Eugenio Guadagno
ELEMENTI di FISICA
Volume II
UTE – Cinisello Balsamo
Anno Accademico 2008-09
Acustica
Generalità
L‟Acustica è quella parte della Fisica che studia il suono ed i fenomeni sonori.
Il suono, così come i fenomeni ottici, elettrici e magnetici che formano l‟oggetto di questo secondo volume, hanno una caratteristica comune: sono dei fenomeni di tipo ondulatorio.
Prima di entrare nella trattazione dei singoli settori può essere utile quindi premettere
qualche nozione sulle caratteristiche del moto ondulatorio.
Restando comunque coerenti con gli scopi che ci siamo prefissi in questi corsi, presenteremo soltanto gli elementi di base dei vari fenomeni senza addentrarci in approfondimenti o dimostrazioni rigorose degli argomenti trattati.
2
Capitolo 1 – Il moto ondulatorio
La denominazione di questo moto ci fa immediatamente pensare alle onde del mare ed
in effetti non siamo molto distanti dal vero. Il moto delle onde del mare però è influenzato da troppe variabili che agiscono contemporaneamente come l‟incostanza del vento,
la natura rocciosa o sabbiosa del litorale, la profondità ed il tipo di fondale ecc. per cui
mal si presta ad un‟analisi ordinata. Più accessibile invece risulta lo studio di un moto
ondoso provocato in bacino tranquillo da un‟azione volontaria e possibilmente misurabile.
A tutti è capitato di osservare l‟effetto di un sasso lasciato cadere in uno stagno. Si creano tante piccole onde circolari, con il centro nel punto in cui è caduto il sasso, che si
propagano allargandosi come tanti cerchi concentrici Figura 1.
A prima vista si ha l‟impressione che l‟acqua si sposti dal punto in cui è caduto il sasso
verso l‟esterno, ma un semplice esperimento ci mostra che non è così. Infatti se mettiamo nell‟acqua una pallina leggera che galleggia, vediamo che la pallina si muove su e
giù ma non si sposta. Quindi l‟onda si propaga in direzione radiale, ma ciò avviene senza spostamento d‟acqua.
Per comprendere come ciò possa avvenire osserviamo il fenomeno più da vicino riproducendolo in laboratorio con un‟attrezzatura molto semplice.
In una bacinella versiamo dell‟acqua, o un qualsiasi altro liquido, e al posto del sasso
usiamo un piccolo punzone con cui colpiamo la superficie dell‟acqua in un certo punto.
La superficie dell‟acqua immediatamente sotto il punzone viene spinta verso il basso
creando un avvallamento e l‟acqua così spostata spinge a sua volta verso l‟alto un ugual
volume di acqua creando la cresta di un‟onda nella zona immediatamente adiacente.
L‟acqua spinta su nella cresta dell‟onda ritorna giù spostando a sua volta dell‟acqua che
in parte richiude l‟avvallamento dell‟onda precedente, in parte crea un‟onda dalla parte
opposta. In tal modo sembra che l‟onda si sia spostata orizzontalmente verso l‟esterno,
mentre in realtà l‟acqua si è mossa e continua a muoversi solo verticalmente.
La Figura 2 mostra quanto appena descritto. Nella parte superiore è riportato il momento in cui si verifica la spinta del punzone, in quella inferiore il momento immediatamente successivo.
L‟acqua spostata dal punzone si muove in direzione verticale “v”, mentre l‟onda si pro
paga in direzione orizzontale “o”.
Questo tipo di onda prende il nome di “onda trasversale” appunto perché la direzione
della propagazione è perpendicolare alla direzione della vibrazione.
Esiste però anche un altro caso di oscillazione e propagazione dell‟onda ed è quello in
cui le particelle, pur non muovendosi dalla loro posizione, oscillano nella stessa direzione della propagazione dell‟onda. Ciò avviene per esempio nel caso di una molla a spira-
3
Onde in uno stagno
Figura
1
Onda trasversale
v
o
Figura
4
2
le come quella schematizzata nella Figura 3.
Gli estremi della molla sono ancorati a due sostegni fissi che impediscono alla molla di
muoversi longitudinalmente. Se si comprimono alcune spire poste vicine ad una delle
due estremità e poi si rilasciano rapidamente queste cominciano a vibrare come indicato
dalla freccia rossa, cioè ritornano nella loro posizione precedente, la sorpassano comprimendo le spire adiacenti poi tornano indietro. Le spire adiacenti, sollecitate da quelle
vicine, cominciano a comprimersi e a distendersi a loro volta trasmettendo così la vibrazione che quindi si trasmette nel senso indicato dalla freccia verde. L‟onda che così si
genera si sposta longitudinalmente cioè nella stessa direzione della vibrazione e, per
questa ragione prende il nome di “onda longitudinale”.
In questo caso è immediata la constatazione che questa onda si propaga senza che ci sia
movimento di materia, infatti la molla non può muoversi longitudinalmente a causa degli ancoraggi che impediscono questo movimento.
In entrambi i casi visti sopra, onde trasversali o longitudinali, ci troviamo dunque di
fronte ad un tipo di moto diverso da quelli finora esaminati, cioè un moto che avviene
senza che si spostino le molecole del mezzo in cui si propaga, ma anche un moto che
non potrebbe esistere se non ci fosse mezzo materiale, un fluido o un solido, capace di
supportarlo.
È il “moto ondulatorio” di cui vedremo adesso alcune caratteristiche.
Caratteristiche del moto
Le onde generate da un oggetto che percuote una superficie liquida man mano che si allontanano dal loro punto di origine si attenuano e alla fine si smorzano completamente a
causa delle resistenze che il fluido oppone al moto delle particelle che oscillano. Come
abbiamo più volte visto questo è un fenomeno comune a tutti i movimenti che avvengono sulla terra.
Per mantenere il moto bisogna che l‟oggetto continui a percuotere la superficie generando nuove onde che formano in tal modo un “treno d‟onde”.
La Figura 4 è un‟istantanea di una superficie liquida in cui si siano generate delle onde
con una serie di percussioni che si susseguono con una frequenza costante f.
La superficie si presenta come una serie di creste e avvallamenti formate dal moto delle
particelle liquide che si è propagato radialmente dal punto di percussione.
La distanza λ fra due creste o due avvallamenti1 si chiama “lunghezza d‟onda”, mentre
l‟altezza A di una cresta (o di un avvallamento) si chiama “ampiezza”.
Le onde si susseguono con la frequenza f della percussione, cioè tante onde al secondo
quante sono le percussioni al secondo, per cui il tempo T che la propagazione impiega
per trasmettersi di un tratto uguale alla lunghezza d‟onda λ è uguale all‟inverso della
frequenza, T=1/f.
Da quanto detto2 si ricava che la velocità di propagazione del moto ondoso è:
1
O comunque fra due punti che si trovano nella stessa posizione rispetto alla superficie del liquido quando era in quiete, indicata col tratteggio nella figura.
2
Ricordiamo che, per definizione, la velocità è uguale al rapporto fra lo spazio percorso ed il tempo impiegato a percorrerlo
5
Onda longitudinale
Figura
3
Caratteristiche delle onde
λ = Lunghezza d’onda
A = Ampiezza
f = 1/T
v = λ/T
T = Periodo
f = frequenza
v = λ·f
λ = v/f
Figura
6
4
e anche:
Queste sono le relazioni fondamentali che legano le grandezze in gioco.
Dai dati sperimentali si ricava che la velocità di propagazione di un‟onda in un mezzo
fluido o solido, di dimensioni non limitate3, è costante e dipende soltanto dalle caratteristiche elastiche del mezzo. Dalla descrizione fin qui fatta si ricava inoltre che la frequenza delle onde dipende unicamente dalla frequenza del percussore che le ha generate
per cui, in ogni singolo mezzo, la lunghezza d‟onda è inversamente proporzionale alla
frequenza: onde lunghe per piccole frequenze, onde brevi per grandi frequenze, come
del resto è anche intuitivo.
Il significato pratico di questi parametri sarà approfondito quando si studieranno i relativi fenomeni acustici, ottici ed elettrici.
Per ora ci interessa evidenziare un altro aspetto molto importante di un moto ondulatorio e cioè l‟aspetto energetico.
Come si è detto sopra, se sulla superficie di un liquido percorso da un moto ondulatorio
si fa galleggiare una pallina, questa non si sposta radialmente della sua posizione, ma
viene portata su e giù dall‟onda che passa, trovandosi ad un certo punto sulla cresta
dell‟onda e dopo un tempo uguale a mezzo periodo in fondo ad un avallamento.
Dallo studio della dinamica abbiamo a suo tempo visto (Figura 5) che per portare una
massa (quella della pallina) da una certa posizione ad un‟altra posta ad un‟altezza maggiore occorre impiegare una quantità di energia (o, in altri termini, compiere un lavoro)
dato dal prodotto del peso della pallina (mg) per lo spostamento verso l‟alto, h, cioè:
In quella posizione la pallina trattiene questa energia sotto forma di energia potenziale e
la rende quando ritorna nella sua posizione iniziale sotto forma di energia cinetica:
Se dunque la pallina portata su dall‟onda è collegata opportunamente ad una apparecchiatura esterna capace di utilizzare l‟energia che essa rende nella ricaduta possiamo affermare che l‟onda è stata in grado di trasmettere energia.
Quale energia? Quella che aveva generato l‟onda.
Nel caso esaminato si tratta dell‟energia meccanica che, tramite il percussore, ha generato l‟onda. Più in generale qualsiasi energia capace di generare onde materiali o elettromagnetiche e, fra queste, prima fra tutte, l‟energia solare.
Tornando all‟esempio, è evidente che un percussore capace di trasmettere più energia
genera onde più alte quindi di ampiezza A maggiore e infatti la pallina portata ad
un‟altezza maggiore accumula e poi rilascia una quantità maggiore di energia, per cui
possiamo affermare che è l‟ampiezza dell‟onda la caratteristica che misura la quantità di
energia trasportata o trasportabile da un moto ondulatorio.
3
Se le dimensioni geometriche del mezzo non sono illimitate la velocità di propagazione delle onde dipende anche da esse. Per esempio in una vasca d‟acqua la velocità di propagazione dell‟onda aumenta se
aumenta la profondità dell‟acqua.
7
Capitolo 2 – Il suono
Il suono è una sensazione che un organo delicato e complesso, l‟orecchio, trasmette al
cervello di un essere vivente che ne sia dotato.
Quello che a noi interessa in questa sede non è tanto la trasmissione della sensazione al
cervello, il cui studio rientra in altre discipline, ma cosa è che suscita questa sensazione.
Sappiamo tutti che è la vibrazione di una membrana, il timpano, che è una delle parti
più esterne dell‟orecchio.
La vibrazione del timpano è provocata da un‟onda meccanica generata a sua volta da un
corpo che vibra.
L‟origine del suono è dunque l‟energia che provoca la vibrazione di un corpo.
Potrebbe trattarsi dell‟energia umana che tramite un batacchio fa vibrare una campana.
La campana genera nel mezzo in cui è immersa, cioè nell‟aria, un treno di onde che si
propaga nello spazio circostante trasportando l‟energia che l‟ha generato. Se lungo il
suo percorso incontra un altro corpo capace di raccogliere l‟energia trasportata questo
corpo comincia a sua volta a vibrare. Quando questo corpo è il timpano del nostro orecchio noi percepiamo il suono.
Uno degli aspetti importanti è che la propagazione della vibrazione sotto forma di onda
può avvenire soltanto se fra il corpo emittente, la campana, ed il corpo ricevente, il timpano dell‟orecchio, ci sia un mezzo fluido o solido, l‟aria o un qualsiasi altro gas,
l‟acqua o un qualsiasi altro liquido o un corpo solido elastico. In mancanza di questo
mezzo l‟onda non si propaga. Se, ad esempio, facciamo suonare un campanello sotto
una campana di vetro ne sentiamo distintamente il suono, ma se dalla campana estraiamo l‟aria il suono non si sente più. Viceversa, sott‟acqua i suoni si propagano e possono
essere uditi distintamente e attraverso il terreno gli indiani, poggiando l‟orecchio a terra, percepivano la vibrazione provocata del galoppo di un cavallo che si avvicinava.
Vediamo ora un po‟ più da vicino come sono generate e come sono costituite le onde
sonore. Anticipiamo subito che, a differenza delle onde che si generano sulla superficie
di un liquido quando si percuote un suo punto, le onde sonore sono di tipo longitudinale,
ossia si propagano nella stessa direzione in cui avviene l‟oscillazione.
Per spiegare meglio il fenomeno consideriamo il suono emesso da una membrana di un
altoparlante, Figura 6.
La membrana è portata in vibrazione da una serie di impulsi elettromagnetici su cui, per
il momento, non indaghiamo. Essa si sposta dalla sua posizione di riposo verso l‟esterno
e verso l‟interno dell‟apparecchiatura (come mostrato dalle frecce) trasmettendo questi
movimenti agli strati d‟aria adiacenti che cominciano anch‟essi a vibrare. La vibrazione
si trasmette agli strati d‟aria successivi e quindi si propaga nella stessa direzione della
vibrazione; si tratta dunque di onde longitudinali.
8
Energia cinetica e potenziale
L=m•g•h
=
L = ½ • m • v2
m
h
h
v
Figura
5
Onde sonore longitudinali
Strati compressi
Strati rarefatti
Velocità di propagazione
Aria
• 340 m/s
• 1200 Km/h
• 1400 m/s
Acqua • 5000 Km/h
• 5000 m/s
/
Acciaio • 18000 Km/h
Figura
9
6
In effetti la vibrazione dell‟aria consiste in una compressione e rarefazione degli strati
d‟aria adiacenti. Infatti, quando la membrana dell‟altoparlante si muove verso l‟esterno
dell‟apparecchio comprime l‟aria adiacente, quando invece si muove verso l‟interno vi
produce una rarefazione. Gli strati d‟aria compressi e rarefatti si succedono quindi con
la stessa frequenza della vibrazione e se raggiungono il timpano di un orecchio gli trasmettono la vibrazione che diventa, in quel momento, la sensazione acustica che
l‟orecchio trasmette al cervello.
La velocità con cui l‟onda sonora si propaga nell‟aria è di circa 340 m/s equivalenti a
poco più di 1200 Km/h, nell‟acqua è di circa 5000 Km/h mentre nell‟acciaio è di circa
18.000 Km/h.
Caratteristiche delle onde sonore
Abbiamo già visto nel capitolo precedente alcune caratteristiche delle onde in generale.
Vediamo ora in particolare come si presentano le onde sonore.
Per lo studio delle onde sonore si usa un particolare apparecchio chiamato “oscilloscopio” (Figura 7) che trasforma le onde sonore in onde luminose che possono essere
proiettate su uno schermo e quindi visualizzate. Inoltre l‟oscilloscopio è dotato di una
serie di dispositivi che permettono di misurare le caratteristiche sonore che ora illustreremo.
Un altro strumento normalmente utilizzato è il “diapason”, Figura 8, costituito da una
barretta metallica piegata ad “U”, come una forchetta con due soli rebbi, che percossa
da un martelletto emette un suono con caratteristiche particolari che saranno descritte
meglio più avanti. In genere è montato su una cassetta di legno che ha lo scopo di amplificare l‟ampiezza del suono.
Il suono emesso da un diapason ha una frequenza che dipende dallo spessore e dalla
lunghezza dei rebbi e l‟orecchio umano lo percepisce come una “nota” musicale.
Una serie di diapason di varie dimensioni può essere utilizzata per produrre le frequenze
delle diverse note musicali o addirittura tutta la gamma delle frequenze che l‟orecchio
umano è in grado di percepire, che va da 20 a 20.000 Hz.
Vediamo ora come si presenterebbero sullo schermo dell‟oscilloscopio alcuni suoni.
Precisiamo innanzi tutto che l‟immagine che si vede sullo schermo dell‟oscilloscopio è
l‟andamento dell‟onda sonora in un certo intervallo di tempo e, se il suono non cambia,
è come una fotografia istantanea degli strati d‟aria compressi e rarefatti in cui le creste
rappresentano gli strati compressi e gli avvallamenti gli strati rarefatti.
La Figura 9 mostra il suono di due diapason diversi.
Notiamo innanzi tutto che l‟onda nella parte superiore della figura ha una frequenza più
alta di quella sottostante; il suono che noi percepiamo è più acuto, ossia una nota più alta, di quello dell‟onda in basso. Le ampiezze, cioè l‟altezza delle creste, delle due onde
sonore sono invece uguali, è ciò significa che è stata uguale l‟energia impressa ai diapason nei due casi o, in parole povere, la forza con cui sono stati colpiti dal martelletto.
