsey
impone un’eguaglianza delle due aliquote impositive t1 = t2 = t, dato che l’offerta di lavoro ha
eguale elasticità nei due periodi.
fig. 1
u'(L)
u'(L)
1
t{
1 -t
d
L^
L*
L
In questo modo si eguaglierà l’eccesso di pressione marginale per unità di gettito λ1 = λ2 =
λ. In figura é illustrata l’offerta di lavoro L e come la presenza dell’imposta comporti una
riduzione del lavoro ed una distorsione pari alla perdita di benessere indicata dal triangolo d.
Con imposte distorsive il costo di un’unità di gettito è 1+λ >1 e la condizione di ottimo:
[9]
n v’(G1) + n v’(G1+G2) = (1+λ) > 1
ovvero 2v’(G1) = (1+λ)/n
il che comporta una minore spesa pubblica G1 = G°1 < G*1; G2 = 0. Sarà quindi ottimo
ricorrere al debito pubblico per redistribuire il carico fiscale tra il primo ed il secondo
periodo. Ciò implica:
[10] G1 = B + n t L1
[11] B = n t L2
Third best. In assenza di commitment, il governo può riconsiderare la politica fiscale all’inizio
del secondo periodo e decidere di non rispettare l’impegno relativo al debito pubblico. Infatti,
il governo ha un incentivo a far sì che le attività finanziarie B siano assoggettate ad imposta
(od al limite che il debito pubblico venga ripudiato g=0) in modo da evitare la distorsione
implicita in un’aliquota t2 positiva. Conoscendo tale possibilità tuttavia nessuno acquisterà
titoli del debito pubblico e la spesa dovrà essere finanziata interamente con imposte sul lavoro
nel primo periodo.
[12] G1 = n t 1L1
Siamo cosí di fronte ad una condizione peggiore di quella realizzata in presenza di capacità
di commitment. In tale situazione può anche essere ottimo finanziare ulteriore spesa pubblica
G2 > 0 quando v’(G1+G2) > 1 riscuotendo imposte distorsive sul lavoro nel secondo periodo.
Poiché gli operatori non sottoscrivono titoli del debito pubblico bisogna finanziare la spesa
periodo per periodo, anche se resta ottimo spendere di più su G1 perché rende servizi in
entrambi i periodi (mentre G2 compare solo nel secondo periodo), come si vede dalle
condizioni di ottimo (quando G2>0).
63
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
[13] 2v’(G1) = (1+λ1)/n
[14] v’(G1+G2) = (1+λ2)/n
Prima Versione.
ovvero 1/n < v’(G1+G2) < 2v’(G1)
In generale avremo G°1>G°2 e la spesa complessiva sarà inferiore al livello con debito
pubblico. In particolare G^1 > G°1 perché tutto il peso di G1 grava sul lavoro del primo periodo
G1 = n t 1L1. Non avremo spesa nel secondo periodo quando v’(G^1) > 1/n.
v'(G)
fig. 2
v'(G)
2v'(G)
fig. 3
2v'(G)
1/n
G°
1
G^
1
G*
1
G
G°
1
G°
G^
1
G*
1
G
Esiste tuttavia un margine maggiore per aumentare la spesa pubblica nel secondo periodo,
essendo in questo caso più probabile che si verifichi la relazione 1/n < v’(G1+G2) (come
rappresentato in fig.). Questa risulta comunque una soluzione inferiore dal punto di vista del
benessere collettivo e, visto che la spesa nel secondo periodo comporta un’utilità sicuramente
inferiore, il livello della spesa pubblica ne rimane influenzato negativamente. In figura (dove
G°=G°1+G°2) sono illustrate e confrontate le tre diverse situazioni ed emerge con evidenza la
riduzione del livello di spesa pubblica. In un gioco ripetuto il policy maker può arrivare al
second best ovviando alla mancanza di commitment con la reputazione di moderazione e
rispetto degli impegni assunti. Alternativamente si può porre istituzionalmente g=1 come
vincolo di equità.
Appendice B: Imposizione sugli interessi e onere del debito pubblico.
Nel seguito riesamineremo, in termini analitici, la recente letteratura relativa alla
imposizione sugli interessi del debito pubblico, con speciale riferimento alle analisi di
equilibrio parziale. Verranno poi considerate funzioni di domanda dei titoli pubblici più
sofisticate e una possibilità elementare di arbitraggio al fine di avvicinare l’analisi al mondo
reale. Dalla ricerca di un sistema di aliquote “ottimali”, col solo obiettivo limitato di
minimizzare il disavanzo, verrà infine evidenziato (estendendo anche l’analisi in termini
macro) come gli interessi reali possano essere preferibili quale base imponibile e come debba
essere attentamente considerato il problema della neutralità tributaria.
