Dieci quesiti in attesa di risposta sull`utilizzo dei nuovi anticoagulanti

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Dieci quesiti in attesa di risposta sull’utilizzo dei nuovi
anticoagulanti orali nella fibrillazione atriale
Roberto Cemin1, Giuseppe Di Pasquale2, Paolo Colonna3, Raffaele De Caterina4
Divisione di Cardiologia, Ospedale Regionale San Maurizio, Bolzano
2
U.O Cardiologia, Ospedale Maggiore, Bologna
3
Cardiologia Ospedaliera, Policlinico di Bari
4
Istituto di Cardiologia, Università degli Studi “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara
1
After more than 3 years from the appearance in Italy of the non-vitamin K antagonist oral anticoagulants
(NOACs), their use for the prevention of thromboembolism in atrial fibrillation is still limited, with wide differences in prescriptions across regions. When NOACs became available for clinical practice, several doubts
arose about their practical management in the “real world”. This article analyses the 10 more frequent
questions asked by clinicians dealing with NOACs in their daily activity with atrial fibrillation patients. The
answers are synthetic and schematic with pragmatic suggestions that could help clinicians in their doubts.
Key words. Atrial fibrillation; New oral anticoagulants; Prevention; Thromboembolism.
G Ital Cardiol 2016
INTRODUZIONE
QUESITO N. 1
A distanza di oltre 3 anni dall’introduzione in Italia del dabigatran e successivamente di rivaroxaban e apixaban, l’utilizzo dei
nuovi anticoagulanti orali (NAO) per la profilassi tromboembolica della fibrillazione atriale (FA) stenta ancora a decollare, con
ampie disomogeneità prescrittive tra le diverse realtà regionali.
La prescrizione ancora ridotta dei NAO, e comunque inferiore
rispetto alle aspettative, è in parte secondaria alle limitazioni
introdotte dai piani terapeutici nazionale e regionali, ma in parte anche ad una comprensibile prudenza da parte dei clinici
nell’impiego esteso di farmaci realmente innovativi.
Nel momento in cui i NAO si sono resi disponibili per il loro
utilizzo nella pratica clinica quotidiana, sono sorti una serie di
interrogativi relativi alla gestione pratica di questi farmaci nel
“mondo reale”. Nella presente rassegna sono stati identificati i 10 quesiti più frequentemente sollevati dal clinico che
gestisce sul campo il paziente con FA. Le risposte ai quesiti
esprimono il punto di vista degli autori, in parte tuttavia supportato dalle evidenze provenienti dalle sottoanalisi condotte
all’interno dei grandi trial clinici randomizzati con i NAO nella
FA, studi prospettici pubblicati successivamente, documenti
di consenso e guida pratica della European Heart Rhythm Association (EHRA)1.
Che cosa si intende per fibrillazione atriale non
valvolare?
Il termine FA “valvolare” e quello corrispettivo di “non valvolare” sono stati usati con accezioni diverse nelle varie linee guida e nei trial che hanno portato alla registrazione dei
NAO. Le linee guida dell’American College of Cardiology
Foundation/American Heart Association/Heart Rhythm Society (ACCF/AHA/HRS) del 2011 limitano l’utilizzo del termine
storico FA non valvolare ai casi in cui il disturbo del ritmo avvenga in assenza di valvulopatia reumatica, di un pregresso
impianto di protesi valvolare o di una pregressa riparazione
valvolare mitralica2. Le linee guida dell’American College of
Chest Physicians (ACCP) del 2012 includono solo la stenosi
mitralica e gli impianti valvolari in genere tra i casi da assoggettare a FA valvolare3. Nell’aggiornamento 2016 delle linee
guida della Società Europea di Cardiologia (ESC)4 si riconosce
che la terminologia non è né uniforme né soddisfacente, e si
include nel termine “valvolare” la FA correlata alla valvulopatia reumatica (principalmente alla stenosi mitralica) o alla presenza di protesi valvolari meccaniche4. In realtà la confusione
terminologica è riflessa dalla percezione dei cardiologi italiani,
che solo nel 57% dei casi ritengono chiare le definizioni5. Il
problema è diventato cruciale con l’introduzione dei NAO, in
quanto il loro uso è limitato alla FA non valvolare. Tale termine è stato inteso in senso molto restrittivo per il dabigatran
etexilato nello studio RE-LY, escludendo non solo i pazienti
con anamnesi di FA e portatori di protesi valvolari, ma anche
quelli con qualsiasi forma di valvulopatia emodinamicamente
rilevante6. Gli altri trial hanno utilizzato il termine di FA valvolare in modo meno restrittivo: il ROCKET AF ha escluso solo
pazienti con stenosi mitralica emodinamicamente significativa
o protesi valvolari, ma ha permesso l’inclusione di quelli con
malattie valvolari diverse, nonché di pazienti con pregresse
anuloplastica, commissurotomia o altre valvuloplastiche7. Lo
studio ARISTOTLE8 ha escluso pazienti con stenosi mitralica
© 2016 Il Pensiero Scientifico Editore
Ricevuto 20.11.2015; nuova stesura 09.03.2016; accettato 10.03.2016.
Roberto Cemin dichiara di aver ricevuto onorari come membro di
Local Expert Panel per Daiichi-Sankyo. Giuseppe Di Pasquale dichiara
di aver ricevuto onorari per letture a congressi da Bayer, BMS/Pfizer,
Boehringer Ingelheim, Daiichi-Sankyo. Paolo Colonna dichiara di
aver ricevuto onorari e/o fondi per la ricerca da Bayer, BMS/Pfizer,
Boehringer Ingelheim, Daiichi-Sankyo. Raffaele De Caterina dichiara
di aver ricevuto onorari e/o fondi per la ricerca da Bayer, BMS/Pfizer,
Boehringer Ingelheim, Daiichi-Sankyo, Novartis.
Per la corrispondenza:
Dr. Roberto Cemin Divisione di Cardiologia, Ospedale Regionale
San Maurizio, Via L. Boehler 5, 39100 Bolzano
e-mail: [email protected]
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moderato-severa ed altre condizioni diverse dalla FA che richiedessero di per sé l’anticoagulazione cronica (ad esempio
le protesi meccaniche), permettendo tuttavia il reclutamento
di pazienti con altri tipi di valvulopatie e con bioprotesi. Infine,
lo studio ENGAGE AF-TIMI 48 ha escluso pazienti con stenosi
mitralica moderato-severa, mixoma atriale e protesi valvolari
meccaniche, accettando le altre valvulopatie9. Questo diverso
comportamento ha determinato diverse indicazioni registrative dei vari NAO.
In una recente analisi pubblicata al riguardo10, dopo
un’attenta revisione di tutta la letteratura attuale, è stato riconosciuto che i NAO, quando utilizzati in situazioni di FA
con valvulopatie diverse dalla stenosi mitralica e dalle protesi
meccaniche, non hanno portato a risultati diversi rispetto ad
altri pazienti con FA, ed è stato quindi proposto il termine di
“mechanical and rheumatic mitral valvular AF” (MARM-AF)
come descrizione accurata di un’entità meritevole di essere
tenuta separata da altre forme di FA che attualmente esclude il trattamento con NAO. Tale categoria ha anche, tuttavia,
importanti potenziali disomogeneità al suo interno10: mentre
infatti nei portatori di protesi meccaniche un trial, il RE-ALIGN,
ha mostrato il comportamento di un NAO – il dabigatran – significativamente peggiore rispetto al warfarin11, nella FA che
accompagna la stenosi mitralica andrebbero effettuati trial ad
hoc, in quanto attualmente non esistono12.
Allo stato attuale anche i recenti suggerimenti dell’EHRA1
contemplano le seguenti valvulopatie tra i possibili campi di
utilizzo dei NAO nei pazienti con FA:
–– tutte le valvulopatie lievi-moderate su valvole native ad
eccezione della stenosi mitralica moderata,
–– stenosi aortica grave (dati limitati),
–– bioprotesi (tranne che nei primi 3 mesi dopo l’intervento),
–– riparazioni mitraliche (tranne che nei primi 3-6 mesi dopo
l’intervento),
–– interventi di riparazione mitralica percutanea (MitraClip),
–– interventi di impianto transcatetere di valvola aortica (in
cui però mancano dati prospettici e può essere necessaria
la combinazione con uno o due farmaci antipiastrinici),
–– cardiomiopatia ipertrofica (talora – a torto – inclusa tra le
valvulopatie, e in cui peraltro mancano dati prospettici).
Pur mancando dati specifici a riguardo, si può ritenere accettabile il ricorso ai NAO nei pazienti con FA ed esiti di commissurolisi mitralica percutanea per mitrale reumatica.
