Eugenio Guadagno ELEMENTI di FISICA Volume II UTE – Cinisello Balsamo Anno Accademico 2008-09 Acustica Generalità L‟Acustica è quella parte della Fisica che studia il suono ed i fenomeni sonori. Il suono, così come i fenomeni ottici, elettrici e magnetici che formano l‟oggetto di questo secondo volume, hanno una caratteristica comune: sono dei fenomeni di tipo ondulatorio. Prima di entrare nella trattazione dei singoli settori può essere utile quindi premettere qualche nozione sulle caratteristiche del moto ondulatorio. Restando comunque coerenti con gli scopi che ci siamo prefissi in questi corsi, presenteremo soltanto gli elementi di base dei vari fenomeni senza addentrarci in approfondimenti o dimostrazioni rigorose degli argomenti trattati. 2 Capitolo 1 – Il moto ondulatorio La denominazione di questo moto ci fa immediatamente pensare alle onde del mare ed in effetti non siamo molto distanti dal vero. Il moto delle onde del mare però è influenzato da troppe variabili che agiscono contemporaneamente come l‟incostanza del vento, la natura rocciosa o sabbiosa del litorale, la profondità ed il tipo di fondale ecc. per cui mal si presta ad un‟analisi ordinata. Più accessibile invece risulta lo studio di un moto ondoso provocato in bacino tranquillo da un‟azione volontaria e possibilmente misurabile. A tutti è capitato di osservare l‟effetto di un sasso lasciato cadere in uno stagno. Si creano tante piccole onde circolari, con il centro nel punto in cui è caduto il sasso, che si propagano allargandosi come tanti cerchi concentrici Figura 1. A prima vista si ha l‟impressione che l‟acqua si sposti dal punto in cui è caduto il sasso verso l‟esterno, ma un semplice esperimento ci mostra che non è così. Infatti se mettiamo nell‟acqua una pallina leggera che galleggia, vediamo che la pallina si muove su e giù ma non si sposta. Quindi l‟onda si propaga in direzione radiale, ma ciò avviene senza spostamento d‟acqua. Per comprendere come ciò possa avvenire osserviamo il fenomeno più da vicino riproducendolo in laboratorio con un‟attrezzatura molto semplice. In una bacinella versiamo dell‟acqua, o un qualsiasi altro liquido, e al posto del sasso usiamo un piccolo punzone con cui colpiamo la superficie dell‟acqua in un certo punto. La superficie dell‟acqua immediatamente sotto il punzone viene spinta verso il basso creando un avvallamento e l‟acqua così spostata spinge a sua volta verso l‟alto un ugual volume di acqua creando la cresta di un‟onda nella zona immediatamente adiacente. L‟acqua spinta su nella cresta dell‟onda ritorna giù spostando a sua volta dell‟acqua che in parte richiude l‟avvallamento dell‟onda precedente, in parte crea un‟onda dalla parte opposta. In tal modo sembra che l‟onda si sia spostata orizzontalmente verso l‟esterno, mentre in realtà l‟acqua si è mossa e continua a muoversi solo verticalmente. La Figura 2 mostra quanto appena descritto. Nella parte superiore è riportato il momento in cui si verifica la spinta del punzone, in quella inferiore il momento immediatamente successivo. L‟acqua spostata dal punzone si muove in direzione verticale “v”, mentre l‟onda si pro paga in direzione orizzontale “o”. Questo tipo di onda prende il nome di “onda trasversale” appunto perché la direzione della propagazione è perpendicolare alla direzione della vibrazione. Esiste però anche un altro caso di oscillazione e propagazione dell‟onda ed è quello in cui le particelle, pur non muovendosi dalla loro posizione, oscillano nella stessa direzione della propagazione dell‟onda. Ciò avviene per esempio nel caso di una molla a spira- 3 Onde in uno stagno Figura 1 Onda trasversale v o Figura 4 2 le come quella schematizzata nella Figura 3. Gli estremi della molla sono ancorati a due sostegni fissi che impediscono alla molla di muoversi longitudinalmente. Se si comprimono alcune spire poste vicine ad una delle due estremità e poi si rilasciano rapidamente queste cominciano a vibrare come indicato dalla freccia rossa, cioè ritornano nella loro posizione precedente, la sorpassano comprimendo le spire adiacenti poi tornano indietro. Le spire adiacenti, sollecitate da quelle vicine, cominciano a comprimersi e a distendersi a loro volta trasmettendo così la vibrazione che quindi si trasmette nel senso indicato dalla freccia verde. L‟onda che così si genera si sposta longitudinalmente cioè nella stessa direzione della vibrazione e, per questa ragione prende il nome di “onda longitudinale”. In questo caso è immediata la constatazione che questa onda si propaga senza che ci sia movimento di materia, infatti la molla non può muoversi longitudinalmente a causa degli ancoraggi che impediscono questo movimento. In entrambi i casi visti sopra, onde trasversali o longitudinali, ci troviamo dunque di fronte ad un tipo di moto diverso da quelli finora esaminati, cioè un moto che avviene senza che si spostino le molecole del mezzo in cui si propaga, ma anche un moto che non potrebbe esistere se non ci fosse mezzo materiale, un fluido o un solido, capace di supportarlo. È il “moto ondulatorio” di cui vedremo adesso alcune caratteristiche. Caratteristiche del moto Le onde generate da un oggetto che percuote una superficie liquida man mano che si allontanano dal loro punto di origine si attenuano e alla fine si smorzano completamente a causa delle resistenze che il fluido oppone al moto delle particelle che oscillano. Come abbiamo più volte visto questo è un fenomeno comune a tutti i movimenti che avvengono sulla terra. Per mantenere il moto bisogna che l‟oggetto continui a percuotere la superficie generando nuove onde che formano in tal modo un “treno d‟onde”. La Figura 4 è un‟istantanea di una superficie liquida in cui si siano generate delle onde con una serie di percussioni che si susseguono con una frequenza costante f. La superficie si presenta come una serie di creste e avvallamenti formate dal moto delle particelle liquide che si è propagato radialmente dal punto di percussione. La distanza λ fra due creste o due avvallamenti1 si chiama “lunghezza d‟onda”, mentre l‟altezza A di una cresta (o di un avvallamento) si chiama “ampiezza”. Le onde si susseguono con la frequenza f della percussione, cioè tante onde al secondo quante sono le percussioni al secondo, per cui il tempo T che la propagazione impiega per trasmettersi di un tratto uguale alla lunghezza d‟onda λ è uguale all‟inverso della frequenza, T=1/f. Da quanto detto2 si ricava che la velocità di propagazione del moto ondoso è: 1 O comunque fra due punti che si trovano nella stessa posizione rispetto alla superficie del liquido quando era in quiete, indicata col tratteggio nella figura. 2 Ricordiamo che, per definizione, la velocità è uguale al rapporto fra lo spazio percorso ed il tempo impiegato a percorrerlo 5 Onda longitudinale Figura 3 Caratteristiche delle onde λ = Lunghezza d’onda A = Ampiezza f = 1/T v = λ/T T = Periodo f = frequenza v = λ·f λ = v/f Figura 6 4 e anche: Queste sono le relazioni fondamentali che legano le grandezze in gioco. Dai dati sperimentali si ricava che la velocità di propagazione di un‟onda in un mezzo fluido o solido, di dimensioni non limitate3, è costante e dipende soltanto dalle caratteristiche elastiche del mezzo. Dalla descrizione fin qui fatta si ricava inoltre che la frequenza delle onde dipende unicamente dalla frequenza del percussore che le ha generate per cui, in ogni singolo mezzo, la lunghezza d‟onda è inversamente proporzionale alla frequenza: onde lunghe per piccole frequenze, onde brevi per grandi frequenze, come del resto è anche intuitivo. Il significato pratico di questi parametri sarà approfondito quando si studieranno i relativi fenomeni acustici, ottici ed elettrici. Per ora ci interessa evidenziare un altro aspetto molto importante di un moto ondulatorio e cioè l‟aspetto energetico. Come si è detto sopra, se sulla superficie di un liquido percorso da un moto ondulatorio si fa galleggiare una pallina, questa non si sposta radialmente della sua posizione, ma viene portata su e giù dall‟onda che passa, trovandosi ad un certo punto sulla cresta dell‟onda e dopo un tempo uguale a mezzo periodo in fondo ad un avallamento. Dallo studio della dinamica abbiamo a suo tempo visto (Figura 5) che per portare una massa (quella della pallina) da una certa posizione ad un‟altra posta ad un‟altezza maggiore occorre impiegare una quantità di energia (o, in altri termini, compiere un lavoro) dato dal prodotto del peso della pallina (mg) per lo spostamento verso l‟alto, h, cioè: In quella posizione la pallina trattiene questa energia sotto forma di energia potenziale e la rende quando ritorna nella sua posizione iniziale sotto forma di energia cinetica: Se dunque la pallina portata su dall‟onda è collegata opportunamente ad una apparecchiatura esterna capace di utilizzare l‟energia che essa rende nella ricaduta possiamo affermare che l‟onda è stata in grado di trasmettere energia. Quale energia? Quella che aveva generato l‟onda. Nel caso esaminato si tratta dell‟energia meccanica che, tramite il percussore, ha generato l‟onda. Più in generale qualsiasi energia capace di generare onde materiali o elettromagnetiche e, fra queste, prima fra tutte, l‟energia solare. Tornando all‟esempio, è evidente che un percussore capace di trasmettere più energia genera onde più alte quindi di ampiezza A maggiore e infatti la pallina portata ad un‟altezza maggiore accumula e poi rilascia una quantità maggiore di energia, per cui possiamo affermare che è l‟ampiezza dell‟onda la caratteristica che misura la quantità di energia trasportata o trasportabile da un moto ondulatorio. 3 Se le dimensioni geometriche del mezzo non sono illimitate la velocità di propagazione delle onde dipende anche da esse. Per esempio in una vasca d‟acqua la velocità di propagazione dell‟onda aumenta se aumenta la profondità dell‟acqua. 7 Capitolo 2 – Il suono Il suono è una sensazione che un organo delicato e complesso, l‟orecchio, trasmette al cervello di un essere vivente che ne sia dotato. Quello che a noi interessa in questa sede non è tanto la trasmissione della sensazione al cervello, il cui studio rientra in altre discipline, ma cosa è che suscita questa sensazione. Sappiamo tutti che è la vibrazione di una membrana, il timpano, che è una delle parti più esterne dell‟orecchio. La vibrazione del timpano è provocata da un‟onda meccanica generata a sua volta da un corpo che vibra. L‟origine del suono è dunque l‟energia che provoca la vibrazione di un corpo. Potrebbe trattarsi dell‟energia umana che tramite un batacchio fa vibrare una campana. La campana genera nel mezzo in cui è immersa, cioè nell‟aria, un treno di onde che si propaga nello spazio circostante trasportando l‟energia che l‟ha generato. Se lungo il suo percorso incontra un altro corpo capace di raccogliere l‟energia trasportata questo corpo comincia a sua volta a vibrare. Quando questo corpo è il timpano del nostro orecchio noi percepiamo il suono. Uno degli aspetti importanti è che la propagazione della vibrazione sotto forma di onda può avvenire soltanto se fra il corpo emittente, la campana, ed il corpo ricevente, il timpano dell‟orecchio, ci sia un mezzo fluido o solido, l‟aria o un qualsiasi altro gas, l‟acqua o un qualsiasi altro liquido o un corpo solido elastico. In mancanza di questo mezzo l‟onda non si propaga. Se, ad esempio, facciamo suonare un campanello sotto una campana di vetro ne sentiamo distintamente il suono, ma se dalla campana estraiamo l‟aria il suono non si sente più. Viceversa, sott‟acqua i suoni si propagano e possono essere uditi distintamente e attraverso il terreno gli indiani, poggiando l‟orecchio a terra, percepivano la vibrazione provocata del galoppo di un cavallo che si avvicinava. Vediamo ora un po‟ più da vicino come sono generate e come sono costituite le onde sonore. Anticipiamo subito che, a differenza delle onde che si generano sulla superficie di un liquido quando si percuote un suo punto, le onde sonore sono di tipo longitudinale, ossia si propagano nella stessa direzione in cui avviene l‟oscillazione. Per spiegare meglio il fenomeno consideriamo il suono emesso da una membrana di un altoparlante, Figura 6. La membrana è portata in vibrazione da una serie di impulsi elettromagnetici su cui, per il momento, non indaghiamo. Essa si sposta dalla sua posizione di riposo verso l‟esterno e verso l‟interno dell‟apparecchiatura (come mostrato dalle frecce) trasmettendo questi movimenti agli strati d‟aria adiacenti che cominciano anch‟essi a vibrare. La vibrazione si trasmette agli strati d‟aria successivi e quindi si propaga nella stessa direzione della vibrazione; si tratta dunque di onde longitudinali. 8 Energia cinetica e potenziale L=m•g•h = L = ½ • m • v2 m h h v Figura 5 Onde sonore longitudinali Strati compressi Strati rarefatti Velocità di propagazione Aria • 340 m/s • 1200 Km/h • 1400 m/s Acqua • 5000 Km/h • 5000 m/s / Acciaio • 18000 Km/h Figura 9 6 In effetti la vibrazione dell‟aria consiste in una compressione e rarefazione degli strati d‟aria adiacenti. Infatti, quando la membrana dell‟altoparlante si muove verso l‟esterno dell‟apparecchio comprime l‟aria adiacente, quando invece si muove verso l‟interno vi produce una rarefazione. Gli strati d‟aria compressi e rarefatti si succedono quindi con la stessa frequenza della vibrazione e se raggiungono il timpano di un orecchio gli trasmettono la vibrazione che diventa, in quel momento, la sensazione acustica che l‟orecchio trasmette al cervello. La velocità con cui l‟onda sonora si propaga nell‟aria è di circa 340 m/s equivalenti a poco più di 1200 Km/h, nell‟acqua è di circa 5000 Km/h mentre nell‟acciaio è di circa 18.000 Km/h. Caratteristiche delle onde sonore Abbiamo già visto nel capitolo precedente alcune caratteristiche delle onde in generale. Vediamo ora in particolare come si presentano le onde sonore. Per lo studio delle onde sonore si usa un particolare apparecchio chiamato “oscilloscopio” (Figura 7) che trasforma le onde sonore in onde luminose che possono essere proiettate su uno schermo e quindi visualizzate. Inoltre l‟oscilloscopio è dotato di una serie di dispositivi che permettono di misurare le caratteristiche sonore che ora illustreremo. Un altro strumento normalmente utilizzato è il “diapason”, Figura 8, costituito da una barretta metallica piegata ad “U”, come una forchetta con due soli rebbi, che percossa da un martelletto emette un suono con caratteristiche particolari che saranno descritte meglio più avanti. In genere è montato su una cassetta di legno che ha lo scopo di amplificare l‟ampiezza del suono. Il suono emesso da un diapason ha una frequenza che dipende dallo spessore e dalla lunghezza dei rebbi e l‟orecchio umano lo percepisce come una “nota” musicale. Una serie di diapason di varie dimensioni può essere utilizzata per produrre le frequenze delle diverse note musicali o addirittura tutta la gamma delle frequenze che l‟orecchio umano è in grado di percepire, che va da 20 a 20.000 Hz. Vediamo ora come si presenterebbero sullo schermo dell‟oscilloscopio alcuni suoni. Precisiamo innanzi tutto che l‟immagine che si vede sullo schermo dell‟oscilloscopio è l‟andamento dell‟onda sonora in un certo intervallo di tempo e, se il suono non cambia, è come una fotografia istantanea degli strati d‟aria compressi e rarefatti in cui le creste rappresentano gli strati compressi e gli avvallamenti gli strati rarefatti. La Figura 9 mostra il suono di due diapason diversi. Notiamo innanzi tutto che l‟onda nella parte superiore della figura ha una frequenza più alta di quella sottostante; il suono che noi percepiamo è più acuto, ossia una nota più alta, di quello dell‟onda in basso. Le ampiezze, cioè l‟altezza delle creste, delle due onde sonore sono invece uguali, è ciò significa che è stata uguale l‟energia impressa ai diapason nei due casi o, in parole povere, la forza con cui sono stati colpiti dal martelletto. La Figura 10 invece mostra due onde emesse dallo stesso diapason colpito con diversa energia. La frequenza è la stessa, ma l‟ampiezza è diversa. Noi sentiamo la stessa nota, ma quella raffigurata a destra è molto più forte di quella a sinistra. Nella pratica quotidiana però non siamo abituati a sentire note come quelle emesse da un diapason. La caratteristica di questo strumento infatti è di emettere note “pure”, cioè suoni formati da onde che hanno una sola frequenza, la “frequenza fondamentale” o “prima armonica”. 10 Oscilloscopio Figura 7 Figura 8 Diapason 11 Frequenza delle onde sonore Suono più acuto A A Suono più grave Figura 9 Ampiezza delle onde sonore Suono più debole Suono più forte Uguale frequenza Figura 10 12 Gli strumenti musicali invece (Figura11) o qualsiasi altro oggetto in vibrazione emettono una serie di onde che hanno oltre alla frequenza fondamentale anche frequenze maggiori, per lo più multiple della frequenza fondamentale. Queste ultime si chiamano “armoniche superiori”, per esempio, la seconda armonica con frequenza doppia, la terza armonica con frequenza tripla e così via. Le armoniche superiori si sommano all‟armonica fondamentale alterandone il suono ma senza farne cambiare la frequenza e l‟orecchio percepisce la stessa nota ma con “timbro” diverso. Per esempio la stessa nota emessa da due strumenti musicali diversi producono lo stesso suono di base ma con un timbro diverso. La somma delle due onde avviene come se in ogni istante si sommassero le ampiezze delle armoniche superiori con l‟ampiezza della prima armonica, cioè dell‟armonica fondamentale. In Figura 12 è illustrato il modo in cui le onde si sommano, ma l‟oscilloscopio mostra soltanto l‟onda risultante dalla somma delle varie armoniche mostrata con tratto continuo nella figura. Effetto Doppler Un altro fenomeno legato alla percezione delle frequenze delle onde sonore, che spesso abbiamo occasione di sperimentare, è l‟effetto Doppler 4. Capita spesso infatti di sentire la sirena di un‟ambulanza o il fischio di un treno che si avvicinano a si allontanano a grande velocità. La percezione che abbiamo di questi suoni è diversa da quella che percepiamo quando l‟ambulanza o il treno sono fermi. Più precisamente quando la sorgente che emette il suono è ferma noi sentiamo una sola nota o una sola sequenza di note, quando invece la sorgente è in movimento sentiamo una variazione verso note più alte se la sorgente si avvicina, e più basse se si allontana. La Figura 13 mostra la ragione di questo fenomeno che prende il nome di effetto Doppler dal fisico austriaco che lo ha studiato e interpretato. Se la sorgente si trova in un punto A e resta fermo rispetto all‟ascoltatore, i suoni emessi si propagano nell‟aria alla velocità di 340 m/sec, corrispondenti a circa 1.200 Km/h e le relative frequenze si mantengono inalterate. L‟ascoltatore percepisce la stessa nota emessa dalla sorgente. Se invece la sorgente che emette il suono si muove a notevole velocità (esempio 120 Km/h, cioè 10% della velocità del suono) da un punto B verso un punto C più vicino all‟ascoltatore le onde sonore emesse in tempi successivi, pur propagandosi sempre alla stessa velocità di 1.200 Km/h, nella direzione del moto della sorgente devono coprire spazi minori di quelli dell‟onda emessa precedentemente e quindi si avvicinano ad essa. Ne consegue che nella direzione del moto le onde si addensano, cioè la loro frequenza diventa più alta (del 10%) e la nota percepita man mano dall‟ascoltatore diventa più acuta fino a quando la sorgente non ha raggiunto e superato l‟ascoltatore. Dopo di che il fenomeno continua ma questa volta dalla parte opposta. Quindi mentre la sorgente si allontana, per esempio dal punto D verso E, le onde che giungono all‟ascoltatore che si trova ora in direzione opposta rispetto al movimento, sono meno frequenti e quindi la nota percepita diventa più grave. Questo fenomeno giunge all‟esasperazione quando la sorgente si muove proprio alla velocità di circa 1.200 K/h, cioè alla stessa velocità di propagazione delle onde sonore. 