Agricoltura biologica e cambiamenti climatici

Dossier a cura di FederBio
Agricoltura biologica e cambiamenti climatici
1
Il cambiamento climatico
Negli ultimi anni, è divenuto evidente che
il clima globale stia cambiando. Secondo
l’Intergovernamental
Panel
(IPCC)1,
le
Change
on
Climate
emissioni
antropogeniche di gas da effetto serra
(GHGs)2
accelerando
stanno
significativamente
le attuali
tendenze
al riscaldamento
globale,
che vengono
oggi
considerate incompatibili con le modificazioni “naturali” del clima (Pagetti, 2005; IPCC,
2007).
Nel corso dell'ultimo secolo, la temperatura media atmosferica superficiale è
aumentata di 0,74°C su scala globale e secondo stime prudenziali entro il 2100 si
1
L’IPCC, è un istituzione internazionale fondata nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite: World Meteorological
Organization (WMO) e dall’United Nations Environment Programme (UNEP) allo scopo di valutare, analizzare ed
organizzare in modo obiettivo tutta letteratura scientifica rilevante in materia di cambiamenti climatici.
L’IPCC, che attualmente riunisce circa 2500 esperti e scienziati a livello mondiale, non svolge direttamente ricerca, ma
la sua attività principale
consiste nella redazione periodica di rapporti di valutazione scientifica sullo stato delle
conoscenze nel campo del clima e dei cambiamenti climatici (Assessment Reports).
Il lavoro dell’IPCC negli ultimi anni è stato approvato dalle più importanti accademie e organizzazioni scientifiche nel
mondo, nel 2007 è stato insignito del premio Nobel per la Pace.
2
Sono chiamati gas serra (Greenhouse gases-GHGs) quei gas presenti in atmosfera, che non assorbono la radiazione
solare in entrata sulla Terra ma riescono a trattenere la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre,
dall'atmosfera e dalle nuvole. I gas serra possono essere di origine sia naturale che antropica, e assorbono ed
emettono a specifiche lunghezze d'onda nello spettro della radiazione infrarossa. Questa loro proprietà cau sa il
fenomeno noto come effetto serra. I gas serra principali nell'atmosfera terrestre sono rappresentati dal biossido di
carbonio (CO 2), l'ossido di diazoto (N2O) e il metano (CH4) sono i gas serra principali nell'atmosfera terrestre.
2
verificherà un ulteriore aumento della temperature, pari circa a 2°C corrispondente a
un aumento di 0,2°C per decennio (Baird, 1997).
Questo deciso riscaldamento viene indicato usualmente con il termine global warming,
espressione che tuttavia non esprimeva effettivamente tutti gli effetti che esso
comporta: scioglimento dei ghiacciai, termoespansione degli oceani, variazioni
dell’intensità delle precipitazioni, aumento della frequenza di eventi meteorologici
“estremi” (uragani, inondazioni, siccità, ondate di calore ecc). Attualmente, pertanto,
si
preferisce
l'espressione
“cambiamento
climatico”,
che
descrive
sia
il
riscaldamento che le relative conseguenze (Godrej, 2003).
Secondo la definizione utilizzata dall’United Nations Framework Convention on Climate
Change – UNFCCC, il cambiamento climatico si riferisce ad un cambiamento –
maggiore rispetto alla variabilità naturale del clima osservata in paragonabili periodi di
tempo – dello stato del clima; tale variazione è attribuita ad un’alterazione della
composizione
dell’atmosfera
globale,
direttamente
o
indirettamente
causata
dall’attività dell’uomo.
Secondo IPCC, il fenomeno del cambiamento climatico può essere definito come una
variazione statisticamente significativa dello stato medio del clima o della sua
variabilità, persistente per un periodo esteso (tipicamente decenni o più), causata sia
dalla variabilità naturale sia dall’attività umana.