Il modello di equilibrio parziale
Nell’analisi di equilibrio parziale si considerano due categorie di possessori di titoli del
debito pubblico: le persone fisiche (rentiers) e quelle giuridiche (società di capitali),
sottoposte a un regime impositivo con aliquote differenziate sugli interessi dei titoli pubblici
(rispettivamente tr e ts). Nella realtà italiana tr è l’aliquota della cedolare secca sostitutiva
delle altre imposte, relativa alle persone fisiche, e ts l’aliquota derivante dall’imposizione
64
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
sulle società. In tale modello i due operatori si trovano quindi di fronte a rendimenti nominali
netti differenti, ma dipendenti entrambi dal rendimento nominale lordo dei titoli pubblici.
Considerando le domande di titoli pubblici dei due operatori, funzioni dei rispettivi
rendimenti nominali netti dei titoli pubblici, in presenza di domande non perfettamente rigide,
il variare di una aliquota (o l’introduzione di un prelievo inizialmente assente) modificherà la
domanda degli operatori colpiti dall’imposta e quindi il rendimento nominale lordo. Di
conseguenza per determinare l’onere di equilibrio del debito bisognerà tener conto di
entrambe le domande di titoli. Il problema si riduce a quello di esaminare come sia possibile:
1) aggregare le domande dei due operatori privati, 2) derivare graficamente le quantità
domandate dai due operatori ed il rapporto impositivo ottimale.
Nel seguito per pervenire ad una esposizione grafica (senza perdita di generalità)
r
s
consideriamo due domande di titoli espresse in forma logaritmica con elasticità (Eg, Eg)
j
j
j
j
j
costante rispetto ai rendimenti nominali netti ig = ig(1-tj): ln Bg = ln A + Eg ln ig. Partendo
j
j
j
j
j
dalle funzioni inverse di domanda ln ig = (1/Eg) ln Bg - (1/Eg) ln A é possibile costruire le
singole curve di domanda per ogni operatore ponendo rispettivamente il logaritmo del tasso
nominale netto d’interesse (ln i) sulle ordinate e la quantità domandata (B) sulle ascisse.
L’offerta di titoli pubblici (pari a Bg) viene ipotizzata rigida rispetto al saggio di interesse e
pertanto rappresentata in figura 1 dalla retta verticale b.
Partendo dall’origine O, possiamo rappresentare la domanda delle persone fisiche
r
Bg tramite la curva r misurando sull’asse delle ascisse la quantità domandata in direzione di Bg.
s
Sottraendo dall’offerta di titoli la domanda delle persone giuridiche Bg la curva di domanda
s viene misurata dal punto Bg in direzione dell’origine O.
In assenza di imposte, dall’incontro tra le due curve (r ed s) possiamo evincere la
ripartizione dei titoli del debito pubblico (in equilibrio O-E ed E-Bg) ed il saggio di interesse
nominale di equilibrio i(E). In termini più generali ogni punto all’interno del segmento O-Bg
indica una possibile ripartizione del possesso di titoli pubblici.
Possiamo così illustrare la tesi della partita di giro. La presenza di un’aliquota impositiva
identica sui due operatori non provoca alcuno spostamento nelle due curve. Quindi il
rendimento netto rimane invariato al livello i(E) così come l’onere nominale del debito
pubblico S al livello i(E) Bg.
fig. 1
r
C
ln i (A)
ln i(E)
s
ln i (A)
B
s
r
O
b
B
E
A
Bg
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Prima Versione.
Si indichi con α il rapporto tra i rendimenti netti dei titoli α = ig/ig = (1+1/Eg)/(1+1/Eg)
r
s
ovvero α = (1-tr)/(1-ts) - essendo i g = i(1-tr) ed i g = i(1-ts). È facile determinare graficamente
per qualsiasi distribuzione dei titoli tra i due operatori un livello “ln α” in grado di mantenerla.