4 Christian Doppler (1803-53) fisico austriaco 13 Armoniche Note pure Diapason Una sola frequenza Prima armonica Note composte Strumento musicale Somma di frequenze multiple Armoniche superiori Figura 11 Suoni composti - Timbro Prima armonica Seconda armonica Figura 12 14 Terza armonica Totale In questo caso infatti (Figura 14) le onde emesse successivamente raggiungono quelle precedenti e nel punto in cui si congiungono si concentra tutta l‟energia trasportata col risultato del fragoroso “bang sonico” che si percepisce quando un aereo supera il cosiddetto “muro del suono”. Superata questa velocità il fenomeno cessa perché le onde successive sopravanzano quelle precedenti. Inoltre il suono emesso non viene più percepito da chi si trova sull‟aereo perché questo si muove ad una velocità maggiore. Onde sonore e ostacoli Quando un‟onda sonora incontra un ostacolo si possono verificare vari fenomeni a seconda della natura e della dimensione dell‟ostacolo, come sinteticamente indicato nella Figura 15. Se l‟ostacolo è di piccole dimensioni l‟energia trasportata dall‟onda sonora lo va vibrare creando in alcuni casi il fenomeno della risonanza che esamineremo meglio qui di seguito. Se l‟ostacolo è di grandi dimensioni l‟energia dell‟onda sonora può essere in parte assorbita e in parte riflessa come più dettagliatamente descritto più avanti. Risonanza acustica Se un‟onda sonora incontra un ostacolo di piccole dimensioni questo viene investito dall‟energia trasportata dall‟onda ma, in genere, essendo questa energia molto piccola il corpo investito dall‟onda non subisce alcun effetto. Se però la frequenza propria del corpo investito è uguale a quella del‟onda il corpo comincia a vibrare e, dopo poco, emette anch‟esso un suono con la stessa frequenza. Si dice in questo caso che il corpo è in risonanza con l‟onda. Questo fenomeno può essere verificato con un semplice esperimento illustrato nella Figura 16. Due diapason uguali, aventi cioè la stessa frequenza, sono disposti uno vicino all‟altro. Uno dei due viene percosso dal martelletto e comincia a emettere il suono corrispondente alla sua frequenza. Dopo un po‟ di tempo il secondo diapason comincia a vibrare e ad emettere un suono anch‟esso, pur non essendo stato percosso e continua a vibrare anche se la vibrazione del primo diapason viene fermata. L‟energia sonora si è trasmessa dal primo al secondo oggetto. Condizione essenziale però è che la frequenza caratteristica del secondo oggetto sia uguale a quella del primo perché solo in questo un impulso successivo dell‟onda sonora trova i rebbi del diapason nella giusta posizione per assorbirlo. È qualcosa di simile a quello che succede per un‟altalena. Per mantenere in movimento un‟altalena bastano degli impulsi successivi piccoli ma dati al momento giusto, cioè nel momento in cui l‟altalena, giunta al punto più alto della corsa, comincia a tornare indietro. L‟impulso va dato cioè in concomitanza o in risonanza o in fase col periodo tipico dell‟altalena. Dato invece in un momento diverso l‟altalena viene frenata. Il fenomeno della risonanza è molto importante anche perché permette ad un apparecchio ricevitore di captare le onde sonore che lo investono. A destra della Figura 16 è indicata, estremamente schematizzata, quella che si ritiene possa essere la conformazione della parte dell‟orecchio che capta i suoni: una serie di fibre nervose di diversa lunghezza, ciascuna con una sua frequenza caratteristica, che entra in risonanza con l‟onda sonora in arrivo. 15 Effetto Doppler A B C D E Figura 13 Il muro del suono BANG Figura 14 16 Suono contro ostacolo Onda che incontra un ostacolo Di piccole dimensioni Di grandi dimensioni Vibra Emette Assorbe Risonanza Riflette Eco Rimbombo Figura 15 La risonanza e l’orecchio Figura 16 17 Riflessione del suono Quando un‟onda sonora incontra un ostacolo di grandi dimensioni, per esempio un muro, viene in parte assorbita ed in parte riflessa da esso. Insorgono anche altri fenomeni più complessi sui quali però non ci soffermeremo. Della riflessione del suono abbiamo un‟esperienza diretta nel fenomeno familiare dell‟eco: se un suono è emesso vicino a noi lo sentiamo immediatamente e, in alcuni casi, lo sentiamo una seconda volta dopo un po‟ di tempo come se provenisse da lontano e da un‟altra direzione. Si tratta dell‟onda sonora che, riflessa da un ostacolo è ritornata verso di noi dopo un certo tempo perché ha dovuto percorrere un cammino più lungo. Come abbiamo detto, la velocità del suono nell‟aria è di 340 m/sec e quindi l‟eco di un suono riflessa da un ostacolo posto a 170 metri di distanza giunge al nostro orecchio un secondo dopo del suono stesso. Sembra un tempo brevissimo e invece è un tempo molto lungo rispetto alla sensibilità dell‟orecchio umano, che è in grado di percepire suoni che si susseguono anche ad intervalli molto più brevi. Anche di questo abbiamo esperienza diretta: quando ci troviamo in una stanza vuota, le voci delle persone ci giungono direttamente e poi, quasi subito, riflesse dalle pareti creando quella fastidiosa sensazione che chiamiamo rimbombo. Quest‟ultimo fenomeno, in particolare, deve essere assolutamente ostacolato in un auditorio per impedire che la musica o le parole giungano distorte all‟orecchio degli ascoltatori e, a tal fine, una grande cura è posta dagli architetti nel progettare le volte e le pareti di questi ambienti. La riflessione del suono che incontra un ostacolo può essere assimilato al rimbalzo di una palla che urta contro una parete. Consideriamo una sorgente A che emette un treno di onde sonore, Figura 17. Un ascoltatore disposto in B riceve immediatamente l‟onda diretta proveniente da A. Se però esiste un muro ad una certa distanza d, il treno d‟onde, che si propaga in tutte le direzioni, incontra il muro e ne viene riflesso. Consideriamo, per semplicità, due sole direzioni: una incontra la parete formando un angolo, i, con la perpendicolare alla parete nel punto di incidenza e viene riflessa in una direzione che forma con la perpendicolare un angolo, r, uguale all‟angolo i; l‟altra incide con un angolo i’ e viene riflessa con un angolo r’ uguale a i’. Gli angoli i ed r si chiamano rispettivamente angolo di incidenza e angolo di riflessione e, come sperimentalmente provato, sono uguali. Le onde riflesse giungono all‟ascoltatore come se provenissero da un punto A‟ simmetrico di A rispetto al muro e con un certo ritardo rispetto all‟onda diretta a causa del percorso più lungo che devono percorrere. Un‟applicazione pratica del fenomeno della riflessione sonora si ha nell‟ecogoniometro, un apparecchio utilizzato per la misura della profondità del mare. Il principio di funzionamento è molto semplice ed è illustrato dalla Figura 18. L‟apparecchiatura è montata su una nave ed è in grado di emettere e captare onde sonore. L‟onda sonora emessa in direzione verticale si muove verso il basso (freccia rossa) e raggiunge il fondo marino da cui viene riflessa verso l‟alto (freccia blu) ancora in direzione verticale, cioè con lo stesso angolo di 90° dell‟onda incidente. L‟ecogoniometro capta l‟onda riflessa e misura il tempo intercorso dall‟emissione dell‟onda incidente. Poiché la velocità di propagazione del suono nell‟acqua è nota, si può calcolare lo spazio percorso che è, ovviamente, il doppio della profondità. La velocità del suono nell‟acqua è di circa 5000 Km/h, ossia 1400 m/s, quindi il tempo impiegato dall‟onda sonora, anche per profondità molto elevate, è dell‟ordine di pochi secondi. Per esempio per una profondità di 1500 m (percorso del suono di 3000 m) il 18 Riflessione del suono A’ d i d r i’i r’ r B A Figura 17 L’ecogoniometro Figura 18 19 tempo impiegato è di 2,1 secondi, per cui la nave può effettuare le sue rilevazioni continuando a navigare, perché in un tempo così breve si è spostata solo di qualche metro. In tal modo se i dati della profondità sono registrati automaticamente si ottiene direttamente il profilo altimetrico del fondo marino lungo la tratta percorsa dalla nave. La Figura 19 mostra invece un‟altra applicazione pratica attualmente molto utilizzata nella diagnostica medica: l‟ecografia. Un‟onda sonora ad alta frequenza, nel campo di frequenze cioè non percepibili dall‟orecchio umano, viene indirizzata verso un organo interno del corpo umano da cui viene riflessa con maggiore o minore intensità a seconda del rapporto della parte assorbita rispetto a quella riflessa. L‟onda riflessa, può essere captata, inviata ad uno schermo e fotografata. Essa rivela la presenza di eventuali corpi estranei nelle parti molli di un organo, che a volte possono anche essere la conferma della stupenda presenza di un bambino che si sta formando nel ventre della propria mamma. La Figura 20 infine mostra l‟accurata disposizione di elementi geometrici nella volta della sala di un teatro per minimizzare il fenomeno del rimbombo e ottimizzare le caratteristiche acustiche dell‟ambiente. 20 Ecografia Figura 19 Acustica architettonica Figura 20 21 Ottica Generalità L‟ottica è quella parte della fisica che studia la luce ed i fenomeni luminosi. Per secoli l‟uomo si è chiesto cosa fosse la luce e, sembrerà strano, ancora oggi gli scienziati continuano a chiederselo, perché nonostante ci siano ormai delle teorie ben fondate sia dal punto di vista teorico che delle esperienze pratiche, rimane ancora qualche aspetto che si presta ad ulteriori approfondimenti. Come per tutti i fenomeni fisici, gli studi sull‟essenza della luce furono affrontati con l‟approccio sperimentale solo dopo Galileo. Sulla luce tuttavia si svilupparono due diverse teorie, ciascuna delle quali sembrava spiegare abbastanza bene la natura dei fenomeni luminosi: la “teoria ondulatoria” e la “teoria corpuscolare”. Secondo la teoria ondulatoria la luce è una forma di energia che origina nel sole e si propaga nell‟universo con un moto ondulatorio simile a quello che abbiamo visto per le onde sonore. Il punto debole di questa teoria è che le onde meccaniche hanno bisogno di un mezzo per propagarsi e fra il sole e la terra non esiste un mezzo fluido e tantomeno solido che può fare da tramite per questo tipo di moto. Per ovviare a questa difficoltà i sostenitori di questa teoria supposero che un tale fluido esistesse, lo chiamarono “etere” e ammisero che esso riempiva tutti gli spazi dell‟universo non occupati dai corpi celesti. Ma di questo fluido nessuno riuscì mai a definire le caratteristiche fisiche o chimiche. La teoria corpuscolare considera anch‟essa la luce come una forma di energia che origina nel sole, ma la sua propagazione nell‟universo avviene tramite una serie di corpuscoli piccolissimi dotati di moto rettilineo uniforme, secondo il noto principio di inerzia introdotto da Galileo. Il moto di questi corpuscoli avviene con velocità elevatissima e non ha bisogno di nessun fluido per propagarsi. Le due teorie convissero per molto tempo sostenute e caldeggiate da scienziati molto autorevoli e gli esperimenti escogitati per dimostrare la veridicità dell‟una o dell‟altra furono innumerevoli ma, per molto tempo, non decisivi. La teoria corpuscolare sembrava più semplice ma gli esperimenti portavano sempre nuovi argomenti alla teoria ondulatoria, per la quale tuttavia restava l‟enorme difficoltà di definire con precisione cosa fosse l‟etere. Fu solo verso la metà del secolo XIX che Maxwell5, nei suoi studi sui campi elettromagnetici, dimostrò che le onde elettromagnetiche non hanno bisogno di un supporto meccanico per propagarsi e si propagano anche nel vuoto. Fu questo il punto di svolta decisivo a favore della teoria ondulatoria: la luce è una forma di energia che si trasmette con un moto ondulatorio di tipo elettromagnetico. Un‟altra differenza rispetto al moto ondulatorio del suono è che la vibrazione dell‟onda luminosa avviene trasversalmente rispetto alla propagazione del moto, mentre la vibrazione sonora è di tipo longitudinale. 5 James Clerk Maxwell (1831-1879) matematico e fisico scozzese 23 Capitolo 3 – La luce La luce dunque è un fenomeno ondulatorio, di tipo elettromagnetico, con vibrazioni trasversali rispetto alla direzione di propagazione del moto. La prima constatazione, che sembrerà molto strana, è che l‟occhio umano non è in grado di vedere le onde luminose, così come non vede le onde sonore. L‟occhio umano vede la sorgente luminosa ma non l‟onda di luce che da essa proviene. Ci sono due tipi di sorgenti luminose: le sorgenti “primarie” e le sorgenti “secondarie”. Sorgenti primarie sono quelle che producono l‟energia luminosa mediante la trasformazione di un‟altra forma di energia (l‟energia nucleare nel sole e nelle stelle, l‟energia chimica in un corpo che brucia, l‟energia elettrica in una lampadina, ecc.). Le sorgenti secondarie sono quelle che assorbono e riflettono l‟energia che ricevono da una sorgente primaria: la luna che riflette l‟energia solare, un corpo illuminato dalla luce emessa da una lampadina ecc. Si potrebbe obiettare che in una camera buia si vede a volte un fascio di luce filtrare attraverso un‟imposta socchiusa e in questo caso dunque l‟onda luminosa è visibile, ma in effetti non si tratta dell‟onda luminosa ma delle miriadi di particelle del pulviscolo atmosferico che, investite dalla luce del sole, diventano sorgenti riflettenti. Se infatti si togliesse completamente il pulviscolo dall‟aria della stanza, si vedrebbe una parte di pavimento o di parete illuminata ma non il fascio di luce che attraversa la stanza e la illumina. L‟onda comunque esiste e la sua esistenza può essere provata con un esperimento semplice, ma che richiede un‟apparecchiatura complessa per essere eseguito. Si è già visto, nel caso delle onde sonore, che due onde si possono sovrapporre dando luogo ad un‟onda che in ogni punto è la somma delle due onde. Se dunque si sovrappongono due onde in contrapposizione di fase, cioè di cui una presenta un avvallamento in corrispondenza di una cresta dell‟altra e viceversa, la somma delle due onde è nulla. Nel caso di onde luminose ciò significa che luce più luce deve dare buio, e nel caso delle onde sonore suono più suono deve dare silenzio. Ebbene in entrambi i casi ciò si verifica quando le onde sono in contrapposizione di fase. Ciò premesso, quando nelle descrizioni che seguono parleremo di un raggio luminoso intenderemo parlare della direzione della propagazione dell‟onda luminosa. L‟uso della direzione di propagazione anziché dell‟onda rende più semplice, ma altrettanto valida, la spiegazione di alcuni fenomeni. Consideriamo un‟onda luminosa che incontra un ostacolo. A seconda della natura dell‟ostacolo (Figura 21): 24 Luce contro ostacolo Luce che incontra un ostacolo Assorbita Opaco Attraversa Trasparente Riflessa Riflettente Figura 21 Riflessione e complanarità i r Figura 22 25 una parte dell‟onda è assorbita e quando questa parte è preponderante si dice che l‟ostacolo è “opaco” (per es. un muro) una parte dell‟onda lo attraversa e quando questa parte è preponderante si dice che l‟ostacolo è “trasparente” (per es. una lastra di vetro) una parte dell‟onda è riflessa e quando questa parte è preponderante si dice che l‟ostacolo è “riflettente” (per es. una distesa d‟acqua) La riflessione della luce La legge di riflessione della luce è uguale a quella del suono: il raggio riflesso (cioè la direzione di propagazione dell‟onda riflessa) forma con la perpendicolare al piano riflettente nel punto di incidenza un angolo, r, uguale a quello, i, del raggio incidente. Inoltre il raggio incidente, il raggio riflesso e la perpendicolare giacciono nello stesso piano, come indicato nella Figura 22. Senza saperlo abbiamo applicato questa legge ogni volta che, da bambini, abbiamo giocato con uno specchietto per abbagliare un amico con la luce del sole. Per riflettere il raggio proveniente dalla direzione del sole verso gli occhi dell‟amico abbiamo dovuto orientare lo specchietto in modo che fosse verificata l‟eguaglianza degli angoli e la complanarità descritte sopra. Diffusione Un ostacolo opaco è in genere un corpo con una superficie scabrosa. In questo caso la superficie del corpo è discontinua e può essere assimilata ad un insieme di piccole superfici contigue orientate in tutte le direzioni. Se quindi un fascio di luce colpisce il corpo, ognuna di queste piccole superfici ne riflette una parte, secondo la legge esposta sopra, ma ciascuna in una direzione diversa a seconda del suo orientamento. Pertanto il fascio di luce incidente viene riflesso in tutte le direzioni dando origine al fenomeno che si chiama “diffusione”. La Figura 23 mostra come avviene questo fenomeno su una superficie la cui scabrosità, per chiarezza, è stata molto ingrandita. In effetti, per poter definire cosa avviene dell‟onda riflessa, occorre confrontare la scabrosità della superficie con la lunghezza d‟onda λ dell‟onda che la colpisce. Per spiegarci meglio, consideriamo la scabrosità di una superficie come un susseguirsi di creste e avvallamenti e che si misuri la scabrosità come la distanza fra due creste o fra due avvallamenti. Potremmo definire la media di queste distanze come la lunghezza d‟onda della scabrosità. Se questa è minore della lunghezza d‟onda che incide, la superficie si comporta come una superficie liscia rispetto all‟onda e la riflette in un‟unica direzione. Se invece la distanza fra le creste della scabrosità è maggiore della lunghezza d‟onda che incide, la superficie la riflette in molte direzioni, cioè la diffonde. Una stessa superficie quindi può risultare diffondente per certe lunghezze d‟onda e riflettente per lunghezze d‟onda maggiori, per esempio un muro diffonde la luce che ha una lunghezza d‟onda molto bassa ma riflette le onde radio che hanno invece lunghezze d‟onda molto maggiori. Per fare un esempio molto banale, si pensi ad una parete molto rugosa. Se contro questa parete si lancia una pallina di piccolo diametro è molto probabile che colpisca una cresta e rimbalzi in modo imprevedibile. Se invece sulla stessa parete si lancia un pallone da calcio il suo rimbalzo sarà regolare ed in una direzione prevedibile. 26 Diffusione della luce λmuro λluce λsuono Figura 23 Riflessione della luce. Specchio piano A’ d i d r i’ r’ A B Figura 24 27 C Gli specchi Una superficie riflettente per antonomasia è lo specchio, oggetto a noi molto familiare, ma che si presta ad essere esaminato con un po‟ di attenzione. La superficie levigata che riflette, come è noto, è la sottile lamina metallica, solitamente d‟argento, applicata sulla faccia posteriore dello specchio. Lo specchio più comunemente utilizzato è lo specchio piano, la cui superficie riflettente è appunto piana, ma esistono e si utilizzano anche specchi curvi, le cui lamine riflettenti sono superfici aventi varie curvature, alcuni dei quali saranno esaminati più avanti. Prima di procedere ricordiamo che l‟occhio umano vede un oggetto in una posizione situata nella direzione da cui arriva il raggio luminoso. Se quindi si tratta di un raggio riflesso da una superficie l‟occhio vede l‟oggetto come se si trovasse dietro la superficie riflettente e non nella posizione in cui effettivamente si trova. La Figura 24 mostra quanto si è appena detto. Un oggetto è posto in una certa posizione A davanti ad uno specchio piano. Un osservatore posizionato in B può vedere l‟oggetto o direttamente, con i raggi luminosi che arrivano direttamente dall‟oggetto al suo occhio, o indirettamente con i raggi riflessi dallo specchio. Nel secondo caso all‟osservatore giunge un raggio che è arrivato sullo specchio con un angolo di incidenza “i” ed è stato riflesso con un angolo “r”, uguale a “i”. L‟osservatore vede quindi un altro oggetto uguale al primo ma posto dietro lo specchio in un punto A‟ sul prolungamento del raggio giunto al suo occhio. Questa immagine si chiama “virtuale” perché in realtà non esiste. Infatti se dietro lo specchio si pone uno schermo nella posizione in cui si vede l‟immagine, su di esso non si forma alcuna immagine 6. L‟immagine virtuale è simmetrica dell‟immagine reale, rispetto allo specchio, ossia ogni punto dell‟immagine virtuale si trova ad una distanza (d) dallo specchio uguale alla distanza del corrispondente punto dell‟oggetto reale. Inoltre la posizione dell‟immagine non dipende dalla posizione dell‟osservatore ma solo dalla posizione dell‟oggetto rispetto allo specchio. Infatti se l‟osservatore si sposta in un altro punto, C, l‟immagine resta nella stessa posizione e l‟osservatore la vede da una angolazione diversa. Fra i vari tipi di specchi curvi esamineremo ora solo quelli sferici, formati cioè da una calotta sferica come quella illustrata nella Figura 25. La superficie riflettente può essere quella interna o quella esterna della calotta. Se la superficie riflettente è quella interna lo specchio si chiama “concavo”, se è quella esterna lo specchio si chiama “convesso”. La retta che passa per il vertice A della calotta ed il centro C della sfera si chiama “asse ottico” dello specchio, mentre l‟angolo α compreso fra i raggi che delimitano la calotta si chiama “ampiezza” dello specchio. La calotta mostrata nella figura è molto più ampia di quanto normalmente usato per gli specchi sferici, ma è stata disegnata così solo per ragioni di chiarezza. Si noti che quanto più piccola è l‟ampiezza, cioè l‟angolo α, tanto meno visibile risulta la curvatura dello specchio, al punto che a volte per accorgersi che si tratta di uno specchio curvo bisogna guardare come appare l‟immagine. 6 Un‟immagine si chiama reale quando può essere raccolta su uno schermo, virtuale nel caso contrario. Nel punto in cui si forma l‟immagine reale confluisce l‟energia trasportata dall‟onda luminosa ed è, infatti, quella che fa illuminare lo schermo, mentre nel punto in cui si forma l‟immagine virtuale non arriva alcuna energia perché è stata interamente riflessa dalla superficie speculare. 