A queste situazioni aggiungeremmo anche le insufficienze aortiche e mitraliche gravi, in presenza delle quali i NAO
non dovrebbero associarsi a risultati differenti rispetto agli antagonisti della vitamina K (AVK). Nelle sottoanalisi dei grandi
trial sulla FA, infatti, rivaroxaban13, apixaban14 e dabigatran15
hanno dimostrato un’efficacia almeno similare agli AVK nella prevenzione degli eventi tromboembolici nei pazienti con
valvulopatie significative. Per chiarezza si ricorda ancora una
volta che da questi trial venivano esclusi i pazienti con protesi
meccaniche e stenosi mitralica media o grave nei quali l’utilizzo dei NAO rimane controindicato.
QUESITO N. 2
L’uso dei nuovi anticoagulanti orali nell’insufficienza
renale: che valori di insufficienza renale bisogna
considerare come controindicazione all’utilizzo dei
nuovi anticoagulanti orali? Quando devono essere
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ridotti i dosaggi? Come ci si comporta di fronte ad un
transitorio peggioramento della funzionalità renale
(diarrea, disidratazione, ecc.)? È possibile utilizzare i
nuovi anticoagulanti orali nel paziente in dialisi?
A differenza dei farmaci anti-vitamina K, che vengono essenzialmente metabolizzati per via epatica16, i NAO sono tutti
eliminati, almeno in parte, per via renale17. La percentuale di
eliminazione renale è massima (oltre l’80%) per il dabigatran,
intermedia (circa il 50%) per edoxaban e minima per rivaroxaban e apixaban1. In presenza di una funzione renale ridotta, si
assisterà ad un aumento delle concentrazioni plasmatiche dei
NAO, implicando una controindicazione al loro utilizzo o una
riduzione del dosaggio. Sebbene esistano diversi modi per valutare la velocità di filtrazione glomerulare (GFR), la formula di
Cockcroft-Gault, che stima la clearance della creatinina (CrCl)
come approssimazione alla GFR considerando sesso, età,
peso corporeo e creatinina sierica18 è quella che è stata sinora
più usata nei trial con i NAO, ed è pertanto raccomandata. La
formula è qui riportata per comodità:
(140 – età) x massa (in kg) x [0.85 se femmina]
CrCl = ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
72 x creatinina sierica (in mg/dl)
Come consiglio generale, si raccomanda cautela all’uso
dei NAO già per riduzioni della CrCl tra 50 e 30 ml/min, e di
non usarli, con alcune eccezioni, per CrCl <30 ml/min4.
Ci sono però delle precisazioni da fare farmaco per farmaco, che derivano in parte dai foglietti illustrativi (Riassunto
delle Caratteristiche del Prodotto, RCP) dei vari farmaci, e in
parte dalle linee guida, e specificatamente:
• dabigatran:
–– approvato solo per CrCl ≥30 ml/min,
–– per CrCl ≥50 ml/min non è richiesto alcun aggiustamento posologico,
–– per CrCl 30-49 ml/min, 150 mg bid è possibile (secondo l’RCP), ma è raccomandato il dosaggio di 110 mg
bid (linee guida ESC),
–– il dosaggio di 75 mg bid è approvato solo negli Stati
Uniti e non verrà discusso qui;
• rivaroxaban:
–– approvato per CrCl ≥15 ml/min,
–– per CrCl ≥50 ml/min non è richiesto alcun aggiustamento posologico,
–– per CrCl 15-49 ml/min, usare 15 mg/die;
• apixaban:
–– approvato per CrCl ≥15 ml/min,
–– per creatinina sierica ≥1.5 mg/dl non è richiesto alcun
aggiustamento posologico. L’RCP specifica di ridurre
la dose da 5 a 2.5 mg bid in presenza di due dei tre
seguenti criteri: età ≥80 anni, peso ≤60 kg, creatinina
>1.5 mg/dl,
–– per CrCl 15-29 ml/min, ridurre il dosaggio a 2.5 mg
bid;
• edoxaban:
–– approvato per CrCl ≥15 ml/min,
–– per CrCl ≥50 ml/min non è richiesto alcun aggiustamento posologico,
–– per 15-49 ml/min, ridurre il dosaggio a 30 mg/die.
I NAO non andrebbero somministrati per riduzioni della
CrCl <15 ml/min. Pertanto questi farmaci non vanno sommi-
Dieci quesiti sui NAO
nistrati a pazienti in dialisi, almeno fino a quando nuovi dati
non siano disponibili.
Le raccomandazioni cautelative all’uso dei NAO già per
riduzioni della CrCl tra 30 e 50 ml/min, e ancor più per CrCl
tra 15 e 30 ml/min (valori per i quali sono utilizzabili tra l’altro
solo alcuni NAO)1 vanno tenute ben presenti perché per questi valori di GFR stati di disidratazione, febbre, infezioni intercorrenti e altre comorbilità comportano forti escursioni della
funzione renale, con conseguente pericolo di sovradosaggio.
In presenza di alti valori di GFR è ragionevole ipotizzare
una riduzione della concentrazione plasmatica dei farmaci
ad alto livello di escrezione renale, con conseguente diminuzione della loro efficacia. Tale evenienza si è verificata nello studio ENGAGE AF-TIMI 48 non tanto per una riduzione
dell’efficacia antitrombotica di edoxaban, quanto piuttosto
per un aumento di efficacia del warfarin nei soggetti con
GFR elevata. Di fatto l’American Food and Drug Administration (FDA) raccomanda di non utilizzare edoxaban nei
pazienti con CrCl >95 ml/min. Per converso la European
Medicines Agency (EMA) ha ritenuto semplicemente di consigliare “che edoxaban sia utilizzato in pazienti con alta CrCl
dopo attenta valutazione individuale del rischio tromboembolico e di sanguinamento”.
QUESITO N. 3
Fino a quale età e con quali limitazioni possiamo utilizzare i nuovi anticoagulanti orali?
La prevalenza della FA aumenta con l’età, arrivando fino al
10% circa nei pazienti di età >80 anni. Analogamente il rischio di ictus correlato alla FA aumenta con l’età ma, nonostante questo, i pazienti più anziani sono proprio quelli meno
trattati con terapia anticoagulante orale (TAO). Il sotto-trattamento dei pazienti anziani (>75 anni) e molto anziani (>80
anni) è in relazione a diversi fattori, ma in particolare al timore
delle complicanze emorragiche, soprattutto cerebrali, che aumentano con l’età19-21.
I pazienti anziani, di solito scarsamente rappresentati nei
trial clinici, compresi quelli storici con il warfarin nella FA, sono
ampiamente presenti negli studi condotti con i NAO nei pazienti con FA. La proporzione di pazienti di età ≥75 anni arruolata negli studi di fase III della FA è del 40% nello studio
RE-LY, del 44% nel ROCKET AF, del 31% nell’ARISTOTLE, del
27% nell’ENGAGE AF-TIMI 48 e il numero totale di pazienti
di età ≥75 anni è di oltre 27 000, conferendo una potenza
statistica assolutamente adeguata per potere eseguire analisi
affidabili di sottogruppi. Le analisi dei sottogruppi dei pazienti
di età ≥75 anni e ≥80 anni confermano che il rischio assoluto
degli eventi trombotici ed emorragici aumenta con l’età e che
esiste una coerenza dei risultati complessivi dei trial anche nei
pazienti anziani22-24. Rispetto agli AVK tutti i NAO hanno comunque ridotto il rischio di emorragia intracranica, anche nei
pazienti anziani.
In pazienti di età ≥75 anni l’apixaban comporta un’incidenza inferiore di emorragie maggiori rispetto al warfarin.
Un’incidenza di emorragie simile al warfarin si è verificata
con dabigatran 110 mg, rivaroxaban ed edoxaban. L’unica
eccezione è rappresentata dai pazienti anziani trattati con
dabigatran 150 mg nei quali il rischio di emorragie maggiori
è più elevato rispetto agli utilizzatori di warfarin. L’eccezione dello studio RE-LY può essere spiegata dal fatto che, a
differenza degli altri studi, il dosaggio del farmaco non veniva ridotto in pazienti con specifiche caratteristiche, quali
disfunzione renale, età avanzata e basso peso corporeo. La
prevalente eliminazione renale del dabigatran rispetto agli
altri NAO costituisce un’altra possibile spiegazione in considerazione dell’elevata prevalenza di moderata insufficienza
renale negli anziani.
I risultati dello studio RE-LY hanno dimostrato di essere riproducibili anche nella pratica clinica di pazienti “real world”.