Ad esempio se desideriamo che l’ammontare O-A sia detenuto dalle persone fisiche e quello
s
A-Bg dalle persone giuridiche vedremo come il rendimento netto dei titoli dovrà essere i (A)
r
per le persone giuridiche ed i (A) per quelle fisiche. Sicché il segmento BC in figura [pari a
r
s
ln i (A) - ln i (A)] ci indicherà direttamente il logaritmo del valore di α necessario per
garantire la distribuzione A della proprietà dei titoli.
r
s
s
r
L’onere netto per il settore pubblico viene minimizzato quando si eguaglia l’onere
j j
marginale del debito di entrambi gli operatori. Differenziando il ricavo totale Bgig relativo alle
j
singole categorie rispetto alle quantità domandate Bg otterremo i relativi ricavi marginali netti
j
j j
j
j
RMg = (1+1/Eg)ig. Ovvero, in termini logaritmici avremo due curve (ln RMg = ln (1 + 1/Eg) +
j
ln ig rappresentate in fig.2 da rm sm) con la medesima inclinazione delle curve di domanda ma
traslate verso l’alto della quantità ln (1 + 1/E) (che è funzione inversa della elasticità della
domanda).
Si noti come, in figura 2, le due curve dei ricavi marginali si intersecano in prossimità
dell’origine della curva di domanda più rigida, in questo caso quella delle persone giuridiche.
L’intersezione delle due curve implica l’eguaglianza dei ricavi marginali netti per le due
r r
s s
categorie sicché (1+1/Eg) ig = (1+1/Eg) ig. Ovvero che il rapporto ottimo tra i due saggi
nominali netti sia:
α = i g/ig = (1-tr)/(1-ts) = (1+1/Eg)/(1+1/Eg)
r
s
s
r
fig. 2
ln i
b
D
C
r
ln i (A)
s
ln i (A)
rm
sm
B
r
s
B
O
E
A
Bg
In termini grafici possiamo ricavare esattamente quindi sia la distribuzione (O-A, A-Bg) che
il rapporto ottimale tra i complementi ad uno delle due aliquote il cui logaritmo è esattamente
s
dato dal segmento BC. Tale segmento è pari alla differenza fra BD e CD ovvero tra ln(1+1/Eg)
r
ed ln(1+1/Eg).
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66
Prima Versione.
In sintesi l’analisi economica del modello di equilibrio parziale giunge alle seguenti
conclusioni:
1. Ferma restando l’offerta di titoli, variazioni delle due aliquote impositive mantengono
inalterati i rendimenti netti degli operatori se il rapporto α=(1-tr)/(1-ts) rimane immutato.
2. Esiste un valore del precedente rapporto αo=(1-tro)/(1-tso) che minimizza la somma dei
rendimenti netti degli operatori.
3. Una riduzione dei rendimenti netti degli operatori, dipendendo solo dalla variazione di α,
può essere indifferentemente ottenuta con la manovra di una delle due aliquote.
Rendimenti ed onere reale del debito pubblico.
La precedente analisi dipende crucialmente dall’ipotesi che nelle funzioni di domanda degli
operatori compaiano i rendimenti monetari al netto dell’imposta; un’ipotesi non del tutto
soddisfacente. La formulazione precedente può essere estesa sostituendo il rendimento reale r
(ovvero il saggio di interesse reale al netto delle imposte) a quello nominale i nelle funzioni di
j
j
j
j
j
domanda Bg sulla scorta di Tobin (1969).33 In pratica avremo: ln Bg = ln A + e g ln r g dove: A è
ora funzione anche del tasso di inflazione π e degli altri rendimenti reali netti ed e è
l’elasticità delle domande rispetto ad r. Anche se, nel contesto del presente modello,
l’inflazione e gli altri rendimenti sono esogenamente dati è necessario introdurli
esplicitamente nell’analisi se si vuole pervenire ad un modello di equilibrio generale. La
precedente forma funzionale del tutto analoga a quella iniziale (a parte il fatto che r ed e
sostituiscono i ed E) possiamo servirci degli accorgimenti adottati in precedenza e porre il
logaritmo del tasso d’interesse reale (ln r) sulle ordinate e la quantità domandata (B) sulle
ascisse. Possiamo così evidenziare le ipotesi restrittive che consentono di ottenere i
precedenti risultati analitica proposti da Denicolò e Galli.
L’onere netto per il settore pubblico è minimo quando si eguagliano i ricavi marginali netti
reali dei due operatori, ossia nell’intersezione delle due curve rappresentate in fig.3. Esse
hanno la medesima inclinazione delle curve di domanda ed una posizione tanto più elevata
quanto minore è l’elasticità della domanda. Tuttavia ora l’eguaglianza dei ricavi marginali dei
r
r
s
s
due operatori implica (1+1/eg) rg = (1+1/eg) rg e il rapporto ottimo diviene quello tra i due
r s
s
r
saggi di interesse reale netto: α* = rg/rg = (1-tr)/(1-ts) = (1+1/eg)/(1+1/eg) dove t è l’aliquota
impositiva sugli interessi reali. Se quindi vogliamo tenere conto della possibilità di mutamenti
33
La funzione di domanda alla Tobin B = BT (r, -π, ...) è senza dubbio più generale di quella ipotizzata nella
letteratura analizzata in precedenza B = B(i, ...), che tuttavia si richiama al suo articolo del 1969. Il tasso
d’interesse nominale i è infatti dato dalla somma dell’interesse reale e del tasso di inflazione i = r + π.