28 Specchi curvi. Specchio sferico Convesso A Concavo r α C Figura 25 Specchio concavo. Punto lontano F Figura 26 29 C Esaminiamo dapprima il comportamento degli specchi concavi, cioè quelli con la superficie interna riflettente. La caratteristica peculiare di uno specchio concavo è che qualsiasi raggio parallelo all‟asse dello specchio si riflette in uno stesso punto, che si chiama il “fuoco” dello specchio. Nella Figura 26 il fuoco è il punto F e la sua posizione si trova sull‟asse dello specchio ad una distanza dal vertice dello specchio uguale alla metà del raggio. Si tenga presente che quanto più distante è l‟oggetto luminoso dallo specchio tanto più la direzione dei raggi tende a diventare parallela all‟asse, per cui sono praticamente paralleli i raggi che arrivano da un punto molto lontano come, ad esempio, il sole. L‟immagine che si forma nel fuoco è un‟immagine reale, essa cioè può essere raccolta su uno schermo e convoglia su di esso l‟energia trasportata dall‟onda luminosa. Nel caso dei raggi provenienti dal sole la quantità di energia che si concentra nel fuoco dello specchio è talmente elevata che può far bruciare un materiale incendiabile che venga collocato in quel punto. È proprio su questo principio che si basa uno dei dispositivi con cui si raccoglie l‟energia solare utilizzata per la produzione di energia elettrica. La Figura 27 mostra un‟immagine schematizzata di un tale dispositivo. Gli specchi di questa struttura sono parabolici non sferici, ma il funzionamento è analogo. I raggi solari sono riflessi nel fuoco dello specchio come immagine reale e come trasportatori di energia. In questa zona è posizionato un tubo all‟interno del quale circola un liquido che assorbe l‟energia riscaldandosi fino a temperature che superano i 450°C. Il liquido passa poi in altre apparecchiature, non indicate nella figura, dove l‟energia termica viene trasformata in energia elettrica e distribuita alle utenze finali. La Figura 28 mostra un‟installazione industriale con l‟insieme di elementi di questo tipo necessari per raccogliere energia solare in quantità significative. Se la sorgente luminosa non è così lontana da poter considerare paralleli i raggi luminosi provenienti da essa, l‟immagine che si forma non è puntiforme e non è concentrata nel fuoco dello specchio. La Figura 29 mostra un metodo grafico per determinare come e dove si forma l‟immagine di un oggetto. Premettiamo che ogni punto di una sorgente luminosa, diretta o indiretta, emette onde luminose che si propagano in linea retta in tutte le direzioni dello spazio. Noi consideriamo queste direzioni come raggi luminosi emessi dall‟oggetto perché questa assimilazione permette di spiegare più facilmente i fenomeni ottici e risulta sufficientemente precisa per determinarne gli effetti pratici. Aggiungiamo ancora che se di uno specchio curvo consideriamo una superficie piccolissima questa può essere assimilata a una superficie piana e quindi la riflessione dei raggi luminosi segue in ogni punto dello specchio curvo la legge della riflessione degli specchi piani, ossia l‟angolo incidente, i, formato dal raggio con la perpendicolare allo specchio in quel punto è uguale all‟angolo, r, del raggio riflesso e,inoltre, il raggio incidente, il raggio riflesso e la perpendicolare giacciono sullo stesso piano. Infine notiamo che se degli infiniti raggi emessi da un punto ed incidenti sullo specchio ne individuiamo due di cui sia agevole determinare i corrispondenti raggi riflessi, risulta anche agevole determinare la posizione dell‟immagine del punto. Ciò premesso, chiariamo quanto detto con l‟esempio illustrato nella Figura 29. Da un punto P, posto sull‟asse ottico, consideriamo un raggio che incide sullo specchio in un punto P‟. Portiamo in questo punto la perpendicolare alla superficie dello specchio (che è una retta che passa per il centro dello specchio) e tracciamo il raggio riflesso in 30 Collettore termico parabolico Struttura portante Specchio parabolico Tubo di assorbimento Figura 27 Impianto di energia solare Figura 28 31 modo che formi con la perpendicolare lo stesso angolo del raggio incidente e nello stesso piano che questo forma con la perpendicolare. Consideriamo poi un altro raggio dal punto P che coincida con l‟asse ottico. Questo viene riflesso su sé stesso perché è perpendicolare allo specchio. Il punto Q quindi in cui il raggio riflesso considerato precedentemente incontra l‟asse ottico è l‟immagine del punto P. Si può dimostrare che se chiamiamo p la distanza del punto P dallo specchio, q la distanza del punto Q e f la distanza focale, fra queste grandezze sussiste la relazione Poniamo ora un oggetto davanti ad uno specchio concavo, oltre il centro ottico e in modo che l‟estremo P si trovi sull‟asse dello specchio (Figura 30). Cominciamo a considerare l‟altro estremo B dell‟oggetto e vediamo dove si va a formare la sua immagine. Di tutti gli infiniti raggi uscenti da B e incidenti sullo specchio, prendiamo quello parallelo all‟asse ottico; come sappiamo questo raggio si riflette passando per il fuoco F. Prendiamo ora un altro raggio uscente da B e passante per il centro ottico dello specchio C. Questo raggio, essendo sovrapposto ad un raggio della sfera a cui appartiene lo specchio è perpendicolare allo specchio stesso e quindi si riflette su sé stesso. I due raggi riflessi si incontrano in B‟ ed in questo punto si forma l‟immagine del punto B riflessa dallo specchio. Se continuiamo ad applicare questa costruzione a tutti i punti dell‟oggetto, compresi fra B e P, otteniamo l‟immagine QB‟ riflessa dallo specchio. Diciamo subito che si tratta di un‟immagine reale che può essere quindi raccolta su uno schermo e che trasporta l‟energia luminosa emessa da BP. Notiamo innanzi tutto che l‟immagine è capovolta, è rimpicciolita ed è posizionata fra il fuoco ed il centro dello specchio. Più precisamente si può dimostrare che, detta q la distanza dell‟immagine dal vertice dello specchio, p la distanza dell‟oggetto dal vertice dello specchio e f la distanza focale, risulta ancora una volta che: che, per un determinato specchio di distanza focale f permette di calcolare la posizione in cui si forma l‟immagine, conoscendo la posizione in cui si pone l‟oggetto. Da questa relazione si vede anche che se l‟oggetto è posto molto lontano, cioè p è molto grande, 1/p è molto piccolo e può essere trascurato, per cui la relazione diventa: che significa che l‟immagine è posizionata proprio nel fuoco, come avevamo appunto visto nella Figura 26. Si può dimostrare inoltre e si può verificare sperimentalmente che se indichiamo con H una dimensione dell‟oggetto, per esempio la sua altezza, e con h la corrispondente dimensione dell‟immagine, esiste la relazione: 32 Specchio concavo. Punto vicino (Oltre il centro ottico) P’ C Q F P f q p Figura 29 Specchio concavo (Oggetto oltre il centro ottico) B H F C Q h f q B’ p Figura 30 33 P La posizione dell‟immagine si sposta dal fuoco verso il centro man mano che l‟oggetto si sposta dalle posizioni più lontane e si avvicina al centro. Quando l‟oggetto è nel centro dello specchio anche l‟immagine si forma nel centro dello specchio, ma è capovolta rispetto all‟oggetto. Esaminiamo ora come si forma l‟immagine di un oggetto posto fra il centro ottico e lo specchio distinguendo ancora due casi: quello in cui l‟oggetto sia posizionato fra il centro e il fuoco e quello in cui sia posizionato fra il fuoco e lo specchio. Il primo caso si risolve facilmente applicando un principio che non abbiamo ancora enunciato: il principio dell‟invertibilità del cammino ottico. Questo principio, che ha trovato piena conferma sperimentale, afferma che il cammino che un raggio luminoso percorre in una certa direzione è uguale a quello che percorre nella direzione opposta. In altre parole la posizione dell‟immagine e dell‟oggetto sono intercambiabili. Risulta agevole riscontrare infatti che la Figura 31 risulta analoga alla Figura 30 con l‟unica differenza che la posizione dell‟oggetto e dell‟immagine sono scambiate. Ciò comunque è risultato dopo aver posto l‟oggetto in P ed aver applicato gli stessi criteri che abbiamo già visto prima per la determinazione dell‟immagine. Anche le relazioni che legano i parametri p, q, f, H, h restano uguali a quelle menzionate sopra. Sempre per il principio di inversione del cammino ottico si ha che se l‟oggetto è posizionato proprio nel fuoco, i raggi riflessi dallo specchio sono paralleli all‟asse ottico e l‟immagine si forma all‟infinito. Un‟applicazione pratica di questo principio si trova nei fari abbaglianti delle macchine o nei riflettori. In queste apparecchiature la sorgente luminosa è posta nel fuoco dello specchio e quindi il fascio luminoso riflesso è formato da raggi di luce paralleli all‟asse ottico. Esaminiamo ora il caso in cui l‟oggetto sia posizionato fra il fuoco e lo specchio. Anche in questo caso possiamo ricercare la posizione dell‟immagine determinando i punti di incontro di particolari raggi. La relativa costruzione grafica è illustrata nella Figura 32. Sia PB l‟oggetto posizionato fra il fuoco e lo specchio. Prendiamo il raggio dal punto B che passa per il fuoco: il relativo raggio riflesso è quindi parallelo all‟asse ottico e, nella figura, è diretto verso destra dello specchio. Prendiamo ora un secondo raggio uscente dal punto B e passante per il centro C dello specchio. Come abbiamo già visto questo raggio è riflesso su se stesso e, nella figura, è diretto anch‟esso verso destra. Appare evidente che i due raggi riflessi sono divergenti e quindi non si incontrano. Si incontrano invece i loro prolungamenti, ma dietro lo specchio, a sinistra nella figura. L‟immagine si forma quindi nel punto B‟ che non è un punto d‟incontro di raggi riflessi, ma solo dei loro prolungamenti. Per questa ragione l‟immagine del punto B che si forma in B‟ è un‟immagine virtuale. Ripetendo la stessa costruzione per gli altri punti dell‟oggetto BP si può costruire la sua immagine completa QB‟, anch‟essa virtuale. Notiamo in questo caso che l‟immagine è diritta ed è ingrandita rispetto all‟oggetto originale. Inoltre, anche in questo caso, si può dimostrare che fra la sua posizione rispetto allo specchio, q, la posizione dell‟oggetto, p, e il fuoco dello specchio, f, esiste la stessa relazione già vista in precedenza 7, cioè: 7 Per convenzione quando l‟immagine è virtuale la sua distanza q dallo specchio si assume negativa. 34 Specchio concavo (Oggetto fra centro e fuoco) h F C P Q H f p q Figura 31 Specchio concavo (Oggetto fra fuoco e specchio) B’ B h H Q P p f q Figura 32 35 F C Anche fra la dimensione dell‟oggetto e quella dell‟immagine la relazione è analoga a quella precedente, cioè l‟immagine virtuale è tanto più grande quanto più vicino al fuoco è l‟oggetto. Passiamo ora ad esaminare come avviene la riflessione negli specchi convessi. Come abbiamo già detto uno specchio convesso ha la superficie riflettente esterna alla sfera a cui appartiene la calotta sferica. Consideriamo anche in questo caso, Figura 33, un fascio di raggi paralleli all‟asse ottico dello specchio che incide sulla superficie riflettente. Le direzioni dei corrispondenti raggi riflessi, determinate con la solita legge della riflessione, sono divergenti rispetto all‟asse ottico e i loro prolungamenti passano tutti per il fuoco della lente che è quindi il punto in cui si forma l‟immagine, ovviamente virtuale. La Figura 34 mostra invece la riflessione di un oggetto in uno specchio convesso. Ripetendo la costruzione grafica già adottata per i casi precedenti si rileva che l‟immagine dell‟oggetto si forma dietro lo specchio, cioè è un‟immagine virtuale. Si nota inoltre che essa è posizionata fra lo specchio ed il fuoco, è diritta ed è rimpicciolita. La sua posizione è tanto più vicina al fuoco e tanto più piccola quanto più distante è l‟oggetto dallo specchio. Tutte le immagini quindi che si formano per riflessione su uno specchio convesso sono virtuali. Anche in questo caso valgono le relazioni fra distanza dell‟oggetto, distanza dell‟immagine, distanza focale e dimensioni dell‟oggetto e dell‟immagine viste sopra. La rifrazione della luce Vediamo ora il caso in cui un raggio luminoso colpisca un ostacolo trasparente. Abbiamo visto che un ostacolo si definisce trasparente quando una parte preponderante del raggio luminoso passa attraversa l‟ostacolo. In termini diversi potremmo dire che ci apprestiamo ad esaminare il comportamento di un raggio luminoso che passa da un mezzo trasparente in cui si sta propagando ad un altro mezzo trasparente che incontra sul suo percorso. Per esempio un raggio luminoso che si sta propagando nell‟aria e che incontra sul suo percorso uno specchio d‟acqua in cui continua a propagarsi. Quello che accade è che il raggio luminoso nel punto in cui passa da un mezzo all‟altro cambia direzione come schematicamente indicato nella Figura 35. Se chiamiamo i l‟angolo di incidenza, cioè l‟angolo che la direzione del fascio luminoso forma con la perpendicolare alla superficie di separazione nel punto di incidenza, r l‟angolo che la direzione del raggio deviato forma con la stessa perpendicolare si nota che questi due angoli sono diversi fra loro e, nel caso del passaggio del raggio dall‟aria all‟acqua, r è minore di i, cioè il raggio luminoso, passando dall‟aria all‟acqua si avvicina alla perpendicolare. Questo fenomeno si chiama “rifrazione” del raggio luminoso. Gli angoli i e r sono legati da una relazione molto semplice, anche se riferita ad una loro funzione trigonometrica 8, che ha come significato fisico la caratteristica che per ogni 8 36 Specchio convesso (Oggetto lontano) F C F C Figura 33 Specchio convesso (Oggetto vicino) H h P Q q p f Figura 34 37 coppia di mezzi trasparenti (in questo caso aria-acqua) ad ogni angolo di incidenza corrisponde un solo angolo di rifrazione e il numero che esprime questa costanza di comportamento si chiama “indice di rifrazione” (aria-acqua). Anche nel caso della rifrazione poi, così come nella riflessione, il raggio incidente il raggio rifratto e la perpendicolare giacciono in uno stesso piano. Inoltre anche per la rifrazione vale il principio della reversibilità del raggio luminoso, per cui un raggio luminoso che passa dall‟acqua all‟aria si allontana dalla perpendicolare e l‟indice di rifrazione fra i due mezzi è il reciproco di quello del cammino inverso. In particolare nel caso aria acqua l‟indice di rifrazione aria-acqua è 1,33 mentre l‟indice acqua-aria è 0.75 (1/1,33). L‟effetto visivo del fenomeno della rifrazione ci è abbastanza familiare: se immergiamo parzialmente un bastone nell‟acqua, il bastone ci appare come se fosse spezzato in corrispondenza della superficie dell‟acqua perché i raggi provenienti dalla parte sommersa del bastone passando dall‟acqua all‟aria subiscono una deviazione che fa aumentare l‟angolo che essi formano rispetto alla perpendicolare. Pertanto l‟osservatore vede la parte sommersa del bastone sul prolungamento di tali raggi e non nella posizione in cui effettivamente si trovano. La Figura 36 illustra il fenomeno. La punta sommersa del bastone si trova in P. Il raggio di luce uscente da P incontra la superficie di separazione acqua-aria formando con la perpendicolare in quel punto l‟angolo i. Passando dall‟acqua all‟aria però il raggio si allontana dalla perpendicolare e forma con essa l‟angolo r maggiore di i. L‟osservatore vede dunque la punta del bastone lungo questa nuova direzione nel punto P 1. Lo stesso accade per tutti gli altri punti sommersi del bastone per cui questo appare come se fosse spezzato e piegato in corrispondenza della superficie di separazione dei due mezzi. C‟è un altro aspetto molto importante che riguarda la rifrazione ed è la sua correlazione con la velocità di propagazione delle onde luminose. Come si è visto a suo tempo per le onde sonore, anche le onde luminose si propagano con una velocità diversa a seconda del mezzo in cui si muovono. A differenza delle onde sonore, che si propagano solo attraverso un mezzo materiale, le onde luminose si propagano anche nel vuoto e la velocità di propagazione nel vuoto è di circa 300.000 Km/s9 (molto vicina a quella di propagazione nell‟aria che è di circa 298.000 Km/s). Nei mezzi materiali (trasparenti) la velocità della luce è minore di quella nel vuoto, di poco per l‟aria ma di valori più consistenti per gli altri mezzi. Per esempio nell‟acqua è di circa 222.000 Km/s, nel vetro va da 175.000 a 200.000 Km/s a seconda del tipo di vetro, nel diamante è addirittura di circa 125.000 Km/s (Figura 37). La connessione fra la rifrazione e velocità della luce consiste nel fatto, che è stato dapprima teoricamente previsto e poi sperimentalmente provato, che l‟indice di rifrazione fra due mezzi trasparenti è uguale al rapporto delle velocità della luce nei due mezzi 10. Anzi è stata proprio la prova sperimentale di questa previsione che ha rafforzato la tesi della natura ondulatoria della luce rispetto alla tesi corpuscolare. Torniamo ora alla rifrazione della luce nel passaggio da un mezzo più rifrangente ad uno meno rifrangente11, per esempio luce che passi da un cristallo all‟aria. La Figura 38 mostra un raggio di luce, indicato con 1, che attraversa un cristallo e incide 9 Il valore più preciso della velocità della luce nel vuoto finora determinato è di 299.792.458 m/s. 10 11 Dopo quanto si è detto si può ora precisare che un mezzo è più rifrangente di un altro se la velocità di propagazione della luce in esso è inferiore a quella di propagazione nell‟altro. 38 La rifrazione Aria r i Acqua r i r<i r>i Figura 35 Rifrazione – Effetto visivo r i P1 P Figura 36 39 Velocità della luce 300.000 Vuoto Km/s / 298.000 Aria Velocità di propagazione Km/s 222.000 Acqua Km/s 175-200.000 175 200 000 Km/s Vetro 125.000 Diamante Km/s Figura 37 Riflessione totale angolo limite 4 3 2 1 4 3 2 1 Figura 38 40 sulla sua superficie inferiore formando con la perpendicolare alla superficie in quel punto un certo angolo. Quando il raggio di luce passa dal cristallo all‟aria, cioè da un mezzo più rifrangente ad uno meno, si allontana dalla perpendicolare formando con essa un angolo maggiore. Prendiamo ora un secondo raggio, indicato con 2, che incide sulla superficie di separazione con un angolo maggiore del raggio 1, anche il raggio emergente formerà un angolo maggiore del precedente. Continuando a considerare raggi sempre più inclinati si arriverà ad un certo raggio, 3, il cui raggio emergente sarà proprio adagiato sulla superficie inferiore del cristallo. Questo è un caso limite oltre il quale cioè se si considera un raggio, 4, ancora più inclinato il raggio non uscirà più dalla superficie inferiore del cristallo, ma sarà riflesso da questa come da uno specchio. Questo fenomeno si chiama “riflessione totale” e l‟angolo da cui comincia a manifestarsi si chiama “angolo limite. Per angoli superiori all‟angolo limite, non si ha più una rifrazione ma una riflessione che segue quindi la legge della riflessione. Il raggio 4 sarà riflesso con un angolo uguale a quello del raggio incidente e giacerà nello stesso piano che questo forma con la perpendicolare. Qualitativamente poi la riflessione così ottenuta è ancora migliore di quella di uno specchio, perché la quantità di luce riflessa (rispetto a quella assorbita) è percentualmente maggiore di quella di uno specchio. È per questa ragione che in molti strumenti ottici, binocoli, cannocchiali, macchine fotografiche ecc., quando c‟è bisogno di deviare i raggi luminosi si utilizzano prismi ottici a riflessione totale piuttosto che normali specchi(Figura 39). Un‟importante applicazione del principio della riflessione totale si ha nelle fibre ottiche (Figura 40). Si tratta di sottili filamenti di materiale trasparente ad alto indice di rifrazione al cui interno i raggi luminosi procedono subendo delle riflessioni totali quando incidono sulle pareti procedendo così da un estremo all‟altro del filamento anche se questo non è disposto in linea retta. Si possono in questo modo visualizzare oggetti posti in posizioni inaccessibili o trasmettere onde elettromagnetiche di vario tipo fra due punti, anche molto distanti, collegati con una o più fibre ottiche. La più importante applicazione del primo tipo è costituita dalle sonde chirurgiche che permettono di accedere e visualizzare organi interni del corpo umano. Un esempio del secondo tipo è invece costituito dalle fibre ottiche usate per la trasmissione di dati nel settore di video e telecomunicazioni. La luce ed i colori Abbiamo visto, nel caso delle onde sonore, che l‟orecchio percepisce le diverse frequenze (o le diverse lunghezze d‟onda) come note musicali diverse. Le frequenze più alte sono percepite