In un’ampia coorte di 134 414 pazienti nord-americani con
FA assistiti dal Medicare il dabigatran è risultato associato ad
un rischio ridotto di ictus ischemico, emorragia intracranica e
morte rispetto al warfarin25. L’aumentato rischio di emorragie
gastrointestinali che era stato riscontrato nello studio RE-LY è
stato confermato soltanto nelle donne di età ≥75 anni e negli
uomini di età ≥85 anni. Inoltre, l’effetto benefico del dabigatran sulla mortalità non si è verificato nelle donne di età ≥85
anni nelle quali si assisteva ad una tendenza a mortalità più
elevata con il dabigatran rispetto al warfarin. Bisogna però
sottolineare che, non essendo approvato negli Stati Uniti il
dosaggio di dabigatran 110 mg bid, la maggioranza dei pazienti anziani del registro Medicare assumeva la dose di 150
mg bid, con solo una minoranza di pazienti trattati con la
dose di 75 mg bid approvata dalla FDA.
Trasferendo le informazioni dai trial alla pratica clinica si
può affermare che non esistono limiti di età per l’utilizzo dei
NAO nei soggetti con FA. Le perplessità inizialmente avanzate all’epoca dell’introduzione del dabigatran negli Stati Uniti
erano in relazione ad emorragie gravi verificatesi in pazienti
anziani con insufficienza renale inappropriatamente trattati
con dabigatran26,27. Al contrario, in assenza di controindicazioni, i NAO nei pazienti anziani con FA andrebbero preferiti
agli AVK in considerazione della drammatica riduzione del rischio di emorragia intracranica correlata alla TAO che proprio
nell’anziano costituisce una remora per l’anticoagulazione.
Un altro motivo per preferire i NAO negli anziani con FA
è costituito dalla frequente prescrizione di farmaci concomitanti. Le potenziali interazioni farmacologiche sono estremamente numerose per gli AVK e limitate per i NAO e questo
costituisce un elemento ulteriore di maggiore garanzia sia in
termini di efficacia che di sicurezza della TAO28,29.
Un limite per l’utilizzo dei NAO negli anziani è sicuramente costituito dalla disfunzione renale per cui è necessaria
un’accurata determinazione della CrCl prima dell’inizio del
trattamento con i NAO e controlli semestrali o più ravvicinati
in base al grado di disfunzione renale.
Nei pazienti anziani è opportuna un’individualizzazione
del dosaggio dei NAO ricorrendo ai dosaggi più bassi (dabigatran 110 mg bid; rivaroxaban 15 mg; apixaban 2.5 mg bid;
edoxaban 30 mg) in presenza di moderata disfunzione renale
(CrCl 30-49 ml/min).
Nei pazienti con funzione renale ai limiti per l’utilizzo dei
NAO (CrCl 30-40 ml/min) è preferibile l’utilizzo di NAO con
minore eliminazione renale (rivaroxaban, apixaban o edoxaban). È inoltre importante soprattutto negli anziani limitare
l’utilizzo concomitante dell’aspirina, che aumenta significativamente il rischio di emorragie maggiori. L’utilizzo combinato di farmaci antiaggreganti piastrinici con gli anticoagulanti
orali è molto spesso inappropriato30 e deve essere limitato a
situazioni particolari e per il più breve tempo possibile, attuando sempre in questi casi una protezione gastrica con farmaci
inibitori della pompa protonica.
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Riassumendo possiamo affermare che:
• sono ampiamente disponibili dati sull’utilizzo dei NAO nei
pazienti anziani, derivanti dalle analisi sia dei trial che del
mondo reale;
• non ci sono limiti di età per l’utilizzo dei NAO;
• nei pazienti anziani i NAO sono da preferire agli AVK per
il ridotto rischio di emorragia intracranica;
• i pazienti anziani assumono spesso molti farmaci, che interferiscono meno con i NAO rispetto agli AVK (vedi quesito n. 4);
• i pazienti anziani hanno più frequentemente problemi renali rispetto ai giovani e quindi sono consigliabili controlli
ravvicinati di creatinina e GFR negli utilizzatori di NAO;
• in presenza di una moderata insufficienza renale (CrCl 3049 ml/min) sono raccomandabili i bassi dosaggi di ogni
NAO;
• l’utilizzo di aspirina ed altri antiaggreganti piastrinici va
limitato al massimo.
QUESITO N. 4
Quali sono i determinanti principali delle interazioni
terapeutiche con i nuovi anticoagulanti orali e
all’associazione di quali farmaci bisogna fare attenzione?
Pur presentando i NAO meno interazioni con gli altri farmaci
o con l’assunzione di cibo rispetto agli AVK, bisogna tenere
conto di alcuni aspetti fondamentali.
Cibo
La biodisponibilità del rivaroxaban risente della concomitante assunzione di cibo, mentre apixaban e dabigatran no. La
biodisponibilità di edoxaban, invece, risulta aumentata del
5-20% dalla concomitante assunzione di cibo. Per ottenere
la massima biodisponibilità del rivaroxaban bisogna quindi
assumerlo dopo un pasto, mentre per gli altri tre NAO non
si raccomandano particolari attenzioni. Le compresse di rivaroxaban e apixaban possono inoltre essere tritate e somministrate attraverso il sondino nasogastrico, rimanendo la loro
biodisponibilità pressoché invariata1,31, mentre le capsule di
dabigatran non vanno mai aperte.
Etnia
Soggetti di etnia asiatica hanno una biodisponibilità di dabigatran aumentata del 25% a causa di una ridotta clearance
renale del farmaco32, ma questo non implica la necessità di
una riduzione del dosaggio.
Assorbimento/secrezione
La glicoproteina P (gp-P) si localizza a livello intestinale (enterociti) e renale ed agisce come “pompa di efflusso”: è un
trasportatore che previene l’assorbimento intestinale di alcuni
farmaci e ne aumenta la secrezione renale. Tutti i NAO diffondono dal lume intestinale al citoplasma degli enterociti ed in
seguito nel circolo sanguigno ma, essendo substrati della gpP, vengono da essa “intercettati” e ritrasporti nel lume intestinale. In questo modo l’assorbimento e la biodisponibilità dei
NAO risultano ridotti. La gp-P contribuisce anche all’escrezione renale dei NAO33. È quindi evidente che i farmaci che inibiscono la gp-P aumentano l’assorbimento dei NAO e riducono la loro escrezione, aumentandone quindi l’attività, a volte
anche in modo significativo. Al contrario, i farmaci induttori
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della gp-P ne potenziano l’efficacia, riducendo l’assorbimento
intestinale dei NAO ed aumentandone l’escrezione renale. In
questo modo si determina una minor biodisponibilità di tali
farmaci e quindi una ridotta efficacia clinica.
La breast cancer resistance protein (BCRP) è localizzata
prevalentemente a livello di fegato, enterociti intestinali e
rene. È un trasportatore che previene l’assorbimento intestinale di alcuni farmaci e ne aumenta la secrezione renale agendo, analogamente alla gp-P, come pompa di efflusso34. Svolge
anch’essa un ruolo nell’assorbimento e secrezione dei NAO,
particolarmente per quanto riguarda il rivaroxaban. Come per
la gp-P, la sua inibizione aumenta l’assorbimento dei NAO e
riduce la loro escrezione renale. Dipiridamolo, cimetidina, clorotiazidi, sulfasalazine, metotrexate, leflunomide, nitrofurantoina, alcuni chemioterapici tra i quali le antracicline, substrati
endogeni (estroni o acidi biliari), porfirine e flavonoidi sono
substrati di questo trasportatore che interferiscono in modo
competitivo con la sua funzione, ma sono clinicamente poco
influenti nell’interazione con i NAO. Omeprazolo, ritonavir ed
alcuni chemioterapici ne sono invece inibitori ed hanno un
ruolo più rilevante nell’assorbimento/escrezione dei NAO, che
rimane però sempre marginale35.
Metabolismo
A livello epatico rivaroxaban e, in modo minore, apixaban
vengono metabolizzati dall’isoforma 3A4 del citocromo
P450, mentre il dabigatran non risente di questo processo,
che interessa solo marginalmente (5%) edoxaban1. Il rivaroxaban viene in minima parte metabolizzato anche dall’isoforma
2J2 del citocromo P450. Gli inibitori del citocromo aumentano l’effetto dei NAO, rendendoli a volte pericolosi, mentre gli
induttori accelerano la velocità di smaltimento del farmaco, la
cui efficacia quindi si riduce.
Le recenti linee guida dell’EHRA1 forniscono un esaustivo schema dei farmaci da evitare nei pazienti in terapia con
NAO, specificando anche quando risulta opportuno ridurne
il dosaggio. I problemi principali derivano dai farmaci che interagiscono con la gp-P e con il citocromo P450 e che quindi
aumentano o riducono l’effetto dei NAO. Essendo la biodisponibilità del dabigatran molto inferiore a quella di rivaroxaban, apixaban o edoxaban, piccole variazioni del suo assorbimento hanno un impatto sui livelli plasmatici molto maggiore
rispetto a quello che si verifica per gli altri tre1.
