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MICHAEL
NYMAN
IL SUONO IRONICO
CLAUDIO CHIANURA
L
o incontriamo a Milano dove sta presentando
una tripla uscita discografica per la sua etichetta MN Records: Sangam, un album di musiche
eseguite insieme a musicisti indiani fortemente
I segnate dalla tradizione di quel Paese; una
ristampa del suo vecchio disco intitolato Michael Nyman a
trentanni dalla pubblicazione originale, un cofanetto
antologico di sue musiche per film accompagnato da un
dvd di piccoli video e fotografie in cui il musicista si rivela ironico osservatore e curioso filmmaker. Nyman è attivo
sulla scena da diversi decenni, e dopo aver scritto di musica come critico per la stampa inglese, aver pubblicato un
essenaiale libro sulla scena della nuova musica intitolato
Experimental Music - Cage and Beyond, dopo aver pubblicato i suoi primi lavori musicali, si è affermato intemazionalmente grazie alle musiche per i film di Peter Greenaway (//
mistero dei giardini di Compton House, II cuoco il ladro sua
moglie e l'amante...), quelli di Patrice Leconte (^insolito
caso di Monsieur Mire e II marito della parrucchiera) e infine, ma soprattutto, visto l'enorme successo della colonna
sonora, Lezioni di piano di Jane Campion. Gli dico, in conclusione della nostra lunga conversazione (ma no, dai, che
ha parlato quasi solo lui!), che è stato fortunato a lavorare con registi tanto bravi. Ribatte che sono stati loro ad
aver avuto la fortuna di trovare un compositore come lui.
E per spiegarmi meglio il perché, racconta che quando II
cuoco il ladro... di Greenaway venne presentato alla selezione del Festival di Venezia senza la musica fu rifiutato,
salvo poi essere riammesso una volta completo di una
colonna sonora che ha una parte tutt'altr che secondaria
nella narrazione del film. Oltre un'ora di intervista con il
compositore ha lasciato posto a non più di due o tre
domande di chi scrive. Il fiume in piena del racconto di
Nyman, tra aneddoti, ricordi, considerazioni dietro le quinte, non avevano bisogno di molto altro. Siamo partiti così.
Ho visto che sei in Italia anche per due concerti, anzi,
un concerto e mezzo, perché uno è solo una partecipazione. .. Stai viaggiando molto in questo perìodo.
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Sì, e sono in pieno jet-lag perché lunedì ero in Messico, a
Città del Messico, poi sono volato a Madrid e quindi a
Bologna, per un concerto a Modena. Oggi è giovedì e sono
qui a Milano. Ma è solo mia responsabilità, non posso dare
la colpa e nessun'altro.
Cerco di passare più tempo possibile in Messico. Non che
non ami stare anche qui in Italia... Il problema è che
anche nei momenti liberi in cui non sto suonando o rilasciando interviste, trovo molto difficile comportarmi da
turista. Se ho una mezza giornata libera o anche un'intera
giornata a Bologna, per esempio, mi sento completamente perso. Non sono a mio agio per decidere di visitare
musei o fare un giro nella campagna, o anche approfittare
dei magnifici ristoranti del posto. Nel mio ruolo di musicista che sta in tour non ho spazio per fare semplicemente
il turista. Capisco che possa sembrare stupido, ma per me
è così. Non che non trovi il tempo per fare un salto in una
galleria, o uscire a cena, ma si tratta sempre di ritagliarsi
uno spazio, fare una breve fuga... Ho cercato di modificare il mio comportamento, ma non funziona.
A volte, quando sono alla fine di un tour, dopo l'ultimo
concerto, mi prende il panico perché mi sveglio alle otto
del mattino e posso avere davanti quasi un'intera giornata
in attesa del volo verso le cinque o le sei della sera.
Conosco il problema, anche se non so come risolverlo...
Nel frattempo non hai finito di viaggiare, Quali sono i
prossimi impegni?