La Figura 10 invece mostra due onde emesse dallo stesso diapason colpito con diversa
energia. La frequenza è la stessa, ma l‟ampiezza è diversa. Noi sentiamo la stessa nota,
ma quella raffigurata a destra è molto più forte di quella a sinistra.
Nella pratica quotidiana però non siamo abituati a sentire note come quelle emesse da
un diapason. La caratteristica di questo strumento infatti è di emettere note “pure”, cioè
suoni formati da onde che hanno una sola frequenza, la “frequenza fondamentale” o
“prima armonica”.
10
Oscilloscopio
Figura
7
Figura
8
Diapason
11
Frequenza delle onde sonore
Suono più acuto
A
A
Suono più grave
Figura
9
Ampiezza delle onde sonore
Suono più debole
Suono più forte
Uguale frequenza
Figura 10
12
Gli strumenti musicali invece (Figura11) o qualsiasi altro oggetto in vibrazione emettono una serie di onde che hanno oltre alla frequenza fondamentale anche frequenze maggiori, per lo più multiple della frequenza fondamentale. Queste ultime si chiamano “armoniche superiori”, per esempio, la seconda armonica con frequenza doppia, la terza
armonica con frequenza tripla e così via.
Le armoniche superiori si sommano all‟armonica fondamentale alterandone il suono ma
senza farne cambiare la frequenza e l‟orecchio percepisce la stessa nota ma con “timbro” diverso. Per esempio la stessa nota emessa da due strumenti musicali diversi producono lo stesso suono di base ma con un timbro diverso.
La somma delle due onde avviene come se in ogni istante si sommassero le ampiezze
delle armoniche superiori con l‟ampiezza della prima armonica, cioè dell‟armonica
fondamentale.
In Figura 12 è illustrato il modo in cui le onde si sommano, ma l‟oscilloscopio mostra
soltanto l‟onda risultante dalla somma delle varie armoniche mostrata con tratto continuo nella figura.
Effetto Doppler
Un altro fenomeno legato alla percezione delle frequenze delle onde sonore, che spesso
abbiamo occasione di sperimentare, è l‟effetto Doppler 4.
Capita spesso infatti di sentire la sirena di un‟ambulanza o il fischio di un treno che si
avvicinano a si allontanano a grande velocità. La percezione che abbiamo di questi suoni è diversa da quella che percepiamo quando l‟ambulanza o il treno sono fermi. Più
precisamente quando la sorgente che emette il suono è ferma noi sentiamo una sola nota
o una sola sequenza di note, quando invece la sorgente è in movimento sentiamo una
variazione verso note più alte se la sorgente si avvicina, e più basse se si allontana.
La Figura 13 mostra la ragione di questo fenomeno che prende il nome di effetto Doppler dal fisico austriaco che lo ha studiato e interpretato.
Se la sorgente si trova in un punto A e resta fermo rispetto all‟ascoltatore, i suoni emessi
si propagano nell‟aria alla velocità di 340 m/sec, corrispondenti a circa 1.200 Km/h e le
relative frequenze si mantengono inalterate. L‟ascoltatore percepisce la stessa nota emessa dalla sorgente.
Se invece la sorgente che emette il suono si muove a notevole velocità (esempio 120
Km/h, cioè 10% della velocità del suono) da un punto B verso un punto C più vicino
all‟ascoltatore le onde sonore emesse in tempi successivi, pur propagandosi sempre alla
stessa velocità di 1.200 Km/h, nella direzione del moto della sorgente devono coprire
spazi minori di quelli dell‟onda emessa precedentemente e quindi si avvicinano ad essa.
Ne consegue che nella direzione del moto le onde si addensano, cioè la loro frequenza
diventa più alta (del 10%) e la nota percepita man mano dall‟ascoltatore diventa più
acuta fino a quando la sorgente non ha raggiunto e superato l‟ascoltatore. Dopo di che il
fenomeno continua ma questa volta dalla parte opposta. Quindi mentre la sorgente si allontana, per esempio dal punto D verso E, le onde che giungono all‟ascoltatore che si
trova ora in direzione opposta rispetto al movimento, sono meno frequenti e quindi la
nota percepita diventa più grave.
Questo fenomeno giunge all‟esasperazione quando la sorgente si muove proprio alla velocità di circa 1.200 K/h, cioè alla stessa velocità di propagazione delle onde sonore.
4
Christian Doppler (1803-53) fisico austriaco
13
Armoniche
Note pure
Diapason
Una sola frequenza
Prima armonica
Note composte
Strumento musicale
Somma di frequenze multiple
Armoniche superiori
Figura 11
Suoni composti - Timbro
Prima armonica
Seconda armonica
Figura 12
14
Terza armonica
Totale
In questo caso infatti (Figura 14) le onde emesse successivamente raggiungono quelle
precedenti e nel punto in cui si congiungono si concentra tutta l‟energia trasportata col
risultato del fragoroso “bang sonico” che si percepisce quando un aereo supera il cosiddetto “muro del suono”.
Superata questa velocità il fenomeno cessa perché le onde successive sopravanzano
quelle precedenti. Inoltre il suono emesso non viene più percepito da chi si trova
sull‟aereo perché questo si muove ad una velocità maggiore.
Onde sonore e ostacoli
Quando un‟onda sonora incontra un ostacolo si possono verificare vari fenomeni a seconda della natura e della dimensione dell‟ostacolo, come sinteticamente indicato nella
Figura 15.
Se l‟ostacolo è di piccole dimensioni l‟energia trasportata dall‟onda sonora lo va vibrare
creando in alcuni casi il fenomeno della risonanza che esamineremo meglio qui di seguito.
Se l‟ostacolo è di grandi dimensioni l‟energia dell‟onda sonora può essere in parte assorbita e in parte riflessa come più dettagliatamente descritto più avanti.
Risonanza acustica
Se un‟onda sonora incontra un ostacolo di piccole dimensioni questo viene investito
dall‟energia trasportata dall‟onda ma, in genere, essendo questa energia molto piccola il
corpo investito dall‟onda non subisce alcun effetto.
Se però la frequenza propria del corpo investito è uguale a quella del‟onda il corpo comincia a vibrare e, dopo poco, emette anch‟esso un suono con la stessa frequenza. Si dice in questo caso che il corpo è in risonanza con l‟onda.
Questo fenomeno può essere verificato con un semplice esperimento illustrato nella Figura 16. Due diapason uguali, aventi cioè la stessa frequenza, sono disposti uno vicino
all‟altro. Uno dei due viene percosso dal martelletto e comincia a emettere il suono corrispondente alla sua frequenza. Dopo un po‟ di tempo il secondo diapason comincia a
vibrare e ad emettere un suono anch‟esso, pur non essendo stato percosso e continua a
vibrare anche se la vibrazione del primo diapason viene fermata.
L‟energia sonora si è trasmessa dal primo al secondo oggetto. Condizione essenziale però è che la frequenza caratteristica del secondo oggetto sia uguale a quella del primo
perché solo in questo un impulso successivo dell‟onda sonora trova i rebbi del diapason
nella giusta posizione per assorbirlo.
È qualcosa di simile a quello che succede per un‟altalena. Per mantenere in movimento
un‟altalena bastano degli impulsi successivi piccoli ma dati al momento giusto, cioè nel
momento in cui l‟altalena, giunta al punto più alto della corsa, comincia a tornare indietro. L‟impulso va dato cioè in concomitanza o in risonanza o in fase col periodo tipico
dell‟altalena. Dato invece in un momento diverso l‟altalena viene frenata.
Il fenomeno della risonanza è molto importante anche perché permette ad un apparecchio ricevitore di captare le onde sonore che lo investono.
A destra della Figura 16 è indicata, estremamente schematizzata, quella che si ritiene
possa essere la conformazione della parte dell‟orecchio che capta i suoni: una serie di
fibre nervose di diversa lunghezza, ciascuna con una sua frequenza caratteristica, che
entra in risonanza con l‟onda sonora in arrivo.
15
Effetto Doppler
A
B
C
D
E
Figura 13
Il muro del suono
BANG
Figura 14
16
Suono contro ostacolo
Onda che incontra un ostacolo
Di piccole dimensioni
Di grandi dimensioni
Vibra
Emette
Assorbe
Risonanza
Riflette
Eco
Rimbombo
Figura 15
La risonanza e l’orecchio
Figura 16
17
Riflessione del suono
Quando un‟onda sonora incontra un ostacolo di grandi dimensioni, per esempio un muro, viene in parte assorbita ed in parte riflessa da esso. Insorgono anche altri fenomeni
più complessi sui quali però non ci soffermeremo.
Della riflessione del suono abbiamo un‟esperienza diretta nel fenomeno familiare
dell‟eco: se un suono è emesso vicino a noi lo sentiamo immediatamente e, in alcuni casi, lo sentiamo una seconda volta dopo un po‟ di tempo come se provenisse da lontano e
da un‟altra direzione. Si tratta dell‟onda sonora che, riflessa da un ostacolo è ritornata
verso di noi dopo un certo tempo perché ha dovuto percorrere un cammino più lungo.
Come abbiamo detto, la velocità del suono nell‟aria è di 340 m/sec e quindi l‟eco di un
suono riflessa da un ostacolo posto a 170 metri di distanza giunge al nostro orecchio un
secondo dopo del suono stesso. Sembra un tempo brevissimo e invece è un tempo molto
lungo rispetto alla sensibilità dell‟orecchio umano, che è in grado di percepire suoni che
si susseguono anche ad intervalli molto più brevi. Anche di questo abbiamo esperienza
diretta: quando ci troviamo in una stanza vuota, le voci delle persone ci giungono direttamente e poi, quasi subito, riflesse dalle pareti creando quella fastidiosa sensazione che
chiamiamo rimbombo.
Quest‟ultimo fenomeno, in particolare, deve essere assolutamente ostacolato in un auditorio per impedire che la musica o le parole giungano distorte all‟orecchio degli ascoltatori e, a tal fine, una grande cura è posta dagli architetti nel progettare le volte e le pareti
di questi ambienti.
La riflessione del suono che incontra un ostacolo può essere assimilato al rimbalzo di
una palla che urta contro una parete.
Consideriamo una sorgente A che emette un treno di onde sonore, Figura 17.
Un ascoltatore disposto in B riceve immediatamente l‟onda diretta proveniente da A.
Se però esiste un muro ad una certa distanza d, il treno d‟onde, che si propaga in tutte le
direzioni, incontra il muro e ne viene riflesso. Consideriamo, per semplicità, due sole
direzioni: una incontra la parete formando un angolo, i, con la perpendicolare alla parete
nel punto di incidenza e viene riflessa in una direzione che forma con la perpendicolare
un angolo, r, uguale all‟angolo i; l‟altra incide con un angolo i’ e viene riflessa con un
angolo r’ uguale a i’. Gli angoli i ed r si chiamano rispettivamente angolo di incidenza e
angolo di riflessione e, come sperimentalmente provato, sono uguali. Le onde riflesse
giungono all‟ascoltatore come se provenissero da un punto A‟ simmetrico di A rispetto
al muro e con un certo ritardo rispetto all‟onda diretta a causa del percorso più lungo
che devono percorrere.
Un‟applicazione pratica del fenomeno della riflessione sonora si ha nell‟ecogoniometro,
un apparecchio utilizzato per la misura della profondità del mare.
Il principio di funzionamento è molto semplice ed è illustrato dalla Figura 18.
L‟apparecchiatura è montata su una nave ed è in grado di emettere e captare onde sonore. L‟onda sonora emessa in direzione verticale si muove verso il basso (freccia rossa) e
raggiunge il fondo marino da cui viene riflessa verso l‟alto (freccia blu) ancora in direzione verticale, cioè con lo stesso angolo di 90° dell‟onda incidente. L‟ecogoniometro
capta l‟onda riflessa e misura il tempo intercorso dall‟emissione dell‟onda incidente.
Poiché la velocità di propagazione del suono nell‟acqua è nota, si può calcolare lo spazio percorso che è, ovviamente, il doppio della profondità.
La velocità del suono nell‟acqua è di circa 5000 Km/h, ossia 1400 m/s, quindi il tempo
impiegato dall‟onda sonora, anche per profondità molto elevate, è dell‟ordine di pochi
secondi. Per esempio per una profondità di 1500 m (percorso del suono di 3000 m) il
18
Riflessione del suono
A’
d
i
d
r
i’i
r’
r
B
A
Figura 17
L’ecogoniometro
Figura 18
19
tempo impiegato è di 2,1 secondi, per cui la nave può effettuare le sue rilevazioni continuando a navigare, perché in un tempo così breve si è spostata solo di qualche metro.
In tal modo se i dati della profondità sono registrati automaticamente si ottiene direttamente il profilo altimetrico del fondo marino lungo la tratta percorsa dalla nave.
La Figura 19 mostra invece un‟altra applicazione pratica attualmente molto utilizzata
nella diagnostica medica: l‟ecografia. Un‟onda sonora ad alta frequenza, nel campo di
frequenze cioè non percepibili dall‟orecchio umano, viene indirizzata verso un organo
interno del corpo umano da cui viene riflessa con maggiore o minore intensità a seconda
del rapporto della parte assorbita rispetto a quella riflessa.
L‟onda riflessa, può essere captata, inviata ad uno schermo e fotografata. Essa rivela la
presenza di eventuali corpi estranei nelle parti molli di un organo, che a volte possono
anche essere la conferma della stupenda presenza di un bambino che si sta formando nel
ventre della propria mamma.
La Figura 20 infine mostra l‟accurata disposizione di elementi geometrici nella volta
della sala di un teatro per minimizzare il fenomeno del rimbombo e ottimizzare le caratteristiche acustiche dell‟ambiente.
20
Ecografia
Figura 19
Acustica architettonica
Figura 20
21
Ottica
Generalità
L‟ottica è quella parte della fisica che studia la luce ed i fenomeni luminosi.
Per secoli l‟uomo si è chiesto cosa fosse la luce e, sembrerà strano, ancora oggi gli
scienziati continuano a chiederselo, perché nonostante ci siano ormai delle teorie ben
fondate sia dal punto di vista teorico che delle esperienze pratiche, rimane ancora qualche aspetto che si presta ad ulteriori approfondimenti.
Come per tutti i fenomeni fisici, gli studi sull‟essenza della luce furono affrontati con
l‟approccio sperimentale solo dopo Galileo.
Sulla luce tuttavia si svilupparono due diverse teorie, ciascuna delle quali sembrava
spiegare abbastanza bene la natura dei fenomeni luminosi: la “teoria ondulatoria” e la
“teoria corpuscolare”.
Secondo la teoria ondulatoria la luce è una forma di energia che origina nel sole e si
propaga nell‟universo con un moto ondulatorio simile a quello che abbiamo visto per le
onde sonore. Il punto debole di questa teoria è che le onde meccaniche hanno bisogno di
un mezzo per propagarsi e fra il sole e la terra non esiste un mezzo fluido e tantomeno
solido che può fare da tramite per questo tipo di moto. Per ovviare a questa difficoltà i
sostenitori di questa teoria supposero che un tale fluido esistesse, lo chiamarono “etere”
e ammisero che esso riempiva tutti gli spazi dell‟universo non occupati dai corpi celesti.
Ma di questo fluido nessuno riuscì mai a definire le caratteristiche fisiche o chimiche.
La teoria corpuscolare considera anch‟essa la luce come una forma di energia che origina nel sole, ma la sua propagazione nell‟universo avviene tramite una serie di corpuscoli
piccolissimi dotati di moto rettilineo uniforme, secondo il noto principio di inerzia introdotto da Galileo. Il moto di questi corpuscoli avviene con velocità elevatissima e non
ha bisogno di nessun fluido per propagarsi.
Le due teorie convissero per molto tempo sostenute e caldeggiate da scienziati molto
autorevoli e gli esperimenti escogitati per dimostrare la veridicità dell‟una o dell‟altra
furono innumerevoli ma, per molto tempo, non decisivi. La teoria corpuscolare sembrava più semplice ma gli esperimenti portavano sempre nuovi argomenti alla teoria ondulatoria, per la quale tuttavia restava l‟enorme difficoltà di definire con precisione cosa
fosse l‟etere.
Fu solo verso la metà del secolo XIX che Maxwell5, nei suoi studi sui campi elettromagnetici, dimostrò che le onde elettromagnetiche non hanno bisogno di un supporto meccanico per propagarsi e si propagano anche nel vuoto.
Fu questo il punto di svolta decisivo a favore della teoria ondulatoria: la luce è una forma di energia che si trasmette con un moto ondulatorio di tipo elettromagnetico.
Un‟altra differenza rispetto al moto ondulatorio del suono è che la vibrazione dell‟onda
luminosa avviene trasversalmente rispetto alla propagazione del moto, mentre la vibrazione sonora è di tipo longitudinale.