come note acute, quelle più basse come note gravi. Nel caso della luce le diverse frequenze (o le diverse lunghezze d‟onda) sono percepite dall‟occhio come colori diversi. Non dimentichiamo comunque che le onde sonore e le onde luminose fanno parte di due tipi diversi di moti ondulatori, di tipo meccanico il primo, di tipo elettromagnetico il secondo. Inoltre le frequenze sonore udibili dall‟orecchio umano sono comprese fra 15 è 20.000 Hz mentre quelle luminose percepibili dall‟occhio sono comprese fra 400.000 e 41 Il prisma ottico Figura 39 Le fibre ottiche Figura 40 42 700.000 miliardi di Hz, frequenze quindi assolutamente diverse 12. Alla frequenza di 4∙1014 Hz il colore percepito dall‟occhio è il rosso, alla frequenza di 7∙1014 il colore percepito è il violetto, alle frequenze intermedie crescenti dopo il rosso si percepisce l‟arancione, il giallo, il verde, l‟azzurro, l‟indaco ed infine il violetto. In realtà non c‟è uno stacco netto ma un passaggio graduale fra un colore e l‟altro. E la luce bianca? La luce bianca in realtà non esiste ma, come vedremo fra poco, deriva dalla composizione degli altri colori. Quando abbiamo parlato della rifrazione non abbiamo detto, perché era prematuro, che la velocità di propagazione della luce in un corpo trasparente dipende dalla frequenza (o dalla lunghezza d‟onda) del fascio luminoso. Abbiamo sempre parlato di raggio luminoso, ma avremmo dovuto aggiungere monocromatico, ossia un raggio con una frequenza ben definita. È infatti ai raggi monocromatici che si applica tutto quanto detto fin qui a proposito della rifrazione. Se infatti prendiamo un raggio di luce che sia formato dalla somma di due raggi con due frequenze diverse la velocità di propagazione di questi due raggi in un mezzo trasparente è diversa e, poiché il cambiamento di direzione del raggio dipende dalla velocità di propagazione, i due raggi sono deviati diversamente, ossia escono dal mezzo trasparente in due direzioni diverse. È proprio per questa ragione che si è visto che la luce bianca come tale non esiste, ma è formata dalla somma di vari colori. Infatti se si prende un cristallo a forma di prisma triangolare come quello indicato in Figura 41 e su di esso si invia un raggio di luce bianca, non solo, come ci aspettavamo, il raggio cambia direzione avvicinandosi alla perpendicolare (piega verso il basso nella figura), ma si suddivide anche in una serie di raggi che nel nuovo passaggio dal cristallo all‟aria cambiano ancora direzione allontanandosi questa volta dalla perpendicolare (piegano ancora verso il basso nella figura) e si mostrano diversamente colorati dal rosso, che è il colore che subisce la deviazione minore, al violetto che subisce la deviazione maggiore. In realtà i raggi non sono staccati l‟una dall‟altro come, per chiarezza, è stato indicato nella figura ma c‟è un viraggio continuo dal rosso al violetto che realizza l‟effetto che va sotto il nome di “dispersione della luce bianca”. In maniera vistosa questo fenomeno si manifesta anche in natura con l‟arcobaleno. In questo caso la luce bianca è quella del sole ed il mezzo trasparente che crea la rifrazione differenziata è l‟insieme delle minutissime gocce d‟acqua presenti nell‟atmosfera dopo un temporale. Anche se fra i due estremi di frequenze delle onde elettromagnetiche che si manifestano sotto forme di onde luminose ci siano ben 300.000 miliardi di frequenze diverse, queste sono solo una piccola parte delle frequenze delle onde elettromagnetiche conosciute. La gamma di frequenze di tali onde infatti va da meno di 1000 Hz a oltre 1023 Hz. La Figura 42 riporta la gamma delle frequenze e delle lunghezze d‟onda13 delle onde elettromagnetiche ed i relativi campi di impiego. La luce bianca non è emessa solo dal sole, ma da qualsiasi sostanza solida portata all‟incandescenza, come ad esempio il filamento di una lampadina. Una sostanza gassosa invece portata ad altissime temperature emette raggi luminosi solo su alcune lunghezze d‟onda caratteristiche di quella sostanza. L‟immagine di questi raggi raccolta su 12 I due numeri sono rispettivamente 4 e 7 seguiti da 14 zeri. La notazione scientifica normalmente usata per questi numeri è 4∙1014 e 7∙1014. 13 Ricordiamo che frequenza f, lunghezza d‟onda λ e velocità di propagazione v nei moti ondulatori sono legate dalla relazione in cui v, per le onde elettromagnetiche, è di 3∙108 m/s. 43 Dispersione della luce bianca rosso arancione giallo verde azzurro violetto indaco Figura 41 Frequenze e lunghezze d’onda delle radiazioni elettromagnetiche 105 103 10 1 10-1 10-3 10-5 10-7 10-9 10-11 10-13 10-15 λ metri f Hz 103 105 107 Onde lunghe 109 1011 1013 1015 Onde corte Onde medie r o s s o g i a l l o Figura 42 44 1019 Raggi X Ultravioletto Infrarosso a r a n c i o n e 1017 v e r d e a z z u r r o i n d a c o 1021 1023 Raggi gamma v i o l e t t o uno schermo si chiama “spettro di emissione” della sostanza e questa proprietà viene sfruttata nei laboratori di analisi per rilevare la presenza anche di tracce minime della sostanza nel materiale esaminato. Un altro fenomeno importante è che una sostanza gassosa, investita da un raggio di luce bianca, è capace di assorbire da essa quei raggi che hanno lunghezze d‟onda uguali a quelle del suo schermo di emissione, per cui se dopo aver attraversato il gas la luce bianca si fa passare attraverso un prisma e si raccoglie su uno schermo l‟immagine che ne emerge si nota che nella posizione in cui dovrebbero essere i colori assorbiti si formano delle righe nere. Questa immagine si chiama “spettro di assorbimento” della sostanza e viene utilizzato anch‟esso per il riconoscimento delle sostanze. Le lenti Una lente è un corpo trasparente delimitato da almeno una superficie curva il cui scopo in generale è quello di deviare il percorso dei raggi luminosi in modo da ingrandire, rimpicciolire o altrimenti deformare l‟immagine degli oggetti. Le lenti possono avere forme e dimensioni molto diverse e ciascuna si comporta in modo diverso al variare di questi parametri e del materiale di cui è costituita. Le leggi che regolano il comportamento delle lenti sono molto complesse, a meno che non si tratti di lenti particolarmente semplici cioè lenti sottili con superfici sferiche. Nelle lenti di grande spessore (Figura 43) si verificano infatti, a causa della rifrazione, sia delle distorsioni del raggio luminoso sia il fenomeno della dispersione della luce nei suoi colori componenti per cui l‟immagine risulta distorta e modificata nei colori. Questi due problemi si chiamano rispettivamente “aberrazione ottica” e “aberrazione cromatica”. In questa sede daremo alcune nozioni solo sulle lenti sottili con superfici sferiche, che comunque costituiscono il tipo di lenti più diffuso nelle applicazioni comuni. Innanzi tutto le lenti si dividono in due categorie: “lenti convergenti o convesse” e “lenti divergenti o concave”. Le lenti della prima categoria hanno lo spessore dei bordi minore dello spessore del centro della lente, mentre per le seconde lo spessore ai bordi è maggiore (Figura 44). Se su una lente convergente (Figura 45) si invia un fascio di raggi paralleli all‟asse ottico, all‟uscita dalla lente i raggi convergono in un unico punto che si chiama “fuoco della lente”. Se il fascio arriva dalla parte opposta anche i raggi uscenti dalla lente convergono dalla parte opposta in un altro “fuoco della lente” che si trova alla stessa distanza dell‟altro dal centro dello spessore della lente anche se questa è piano-convessa. Una lente convergente ha quindi due fuochi, uno da ciascuna parte della lente, e la loro distanza, f, dal centro della lente si chiama “distanza focale”. Nel punto di convergenza dei raggi paralleli, cioè nel fuoco, si forma l‟immagine reale della sorgente e si concentra tutta l‟energia trasportata dall‟onda luminosa. In una lente divergente (Figura 46) se un fascio di raggi paralleli arriva sulla lente i raggi uscenti divergono e i loro prolungamenti passano per un punto posto dalla stessa parte da cui arrivano i raggi che è il fuoco della lente. Anche in questo caso il fenomeno avviene allo stesso modo sia su uno che sull‟altro lato della lente e le due distanze focali sono uguali. L‟immagine della sorgente però è un‟immagine virtuale. Vediamo ora, nei due casi, come si forma l‟immagine di un oggetto posto ad una distanza non infinita. Ci avvaliamo ancora di una costruzione geometrica usando, per ogni punto dell‟oggetto, 45 Lenti di grandi spessori Figura 43 Categorie di lenti Convergenti o convesse Divergenti o concave Spessore Spesso e maggiore agg o e al a centro ce t o Spessore minore al centro Biconvessa Piano-convessa Biconcava Figura 44 46 Piano-concava Lenti convergenti – raggi paralleli f f F F Figura 45 Lenti divergenti – raggi paralleli f f F F Figura 46 47 alcuni raggi particolari, uno parallelo all‟asse ottico che emergendo passa per il fuoco, l‟altro passante per il centro della lente e che emerge nella stessa direzione senza subire variazioni14. L‟immagine del punto considerato si formerà nel punto in cui i due raggi emergenti, o i loro prolungamenti si incontrano. Nel primo caso si tratta di un‟immagine reale, nel secondo di un‟immagine virtuale. Ripetendo questa costruzione per un insieme di punti dell‟oggetto possiamo ricostruire l‟immagine che si forma. Esaminiamo dapprima una lente convessa o convergente distinguendo quattro casi per quanto riguarda la posizione dell‟oggetto: 1. L‟oggetto si trova ad una distanza dalla lente maggiore del doppio della distanza focale 2f (Figura47). L‟immagine si forma dalla parte opposta dell‟oggetto, fra il fuoco ed il doppio della distanza focale. Si tratta di un‟immagine reale, capovolta e rimpicciolita. 2. L‟oggetto si trova ad una distanza dalla lente uguale al doppio della distanza focale (Figura 48). L‟immagine si forma dalla parte opposta ad una distanza uguale a quella dell‟oggetto, cioè doppia della distanza focale. Si tratta ancora di un‟immagine reale, capovolta e delle stesse dimensioni dell‟oggetto. 3. L‟oggetto si trova fra il doppio della distanza focale ed il fuoco (Figura 49). L‟immagine si forma dalla parte opposta, ad una distanza maggiore del doppio della distanza focale. Si tratta di un‟immagine reale, capovolta e ingrandita. 4. L‟oggetto si trova ad una distanza dalla lente minore della distanza focale, cioè fra il fuoco e la lente (Figura 50). L‟immagine si forma dalla stessa parte dell‟oggetto ad una distanza maggiore. Si tratta di un‟immagine virtuale, diritta ed ingrandita. In tutti i casi esaminati le relazioni che legano la posizione dell‟oggetto, quella dell‟immagine, la distanza focale e le dimensioni dell‟immagine e dell‟oggetto sono le stesse di quelle già viste per gli specchi curvi. Tali relazioni sono riportate sulle figure stesse. Per le lenti concave o divergenti invece l‟immagine è sempre virtuale e ci sono solo due casi: 1. L‟oggetto si trova ad una distanza dalla lente maggiore della distanza focale (Figura 51). L‟immagine si forma fra il fuoco e la lente, dalla stessa parte dell‟oggetto, ed è virtuale diritta e rimpicciolita. 2. L‟oggetto si trova fra il fuoco e la lente (Figura 52). L‟immagine si forma dalla stessa parte dell‟oggetto, ad una distanza dalla lente maggiore della distanza focale ed è virtuale diritta e ingrandita. I due casi confermano il principio dell‟invertibilità del cammino luminoso per cui oggetto e immagine sono intercambiabili. Anche per essi, come riportato nelle figure, sono valide le relazioni già note. Gli strumenti ottici usati nella pratica sono molto più complessi di quelli che abbiamo fin qui illustrato. Essi sono formati da più lenti accoppiate e poste in posizioni opportune all‟interno dello strumento per riprodurre al meglio le immagini che rispondono agli 14 In realtà quando un raggio di luce passa dall‟aria a un mezzo trasparente diverso la sua direzione cambia per il fenomeno della rifrazione. Se però il mezzo è molto sottile, come abbiamo ipotizzato per la lente, la deviazione è molto piccola e può, con buona approssimazione, ritenersi nulla. 48 scopi che si vogliono ottenere. Si hanno così cannocchiali, binocoli, microscopi, macchine fotografiche ecc. la cui complessità e precisione diventano sempre maggiori grazie anche all‟avvento delle tecnologie digitali. 49 Lenti convergenti – poggetto>2f f f f f H A F F B h p q 1 1 1 + = p q f H p = h q Immagine reale Figura 47 Lenti convergenti – poggetto=2f f f f f H A F F B h p 1 1 1 + = p q f 1 1 1 + = 2f 2f f q H p = h q Figura 48 50 H=h Immagine reale Lenti convergenti – 2f>poggetto>f f f f f H A F F p 1 1 1 + = p q f B q H p = h q h Immagine reale Figura 49 Lenti convergenti – poggetto<f f f f f h H A F F B p q 1 1 1 + = p q f H p = h q Immagine virtuale Figura 50 51 Lenti divergenti – poggetto >f f H h f F F q p 1 1 1 + = p q f H p = h q Immagine virtuale Figura 51 Lenti divergenti – poggetto <f f h f H F F p q 1 1 1 + = p q f H p = h q Immagine virtuale Figura 52 52 Elettricità e Magnetismo Generalità Quando si parla di elettricità si pensa subito alla luce elettrica e indubbiamente questa è stata fra le prime e più utili applicazioni dell‟elettricità. Ma, come sappiamo tutti, la luce elettrica è entrata nelle nostre case solo verso l‟inizio del secolo scorso. Come mai? È quindi da così poco tempo che si conosce l‟elettricità? Sembra strano a dirsi ma, se al termine conoscere si attribuisce il significato suo proprio, bisogna ammettere che l‟elettricità è uno dei campi della fisica in cui le conoscenze si sono sviluppate solo da poco tempo. Non che fenomeni di tipo elettrico non fossero stati mai osservati. Fin dall‟antichità si era notato che una bacchetta d‟ambra, strofinata con un panno, riusciva ad attirare dei corpi leggeri, ma si era propensi a credere che ciò derivasse da misteriose caratteristiche magiche di tipo soprannaturale presenti in alcune sostanze. Un campo quindi che era opportuno non approfondire. L‟approccio razionale allo studio dei fenomeni naturali, introdotto da Galileo col metodo sperimentale, indusse molti fisici ad approfondire gli studi anche in questo campo e non mancarono menti eccelse nel formulare ipotesi e teorie che consideravano l‟elettricità come un fluido o uno stato d‟essere della materia o una caratteristica di alcuni materiali. Il passaggio però da ipotesi puramente qualitative a teorie quantitativamente sperimentabili in laboratorio avvenne soltanto molto tempo dopo, grazie anche al miglioramento sia delle macchine per effettuare gli esperimenti sia degli strumenti per misurare le grandezze in gioco sia, soprattutto, della conoscenza della costituzione della materia e delle strette connessioni con i fenomeni elettrici. Si è quindi arrivati alla conclusione che l„elettricità è un insieme di fenomeni fisici in cui intervengono “cariche elettriche” ferme o in movimento. Lo studio di questi fenomeni si suddivide quindi in due settori, l‟elettrostatica, che studia i fenomeni relativi alle cariche elettriche in quiete e l‟elettrodinamica che studia i fenomeni relativi alle cariche in movimento. Esistono infine delle strette connessioni fra elettricità e magnetismo i cui fenomeni sono studiati nel settore dell‟elettromagnetismo. 54 Capitolo 4 – Elettrostatica Elettrizzazione L‟elettrostatica è quella parte della fisica che studia i fenomeni elettrici connessi con le cariche elettriche in quiete. In realtà le cariche elettriche si muovono anche nei fenomeni studiati nell‟elettrostatica, ma in modo discontinuo sotto forma di piccoli spostamenti o di scariche. Il fenomeno di base che ha attratto l‟attenzione è che alcuni corpi strofinati con un panno acquistano la proprietà di attrarre altri corpi leggeri posti nelle loro vicinanze. Ampliando un po‟ questo semplice esperimento si possono considerare varie alternative. Per esempio (Figura 53): una bacchetta di resina strofinata con un panno di lana e avvicinata a dei pezzetti di carta li attira a sé; due bacchette di resina entrambe strofinate entrambe con un panno e poi avvicinate l‟una all‟altra si respingono; invece una bacchetta di resina e una di vetro, entrambe strofinate separatamente e poi avvicinate, si attirano. Inoltre se dei corpi leggeri sono attratti dalla bacchetta di resina sono respinti dalla bacchetta di vetro e viceversa. Questi esperimenti indicano: che alcuni corpi strofinati dal panno di lana acquistano una caratteristica diversa. Quando si trovano in questo stato si dice che sono “elettrizzati” lo stato “elettrizzato” non è uguale per tutti i corpi, ma dipende dal materiale di cui sono costituiti. Esistono almeno due modi diversi di elettrizzazione e i corpi elettrizzati allo stesso modo si respingono, quelli elettrizzati in modo diverso si attraggono. Possiamo chiamare i due modi di elettrizzazione uno “positivo” e l‟altro “negativo”. Tralasciando le interpretazioni che di questo fenomeno sono state date nel passato e di cui si è fatto cenno in precedenza, l‟interpretazione attualmente condivisa è basata sulla costituzione corpuscolare della materia. La materia è costituita da un insieme di atomi e questi sono a loro volta costituiti da particelle più piccole fra cui due particolarmente importanti si chiamano rispettivamente “protone” e “elettrone” (Figura 54). Queste due particelle sono, potremmo dire, “elettrizzate” in modo diverso: il protone positivamente, l‟elettrone negativamente. Il numero di protoni presenti nell‟atomo è uguale al numero di elettroni per cui dal punto di vista elettrico le cariche positive e negative si compensano e l‟atomo risulta elettricamente neutro. Così anche un corpo costituito da atomi elettricamente neutri è elettricamente neutro anch‟esso. Se ora strofiniamo una bacchetta di resina con un panno di lana, alcuni elettroni degli 55 Semplici esperimenti resina vetro Figura 53 Costituzione corpuscolare della materia Protone + Elettrone Neutrone Figura 54 56 atomi del panno di lana si staccano e si uniscono agli atomi della bacchetta di resina che, avendo ora degli elettroni in eccesso, si caricano negativamente rendendo elettrizzata negativamente l‟intera bacchetta di resina. Nel caso della bacchetta di vetro invece alcuni elettroni si staccano dagli atomi della bacchetta di vetro e si attaccano agli atomi del panno di lana. In tal modo gli atomi della bacchetta di vetro che hanno perso gli elettroni si caricano positivamente rendendo elettrizzata positivamente l‟intera bacchetta. È evidente che nel primo caso il panno di lana, che ha ceduto elettroni alla resina, si carica positivamente mentre nel secondo caso, in cui ha sottratto elettroni al vetro, si carica negativamente. Infatti, a riprova di ciò, si osserva che il panno di lana viene attratto sia dalla bacchetta di resina nel primo caso, sia dalla bacchetta di vetro nel secondo. Gli elettroni infatti non si creano durante lo strofinio, ma si trasferiscono soltanto dall‟uno all‟altro dei materiali strofinati che risultano così sempre caricati con segno opposto. Come si è detto all‟inizio le cariche elettriche che stiamo considerando non sono sempre in quiete, ma in alcuni casi si muovono. Una prova di ciò si ha in questo semplice esperimento. Prendiamo una bacchetta di metallo e, tenendola in mano, strofiniamola con un panno di lana. Se ora l‟avviciniamo ad una bacchetta di vetro o ad una di resina o allo stesso panno di lana con cui l‟abbiamo strofinata non si verifica nessun fenomeno di attrazione o repulsione. Si potrebbe dedurre che il metallo di cui è costituita la bacchetta non si elettrizza. Ma se ripetiamo l‟esperimento inserendo la bacchetta di metallo in un manico di legno e, tenendola col manico, la strofiniamo col panno di lana la bacchetta metallica si elettrizza. È più appropriato pensare che le cariche che si creano nella bacchetta con lo strofinio si muovono rapidamente nel metallo e si trasmettono, attraverso la mano, al corpo dello sperimentatore, mentre il manico di legno impedisce questo movimento. Anche nel caso del vetro e della resina le cariche che si creano non riescono a trasferirsi nel corpo dello sperimentatore. È evidente quindi che ci sono alcuni materiali (metalli ecc.) in cui le cariche elettriche si muovono con una certa rapidità in altri invece (vetro, resina, legno ecc.) si muovono più lentamente o sono addirittura ferme. I materiali del primo tipo si chiamano “conduttori” i secondi “isolanti”. La presenza di cariche su un corpo può essere evidenziata, oltre che dalla sua capacità di attrarre o respingere altri corpi, anche con un semplice strumento che si chiama “elettroscopio” (Figura 55). L‟apparecchio è costituito da un‟asticella di metallo (buon conduttore di cariche) sotto la quale sono incernierate due sottili lamelle metalliche (solitamente d‟oro). All‟altra estremità l‟asticella termina con una testina sferica. Il tutto è sostenuto da un supporto