3
I cambiamenti climatici hanno un largo raggio d’azione nonché potenziali serie
conseguenze sulla salute umana. A tale proposito, il IV Assessment Report dell’IPCC
pubblicato nel 2007, non si limita solo a dedicare uno specifico capitolo alla salute, ma
fa riferimento al tema salute in tutti i capitoli del report, evidenziando in modo netto
come il cambiamento climatico e le conseguenze legate ad esso sono e saranno una
serio rischio per la salute umana (APAT, 2007). Tali cambiamenti, inoltre, hanno
portato ad una crescente perdita di biodiversità e hanno posto sotto particolare stress
gli ecosistemi terrestri e marini.
Nel IV Rapporto dell’IPCC si afferma che l’aumento nelle temperature medie globali
dalla metà del XX secolo è dovuto all’aumento osservato nelle concentrazioni di gas
serra di origine antropica. A tal riguardo, si evidenzia che nel periodo 1970-2004 le
emissioni globali dei gas serra sono cresciute del 70% e che la concentrazione dei
GHGs in atmosfera attualmente supera il 35% i valori pre-industriali (IPCC, 2007).
La concentrazione di CO2, sulla base dei dati diffusi da National Oceanic and
Atmospheric Administration (NOAA, http://co2now.org/), a fine aprile 2011 aveva
raggiunto 393.18 parti per milione (ppm), circa il 40% in più rispetto al livello
misurato all’inizio dell’era industriale (1750 ca.). Successivamente, l’uso indiscriminato
dei combustibili fossili e la continua distruzione degli habitat naturali (deforestazione
in primis, prosciugamento delle zone umide ecc.) hanno immesso in atmosfera enormi
4
volumi di CO2, prima fissata nei depositi di combustibili fossili e negli ecosistemi
vegetali.
Le emissioni antropiche di CO2 e degli altri GHGs, a livello globale, sono aumentate
0,9 miliardi di tonnellate (Gt) di anidride carbonica equivalente (CO2eq)3 l’anno,
arrivando alla fine del 2008 a 32,3 GtCO2eq (L. Ciccarese & D.Panetta, 2010).
Le quantità più significative di gas serra sono state emesse dalle attività relative a:
fornitura di energia (26%), industria (19%), deforestazione e utilizzo dei terreni
(17,4%), agricoltura (13,5%) e trasporti (13%) (IPCC, 2007).
Fig.1 Emissioni antropogeniche globali di GHGs per settore, riferite all’anno 2004 (espresse in CO2eq)
Fornitura di
energia; 25,9%
Industria; 19,4%
deforestazione e
utilizzo dei terreni;
17,4%
Agricoltura; 13,5%
Trasporti; 13,1%
Edifici residenziali
e commerciali;
7,9%
Rifiuti ; 2,8%
0,00%
10,00%
20,00%
30,00%
Fonte: da “Fourth Assessment Report: Climate Change 2007”, IPCC, 2007
3
Viene definita come CO2 equivalente (CO2eq) l'unità di misura delle emissioni di gas serra che viene utilizzata per
poter calcolare le emissioni dei diversi gas serra
equiparate, negli effetti di riscaldamento della Terra, alla CO 2
secondo tabelle di conversione definite.
5
L’impatto dell’agricoltura sui cambiamenti climatici
L’agricoltura, come abbiamo visto, rilascia in
atmosfera
contribuendo
enormi
in
quantità
modo
di
GHGs,
considerevole
al
cambiamento climatico. Nello stesso tempo, il
settore agricolo è quello più colpito dagli
effetti negativi dei mutamenti del clima e i
piccoli agricoltori, soprattutto nei Paesi in Via
di Sviluppo, sono sicuramente il gruppo più vulnerabile.
Il climate change, infatti, produce alterazioni significative sugli ecosistemi agricoli e
forestali, soprattutto attraverso l’incremento delle temperature medie e l’intensificarsi
dei fenomeni estremi (siccità, inondazioni ecc.). Secondo i modelli di previsione, le
anomalie climatiche provocheranno una riduzione compresa tra il 9 e il 21 per cento
della produttività agricola da qui al 2050, specialmente nei Paesi in via di sviluppo (D.
Gaudioso, 2010).