5
James Clerk Maxwell (1831-1879) matematico e fisico scozzese
23
Capitolo 3 – La luce
La luce dunque è un fenomeno ondulatorio, di tipo elettromagnetico, con vibrazioni trasversali rispetto alla direzione di propagazione del moto.
La prima constatazione, che sembrerà molto strana, è che l‟occhio umano non è in grado
di vedere le onde luminose, così come non vede le onde sonore.
L‟occhio umano vede la sorgente luminosa ma non l‟onda di luce che da essa proviene.
Ci sono due tipi di sorgenti luminose: le sorgenti “primarie” e le sorgenti “secondarie”.
Sorgenti primarie sono quelle che producono l‟energia luminosa mediante la trasformazione di un‟altra forma di energia (l‟energia nucleare nel sole e nelle stelle, l‟energia
chimica in un corpo che brucia, l‟energia elettrica in una lampadina, ecc.). Le sorgenti
secondarie sono quelle che assorbono e riflettono l‟energia che ricevono da una sorgente
primaria: la luna che riflette l‟energia solare, un corpo illuminato dalla luce emessa da
una lampadina ecc.
Si potrebbe obiettare che in una camera buia si vede a volte un fascio di luce filtrare attraverso un‟imposta socchiusa e in questo caso dunque l‟onda luminosa è visibile, ma in
effetti non si tratta dell‟onda luminosa ma delle miriadi di particelle del pulviscolo atmosferico che, investite dalla luce del sole, diventano sorgenti riflettenti. Se infatti si togliesse completamente il pulviscolo dall‟aria della stanza, si vedrebbe una parte di pavimento o di parete illuminata ma non il fascio di luce che attraversa la stanza e la illumina.
L‟onda comunque esiste e la sua esistenza può essere provata con un esperimento semplice, ma che richiede un‟apparecchiatura complessa per essere eseguito.
Si è già visto, nel caso delle onde sonore, che due onde si possono sovrapporre dando
luogo ad un‟onda che in ogni punto è la somma delle due onde.
Se dunque si sovrappongono due onde in contrapposizione di fase, cioè di cui una presenta un avvallamento in corrispondenza di una cresta dell‟altra e viceversa, la somma
delle due onde è nulla.
Nel caso di onde luminose ciò significa che luce più luce deve dare buio, e nel caso delle onde sonore suono più suono deve dare silenzio. Ebbene in entrambi i casi ciò si verifica quando le onde sono in contrapposizione di fase.
Ciò premesso, quando nelle descrizioni che seguono parleremo di un raggio luminoso
intenderemo parlare della direzione della propagazione dell‟onda luminosa. L‟uso della
direzione di propagazione anziché dell‟onda rende più semplice, ma altrettanto valida,
la spiegazione di alcuni fenomeni.
Consideriamo un‟onda luminosa che incontra un ostacolo.
A seconda della natura dell‟ostacolo (Figura 21):
24
Luce contro ostacolo
Luce che
incontra un
ostacolo
Assorbita
Opaco
Attraversa
Trasparente
Riflessa
Riflettente
Figura 21
Riflessione e complanarità
i
r
Figura 22
25
una parte dell‟onda è assorbita e quando questa parte è preponderante si dice che
l‟ostacolo è “opaco” (per es. un muro)
una parte dell‟onda lo attraversa e quando questa parte è preponderante si dice
che l‟ostacolo è “trasparente” (per es. una lastra di vetro)
una parte dell‟onda è riflessa e quando questa parte è preponderante si dice che
l‟ostacolo è “riflettente” (per es. una distesa d‟acqua)
La riflessione della luce
La legge di riflessione della luce è uguale a quella del suono: il raggio riflesso (cioè la
direzione di propagazione dell‟onda riflessa) forma con la perpendicolare al piano riflettente nel punto di incidenza un angolo, r, uguale a quello, i, del raggio incidente. Inoltre
il raggio incidente, il raggio riflesso e la perpendicolare giacciono nello stesso piano,
come indicato nella Figura 22.
Senza saperlo abbiamo applicato questa legge ogni volta che, da bambini, abbiamo giocato con uno specchietto per abbagliare un amico con la luce del sole. Per riflettere il
raggio proveniente dalla direzione del sole verso gli occhi dell‟amico abbiamo dovuto
orientare lo specchietto in modo che fosse verificata l‟eguaglianza degli angoli e la
complanarità descritte sopra.
Diffusione
Un ostacolo opaco è in genere un corpo con una superficie scabrosa. In questo caso la
superficie del corpo è discontinua e può essere assimilata ad un insieme di piccole superfici contigue orientate in tutte le direzioni.
Se quindi un fascio di luce colpisce il corpo, ognuna di queste piccole superfici ne riflette una parte, secondo la legge esposta sopra, ma ciascuna in una direzione diversa a seconda del suo orientamento. Pertanto il fascio di luce incidente viene riflesso in tutte le
direzioni dando origine al fenomeno che si chiama “diffusione”.
La Figura 23 mostra come avviene questo fenomeno su una superficie la cui scabrosità,
per chiarezza, è stata molto ingrandita.
In effetti, per poter definire cosa avviene dell‟onda riflessa, occorre confrontare la scabrosità della superficie con la lunghezza d‟onda λ dell‟onda che la colpisce. Per spiegarci meglio, consideriamo la scabrosità di una superficie come un susseguirsi di creste e
avvallamenti e che si misuri la scabrosità come la distanza fra due creste o fra due avvallamenti. Potremmo definire la media di queste distanze come la lunghezza d‟onda
della scabrosità. Se questa è minore della lunghezza d‟onda che incide, la superficie si
comporta come una superficie liscia rispetto all‟onda e la riflette in un‟unica direzione.
Se invece la distanza fra le creste della scabrosità è maggiore della lunghezza d‟onda
che incide, la superficie la riflette in molte direzioni, cioè la diffonde.
Una stessa superficie quindi può risultare diffondente per certe lunghezze d‟onda e riflettente per lunghezze d‟onda maggiori, per esempio un muro diffonde la luce che ha
una lunghezza d‟onda molto bassa ma riflette le onde radio che hanno invece lunghezze
d‟onda molto maggiori.
Per fare un esempio molto banale, si pensi ad una parete molto rugosa. Se contro questa
parete si lancia una pallina di piccolo diametro è molto probabile che colpisca una cresta
e rimbalzi in modo imprevedibile. Se invece sulla stessa parete si lancia un pallone da
calcio il suo rimbalzo sarà regolare ed in una direzione prevedibile.
26
Diffusione della luce
λmuro
λluce
λsuono
Figura 23
Riflessione della luce. Specchio piano
A’
d
i
d
r
i’
r’
A
B
Figura 24
27
C
Gli specchi
Una superficie riflettente per antonomasia è lo specchio, oggetto a noi molto familiare,
ma che si presta ad essere esaminato con un po‟ di attenzione.
La superficie levigata che riflette, come è noto, è la sottile lamina metallica, solitamente
d‟argento, applicata sulla faccia posteriore dello specchio.
Lo specchio più comunemente utilizzato è lo specchio piano, la cui superficie riflettente
è appunto piana, ma esistono e si utilizzano anche specchi curvi, le cui lamine riflettenti
sono superfici aventi varie curvature, alcuni dei quali saranno esaminati più avanti.
Prima di procedere ricordiamo che l‟occhio umano vede un oggetto in una posizione situata nella direzione da cui arriva il raggio luminoso. Se quindi si tratta di un raggio riflesso da una superficie l‟occhio vede l‟oggetto come se si trovasse dietro la superficie
riflettente e non nella posizione in cui effettivamente si trova.
La Figura 24 mostra quanto si è appena detto.
Un oggetto è posto in una certa posizione A davanti ad uno specchio piano. Un osservatore posizionato in B può vedere l‟oggetto o direttamente, con i raggi luminosi che arrivano direttamente dall‟oggetto al suo occhio, o indirettamente con i raggi riflessi dallo
specchio. Nel secondo caso all‟osservatore giunge un raggio che è arrivato sullo specchio con un angolo di incidenza “i” ed è stato riflesso con un angolo “r”, uguale a “i”.
L‟osservatore vede quindi un altro oggetto uguale al primo ma posto dietro lo specchio
in un punto A‟ sul prolungamento del raggio giunto al suo occhio.
Questa immagine si chiama “virtuale” perché in realtà non esiste. Infatti se dietro lo
specchio si pone uno schermo nella posizione in cui si vede l‟immagine, su di esso non
si forma alcuna immagine 6.
L‟immagine virtuale è simmetrica dell‟immagine reale, rispetto allo specchio, ossia ogni
punto dell‟immagine virtuale si trova ad una distanza (d) dallo specchio uguale alla distanza del corrispondente punto dell‟oggetto reale.
Inoltre la posizione dell‟immagine non dipende dalla posizione dell‟osservatore ma solo
dalla posizione dell‟oggetto rispetto allo specchio. Infatti se l‟osservatore si sposta in un
altro punto, C, l‟immagine resta nella stessa posizione e l‟osservatore la vede da una angolazione diversa.
Fra i vari tipi di specchi curvi esamineremo ora solo quelli sferici, formati cioè da una
calotta sferica come quella illustrata nella Figura 25.
La superficie riflettente può essere quella interna o quella esterna della calotta. Se la superficie riflettente è quella interna lo specchio si chiama “concavo”, se è quella esterna
lo specchio si chiama “convesso”.
La retta che passa per il vertice A della calotta ed il centro C della sfera si chiama “asse
ottico” dello specchio, mentre l‟angolo α compreso fra i raggi che delimitano la calotta
si chiama “ampiezza” dello specchio.
La calotta mostrata nella figura è molto più ampia di quanto normalmente usato per gli
specchi sferici, ma è stata disegnata così solo per ragioni di chiarezza. Si noti che quanto più piccola è l‟ampiezza, cioè l‟angolo α, tanto meno visibile risulta la curvatura dello specchio, al punto che a volte per accorgersi che si tratta di uno specchio curvo bisogna guardare come appare l‟immagine.
6
Un‟immagine si chiama reale quando può essere raccolta su uno schermo, virtuale nel caso contrario.
Nel punto in cui si forma l‟immagine reale confluisce l‟energia trasportata dall‟onda luminosa ed è, infatti, quella che fa illuminare lo schermo, mentre nel punto in cui si forma l‟immagine virtuale non arriva
alcuna energia perché è stata interamente riflessa dalla superficie speculare.
28
Specchi curvi. Specchio sferico
Convesso
A
Concavo
r α
C
Figura 25
Specchio concavo. Punto lontano
F
Figura 26
29
C
Esaminiamo dapprima il comportamento degli specchi concavi, cioè quelli con la superficie interna riflettente.
La caratteristica peculiare di uno specchio concavo è che qualsiasi raggio parallelo
all‟asse dello specchio si riflette in uno stesso punto, che si chiama il “fuoco” dello
specchio.
Nella Figura 26 il fuoco è il punto F e la sua posizione si trova sull‟asse dello specchio
ad una distanza dal vertice dello specchio uguale alla metà del raggio.
Si tenga presente che quanto più distante è l‟oggetto luminoso dallo specchio tanto più
la direzione dei raggi tende a diventare parallela all‟asse, per cui sono praticamente paralleli i raggi che arrivano da un punto molto lontano come, ad esempio, il sole.
L‟immagine che si forma nel fuoco è un‟immagine reale, essa cioè può essere raccolta
su uno schermo e convoglia su di esso l‟energia trasportata dall‟onda luminosa.
Nel caso dei raggi provenienti dal sole la quantità di energia che si concentra nel fuoco
dello specchio è talmente elevata che può far bruciare un materiale incendiabile che
venga collocato in quel punto.
È proprio su questo principio che si basa uno dei dispositivi con cui si raccoglie
l‟energia solare utilizzata per la produzione di energia elettrica.
La Figura 27 mostra un‟immagine schematizzata di un tale dispositivo. Gli specchi di
questa struttura sono parabolici non sferici, ma il funzionamento è analogo. I raggi solari sono riflessi nel fuoco dello specchio come immagine reale e come trasportatori di
energia. In questa zona è posizionato un tubo all‟interno del quale circola un liquido che
assorbe l‟energia riscaldandosi fino a temperature che superano i 450°C.
Il liquido passa poi in altre apparecchiature, non indicate nella figura, dove l‟energia
termica viene trasformata in energia elettrica e distribuita alle utenze finali.
La Figura 28 mostra un‟installazione industriale con l‟insieme di elementi di questo tipo
necessari per raccogliere energia solare in quantità significative.
Se la sorgente luminosa non è così lontana da poter considerare paralleli i raggi luminosi provenienti da essa, l‟immagine che si forma non è puntiforme e non è concentrata
nel fuoco dello specchio. La Figura 29 mostra un metodo grafico per determinare come
e dove si forma l‟immagine di un oggetto.
Premettiamo che ogni punto di una sorgente luminosa, diretta o indiretta, emette onde
luminose che si propagano in linea retta in tutte le direzioni dello spazio. Noi consideriamo queste direzioni come raggi luminosi emessi dall‟oggetto perché questa assimilazione permette di spiegare più facilmente i fenomeni ottici e risulta sufficientemente
precisa per determinarne gli effetti pratici.
Aggiungiamo ancora che se di uno specchio curvo consideriamo una superficie piccolissima questa può essere assimilata a una superficie piana e quindi la riflessione dei
raggi luminosi segue in ogni punto dello specchio curvo la legge della riflessione degli
specchi piani, ossia l‟angolo incidente, i, formato dal raggio con la perpendicolare allo
specchio in quel punto è uguale all‟angolo, r, del raggio riflesso e,inoltre, il raggio incidente, il raggio riflesso e la perpendicolare giacciono sullo stesso piano.
Infine notiamo che se degli infiniti raggi emessi da un punto ed incidenti sullo specchio
ne individuiamo due di cui sia agevole determinare i corrispondenti raggi riflessi, risulta
anche agevole determinare la posizione dell‟immagine del punto.
Ciò premesso, chiariamo quanto detto con l‟esempio illustrato nella Figura 29.
Da un punto P, posto sull‟asse ottico, consideriamo un raggio che incide sullo specchio
in un punto P‟. Portiamo in questo punto la perpendicolare alla superficie dello specchio
(che è una retta che passa per il centro dello specchio) e tracciamo il raggio riflesso in
30
Collettore termico parabolico
Struttura portante
Specchio parabolico
Tubo di assorbimento
Figura 27
Impianto di energia solare
Figura 28
31
modo che formi con la perpendicolare lo stesso angolo del raggio incidente e nello stesso piano che questo forma con la perpendicolare.
Consideriamo poi un altro raggio dal punto P che coincida con l‟asse ottico. Questo viene riflesso su sé stesso perché è perpendicolare allo specchio. Il punto Q quindi in cui il
raggio riflesso considerato precedentemente incontra l‟asse ottico è l‟immagine del punto P.
Si può dimostrare che se chiamiamo p la distanza del punto P dallo specchio, q la distanza del punto Q e f la distanza focale, fra queste grandezze sussiste la relazione
Poniamo ora un oggetto davanti ad uno specchio concavo, oltre il centro ottico e in modo che l‟estremo P si trovi sull‟asse dello specchio (Figura 30). Cominciamo a considerare l‟altro estremo B dell‟oggetto e vediamo dove si va a formare la sua immagine. Di
tutti gli infiniti raggi uscenti da B e incidenti sullo specchio, prendiamo quello parallelo
all‟asse ottico; come sappiamo questo raggio si riflette passando per il fuoco F. Prendiamo ora un altro raggio uscente da B e passante per il centro ottico dello specchio C.
Questo raggio, essendo sovrapposto ad un raggio della sfera a cui appartiene lo specchio
è perpendicolare allo specchio stesso e quindi si riflette su sé stesso. I due raggi riflessi
si incontrano in B‟ ed in questo punto si forma l‟immagine del punto B riflessa dallo
specchio. Se continuiamo ad applicare questa costruzione a tutti i punti dell‟oggetto,
compresi fra B e P, otteniamo l‟immagine QB‟ riflessa dallo specchio. Diciamo subito
che si tratta di un‟immagine reale che può essere quindi raccolta su uno schermo e che
trasporta l‟energia luminosa emessa da BP.
Notiamo innanzi tutto che l‟immagine è capovolta, è rimpicciolita ed è posizionata fra il
fuoco ed il centro dello specchio. Più precisamente si può dimostrare che, detta q la distanza dell‟immagine dal vertice dello specchio, p la distanza dell‟oggetto dal vertice
dello specchio e f la distanza focale, risulta ancora una volta che:
che, per un determinato specchio di distanza focale f permette di calcolare la posizione
in cui si forma l‟immagine, conoscendo la posizione in cui si pone l‟oggetto. Da questa
relazione si vede anche che se l‟oggetto è posto molto lontano, cioè p è molto grande,
1/p è molto piccolo e può essere trascurato, per cui la relazione diventa:
che significa che l‟immagine è posizionata proprio nel fuoco, come avevamo appunto
visto nella Figura 26.