A tali interazioni farmacologiche va affiancata la valutazione clinica, con l’opportunità di ridurre il dosaggio dei NAO nei
pazienti a rischio emorragico aumentato (età avanzata, funzionalità renale ridotta, basso peso corporeo, concomitante
assunzione di terapia steroidea sistemica, antiaggreganti piastrinici ed antinfiammatori non steroidei, sanguinamento gastrointestinale pregresso o attivo, recente intervento chirurgico
su cervello o occhio, trombocitopenia e HAS-BLED score ≥3).
Nell’utilizzo dei NAO, i principali farmaci a cui porre attenzione1 sono:
• verapamil: inibisce in modo significativo la gp-P, anche se
le forme a rilascio modificato determinano un’interazione
minore; tale effetto è particolarmente evidente per il dabigatran, di cui si raccomanda la riduzione del dosaggio.
Per le forme di verapamil a rilascio immediato si consiglia
l’assunzione almeno 2h prima di quella del dabigatran
in modo da ridurre l’interazione. L’effetto del verapamil
su rivaroxaban e apixaban non è clinicamente rilevante,
mentre aumenta del 50% la biodisponibilità di edoxaban.
Dieci quesiti sui NAO
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Nei pazienti in terapia con verapamil, la somministrazione di edoxaban non richiede una riduzione del dosaggio,
ma bisogna tenerne conto se associato ad altri fattori che
implicano la riduzione del dosaggio (ridotta funzionalità
renale, età avanzata, basso peso corporeo);
diltiazem: inibisce meno la gp-P rispetto al verapamil, provocando interazioni clinicamente non rilevanti. Aumenta
però del 40% le concentrazioni plasmatiche di apixaban e
quindi bisogna tenerne conto se associato ad altri fattori
che implicano la riduzione del dosaggio (ridotta funzionalità renale, età avanzata, basso peso corporeo);
dronedarone: il suo utilizzo con dabigatran è controindicato a causa del suo potente effetto sulla gp-P, che fa
pressoché raddoppiare l’effetto del dabigatran. Non ci
sono interazioni clinicamente rilevanti con rivaroxaban e
apixaban, ma bisogna tenerne conto se associato ad altri fattori che implicano la riduzione del dosaggio (ridotta
funzionalità renale, età avanzata, basso peso corporeo). Il
dosaggio di edoxaban andrà dimezzato quando somministrato insieme a dronedarone, che ne aumenta in modo
significativo l’effetto;
amiodarone: aumenta leggermente i livelli sierici del dabigatran ed edoxaban, ma senza conseguenze clinicamente
rilevanti; è consigliata una certa attenzione nel suo utilizzo
con tutti i NAO, in particolar modo se si associa ad altri
fattori che implicano la riduzione del dosaggio (ridotta
funzionalità renale, età avanzata, basso peso corporeo);
chinidina: aumenta l’efficacia di dabigatran ed edoxaban,
il cui dosaggio andrà ridotto in presenza ridotta funzionalità renale, età avanzata, basso peso corporeo. Non ci
sono dati a riguardo su apixaban e rivaroxaban;
claritromicina ed eritromicina aumentano del 90% l’effetto di edoxaban, il cui dosaggio in questi casi si raccomanda di dimezzare. Bisogna porre attenzione nel caso di
utilizzo di dabigatran o rivaroxaban insieme a claritromicina o eritromicina in presenza di altri fattori che implicano
la riduzione del dosaggio (ridotta funzionalità renale, età
avanzata, basso peso corporeo);
l’utilizzo di farmaci antivirali (ritonavir) e antimicotici azolici
(itraconazolo, ketoconazolo, posaconazolo, voriconazolo)
risulta controindicato con i NAO, in quanto ne aumenta
l’effetto attraverso la competizione con gp-P e la BCRP, associandosi spesso anche all’inibizione del citocromo 3A4. In
corso di terapia con antimicotici azolici l’unico NAO utilizzabile, riducendone il dosaggio, sarebbe edoxaban;
fluconazolo: può essere somministrato per via sistemica insieme a rivaroxaban, il cui dosaggio andrà ridotto in presenza di ridotta funzionalità renale, età avanzata, basso peso
corporeo. Non ci sono dati sufficienti per raccomandare un
suo utilizzo con dabigatran, apixaban o edoxaban;
ciclosporina e tacrolimus competono con la gp-P e sono
controindicati con dabigatran mentre non ci sono dati sufficienti per rivaroxaban ed apixaban. Se somministrati con
edoxaban, bisogna ridurre il dosaggio di quest’ultimo;
carbamazepina, fenitoina, fenobarbital, iperico (erba di
San Giovanni) sono forti induttori di gp-P, BCRP, citocromo
P450 isoforma 3A4 e 2J2, e riducono in modo significativo i livelli plasmatici di rivaroxaban, apixaban, dabigatran
e, in modo minore, edoxaban; sono quindi controindicati
in associazione terapeutica, tranne che con edoxaban, la
cui riduzione plasmatica del 35% non viene ritenuta clinicamente rilevante;
• rifampicina: forte induttore di gp-P, BCRP, citocromo
P450 isoforma 3A4 e 2J2; riduce in modo significativo i
livelli plasmatici di rivaroxaban, apixaban, dabigatran e,
in modo minore, edoxaban. Quest’ultimo va incontro ad
un aumento compensatorio dei metaboliti attivi e risulta
quindi l’unico NAO utilizzabile con la rifampicina, anche
se sarebbe meglio non ricorrervi.
Altri farmaci hanno interazioni meno rilevanti con i NAO.
Per una valutazione dettagliata si rimanda alle linee guida recentemente pubblicate dall’EHRA1.
QUESITO N. 5
Come ci si comporta con i pazienti che assumono la duplice terapia antiaggregante?
Si stima che circa il 20% dei pazienti con FA andrà incontro
nel corso della vita ad un intervento di rivascolarizzazione coronarica percutanea con impianto di stent36. In questi pazienti esiste l’indicazione alla TAO con warfarin in aggiunta ad
aspirina e clopidogrel, la cosiddetta triplice terapia37. La stessa
indicazione esiste per i pazienti con FA e sindrome coronarica
acuta (SCA) indipendentemente dall’esecuzione dell’angioplastica coronarica.
In mancanza di trial clinici randomizzati di adeguate dimensioni le raccomandazioni per la gestione della terapia
antitrombotica nei pazienti con FA e stenting coronarico provengono da documenti di consenso. Il documento di consenso più recente dell’ESC38 in collaborazione con altre società
scientifiche raccomanda la triplice terapia con warfarin, aspirina e clopidogrel come trattamento iniziale da protrarre per
il più breve tempo possibile, mantenendo ridotta l’intensità
dell’anticoagulazione (international normalized ratio [INR]
target 2.0-2.5). Inoltre dovrebbero essere evitati i nuovi inibitori P2Y12 quali prasugrel e ticagrelor ed attuata una protezione gastrica con farmaci inibitori della pompa protonica.
La triplice terapia riduce significativamente il rischio di ictus e
trombosi di stent, ma nello stesso tempo aumenta di 2 volte
il rischio di emorragie maggiori rispetto alla doppia antiaggregazione piastrinica o al warfarin associato all’aspirina39,40.
Un unico trial clinico randomizzato, il WOEST, ha finora
testato la possibilità di omettere l’aspirina in pazienti in warfarin sottoposti ad angioplastica coronarica, dimostrando che
una duplice terapia con warfarin e clopidogrel rispetto alla
triplice terapia con warfarin, clopidogrel e aspirina comporta
meno complicanze emorragiche senza aumento degli eventi
trombotici ed in particolare della trombosi di stent41. Le dimensioni dello studio WOEST non erano tuttavia adeguate
per valutare outcome di efficacia quali trombosi di stent e
morte, ma solo per valutare endpoint di sicurezza. Nonostante questi limiti il documento di consenso ESC raccomanda la
possibilità di omettere l’aspirina attuando una duplice terapia
con warfarin e clopidogrel in alternativa alla triplice terapia in
pazienti selezionati con basso rischio di trombosi di stent e di
recidive ischemiche.
Con l’avvento dei NAO in alternativa gli AVK si pone il
problema del loro utilizzo nei pazienti in FA con indicazione
all’angioplastica coronarica. Finora nessuno dei NAO è stato
testato in questo contesto, anche se esistono studi in corso
con i diversi NAO (PIONEER AF-PCI con rivaroxaban; RE-DUAL
PCI con dabigatran; AUGUSTUS con apixaban ed EVOLVE-PCI
con edoxaban).