Conseguentemente la domanda di titoli in funzione del tasso d’interesse nominale netto B(i) è un caso
particolare della funzione da noi adottata BT (r, -π), dove si ipotizza che il tasso d’interesse reale e il tasso
d’inflazione non influiscono in modo differente (ovvero si impone la restrizione: dBT /dr = -dBT /dπ). Tale
impostazione semplificata è usualmente adottata e non comporta grossa perdita di generalità in modelli del tipo
IS-LM dove la scelta è ristretta ai titoli ed alla moneta. Anche la funzione di domanda proposta da Friedman
(1956) B = BF(i, π, ...) è del tutto identica a quella da noi adottata se ipotizziamo dBT /dπ = dBF/dπ - dBF/di.
La nostra preferenza per l’aliquota sugli interessi reali quale strumento di politica fiscale (ed in generale nella
ricerca di un sistema impositivo ottimale) deriva necessariamente dalla forma funzionale BT che è anche
facilmente giustificabile sulla base del vincolo di bilancio dei singoli operatori. Tuttavia i successivi risultati
sull’arbitraggio e la neutralità non dipendono su tale forma funzionale e possono essere ottenuti
indifferentemente con interessi reali e nominali.
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67
Prima Versione.
del saggio di inflazione, pur ipotizzando la costanza dell’elasticità rispetto al saggio di
interesse reale netto, l’aliquota impositiva deve colpire gli interessi reali.34
ln r
fig. 3
b
C
r
ln r (A)
ln r (E)
s
ln r (A)
B
sm
rm
r
O
s
E
A
B
Bg
Si noti inoltre come il nuovo rapporto ottimale α* non muti in funzione del tasso di
inflazione, sicché quando le precedenti funzioni approssimano nell’intervallo rilevante le
funzioni di domanda dei titoli delle due categorie considerate le autorità sono in grado di
fissare il rapporto tra le due aliquote τr e τs in modo da massimizzare il gettito limitatamente
alle due imposte.
Il risultato della letteratura precedente (Galli e Denicolò) relativo al rapporto α dipende
quindi crucialmente dalla forma funzionale ipotizzata implicitamente e non è “model free”,
sicché in generale, come già dimostrato, il valore di α non è funzione solo delle due aliquote,
ma anche ad es. del tasso di inflazione. Di conseguenza α* non può essere fissato dalle
autorità fiscali utilizzando le aliquote t r e t s ma dipende in modo complesso dalle due aliquote,
dal saggio di interesse nominale e dal saggio di inflazione.35 Seguendo l’impostazione di Tobin
dove la domanda di titoli pubblici dipende dal tasso d’interesse reale al netto delle imposte,
non è più rilevante il rapporto tra gli interessi nominali netti α = (1-tr)/(1-ts) ma il rapporto tra
gli interessi reali netti che dipende dal rendimento nominale dei titoli pubblici ig e dal tasso
d’inflazione π α * = [i g(1-tr)- π]/[i g(1-ts)- π].
Non è quindi detto, a parte il caso teorico d’inflazione nulla, che, a parità dell’offerta, le
variazioni delle due aliquote, che mantengono inalterato il rapporto α, lascino immutati i
rendimenti netti degli operatori. Inoltre la significatività dei risultati successivi, enunciati ai
punti 2 e 3, dipende crucialmente dal nostro interesse alla riduzione della spesa nominale per
r
s
r r s s
r
s
interessi al netto dell’imposta S = ig(1-ti)Bg + ig(1-ts)Bg = (igBg+igBg)(1+π) + π(Bg+Bg). Tale
spesa comprende oltre alla spesa reale per interessi al netto dell’imposta r rgBrg+rsgBsg anche il
rimborso anticipato della perdita di valore dei titoli a causa dell’inflazione π(Brg+Bsg).
34
Infatti tassando gli interessi nominali le due aliquote dovrebbero essere continuamente mutate al variare del
saggio di inflazione.