Si può dimostrare inoltre e si può verificare sperimentalmente che se indichiamo con H
una dimensione dell‟oggetto, per esempio la sua altezza, e con h la corrispondente dimensione dell‟immagine, esiste la relazione:
32
Specchio concavo. Punto vicino
(Oltre il centro ottico)
P’
C
Q
F
P
f
q
p
Figura 29
Specchio concavo
(Oggetto oltre il centro ottico)
B
H
F
C
Q
h
f
q
B’
p
Figura 30
33
P
La posizione dell‟immagine si sposta dal fuoco verso il centro man mano che l‟oggetto
si sposta dalle posizioni più lontane e si avvicina al centro. Quando l‟oggetto è nel centro dello specchio anche l‟immagine si forma nel centro dello specchio, ma è capovolta
rispetto all‟oggetto.
Esaminiamo ora come si forma l‟immagine di un oggetto posto fra il centro ottico e lo
specchio distinguendo ancora due casi: quello in cui l‟oggetto sia posizionato fra il centro e il fuoco e quello in cui sia posizionato fra il fuoco e lo specchio.
Il primo caso si risolve facilmente applicando un principio che non abbiamo ancora enunciato: il principio dell‟invertibilità del cammino ottico. Questo principio, che ha trovato piena conferma sperimentale, afferma che il cammino che un raggio luminoso percorre in una certa direzione è uguale a quello che percorre nella direzione opposta. In
altre parole la posizione dell‟immagine e dell‟oggetto sono intercambiabili.
Risulta agevole riscontrare infatti che la Figura 31 risulta analoga alla Figura 30 con
l‟unica differenza che la posizione dell‟oggetto e dell‟immagine sono scambiate. Ciò
comunque è risultato dopo aver posto l‟oggetto in P ed aver applicato gli stessi criteri
che abbiamo già visto prima per la determinazione dell‟immagine. Anche le relazioni
che legano i parametri p, q, f, H, h restano uguali a quelle menzionate sopra.
Sempre per il principio di inversione del cammino ottico si ha che se l‟oggetto è posizionato proprio nel fuoco, i raggi riflessi dallo specchio sono paralleli all‟asse ottico e
l‟immagine si forma all‟infinito.
Un‟applicazione pratica di questo principio si trova nei fari abbaglianti delle macchine o
nei riflettori. In queste apparecchiature la sorgente luminosa è posta nel fuoco dello
specchio e quindi il fascio luminoso riflesso è formato da raggi di luce paralleli all‟asse
ottico.
Esaminiamo ora il caso in cui l‟oggetto sia posizionato fra il fuoco e lo specchio. Anche
in questo caso possiamo ricercare la posizione dell‟immagine determinando i punti di
incontro di particolari raggi. La relativa costruzione grafica è illustrata nella Figura 32.
Sia PB l‟oggetto posizionato fra il fuoco e lo specchio. Prendiamo il raggio dal punto B
che passa per il fuoco: il relativo raggio riflesso è quindi parallelo all‟asse ottico e, nella
figura, è diretto verso destra dello specchio. Prendiamo ora un secondo raggio uscente
dal punto B e passante per il centro C dello specchio. Come abbiamo già visto questo
raggio è riflesso su se stesso e, nella figura, è diretto anch‟esso verso destra.
Appare evidente che i due raggi riflessi sono divergenti e quindi non si incontrano. Si
incontrano invece i loro prolungamenti, ma dietro lo specchio, a sinistra nella figura.
L‟immagine si forma quindi nel punto B‟ che non è un punto d‟incontro di raggi riflessi,
ma solo dei loro prolungamenti. Per questa ragione l‟immagine del punto B che si forma
in B‟ è un‟immagine virtuale.
Ripetendo la stessa costruzione per gli altri punti dell‟oggetto BP si può costruire la sua
immagine completa QB‟, anch‟essa virtuale.
Notiamo in questo caso che l‟immagine è diritta ed è ingrandita rispetto all‟oggetto originale. Inoltre, anche in questo caso, si può dimostrare che fra la sua posizione rispetto
allo specchio, q, la posizione dell‟oggetto, p, e il fuoco dello specchio, f, esiste la stessa
relazione già vista in precedenza 7, cioè:
7
Per convenzione quando l‟immagine è virtuale la sua distanza q dallo specchio si assume negativa.
34
Specchio concavo
(Oggetto fra centro e fuoco)
h
F
C
P
Q
H
f
p
q
Figura 31
Specchio concavo
(Oggetto fra fuoco e specchio)
B’
B
h
H
Q
P
p
f
q
Figura 32
35
F
C
Anche fra la dimensione dell‟oggetto e quella dell‟immagine la relazione è analoga a
quella precedente, cioè l‟immagine virtuale è tanto più grande quanto più vicino al fuoco è l‟oggetto.
Passiamo ora ad esaminare come avviene la riflessione negli specchi convessi.
Come abbiamo già detto uno specchio convesso ha la superficie riflettente esterna alla
sfera a cui appartiene la calotta sferica.
Consideriamo anche in questo caso, Figura 33, un fascio di raggi paralleli all‟asse ottico
dello specchio che incide sulla superficie riflettente. Le direzioni dei corrispondenti raggi riflessi, determinate con la solita legge della riflessione, sono divergenti rispetto
all‟asse ottico e i loro prolungamenti passano tutti per il fuoco della lente che è quindi il
punto in cui si forma l‟immagine, ovviamente virtuale.
La Figura 34 mostra invece la riflessione di un oggetto in uno specchio convesso. Ripetendo la costruzione grafica già adottata per i casi precedenti si rileva che l‟immagine
dell‟oggetto si forma dietro lo specchio, cioè è un‟immagine virtuale. Si nota inoltre che
essa è posizionata fra lo specchio ed il fuoco, è diritta ed è rimpicciolita. La sua posizione è tanto più vicina al fuoco e tanto più piccola quanto più distante è l‟oggetto dallo
specchio.
Tutte le immagini quindi che si formano per riflessione su uno specchio convesso sono
virtuali. Anche in questo caso valgono le relazioni fra distanza dell‟oggetto, distanza
dell‟immagine, distanza focale e dimensioni dell‟oggetto e dell‟immagine viste sopra.
La rifrazione della luce
Vediamo ora il caso in cui un raggio luminoso colpisca un ostacolo trasparente. Abbiamo visto che un ostacolo si definisce trasparente quando una parte preponderante del
raggio luminoso passa attraversa l‟ostacolo. In termini diversi potremmo dire che ci apprestiamo ad esaminare il comportamento di un raggio luminoso che passa da un mezzo
trasparente in cui si sta propagando ad un altro mezzo trasparente che incontra sul suo
percorso. Per esempio un raggio luminoso che si sta propagando nell‟aria e che incontra
sul suo percorso uno specchio d‟acqua in cui continua a propagarsi.
Quello che accade è che il raggio luminoso nel punto in cui passa da un mezzo all‟altro
cambia direzione come schematicamente indicato nella Figura 35.
Se chiamiamo i l‟angolo di incidenza, cioè l‟angolo che la direzione del fascio luminoso
forma con la perpendicolare alla superficie di separazione nel punto di incidenza, r
l‟angolo che la direzione del raggio deviato forma con la stessa perpendicolare si nota
che questi due angoli sono diversi fra loro e, nel caso del passaggio del raggio dall‟aria
all‟acqua, r è minore di i, cioè il raggio luminoso, passando dall‟aria all‟acqua si avvicina alla perpendicolare.
Questo fenomeno si chiama “rifrazione” del raggio luminoso.
Gli angoli i e r sono legati da una relazione molto semplice, anche se riferita ad una loro
funzione trigonometrica 8, che ha come significato fisico la caratteristica che per ogni
8
36
Specchio convesso
(Oggetto lontano)
F
C
F
C
Figura 33
Specchio convesso
(Oggetto vicino)
H
h
P
Q
q
p
f
Figura 34
37
coppia di mezzi trasparenti (in questo caso aria-acqua) ad ogni angolo di incidenza corrisponde un solo angolo di rifrazione e il numero che esprime questa costanza di comportamento si chiama “indice di rifrazione” (aria-acqua).
Anche nel caso della rifrazione poi, così come nella riflessione, il raggio incidente il
raggio rifratto e la perpendicolare giacciono in uno stesso piano.
Inoltre anche per la rifrazione vale il principio della reversibilità del raggio luminoso,
per cui un raggio luminoso che passa dall‟acqua all‟aria si allontana dalla perpendicolare e l‟indice di rifrazione fra i due mezzi è il reciproco di quello del cammino inverso. In
particolare nel caso aria acqua l‟indice di rifrazione aria-acqua è 1,33 mentre l‟indice
acqua-aria è 0.75 (1/1,33).
L‟effetto visivo del fenomeno della rifrazione ci è abbastanza familiare: se immergiamo
parzialmente un bastone nell‟acqua, il bastone ci appare come se fosse spezzato in corrispondenza della superficie dell‟acqua perché i raggi provenienti dalla parte sommersa
del bastone passando dall‟acqua all‟aria subiscono una deviazione che fa aumentare
l‟angolo che essi formano rispetto alla perpendicolare. Pertanto l‟osservatore vede la
parte sommersa del bastone sul prolungamento di tali raggi e non nella posizione in cui
effettivamente si trovano. La Figura 36 illustra il fenomeno.
La punta sommersa del bastone si trova in P. Il raggio di luce uscente da P incontra la
superficie di separazione acqua-aria formando con la perpendicolare in quel punto
l‟angolo i. Passando dall‟acqua all‟aria però il raggio si allontana dalla perpendicolare e
forma con essa l‟angolo r maggiore di i. L‟osservatore vede dunque la punta del bastone
lungo questa nuova direzione nel punto P 1. Lo stesso accade per tutti gli altri punti
sommersi del bastone per cui questo appare come se fosse spezzato e piegato in corrispondenza della superficie di separazione dei due mezzi.
C‟è un altro aspetto molto importante che riguarda la rifrazione ed è la sua correlazione
con la velocità di propagazione delle onde luminose.
Come si è visto a suo tempo per le onde sonore, anche le onde luminose si propagano
con una velocità diversa a seconda del mezzo in cui si muovono. A differenza delle onde sonore, che si propagano solo attraverso un mezzo materiale, le onde luminose si
propagano anche nel vuoto e la velocità di propagazione nel vuoto è di circa 300.000
Km/s9 (molto vicina a quella di propagazione nell‟aria che è di circa 298.000 Km/s).
Nei mezzi materiali (trasparenti) la velocità della luce è minore di quella nel vuoto, di
poco per l‟aria ma di valori più consistenti per gli altri mezzi. Per esempio nell‟acqua è
di circa 222.000 Km/s, nel vetro va da 175.000 a 200.000 Km/s a seconda del tipo di vetro, nel diamante è addirittura di circa 125.000 Km/s (Figura 37).
La connessione fra la rifrazione e velocità della luce consiste nel fatto, che è stato dapprima teoricamente previsto e poi sperimentalmente provato, che l‟indice di rifrazione
fra due mezzi trasparenti è uguale al rapporto delle velocità della luce nei due mezzi 10.
Anzi è stata proprio la prova sperimentale di questa previsione che ha rafforzato la tesi
della natura ondulatoria della luce rispetto alla tesi corpuscolare.
Torniamo ora alla rifrazione della luce nel passaggio da un mezzo più rifrangente ad
uno meno rifrangente11, per esempio luce che passi da un cristallo all‟aria.
La Figura 38 mostra un raggio di luce, indicato con 1, che attraversa un cristallo e incide
9
Il valore più preciso della velocità della luce nel vuoto finora determinato è di 299.792.458 m/s.
10
11
Dopo quanto si è detto si può ora precisare che un mezzo è più rifrangente di un altro se la velocità di
propagazione della luce in esso è inferiore a quella di propagazione nell‟altro.
38
La rifrazione
Aria
r
i
Acqua
r
i
r<i
r>i
Figura 35
Rifrazione – Effetto visivo
r
i
P1
P
Figura 36
39
Velocità della luce
300.000
Vuoto
Km/s
/
298.000
Aria
Velocità di
propagazione
Km/s
222.000
Acqua
Km/s
175-200.000
175
200 000
Km/s
Vetro
125.000
Diamante
Km/s
Figura 37
Riflessione totale
angolo limite
4
3
2 1
4
3
2
1
Figura 38
40
sulla sua superficie inferiore formando con la perpendicolare alla superficie in quel punto un certo angolo. Quando il raggio di luce passa dal cristallo all‟aria, cioè da un mezzo
più rifrangente ad uno meno, si allontana dalla perpendicolare formando con essa un
angolo maggiore.
Prendiamo ora un secondo raggio, indicato con 2, che incide sulla superficie di separazione con un angolo maggiore del raggio 1, anche il raggio emergente formerà un angolo maggiore del precedente.
Continuando a considerare raggi sempre più inclinati si arriverà ad un certo raggio, 3, il
cui raggio emergente sarà proprio adagiato sulla superficie inferiore del cristallo. Questo
è un caso limite oltre il quale cioè se si considera un raggio, 4, ancora più inclinato il
raggio non uscirà più dalla superficie inferiore del cristallo, ma sarà riflesso da questa
come da uno specchio.
Questo fenomeno si chiama “riflessione totale” e l‟angolo da cui comincia a manifestarsi si chiama “angolo limite.
Per angoli superiori all‟angolo limite, non si ha più una rifrazione ma una riflessione
che segue quindi la legge della riflessione. Il raggio 4 sarà riflesso con un angolo uguale
a quello del raggio incidente e giacerà nello stesso piano che questo forma con la perpendicolare.
Qualitativamente poi la riflessione così ottenuta è ancora migliore di quella di uno specchio, perché la quantità di luce riflessa (rispetto a quella assorbita) è percentualmente
maggiore di quella di uno specchio.
È per questa ragione che in molti strumenti ottici, binocoli, cannocchiali, macchine fotografiche ecc., quando c‟è bisogno di deviare i raggi luminosi si utilizzano prismi ottici
a riflessione totale piuttosto che normali specchi(Figura 39).
Un‟importante applicazione del principio della riflessione totale si ha nelle fibre ottiche
(Figura 40). Si tratta di sottili filamenti di materiale trasparente ad alto indice di rifrazione al cui interno i raggi luminosi procedono subendo delle riflessioni totali quando
incidono sulle pareti procedendo così da un estremo all‟altro del filamento anche se
questo non è disposto in linea retta.
Si possono in questo modo visualizzare oggetti posti in posizioni inaccessibili o trasmettere onde elettromagnetiche di vario tipo fra due punti, anche molto distanti, collegati con una o più fibre ottiche.
La più importante applicazione del primo tipo è costituita dalle sonde chirurgiche che
permettono di accedere e visualizzare organi interni del corpo umano.
Un esempio del secondo tipo è invece costituito dalle fibre ottiche usate per la trasmissione di dati nel settore di video e telecomunicazioni.
La luce ed i colori
Abbiamo visto, nel caso delle onde sonore, che l‟orecchio percepisce le diverse frequenze (o le diverse lunghezze d‟onda) come note musicali diverse. Le frequenze più
alte sono percepite come note acute, quelle più basse come note gravi.
Nel caso della luce le diverse frequenze (o le diverse lunghezze d‟onda) sono percepite
dall‟occhio come colori diversi.
Non dimentichiamo comunque che le onde sonore e le onde luminose fanno parte di due
tipi diversi di moti ondulatori, di tipo meccanico il primo, di tipo elettromagnetico il secondo. Inoltre le frequenze sonore udibili dall‟orecchio umano sono comprese fra 15 è
20.000 Hz mentre quelle luminose percepibili dall‟occhio sono comprese fra 400.000 e
41
Il prisma ottico
Figura 39
Le fibre ottiche
Figura 40
42
700.000 miliardi di Hz, frequenze quindi assolutamente diverse 12.
Alla frequenza di 4∙1014 Hz il colore percepito dall‟occhio è il rosso, alla frequenza di
7∙1014 il colore percepito è il violetto, alle frequenze intermedie crescenti dopo il rosso
si percepisce l‟arancione, il giallo, il verde, l‟azzurro, l‟indaco ed infine il violetto.
In realtà non c‟è uno stacco netto ma un passaggio graduale fra un colore e l‟altro.
E la luce bianca? La luce bianca in realtà non esiste ma, come vedremo fra poco, deriva
dalla composizione degli altri colori.