Ma
l’agricoltura,
se
correttamente
utilizzata,
rappresenta
un
significativo
potenziale di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra, soprattutto
perché all'interno dei suoi cicli di produzione sequestra carbonio nel suolo e
nella biomassa.
6
L’attività agricola è risultata responsabile della produzione di una quantità pari da 5,16,1 Gt di CO2eq all'anno, vale a dire il 10-12% del totale dei gas serra emessi
annualmente su scala planetaria (Smith et al., 2007; IPCC, 2007)4. Inoltre,
all’agricoltura è imputabile il 47% del totale delle emissioni di metano (CH4), che
derivano principalmente dagli allevamenti (73%) e
dalla gestione dei fertilizzanti organici (26%), e circa il 58% delle emissioni globali del
protossido d’azoto (N2O)5.
Dai dati, si intuisce dunque come le attività agricole contribuiscano in misura piuttosto
modesta
alla
produzione
di
anidride
carbonica,
ma
in
misura
più
rilevante
all’immissione di protossido d’azoto e metano, a causa delle attività relative
all’allevamento e alla risicoltura e, in parte, alla fertilizzazione del suolo.
Il metano e il protossido d’azoto hanno un notevole impatto sul cambiamento
climatico; infatti, una loro unità ha un potenziale climalterante corrispondente
rispettivamente a 21 unità e 310 unità di anidride carbonica.
Nello specifico, si nota che il suolo agricolo è il più importante generatore di protossido
di azoto (58% del totale delle emissioni), mentre l’allevamento e la gestione del
fertilizzante lo sono in buona parte per le emissioni di metano (47% del totale delle
emissioni).
Il contributo dell’agricoltura alla produzione dei gas serra mondiali è aumentato nel
corso degli anni: si è passati dai 39 miliardi di tonnellate del 1990 ai 49 miliardi di
4
Smith et al. (2007): Agriculture. In Climate Change (2007): Mitigation. Contribution of Working Group III to the
Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change
5
Ibidem.
7
tonnellate del 2004, con una crescita percentuale del 25,6%. Questo incremento è
imputabile perlopiù all’uso dei fertilizzanti, allo sviluppo della zootecnia, alla
produzione di reflui e all’uso di biomassa per la produzione di energia.
Per quanto riguarda gli scenari futuri, l’IPCC prevede che entro il 2030, in assenza di
interventi correttivi, si assisterà a un aumento del 35-60% dell’ossido di azoto e del
60% di metano prodotti dall’agricoltura. La modifica nell’uso del suolo è la causa
prevalente a cui sono riconducibili questi incrementi.
In base a questi dati, è facile comprendere quale sia l’impatto delle attività agricole
sul clima.
Allo stesso tempo, l’agricoltura praticata in modo sostenibile rappresenta
l’unico settore produttivo che può dare un reale contributo alla riduzione di
CO2 (strategia di mitigazione6 dei cambiamenti climatici) e degli altri gas serra
attraverso:

l’impiego di tecniche agronomiche a basso impatto ambientale, al fine di una
riduzione delle emissioni nette dei GHGs
6
La “strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici” (denominata più semplicemente “mitigazione”) ha
l’obiettivo di eliminare o di ridurre il più possibile, le cause antropiche (o non naturali) dei cambiamenti del clima. La
principale causa antropica, come abbiamo visto, deriva dalle emissioni di gas serra a livelli tali da determinarne un
accumulo in atmosfera, accumulo che, per le caratteristiche che hanno questi gas serra di trattenere il calore,
determina uno spostamento dell’equilibrio complessivo del bilancio energetico del sistema climatico e, quindi, una
variazione del clima.
8

l’applicazione di pratiche che favoriscono il “sequestro” della CO2 atmosferica,
attraverso l’attività fotosintetica, nella biomassa vegetale e nei suoli sotto forma
di sostanza organica.