Devo tornare a Londra, quindi in Spagna a Murcia, poi
ancora a Londra dove ho delle sedute di registrazione. E
poi ho un appuntamento con la Regina, alla Royal
Academy of Arts. Mi piace fare anche queste cose, per un
senso di ironia, soprattutto. In Inghilterra ci sono porzioni importanti dell'estabishment musicale a cui non piace
quello che faccio. La mia musica non è apprezzata quanto
potrebbe ma mi è concesso di incontrare la Regina di tanto
in tanto. Ci sono molti paradossi. Quel che faccio come
compositore è qualcosa che altri non possono fare. Non
come lo faccio io. Sta a me cercare di accrescere la quali-
tà, la quantità e il valore di quel che faccio. Il resto del
tempo faccio quel che fa chiunque altro. Riposo, leggo
libri, vado al cinema, mangio, cucino... Trovo piuttosto
arrogante che quando sarò morto la gente mi ricorderà per
le cose che ho composto e non magari perché ero uno che
leggeva il giornale tutti i giorni, o uno che non sa parlare
l'italiano, e nemmeno lo spagnolo nonostante ora viva in
Messico. O magari avrebbe più senso essere ricordato per
una serata in cui mi sono ubriacato, perché quando mi
ubriaco, o leggo un libro, anziché scrivere musica o pensare a un progetto che non sarà mai realizzato, vivo un
senso di soddisfazione e di pienezza molto maggiore
rispetto a scrivere un'opera su uno qualunque di questi
soggetti, si tratti di politica, di neurologia, di ubriachezza, di Berlusconi o di qualunque altro argomento.
Capisco che l'ironia ha sempre avuto un forte ruolo nel
tuo lavoro e nella tua musica in particolare. Anche nelle
tue collaborazioni con i Flying Lizards o con Peter
Gordon, oltre trentanni fa... Ma anche lavorando con
Peter Greenaway.
Sì, certo. Quando si lavora con Greenaway si tratta di
distruggere questo atteggiamento molto inglese del prendersi seriamente ma poi non troppo seriamente, quel tipo
di umorismo che noi definiamo "tongue in cheek"... Una
delle ragioni per le quali penso che Peter e io abbiamo
lavorato così bene insieme in passato è proprio il nostro
comune senso dell'ironia. Negli anni Ottanta il mio senso
dell'ironia è cresciuto, come persona e come compositore.
Mentre il senso dell'ironia da parte di Greenaway è diminuito. Quando vedi un film come Prospero's hook (ed. it.
L'ultima tempesta) non credo che tu possa trovarci molta
ironia. L'ironia non riguarda solo come tu reagisci nei confronti della realtà, ma come reagisci verso te stesso. Io
penso a me stesso con molta ironia, la mia musica non
viene eseguita all'Opera House, anche se pago le tasse per
mantenere la Royal House... Ma posso sempre incontrare i
Reali d'Inghilterra.
C'è ironia nel contenuto della mia musica, dove cerco di
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mettere una distanza fra le cose e simultaneamente tenerle molto vicine.
E anche quando faccio i miei film, sono fortunato perché
non ho bisogno di impegnarmi nel farli, non devo mettere
insieme altri artisti, non devo necessariamente parlare dei
film che faccio, non devo nemmeno farli per forza. Vado
solo per strada e giro quello che trovo. Sono i film che mi
vengono incontro, e io sono solo il percettore, il ricevitore di questi eventi. Quando penso a venti cose che faccio
nel mio tempo, penso anche ad altrettante venti cose che
mi perdo, perché esco di casa due minuti prima o mi trovo
in un posto due minuti più tardi, c'è questo senso di presenza ma allo stesso tempo anche un senso di assenza. Mi
piacerebbe moltipllcarmi, poter essere in venti luoghi
diversi contemporaneamente. Quando si scrive un brano di
musica invece si ha a che fare essenzialmente con la presenza: ci si siede, si sceglie, si controlla, si costruisce...
Esistono compositori, musicisti dei quali si pensa di
poter fare a meno e allo stesso tempo se non ci fossero la loro musica, proprio quel tipo di musica, non esisterebbe. C'è una sorta di necessità in certe musiche
che ci fa apprezzare certi musicisti...
Sì, e magari quel musicista vorrebbe invece essere qualcun'altro! La continua stimolazione di nuove soluzioni mi
spinge in direzioni diverse, in altri luoghi dove vorrei essere. E non per soddisfare il gusto o il desiderio di qualcuno,
ma per allontanare quel che trovo familiare nel mio mondo.
Amo ciò che è familiare nel mio mondo, e ci sono momenti nei quali mi piace scrivere un brano dove si ripetono elementi che già conosciamo. Mi piace. Ma altre volte vorresti trovarti in situazioni dove non avresti mai creduto di
poterti trovare, ed è il caso delle colonne sonore. Perché lì
c'è qualcun'altro a decidere, è il regista che richiede un
brano d'opera, un'atmosfera cameristica o un riferimento
storico.