Quando abbiamo parlato della rifrazione non abbiamo detto, perché era prematuro, che
la velocità di propagazione della luce in un corpo trasparente dipende dalla frequenza (o
dalla lunghezza d‟onda) del fascio luminoso. Abbiamo sempre parlato di raggio luminoso, ma avremmo dovuto aggiungere monocromatico, ossia un raggio con una frequenza
ben definita. È infatti ai raggi monocromatici che si applica tutto quanto detto fin qui a
proposito della rifrazione.
Se infatti prendiamo un raggio di luce che sia formato dalla somma di due raggi con due
frequenze diverse la velocità di propagazione di questi due raggi in un mezzo trasparente è diversa e, poiché il cambiamento di direzione del raggio dipende dalla velocità di
propagazione, i due raggi sono deviati diversamente, ossia escono dal mezzo trasparente
in due direzioni diverse.
È proprio per questa ragione che si è visto che la luce bianca come tale non esiste, ma è
formata dalla somma di vari colori. Infatti se si prende un cristallo a forma di prisma triangolare come quello indicato in Figura 41 e su di esso si invia un raggio di luce bianca,
non solo, come ci aspettavamo, il raggio cambia direzione avvicinandosi alla perpendicolare (piega verso il basso nella figura), ma si suddivide anche in una serie di raggi che
nel nuovo passaggio dal cristallo all‟aria cambiano ancora direzione allontanandosi questa volta dalla perpendicolare (piegano ancora verso il basso nella figura) e si mostrano
diversamente colorati dal rosso, che è il colore che subisce la deviazione minore, al violetto che subisce la deviazione maggiore. In realtà i raggi non sono staccati l‟una
dall‟altro come, per chiarezza, è stato indicato nella figura ma c‟è un viraggio continuo
dal rosso al violetto che realizza l‟effetto che va sotto il nome di “dispersione della luce
bianca”.
In maniera vistosa questo fenomeno si manifesta anche in natura con l‟arcobaleno. In
questo caso la luce bianca è quella del sole ed il mezzo trasparente che crea la rifrazione
differenziata è l‟insieme delle minutissime gocce d‟acqua presenti nell‟atmosfera dopo
un temporale.
Anche se fra i due estremi di frequenze delle onde elettromagnetiche che si manifestano
sotto forme di onde luminose ci siano ben 300.000 miliardi di frequenze diverse, queste
sono solo una piccola parte delle frequenze delle onde elettromagnetiche conosciute.
La gamma di frequenze di tali onde infatti va da meno di 1000 Hz a oltre 1023 Hz.
La Figura 42 riporta la gamma delle frequenze e delle lunghezze d‟onda13 delle onde elettromagnetiche ed i relativi campi di impiego.
La luce bianca non è emessa solo dal sole, ma da qualsiasi sostanza solida portata
all‟incandescenza, come ad esempio il filamento di una lampadina. Una sostanza gassosa invece portata ad altissime temperature emette raggi luminosi solo su alcune lunghezze d‟onda caratteristiche di quella sostanza. L‟immagine di questi raggi raccolta su
12
I due numeri sono rispettivamente 4 e 7 seguiti da 14 zeri. La notazione scientifica normalmente usata
per questi numeri è 4∙1014 e 7∙1014.
13
Ricordiamo che frequenza f, lunghezza d‟onda λ e velocità di propagazione v nei moti ondulatori sono
legate dalla relazione
in cui v, per le onde elettromagnetiche, è di 3∙108 m/s.
43
Dispersione della luce bianca
rosso
arancione
giallo
verde
azzurro
violetto indaco
Figura 41
Frequenze e lunghezze d’onda
delle radiazioni elettromagnetiche
105
103
10 1 10-1
10-3
10-5
10-7
10-9
10-11
10-13
10-15
λ metri
f Hz
103
105
107
Onde lunghe
109
1011
1013
1015
Onde corte
Onde medie
r
o
s
s
o
g
i
a
l
l
o
Figura 42
44
1019
Raggi X
Ultravioletto
Infrarosso
a
r
a
n
c
i
o
n
e
1017
v
e
r
d
e
a
z
z
u
r
r
o
i
n
d
a
c
o
1021
1023
Raggi gamma
v
i
o
l
e
t
t
o
uno schermo si chiama “spettro di emissione” della sostanza e questa proprietà viene
sfruttata nei laboratori di analisi per rilevare la presenza anche di tracce minime della
sostanza nel materiale esaminato.
Un altro fenomeno importante è che una sostanza gassosa, investita da un raggio di luce
bianca, è capace di assorbire da essa quei raggi che hanno lunghezze d‟onda uguali a
quelle del suo schermo di emissione, per cui se dopo aver attraversato il gas la luce
bianca si fa passare attraverso un prisma e si raccoglie su uno schermo l‟immagine che
ne emerge si nota che nella posizione in cui dovrebbero essere i colori assorbiti si formano delle righe nere. Questa immagine si chiama “spettro di assorbimento” della sostanza e viene utilizzato anch‟esso per il riconoscimento delle sostanze.
Le lenti
Una lente è un corpo trasparente delimitato da almeno una superficie curva il cui scopo
in generale è quello di deviare il percorso dei raggi luminosi in modo da ingrandire,
rimpicciolire o altrimenti deformare l‟immagine degli oggetti.
Le lenti possono avere forme e dimensioni molto diverse e ciascuna si comporta in modo diverso al variare di questi parametri e del materiale di cui è costituita.
Le leggi che regolano il comportamento delle lenti sono molto complesse, a meno che
non si tratti di lenti particolarmente semplici cioè lenti sottili con superfici sferiche.
Nelle lenti di grande spessore (Figura 43) si verificano infatti, a causa della rifrazione,
sia delle distorsioni del raggio luminoso sia il fenomeno della dispersione della luce nei
suoi colori componenti per cui l‟immagine risulta distorta e modificata nei colori. Questi due problemi si chiamano rispettivamente “aberrazione ottica” e “aberrazione cromatica”.
In questa sede daremo alcune nozioni solo sulle lenti sottili con superfici sferiche, che
comunque costituiscono il tipo di lenti più diffuso nelle applicazioni comuni.
Innanzi tutto le lenti si dividono in due categorie: “lenti convergenti o convesse” e “lenti
divergenti o concave”. Le lenti della prima categoria hanno lo spessore dei bordi minore
dello spessore del centro della lente, mentre per le seconde lo spessore ai bordi è maggiore (Figura 44).
Se su una lente convergente (Figura 45) si invia un fascio di raggi paralleli all‟asse ottico, all‟uscita dalla lente i raggi convergono in un unico punto che si chiama “fuoco della
lente”. Se il fascio arriva dalla parte opposta anche i raggi uscenti dalla lente convergono dalla parte opposta in un altro “fuoco della lente” che si trova alla stessa distanza
dell‟altro dal centro dello spessore della lente anche se questa è piano-convessa. Una
lente convergente ha quindi due fuochi, uno da ciascuna parte della lente, e la loro distanza, f, dal centro della lente si chiama “distanza focale”.
Nel punto di convergenza dei raggi paralleli, cioè nel fuoco, si forma l‟immagine reale
della sorgente e si concentra tutta l‟energia trasportata dall‟onda luminosa.
In una lente divergente (Figura 46) se un fascio di raggi paralleli arriva sulla lente i raggi uscenti divergono e i loro prolungamenti passano per un punto posto dalla stessa parte da cui arrivano i raggi che è il fuoco della lente. Anche in questo caso il fenomeno
avviene allo stesso modo sia su uno che sull‟altro lato della lente e le due distanze focali
sono uguali. L‟immagine della sorgente però è un‟immagine virtuale.
Vediamo ora, nei due casi, come si forma l‟immagine di un oggetto posto ad una distanza non infinita.
Ci avvaliamo ancora di una costruzione geometrica usando, per ogni punto dell‟oggetto,
45
Lenti di grandi spessori
Figura 43
Categorie di lenti
Convergenti o convesse
Divergenti o concave
Spessore
Spesso
e maggiore
agg o e al
a centro
ce t o
Spessore minore al centro
Biconvessa
Piano-convessa
Biconcava
Figura 44
46
Piano-concava
Lenti convergenti – raggi paralleli
f
f
F
F
Figura 45
Lenti divergenti – raggi paralleli
f
f
F
F
Figura 46
47
alcuni raggi particolari, uno parallelo all‟asse ottico che emergendo passa per il fuoco,
l‟altro passante per il centro della lente e che emerge nella stessa direzione senza subire
variazioni14. L‟immagine del punto considerato si formerà nel punto in cui i due raggi
emergenti, o i loro prolungamenti si incontrano. Nel primo caso si tratta di un‟immagine
reale, nel secondo di un‟immagine virtuale. Ripetendo questa costruzione per un insieme di punti dell‟oggetto possiamo ricostruire l‟immagine che si forma.
Esaminiamo dapprima una lente convessa o convergente distinguendo quattro casi per
quanto riguarda la posizione dell‟oggetto:
1. L‟oggetto si trova ad una distanza dalla lente maggiore del doppio della distanza
focale 2f (Figura47). L‟immagine si forma dalla parte opposta dell‟oggetto, fra il
fuoco ed il doppio della distanza focale. Si tratta di un‟immagine reale, capovolta e rimpicciolita.
2. L‟oggetto si trova ad una distanza dalla lente uguale al doppio della distanza focale (Figura 48). L‟immagine si forma dalla parte opposta ad una distanza uguale a quella dell‟oggetto, cioè doppia della distanza focale. Si tratta ancora di
un‟immagine reale, capovolta e delle stesse dimensioni dell‟oggetto.
3. L‟oggetto si trova fra il doppio della distanza focale ed il fuoco (Figura 49).
L‟immagine si forma dalla parte opposta, ad una distanza maggiore del doppio
della distanza focale. Si tratta di un‟immagine reale, capovolta e ingrandita.
4. L‟oggetto si trova ad una distanza dalla lente minore della distanza focale, cioè
fra il fuoco e la lente (Figura 50). L‟immagine si forma dalla stessa parte
dell‟oggetto ad una distanza maggiore. Si tratta di un‟immagine virtuale, diritta
ed ingrandita.
In tutti i casi esaminati le relazioni che legano la posizione dell‟oggetto, quella
dell‟immagine, la distanza focale e le dimensioni dell‟immagine e dell‟oggetto sono le
stesse di quelle già viste per gli specchi curvi. Tali relazioni sono riportate sulle figure
stesse.
Per le lenti concave o divergenti invece l‟immagine è sempre virtuale e ci sono solo due
casi:
1. L‟oggetto si trova ad una distanza dalla lente maggiore della distanza focale (Figura 51). L‟immagine si forma fra il fuoco e la lente, dalla stessa parte
dell‟oggetto, ed è virtuale diritta e rimpicciolita.
2. L‟oggetto si trova fra il fuoco e la lente (Figura 52). L‟immagine si forma dalla
stessa parte dell‟oggetto, ad una distanza dalla lente maggiore della distanza focale ed è virtuale diritta e ingrandita.
I due casi confermano il principio dell‟invertibilità del cammino luminoso per cui oggetto e immagine sono intercambiabili. Anche per essi, come riportato nelle figure, sono
valide le relazioni già note.
Gli strumenti ottici usati nella pratica sono molto più complessi di quelli che abbiamo
fin qui illustrato. Essi sono formati da più lenti accoppiate e poste in posizioni opportune all‟interno dello strumento per riprodurre al meglio le immagini che rispondono agli
14
In realtà quando un raggio di luce passa dall‟aria a un mezzo trasparente diverso la sua direzione cambia per il fenomeno della rifrazione. Se però il mezzo è molto sottile, come abbiamo ipotizzato per la lente, la deviazione è molto piccola e può, con buona approssimazione, ritenersi nulla.
48
scopi che si vogliono ottenere.
Si hanno così cannocchiali, binocoli, microscopi, macchine fotografiche ecc. la cui
complessità e precisione diventano sempre maggiori grazie anche all‟avvento delle tecnologie digitali.
49
Lenti convergenti – poggetto>2f
f
f
f
f
H
A
F
F
B
h
p
q
1 1 1
+ =
p q f
H p
=
h q
Immagine reale
Figura 47
Lenti convergenti – poggetto=2f
f
f
f
f
H
A
F
F
B
h
p
1 1 1
+ =
p q f
1
1
1
+
=
2f 2f
f
q
H p
=
h q
Figura 48
50
H=h
Immagine reale
Lenti convergenti – 2f>poggetto>f
f
f
f
f
H
A
F
F
p
1 1 1
+ =
p q f
B
q
H p
=
h q
h
Immagine reale
Figura 49
Lenti convergenti – poggetto<f
f
f
f
f
h
H
A
F
F
B
p
q
1 1 1
+ =
p q f
H p
=
h q
Immagine virtuale
Figura 50
51
Lenti divergenti – poggetto >f
f
H
h
f
F
F
q
p
1 1 1
+ =
p q f
H p
=
h q
Immagine virtuale
Figura 51
Lenti divergenti – poggetto <f
f
h
f
H F
F
p
q
1 1 1
+ =
p q f
H p
=
h q
Immagine virtuale
Figura 52
52
Elettricità
e
Magnetismo
Generalità
Quando si parla di elettricità si pensa subito alla luce elettrica e indubbiamente questa è
stata fra le prime e più utili applicazioni dell‟elettricità. Ma, come sappiamo tutti, la luce
elettrica è entrata nelle nostre case solo verso l‟inizio del secolo scorso. Come mai? È
quindi da così poco tempo che si conosce l‟elettricità?
Sembra strano a dirsi ma, se al termine conoscere si attribuisce il significato suo proprio, bisogna ammettere che l‟elettricità è uno dei campi della fisica in cui le conoscenze si sono sviluppate solo da poco tempo.
Non che fenomeni di tipo elettrico non fossero stati mai osservati. Fin dall‟antichità si
era notato che una bacchetta d‟ambra, strofinata con un panno, riusciva ad attirare dei
corpi leggeri, ma si era propensi a credere che ciò derivasse da misteriose caratteristiche
magiche di tipo soprannaturale presenti in alcune sostanze. Un campo quindi che era
opportuno non approfondire.
L‟approccio razionale allo studio dei fenomeni naturali, introdotto da Galileo col metodo sperimentale, indusse molti fisici ad approfondire gli studi anche in questo campo e
non mancarono menti eccelse nel formulare ipotesi e teorie che consideravano
l‟elettricità come un fluido o uno stato d‟essere della materia o una caratteristica di alcuni materiali.
Il passaggio però da ipotesi puramente qualitative a teorie quantitativamente sperimentabili in laboratorio avvenne soltanto molto tempo dopo, grazie anche al miglioramento
sia delle macchine per effettuare gli esperimenti sia degli strumenti per misurare le
grandezze in gioco sia, soprattutto, della conoscenza della costituzione della materia e
delle strette connessioni con i fenomeni elettrici.
Si è quindi arrivati alla conclusione che l„elettricità è un insieme di fenomeni fisici in
cui intervengono “cariche elettriche” ferme o in movimento. Lo studio di questi fenomeni si suddivide quindi in due settori, l‟elettrostatica, che studia i fenomeni relativi alle
cariche elettriche in quiete e l‟elettrodinamica che studia i fenomeni relativi alle cariche
in movimento.
Esistono infine delle strette connessioni fra elettricità e magnetismo i cui fenomeni sono
studiati nel settore dell‟elettromagnetismo.
54
Capitolo 4 – Elettrostatica
Elettrizzazione
L‟elettrostatica è quella parte della fisica che studia i fenomeni elettrici connessi con le
cariche elettriche in quiete.
In realtà le cariche elettriche si muovono anche nei fenomeni studiati nell‟elettrostatica,
ma in modo discontinuo sotto forma di piccoli spostamenti o di scariche.
Il fenomeno di base che ha attratto l‟attenzione è che alcuni corpi strofinati con un panno acquistano la proprietà di attrarre altri corpi leggeri posti nelle loro vicinanze.
Ampliando un po‟ questo semplice esperimento si possono considerare varie alternative.
Per esempio (Figura 53): una bacchetta di resina strofinata con un panno di lana e avvicinata a dei pezzetti di carta li attira a sé; due bacchette di resina entrambe strofinate entrambe con un panno e poi avvicinate l‟una all‟altra si respingono; invece una bacchetta
di resina e una di vetro, entrambe strofinate separatamente e poi avvicinate, si attirano.
Inoltre se dei corpi leggeri sono attratti dalla bacchetta di resina sono respinti dalla bacchetta di vetro e viceversa.
Questi esperimenti indicano:
che alcuni corpi strofinati dal panno di lana acquistano una caratteristica diversa. Quando si trovano in questo stato si dice che sono “elettrizzati”
lo stato “elettrizzato” non è uguale per tutti i corpi, ma dipende dal materiale di
cui sono costituiti.