35
Dalla relazione r = (ig -π)(1-τ) = ig (1-t)-π otteniamo t = 1 - [ig (1-t)-π]/(ig -π), sicché il rapporto α * = (1τr)/(1-τs ) è pari a [ig (1-tr)-π]/[ig (1-ts )-π], quando si adottano le aliquote nominali.
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68
Prima Versione.
Se invece intendiamo minimizzare la sola spesa reale per interessi al netto dell’imposta S*
r r
r r
s s
= rgBg + rsgBsg si tratterà di minimizzare S* = α* rgBg + rgBg rispetto ad α* sotto il vincolo
r
s
Bg + Bg = Bg.
Ne deriva che una volta stabilito quale nostro obiettivo la minimizzazione dell’onere reale
del debito pubblico assumendo che il valore ottimale α*o sia stabile quanto meno nel breve
periodo, l’imposizione dovrà essere commisurata ai soli interessi reali e non a quelli
nominali, a meno che non si desideri mutare continuamente le aliquote al variare dei tassi
d’interesse e d’inflazione. Lo stesso limitato obiettivo di minimizzare l’onere del debito
pubblico sembra indicare la necessità di sottoporre ad imposizione i soli interessi reali e non
quelli nominali. Tale modifica dell’imponibile potrebbe comportare anche un aumento del
gettito delle imposte sulle persone giuridiche dal momento che risulterebbero ora detraibili
non più gli interessi nominali nella loro totalità (comprendenti una quota di rimborso
anticipato del prestito) ma solo quelli reali. Si verrebbe così ad eliminare una delle maggiori
fonti di profitti non tassati di cui godono le imprese.
Nella precedente analisi l’aver ignorato la presenza di ulteriori attività finanziarie, in
special modo di titoli obbligazionari privati, potrebbe essere giustificata con la consueta
ipotesi di equilibrio parziale “ceteris paribus”. Tuttavia in questo caso tale assunzione
racchiude un’ipotesi implicita, non del tutto innocua, in quanto da essa consegue che ci si trovi
di fronte a due soggetti e due domande di titoli completamente distinti e indipendenti.
L’introduzione esplicita della connessione tra persone fisiche, possessori del capitale
sociale, e persone giuridiche é in grado di modificare notevolmente il quadro ed i risultati
dell’analisi. Infatti nella fase iniziale del dibattito Spaventa aveva fatto notare come l’aliquota
ts sulle persone giuridiche dovesse essere quella effettiva e non quella fissata dalla normativa
tributaria. Ciò chiaramente alludeva alla possibilità di elusione ed arbitraggi offerta
dall’attuale sistema impositivo un discorso che verrà affrontato esplicitamente nel seguito.
Modifica dei risultati con arbitraggio
Possiamo servirci della soluzione grafica elaborata in precedenza per osservare le
conseguenze della presenza di alcuni operatori ‘f’ i quali benché persone giuridiche sono in
grado di detenere titoli anche in forma indiretta.36 In fig.4 la curva di domanda delle persone
giuridiche è s+f. Chiaramente il punto E rappresenta ancora una ripartizione dei titoli (O-E
detenuti dalle persone fisiche e E-Bg da quelle giuridiche) cui corrispondono eguali saggi di
interesse netti r(E) per tutti gli operatori. In questo caso tuttavia anche in corrispondenza di F
avremo un saggio di interesse netto r(E) eguale per tutti, perché in questo caso gli operatori
36
Nel seguito per semplicità supporremo che tali operatori possono solo optare tra le due aliquote impositive.
Nel caso generale tuttavia gli operatori ‘f’ (che possono detenere titoli pubblici indirettamente attraverso
persone fisiche) decidono discrezionalmente la loro aliquota impositiva, manovrando il livello di ib, e possono
fissarla ad un livello inferiore al minimo tra le due aliquote ts e tr. Si ricordi che gli imprenditori possono
detrarre le spese per interessi.
Solo quando il requisito di “neutralità minima” ts = tf è soddisfatto gli imprenditori possono optare
unicamente per la minore delle aliquote, tra ts e tr e di conseguenza può essere stabilmente garantito un certo
livello di neutralità. Nel caso generale invece potremo avere perdite di gettito in relazione ai redditi non da
interessi pubblici delle persone giuridiche.
Perché si abbia “completa neutralità” è necessario infine che i precedenti operatori non possano scegliere
la propria aliquota e quindi che le differenti aliquote impositive siano eguali (ts = tf = tr).
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69
Prima Versione.
f
(f) sono indifferenti tra detenere il loro ammontare di titoli pubblici Bg(r(E)) in forma diretta
o tramite le persone fisiche.