L’attività agricola, inoltre, può contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici
anche attraverso la fornitura di biomassa come fonte energetica, in sostituzione dei
combustibili fossili. Il recupero di residui forestali, degli scarti di potatura, ma anche le
colture dedicate (ad es. piante oleaginose quali soia, colza, ecc.), i residui agricoli e
agroindustriali, reflui zootecnici ecc. possono rappresentare fonti agricole di biomassa.
Secondo gli studi più accreditati valutati dall’IPCC (Caldeira et al., 2004; Smith et al.
2007), il potenziale tecnico globale in termini di mitigazione dell’effetto serra offerto
dall’agricoltura attraverso una serie di pratiche agricole (tra cui una migliore gestione
dei suoli agricoli e dei pascoli, delle risaie, degli animali e delle loro deiezioni,
dell’irrigazione, la produzione di bioenergia, il recupero dei suoli organici , e altro) al
2030 varrà tra 4,5 e 5,5 GtCO2 l’anno (L. Ciccarese, 2010).
L’agricoltura può e deve contribuire alla lotta contro i cambiamenti climatici, ma anche
imparare a adattarsi7 ai cambiamenti quando ciò è inevitabile.
Gli agricoltori e gli altri soggetti interessati delle zone rurali possono svolgere un ruolo
fondamentale non solo a livello di mitigazione dei cambiamenti climatici, tutelando
importanti risorse ambientali, ma anche a livello di adattamento7 a tali cambiamenti,
7
La “strategia di adattamento ai cambiamenti climatici” (denominata più semplicemente “adattamento”), ha
l’obiettivo di prevenire e minimizzare le conseguenze negative o i danni causati dai possibili, o probabili, cambiamenti
climatici, attraverso l’adozione di piani, programmi ed azioni di prevenzione tali, sia da ridurre la vulnerabilità
territoriale e quella socio economica ai cambiamenti del clima, sia da sfruttare le nuove opportunità di sviluppo socio
economico che dovessero sorgere a causa dei mutamenti climatici e dei suoi effetti.
9
mantenendo la redditività delle zone rurali a fronte dei mutamenti nelle condizioni
ambientali.
Rispetto all’indissolubile rapporto esistente tra clima ed agricoltura, non può essere
sottovalutato il contributo positivo che il settore agricolo può assicurare nell’ambito
dell’adattamento. Infatti, le attività agricole e le attività connesse a quelle agricole
possono rivestire, se supportate opportunamente, un ruolo centrale di presidio
ambientale del territorio, essendo
in grado di ridurre in modo consistente alcuni
importanti fattori di rischio di interesse collettivo derivante dai cambiamenti del clima,
quali, ad esempio, il rischio idrogeologico non solo nel contesto di prevenzione del
dissesto idrogeologico, ma anche nel contesto di prevenzione delle conseguenze di
precipitazioni estreme che portano a ruscellamento del suolo, e a valle dei corsi
d’acqua, ad erosione delle coste, il rischio di degrado di perdita di sostanza organica e
di degrado del suolo, assieme al rischio di desertificazione e il rischio di incendi
derivanti dalla siccità estiva.
10
L'agricoltura biologica e la sfida ai cambiamenti climatici
In
questo
biologica
potenziale
contesto,
può
l'agricoltura
vantare
nella
un
forte
mitigazione
cambiamenti climatici,
dei
poiché
è
in
grado di sequestrare grosse quantità
di carbonio nei suoli e di ridurre
l’emissioni
dei
gas
serra,
grazie
all’esclusione di prodotti chimici di sintesi e all’uso ottimale di pratiche agronomiche
quali: i sovesci8, le rotazioni, colture intercalari, colture di copertura e uso di tecniche
compostaggio ecc.
La FAO, infatti, considera la diffusione dell’agricoltura biologica come una promettente
strategia per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Anche il IV Rapporto dell’IPCC, senza menzionare direttamente l’agricoltura biologica,
raccomanda molte delle pratiche per ridurre le emissioni in agricoltura che sono
comunemente usate in agricoltura biologica.