Esistono almeno due modi diversi di elettrizzazione e i corpi elettrizzati allo
stesso modo si respingono, quelli elettrizzati in modo diverso si attraggono.
Possiamo chiamare i due modi di elettrizzazione uno “positivo” e l‟altro “negativo”.
Tralasciando le interpretazioni che di questo fenomeno sono state date nel passato e di
cui si è fatto cenno in precedenza, l‟interpretazione attualmente condivisa è basata sulla
costituzione corpuscolare della materia.
La materia è costituita da un insieme di atomi e questi sono a loro volta costituiti da
particelle più piccole fra cui due particolarmente importanti si chiamano rispettivamente “protone” e “elettrone” (Figura 54). Queste due particelle sono, potremmo dire, “elettrizzate” in modo diverso: il protone positivamente, l‟elettrone negativamente. Il numero di protoni presenti nell‟atomo è uguale al numero di elettroni per cui dal punto di vista elettrico le cariche positive e negative si compensano e l‟atomo risulta elettricamente neutro. Così anche un corpo costituito da atomi elettricamente neutri è elettricamente
neutro anch‟esso.
Se ora strofiniamo una bacchetta di resina con un panno di lana, alcuni elettroni degli
55
Semplici esperimenti
resina
vetro
Figura 53
Costituzione corpuscolare della materia
Protone +
Elettrone Neutrone
Figura 54
56
atomi del panno di lana si staccano e si uniscono agli atomi della bacchetta di resina
che, avendo ora degli elettroni in eccesso, si caricano negativamente rendendo elettrizzata negativamente l‟intera bacchetta di resina.
Nel caso della bacchetta di vetro invece alcuni elettroni si staccano dagli atomi della
bacchetta di vetro e si attaccano agli atomi del panno di lana. In tal modo gli atomi della bacchetta di vetro che hanno perso gli elettroni si caricano positivamente rendendo
elettrizzata positivamente l‟intera bacchetta.
È evidente che nel primo caso il panno di lana, che ha ceduto elettroni alla resina, si carica positivamente mentre nel secondo caso, in cui ha sottratto elettroni al vetro, si carica negativamente. Infatti, a riprova di ciò, si osserva che il panno di lana viene attratto
sia dalla bacchetta di resina nel primo caso, sia dalla bacchetta di vetro nel secondo. Gli
elettroni infatti non si creano durante lo strofinio, ma si trasferiscono soltanto dall‟uno
all‟altro dei materiali strofinati che risultano così sempre caricati con segno opposto.
Come si è detto all‟inizio le cariche elettriche che stiamo considerando non sono sempre in quiete, ma in alcuni casi si muovono. Una prova di ciò si ha in questo semplice
esperimento.
Prendiamo una bacchetta di metallo e, tenendola in mano, strofiniamola con un panno
di lana. Se ora l‟avviciniamo ad una bacchetta di vetro o ad una di resina o allo stesso
panno di lana con cui l‟abbiamo strofinata non si verifica nessun fenomeno di attrazione o repulsione. Si potrebbe dedurre che il metallo di cui è costituita la bacchetta non si
elettrizza. Ma se ripetiamo l‟esperimento inserendo la bacchetta di metallo in un manico di legno e, tenendola col manico, la strofiniamo col panno di lana la bacchetta metallica si elettrizza. È più appropriato pensare che le cariche che si creano nella bacchetta
con lo strofinio si muovono rapidamente nel metallo e si trasmettono, attraverso la mano, al corpo dello sperimentatore, mentre il manico di legno impedisce questo movimento. Anche nel caso del vetro e della resina le cariche che si creano non riescono a
trasferirsi nel corpo dello sperimentatore. È evidente quindi che ci sono alcuni materiali
(metalli ecc.) in cui le cariche elettriche si muovono con una certa rapidità in altri invece (vetro, resina, legno ecc.) si muovono più lentamente o sono addirittura ferme. I materiali del primo tipo si chiamano “conduttori” i secondi “isolanti”.
La presenza di cariche su un corpo può essere evidenziata, oltre che dalla sua capacità
di attrarre o respingere altri corpi, anche con un semplice strumento che si chiama “elettroscopio” (Figura 55). L‟apparecchio è costituito da un‟asticella di metallo (buon conduttore di cariche) sotto la quale sono incernierate due sottili lamelle metalliche (solitamente d‟oro). All‟altra estremità l‟asticella termina con una testina sferica. Il tutto è
sostenuto da un supporto isolante e contenuto in un‟ampolla di vetro per evitare interferenze dovute a spostamenti d‟aria o altri disturbi.
Nella condizione di assenza di carica le due lamelle sospese, soggette solo alla forza di
gravità si dispongono verticalmente sotto l‟asticella (prima figura a sinistra).
Se si tocca la testina della barretta con una bacchetta caricata positivamente le cariche
elettriche si trasmettono attraverso l‟asticella alle due lamelle metalliche elettrizzando
entrambe con cariche dello stesso segno, entrambe positive nella seconda figura da sinistra, entrambe negative nella terza figura. In tutti e due i casi le lamelle, avendo carica
dello stesso segno si respingono e quindi ruotano sulla cerniera e divergono. Se la bacchetta ha una carica maggiore, perché per esempio è stata strofinata più a lungo, le lamelle divergono di più perché anche ad esse viene trasmessa una carica maggiore (ultima figura a destra).
L‟elettroscopio può essere usato anche per verificare se due corpi sono caricati con ca-
57
riche dello stesso segno o di segno opposto. Infatti se dopo aver toccato l‟asticella col
primo corpo la si tocca col secondo, le lamelle divergono maggiormente se la carica del
secondo corpo è dello stesso segno del primo mentre la loro divergenza si riduce se la
carica del secondo corpo è opposta a quella del primo. Infatti nel primo caso le cariche
del secondo corpo si aggiungono a quelle del primo già presenti sulle lamelle, mentre
nell‟altro caso le cariche del secondo corpo neutralizzano, in tutto o in parte, quelle già
presenti ma di segno opposto trasferite dal primo corpo.
Induzione elettrostatica
Un altro fenomeno che viene ben evidenziato dall‟elettroscopio è la cosiddetta “induzione elettrostatica”.
Se alla testina dell‟elettroscopio si avvicina una bacchetta elettrizzata ma senza toccarla
si nota che le lamelle divergono ugualmente, ma poi ritornano nella posizione di riposo
quando la bacchetta elettrizzata viene allontanata. Sembra cioè che in questo caso le cariche non rimangono sulle lamelle ma tornino indietro sulla bacchetta quando questa
viene allontanata. Ma non è così; un‟interpretazione più convincente infatti sembra
quella illustrata nella Figura 56.
Se un corpo, A, elettrizzato, per esempio positivamente, viene avvicinato ad un corpo,
B, non elettrizzato, cioè un corpo in cui le cariche interne positive e negative sono bilanciate, si crea da parte di A un‟attrazione sulle cariche negative che, anche se bilanciate, sono comunque presenti all‟interno di B. Queste quindi si addensano verso la zona dove è stato avvicinato A mentre le cariche positive si addensano verso la zona opposta. Quando A si allontana cessa l‟azione di attrazione e B ritorna in quiete come
prima.
A riprova di ciò, se si ripete l‟esperimento con un corpo B formato da due parti avvicinate ed in contatto fra loro le cariche si addensano come detto prima, ma se le due parti
vengono separate prima che sia allontanato A, le cariche che si erano spostate non hanno più la possibilità di bilanciarsi perché è stata interrotta la comunicazione con la parte
del corpo elettrizzata con le cariche opposte e le due parti restano entrambe elettrizzate
ciascuna con cariche di segno opposto.
Generatori elettrostatici
I generatori elettrostatici sono macchine semplici utilizzate per elettrizzare i corpi per
mezzo dello strofinio e dell‟induzione.
La più semplice di queste macchine è l‟elettroforo di Volta, illustrato schematicamente
nella Figura 57.
L‟elettroforo è formato da un piatto di ebanite 15 che viene caricato per strofinio.
L‟ebanite strofinata si carica negativamente.
Se al piatto di ebanite si avvicina, senza toccarlo, un piatto metallico, sostenendolo con
un manico isolante, il piatto metallico si carica per induzione, ossia le cariche positive
presenti nel metallo si dispongono verso la faccia inferiore del piatto e le cariche negative si dispongono verso la faccia opposta.
Se a questo punto con un cavetto metallico si mette in contatto con il terreno la faccia
15
L‟ebanite è un materiale scuro isolante, molto usato prima dell‟avvento delle materie plastiche, ottenuto
vulcanizzando il caucciù con molto zolfo.
58
L’elettroscopio
+
-
++
- -
+ +
++ ++
Figura 55
Induzione elettrostatica
B
+
+
A
+
+
-
-
+ +
+
-
Figura 56
59
+
superiore del piatto, le cariche negative si disperdono al suolo e il piatto, quindi, resta
caricato positivamente.
Notiamo che in questo processo non è stata sottratta nessuna carica al piatto di ebanite,
perché il piatto metallico si è caricato per induzione, quindi il piatto di ebanite rimane
elettrizzato negativamente. Se quindi riusciamo a trasferire le cariche del piatto metallico ad un opportuno contenitore di cariche elettriche (che esiste e lo vedremo più avanti)
possiamo ripetere l‟operazione più volte accumulando nel contenitore una grande quantità di cariche elettriche.
L‟operazione può anche essere ripetuta meno artigianalmente con una macchina rotante
in cui un certo numero di dischi metallici sono montati su una ruota, che gira intorno ad
un asse, affacciata ad una ruota coassiale alla precedente, ma ferma, su cui sono montati
un numero uguale di dischi di ebanite ciascuno seguito da un ricevitore di cariche. Durante la rotazione, ogni disco metallico arriva di fronte a un piatto di ebanite, elettrizzato
in precedenza per strofinio, e contemporaneamente la sua faccia opposta entra a contatto
con un filo conduttore che scarica a terra le cariche negative.
Continuando a girare il piatto metallico incontra, subito dopo, un ricevitore di cariche in
cui trasferisce le sue cariche positive e, subito dopo ancora, un altro piatto di ebanite
dove si carica nuovamente per induzione e il processo si ripete così con continuità.
Principio di conservazione della carica
Nei fenomeni di elettrizzazione fin qui descritti, strofinio e induzione, si è visto che la
carica elettrica non viene creata ma solo trasferita da un mezzo ad un altro.
Nel caso dello strofinio l‟elettrizzazione è prodotta dal trasferimento di elettroni
dall‟oggetto strofinato al panno o viceversa. L‟energia spesa nell‟azione di strofinamento non è servita a creare le cariche, come si potrebbe pensare, ma solo a trasferirle da un
oggetto all‟altro. Come abbiamo visto, la prova di ciò consiste nel fatto che se si considerano insieme l‟oggetto e il panno utilizzato per strofinarlo non si ha evidenza di elettrificazione perché il totale delle cariche positive e negative non è cambiato.
Nel caso dell‟induzione invece la carica sul piatto metallico è prodotta dalla separazione
delle cariche negative, disperse al suolo, da quelle positive che restano sul piatto, ma
non da una creazione di cariche positive sul piatto.
Da queste e da altre osservazioni e dal fatto che nessun esperimento abbia mai dimostrato il contrario, si è formulato il postulato, noto come principio di conservazione della carica, che “la carica elettrica complessiva presente nell‟universo è costante”.
La misura della carica elettrica
Un elettroscopio oltre a mostrarci la presenza o meno di cariche su un corpo dà altre
importanti indicazioni.
Innanzi tutto sappiamo, dallo studio della meccanica, che se in un apparato metallico
come quello dell‟elettroscopio vogliamo divaricare le lamelle dobbiamo applicare ad esse due forze di verso opposto.
La Figura 58 mostra una delle due lamelle dell‟elettroscopio quando è posta in una posizione divaricata. Su di essa agisce la forza peso P che tende a far ruotare la lamella
verso la sua posizione verticale esercitando un momento M = P∙a rispetto al punto in cui
la lamella è incernierata. Se quindi la lamella non ritorna nella posizione verticale biso-
60
L’elettroforo di Volta
Legno
‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐
+ + + + + + + + + + Metallo
‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐
Figura 57
La legge di Coulomb
b
F
a
P
P
M = P·a
M = F·b
Figura 58
61
Ebanite
gna che ci sia un‟altra forza F che eserciti un momento, M = F∙b, uguale e di segno opposto al precedente
Questo significa che se le cariche elettriche fanno divaricare le lamelle sono loro a generare queste forze.
Abbiamo inoltre visto che le lamelle si divaricano di più o di meno a seconda che la carica elettrica sia maggiore o minore. Poiché per far divergere di più le lamelle occorrono
forze maggiori si può dedurre che cariche elettriche maggiori generano forze maggiori.
In conclusione si deduce che esiste una relazione fra le cariche elettriche e le forze generate.
A lungo i ricercatori hanno cercato di quantificare questa relazione e formulare la legge
che lega forze e cariche elettriche.
Fu il fisico francese Coulomb16 che riuscì a mettere a punto uno strumento semplice ma
ingegnoso, la bilancia di torsione, che intorno al 1785 gli permise di formulare quella
che appunto si chiama la legge di Coulomb: “la forza con cui due cariche elettriche si
attraggono (o si respingono) è direttamente proporzionale alle cariche elettriche ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza”
in cui q1 e q2 sono le due cariche elettriche, r la loro distanza e k una costante di proporzionalità che dipende dal mezzo in cui si trovano le cariche (vuoto, aria, acqua ecc.).
Quello che salta immediatamente all‟occhio è che questa formula è identica a quella
della gravitazione universale dove al posto delle masse ci sono le cariche elettriche. Così, come la massa esprime il concetto di quantità di materia, la carica esprime il concetto
di quantità di elettricità e le interazioni fra queste grandezze sono simili. Ma non approfondiamo questo concetto per il momento. Notiamo invece che la legge di Coulomb, così come la relativa formula, mette in relazione questa nuova grandezza fisica, la carica
elettrica, con altre grandezze già note: la forza e la distanza. Essa ci permette dunque di
definire un‟unità di misura di questa nuova grandezza, chiamata “coulomb”, che si indica con il simbolo “C”: due cariche uguali hanno il valore di 1 coulomb quando, poste
alla distanza di 1 metro, si respingono con una forza di 8,987∙10 9 Newton.
È una forza enorme. Infatti in elettrostatica si usa normalmente un sottomultiplo del
Coulomb, il micro-coulomb, che è uguale a 10-6 Coulomb.
Distribuzione delle cariche
In un corpo elettrizzato le cariche elettriche si dispongono tutte sulla superficie del corpo, sia che si tratti di un corpo pieno che di un corpo cavo.
Questa proprietà è stata rilevata sperimentalmente già dai primi ricercatori in questo
campo, Franklin17 e Faraday18, i quali trovarono fra l‟altro che l‟azione distruttiva del
fulmine, che è un intenso passaggio di cariche elettriche da un corpo (insieme di particelle presenti nell‟atmosfera) a un altro, è nulla all‟interno di un corpo conduttore cavo19.
16
Charles Augustin Coulomb (1736-1806) fisico francese
Benjamin Franklin (1706-90) scrittore, scienziato e politico statunitense
18
Michael Faraday (1791-1867) chimico e fisico inglese
19
Un corpo così fatto si chiama appunto “gabbia di Faraday”
17
62
Infatti le cariche elettriche si distribuiscono rapidamente sulla superficie del conduttore
senza trasmettersi al suo interno. Per questa ragione, ad esempio, i passeggeri di un aereo colpito da un fulmine sono completamente protetti dall‟involucro cavo costituito
dalla fusoliera dell‟aereo.
Sulla superficie del corpo poi le cariche si distribuiscono in modo uniforme se il corpo
ha una forma regolare e senza spigoli, come per esempio una sfera. Se però il corpo ha
una forma con curvature diverse, come ad esempio quello indicato nella Figura 59, le
cariche si addensano nelle zone con curvatura maggiore.
In particolare, se il corpo ha delle parti appuntite, come per esempio una forchetta, le cariche si addensano talmente sulle punte che tendono a sfuggire da esse per spostarsi su
altri corpi che si trovino nelle vicinanze.
Per chiarire meglio questo concetto ricordiamo che un corpo elettrizzato ha la caratteristica di attirare o respingere altre cariche elettriche con una forza che, per la legge di
Coulomb, è tanto maggiore quanto maggiore è la carica del corpo e quanto minore è la
distanza a cui si trovano le altre cariche. Il corpo cioè crea intorno a sé una zona di influenza, “un campo elettrico”, tanto più intenso quanto più alta è la quantità di elettricità
presente sul corpo e la cui intensità si attenua man mano che ci si allontana da esso.