isolante e contenuto in un‟ampolla di vetro per evitare interferenze dovute a spostamenti d‟aria o altri disturbi. Nella condizione di assenza di carica le due lamelle sospese, soggette solo alla forza di gravità si dispongono verticalmente sotto l‟asticella (prima figura a sinistra). Se si tocca la testina della barretta con una bacchetta caricata positivamente le cariche elettriche si trasmettono attraverso l‟asticella alle due lamelle metalliche elettrizzando entrambe con cariche dello stesso segno, entrambe positive nella seconda figura da sinistra, entrambe negative nella terza figura. In tutti e due i casi le lamelle, avendo carica dello stesso segno si respingono e quindi ruotano sulla cerniera e divergono. Se la bacchetta ha una carica maggiore, perché per esempio è stata strofinata più a lungo, le lamelle divergono di più perché anche ad esse viene trasmessa una carica maggiore (ultima figura a destra). L‟elettroscopio può essere usato anche per verificare se due corpi sono caricati con ca- 57 riche dello stesso segno o di segno opposto. Infatti se dopo aver toccato l‟asticella col primo corpo la si tocca col secondo, le lamelle divergono maggiormente se la carica del secondo corpo è dello stesso segno del primo mentre la loro divergenza si riduce se la carica del secondo corpo è opposta a quella del primo. Infatti nel primo caso le cariche del secondo corpo si aggiungono a quelle del primo già presenti sulle lamelle, mentre nell‟altro caso le cariche del secondo corpo neutralizzano, in tutto o in parte, quelle già presenti ma di segno opposto trasferite dal primo corpo. Induzione elettrostatica Un altro fenomeno che viene ben evidenziato dall‟elettroscopio è la cosiddetta “induzione elettrostatica”. Se alla testina dell‟elettroscopio si avvicina una bacchetta elettrizzata ma senza toccarla si nota che le lamelle divergono ugualmente, ma poi ritornano nella posizione di riposo quando la bacchetta elettrizzata viene allontanata. Sembra cioè che in questo caso le cariche non rimangono sulle lamelle ma tornino indietro sulla bacchetta quando questa viene allontanata. Ma non è così; un‟interpretazione più convincente infatti sembra quella illustrata nella Figura 56. Se un corpo, A, elettrizzato, per esempio positivamente, viene avvicinato ad un corpo, B, non elettrizzato, cioè un corpo in cui le cariche interne positive e negative sono bilanciate, si crea da parte di A un‟attrazione sulle cariche negative che, anche se bilanciate, sono comunque presenti all‟interno di B. Queste quindi si addensano verso la zona dove è stato avvicinato A mentre le cariche positive si addensano verso la zona opposta. Quando A si allontana cessa l‟azione di attrazione e B ritorna in quiete come prima. A riprova di ciò, se si ripete l‟esperimento con un corpo B formato da due parti avvicinate ed in contatto fra loro le cariche si addensano come detto prima, ma se le due parti vengono separate prima che sia allontanato A, le cariche che si erano spostate non hanno più la possibilità di bilanciarsi perché è stata interrotta la comunicazione con la parte del corpo elettrizzata con le cariche opposte e le due parti restano entrambe elettrizzate ciascuna con cariche di segno opposto. Generatori elettrostatici I generatori elettrostatici sono macchine semplici utilizzate per elettrizzare i corpi per mezzo dello strofinio e dell‟induzione. La più semplice di queste macchine è l‟elettroforo di Volta, illustrato schematicamente nella Figura 57. L‟elettroforo è formato da un piatto di ebanite 15 che viene caricato per strofinio. L‟ebanite strofinata si carica negativamente. Se al piatto di ebanite si avvicina, senza toccarlo, un piatto metallico, sostenendolo con un manico isolante, il piatto metallico si carica per induzione, ossia le cariche positive presenti nel metallo si dispongono verso la faccia inferiore del piatto e le cariche negative si dispongono verso la faccia opposta. Se a questo punto con un cavetto metallico si mette in contatto con il terreno la faccia 15 L‟ebanite è un materiale scuro isolante, molto usato prima dell‟avvento delle materie plastiche, ottenuto vulcanizzando il caucciù con molto zolfo. 58 L’elettroscopio + - ++ - - + + ++ ++ Figura 55 Induzione elettrostatica B + + A + + - - + + + - Figura 56 59 + superiore del piatto, le cariche negative si disperdono al suolo e il piatto, quindi, resta caricato positivamente. Notiamo che in questo processo non è stata sottratta nessuna carica al piatto di ebanite, perché il piatto metallico si è caricato per induzione, quindi il piatto di ebanite rimane elettrizzato negativamente. Se quindi riusciamo a trasferire le cariche del piatto metallico ad un opportuno contenitore di cariche elettriche (che esiste e lo vedremo più avanti) possiamo ripetere l‟operazione più volte accumulando nel contenitore una grande quantità di cariche elettriche. L‟operazione può anche essere ripetuta meno artigianalmente con una macchina rotante in cui un certo numero di dischi metallici sono montati su una ruota, che gira intorno ad un asse, affacciata ad una ruota coassiale alla precedente, ma ferma, su cui sono montati un numero uguale di dischi di ebanite ciascuno seguito da un ricevitore di cariche. Durante la rotazione, ogni disco metallico arriva di fronte a un piatto di ebanite, elettrizzato in precedenza per strofinio, e contemporaneamente la sua faccia opposta entra a contatto con un filo conduttore che scarica a terra le cariche negative. Continuando a girare il piatto metallico incontra, subito dopo, un ricevitore di cariche in cui trasferisce le sue cariche positive e, subito dopo ancora, un altro piatto di ebanite dove si carica nuovamente per induzione e il processo si ripete così con continuità. Principio di conservazione della carica Nei fenomeni di elettrizzazione fin qui descritti, strofinio e induzione, si è visto che la carica elettrica non viene creata ma solo trasferita da un mezzo ad un altro. Nel caso dello strofinio l‟elettrizzazione è prodotta dal trasferimento di elettroni dall‟oggetto strofinato al panno o viceversa. L‟energia spesa nell‟azione di strofinamento non è servita a creare le cariche, come si potrebbe pensare, ma solo a trasferirle da un oggetto all‟altro. Come abbiamo visto, la prova di ciò consiste nel fatto che se si considerano insieme l‟oggetto e il panno utilizzato per strofinarlo non si ha evidenza di elettrificazione perché il totale delle cariche positive e negative non è cambiato. Nel caso dell‟induzione invece la carica sul piatto metallico è prodotta dalla separazione delle cariche negative, disperse al suolo, da quelle positive che restano sul piatto, ma non da una creazione di cariche positive sul piatto. Da queste e da altre osservazioni e dal fatto che nessun esperimento abbia mai dimostrato il contrario, si è formulato il postulato, noto come principio di conservazione della carica, che “la carica elettrica complessiva presente nell‟universo è costante”. La misura della carica elettrica Un elettroscopio oltre a mostrarci la presenza o meno di cariche su un corpo dà altre importanti indicazioni. Innanzi tutto sappiamo, dallo studio della meccanica, che se in un apparato metallico come quello dell‟elettroscopio vogliamo divaricare le lamelle dobbiamo applicare ad esse due forze di verso opposto. La Figura 58 mostra una delle due lamelle dell‟elettroscopio quando è posta in una posizione divaricata. Su di essa agisce la forza peso P che tende a far ruotare la lamella verso la sua posizione verticale esercitando un momento M = P∙a rispetto al punto in cui la lamella è incernierata. Se quindi la lamella non ritorna nella posizione verticale biso- 60 L’elettroforo di Volta Legno ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ + + + + + + + + + + Metallo ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ Figura 57 La legge di Coulomb b F a P P M = P·a M = F·b Figura 58 61 Ebanite gna che ci sia un‟altra forza F che eserciti un momento, M = F∙b, uguale e di segno opposto al precedente Questo significa che se le cariche elettriche fanno divaricare le lamelle sono loro a generare queste forze. Abbiamo inoltre visto che le lamelle si divaricano di più o di meno a seconda che la carica elettrica sia maggiore o minore. Poiché per far divergere di più le lamelle occorrono forze maggiori si può dedurre che cariche elettriche maggiori generano forze maggiori. In conclusione si deduce che esiste una relazione fra le cariche elettriche e le forze generate. A lungo i ricercatori hanno cercato di quantificare questa relazione e formulare la legge che lega forze e cariche elettriche. Fu il fisico francese Coulomb16 che riuscì a mettere a punto uno strumento semplice ma ingegnoso, la bilancia di torsione, che intorno al 1785 gli permise di formulare quella che appunto si chiama la legge di Coulomb: “la forza con cui due cariche elettriche si attraggono (o si respingono) è direttamente proporzionale alle cariche elettriche ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza” in cui q1 e q2 sono le due cariche elettriche, r la loro distanza e k una costante di proporzionalità che dipende dal mezzo in cui si trovano le cariche (vuoto, aria, acqua ecc.). Quello che salta immediatamente all‟occhio è che questa formula è identica a quella della gravitazione universale dove al posto delle masse ci sono le cariche elettriche. Così, come la massa esprime il concetto di quantità di materia, la carica esprime il concetto di quantità di elettricità e le interazioni fra queste grandezze sono simili. Ma non approfondiamo questo concetto per il momento. Notiamo invece che la legge di Coulomb, così come la relativa formula, mette in relazione questa nuova grandezza fisica, la carica elettrica, con altre grandezze già note: la forza e la distanza. Essa ci permette dunque di definire un‟unità di misura di questa nuova grandezza, chiamata “coulomb”, che si indica con il simbolo “C”: due cariche uguali hanno il valore di 1 coulomb quando, poste alla distanza di 1 metro, si respingono con una forza di 8,987∙10 9 Newton. È una forza enorme. Infatti in elettrostatica si usa normalmente un sottomultiplo del Coulomb, il micro-coulomb, che è uguale a 10-6 Coulomb. Distribuzione delle cariche In un corpo elettrizzato le cariche elettriche si dispongono tutte sulla superficie del corpo, sia che si tratti di un corpo pieno che di un corpo cavo. Questa proprietà è stata rilevata sperimentalmente già dai primi ricercatori in questo campo, Franklin17 e Faraday18, i quali trovarono fra l‟altro che l‟azione distruttiva del fulmine, che è un intenso passaggio di cariche elettriche da un corpo (insieme di particelle presenti nell‟atmosfera) a un altro, è nulla all‟interno di un corpo conduttore cavo19. 16 Charles Augustin Coulomb (1736-1806) fisico francese Benjamin Franklin (1706-90) scrittore, scienziato e politico statunitense 18 Michael Faraday (1791-1867) chimico e fisico inglese 19 Un corpo così fatto si chiama appunto “gabbia di Faraday” 17 62 Infatti le cariche elettriche si distribuiscono rapidamente sulla superficie del conduttore senza trasmettersi al suo interno. Per questa ragione, ad esempio, i passeggeri di un aereo colpito da un fulmine sono completamente protetti dall‟involucro cavo costituito dalla fusoliera dell‟aereo. Sulla superficie del corpo poi le cariche si distribuiscono in modo uniforme se il corpo ha una forma regolare e senza spigoli, come per esempio una sfera. Se però il corpo ha una forma con curvature diverse, come ad esempio quello indicato nella Figura 59, le cariche si addensano nelle zone con curvatura maggiore. In particolare, se il corpo ha delle parti appuntite, come per esempio una forchetta, le cariche si addensano talmente sulle punte che tendono a sfuggire da esse per spostarsi su altri corpi che si trovino nelle vicinanze. Per chiarire meglio questo concetto ricordiamo che un corpo elettrizzato ha la caratteristica di attirare o respingere altre cariche elettriche con una forza che, per la legge di Coulomb, è tanto maggiore quanto maggiore è la carica del corpo e quanto minore è la distanza a cui si trovano le altre cariche. Il corpo cioè crea intorno a sé una zona di influenza, “un campo elettrico”, tanto più intenso quanto più alta è la quantità di elettricità presente sul corpo e la cui intensità si attenua man mano che ci si allontana da esso. È un fenomeno simile a quello della gravità terrestre: in questo caso (Figura 60) è la Terra che crea un “campo gravitazionale” (non elettrico) che si attenua man mano che ci si allontana da essa. Se in questo campo è presente un altro corpo, anche non elettrizzato, fra esso e la terra si crea una forza di attrazione: la forza di gravità che, a differenza di quella fra cariche elettriche, non è mai una forza di repulsione. Analogamente una carica elettrica crea intorno a sé un campo elettrostatico (figura 61) in cui un‟altra carica elettrica eventualmente presente viene attratta o respinta a seconda che sia di segno contrario o dello stesso segno. Le cariche, molto addensate su un corpo appuntito, tendono quindi a sfuggire facilmente dal corpo stesso se vengono a trovarsi nel campo elettrico creato da un corpo elettrizzato con cariche di segno opposto. Il potenziale La similitudine fra campo elettrico e campo gravitazionale cui abbiamo accennato nel paragrafo precedente si estende anche ad altri aspetti (Figura 62). Ricordiamo infatti che nel campo gravitazionale abbiamo introdotto il concetto di energia potenziale di una massa, m, tenuta ad una certa altezza, h, rispetto ad un riferimento, per esempio rispetto al suolo, dicendo che l‟energia potenziale posseduta da quella massa è uguale al lavoro necessario a spostarla dal suolo fino a quella posizione 20. Ricordiamo anche che questa energia rimane come intrappolata in quella massa e viene poi restituita come energia cinetica quando la massa, lasciata libera, si sposta dall‟altezza in cui si trovava ad un‟altezza minore 21. Analogamente una carica elettrica concentrata in un punto genera intorno a sé un campo elettrico in tutte le direzioni dello spazio. Se in un punto qualsiasi del campo si pone una carica elettrica dello stesso segno, molto piccola rispetto a quella che ha generato il 20 Il lavoro è uguale al prodotto di una forza per lo spostamento lungo la sua retta d‟azione. Nel caso in esame la forza che agisce sulla massa è il peso (P=mg) per cui il lavoro è L=Ph. 21 Come punto di riferimento dell‟energia potenziale si sceglie solitamente il suolo, ma al suolo l‟energia potenziale non è nulla in assoluto. Se ci fosse un pozzo la massa continuerebbe a cadere al limite fino al centro della terra dove, infatti, si considera concentrata l‟origine del campo gravitazionale terrestre. 63 Disposizione delle cariche + +++ + +++ + + ++ + + + ++ + + + + + + + + + + + + + + + Figura 59 Il campo gravitazionale Figura 60 64 Il campo elettrostatico + + ++ + + + + + + Figura 61 Potenziale elettrico ∞ Epg = mgh Epe = qV V=0 V P=mg + h h=0 q − + + + + + + + C Figura 62 65 campo22, su di essa agisce una forza che tende a spingerla, al limite, fino all‟infinito. Continuando nell‟analogia fra campo elettrico e campo gravitazionale quindi la carica corrisponde alla massa23, la forza che agisce su di essa corrisponde al peso e la posizione della carica rispetto all‟infinito corrisponde all‟altezza rispetto al centro della terra e si chiama “potenziale elettrico” del campo nel punto considerato. Il lavoro che una forza esterna dovrebbe compiere per portare la carica dall‟infinito fino a quella posizione è l‟energia potenziale che la forza generata dal campo elettrico può rendere se la carica, libera di muoversi, viene spinta fino all‟infinito. Nella pratica il potenziale elettrico assoluto come lo abbiamo definito non interessa, così come, sempre nella pratica, non interessa l‟altezza di un corpo rispetto al centro della terra. Si parla quindi in genere di differenza di potenziale fra due punti di un campo elettrico e si definisce la differenza di potenziale come il lavoro necessario per spostare una carica unitaria dall‟uno all‟altro dei due punti. Espressa in termini matematici questa definizione si traduce nell‟espressione: dove V è la differenza di potenziale fra i due punti, L il lavoro e q la carica. Anche per il campo elettrico si assume la terra come punto di riferimento a cui si assegna convenzionalmente un potenziale uguale a zero. Come abbiamo già avuto modo di accennare una differenza sostanziale fra campo gravitazionale e campo elettrico è che nel primo le forze che agiscono sulle masse sono sempre di tipo attrattivo, mentre nel campo elettrico le forze possono essere attrattive o repulsive a seconda che nel campo si trovi una carica di segno opposto o uguale a quello della carica che lo ha generato. La differenza di potenziale si misura in “Volt” che si definisce come “la differenza di potenziale esistente fra due punti quando per far passare una carica di 1 coulomb dall‟uno all‟altro occorre impiegare il lavoro di 1 joule” 24. Il Volt è una misura della cui entità abbiamo una certa dimestichezza; sappiamo infatti che il potenziale delle pile più comuni è 1,5 Volt, quello dell‟elettricità delle nostre case è di 220 Volt, quello della batteria della nostra macchina è 12 Volt ecc. e conosciamo anche la diversa pericolosità di queste grandezze. È forse opportuno precisare che questi valori sono differenze di potenziale rispetto alla terra il cui potenziale è assunto uguale a zero. Capacità elettrica La parola capacità, in fisica, indica la capienza di un corpo a contenere qualcosa. Come sintetizzato nella Figura 63, usata da sola significa volume, cioè capienza a contenere un fluido, capacità termica indica la capienza a contenere calore, “capacità elettrica” significa capienza di un corpo isolato (cioè a sé stante) a contenere cariche elettriche. 22 Così come è piccola rispetto alla terra la massa m. Come si era già notato nella formula che esprime la legge di Coulomb 24 Ovviamente se la carica passa da un punto a potenziale maggiore ad uno a potenziale minore il lavoro è reso non impiegato. 23 66 E così come in un recipiente in cui si versa del liquido aumenta il livello e in un corpo in cui si versa del calore sale la temperatura, in un corpo isolato in cui si aggiungono cariche elettriche aumenta il potenziale o la “differenza di potenziale” rispetto ad un riferimento (indicata, in genere, con l‟acronimo ddp). Proseguendo nell‟analogia, così come l‟altezza a cui giunge il liquido dipende dalla quantità di liquido e dalla forma del recipiente e l‟aumento della temperatura dipende dalla quantità di calore e dal materiale di cui è fatto il corpo, l‟aumento della ddp dipende dalla quantità di carica e dalla forma del corpo. Da quanto detto appare chiaro che la quantità di carica che un corpo contiene è direttamente proporzionale alla sua capacità elettrica e alla ddp del corpo. Detta dunque C la capacità, q la carica e V la ddp, la relazione che lega queste grandezze è: La capacità di un conduttore si misura in “farad”, indicata col simbolo F e rappresenta la capacità di un conduttore in cui la carica di 1 coulomb produce un aumento della ddp di 1 Volt. Ricordiamo che quando abbiamo definito il coulomb abbiamo evidenziato che 1 coulomb rappresenta una carica molto grande quindi, dalla definizione appena data, si deduce che anche 1 farad è una capacità molto grande. Nella pratica comune infatti, così come per il coulomb, si usano dei sottomultipli di questa grandezza che sono il “microfarad” , simbolo μF, uguale a un milionesimo di F, il “nanofarad”, simbolo nF, uguale a un miliardesimo di F, e il “picofarad”, simbolo pF, uguale a un bilionesimo di F25. La capacità elettrica di un conduttore a sé stante è generalmente molto piccola anche se il conduttore ha dimensioni ragguardevoli. Se però ad un conduttore P1, carico per esempio positivamente, Figura 64, se ne affianca un altro scarico P2, quest‟ultimo si carica per induzione e dispone le sue cariche negative sulla faccia prospiciente a P 1 e le positive sulla faccia opposta. La vicinanza delle cariche negative fa diminuire il potenziale di P1 e quindi fa aumentare la sua capacità C, come si ricava, oltre che intuitivamente, dalla formula . Questo effetto diventa ancora maggiore se la faccia di P 2 opposta a P1 viene collegata a terra in modo da scaricare le cariche positive lasciando su di esso solo le cariche negative. Un dispositivo come quello illustrato si chiama condensatore. Esso è costituito da due piastre P1 e P2 affacciate (le armature) fra le quali normalmente è inserito una sostanza isolante (il dielettrico). Se A è la superficie delle piastre e d la loro distanza, la capacità del condensatore è tanto maggiore quanto maggiore è la superficie delle piastre e quanto minore è la loro distanza e dipende anche dal tipo di sostanza che viene usata come dielettrico. Si dimostra e si verifica sperimentalmente che la capacità del condensatore è data da: in cui ε è una costante che dipende unicamente dalla natura del dielettrico 26. I condensatori sono molto usati nelle apparecchiature elettriche dove hanno in generale 25 μF = 10-6 F; nF = 10-9 F; pF = 10-12 F ε = 1 per il vuoto, circa uguale ad 1 per l‟aria e per i gas, sempre maggiore di 1 per tutte le altre sostanze fino al valore di qualche centinaio per alcuni cristalli. 