CAP 7 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE TRA FINE OTTOCENTO E PRIMI DEL NOVECENTO: L’AFFERMAZIONI DEL GOLD STANDARD 1. 2. 3. Dopo aver analizzato i mutamenti istituzionali e tecnologici analizziamo i mutamenti nelle relazioni economiche internazionali Trattiamo tre temi: L’aumento della mobilità dei beni e dei fattori (lavoro e capitale) Primo tentativo di rendere compatibile la finanza internazionale attraverso il gold standard L’impatto economico degli imperi coloniali sulla madrepatria Mobilità dei beni e dei fattori L’industrializzazione ha prodotto un aumento forte del commercio internazionale prima frenato da: costi di trasporto, basso potere d’acquisto, scarsa diversificazione dei prodotti GB fino al 1913 la più grande esportatrice mondiale seguita da Germania 1820-1913 le esportazioni mondiali crescono 33 volte e dal 1913-1992 di altre 16 volte Con l’allargamento del commercio internazionale la sua incidenza sul PIL aumentò in particolare nei paesi più piccoli che si specializzavano solo su una gamma ristretta di prodotti Si creò anche un processo di multilateralizzazione (non si compensavano import e export con ogni singolo partner commerciale) (> flessibilità di uso delle risorse mondiali) Smith, Ricardo vedono nel commercio internazionale l’estensione del principio della specializzazione del lavoro, aumentando la produttività globale del sistema economico mondiale rendendo più efficiente l’uso delle risorse. Inoltre è veicolo di modernizzazione perché permette l’importazione anche di materie prime strategiche (cotone grezzo, carbone, petrolio) e di macchinari avanzati Facilita anche le esportazioni di prodotti manifatturieri permettendo alle industrie nascenti di consolidarsi allargando il mercato Di solito sono i paesi più piccoli ad essere più propensi alla libertà di commercio (come Olanda e Danimarca) vs paesi più grandi (USA e Russia) più protezionisti in Europa nel periodo 1880-90 vi fu un rialzo del protezionismo legato ai dazi difensivi sui cereali (i grani americani e russi arrivano a prezzi molto bassi e misero in crisi l’agricoltura europea) Le più moderne teorie del commercio strategico suggeriscono un moderato protezionismo per un periodo limitato accompagnato da un rafforzamento della capacità competitiva Si crearono dei negoziati nell’Ottocento bilaterali ed in alcuni casi multilaterali usando la clausola della nazione più favorita (NPF): il paese X concedeva a Y un “favore” su un dazio e Y si impegnava a fare avere a X un favore su dazio nei confronti di Z. Accanto al commercio internazionale anche lavoro e capitale divennero più mobili Lavoro: tra Ottocento e primo decennio del Novecento l’emigrazione esplode (da circa 2mln a metà ‘800 si passa a 10,5mln), in particolare per Spagna, Italia, Russia, Irlanda (meno Germania, Francia, Belgio, Svizzera). Mete: Americhe, Australia Capitale: nell’800 si allargano le borse, nascono le prime multinazionali, aumentano i flussi di capitale a lungo termine. Gb > investitore mondiale, seconda la Francia. Seguono Olanda, Belgio, Svizzera e Svezia L’America latina attirava poco più del 19% del totale, l’Asia il 14%, l’Africa l’11% il resto andava a USA, Canada, Australia Settori: oltre la metà era investita in risorse naturali, poi in infrastrutture e il residuo (15%) alle industrie manifatturiere Nasce una vera e propria economia internazionale (scambio di beni, lavoro, capitali) Ogni Paese deve a questo punto prestare attenzione alla sua Bilancia dei pagamenti che mette a confronto tutti i pagamenti effettuati all’estero (importazioni, lavoro straniero da remunerare, capitali da mandare all’estero) con i pagamenti ricevuti dall’estero (esportazioni, rimesse degli emigranti, capitale investito) Se la bilancia è in pareggio (ottenuto compensando anche le varie voci) il paese può continuare nei suoi progetti di modernizzazione economica Se la bilancia è in deficit: il paese non riceve dall’estero abbastanza valuta per effettuare i propri pagamenti all’estero. O usa le riserve o accendere prestiti da restituire agendo su fattori economici interni Il Gold standard 1717: inizia il gold standard in GB. Isaak Newton responsabile della zecca fissa il prezzo dell’oro a 3 sterline, 17 scellini e 10,5 pence: monometallismo aureo. Già del medioevo in alcuni paesi europei c’era uno standard misto di circolazione monetaria: metallo prezioso/banconote o argento e oro (sistema bimetallico) Il diffondersi delle pratiche bancarie (cambiali, moneta cartacea, assegni…) aveva relegato sempre più il metallo come “riserva” in lingotti anche se non copriva l’intera circolazione cartacea Restò però la convertibilità della carta-moneta in metallo prezioso ad una parità fissata nei confronti della riserva di metallo prezioso Per aumentare la circolazione cartacea (oltre la riserva esistente) bisognava acquisire