È un fenomeno simile a quello della gravità terrestre: in questo caso (Figura 60) è la
Terra che crea un “campo gravitazionale” (non elettrico) che si attenua man mano che ci
si allontana da essa. Se in questo campo è presente un altro corpo, anche non elettrizzato, fra esso e la terra si crea una forza di attrazione: la forza di gravità che, a differenza
di quella fra cariche elettriche, non è mai una forza di repulsione.
Analogamente una carica elettrica crea intorno a sé un campo elettrostatico (figura 61)
in cui un‟altra carica elettrica eventualmente presente viene attratta o respinta a seconda
che sia di segno contrario o dello stesso segno.
Le cariche, molto addensate su un corpo appuntito, tendono quindi a sfuggire facilmente
dal corpo stesso se vengono a trovarsi nel campo elettrico creato da un corpo elettrizzato
con cariche di segno opposto.
Il potenziale
La similitudine fra campo elettrico e campo gravitazionale cui abbiamo accennato nel
paragrafo precedente si estende anche ad altri aspetti (Figura 62).
Ricordiamo infatti che nel campo gravitazionale abbiamo introdotto il concetto di energia potenziale di una massa, m, tenuta ad una certa altezza, h, rispetto ad un riferimento,
per esempio rispetto al suolo, dicendo che l‟energia potenziale posseduta da quella massa è uguale al lavoro necessario a spostarla dal suolo fino a quella posizione 20. Ricordiamo anche che questa energia rimane come intrappolata in quella massa e viene poi
restituita come energia cinetica quando la massa, lasciata libera, si sposta dall‟altezza in
cui si trovava ad un‟altezza minore 21.
Analogamente una carica elettrica concentrata in un punto genera intorno a sé un campo
elettrico in tutte le direzioni dello spazio. Se in un punto qualsiasi del campo si pone una
carica elettrica dello stesso segno, molto piccola rispetto a quella che ha generato il
20
Il lavoro è uguale al prodotto di una forza per lo spostamento lungo la sua retta d‟azione. Nel caso in
esame la forza che agisce sulla massa è il peso (P=mg) per cui il lavoro è L=Ph.
21
Come punto di riferimento dell‟energia potenziale si sceglie solitamente il suolo, ma al suolo l‟energia
potenziale non è nulla in assoluto. Se ci fosse un pozzo la massa continuerebbe a cadere al limite fino al
centro della terra dove, infatti, si considera concentrata l‟origine del campo gravitazionale terrestre.
63
Disposizione delle cariche
+ +++
+
+++
+
+
++ +
+
+
++ +
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Figura 59
Il campo gravitazionale
Figura 60
64
Il campo elettrostatico
+
+
++ +
+
+
+
+ +
Figura 61
Potenziale elettrico
∞
Epg = mgh
Epe = qV
V=0
V
P=mg
+
h
h=0
q
−
+ + + + + + +
C
Figura 62
65
campo22, su di essa agisce una forza che tende a spingerla, al limite, fino all‟infinito.
Continuando nell‟analogia fra campo elettrico e campo gravitazionale quindi la carica
corrisponde alla massa23, la forza che agisce su di essa corrisponde al peso e la posizione della carica rispetto all‟infinito corrisponde all‟altezza rispetto al centro della terra e
si chiama “potenziale elettrico” del campo nel punto considerato.
Il lavoro che una forza esterna dovrebbe compiere per portare la carica dall‟infinito fino
a quella posizione è l‟energia potenziale che la forza generata dal campo elettrico può
rendere se la carica, libera di muoversi, viene spinta fino all‟infinito.
Nella pratica il potenziale elettrico assoluto come lo abbiamo definito non interessa, così come, sempre nella pratica, non interessa l‟altezza di un corpo rispetto al centro della
terra.
Si parla quindi in genere di differenza di potenziale fra due punti di un campo elettrico e
si definisce la differenza di potenziale come il lavoro necessario per spostare una carica
unitaria dall‟uno all‟altro dei due punti. Espressa in termini matematici questa definizione si traduce nell‟espressione:
dove V è la differenza di potenziale fra i due punti, L il lavoro e q la carica.
Anche per il campo elettrico si assume la terra come punto di riferimento a cui si assegna convenzionalmente un potenziale uguale a zero.
Come abbiamo già avuto modo di accennare una differenza sostanziale fra campo gravitazionale e campo elettrico è che nel primo le forze che agiscono sulle masse sono sempre di tipo attrattivo, mentre nel campo elettrico le forze possono essere attrattive o repulsive a seconda che nel campo si trovi una carica di segno opposto o uguale a quello
della carica che lo ha generato.
La differenza di potenziale si misura in “Volt” che si definisce come “la differenza di
potenziale esistente fra due punti quando per far passare una carica di 1 coulomb
dall‟uno all‟altro occorre impiegare il lavoro di 1 joule” 24.
Il Volt è una misura della cui entità abbiamo una certa dimestichezza; sappiamo infatti
che il potenziale delle pile più comuni è 1,5 Volt, quello dell‟elettricità delle nostre case
è di 220 Volt, quello della batteria della nostra macchina è 12 Volt ecc. e conosciamo
anche la diversa pericolosità di queste grandezze. È forse opportuno precisare che questi
valori sono differenze di potenziale rispetto alla terra il cui potenziale è assunto uguale a
zero.
Capacità elettrica
La parola capacità, in fisica, indica la capienza di un corpo a contenere qualcosa. Come
sintetizzato nella Figura 63, usata da sola significa volume, cioè capienza a contenere un
fluido, capacità termica indica la capienza a contenere calore, “capacità elettrica” significa capienza di un corpo isolato (cioè a sé stante) a contenere cariche elettriche.
22
Così come è piccola rispetto alla terra la massa m.
Come si era già notato nella formula che esprime la legge di Coulomb
24
Ovviamente se la carica passa da un punto a potenziale maggiore ad uno a potenziale minore il lavoro è
reso non impiegato.
23
66
E così come in un recipiente in cui si versa del liquido aumenta il livello e in un corpo
in cui si versa del calore sale la temperatura, in un corpo isolato in cui si aggiungono cariche elettriche aumenta il potenziale o la “differenza di potenziale” rispetto ad un riferimento (indicata, in genere, con l‟acronimo ddp).
Proseguendo nell‟analogia, così come l‟altezza a cui giunge il liquido dipende dalla
quantità di liquido e dalla forma del recipiente e l‟aumento della temperatura dipende
dalla quantità di calore e dal materiale di cui è fatto il corpo, l‟aumento della ddp dipende dalla quantità di carica e dalla forma del corpo.
Da quanto detto appare chiaro che la quantità di carica che un corpo contiene è direttamente proporzionale alla sua capacità elettrica e alla ddp del corpo. Detta dunque C la
capacità, q la carica e V la ddp, la relazione che lega queste grandezze è:
La capacità di un conduttore si misura in “farad”, indicata col simbolo F e rappresenta la
capacità di un conduttore in cui la carica di 1 coulomb produce un aumento della ddp di
1 Volt.
Ricordiamo che quando abbiamo definito il coulomb abbiamo evidenziato che 1 coulomb rappresenta una carica molto grande quindi, dalla definizione appena data, si deduce che anche 1 farad è una capacità molto grande. Nella pratica comune infatti, così
come per il coulomb, si usano dei sottomultipli di questa grandezza che sono il “microfarad” , simbolo μF, uguale a un milionesimo di F, il “nanofarad”, simbolo nF, uguale a
un miliardesimo di F, e il “picofarad”, simbolo pF, uguale a un bilionesimo di F25.
La capacità elettrica di un conduttore a sé stante è generalmente molto piccola anche se
il conduttore ha dimensioni ragguardevoli. Se però ad un conduttore P1, carico per esempio positivamente, Figura 64, se ne affianca un altro scarico P2, quest‟ultimo si carica per induzione e dispone le sue cariche negative sulla faccia prospiciente a P 1 e le positive sulla faccia opposta. La vicinanza delle cariche negative fa diminuire il potenziale
di P1 e quindi fa aumentare la sua capacità C, come si ricava, oltre che intuitivamente,
dalla formula
. Questo effetto diventa ancora maggiore se la faccia di P 2 opposta a P1 viene collegata a terra in modo da scaricare le cariche positive lasciando su di
esso solo le cariche negative.
Un dispositivo come quello illustrato si chiama condensatore. Esso è costituito da due
piastre P1 e P2 affacciate (le armature) fra le quali normalmente è inserito una sostanza
isolante (il dielettrico). Se A è la superficie delle piastre e d la loro distanza, la capacità
del condensatore è tanto maggiore quanto maggiore è la superficie delle piastre e quanto
minore è la loro distanza e dipende anche dal tipo di sostanza che viene usata come dielettrico. Si dimostra e si verifica sperimentalmente che la capacità del condensatore è
data da:
in cui ε è una costante che dipende unicamente dalla natura del dielettrico 26.
I condensatori sono molto usati nelle apparecchiature elettriche dove hanno in generale
25
μF = 10-6 F; nF = 10-9 F; pF = 10-12 F
ε = 1 per il vuoto, circa uguale ad 1 per l‟aria e per i gas, sempre maggiore di 1 per tutte le altre sostanze fino al valore di qualche centinaio per alcuni cristalli.
26
67
una funzione di volano o di ammortizzatore. Essi cioè assorbono le cariche quando nel
circuito ce n‟è un eccesso e le restituiscono lentamente al circuito durante il funzionamento normale.
Possono avere la forma di un cilindro, quando le piastre ed il relativo dielettrico sono
arrotolate su loro stesse.
Inoltre la loro capacità può essere resa variabile rendendo le piastre scorrevoli l‟una rispetto all‟altra in modo da poter variare la superficie interfacciata.
68
Capacità
Livello
Volume
Fluido
Pressione
Capacità
=
capienza
Termica
Calore
Temperatura
Elettrica
Cariche
Potenziale
Figura 63
Il condensatore
P1
+ + + + + + + + + + +
− − − − − − − − − − −
+ + + + + + + + + + +
P2
armature
d
simbolo
dielettrico
Figura 64
69
Capitolo 5 - Elettrodinamica
Generalità
Abbiamo visto finora i primi risultati degli studi e delle ricerche sui fenomeni elettrici
che, dopo secoli di assoluta noncuranza, hanno portato nell‟arco di circa centocinquanta
anni a stabilire e verificare le teorie dell‟elettrostatica, relative cioè a cariche ferme o
dotate di movimenti piccoli o discontinui.
Fu solo verso la fine del secolo XVIII che alcuni fenomeni osservati e studiati da Galvani27 e Volta28 permisero di passare dall‟elettrostatica all‟elettrodinamica cioè ai fenomeni relativi alle cariche elettriche dotate di movimenti continui e regolari.
Galvani, professore di anatomia, aveva notato che i muscoli di una rana subivano delle
contrazioni se erano messe in contatto con un circuito metallico e ciò avveniva quando
le estremità del circuito venivano chiuse. La conclusione a cui giunse fu che il fenomeno fosse di natura elettrica e che questa elettricità fosse appunto generata dall‟organismo
della rana. L‟idea che ci fosse una fonte animale di elettricità era suffragata anche dalla
conoscenza che alcuni pesci erano in grado di provocare delle scosse elettriche ad altri
organismi con cui venivano a contatto e Alessandro Volta, che riprese ed approfondì le
ricerche di Galvani, ne era inizialmente convinto anche lui.
Proseguendo nella ricerca però, Volta cambiò opinione perché gli apparve sempre più
evidente che l‟origine dell‟elettricità non era il corpo della rana ma il contatto di metalli
diversi di cui era costituito il circuito e che il muscolo della rana non era altro che uno
strumento che evidenziava, contraendosi, il piccolo movimento di cariche, ossia la debole corrente elettrica, generata dal contatto dei due metalli (Figura 65).
Naturalmente Galvani restò del suo parere e la diatriba fra i due scienziati e fra i loro
seguaci fu aspra, ma Volta, affinando sempre più sia teoricamente che sperimentalmente
la sua teoria, riuscì a produrre un “elettromotore” cioè un dispositivo capace di produrre
con continuità cariche elettriche che potevano circolare in modo continuo in un circuito.
Era la “pila di Volta” e la “corrente continua”. Una scoperta che avrebbe rivoluzionato
non solo la Fisica ma anche la Chimica creando delle corrispondenze fra queste due materie considerate, fino a quel momento, assolutamente distinte.
Nel settore elettrico, il movimento delle cariche che fino a quel momento si era manifestato solo come “scarica elettrica” diventa “corrente elettrica”, fenomeno anche intenso
ma transitorio il primo (per esempio il fulmine), continuo e regolare il secondo.
27
28
Luigi Galvani (1737-98) anatomista italiano
Alessandro Volta (1745-1827) fisico italiano
70
La pila di Volta
Il contatto di due metalli
diversi genera fra loro un ΔV
Il ΔV dipende da natura dei
metalli e dalla temperatura
Soluzione acida interposta e
reazioni chimiche
Energia chimica sostiene il
acido
rame
zinco
flusso degli elettroni
Corrente continua possibile
in un circuito esterno
Figura 65
La corrente continua
ΔV
A
−
+
G
Figura 66
71
B
La corrente elettrica
Una scarica elettrica si verifica fra due corpi, elettrizzati con cariche di segno diverso,
messi a contatto tramite un conduttore o portati a meno di una certa distanza l‟uno
dall‟altro. Alla fine della scarica i due corpi non sono più elettrizzati o, almeno, non sono più elettrizzati in modo diverso.
Ciò significa che la scarica è un trasferimento rapido di cariche dall‟uno all‟altro corpo.
Per convenzione si assume che le cariche passino dal corpo elettrizzato positivamente a
quello elettrizzato negativamente, cioè che siano le cariche positive a muoversi 29.
Una corrente elettrica si verifica invece fra due corpi, elettrizzati con segno diverso, fra i
quali quindi esiste una differenza di potenziale V, messi a contatto tramite un conduttore, ma collegati anche ad un “generatore”30, come ad esempio i due corpi A e B della
Figura 66. In questo caso le cariche che passano dal corpo A al corpo B sono riportate
sul corpo A dal generatore G.
Per chiarire meglio l‟azione del generatore ricorriamo alla solita analogia della corrente
elettrica con la corrente di un liquido.
Fra i due corpi A e B esiste una differenza di potenziale dovuta al fatto che A è carico
positivamente e B negativamente. È come se A fosse un recipiente pieno di liquido che
si trova in una posizione più elevata, rispetto ad un altro recipiente B (Figura 67).
Quando si collega A con B con un tubo, il liquido scorre spontaneamente da A verso B
e questo movimento cessa quando in A non c‟è più liquido. Ma se con una pompa G
prendiamo il liquido da B e lo riportiamo in A, il liquido continua a fluire finché non si
ferma la pompa.
Il generatore è quindi assimilabile ad una pompa: la pompa fornisce l‟energia necessaria
per portare il liquido dal livello di B al livello di A, il generatore fornisce l‟energia per
portare le cariche dal potenziale più basso di B al potenziale più alto di A.
I generatori possono essere di vario tipo e alcuni di essi sono molto familiari: la pila, la
batteria delle automobili, la dinamo delle biciclette. Vedremo più avanti da dove a loro
volta i generatori attingono l‟energia impiegata per generare la corrente elettrica.
Analizziamo ora un po‟ più da vicino la corrente che si genera nel circuito elettrico che
abbiamo esaminato ed in particolare da che cosa dipende la quantità delle cariche che
passano dal conduttore A al conduttore B.
Intensità di corrente
Continuiamo nell‟analogia con i liquidi (Figura 68).
Per i liquidi si definisce “portata” la quantità di liquido che passa attraverso una sezione
del tubo nell‟unità di tempo; per l‟elettricità si definisce “intensità di corrente” la quantità di carica elettrica che passa attraverso la sezione di un conduttore nell‟unità di tempo, quindi:
29
Questa convenzione, introdotta all‟epoca dell‟inizio degli studi sull‟elettricità, è mantenuta tuttora nonostante l‟attuale convincimento che siano le cariche negative a muoversi.
30
Per esempio ad una pila.
72
Corrente di liquido
A
Δh
pompa
B
Figura 67
Analogia correnti liquida e elettrica
+
−
Portata liquido
Intensità di corrente
Differenza altezza
Differenza di potenziale
Attrito
Resistenza
Diametro del tubo
Sezione del conduttore
Lunghezza del tubo
Lunghezza del conduttore
Figura 68
73
L‟unità di misura di questa grandezza si chiama “ampere” 31 (simbolo A) ed è l‟intensità
di una corrente in un circuito in cui passa la carica di 1 coulomb in 1 secondo.