26 67 una funzione di volano o di ammortizzatore. Essi cioè assorbono le cariche quando nel circuito ce n‟è un eccesso e le restituiscono lentamente al circuito durante il funzionamento normale. Possono avere la forma di un cilindro, quando le piastre ed il relativo dielettrico sono arrotolate su loro stesse. Inoltre la loro capacità può essere resa variabile rendendo le piastre scorrevoli l‟una rispetto all‟altra in modo da poter variare la superficie interfacciata. 68 Capacità Livello Volume Fluido Pressione Capacità = capienza Termica Calore Temperatura Elettrica Cariche Potenziale Figura 63 Il condensatore P1 + + + + + + + + + + + − − − − − − − − − − − + + + + + + + + + + + P2 armature d simbolo dielettrico Figura 64 69 Capitolo 5 - Elettrodinamica Generalità Abbiamo visto finora i primi risultati degli studi e delle ricerche sui fenomeni elettrici che, dopo secoli di assoluta noncuranza, hanno portato nell‟arco di circa centocinquanta anni a stabilire e verificare le teorie dell‟elettrostatica, relative cioè a cariche ferme o dotate di movimenti piccoli o discontinui. Fu solo verso la fine del secolo XVIII che alcuni fenomeni osservati e studiati da Galvani27 e Volta28 permisero di passare dall‟elettrostatica all‟elettrodinamica cioè ai fenomeni relativi alle cariche elettriche dotate di movimenti continui e regolari. Galvani, professore di anatomia, aveva notato che i muscoli di una rana subivano delle contrazioni se erano messe in contatto con un circuito metallico e ciò avveniva quando le estremità del circuito venivano chiuse. La conclusione a cui giunse fu che il fenomeno fosse di natura elettrica e che questa elettricità fosse appunto generata dall‟organismo della rana. L‟idea che ci fosse una fonte animale di elettricità era suffragata anche dalla conoscenza che alcuni pesci erano in grado di provocare delle scosse elettriche ad altri organismi con cui venivano a contatto e Alessandro Volta, che riprese ed approfondì le ricerche di Galvani, ne era inizialmente convinto anche lui. Proseguendo nella ricerca però, Volta cambiò opinione perché gli apparve sempre più evidente che l‟origine dell‟elettricità non era il corpo della rana ma il contatto di metalli diversi di cui era costituito il circuito e che il muscolo della rana non era altro che uno strumento che evidenziava, contraendosi, il piccolo movimento di cariche, ossia la debole corrente elettrica, generata dal contatto dei due metalli (Figura 65). Naturalmente Galvani restò del suo parere e la diatriba fra i due scienziati e fra i loro seguaci fu aspra, ma Volta, affinando sempre più sia teoricamente che sperimentalmente la sua teoria, riuscì a produrre un “elettromotore” cioè un dispositivo capace di produrre con continuità cariche elettriche che potevano circolare in modo continuo in un circuito. Era la “pila di Volta” e la “corrente continua”. Una scoperta che avrebbe rivoluzionato non solo la Fisica ma anche la Chimica creando delle corrispondenze fra queste due materie considerate, fino a quel momento, assolutamente distinte. Nel settore elettrico, il movimento delle cariche che fino a quel momento si era manifestato solo come “scarica elettrica” diventa “corrente elettrica”, fenomeno anche intenso ma transitorio il primo (per esempio il fulmine), continuo e regolare il secondo. 27 28 Luigi Galvani (1737-98) anatomista italiano Alessandro Volta (1745-1827) fisico italiano 70 La pila di Volta Il contatto di due metalli diversi genera fra loro un ΔV Il ΔV dipende da natura dei metalli e dalla temperatura Soluzione acida interposta e reazioni chimiche Energia chimica sostiene il acido rame zinco flusso degli elettroni Corrente continua possibile in un circuito esterno Figura 65 La corrente continua ΔV A − + G Figura 66 71 B La corrente elettrica Una scarica elettrica si verifica fra due corpi, elettrizzati con cariche di segno diverso, messi a contatto tramite un conduttore o portati a meno di una certa distanza l‟uno dall‟altro. Alla fine della scarica i due corpi non sono più elettrizzati o, almeno, non sono più elettrizzati in modo diverso. Ciò significa che la scarica è un trasferimento rapido di cariche dall‟uno all‟altro corpo. Per convenzione si assume che le cariche passino dal corpo elettrizzato positivamente a quello elettrizzato negativamente, cioè che siano le cariche positive a muoversi 29. Una corrente elettrica si verifica invece fra due corpi, elettrizzati con segno diverso, fra i quali quindi esiste una differenza di potenziale V, messi a contatto tramite un conduttore, ma collegati anche ad un “generatore”30, come ad esempio i due corpi A e B della Figura 66. In questo caso le cariche che passano dal corpo A al corpo B sono riportate sul corpo A dal generatore G. Per chiarire meglio l‟azione del generatore ricorriamo alla solita analogia della corrente elettrica con la corrente di un liquido. Fra i due corpi A e B esiste una differenza di potenziale dovuta al fatto che A è carico positivamente e B negativamente. È come se A fosse un recipiente pieno di liquido che si trova in una posizione più elevata, rispetto ad un altro recipiente B (Figura 67). Quando si collega A con B con un tubo, il liquido scorre spontaneamente da A verso B e questo movimento cessa quando in A non c‟è più liquido. Ma se con una pompa G prendiamo il liquido da B e lo riportiamo in A, il liquido continua a fluire finché non si ferma la pompa. Il generatore è quindi assimilabile ad una pompa: la pompa fornisce l‟energia necessaria per portare il liquido dal livello di B al livello di A, il generatore fornisce l‟energia per portare le cariche dal potenziale più basso di B al potenziale più alto di A. I generatori possono essere di vario tipo e alcuni di essi sono molto familiari: la pila, la batteria delle automobili, la dinamo delle biciclette. Vedremo più avanti da dove a loro volta i generatori attingono l‟energia impiegata per generare la corrente elettrica. Analizziamo ora un po‟ più da vicino la corrente che si genera nel circuito elettrico che abbiamo esaminato ed in particolare da che cosa dipende la quantità delle cariche che passano dal conduttore A al conduttore B. Intensità di corrente Continuiamo nell‟analogia con i liquidi (Figura 68). Per i liquidi si definisce “portata” la quantità di liquido che passa attraverso una sezione del tubo nell‟unità di tempo; per l‟elettricità si definisce “intensità di corrente” la quantità di carica elettrica che passa attraverso la sezione di un conduttore nell‟unità di tempo, quindi: 29 Questa convenzione, introdotta all‟epoca dell‟inizio degli studi sull‟elettricità, è mantenuta tuttora nonostante l‟attuale convincimento che siano le cariche negative a muoversi. 30 Per esempio ad una pila. 72 Corrente di liquido A Δh pompa B Figura 67 Analogia correnti liquida e elettrica + − Portata liquido Intensità di corrente Differenza altezza Differenza di potenziale Attrito Resistenza Diametro del tubo Sezione del conduttore Lunghezza del tubo Lunghezza del conduttore Figura 68 73 L‟unità di misura di questa grandezza si chiama “ampere” 31 (simbolo A) ed è l‟intensità di una corrente in un circuito in cui passa la carica di 1 coulomb in 1 secondo. La portata di liquido fra due recipienti posti ad altezze diverse dipende dalla differenza dell‟altezza cui sono posti i due recipienti (maggiore è la differenza di altezza maggiore è la portata) e dall‟attrito o resistenza che il liquido incontra nel fluire attraverso il tubo (maggiore è la resistenza minore è la portata). In sintesi la portata è direttamente proporzionale alla differenza di altezza e inversamente proporzionale alla resistenza. Per la corrente elettrica il fenomeno è analogo, cioè l‟intensità di corrente in un circuito è direttamente proporzionale alla ddp V fra gli estremi del circuito e inversamente proporzionale alla resistenza R che il circuito esercita contro il flusso elettrico: Questo enunciato prende il nome di “prima legge di Ohm” 32, dal fisico tedesco che la ricavò come risultato dei suoi esperimenti. La resistenza elettrica è molto simile alla resistenza meccanica che un corpo, solido o fluido, incontra quando si muove strisciando su delle superfici. Il movimento delle cariche è anch‟esso un movimento di corpuscoli infinitesimi (gli elettroni) che nel loro movimento attraverso le molecole di altri corpi strisciano o urtano e sono ostacolati. È dunque evidente che la resistenza di un conduttore dipende non solo dal materiale del conduttore (più o meno compatto, a struttura molecolare più o meno ordinata ecc.), ma anche dalla lunghezza l del conduttore (percorso più o meno lungo) e dalla sua sezione (percorso più o meno largo) ed è altrettanto chiaro che è direttamente proporzionale alla lunghezza ed inversamente proporzionale alla sezione S del conduttore (“seconda legge di Ohm): in cui ρ (lettera greca che si legge ro) si chiama “resistività” e dipende dal materiale di cui è fatto il conduttore. L‟unità di misura della resistenza si chiama “ohm” e si indica col simbolo Ω (lettera greca che si legge omega) e rappresenta la resistenza di un circuito in cui la ddp di 1Volt produce una corrente di intensità di 1 Ampère. La resistività dei conduttori (o il suo inverso che si chiama “conducibilità”) è un elemento molto importante nella progettazione dei circuiti elettrici. Hanno generalmente bassa resistività i metalli e, fra questi, particolarmente l‟oro, l‟argento e il rame ed è per questa ragione che i cavi elettrici sono normalmente fatti di rame (l‟oro e l‟argento sarebbero migliori, ma il loro costo è molto più elevato). Hanno invece alta resistività la porcellana, la paraffina l‟ebanite ecc. che vengono normalmente utilizzati come materiali isolanti. 31 32 André-Marie Ampère (1775-1836) fisico e matematico francese George Simon Ohm (1787-1854) fisico tedesco 74 Effetti della corrente Quando la corrente elettrica circola attraverso varie sostanze produce effetti diversi a seconda che queste siano solide, liquide o gassose (Figura 69). Con il passaggio di corrente attraverso i conduttori solidi si verificano due fenomeni diversi e non correlati fra loro: la produzione di calore (effetto Joule) e la generazione di un campo magnetico. Il passaggio di corrente attraverso alcuni liquidi produce delle trasformazioni chimiche nelle sostanze disciolte e nei liquidi stessi. Il passaggio di corrente attraverso sostanze gassose produce infine fenomeni radiativi molto diversi a seconda della pressione a cui si trova il gas. Esamineremo ora, brevemente, tali effetti. Effetto Joule Abbiamo visto nella meccanica che l‟attrito fra due corpi produce calore, o meglio che l‟energia dei corpi in movimento si trasforma in energia termica e i corpi si fermano. Le cariche in movimento non sfuggono a questa legge. Infatti, come abbiamo già detto, la corrente è fatta di elettroni in movimento e gli elettroni sono dei corpi, anche se piccolissimi, che incontrano una resistenza simile a quella dell‟attrito. Anche la loro energia di movimento si trasforma quindi in calore. Questo fenomeno ci è ben noto. La trasformazione dell‟energia elettrica in energia termica è un processo che sfruttiamo nelle nostre case per due scopi diversi, il riscaldamento attraverso le stufe, i forni e i fornelli, e l‟illuminazione attraverso le lampade. In una lampada ad incandescenza in particolare avvengono due trasformazioni energetiche: l‟energia elettrica si trasforma in energia termica e porta un filamento ad una temperatura molto alta (circa 2500°C), temperatura alla quale il filamento diventa incandescente cioè trasforma l‟energia elettrica in energia elettromagnetica: la luce. A volte però il fenomeno della trasformazione dell‟energia elettrica in calore è indesiderato, come, per esempio, nel trasporto dell‟energia elettrica dalla produzione al consumo. Lungo i cavi della linea elettrica infatti una parte dell‟energia si trasforma in calore che si riversa nell‟ambiente senza poter essere utilizzato. È per questa ragione che i cavi sono costruiti con materiali a bassa resistenza, come il rame. La trasformazione dell‟energia elettrica in calore fu studiata da Joule nelle sue ricerche sull‟energia che già lo avevano portato a scoprire l‟equivalenza fra lavoro meccanico ed energia termica. Per questa ragione questo fenomeno prende il nome di “effetto Joule”. Dai numerosi esperimenti effettuati Joule trovò anche la relazione, nota come “legge di Joule”, fra il calore prodotto ed i parametri elettrici della corrente: in cui Q è la quantità di calore prodotto, R la resistenza del conduttore, i l‟intensità della corrente e j un coefficiente che dipende dalle unità di misura adottate. La relazione mostra che la quantità di calore prodotta è direttamente proporzionale alla resistenza del circuito, al quadrato dell‟intensità della corrente e al tempo in cui vi circola. 75 La corrente nei liquidi Non tutti i liquidi sono conduttori e quindi non sempre attraverso i liquidi circolano correnti elettriche se si inducono differenze di potenziale fra due punti diversi della massa liquida. Ciò avviene, per esempio, per l‟acqua distillata che non è un conduttore di elettricità e attraverso di essa la corrente non riesce a circolare. Se però nell‟acqua sono disciolte alcune sostanze che rientrano nelle categorie chimiche chiamate “sali” o “acidi” o “basi” (o genericamente “elettroliti” 33) la soluzione liquida diventa conduttrice e si lascia attraversare dalla corrente elettrica. È bene tener presente a questo proposito che l‟acqua, anche quella che beviamo, contiene normalmente dei sali disciolti in quantità sufficienti a renderla conduttrice e quindi potenzialmente pericolosa se viene a contatto con apparecchiature in cui circola corrente elettrica. Quando gli elettroliti sono disciolti in acqua, la loro molecola subisce una scissione in due tronconi di cui uno è carico positivamente e l‟altro negativamente. Questi tronconi si chiamano “ioni” e il fenomeno è chiamato “dissociazione elettrolitica”. Quando fra due punti della soluzione si instaura una differenza di potenziale, cioè si crea un polo positivo ed uno negativo, il troncone positivo viene attratto dal polo negativo dove trova abbondanza di elettroni, ne acquisisce uno e si neutralizza, lo ione negativo viene attratto dal polo positivo dove cede un elettrone e si neutralizza. Il risultato complessivo è che un elettrone è passato dal polo negativo al polo positivo che, in altri termini, non è altro che il passaggio di corrente attraverso la soluzione 34. A questo fenomeno elettrico si associano fenomeni chimici sui quali non ci addentriamo, ma ci limitiamo ad accennare che le reazioni che avvengono in concomitanza con il passaggio della corrente hanno reso possibili numerose applicazioni pratiche quali, ad esempio, la produzione di idrogeno ed ossigeno ed altri elementi chimici, la purificazione dei metalli, la ricopertura di alcuni metalli con sottilissimi strati di altri (argentatura, doratura, cromatura ecc.). La corrente nei gas Gli effetti del passaggio della corrente elettrica nei gas sono diversi a seconda della pressione cui si trova il gas. Nei gas a pressione atmosferica, in particolare nell‟aria, il passaggio di corrente si verifica quando fra due conduttori esiste un‟elevata differenza di potenziale e consiste in un rapido passaggio di cariche dall‟uno all‟altro conduttore che prende il nome di scarica elettrica e di cui abbiamo già avuto modo di parlare. La quantità di energia che la scarica trasporta è molto elevata e la sua rapida trasformazione in calore ed in radiazioni luminose si manifesta visivamente come una scintilla o, se con un generatore esterno si mantiene la differenza di potenziale fra i due conduttori, come una serie di scintille che si susseguono. L‟intenso calore che si sviluppa può essere utilizzato in alcune applicazioni chimiche, sulle quali non ci dilunghiamo, oppure per innescare l‟accensione di gas come, per esempio, nei fornelli a gas o negli scaldabagni comunemente presenti nelle nostre case. 33 Si tratta di molte sostanze di uso comune, per esempio il sale da cucina, l‟aceto o la soda caustica. Ricordiamo che, per convenzione, si considera che la corrente elettrica si muova nell‟altro verso, ma abbiamo già detto che in realtà il verso è quello appena descritto, perché la corrente è un moto di elettroni che vanno dal polo negativo al positivo. 34 76 Quando la pressione del gas presente fra i due conduttori elettrizzati35 è minore di quella atmosferica (circa un centesimo della pressione atmosferica) si verificano dei fenomeni diversi. Per ridurre la pressione del gas fra gli elettrodi bisogna che questi siano contenuti in un recipiente chiuso in cui si possa ridurre la pressione con una pompa a vuoto e, per studiare i fenomeni, i recipienti usati sono di vetro. Se dunque fra due elettrodi contenuti in un tubo di vetro a pressione ridotta si stabilisce una differenza di potenziale abbastanza elevata (qualche migliaio di Volt) dal catodo si staccano degli elettroni che si dirigono verso l‟anodo a velocità molto elevata e quindi con una grande energia cinetica. Se nel loro percorso urtano un atomo del gas rarefatto presente nel tubo riescono a strappargli un elettrone ionizzandolo, cioè rendendolo non più neutro elettricamente. Gli ioni, che così si formano, sono anch‟essi accelerati dalla presenza del campo elettrico e quindi aumenta l‟intensità della corrente che circola fra i due elettrodi e la quantità di nuovi ioni che si formano. Ciò si manifesta visivamente con un diffuso bagliore che si instaura all‟interno del tubo e che assume colori diversi a seconda del gas contenuto. Le applicazioni più note di questo fenomeno sono i tubi luminosi cosiddetti “al neon” e, più di recente, le lampade a basso consumo ed alta luminosità introdotte per il contenimento dei consumi energetici. Se poi la pressione diventa ancora più bassa (fra un millesimo e un decimillesimo della pressione atmosferica) gli elettroni continuano ad essere emessi dal catodo, ma non essendovi più molti atomi di gas nel tubo il fenomeno della ionizzazione cessa quasi del tutto e così anche il bagliore descritto sopra. Ma la presenza di questo flusso di elettroni si manifesta visivamente perché rende fluorescente la parete di vetro che si trova dietro all‟anodo. Sono i raggi catodici. Su questi e su fenomeni analoghi come l‟effetto termoelettrico ed i raggi X non ci soffermiamo ulteriormente perché ci porterebbero fuori dai limiti di questa trattazione. Effetto magnetico Uno degli effetti più importanti della circolazione della corrente elettrica è la generazione di campi magnetici. Dei campi magnetici ed in generale del magnetismo non abbiamo ancora parlato, ma per il momento basta sapere che una bussola è una leggerissima calamita a forma di losanga incernierata nel suo baricentro. In qualsiasi punto della terra la bussola, ruota intorno al suo baricentro fino a rivolgere uno dei suoi poli verso il nord terrestre. Se in prossimità di una bussola si dispone un filo in una posizione sghemba rispetto alla losanga (Figura 70) e nel filo si fa circolare una corrente, la bussola ruota fino a portarsi in una posizione perpendicolare al filo. Se poi nel filo si fa circolare una corrente nel verso opposto della precedente, la bussola ruota nel verso opposto disponendosi ancora in una posizione perpendicolare al filo. Poiché la bussola o, in generale, una calamita in assenza di altre forze cambia direzione solo sotto l‟azione di un campo magnetico, risulta evidente che il passaggio della corrente attraverso il filo ha generato un campo magnetico che ha modificato la posizione della bussola. Prima di procedere è dunque opportuno dare qualche nozione sul magnetismo e sui campi magnetici. 35 I due conduttori elettrizzati si chiamano più propriamente “elettrodi” e, più precisamente, “anodo” quello positivo e “catodo” quello negativo. 