In
particolare, le principali raccomandazioni indicate dall’IPCC per la mitigazione
dell’effetto serra, sono:
-
la rotazione delle colture
delle colture e la pianificazione degli indirizzi
produttivi
8
Il sovescio è una pratica agronomica consistente nell'interramento di apposite colture allo scopo di mantenere o
aumentare la fertilità del terreno
11
-
la gestione dei nutrienti del suolo e dei processi di concimazione
-
il miglioramento della gestione del patrimonio zootecnico e della disponibilità di
pascoli e foraggi
-
il mantenimento della fertilità del suolo e il ripristino delle terre degradate
Sulla base di queste raccomandazioni, il metodo biologico rappresenta quindi una
valida risposta alle politiche per la soluzione dei problemi relativi al clima, poiché è
basato su quelle tecniche agronomiche che si richiede di applicare a tutti i sistemi
agricoli.
Nel metodo biologico la limitazione degli input esterni porta a una notevole riduzione
delle emissioni di N2O (meno azoto distribuito come input, riduzione di 1.2-1.6 Gt
CO2eq/anno rispetto all’agricoltura convenzionale) e ad un minore consumo di energia,
dovuto al divieto di utilizzare fertilizzanti chimici di sintesi (concimi chimici azotati). A
livello globale, si calcola che l’utilizzo dei fertilizzanti azotati provochi un emissione di
gas serra pari a 2.0 Gt CO2eq/anno. Considerando che il protossido d’azoto ha una
capacità di riscaldamento superiore di circa 300 volte all’anidride carbonica, è chiaro
il danno potenziale che un concime chimico può provocare.
In agricoltura biologica gli input di azoto derivano dall’applicazione di letame o
compost o l’azoto viene fissato dalle leguminose usate nella rotazione o come
sovescio. Le emissioni di N2O e di CH4 sono ridotte anche dal divieto di bruciare
biomasse (Stati Generali per il Biologico - Atti del convegno conclusivo, 2009).
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L’agricoltura biologica contribuisce alla riduzione delle emissioni, non solo
per il mancato uso dei fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi, ma soprattutto
attraverso una maggiore capacità di sequestro di CO2 nei suoli, poiché è basata
sulla fertilità del suolo e sulla produzione di humus e di sostanza organica, che
richiede carbonio.
Tra le pratiche agronomiche di fissazione di carbonio nel suolo, ossia che consentono il
“ritorno” del carbonio nei suoli agricoli, citiamo quelle della minima o non lavorazione
(minumun tillage e aratura superficiale), quali tecniche di lavorazione conservativa che
diminuiscono le emissioni di CO 2 nell’atmosfera e favoriscono l’accumulo del carbonio
nel terreno, in quanto non incidono sull’attività microbica del suolo e sulla sua
composizione chimico-fisica. Contrariamente, le arature profonde, utilizzate in
agricoltura convenzionale, provocano un’intensa ossidazione e degradazione della
sostanza organica, emettendo nell’atmosfera anidride carbonica. Altre pratiche
virtuose, coma già accennato, che restituiscono humus e sostanza organica ai terreni,
sono rappresentate dai sovesci, le rotazioni e avvicendamenti colturali, l’inerbimento,
il set-aside ecc.
Ad esempio, l’impiego del compost9 e del sovescio, abbinati con la rotazione colturale
e la non lavorazione, determina un accumulo di carbonio nel terreno dai 2000 ai 4000
Kg per ettaro.
L’applicazione di pratiche sostenibili, come quelle che caratterizzano l’agricoltura
biologica, ai sistemi agricoli convenzionali porterebbe ad una mitigazione potenziale
da 4.5-6.5 Gt CO2
9
eq/anno.
Il compost è un fertilizzante naturale ricavato dalla decomposizione e dall'umificazione della sostanza organiche.
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Dal punto di vista del risparmio energetico, il confronto tra sistema convenzionale e
biologico, su una scala riferita all’ettaro, fa emergere come l’applicazione del metodo
bio, sia rispetto al consumo diretto di energia (combustibile e olio) che al consumo
indiretto (fertilizzanti di sintesi e pesticidi), è più efficiente, cioè il consumo totale di
energia rimane più basso.