In generale avremo un saggio di interesse netto r(E) eguale per tutti, nel tratto E-F in cui
f
l’ammontare di titoli pubblici detenuti da parte degli imprenditori è pari a Bg(r(E)). r(E) è
chiaramente il valore minimo del tasso d’interesse per tale categoria di persone giuridiche.
Infatti se si differenziano i rendimenti tra persone fisiche e giuridiche esse deterranno i loro
titoli sicuramente al saggio di interesse reale maggiore, potendo scegliere tra i rendimenti di
entrambe le categorie. Nel nostro caso le due curve dei ricavi marginali, rappresentate in fig.
4, si intersecano in A all’interno del tratto E-F e quindi la minimizzazione dell’onere del
debito pubblico implica aliquote eguali per i diversi redditi reali da capitale.
Nel caso in cui invece lo Stato intende mantenere il precedente differenziale α* tra i due
rendimenti netti ci porteremmo nel punto G con un costo aggiuntivo per lo Stato.
Si noti come la presenza di tali operatori aumenti l’onere del debito pubblico appiattendo la
curva di domanda delle persone fisiche e giuridiche nel tratto E-F e modifichi il risultato
precedente. L’appiattimento della curva aumenta la probabilità di individuare come soluzione
ottimale un caso di neutralità -eguaglianza tra le due aliquote, anche quando le autorità
intendono minimizzare l’onere reale del debito pubblico.37
La domanda di titoli pubblici da parte degli operatori ‘f’ andrà sempre a sommarsi alla
s
r
f
f
s
domanda più elastica tra Bg e Bg. Se tale domanda Bg è relativamente rigida (eg < max(eg,
r
eg))l’elasticità della domanda complessiva si riduce.
ln r
b
r
r+f
s
s
ln r (G)
ln r (G)
r
O
fig. 4
s+f
B
E A F G Bg
Il tratto rilevante diviene quello ad elasticità infinita, dove gli operatori ‘f’ sono indifferenti
a domandare titoli come persone fisiche o giuridiche. La rilevanza di tale tratto è tanto
maggiore quanto maggiore è la sua ampiezza, pari alla domanda di titoli da parte degli
operatori f corrispondente al livello del tasso d’interesse r(E), di equilibrio (dove i rendimenti
reali netti dei titoli sono eguali per le persone fisiche e giuridiche). Naturalmente la rilevanza
37
Le precedenti considerazioni non sarebbero valide nel caso in cui A è all’interno del tratto E-F, restando in
tale situazione invariato il punto di minimo. In tale caso l’analisi si complica perché essendo l’elasticità una
funzione inversa della quantità domandata diviene rilevante stabilire dove le elasticità vadano calcolate.
70
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
di tale tratto aumenta se teniamo conto che parte delle persone fisiche potrebbe anch’essa
detenere titoli pubblici direttamente od indirettamente tramite gli operatori ‘f’.
L’effetto Sylos Labini e la perdita netta globale.
Esaminiamo il ragionamento di Sylos Labini nel nostro schema grafico (fig.5) modificato
dall’ipotesi di elasticità nulla della domanda di titoli pubblici delle persone giuridiche.
r
s
Partiamo da un differenziale tra i due rendimenti reali (in termini logaritmici ln r g - ln r g) pari a
CF ed ipotizziamo che l’aliquota sulle persone fisiche assuma ora un valore positivo. La sua
presenza riduce il differenziale ln α* a BC. Infatti il rendimento reale delle persone fisiche
non può essere ridotto, poiché detengano la medesima quantità di titoli pubblici, vista la
rigidità della domanda di titoli pubblici delle persone giuridiche. Gli interessi nominali sui
titoli pubblici aumentano e aumenta il rendimento reale netto anche per le persone giuridiche.
Avremo perciò una perdita netta per lo Stato anche nell’ambito del modello di equilibrio
parziale (e non una partita di giro).
h
Possiamo ricavare il livello degli interessi nominali con il parametro ßk che indica il
rapporto tra gli interessi nominali lordi sull’attività finanziaria k ed il suo rendimento reale
netto per l’operatore h.