77 Effetti della corrente Calore Nei solidi Magnetismo Passaggio di corrente Nei liquidi Chimico Nei gas Radiazioni Figura 69 Corrente elettrica-Effetto magnetico N − − + S N S S Figura 70 78 + N Capitolo 6 - Magnetismo ed elettromagnetismo Magnetismo Esistono in natura alcuni materiali che hanno una caratteristica particolare, cioè sono capaci di attrarre il ferro. Queste sostanze si chiamano “calamite” o “magneti naturali”. Ci sono poi altri materiali che, posti nelle vicinanze di una calamita, acquistano le caratteristiche di calamita ma le perdono quando sono allontanati. Queste sostanze si chiamano “magneti temporanei”. Ci sono inoltre altri materiali che, posti nelle vicinanze di una calamita o sottoposti a dei procedimenti particolari, acquistano le caratteristiche di una calamita in modo permanente. Queste sostanze si chiamano “magneti artificiali permanenti”. Altri materiali infine non subiscono alcun mutamento quando si trovano in prossimità di una calamita. Oltre alla caratteristica di attrarre il ferro, le calamite mostrano un altro comportamento particolare e cioè due calamite, poste l‟una in vicinanza dell‟altra, si attraggono o si respingono a seconda della posizione reciproca in cui vengono collocate. I due comportamenti sopra descritti indicano chiaramente che una calamita crea intorno a sé uno spazio in cui si risentono gli effetti della sua presenza, cioè un campo d‟azione chiamato “campo magnetico” una calamita è formata da due poli distinti, denominati “Nord” e “Sud”, e si verifica sperimentalmente che poli dello stesso tipo si respingono mentre poli di tipo diverso si attraggono Un campo magnetico quindi ha un comportamento molto simile a quello di un campo elettrico e abbastanza simile al campo gravitazionale terrestre. In questi campi la presenza di alcune entità, della stessa natura ma distinte da quella che ha generato il campo, fa insorgere delle forze che agiscono su di esse attraendole o respingendole 36. Il comportamento di una bussola è appunto di questo tipo. La bussola è una piccola calamita che in qualsiasi punto del globo terrestre si trova immersa nel campo magnetico di una grandissima calamita naturale, che è la Terra stessa. Non è, ancora oggi, molto chiaro perché la Terra si comporti come una calamita, ma è invece evidente che intorno alla Terra esiste un campo magnetico come quello che genererebbe una calamita posta con i due poli in prossimità dei poli geografici. Sotto l‟azione di questo campo la bussola, che è appoggiata in modo da poter ruotare liberamente, si orienta disponendo i suoi poli nella direzione Nord-Sud terrestri, cioè si orienta lungo un meridiano 37. 36 Per il campo gravitazionale generato da una massa l‟azione verso un‟altra massa è solo di attrazione. In realtà l‟orientamento non è esattamente lungo un meridiano, ma non è qui il caso di entrare in questi dettagli. 37 79 Un‟ultima peculiarità di una calamita che vogliamo menzionare è che i suoi due poli sono inseparabili per cui se si spezza in due parti una calamita si ottengono due calamite, ciascuna con i suoi poli Nord e Sud. Una calamità può avere una forma qualsiasi ed il campo magnetico che genera nello spazio dipende proprio dalla forma della calamita. Le forme più diffuse sono quella di un parallelepipedo con un lato molto lungo e quella di un ferro di cavallo (Figura 71). Quest‟ultima, in particolare, crea un campo magnetico molto regolare fra le due estremità del ferro di cavallo, cioè le cosiddette “linee di forza” del campo, che sono le direzioni lungo le quali si esercitano le forze sui corpi presenti nel campo, sono linee diritte e parallele fra loro che si incurvano invece nelle zone esterne alle due estremità. Se fra le due estremità si inserisce una leggera calamita, libera di ruotare intorno al suo baricentro, sui suoi poli agiscono due forze con la direzione delle linee di forza ma di verso contrario che la fanno ruotare fino a quando essa si dispone col suo asse lungo la direzione delle linee di forza stesse. Campo elettromagnetico Torniamo ora all‟effetto magnetico della corrente elettrica che passa attraverso un conduttore. Come si è detto, il fatto che un ago magnetico posto in prossimità del filo ruota disponendosi perpendicolarmente al filo, con uno dei suoi poli rivolto in un senso o nell‟altro a seconda del verso della corrente, dimostra che il passaggio della corrente ha generato un campo magnetico analogo a quello che potrebbe generare una calamita di forma molto allungata disposta parallelamente all‟ago e con i poli orientati in un verso o nell‟altro in funzione del verso della corrente (Figura 71). Si può poi sperimentalmente verificare che l‟intensità del campo magnetico è tanto maggiore quanto maggiore è l‟intensità della corrente e, più precisamente che è direttamente proporzionale all‟intensità della corrente. Per questa ragione, se si hanno due fili paralleli in cui circola una corrente di uguale intensità ma di verso contrario (Figura 72) il campo magnetico nella zona compresa fra i due fili è somma dei campi magnetici generati da ciascun filo 38 ed ha quindi un‟intensità doppia del campo generato da ciascun filo. Quindi se i due fili sono parte di un circuito formato da un cavo ascendente, uno orizzontale e uno discendente, cioè è una spira, l‟intensità del campo magnetico all‟interno della spira è doppio di quello esterno. Inoltre se il circuito è fatto in modo da costituire due spire, l‟intensità del campo magnetico all‟interno delle due spire è il doppio dell‟intensità del campo di una sola spira 39. Se le spire sono ancora più numerose il campo magnetico interno è tante volte maggiore di quello di una spira quanto è il numero di spire formate dal circuito. Un circuito elettrico fatto da una serie di spire circolari poste ad uguale distanza l‟una dall‟altra si chiama “solenoide” (Figura 73). Il campo magnetico all‟interno del solenoide, come somma di una serie di campi magnetici consecutivi, diventa regolare cioè le sue linee di forza diventano rettilinee e disposte lungo l‟asse del solenoide e questo si comporta come una calamita con i poli Nord e Sud situati alle due estremità, da una parte o dall‟altra in funzione della direzione della corrente. 38 È facile verificare dal disegno rappresentativo dei campi che fra i due fili paralleli il campo magnetico ha lo stesso verso pur avendo uno dei campi il verso orario e l‟altro il verso antiorario. 39 Ed è ovviamente il quadruplo del campo generato da un solo filo. 80 Campo magnetico N S N S N S Figura 71 Circuito a spira Figura 72 81 L‟intensità del campo magnetico dipende inoltre dalla natura del mezzo in cui si genera. Finora abbiamo tacitamente assunto che esso si formi nell‟aria, ma se le spire di un solenoide sono avvolte intorno ad un oggetto, per esempio un cilindro pieno, il campo si forma all‟interno del materiale del cilindro. L‟effetto che si ottiene con alcuni materiali è molto rilevante nel senso che il campo magnetico, a parità di intensità di corrente, diventa molto più forte che nell‟aria. Ad esempio con un cilindro di ferro il campo magnetico diventa circa 7.000 volte più forte e con alcune leghe ferro-nichel può arrivare fino a 100.000 volte. Un solenoide avvolto intorno ad un‟anima di ferro dolce si chiama “elettrocalamita” e ha il vantaggio, rispetto ad una calamita normale, di funzionare come calamita quando nel conduttore passa corrente, ma di perdere completamente il suo magnetismo quando la corrente non circola. È proprio su questo principio che si basano alcune applicazioni pratiche come una suoneria elettrica o il telegrafo (Figura 74). Nel caso del campanello la chiusura del pulsante attiva l‟elettrocalamita che attira a se un‟ancoretta che termina con una pallina d‟acciaio che va a percuotere la campana. Contemporaneamente però lo spostamento dell‟ancoretta apre il circuito e la corrente cessa di circolare nell‟elettrocalamita. L‟ancoretta allora non è più attratta e viene richiamata da una molla nella sua posizione precedente dove richiude il circuito. Il ciclo si ripete fino a che non si solleva il dito dal pulsante del campanello riaprendo così definitivamente il circuito elettrico. In modo analogo funziona il telegrafo. In questo caso un‟ancoretta viene attratta dalla elettrocalamita per tutto il tempo in cui il pulsante che chiude il circuito viene tenuto chiuso. L‟ancoretta termina con una punta che scrive su un foglio di carta scorrevole su un supporto lasciando il segno di un punto per chiusure brevi e di una linea per chiusure leggermente più lunghe (alfabeto Morse). Il pulsante può trovarsi anche a molta distanza dall‟ancoretta e ciò permette di trasmettere questi segnali fra località lontane. Induzione elettromagnetica Consideriamo un circuito chiuso (Figura 75), formato da una o più spire, in cui sia inserito un “galvanometro”, cioè uno strumento che indica l‟eventuale passaggio di una corrente, il verso in cui circola e la misura della sua intensità. In condizioni normali nel circuito non circola corrente. Se avviciniamo a tale circuito una calamita lo strumento indica il passaggio di una corrente che si manifesta durante il movimento ma cessa quando la calamita si ferma. Il verso in cui circola la corrente è opposto se allontaniamo la calamita rispetto al circuito. Lo stesso fenomeno si ripete se si tiene ferma la calamita e si allontana o si avvicina ad essa il circuito. L‟intensità della corrente è tanto maggiore quanto maggiore è la velocità del movimento relativo fra calamita e circuito. Se anziché una calamita si usa un‟elettrocalamita si nota che nel circuito precedente passa una corrente, non solo se l‟elettrocalamita viene allontanata o avvicinata, ma anche quando l‟elettrocalamita viene eccitata o diseccitata o quando si fa variare l‟intensità del suo campo magnetico variando l‟intensità della corrente nel suo solenoide. Anche in questo caso l‟intensità della corrente generata nel circuito dipende dalla velocità con cui si è variata l‟intensità del campo magnetico. Questi esperimenti mostrano che le correnti che si generano in un circuito chiuso posto in un campo magnetico sono indotte dalle variazioni di intensità di tale campo provoca- 82 Solenoide - Elettromagnete S N N S Figura 73 Alcune applicazioni Il campanello Il telegrafo ~ ~ ~ ~ ~ Figura 74 83 ~ te da uno spostamento relativo fra campo e circuito o da qualsiasi altro fattore che modifichi l‟intensità del campo magnetico concatenato con il circuito. È questo il fenomeno della cosiddetta “induzione elettromagnetica” e le correnti così generate si chiamano “correnti indotte”. Possiamo definire meglio questo fenomeno se facciamo riferimento ad una grandezza che si chiama “flusso magnetico” attraverso la superficie di una spira. Se consideriamo le linee di forza di un campo magnetico che si irradiano nello spazio dal polo di una calamita (Figura 76) e una serie di spire poste in questo campo possiamo definire flusso magnetico concatenato con le spire le linee di forza che attraversano la superficie delle spire. Si può allora agevolmente notare che se si allontanano le spire dal polo della calamita diminuisce il flusso magnetico che attraversa le spire, mentre invece aumenta se le spire vengono avvicinate al polo della calamita. È proprio questa variazione di flusso che genera nelle spire la corrente indotta che fluisce in un verso quando il flusso aumenta e nell‟altro verso quando il flusso diminuisce. La scoperta di questo fenomeno ha avuto un‟influenza enorme sullo sviluppo dell‟utilizzo dell‟energia elettrica sia nel settore domestico che in quello industriale perché, come vedremo fra poco, ha permesso la trasformazione di qualsiasi forma di energia in elettricità, che è un‟energia molto più facile da distribuire ed utilizzare. La corrente alternata Consideriamo un campo magnetico fra le due facce di una crossa calamita a ferro di cavallo. Come abbiamo già avuto modo di constatare le linee di forza, che ora possiamo chiamare le linee di flusso di questo campo sono parallele fra loro (Figura 77). Disponiamo ora in questo campo una spira la cui superficie sia parallela alle linee di flusso. In questa posizione nessuna linea attraversa la superficie della spira, cioè il flusso nella spira è nullo. Facciamo ora ruotare la spira intorno ad un suo asse perpendicolare alle linee di flusso. Man mano che la spira ruota il flusso che attraversa la superficie della spira aumenta fin a quando, compiuto un quarto di giro, la superficie della spira è perpendicolare alle linee di flusso. In questa posizione il flusso che attraversa la spira è massimo 40. Continuando a far ruotare la spira, il flusso attraverso la sua superficie diminuisce fino a quando, compiuto un altro quarto di giro e quindi mezzo giro dall‟inizio, la superficie della spira è di nuovo parallela alle linee di flusso e quindi il flusso che l‟attraversa è di nuovo nullo. In questa posizione inoltre quella che inizialmente era la faccia superiore della spira è rivolta verso il basso e viceversa. Continuiamo a ruotare la spira per un quarto di giro. Il flusso che attraversa la spira aumenta nuovamente, ma ora entra dalla faccia opposta a quella da cui entrava nel primo quarto di giro. Esso diventa nuovamente massimo alla fine del quarto di giro e cioè a tre quarti dall‟inizio. Nell‟ultimo quarto di giro il flusso, entrante sempre dalla faccia opposta a quella iniziale, diminuisce nuovamente fino ad azzerarsi quando, compiuto l‟ultimo quarto di giro, la spira ritorna nella posizione iniziale. Da questo punto in poi il ciclo si ripete come descritto sopra. In tutto il ciclo c‟è dunque una variazione di flusso magnetico attraverso la spira. Questa 40 Per maggior chiarezza, nella parte inferiore della figura sono riportate le tre posizioni assunte dalla spira (leggermente rimpicciolita) nel primo quarto di giro. 84 Correnti indotte N S S N S Figura 75 Flusso magnetico S N Figura 76 85 N S N è quindi percorsa da una corrente che, secondo quanto descritto, ha un‟intensità crescente nel primo quarto di giro, decrescente fino ad azzerarsi nel secondo quarto, crescente nuovamente nel terzo quarto ma nel verso contrario e decrescente e sempre nel verso contrario nell‟ultimo quarto fino ad azzerarsi al ritorno nella posizione iniziale. Il ciclo si ripete così in tutte le fasi successive. Lo stesso andamento dell‟intensità si ha anche per la differenza di potenziale fra i due estremi della spira. Siamo quindi di fronte ad una corrente che non fluisce sempre nello stesso verso, e non è più costante nei suoi parametri, intensità e potenziale. È la “corrente alternata”. Se su un diagramma (Figura 78) si rappresenta l‟andamento di questi parametri in funzione del tempo (o dell‟angolo descritto dalla spira ruotante), si ha una curva che si chiama “sinusoide” che si ripete ad ogni giro della spira. La corrente alternata è quella che, per ragioni che vedremo fra poco, circola nelle nostre case. Il suo ciclo si ripete 50 volte al secondo, cioè la sua frequenza e 50 Hz e il suo potenziale medio, o “tensione efficace”, è 220 Volt. Generazione della corrente alternata La ricerca di una macchina capace di produrre energia elettrica, come si è visto, ha impegnato a lungo gli sforzi degli studiosi. La scoperta della pila fu il primo passo significativo in questa direzione. Essa aveva permesso la trasformazione di energia chimica in energia elettrica continua ma la potenza e la capacità dei generatori non andavano oltre certi limiti abbastanza modesti. L‟induzione elettromagnetica invece ha permesso di trasformare l‟energia meccanica di movimento in energia elettrica e, a sua volta, l‟energia meccanica di movimento può essere ottenuta per trasformazione di quasi tutte le altre forme di energia. Quindi si può dire che quasi ogni forma di energia può essere trasformata in energia elettrica alternata. La macchina che permette di realizzare questa trasformazione è “l‟alternatore” ed il suo funzionamento è essenzialmente quello descritto sopra per la spira rotante in un campo magnetico. In un alternatore, in generale, si preferisce mantenere ferma la spira e far ruotare il campo magnetico, ma l‟effetto è lo stesso perché la corrente indotta è generata dalla variazione del flusso magnetico attraverso la spira che è lo stesso sia che si muova l‟uno o l‟altro dei componenti in gioco. L‟energia che viene trasformata in energia elettrica è quella utilizzata per far girare l‟elemento rotante dell‟alternatore, il “rotore”, e le potenze in gioco possono raggiungere valori molto elevati. Ciò permette di concentrare la produzione dell‟energia in centrali molto grandi capaci di servire una grande pluralità di utenti con notevoli economie sui costi di produzione. Sorge però il problema della distribuzione di questa energia dalla produzione all‟utenza e ciò può avvenire soltanto collegando fisicamente con dei conduttori la produzione e l‟utenza. Il passaggio di corrente attraverso un conduttore genera calore (effetto Joule) il che significa che una parte dell‟energia elettrica durante il trasferimento si trasforma in calore e quindi va perduta. Ricordiamo che la quantità di calore prodotta per effetto Joule è proporzionale al quadrato dell‟intensità di corrente che circola nel conduttore, oltre che alla resistenza del conduttore. 86 La corrente alternata N S Figura 77 Intensità ( o ΔV) della corren nte Intensità o ΔV della corrente Figura 78 87 La resistenza dei conduttori può essere contenuta usando materiali ad alta conducibilità (rame, leghe di alluminio ecc.) e aumentando la sezione dei cavi, ma oltre certi limiti non si può andare. Bisogna quindi agire sull‟intensità della corrente e la riduzione dell‟intensità è molto efficace perché la dispersione di calore varia col quadrato dell‟intensità, ossia se si riduce a metà l‟intensità il calore diventa un quarto ecc. Per ridurre l‟intensità, i, senza ridurre la potenza trasferita, P, bisogna aumentare la tensione, V, perché, come sappiamo, la potenza è uguale al prodotto dell‟intensità per la tensione : P = V∙i Quindi, a parità di potenza trasmessa, se si aumenta la tensione di 10 volte l‟intensità della corrente si riduce di 10 volte ed il calore disperso si riduce di 100 volte. Con la corrente alternata la tensione può essere variata con un semplice apparecchio, il “trasformatore statico”. Il trasformatore statico L‟aggettivo statico attribuito al trasformatore sta ad indicare che si tratta di una macchina in cui non ci sono organi in movimento. Il trasformatore è infatti costituito da un nucleo di ferro dolce, a volte in forma di lamelle, intorno a cui sono avvolte due serie di spire distinte e isolate fra loro (Figura 79). Una delle due serie si chiama (circuito) “primario” l‟altra (circuito) “secondario”. Il numero delle spire delle due serie è diverso. Chiamiamo N1 quelle del primario e N2 quelle del secondario. Se il circuito primario è alimentato da una tensione alternata V 1 in esso circola una corrente alternata di intensità i1 che genera un flusso magnetico alternato nel nucleo di ferro dolce del trasformatore. Questo flusso si concatena con l‟avvolgimento secondario e induce in esso una corrente alternata V2 diversa da V1. La tensione indotta è legata a quella del circuito primario dalla relazione Ciò significa che se le spire del secondario, N2, sono più numerose di quelle del primario, N1, la tensione del secondario è maggiore di quella del primario, se meno numerose è inferiore. Un trasformatore cioè fa aumentare o diminuire la tensione solamente in funzione del numero di spire di ciascun avvolgimento. Naturalmente poiché il trasformatore è una macchina statica essa non aggiunge né toglie potenza al circuito 41 e pertanto l‟intensità di corrente varia in modo inverso, cioè diminuisce se la tensione aumenta e viceversa. Il trasformatore, nel trasporto di energia dalla produzione al consumo, è quindi usato due volte e per due scopi diversi 41 Eccetto qualche leggera perdita di energia dovuta soprattutto all‟effetto Joule della corrente che circola nei circuiti del trasformatore. 