G Ital Cardiol 2016
5
R Cemin et al
L’unico studio clinico condotto con i NAO nella FA nel quale era consentito che i pazienti potessero assumere la doppia
antiaggregazione piastrinica è lo studio RE-LY, nel quale circa
800 pazienti hanno ricevuto per un certo periodo di tempo
una terapia concomitante con aspirina e clopidogrel. L’uso concomitante della doppia antiaggregazione piastrinica ha comportato un aumento del rischio di emorragie maggiori (hazard
ratio 2.31) ancora più elevato rispetto all’aumentato rischio
emorragico (hazard ratio 1.60) osservato con l’associazione di
un singolo antiaggregante piastrinico42. Nei pazienti in triplice
terapia il rischio assoluto di emorragie maggiori è risultato più
basso con dabigatran 110 mg bid in confronto a dabigatran
150 mg bid e warfarin, anche se le differenze in considerazione
del ridotto numero di pazienti non sono risultate significative.
In attesa dei risultati dei trial in corso e sulla base delle
evidenze finora disponibili, riteniamo che possano essere suggerite le seguenti raccomandazioni.
Nei pazienti con FA già in trattamento con uno specifico
NAO che devono essere sottoposti ad angioplastica coronarica o sviluppano una SCA, non esistono validi motivi per attuare uno “switch” da NAO ad AVK43. Il paziente proseguirà
il NAO in corso in associazione ad aspirina e clopidogrel. In
questo caso dovrà essere prestata la massima attenzione all’utilizzo del basso dosaggio dei singoli NAO (dabigatran 110
mg bid, rivaroxaban 15 mg, apixaban 2.5 mg bid, edoxaban
30 mg) laddove esistano le condizioni previste dalle linee guida per la riduzione della dose.
Nei pazienti in doppia antiaggregazione piastrinica dopo
stenting coronarico o SCA che sviluppano FA la scelta tra AVK
e NAO dovrebbe essere basata sugli stessi criteri che guidano la scelta per i pazienti con FA in generale. Se si sceglie di
utilizzare un NAO, l’opzione più ragionevole potrebbe essere
il dabigatran al dosaggio ridotto di 110 mg bid in aggiunta a
clopidogrel e aspirina.
Anche per i NAO valgono le stesse raccomandazioni relative alla triplice terapia con warfarin: durata più breve possibile della terapia di associazione, astensione dall’utilizzo dei
nuovi inibitori P2Y12 quali prasugrel e ticagrelor e protezione
gastrica con farmaci inibitori della pompa protonica.
QUESITO N. 6
Vantaggi e svantaggi delle differenti modalità di somministrazione (mono o bi-giornaliera)
L’emivita plasmatica dei NAO confrontati con il warfarin nella
profilassi tromboembolica della FA è di circa 12h, con una variabilità dovuta più all’età e alla funzione renale che al tipo di
farmaco. Nonostante il sovrapponibile profilo farmacocinetico,
le modalità di somministrazione dei NAO negli studi di fase III
condotti nella FA sono state diverse: bi-somministrazione giornaliera per dabigatran (studio RE-LY) e apixaban (studio ARISTOTLE) e mono-somministrazione giornaliera per rivaroxaban
(studio ROCKET AF) ed edoxaban (studio ENGAGE AF-TIMI 48).
La differente modalità di somministrazione costituisce, insieme
ad altri elementi, una componente del processo decisionale di
scelta di uno specifico NAO nel singolo paziente.
In considerazione dei forti limiti legati alla mancanza di un
confronto diretto tra i diversi NAO, non siamo a nostro parere autorizzati ad affermare che i farmaci in somministrazione
bi-giornaliera nella FA siano superiori in termini di efficacia e
sicurezza rispetto a quelli in mono-somministrazione.
6
G Ital Cardiol 2016
Uno dei problemi principali nella gestione delle terapie
croniche è quello dell’aderenza terapeutica, argomento per
il quale si è registrata una forte crescita di interesse nella letteratura degli ultimi 10 anni. Apparentemente dovremmo
attenderci una migliore aderenza per i farmaci in mono-somministrazione rispetto a quelli in bi-somministrazione. In realtà
i dati della letteratura non sono univoci. Uno studio retrospettivo di coorte44 condotto in pazienti con FA trattati con farmaci antipertensivi e antidiabetici ha riportato un’aderenza del
26% più alta nei pazienti in regime terapeutico di mono-somministrazione rispetto a quelli in regime di somministrazione
bi-giornaliera. Al contrario altri studi non hanno riscontrato
differenze significative nell’aderenza a farmaci in somministrazione mono- o bi-giornaliera in pazienti con FA45,46.
Nella pratica clinica di gestione della FA tra i criteri di scelta di uno specifico NAO vengono appropriatamente incluse
anche le preferenze del paziente47. Non è difficile immaginare
che la preferenza del paziente con FA, che spesso già assume
altri farmaci cardiovascolari e non, sia verosimilmente a favore di un NAO in mono-somministrazione. Sarebbe tuttavia
importante informare il paziente non solo dei vantaggi, ma
anche dei potenziali svantaggi dei NAO con somministrazione
giornaliera.
In una simulazione che ha utilizzato una modellistica basata sulle concentrazioni plasmatiche di un farmaco con un’emivita plasmatica di circa 12h in somministrazione mono- o
bi-giornaliera è stato dimostrato che la concentrazione plasmatica del farmaco dopo l’assunzione di una singola dose
bi-giornaliera è simile all’attesa concentrazione a valle di una
dose giornaliera48. In pratica, l’omissione di una singola dose
di un farmaco a regime bi-giornaliero non comporta una criticità terapeutica. L’equivalenza farmacologica dell’omissione
di una singola dose in un regime giornaliero equivale all’omissione di tre dosi consecutive di un regime bi-giornaliero.
Pertanto nella pratica clinica l’utilizzo di un NAO con modalità
di mono-somministrazione giornaliera richiede una maggiore
vigilanza dell’aderenza terapeutica da parte del paziente.
In conclusione, è verosimile che nei pazienti con FA l’aderenza terapeutica sia migliore con un NAO in mono-somministrazione, ma nei pazienti con aderenza subottimale un NAO
in somministrazione bi-giornaliera comporta minori rischi di
transitoria mancata copertura terapeutica. Soltanto attraverso studi clinici prospettici sarà possibile correlare outcome di
efficacia e sicurezza con le diverse modalità di somministrazione mono- o bi-giornaliera dei NAO.
QUESITO N. 7
Quale livello di aderenza terapeutica consideriamo
adeguato e come facciamo a misurarla?
L’aderenza terapeutica è uno dei determinanti principali nel
trattamento della patologie croniche e si definisce come la
misura in cui un paziente segue le raccomandazioni, farmacologiche o comportamentali, proposte dal medico curante.
Per quanto riguarda la terapia medica, l’aderenza implica l’assunzione dei dosaggi di farmaco raccomandati agli orari consigliati49. Si definisce invece persistenza, il tempo di continuità
terapeutica, cioè l’intervallo dall’assunzione della prima dose
al momento della sospensione del trattamento49: un paziente è persistente se continua ad assumere la terapia. Mentre la
mancata persistenza è palese, in quanto il paziente dichiara di
Dieci quesiti sui NAO
non assumere più il farmaco, la scarsa aderenza è un problema
più subdolo e difficile da diagnosticare, visto che il paziente
afferma di assumere la terapia, ma non lo fa in modo ottimale.
L’inadeguata aderenza si associa ad una maggiore frequenza di visite mediche o infermieristiche, ad un aumento
di numero e durata degli episodi di ospedalizzazione, della
gravità della patologia e del rischio di morte e può incrementare in maniera considerevole i costi del sistema sanitario50. In
generale le percentuali di non aderenza farmacologica variano tra il 25% e il 55%51, risultando maggiori nelle patologie
croniche, nelle quali la regolare assunzione dei farmaci decresce significativamente dopo 3 mesi di terapia.
Affinché la terapia anticoagulante orale risulti efficace, il
paziente, oltre che continuare ad assumerla (essere persistente), deve essere anche aderente (seguire la posologia raccomandata).
Analizzando i grandi studi clinici, il numero dei pazienti
che sospende la terapia anticoagulante orale nei primi 2 anni
è compreso tra 20-30% e tale percentuale è sovrapponibile
per quanto riguarda la sospensione dei NAO (dabigatran, rivaroxaban, apixaban, edoxaban) e degli AVK6-9.
Nella vita reale la persistenza della terapia anticoagulante appare dibattuta: alcune osservazioni riportano una miglior persistenza dei NAO rispetto al warfarin (sospensione
dei NAO ad 1 anno nel 20-40% circa a fronte di un quasi
40-60% di sospensione degli AVK52-55, mentre altri studi non
ravvisano alcuna differenza56.
Più complessa appare la valutazione dell’aderenza terapeutica, cioè dell’adeguata assunzione della TAO da parte di
quei pazienti che dichiarano di continuare a seguirla. Nella
TAO un’aderenza inadeguata si associa ad un aumento del rischio di ictus ed eventi embolici, ad un’ospedalizzazione prolungata se non addirittura lungodegenza che si ripercuotono
in un incremento dei costi sanitari.