ß = i/r = i(1+π)/[i(1-t)-π] = [r(1+π)+π]/r(1-t)
La curva di domanda ‘i ‘ delle persone fisiche, in funzione degli interessi nominali lordi,
r
r
riportata in fig.5 parte dall’equazione ln i g= ln r g + ln ß g e la approssima con una traslazione di
r
r considerando ß g esogenamente determinato.38
r
Nel caso preso da noi in esame un aumento di tr implica un aumento di ßg, ossia uno
r
spostamento verso l’alto della i, poiché il rapporto interessi/rendimento ln ß g passa da CI a CI’
come illustrato in figura 5. La differenza II’ è pari al logaritmo del rapporto tra il valore di ß
dopo e prima l’introduzione dell’imposta, ossia ln [1/(1-tr)].
ln r
b
s
fig.5
I'
I
i'
r
ln r (E)
C
i
s
ln r (E)
B
F
r
O
B
E
Bg
Le ripercussioni sul rendimento dei depositi bancari
Per proseguire il ragionamento è necessario specificare ulteriormente le curve di domanda
secondo lo schema di Tobin, assumendo che la curva di domanda dipenda negativamente dai
38
Tale approssimazione è corretta nel punto di equilibrio, anche se in realtà la curva i dovrebbe avere
un’inclinazione maggiore della r poiché la distanza tra le due curve aumenta al crescere di rrg essendo dß/dr =
{1+π-(1-t)[r(1+π)+π]}/r2(1-t)2 > 0. Si noti anche come dß/dt e dß/dπ siano entrambi positivi.
71
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Prima Versione.
rendimenti reali netti dei depositi rd (con elasticità pari ad -ed) e dal rendimento reale del
r
circolante -π come specificato nella seguente funzione ln A = ln A - ed ln r d + e c ln π
r
r
r
Con questa riformulazione, ln rd = ln id - ln ßd = ln Ω d + ln ig - ln ßd le famiglie, dovendo
mantenere invariato il loro ammontare di titoli pubblici, pretendono lo stesso rendimento
reale solo se rd e π rimangono costanti. Tuttavia i rendimenti nominali dei depositi id
aumentano nella stessa proporzione di ig, dato il comportamento delle banche che per ipotesi
mantengono costante il loro rapporto, id = Ω d ig. sicché il rendimento dei depositi bancari
r
aumenta in termini reali, poiché Ω d e ß d rimangono invariati, in prima approssimazione, mentre
ig aumenta.
r
Se il rendimento reale dei depositi bancari rd cresce la domanda di titoli pubblici delle
persone fisiche si sposta verso l’alto da r ad r’ (riducendosi Ar), come vediamo dalla fig.6.
In sostanza le persone fisiche pretendono un rendimento reale maggiore per continuare a
detenere il medesimo ammontare di titoli pubblici OE.39
ln r
b
s'
ln r (r )*
fig.6
s
H
B
r
ln r (E)
s
ln r (E)
C
r*
r
B
E
Bg
r
r
Per quanto riguarda la crescita degli interessi nominali (ln ig = ln rg + ln ßg) è interessante
rilevare come lo spostamento verso l’alto della i sia maggiore di quello della r poiché la
r
r
crescita di r g provoca un ulteriore incremento del parametro ß g.
Concludendo nel caso ipotizzato in figura avremo perciò, al di là del precedente modello
parziale, una perdita netta per lo Stato perché gli interessi sui depositi costituiscono degli
oneri deducibili per le banche (e l’aliquota t s è maggiore dell’aliquota t d) ed in riferimento alle
spese della P.A. per interessi sui debiti diversi dai titoli pubblici (aumentando il livello
generale reale del saggio di interesse).
Inoltre l’analisi di Sylos Labini demolisce le fondamenta dei precedenti tentativi di
riformulare correttamente, nel contesto del modello Bernareggi-Spaventa con due aliquote
distinte (tr e ts), la tesi della partita di giro (anche nell’ambito ristretto dell’onere diretto del
debito pubblico) basandosi sulla costanza di α. Infatti anche un aumento delle due aliquote
impositive che mantiene α costante provoca un aumento degli interessi nominali sul debito.
39
La costanza della domanda di titoli delle banche è un’ipotesi non troppo generale e un incremento dei tassi
bancari attivi e passivi può provocare un aumento della loro domanda di titoli pubblici, ovvero uno spostamento
della s verso sinistra. La misura di tale spostamento, anche se rilevante in assoluto, potrebbe però non essere
sufficiente a riportare gli interessi reali al loro livello di partenza come vediamo nella fig.2. Tale spostamento
inoltre potrebbe essere ridotto da una possibile diminuzione della domanda di titoli da parte delle persone
giuridiche che non sono banche, anche a seguito dell’aumento dei saggi bancari attivi.
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72
Prima Versione.