più metallo prezioso Se la riserva diminuiva bisognava restringere la circolazione cartacea Si trattava di un sistema fiduciario perché non c’era in realtà abbastanza metallo in riserva per convertire tutte le banconote in circolazione Se tutti chiedevano la conversione si entrava nel cosiddetto corso forzoso (lo stato doveva detenere moneta cartacea) Questo sistema ha prodotto un meccanismo automatico di riaggiustamento nelle bilance dei pagamenti mantenendo fissi i cambi tra le monete (le monete non cambiavano di valore) 1870-1814 e 1947-73 sono stati i due periodi in cui hanno prevalso cambi mantenuti fissi dal gold standard Se la bilancia dei pagamenti è in deficit il paese è in difficoltà ad avere sufficiente moneta straniera, quindi offre più unità di moneta nazionale per acquisirla svalutando la propria Chi deve essere pagato con la moneta svalutata preferisce farsi pagare in oro che mantiene una parità di conversione con tutte le monete Un paese in deficit diminuisce le sue riserve d’oro e corrispondentemente la circolazione cartacea, si restringe pertanto il credito ed aumenta il tasso di interesse Si restringe la domanda interna e quella di importazioni, si abbassano i prezzi (le esportazioni diventano più competitive). I tassi di interesse più alti attirano capitali dall’estero Si riequilibra la bilancia impedendo una forte svalutazione della moneta Per poter mantenere questo sistema occorre avere un’economia internazionale non turbata da eventi traumatici (guerre) Paesi con forti difficoltà interne erano costretti ad abbandonare il sistema C’è chi afferma che sono stati i periodi di grande stabilità internazionale a permettere il gold standard e non è stato il gold standard a generare stabilità Un sistema di cambi fissi lega la politica monetaria e fiscale dei paesi che ne fanno parte a quello del suo leader che deve essere in grado di reggere la leadership Il gold standard classico fu sostenuto dalla sterlina; la Bank of England non sempre aveva a disposizione abbastanza oro Il secondo episodio di successo (gold exchange standard) fu quello di Bretton Woods (1944-fine anni ‘60) sostenuto dal dollaro statunitense (si cambiava in dollari per avere oro) Limite: l’oro è un bene scarso. Il suo prezzo sale e scende in funzione della sua disponibilità. Non sempre ce n’è in quantità sufficiente nei momenti di espansione economica e quindi è difficile mantenere dei livelli di prezzi fissi Se c’è poco aumento dell’oro la moneta in circolazione aumenta poco, se contemporaneamente l’attività economica aumenta il livello dei prezzi tende a diminuire (deflazione) Se c’è molto oro la moneta aumenta più che proporzionalmente rispetto all’aumento dell’attività economica e il livello dei prezzi tende ad aumentare (inflazione) Conclusione: il grande aumento di attività economiche rendeva scarso l’oro provocando deflazione che interferiva negativamente con le attività economiche Allo stesso tempo la necessità di una disciplina esterna che impedisse l’eccessiva inflazione venne ridimensionata e si arrivò a mantenere condizioni di stabilità dei cambi/prezzi anche senza l’oro Dopo Bretton Woods ci fu un periodo di forti instabilità, fino ad un recupero negli anni Novanta e alla decisione di introdurre una moneta unica europea (ossia un sistema di cambi fissi irrevocabili) Gli effetti del colonialismo sui paesi di origine L’opinione prevalente fino a tempi recenti è che i paesi coloniali traevano grandi benefici dal colonialismo, mentre quelli colonizzati ne avevano solo effetti negativi Gli effetti devono essere analizzati sul lungo periodo e va analizzato su diverse dimensioni: Le nuove scoperte geografiche la spinta alla conversione religiosa di nuove popolazioni, Il desiderio di avere nuove terre di insediamento L’orgoglio di espandere la propria cultura Necessità di controllare zone militarmente strategiche Spinta a competere con altre potenze Per misurare il coinvolgimento della madrepatria nell’economia delle colonie si può prendere come unità di misura il commercio La GB era l’unica con un forte legame commerciale con le colonie Davis e Huttenback hanno considerato il tasso di profitto delle imprese inglesi nell’impero (1865-1914) come il beneficio ottenuto dall’essere insediati, poi hanno calcolato i costi diretti (militari e amministrativi) e li hanno sottratti per ottenere un tasso di profitto netto Questo tasso è stato confrontato con quello ottenuto dalle imprese inglesi sugli altri mercati non coloniali. I vantaggi si ebbero fino al 1880. L’insistenza a permanere da parte degli investitori per guadagnare sul tasso di profitto nominale e la produzione di beni della prima rivoluzione industriale (tessile, acciaio, ferrovie) collegata alla disponibilità di mercati coloniali per questi prodotti superati tecnologicamente sui mercati più avanzati come quelli europei