88 in prossimità della produzione, per elevare la tensione e quindi ridurre le dispersioni di calore lungo il trasporto dell‟energia all‟utente in prossimità dell‟utenza, per ridurre la tensione a livelli più bassi per ragioni di sicurezza. È stata proprio la possibilità di conseguire questo doppio importante risultato in maniera tanto semplice che ha portato alla enorme diffusione dell‟uso della corrente alternata. Macchine e centrali di produzione Come si è detto, per produrre energia elettrica o, meglio, per trasformare in energia elettrica altre forme di energia è necessario utilizzare queste ultime per far ruotare un campo magnetico rispetto ad un circuito elettrico che resta fermo. Il campo magnetico è generato da una serie di elettrocalamite montate su un corpo cilindrico, il rotore (Figura 80), che ruota all‟interno di un contenitore cilindrico fisso, lo statore, su cui è installato il circuito elettrico. Questa macchina è l‟alternatore. Le elettrocalamite del rotore sono alimentate da una corrente continua ausiliaria di modesta intensità che crea però un campo magnetico molto intenso grazie al materiale con cui sono costruite le elettrocalamite. Il movimento di rotazione del rotore è ottenuto con un‟altra macchina che si chiama “turbina” che è essenzialmente una ruota a pale messa in movimento dall‟energia cinetico di un fluido che colpisce le pale. Il fluido può essere una corrente d‟acqua di un fiume, di una cascata, o di una condotta forzata42 e in questo caso la turbina e quindi l‟alternatore trasforma l‟energia cinetica dell‟acqua in energia elettrica (Figura 81). Ciò avviene in una centrale idraulica. Il fluido può essere vapor d‟acqua generato in una caldaia riscaldata dal calore derivante dalla trasformazione dell‟energia chimica dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) e in questo caso si tratta di una centrale termoelettrica (Figura 82). Il vapore può poi essere prodotto da una reazione controllata di combustibile nucleare in una centrale nucleare, da calore naturale geotermico in una centrale geotermica, da rifiuti solidi urbani in un termovalorizzatore, da biomasse in una centrale a biomasse. Il rotore dell‟alternatore può anche essere messo in movimento invece che da una turbina tradizionale da un‟elica mossa dal vento(Figura 83) e in questo caso si trasforma in elettrica l‟energia eolica, o da un‟elica mossa dal flusso delle maree che trasforma quindi in elettrica l‟energia marina. In ogni caso quindi, qualunque sia l‟origine dell‟energia primaria, l‟energia elettrica in una centrale si ottiene con uno schema produttivo sempre dello stesso tipo: una turbina, un alternatore43 e un trasformatore finale prima della distribuzione (Figure 85-87). Accenniamo soltanto ora, senza entrare in dettagli, che gran parte dell‟energia elettrica distribuita al consumo viene utilizzata nei motori elettrici. Concettualmente questi sono come degli alternatori che funzionano alla rovescia. La corrente circola nello statore e 42 Una condotta forzata è una tubazione che trasporta acqua che scorre da un lago naturale o artificiale situato in una posizione geografica elevata ad un lago o un fiume posto in una posizione meno elevata. 43 Esula da questo schema la produzione di energia fotovoltaica, che è una trasformazione diretta dell‟energia solare in energia elettrica ottenuta grazie alle proprietà di alcuni materiali , e l‟energia elettrica prodotta dalle pile a combustibile, in cui l‟energia chimica dei combustibili viene direttamente trasformata in energia elettrica con alcuni procedimenti su cui non possiamo addentrarci in questa sede. 89 Trasformatori n1 n2 V1 V2 i1 V2 = V1 n2 n1 i2 P2 = P1 V2i2 = V1i1 Figura 79 Campo magnetico rotante Figura 80 90 Chi lo fa ruotare Turbina idraulica Figura 81 Chi lo fa ruotare Turbina a gas Figura 82 91 Chi lo fa ruotare Turbina eolica Figura 83 Quale energia Figura 84 92 Centrale idroelettrica Figura 85 Centrale termoelettrica Figura 86 93 crea un campo magnetico che attira e fa ruotare il rotore. In tal modo si trasforma l‟energia elettrica in energia meccanica, cioè si è avuto in pratica il trasferimento di una forma di energia che sarebbe stato molto più arduo trasportare tal quale o usare localmente. Ovviamente questo beneficio ha un costo energetico (e quindi economico) molto elevato perché l‟energia che si ottiene alla fine di tutte le trasformazioni è di gran lunga inferiore a quella presente nella fonte originaria di energia da cui si era partiti. Autoinduzione Un conduttore in cui circoli una corrente continua oppone una resistenza al passaggio della corrente che provoca un fenomeno simile a quello dell‟attrito fra due corpi che strisciano l‟uno sull‟altro cioè una trasformazione di parte dell‟energia in calore. La stessa cosa avviene anche con la corrente alternata. In questo caso non c‟è un flusso di cariche nel conduttore ma solo una loro oscillazione. Tuttavia anche un‟oscillazione è un movimento di elettroni a cui il conduttore oppone resistenza e quindi anche in questo caso una parte dell‟energia viene trasformata in calore. La legge di Joule vale anche per la corrente alternata, quindi il calore che si produce è proporzionale al quadrato dell‟intensità efficace e dipende dalla natura del circuito. Per la corrente alternata però c‟è anche un altro fenomeno che si aggiunge a quello descritto e crea un ulteriore ostacolo al passaggio della corrente. Si è visto che il passaggio di corrente in un circuito crea un campo magnetico e se la corrente non è costante anche il campo magnetico è variabile. Abbiamo anche visto che una variazione di un campo magnetico concatenato ad un circuito induce in esso una corrente, per cui il campo magnetico variabile di un circuito in cui circola una corrente alternata induce nello stesso circuito un‟altra corrente elettrica. È questo il fenomeno che prende il nome di “autoinduzione” perché la corrente è indotta nello stesso circuito in cui circola la corrente che ha generato il campo magnetico. La corrente autoindotta è anch‟essa alternata ma è in opposizione di fase rispetto alla corrente che ha generato il campo magnetico, quindi si oppone ad essa come una resistenza aggiuntiva. L‟intensità della corrente autoindotta dipende dalla forma del circuito. In circuiti costituiti da lunghi tratti rettilinei le correnti autoindotte hanno un‟intensità molto piccola, in un solenoide invece (Figura 88) l‟intensità delle correnti autoindotte è molto elevata, specialmente se il solenoide è avvolto su un nucleo di materiale ferroso. Per i primi si dice che hanno una bassa induttanza per i secondi alta induttanza. L‟induttanza si indica con la lettera L e si misura in “henry”. L‟insieme dell‟induttanza e della resistenza di un circuito a corrente alternata costituisce “l‟impedenza” che è la caratteristica di un circuito che si oppone alla circolazione della corrente alternata che, nel caso della corrente continua è costituita soltanto dalla resistenza. I circuiti oscillanti Si consideri un condensatore carico. Su una delle sue armature sono concentrate le cariche positive, sull‟altra le cariche negative. Se le due armature vengono collegate con un semplice circuito formato da un filo metal- 94 Centrale termonucleare Figura 87 Autoinduzione G ~ Figura 88 95 lico, le cariche passano rapidamente dall‟una all‟altra ed il condensatore “si scarica”, ossia non c‟è più differenza fra le cariche presenti su ciascuna delle due armature. Se però nel circuito che collega le armature è inserito un solenoide (Figura 89), durante i due brevissimi periodi transitori in cui la corrente cresce perché le cariche iniziano a spostarsi e poi diminuisce perché si esauriscono le cariche, si crea per autoinduzione una corrente che si oppone a quella che l‟ha generata, in particolare in verso contrario al flusso di cariche all‟inizio perché si oppone alla crescita e nello stesso verso alla fine perché si oppone alla diminuzione. In particolare in quest‟ultima fase la corrente autoindotta porta delle cariche aggiuntive sull‟armatura del condensatore che sta ricevendo le cariche. Per esempio se, secondo la convenzione, assumiamo che le cariche positive si spostano verso l‟armatura negativa l‟autoinduzione della fase finale aggiunge altre cariche positive a quelle che erano inizialmente presenti sull‟armatura positiva. Queste cariche sono in eccesso rispetto a quelle necessarie a neutralizzare l‟armatura negativa che quindi si carica positivamente. A questo punto la disposizione delle cariche nel condensatore si è invertita anziché annullarsi e, poiché il collegamento fra le due armature continua ad esistere, ha inizio nel circuito un flusso di cariche che procede in senso inverso rispetto al precedente e, tutto il fenomeno si ripete come in precedenza. Il flusso di cariche quindi continua a oscillare da un estremo all‟altro del circuito e, teoricamente, non dovrebbe più cessare. In pratica però esso si smorza dopo un certo tempo, come qualsiasi altro movimento, per la presenza di forze frenanti sempre presenti in natura. Il fenomeno dei circuiti e delle correnti oscillanti non deve meravigliare. Ci sono altri fenomeni molto simili a cui forse siamo più abituati. Per esempio il moto di un pendolo (o di un‟altalena) che una volta “caricato”, ossia portato in una posizione diversa dalla verticale, ritorna in questa posizione, la supera per inerzia, ne raggiunge una uguale (o quasi) dall‟altra parte e continua ad oscillare smorzandosi, poco a poco per effetto dell‟attrito. Altri esempi sono il movimento della superficie di un liquido in una bacinella che venga inclinata e rilasciata in un punto del bordo, oppure i rimbalzi di una pallina elastica portata ad una certa altezza e lasciata cadere. In questi casi l‟inerzia e l‟attrito giocano il ruolo che nei circuiti oscillanti esercitano l‟autoinduzione e la resistenza. Per evitare che il moto si smorzi e infine si estingua bisogna somministrare al sistema, con opportuni accorgimenti e nell‟istante giusto44, quella parte di energia necessaria a vincere gli attriti nei sistemi meccanici o che viene trasformata in calore e in onde elettromagnetiche nei sistemi elettrici. Le onde elettromagnetiche Il circuito oscillante descritto nel paragrafo precedente potrebbe avere una configurazione rettilinea se si pongono le due armature del condensatore ad una certa distanza fra loro e fra esse si inserisce il circuito elettrico, come indicato nella parte destra della Figura 89. In questo circuito il campo elettrico oscillante e il campo magnetico ad esso concatenato si crea fra le due armature del condensatore. La particolarità in questo caso però è che l‟energia della corrente oscillante non resta 44 Si ricordi, a tale proposito, il fenomeno della risonanza descritto in acustica. 96 Circuiti oscillanti − + + − Figura 89 Onde elettromagnetiche Figura 90 97 racchiusa nel circuito stesso ma si irradia da esso nello spazio circostante sotto forma di onde elettriche e onde magnetiche concatenate e disposte su piani perpendicolari fra loro (Figura 90). Maxwell, studiando questa materia da un punto di vista puramente teorico, sviluppò delle formule matematiche che ne davano l‟interpretazione di un fenomeno ondulatorio. Ovviamente si trattava di un moto ondulatorio di onde non materiali, in cui a vibrare erano campi elettrici e campi magnetici collegati, le “onde elettromagnetiche”. Sempre con lo sviluppo di formule matematiche Maxwell inoltre calcolò la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche: 300.000 Km/sec. La velocità della luce! Quella di Maxwell fu una pietra miliare nella conoscenza dei fenomeni elettromagnetici, ma Maxwell non andò oltre la speculazione teorica. Fu merito di Hertz, qualche decennio dopo, di dare un supporto sperimentale alle teorie di Maxwell. Egli riuscì infatti a produrre e a ricevere nel suo laboratorio onde elettromagnetiche di diverse lunghezze d‟onda e a misurarne sperimentalmente la velocità di propagazione, confermando che esse si propagano alla velocità della luce. Le sperimentazioni di Hertz aprirono il campo delle applicazioni pratiche delle onde elettromagnetiche e in questo campo si distinse, fra gli altri, un grande scienziato italiano: Guglielmo Marconi45. I grandi risultati ottenuti successivamente nel campo delle telecomunicazioni sono sotto gli occhi di tutti. 45 Guglielmo Marconi (1874-1937) fisico italiano 98 Citazioni Si riportano qui di seguito, in ordine cronologico di nascita, i nomi degli scienziati menzionati in questo testo, con l’avvertenza che si tratta di pochi, anche se fra i più eccelsi, personaggi che hanno contribuito alla conoscenza di questa materia. La schiera delle persone che hanno dedicato la vita allo studio, alla ricerca ed alla sperimentazione dei fenomeni fisici è immensa e, anche se il loro nome non è compreso in questo elenco, a tutti loro va un deferente pensiero di ammirazione e di ringraziamento. Benjamin Franklin (1706-90) scrittore, scienziato e politico statunitense Charles Augustin Coulomb (1736-1806) fisico francese Luigi Galvani (1737-98) anatomista italiano Alessandro Volta (1745-1827) fisico italiano André-Marie Ampère (1775-1836) fisico e matematico francese George Simon Ohm (1787-1854) fisico tedesco Michael Faraday (1791-1867) chimico e fisico inglese Christian Doppler (1803-53) fisico austriaco James P. Joule (1818-89) fisico inglese James Clerk Maxwell (1831-1879) matematico e fisico scozzese Heinrich R. Hertz (1857-94) fisico tedesco Guglielmo Marconi (1874-1937) fisico italiano 99 Referenze I dati contenuti in questo documento, riportati tal quale o utilizzati per l’elaborazione dei grafici, sono stati ricavati da una pluralità di fonti, fra cui principalmente: Enciclopedia della scienza e della tecnica – Mondadori Enciclopedia per i ragazzi – Rizzoli Enciclopedia universale – Garzanti M. Davoli – Fisica per i licei scientifici Autori vari – La fisica di Berkeley E. Guadagno – Ambiente ed Energia Le immagini sono state scaricate da diversi siti Internet, dopo aver ragionevolmente verificato che fossero libere da vincoli che ne impedissero la riproduzione. Eventuali involontarie violazioni saranno tempestivamente corrette, se richiesto, con l’eliminazione delle relative immagini nelle edizioni successive del documento. Profilo dell’autore Eugenio Guadagno si è laureato in Ingegneria Chimica nel 1958 presso il Politecnico di Napoli e, nello stesso anno, ha incominciato a lavorare con il Gruppo Montedison (allora ancora Edison) nel settore della progettazione, costruzione ed avviamento di impianti petrolchimici e petroliferi ricoprendo nell’arco di 12 anni posizioni di responsabilità crescenti. Molti degli impianti realizzati in tale periodo sono tuttora in esercizio e fra questi di particolare importanza è la raffineria di Priolo, con una capacità produttiva di circa 10 milioni di Ton/anno di petrolio. Dopo questa fase prettamente tecnica è passato, sempre nell’ambito dello stesso Gruppo, ad incarichi di tipo gestionale nel settore petrolifero, ricoprendo ruoli sempre più impegnativi fino a diventare nel 1977 Direttore Generale del Settore Petrolifero, carica che ha poi ricoperto per circa 11 anni. Nel 1989 è stato nominato Presidente ed Amministratore Delegato della Monteshell SpA, joint venture fra Montedison e Shell, operante in Italia nel campo della produzione e commercializzazione di prodotti petroliferi. Nel 1992 è passato al Gruppo Oilinvest dove ha ricoperto, per quattro anni, la carica di Direttore Generale della Tamoil Italia SpA, e successivamente varie altre cariche all’interno del Gruppo, fra cui quelle di Amministratore Delegato della Tamoil Shipping Ltd e della Tamoil Marketing Ltd, le due società inglesi del Gruppo Oilinvest con sede a Londra, operanti rispettivamente nel campo del brokeraggio marittimo la prima e della commercializzazione di prodotti petroliferi la seconda. 100 Sommario Acustica Generalità ................................................................................................................. 2 Capitolo 1 – Il moto ondulatorio ................................................................................... 3 Caratteristiche del moto............................................................................................. 5 Capitolo 2 – Il suono ..................................................................................................... 8 Caratteristiche delle onde sonore ............................................................................. 10 Effetto Doppler ....................................................................................................... 13 Onde sonore e ostacoli ............................................................................................ 15 Risonanza acustica .............................................................................................. 15 Riflessione del suono........................................................................................... 18 Ottica Generalità ............................................................................................................... 23 Capitolo 3 – La luce .................................................................................................... 24 La riflessione della luce ........................................................................................... 26 Diffusione ........................................................................................................... 26 Gli specchi .......................................................................................................... 28 La rifrazione della luce ............................................................................................ 36 La luce ed i colori ................................................................................................... 41 Le lenti.................................................................................................................... 45 Elettricità e Magnetismo Generalità ............................................................................................................... 54 Capitolo 4 – Elettrostatica ........................................................................................... 55 Elettrizzazione ........................................................................................................ 55 Induzione elettrostatica ........................................................................................... 58 101 Generatori elettrostatici ........................................................................................... 58 Principio di conservazione della carica .................................................................... 60 La misura della carica elettrica ................................................................................ 60 Distribuzione delle cariche ...................................................................................... 62 Il potenziale ............................................................................................................ 63 Capacità elettrica ..................................................................................................... 66 Capitolo 5 - Elettrodinamica ....................................................................................... 70 Generalità ............................................................................................................... 70 La corrente elettrica................................................................................................. 72 Intensità di corrente ................................................................................................. 72 Effetti della corrente................................................................................................ 75 Effetto Joule ........................................................................................................ 75 La corrente nei liquidi ......................................................................................... 76 La corrente nei gas .............................................................................................. 76 Effetto magnetico ................................................................................................ 77 Capitolo 6 - Magnetismo ed elettromagnetismo........................................................... 79 Magnetismo ............................................................................................................ 79 Campo elettromagnetico.......................................................................................... 80 Induzione elettromagnetica...................................................................................... 82 La corrente alternata................................................................................................ 84 Generazione della corrente alternata ........................................................................ 86 Il trasformatore statico ............................................................................................ 88 Macchine e centrali di produzione ........................................................................... 89 Autoinduzione ......................................................................................................... 94 I circuiti oscillanti ................................................................................................... 94 Le onde elettromagnetiche ...................................................................................... 96 Citazioni ..................................................................................................................... 99 Referenze .................................................................................................................. 100 Profilo dell’Autore .................................................................................................... 100 102