Tale fenomeno dà luogo ad una crescita dei rendimenti reali netti (o nominali netti) sui
depositi bancari cui deve seguire un aumento del rendimento reale netto (o nominale netto)
delle obbligazioni pubbliche dei privati. Sicché non è vero che la costanza di α escluda un
aumento dell’onere del debito pubblico (in senso stretto) per lo Stato.
I ragionamenti alla base della fig.6 sono però una conseguenza della irrazionalità del nostro
sistema impositivo, che sottopone ad imposizione gli interessi nominali, con aliquote
differenti a seconda delle attività finanziarie e degli operatori.
Infatti se ipotizziamo che solo gli interessi reali attivi costituiscono base imponibile e solo
quelli passivi oneri deducibili le banche terranno presenti solo questi nei loro calcoli e sarà
logico ipotizzare che esse tentino di mantenere rd = Ω rg. Di conseguenza, essendo ln r d = ln
Ω + ln rg il rendimento dei depositi bancari non varia in termini reali se Ω e rg rimangono
immutati.
Con tale struttura impositiva un aumento delle imposte sugli interessi delle obbligazioni
pubbliche non avrebbe quindi causato un incremento del livello generale degli interessi reali
con le conseguenze spiacevoli ad esso associate, evidenziate nettamente da Sylos Labini.
Le ripercussioni sul costo del finanziamento e sull’inflazione
Si noti ora come i ragionamenti fatti in precedenza implichino anche un aumento degli
interessi reali sui prestiti se essi si muovono, grosso modo, nella stessa direzione degli
interessi sui depositi e sui titoli pubblici. Passando dalla relazione tra gli interessi lordi ln i b =
s
s
ln Ω b + ln i g a quella sugli oneri finanziari reali netti per le società ln r b = ln i b - ln ß b = ln r rg +
s
ln ßrg + ln Ω b - ln ß b notiamo come un aumento delle imposte tr sulle persone fisiche possa
provocare, attraverso l’aumento di ln ßrg (dati rrg e Ω b), una crescita del costo reale dei
finanziamenti alle imprese. Seguendo Sylos Labini possiamo supporre che le imprese siano in
grado di traslare in avanti sui prezzi, almeno in parte, un aumento dei propri oneri finanziari
reali, i.e. dπ = µ dr sb.
Se il costo reale dei prestiti bancari r sb cresce a ciò segue un aumento dell’inflazione dπ > 0
e quindi dei differenziali tra interessi reali e rendimenti nominali; in particolare avremo dß rg >
0. Questo ultimo fenomeno generale noto nella letteratura economica e finanziaria come
‘effetto Fisher’ provoca quindi un aumento degli interessi nominali al crescere del tasso di
inflazione. In particolare essendo dß rg/dð = (1+rrg)/rrg(1-tr) > 1 la crescita degli interessi
nominali sulle obbligazioni pubbliche è maggiore dell’aumento del saggio di inflazione fermo
restando il saggio di interesse reale rrg. Ciò implica quindi un aumento di tutti i saggi nominali
di interesse.
Continuando ad ipotizzare costanti i titoli pubblici detenuti dalle persone giuridiche, le
famiglie, dovendo mantenere invariato l’ammontare dei propri titoli pubblici OE, pretendono
un rendimento reale minore poiché π aumenta e r d diminuisce.
La domanda di titoli pubblici delle persone fisiche si sposta verso il basso da r ad r^
(riducendosi Ar), come vediamo dalla fig.7. Gli interessi nominali (ig = r rg ßrg) crescono a causa
dell’aumento di ßr dovuto all’incremento di ð. E’ interessante rilevare come lo spostamento
g
verso l’alto della i provochi una crescita degli interessi nominali minore di quella ipotizzata
73
Scienza delle Finanze a.a. 2002/2003.
Prima Versione.
inizialmente dß rg/dð, a causa dello spostamento verso il basso della r dovuto alla riduzione di r rg
(provocata dalla crescita di ð e dalla diminuzione di r rd).
s
ln r
fig. 7
b
I^
ln i^(E)
i^
E
r
ln r (E)
ln r r(^)
E^
r
r^
B
E
Bg
Anche questo ragionamento é valido solo nell’ambito del nostro sistema impositivo sugli
interessi nominali con aliquote differenziate. Quando solo gli interessi reali sono considerati
a fini fiscali le banche mantengono costante il rapporto r b/rg = Ω^. Gli oneri finanziari bancari
reali non variano poiché Ω^ e r g rimangono immutati. ln r b = ln Ω^ + ln r g
Un aumento delle imposte sugli interessi delle obbligazioni pubbliche non causa, in tale
contesto, un incremento dei costi di finanziamento delle imprese.
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