Negli utilizzatori degli AVK, l’aderenza appare valutabile
abbastanza semplicemente in modo oggettivo mediante il
tempo in range terapeutico (TTR), che risulta un marcatore di
qualità dell’anticoagulazione; un basso TTR (<70%) si associa
a maggiori complicanze cliniche57.
Negli utilizzatori dei NAO una corretta aderenza appare
ancor più importante rispetto ai pazienti in terapia con AVK.
Questi ultimi infatti, avendo una lunga emivita, garantiscono
una sufficiente protezione anche in caso di mancata assunzione di una dose. I NAO hanno invece un’emivita breve e la
loro mancata assunzione può avere conseguenze devastanti.
Una scarsa aderenza potrebbe essere favorita dal fatto
che gli utilizzatori di questi farmaci sono sottoposti ad una
ridotta monitorizzazione clinica con pochi contatti medico-sanitari. Tutto ciò potrebbe fare ipotizzare al paziente una minor
importanza di seguire la terapia in modo regolare rispetto a
quanto richiesto per gli AVK. Nei NAO inoltre, valutare la reale
aderenza risulta difficoltoso vista la loro breve emivita e la
scarsa diffusione degli esami di laboratorio in grado di monitorane l’effetto. I metodi diretti, quali la misura del livello del
farmaci nel sangue, sono poco diffusi e poco utili, considerando la breve emivita dei NAO. La valutazione dell’aderenza
a questi farmaci dipende spesso da quanto auto-riferito dai
pazienti attraverso la compilazione di questionari di aderenza
o la revisione di diari farmacologici.
Metodi più complessi quali la conta delle pillole e similari, sistemi di monitoraggio elettronici della dispensazione dei
farmaci, l’esame delle nuove prescrizioni e del tempo inter-
corso tra una e l’altra, o misurazioni biochimiche ottenute
aggiungendo marcatori non tossici ai farmaci e valutando
la loro presenza in sangue ed urine49, non sembrano fornire
risultati più affidabili, sovrastimando spesso la reale aderenza terapeutica.
La scala di Morisky58 (Tabella 1), pur essendo stata validata per la terapia antipertensiva, offre un semplice sistema
di valutazione dell’aderenza nei pazienti in TAO. Nei pazienti
in terapia con warfarin, l’aderenza terapeutica, stimata mediante questa scala, è risultata correlare significativamente
con un buon controllo dell’INR59. La scala di Morisky, pur non
fornendo un’evidenza diretta della reale aderenza, è di rapido
utilizzo anche a livello ambulatoriale, risulta a basso costo e
rivela un’attitudine del paziente verso i farmaci.
Nei trial sui NAO si considera in genere adeguata un’aderenza superiore all’80%. Nei diversi contesti clinici quali
embolia polmonare (rivaroxaban), trombosi venosa profonda
(dabigatran ed apixaban) e prevenzione del tromboembolismo
nella FA atriale (dabigatran), un’adeguata aderenza terapeutica viene riportata, rispettivamente, nel 94%60, 96-98%61,62
e >95%6 dei pazienti. Nei trial clinici l’aderenza è però spesso
sovrastimata rispetto al mondo reale, vista la precisa selezione
dei pazienti e il follow-up intensivo al quale sono sottoposti,
che potenzia l’aderenza terapeutica dei partecipanti. Nei trial
sui NAO inoltre non viene considerata l’aderenza dei “drop
out”, che sono una percentuale non trascurabile dei partecipanti.
Nel mondo reale l’aderenza ai NAO risulta decisamente
più bassa rispetto ai trial. Nelle osservazioni sugli utilizzatori di NAO, un’adeguata aderenza (>80%) viene riportata nel
67-88% dei pazienti in dabigatran63-66, nel 75% di quelli in
rivaroxaban e nel 71% in apixaban66. Predittori di una migliore aderenza risultano l’aumentare dell’età, il sesso femminile
e l’assunzione di altri farmaci orali67. Una scarsa aderenza si
associa a ricadute cliniche significative quali mortalità da ogni
causa e ictus ed aumenta i costi sanitari65. È stato inoltre suggerito di utilizzare gli alti dosaggi dei vari NAO nei soggetti
poco aderenti, riservando i bassi dosaggi ai pazienti ben aderenti. In questo modo si ridurrebbero al minimo le complicanze56.
Valutare correttamente l’aderenza terapeutica degli utilizzatori di NAO è fondamentale in vista di una cardioversione
elettiva. In questo contesto l’aderenza da considerarsi adeguata è ben superiore all’80%. Le linee guida consigliano
un’adeguata anticoagulazione per un periodo di almeno 3
settimane, prima di sottoporre un paziente ad una cardioversione4. In questi 21-28 giorni consecutivi sarebbe opportuno
che il paziente assumesse regolarmente tutti i giorni il NAO
Tabella 1. Scala di Morisky58 per la valutazione dell’aderenza terapeutica.
1.
2.
3.
4.
Dimentichi mai di assumere il farmaco?
Sei puntuale nell’orario di assunzione
del farmaco durante la giornata?
Quando ti senti meglio a volte smetti di
assumere il farmaco?
A volte, se ti senti peggio assumendo il
farmaco, eviti di assumerlo?
Sì/No
Sì/No
Sì/No
Sì/No
Un’aderenza adeguata si verifica in caso di risposta negativa
ad ognuno dei quattro quesiti
G Ital Cardiol 2016
7
R Cemin et al
prescelto. Accontentarsi di un’aderenza dell’80% significherebbe sottoporre a cardioversione anche un paziente che non
ha assunto i farmaci per 4 giorni (calcolo effettuato su un
periodo di 3 settimane). Se i 4 giorni fossero consecutivi, vista
la breve emivita di questi farmaci, il paziente risulterebbe non
adeguatamente anticoagulato ben più a lungo delle 48h tradizionalmente considerate quali finestra temporale esente
dalla formazione di trombi intracavitari. Ecco quindi che nei
21-28 giorni antecedenti una cardioversione si può tollerare
al massimo 1-2 giorni di mancata assunzione della terapia e
non di più. In caso di dubbi è raccomandabile l’esecuzione
dell’ecocardiografia transesofagea.
C’è infine un consenso unanime sulla necessità di rinforzare ad ogni contatto medico l’aderenza terapeutica negli utilizzatori di NAO. Il prescrittore iniziale della terapia dovrebbe
essere un vero esperto di NAO. A lui è riservato il compito
di educare il paziente in modo adeguato e coordinare il follow-up che, a lungo termine, andrebbe eseguito da infermieri
specializzati o medici di medicina generale adeguatamente
istruiti. I casi problematici vanno invece affidati allo specialista. Il paziente dovrebbe essere informato in dettaglio sulla
sua condizione clinica e sul trattamento, inclusi i problemi derivanti da un’aderenza inadeguata. Utili risultano informazioni
cartacee, il cartellino dell’anticoagulazione e sessioni di gruppo con pazienti e familiari68.
I maggiori miglioramenti di aderenza farmacologica si
sono verificati in seguito alla semplificazione della terapia e
all’uso di frequenti “reminder”, quali ad esempio messaggi
telefonici regolari, che hanno aumentato l’aderenza del 25%
circa69. I sistemi complessi hanno invece fallito.
QUESITO N. 8
Con quali nuovi anticoagulanti orali possiamo procedere
alla cardioversione elettrica e dopo quanto tempo?
Nei pazienti con FA di durata >48h o di durata non nota,
le linee guida europee del 2016 4 raccomandano l’esecuzione
di una cardioversione elettrica (CVE), solo dopo avere effettuato una terapia anticoagulante adeguata nei 21 giorni
antecedenti. Se la durata dell’aritmia è <48h si può invece
procedere direttamente alla CVE previa somministrazione di
eparina non frazionata o a basso peso molecolare. La terapia
anticoagulante va continuata almeno per 4 settimane dopo
la procedura ed eventualmente per sempre, in base alla stratificazione del rischio tromboembolico eseguita con lo score
CHA2DS2-VASc.
Nelle linee guida 2012 veniva considerata “adeguata” la
terapia anticoagulante con AVK (INR >2) oppure con dabigatran. Tale raccomandazione per il dabigatran si basava sulla
sottoanalisi dello studio RE-LY70 che, nelle 1983 CVE eseguite
in terapia o con AVK o con dabigatran, aveva dimostrato una
sicurezza sovrapponibile tra i due farmaci. Tali linee guida non
ritenevano affidabili gli altri NAO (rivaroxaban ed apixaban)
nel periodo pre-cardioversione, considerandoli accettabili solo
a partire da 4 settimane dopo la procedura. Le sottoanalisi delle CVE eseguite in terapia con rivaroxaban nello studio
ROCKET AF71 e con apixaban nello studio ARISTOTLE72, pur
dimostrando risultati sovrapponibili in termini di sicurezza
nell’utilizzo di rivaroxaban o apixaban nei confronti degli AVK,
venivano ritenute basarsi su numeri troppo esegui per supportare l’esecuzione della CVE con tali farmaci.