Uno studio del Rodale Institute (1999), evidenzia che l’energia utilizzata nei sistemi
agricoli convenzionali è stata di 200 volte superiore a quella usata in due sistemi
biologici, uno fertilizzato con letamazione e uso dei sovesci, l’altro con il solo uso di
sovesci, con piccolissime differenze nelle rese (Stati Generali per il Biologico - Atti del
convegno conclusivo, 2009).
Anche l’esperimento condotto dal centro di ricerca "Enrico Avanzi" dell'Università di
Pisa, analizzando i 24 ettari di terreno (grano duro e tenero, mais, favino e girasole)
divisi a metà tra convenzionale e biologico, ha portato alla conclusione che la
coltivazione tradizionale comporta un consumo energetico di gran lunga superiore a
quello necessario all'agricoltura biologica. È stato calcolato, infatti, considerando le
sole energie da combustibili fossili, che per le colture convenzionali servono circa
21.000 MJ (megajoule) per ettaro all'anno, mentre nel caso del biologico ne occorrono
solo 12.000, con un risparmio di circa il 50% di energia immessa nel sistema. Il
consumo largamente superiore da parte delle colture tradizionali deriva proprio
dall'uso intensivo dei fertilizzanti chimici. In termini di prodotti per concimare il
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terreno, l'agricoltura convenzionale utilizza il corrispondente di 14.103 MJ all'anno per
ettaro, mentre nel biologico si registra un consumo di solo 5.279 MJ: quest'ultimo,
dunque, risparmia il 60%(M. Mazzoncini 2010).
L'approccio biologico, secondo una ricerca svolta da David Pimentel - professore di
ecologia presso la Cornel University- e da ricercatori del già citato
Rodale Istitute
(2006) non soltanto utilizza in media il 30% meno energia fossile per produrre le
stesse rese, ma gli alti livelli di sostanza organica nei suoli determinano una miglior
conservazione dell'acqua nella falda (elevata capacità di ritenzione idrica), riducono lo
scorrimento delle acque meteoriche durante le piogge intense, e quindi
l’erosione,
mantenendo così la qualità del suolo.
I terreni coltivati con metodo convenzionale soffrirebbe, invece, per erosione
superficiale e deterioramento della struttura fisica.
I suoli ad alto contenuto di sostanza organica, perciò, hanno una migliore capacità di
reagire agli stress ambientali e ai fenomeni atmosferici estremi: riducono la loro
vulnerabilità ai periodi di siccità (l’incremento della sostanza organica consente ai suoli
in biologico di accumulare più acqua dei suoli soggetti a coltivazione convenzionale),
alle inondazioni, agli eventi estremi di precipitazione, al ristagno d’acqua e
all’erosione.
Perciò l’incremento della fertilità organica dei suoli, fondamento del metodo biologico,
è importante non solo nella mitigazione al cambiamento climatico, ma rappresenta
anche una strategia di adattamento in grado di minimizzare gli impatti del
cambiamento climatico stesso (sinergia mitigazione-adattamento).
15
L’agricoltura biologica non è solo un sistema di produzione di beni alimentari secondo
pratiche naturalistiche, ma anche una attività in grado di conservare le risorse
naturali, di ridurre o evitare l’inquinamento ambientale, di conservare la biodiversità e
l’integrità ecologica.
A queste funzioni si aggiungono due importanti obiettivi a cui concorre l’agricoltura
biologica:
- quello di mitigazione dei cambiamenti del clima attraverso un assorbimento di
anidride carbonica atmosferica che produce un bilancio di emissioni nette inferiore a
quello derivante dall’agricoltura convenzionale;
- quello di adattamento ai cambiamenti climatici, attraverso la prevenzione dei
maggiori rischi o danni derivanti dai cambiamenti del clima mediante una gestione più
sostenibile del suolo che porta, tra l’altro a ridurre il rischio idrogeologico, il rischio di
degrado del suolo e di desertificazione, nonché i rischi di depauperamento delle
risorse idriche.
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