La più importante situazione in cui mi sia trovato è stato
quando ho parlato la prima volta con Jane Campion delle
musiche per il film Lezioni di piano. Aveva fatto molte
ricerche e aveva scoperto che sarei stato in grado di scrivere in poco tempo delle musiche assolutamente autosufficienti, ricche di contenuti, potenti e impositive. E alla
fine della nostra conversazione lei mi disse: "Per questo
film, The piano, non voglio nessuna di quelle schifezze alla
Greenaway!". Aveva capito che ero in grado di fare qualcos'altro, di completamente diverso. E aveva compreso che
anche la potenza della mia musica per i film di Greenaway
non veniva da Greenaway ma dalla mia musica. Questo mi
spinse in un'area di libertà ma anche di paura.
Hai lavorato anche per il cinema di Patrìce Leconte.
Certamente. È interessante qui parlare di autostima e identità nel modo in cui ti presenti al mondo... Non avevo
conosciuto Patrice Leconte personalmente. Facendo delle
ricerche avevo scoperto che era un regista francese molto
noto, ma era noto per le sue commedie. Ora, se c'è una
cosa che non viaggia attraverso le diverse culture è proprio
la commedia. Quando è venuto a incontrarmi la prima volta
io mi aspettavo un tipo molto sicuro di sé, invece si scusò
per aver fatto solo commedie, mentre Monsieur Hire era un
film molto serio, un dramma, e lui si fidava del fatto che
io avrei potuto lavorare a questo film, mostrando tutta la
sua modestia e temendo che se avessi conosciuto le sue
precedenti commedie non l'avrei creduto capace di fare un
film tanto potente. In genere i registi non sono così modesti. Molti di loro sono parecchio esigenti, in parte perché
sono arroganti e in parte perché non sanno cosa diavolo
vogliono. O forse non sanno come esprimere quello che
vorrebbero dire.
Ma se io fossi un regista e avessi lavorato magari due anni
al mio film cercando di mettere insieme tutte le mie idee,
gli attori, le risorse per realizzarlo e proprio alla fine di
questo processo arrivasse qualcuno capace di cambiarne
completamente l'atmosfera, la logica, il contenuto intellettuale, il tempo, l'equilibrio... Mi sentirei stordito!
Sono quindi sorpreso di aver potuto firmare delle colonne
sonore tanto di successo.
Ho trascorso tre mesi a discutere con il regista di Goodbye
Lenin Wolfgang Becker quale fosse la musica adatta al film.
Ho trascorso altrettanti mesi a scrivere e riscrivere, sostituendo parti e cercando di trovare le giuste idee, prima che
ci ritrovassimo lasciandoci reciprocamente e lui decidesse
di far scrivere la musica a un altro compositore.
Quel che trovo bizzarro è che ci sono anche situazioni nelle
quali capita di offrire a un regista dei brani di musica preesistenti che non sono ancora stati pubblicati. Magari faccio ascoltare un pezzo dove ho
registrato un clarinetto, non un
suono sintetizzato che rappresenta il clarinetto, ma proprio lo
strumento vero con l'idea di
andare poi in studio a registrarlo
di nuovo. A volte il regista sembra affezionarsi al suono della
prima registrazione e vuole utilizzare proprio quella e poi non va
bene lo stesso. Oh, la vita è davvero troppo breve!
Ecco perché mi piace registrare la
musica per i miei piccoli film. Posso anche scrivere musiche diverse per lo stesso film, farne versioni differenti.
Una versione elettronica e una con la band di ottoni. Si
tratta di riempire questi vuoti. Ho un grande istinto per le
colonne sonore. Ma non sempre si possono convincere i
registi delle mie buone ragioni.
Quando Greenaway finì di girare // cuoco, il ladro... lo propose al Festival del cinema di Venezia. Portarono per qualche ragione una copia senza la colonna sonora. Lo giudicarono terribile e non venne selezionato. Quando vedi il
film con la musica cambia completamente. Ma la cosa più
curiosa è che il brano principale, "Memorial", non era stato
nemmeno scritto per quel film. Era stato composto quattro
anni prima per commerare i morti dello stadio Heysel.
Quindi era un brano con una sua funzione che veniva usato
per uno scopo diverso. E funzionava altrettanto bene. Ecco
la cosa strana della musica: può essere allo stesso tempo
molto specifica e per nulla specifica, intercambiabile e
insostituibile. È proprio così.
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