8
G Ital Cardiol 2016
Una significativa svolta si è avuta con lo studio X-VeRT73,
che ha evidenziato un outcome sovrapponibile nei 1504 pazienti sottoposti a CVE previa randomizzazione a rivaroxaban
o AVK. Questo studio includeva pazienti con FA insorta da
più di 48h o di incerta datazione, che venivano avviati ai due
bracci di trattamento: quello “standard”, con un periodo di
anticoagulazione adeguata di almeno 21 giorni prima della
procedura, o quello “rapido”, nel quale la presenza di trombosi intracardiaca veniva esclusa mediante l’esecuzione di
un’ecocardiografia transesofagea e la CVE eseguita almeno
dopo 4h dall’assunzione del rivaroxaban.
I risultati di questo studio hanno portato alla revisione delle indicazioni all’utilizzo dei NAO nei pazienti da sottoporre
alla CVE. Nelle recenti linee guida EHRA sui NAO1 viene infatti
affermato che è possibile sottoporre a CVE i pazienti in FA di
durata >48h o di incerta datazione che siano in terapia con un
NAO (apixaban, dabigatran o rivaroxaban), abolendo l’esclusività precedentemente prevista per il dabigatran. Il concetto
vale sia per il protocollo tradizionale e cioè quello che prevede
almeno 3 settimane di terapia anticoagulante efficace prima
della CVE, sia per quello “rapido”, che prevede l’esclusione di
trombi intracavitari all’ecocardiogramma transesofageo e la
somministrazione di un NAO almeno 4h prima della procedura, ricalcando quanto previsto dal protocollo X-VeRT. Dopo la
CVE sono sempre raccomandate almeno 4 settimane di anticoagulazione orale, con successiva decisione sul procedere in
base al rischio tromboembolico.
L’unica limitazione attualmente raccomandata riguarda la
cardioversione della FA di durata <48h. Pur essendo vero che
nei pazienti con FA di durata <48h non esistono dati sulla
CVE previa somministrazione di solo NAO, da un punto di
vista fisiopatologico non si capisce il motivo per cui le linee
guida EHRA consiglino di utilizzare in questi casi l’eparina non
frazionata o quella a basso peso molecolare prima della procedura (con o senza esecuzione di un’ecocardiografia transesofagea) e di ricorrere ai NAO solo dopo la CVE. Da un punto
di vista fisiopatologico, somministrare un NAO 4h prima della
procedura sembrerebbe altrettanto efficace e sicuro anche in
questi casi e può essere considerata una valida alternativa nella pratica clinica quotidiana.
Un’ultima osservazione va riservata all’utilizzo estensivo
dell’ecocardiografia transesofagea, cui si è inizialmente ricorsi
negli utilizzatori di NAO per essere più sicuri prima di eseguire la CVE. Qualora l’aderenza terapeutica sia buona, è stato
dimostrato che in questi pazienti l’incidenza di eventi embolici è sovrapponibile eseguendo o meno un ecocardiografia
transesofagea70.
Appare opportuno ricordare che, nei pazienti in adeguata
TAO con AVK o NAO, la trombosi intratriale si può verificare
nell’1.6-2.1%74-76, risultando però più frequente nei pazienti
con CHADS2 score ≥2 (>5%) e pressoché assente (<0.3%) in
quelli con CHADS2 score 01,76.
Nei pazienti in NAO l’ecocardiografia transesofagea
pre-cardioversione andrà quindi eseguita qualora l’aderenza venisse ritenuta inadeguata o in presenza di un alto rischio tromboembolico. Va però sottolineato che un paziente
non aderente avrà un aumentato rischio tromboembolico
anche post-CVE, visto che non ci sarà alcuna garanzia che nel
periodo particolarmente pericoloso per lo sviluppo di eventi
embolici (2 settimane dopo la procedura) il paziente assuma veramente il farmaco. Un paziente potrebbe non avere
trombi intracavitari al momento della procedura, ma svilup-
Dieci quesiti sui NAO
parne successivamente come conseguenza della mancata
regolare assunzione dell’anticoagulante. Nei pazienti non
aderenti bisogna quindi valutare adeguatamente la reale
opportunità di eseguire la CVE.
QUESITO N. 9
A che punto sono gli antidoti e sono veramente
necessari?
Gli antidoti ai NAO sono una risorsa importante, anche se un
loro utilizzo andrà preso in considerazione in maniera quanto mai ponderata. Nei pazienti in terapia con NAO, in caso
di emorragie, soprattutto se di lieve entità, è spesso sufficiente la sola sospensione degli anticoagulanti, in quanto la loro breve emivita permette di controllarne gli effetti nella gran
parte dei casi. Tale strategia è anche comunemente utilizzata
senza grandi problemi per le emorragie in corso di terapia
con eparine a basso peso molecolare, fondaparinux e bivalirudina, per le quali al momento non ci sono antidoti specifici. Per il warfarin, la cui azione anticoagulante si riduce
solo dopo diversi giorni, spesso viene utilizzata la vitamina
K, nonostante la sua azione sia molto lenta; tuttavia, il vero
“antidoto” sono i concentrati di protrombina a 3 o 4 fattori,
che consentono di ottenere una regressione rapida dell’attività anticoagulante in situazioni di emergenza come in corso
di emorragia cerebrale.
Questa premessa è stata confermata con dati clinici e sperimentali da ampi trial, che hanno dimostrato il miglior profilo
di sicurezza dei NAO rispetto al warfarin anche senza l’utilizzo di antidoti77, soprattutto per i sanguinamenti intracranici
e quelli con rischio di vita per il paziente78. La stessa riduzione di emorragie è stata anche osservata in ampissimi registri
osservazionali basati sulla vita reale79-81, con una importante
riduzione della mortalità associata alle emorragie82.
L’antidoto ai NAO nella pratica clinica può essere utile in
due casi: quando si verificano emorragie gravi in corso di terapia anticoagulante (in particolare emorragie cerebrali e digestive) e in caso di necessità di effettuare un intervento chirurgico d’emergenza non differibile di 24h. Infatti, gli “antidoti”
per il warfarin (concentrati di protrombina), per il dabigatran
e quelli, a breve disponibili, per gli altri NAO non sono esenti
da effetti indesiderati, primo fra tutti il possibile ritorno della
trombosi, e vanno utilizzati solo nelle suddette situazioni di
emergenza; nelle altre situazioni non è consigliabile ricorrere
ad essi, considerato il rapido ripristino della normale coagulazione dopo la sospensione dei NAO.
Il primo antidoto con dimostrata efficacia nella pratica
clinica è stato l’idarucizumab, frammento di anticorpo monoclonale che si lega al dabigatran, capace di neutralizzarne l’attività anticoagulante molto rapidamente. Tale azione, dapprima dimostrata in 200 volontari sani, ha ricevuto la conferma
clinica nello studio multicentrico di fase 3 RE-VERSE AD con
i dati pubblicati nell’analisi ad interim per la loro importanza
clinica83. Il trial, pianificato per 200 pazienti, ne ha analizzati una novantina in corso di terapia con dabigatran con due
diversi criteri di inclusione: la parte maggiore di essi (n=51)
presentava un’emorragia grave (a livello intracranico oppure
correlata a un trauma o gastrointestinale), mentre un secondo
braccio contava 36 pazienti che avevano la necessità di essere
sottoposti a un intervento chirurgico urgente (interventi per
fratture, colecistite acuta, appendicite acuta, dissezione aor-
tica, ecc.) non differibile di almeno 8h e che richiedeva un’emostasi normale. L’antidoto è stato somministrato in due boli
endovenosi di 2.5 g a 15 min di distanza l’uno dall’altro. L’idarucizumab ha completamente antagonizzato l’effetto anticoagulante del dabigatran (endpoint primario) nel giro di pochi
minuti già dopo il primo bolo, senza manifestare problemi di
sicurezza legati alla sua somministrazione. Eventi tromboembolici si sono verificati complessivamente in 5 pazienti (5.7%)
a distanza della somministrazione di idarucizumab, correlati
alla mancata ripresa dell’anticoagulazione. Sulla base di questi dati l’idarucizumab è stato registrato presso le autorità regolatorie con una procedura fast-track ed è ora presente in
tutti i dipartimenti di emergenza/urgenza.
In parallelo sono stati sviluppati altri antidoti quali l’andexanet alfa84, che è una variante ricombinante del fattore X attivato, capace di legarsi a tutti gli inibitori orali di questo, quindi
rivaroxaban, apixaban ed edoxaban. Dati preliminari derivati
dal recente studio ANNEXA-4 hanno dimostrato che la somministrazione di andexanet alfa in 67 pazienti con sanguinamenti maggiori acuti associati ad inibitori del fattore X attivato
porta ad una notevole riduzione dell’attività anti-Xa, con una
emostasi efficace nel 79% dei casi85. Un terzo antidoto, l’arizapina86, è definito antidoto universale in quanto è in grado
di antagonizzare l’effetto degli inibitori diretti della trombina,
degli inibitori del fattore X attivato, dell’eparina a basso peso
molecolare, dell’eparina non frazionata e del fondaparinux.
È dunque prevedibile che accanto all’idarucizumab, primo antidoto per dabigatran già presente nei dipartimenti di emergenza, nel prossimo anno possa essere anche commercializzato l’andexanet. Tuttavia, nella pratica clinica la necessità di
dover ricorrere all’antidoto si verificherà in pochissime situazioni, sotto supervisione di medici esperti; in primis negli interventi
chirurgici d’emergenza, che potranno essere effettuati già 2
ore dopo la somministrazione dell’antidoto. La consapevolezza
della disponibilità di un antidoto sicuro ed efficace incoraggerà
ulteriormente l’utilizzo dei NAO, senza le recondite remore finora diffusesi, pur sapendo che tutti i giorni utilizziamo altri
anticoagulanti, come l’eparina a basso peso molecolare, per la
quale non esiste ancora un antidoto efficace.
QUESITO N. 10
Come e quando è necessario eseguire un test di
laboratorio per valutare l’efficacia della terapia?
Grazie alla farmacocinetica e farmacodinamica ampiamente
prevedibili e all’ampia finestra terapeutica i NAO non richiedono un monitoraggio di routine della coagulazione87. Possono
esistere, tuttavia, alcune situazioni (Tabella 2) nelle quali è necessario conoscere se non l’esatta concentrazione del farmaco,
almeno la sua presenza/assenza in circolo (in corso di trombosi
Tabella 2. Situazioni nelle quali può essere utile misurare l’attività/
presenza dei nuovi anticoagulanti orali.
•
•
•
•
•
•
•
Prima di chirurgia/procedura urgente con trattamento nelle 24h
Sanguinamento attivo
Sospetto sovradosaggio
Sospetta mancata aderenza terapeutica
Insufficienza renale improvvisa
Trombosi acuta
Incoscienza del paziente
G Ital Cardiol 2016
9
R Cemin et al
Tabella 3. Farmacocinetica dei nuovi anticoagulanti orali e test per la valutazione dell’attività anticoagulante.
Dabigatran
Rivaroxaban
Apixaban
Edoxaban
Picco plasmatico
2h dopo assunzione
2-4h dopo assunzione
1-4h dopo assunzione
1-2h dopo assunzione
Valle plasmatica
12-24h dopo assunzione
16-24h dopo assunzione
12-24h dopo assunzione
12-24h dopo assunzione
PT
Non usabile
Prolungato: indica presenza
del farmaco in circolo
Poco sensibile
Prolungato: non dati
su sanguinamento
PT INR
Non usabile
Non usabile
Non usabile
Non usabile
aPTT
A valle: >2x ULN →
eccesso sanguinamento
Non usabile
Non usabile
Non nota correlazione
con sanguinamento
dTT
A valle: >65 s →
eccesso sanguinamento
Non usabile
Non usabile
Non usabile
Cromogenico anti-FXa
Non usabile
Correlazione lineare
Correlazione lineare
Correlazione lineare
ECT
A valle: >3x ULN →
eccesso sanguinamento
Non modificato
Non modificato
Non modificato
aPTT, tempo di tromboplastina parziale attivato; dTT, tempo di trombina; ECT, tempo di ecarina; FXa, fattore X attivato; INR, international normalized ratio; PT, tempo di protrombina; ULN, limite superiore di normalità.
Tabella 4. Rivaroxaban, apixaban ed edoxaban: effetti sul tempo di
protrombina (PT).
• Il valore del PT va misurato in secondi (l’INR o il CoaguCheck
non sono precisi e non vanno usati).
• PT Neoplastin Plus è il reagente testato per rivaroxaban
(al picco 1-4h dopo l’assunzione - v.n. 14-40 s per 20 mg e
10-50 s per 20 mg nell’insufficienza renale moderata).
• Fornisce informazioni qualitative (presenza sì/no del farmaco).
• Non fornisce informazioni quantitative (non dosa il farmaco).
• Non serve nella gestione routinaria del paziente.
INR, international normalized ratio.
Tabella 5. Rivaroxaban, apixaban ed edoxaban: il metodo cromogenico anti-fattore Xa.
• È specifico (a differenza del tempo di protrombina) ed offre
un’elevata sensibilità.
• È lineare nella correlazione (quantitativo).
• Può essere sfruttato per un ampio range di concentrazioni
plasmatiche.
• Il risultato va interpretato in relazione al tempo dall’assunzione
del farmaco e delle caratteristiche di assorbimento.
• Esistono già diversi test standardizzati e calibrati per i diversi
inibitori del fattore Xa.
• Non è utile nella gestione routinaria del paziente.
acuta, evento emorragico, sospetta mancata aderenza, soprattutto in caso di scarsa affidabilità o incoscienza del paziente).
Per questi casi è indispensabile un’approfondita conoscenza
ematologica; tuttavia alcuni criteri generali e alcune peculiarità
dei diversi NAO possono essere utili a tutti i medici che li utilizzano. L’estrema dipendenza della concentrazione del farmaco
circolante a seconda del tempo intercorso dall’ultima somministrazione rappresenta il limite principale delle misurazioni
effettuate in emergenza e rende difficile disegnare curve di
distribuzione affidabili per pazienti con diversa funzione renale.
Per il dabigatran, come illustrato in Tabella 3, il tempo di
tromboplastina parziale attivato (aPTT) fornisce un’utile valutazione qualitativa dell’attività anticoagulante (presente/assente), ma non dà informazioni in termini quantitativi (manca
una correlazione lineare tra aPTT ed effetto anticoagulante)88;
10
G Ital Cardiol 2016
anche bassi dosaggi del farmaco possono fare impennare il
valore di aPTT89. Inoltre il dabigatran modifica in maniera lineare il tempo di trombina calibrato per questo farmaco (Hemoclot) e il tempo di ecarina permettendo una discreta stima quantitativa della presenza in circolo90, mentre ha effetto
molto variabile sul tempo di protrombina (PT) che quindi non
va considerato a causa di questa sua risposta non attendibile.
Diversamente, il rivaroxaban e l’edoxaban (Tabella 4) modificano il PT, ma molto meno l’aPTT91,92. Se il test del PT viene
effettuato con Neoplastin Plus, esiste una buona correlazione
con l’azione del rivaroxaban. Test cromogenici anti-fattore Xa
sono stati sviluppati per una misurazione plasmatica lineare,
permettendo una stima quantitativa del livello circolante degli
inibitori del fattore Xa e sono oggi commercializzati, pur se
non presenti in tutti i laboratori93. Essi hanno dimostrato specificità e sensibilità nel misurare un intervallo di concentrazioni plasmatiche che copre le concentrazioni di inibitori anti-Xa
attese dopo dosi terapeutiche (Tabella 5).
Pertanto, consigliamo di dosare l’attività dei NAO in modalità quantitativa solo in corso di trombosi acuta o di evento
emorragico, soprattutto se si sospetta una mancata aderenza
o un sovradosaggio per la scarsa affidabilità del paziente o
per lo stato di incoscienza. Non è giustificato dosare le suddette attività per valutare la presenza in circolo nei pazienti
asintomatici o come routine di controllo.
RIASSUNTO
A distanza di oltre 3 anni dall’introduzione in Italia dei nuovi anticoagulanti orali (NAO), il loro utilizzo per la profilassi tromboembolica
della fibrillazione atriale stenta ancora a decollare, con ampie disomogeneità prescrittive tra le diverse realtà regionali. Nel momento
in cui i NAO si sono resi disponibili per l’utilizzo nella pratica clinica
quotidiana, sono sorti una serie di interrogativi relativi alla gestione
di questi farmaci nel “mondo reale”. L’articolo identifica i 10 quesiti più frequentemente sollevati dal clinico che gestisce sul campo
il paziente con fibrillazione atriale fornendo risposte schematiche
con risvolti pratici e concreti, che possano guidare le scelte quotidiane del medico.
Parole chiave. Fibrillazione atriale; Nuovi anticoagulanti orali; Prevenzione; Tromboembolismo.
Dieci quesiti sui NAO
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