La portata di liquido fra due recipienti posti ad altezze diverse dipende dalla differenza
dell‟altezza cui sono posti i due recipienti (maggiore è la differenza di altezza maggiore
è la portata) e dall‟attrito o resistenza che il liquido incontra nel fluire attraverso il tubo
(maggiore è la resistenza minore è la portata). In sintesi la portata è direttamente proporzionale alla differenza di altezza e inversamente proporzionale alla resistenza.
Per la corrente elettrica il fenomeno è analogo, cioè l‟intensità di corrente in un circuito
è direttamente proporzionale alla ddp V fra gli estremi del circuito e inversamente proporzionale alla resistenza R che il circuito esercita contro il flusso elettrico:
Questo enunciato prende il nome di “prima legge di Ohm” 32, dal fisico tedesco che la
ricavò come risultato dei suoi esperimenti.
La resistenza elettrica è molto simile alla resistenza meccanica che un corpo, solido o
fluido, incontra quando si muove strisciando su delle superfici.
Il movimento delle cariche è anch‟esso un movimento di corpuscoli infinitesimi (gli elettroni) che nel loro movimento attraverso le molecole di altri corpi strisciano o urtano
e sono ostacolati.
È dunque evidente che la resistenza di un conduttore dipende non solo dal materiale del
conduttore (più o meno compatto, a struttura molecolare più o meno ordinata ecc.), ma
anche dalla lunghezza l del conduttore (percorso più o meno lungo) e dalla sua sezione
(percorso più o meno largo) ed è altrettanto chiaro che è direttamente proporzionale alla
lunghezza ed inversamente proporzionale alla sezione S del conduttore (“seconda legge
di Ohm):
in cui ρ (lettera greca che si legge ro) si chiama “resistività” e dipende dal materiale di
cui è fatto il conduttore.
L‟unità di misura della resistenza si chiama “ohm” e si indica col simbolo Ω (lettera
greca che si legge omega) e rappresenta la resistenza di un circuito in cui la ddp di
1Volt produce una corrente di intensità di 1 Ampère.
La resistività dei conduttori (o il suo inverso che si chiama “conducibilità”) è un elemento molto importante nella progettazione dei circuiti elettrici.
Hanno generalmente bassa resistività i metalli e, fra questi, particolarmente l‟oro,
l‟argento e il rame ed è per questa ragione che i cavi elettrici sono normalmente fatti di
rame (l‟oro e l‟argento sarebbero migliori, ma il loro costo è molto più elevato).
Hanno invece alta resistività la porcellana, la paraffina l‟ebanite ecc. che vengono normalmente utilizzati come materiali isolanti.
31
32
André-Marie Ampère (1775-1836) fisico e matematico francese
George Simon Ohm (1787-1854) fisico tedesco
74
Effetti della corrente
Quando la corrente elettrica circola attraverso varie sostanze produce effetti diversi a
seconda che queste siano solide, liquide o gassose (Figura 69).
Con il passaggio di corrente attraverso i conduttori solidi si verificano due fenomeni diversi e non correlati fra loro: la produzione di calore (effetto Joule) e la generazione di
un campo magnetico.
Il passaggio di corrente attraverso alcuni liquidi produce delle trasformazioni chimiche
nelle sostanze disciolte e nei liquidi stessi.
Il passaggio di corrente attraverso sostanze gassose produce infine fenomeni radiativi
molto diversi a seconda della pressione a cui si trova il gas.
Esamineremo ora, brevemente, tali effetti.
Effetto Joule
Abbiamo visto nella meccanica che l‟attrito fra due corpi produce calore, o meglio che
l‟energia dei corpi in movimento si trasforma in energia termica e i corpi si fermano. Le
cariche in movimento non sfuggono a questa legge. Infatti, come abbiamo già detto, la
corrente è fatta di elettroni in movimento e gli elettroni sono dei corpi, anche se piccolissimi, che incontrano una resistenza simile a quella dell‟attrito. Anche la loro energia
di movimento si trasforma quindi in calore.
Questo fenomeno ci è ben noto. La trasformazione dell‟energia elettrica in energia termica è un processo che sfruttiamo nelle nostre case per due scopi diversi, il riscaldamento attraverso le stufe, i forni e i fornelli, e l‟illuminazione attraverso le lampade.
In una lampada ad incandescenza in particolare avvengono due trasformazioni energetiche: l‟energia elettrica si trasforma in energia termica e porta un filamento ad una temperatura molto alta (circa 2500°C), temperatura alla quale il filamento diventa incandescente cioè trasforma l‟energia elettrica in energia elettromagnetica: la luce.
A volte però il fenomeno della trasformazione dell‟energia elettrica in calore è indesiderato, come, per esempio, nel trasporto dell‟energia elettrica dalla produzione al consumo. Lungo i cavi della linea elettrica infatti una parte dell‟energia si trasforma in calore
che si riversa nell‟ambiente senza poter essere utilizzato. È per questa ragione che i cavi
sono costruiti con materiali a bassa resistenza, come il rame.
La trasformazione dell‟energia elettrica in calore fu studiata da Joule nelle sue ricerche
sull‟energia che già lo avevano portato a scoprire l‟equivalenza fra lavoro meccanico ed
energia termica. Per questa ragione questo fenomeno prende il nome di “effetto Joule”.
Dai numerosi esperimenti effettuati Joule trovò anche la relazione, nota come “legge di
Joule”, fra il calore prodotto ed i parametri elettrici della corrente:
in cui Q è la quantità di calore prodotto, R la resistenza del conduttore, i l‟intensità della
corrente e j un coefficiente che dipende dalle unità di misura adottate. La relazione mostra che la quantità di calore prodotta è direttamente proporzionale alla resistenza del
circuito, al quadrato dell‟intensità della corrente e al tempo in cui vi circola.
75
La corrente nei liquidi
Non tutti i liquidi sono conduttori e quindi non sempre attraverso i liquidi circolano correnti elettriche se si inducono differenze di potenziale fra due punti diversi della massa
liquida.
Ciò avviene, per esempio, per l‟acqua distillata che non è un conduttore di elettricità e
attraverso di essa la corrente non riesce a circolare.
Se però nell‟acqua sono disciolte alcune sostanze che rientrano nelle categorie chimiche
chiamate “sali” o “acidi” o “basi” (o genericamente “elettroliti” 33) la soluzione liquida
diventa conduttrice e si lascia attraversare dalla corrente elettrica. È bene tener presente
a questo proposito che l‟acqua, anche quella che beviamo, contiene normalmente dei sali disciolti in quantità sufficienti a renderla conduttrice e quindi potenzialmente pericolosa se viene a contatto con apparecchiature in cui circola corrente elettrica.
Quando gli elettroliti sono disciolti in acqua, la loro molecola subisce una scissione in
due tronconi di cui uno è carico positivamente e l‟altro negativamente. Questi tronconi
si chiamano “ioni” e il fenomeno è chiamato “dissociazione elettrolitica”. Quando fra
due punti della soluzione si instaura una differenza di potenziale, cioè si crea un polo
positivo ed uno negativo, il troncone positivo viene attratto dal polo negativo dove trova
abbondanza di elettroni, ne acquisisce uno e si neutralizza, lo ione negativo viene attratto dal polo positivo dove cede un elettrone e si neutralizza. Il risultato complessivo è
che un elettrone è passato dal polo negativo al polo positivo che, in altri termini, non è
altro che il passaggio di corrente attraverso la soluzione 34.
A questo fenomeno elettrico si associano fenomeni chimici sui quali non ci addentriamo, ma ci limitiamo ad accennare che le reazioni che avvengono in concomitanza con il
passaggio della corrente hanno reso possibili numerose applicazioni pratiche quali, ad
esempio, la produzione di idrogeno ed ossigeno ed altri elementi chimici, la purificazione dei metalli, la ricopertura di alcuni metalli con sottilissimi strati di altri (argentatura,
doratura, cromatura ecc.).
La corrente nei gas
Gli effetti del passaggio della corrente elettrica nei gas sono diversi a seconda della
pressione cui si trova il gas.
Nei gas a pressione atmosferica, in particolare nell‟aria, il passaggio di corrente si verifica quando fra due conduttori esiste un‟elevata differenza di potenziale e consiste in un
rapido passaggio di cariche dall‟uno all‟altro conduttore che prende il nome di scarica
elettrica e di cui abbiamo già avuto modo di parlare.
La quantità di energia che la scarica trasporta è molto elevata e la sua rapida trasformazione in calore ed in radiazioni luminose si manifesta visivamente come una scintilla o,
se con un generatore esterno si mantiene la differenza di potenziale fra i due conduttori,
come una serie di scintille che si susseguono.
L‟intenso calore che si sviluppa può essere utilizzato in alcune applicazioni chimiche,
sulle quali non ci dilunghiamo, oppure per innescare l‟accensione di gas come, per esempio, nei fornelli a gas o negli scaldabagni comunemente presenti nelle nostre case.
33
Si tratta di molte sostanze di uso comune, per esempio il sale da cucina, l‟aceto o la soda caustica.
Ricordiamo che, per convenzione, si considera che la corrente elettrica si muova nell‟altro verso, ma
abbiamo già detto che in realtà il verso è quello appena descritto, perché la corrente è un moto di elettroni
che vanno dal polo negativo al positivo.
34
76
Quando la pressione del gas presente fra i due conduttori elettrizzati35 è minore di quella
atmosferica (circa un centesimo della pressione atmosferica) si verificano dei fenomeni
diversi.
Per ridurre la pressione del gas fra gli elettrodi bisogna che questi siano contenuti in un
recipiente chiuso in cui si possa ridurre la pressione con una pompa a vuoto e, per studiare i fenomeni, i recipienti usati sono di vetro.
Se dunque fra due elettrodi contenuti in un tubo di vetro a pressione ridotta si stabilisce
una differenza di potenziale abbastanza elevata (qualche migliaio di Volt) dal catodo si
staccano degli elettroni che si dirigono verso l‟anodo a velocità molto elevata e quindi
con una grande energia cinetica. Se nel loro percorso urtano un atomo del gas rarefatto
presente nel tubo riescono a strappargli un elettrone ionizzandolo, cioè rendendolo non
più neutro elettricamente. Gli ioni, che così si formano, sono anch‟essi accelerati dalla
presenza del campo elettrico e quindi aumenta l‟intensità della corrente che circola fra i
due elettrodi e la quantità di nuovi ioni che si formano. Ciò si manifesta visivamente
con un diffuso bagliore che si instaura all‟interno del tubo e che assume colori diversi a
seconda del gas contenuto.
Le applicazioni più note di questo fenomeno sono i tubi luminosi cosiddetti “al neon” e,
più di recente, le lampade a basso consumo ed alta luminosità introdotte per il contenimento dei consumi energetici.
Se poi la pressione diventa ancora più bassa (fra un millesimo e un decimillesimo della
pressione atmosferica) gli elettroni continuano ad essere emessi dal catodo, ma non essendovi più molti atomi di gas nel tubo il fenomeno della ionizzazione cessa quasi del
tutto e così anche il bagliore descritto sopra. Ma la presenza di questo flusso di elettroni
si manifesta visivamente perché rende fluorescente la parete di vetro che si trova dietro
all‟anodo. Sono i raggi catodici.
Su questi e su fenomeni analoghi come l‟effetto termoelettrico ed i raggi X non ci soffermiamo ulteriormente perché ci porterebbero fuori dai limiti di questa trattazione.
Effetto magnetico
Uno degli effetti più importanti della circolazione della corrente elettrica è la generazione di campi magnetici.
Dei campi magnetici ed in generale del magnetismo non abbiamo ancora parlato, ma per
il momento basta sapere che una bussola è una leggerissima calamita a forma di losanga
incernierata nel suo baricentro. In qualsiasi punto della terra la bussola, ruota intorno al
suo baricentro fino a rivolgere uno dei suoi poli verso il nord terrestre.
Se in prossimità di una bussola si dispone un filo in una posizione sghemba rispetto alla
losanga (Figura 70) e nel filo si fa circolare una corrente, la bussola ruota fino a portarsi
in una posizione perpendicolare al filo.
Se poi nel filo si fa circolare una corrente nel verso opposto della precedente, la bussola
ruota nel verso opposto disponendosi ancora in una posizione perpendicolare al filo.
Poiché la bussola o, in generale, una calamita in assenza di altre forze cambia direzione
solo sotto l‟azione di un campo magnetico, risulta evidente che il passaggio della corrente attraverso il filo ha generato un campo magnetico che ha modificato la posizione
della bussola. Prima di procedere è dunque opportuno dare qualche nozione sul magnetismo e sui campi magnetici.
35
I due conduttori elettrizzati si chiamano più propriamente “elettrodi” e, più precisamente, “anodo” quello positivo e “catodo” quello negativo.
77
Effetti della corrente
Calore
Nei solidi
Magnetismo
Passaggio di
corrente
Nei liquidi
Chimico
Nei gas
Radiazioni
Figura 69
Corrente elettrica-Effetto magnetico
N
−
−
+
S
N
S
S
Figura 70
78
+
N
Capitolo 6 - Magnetismo ed elettromagnetismo
Magnetismo
Esistono in natura alcuni materiali che hanno una caratteristica particolare, cioè sono
capaci di attrarre il ferro. Queste sostanze si chiamano “calamite” o “magneti naturali”.
Ci sono poi altri materiali che, posti nelle vicinanze di una calamita, acquistano le caratteristiche di calamita ma le perdono quando sono allontanati. Queste sostanze si chiamano “magneti temporanei”.
Ci sono inoltre altri materiali che, posti nelle vicinanze di una calamita o sottoposti a dei
procedimenti particolari, acquistano le caratteristiche di una calamita in modo permanente. Queste sostanze si chiamano “magneti artificiali permanenti”.
Altri materiali infine non subiscono alcun mutamento quando si trovano in prossimità di
una calamita.
Oltre alla caratteristica di attrarre il ferro, le calamite mostrano un altro comportamento
particolare e cioè due calamite, poste l‟una in vicinanza dell‟altra, si attraggono o si respingono a seconda della posizione reciproca in cui vengono collocate.
I due comportamenti sopra descritti indicano chiaramente che
una calamita crea intorno a sé uno spazio in cui si risentono gli effetti della sua
presenza, cioè un campo d‟azione chiamato “campo magnetico”
una calamita è formata da due poli distinti, denominati “Nord” e “Sud”, e si verifica sperimentalmente che poli dello stesso tipo si respingono mentre poli di tipo
diverso si attraggono
Un campo magnetico quindi ha un comportamento molto simile a quello di un campo
elettrico e abbastanza simile al campo gravitazionale terrestre. In questi campi la presenza di alcune entità, della stessa natura ma distinte da quella che ha generato il campo,
fa insorgere delle forze che agiscono su di esse attraendole o respingendole 36.
Il comportamento di una bussola è appunto di questo tipo. La bussola è una piccola calamita che in qualsiasi punto del globo terrestre si trova immersa nel campo magnetico
di una grandissima calamita naturale, che è la Terra stessa. Non è, ancora oggi, molto
chiaro perché la Terra si comporti come una calamita, ma è invece evidente che intorno
alla Terra esiste un campo magnetico come quello che genererebbe una calamita posta
con i due poli in prossimità dei poli geografici. Sotto l‟azione di questo campo la bussola, che è appoggiata in modo da poter ruotare liberamente, si orienta disponendo i suoi
poli nella direzione Nord-Sud terrestri, cioè si orienta lungo un meridiano 37.
36
Per il campo gravitazionale generato da una massa l‟azione verso un‟altra massa è solo di attrazione.
In realtà l‟orientamento non è esattamente lungo un meridiano, ma non è qui il caso di entrare in questi
dettagli.
37
79
Un‟ultima peculiarità di una calamita che vogliamo menzionare è che i suoi due poli
sono inseparabili per cui se si spezza in due parti una calamita si ottengono due calamite, ciascuna con i suoi poli Nord e Sud.
Una calamità può avere una forma qualsiasi ed il campo magnetico che genera nello
spazio dipende proprio dalla forma della calamita. Le forme più diffuse sono quella di
un parallelepipedo con un lato molto lungo e quella di un ferro di cavallo (Figura 71).
Quest‟ultima, in particolare, crea un campo magnetico molto regolare fra le due estremità del ferro di cavallo, cioè le cosiddette “linee di forza” del campo, che sono le direzioni lungo le quali si esercitano le forze sui corpi presenti nel campo, sono linee diritte e
parallele fra loro che si incurvano invece nelle zone esterne alle due estremità.
Se fra le due estremità si inserisce una leggera calamita, libera di ruotare intorno al suo
baricentro, sui suoi poli agiscono due forze con la direzione delle linee di forza ma di
verso contrario che la fanno ruotare fino a quando essa si dispone col suo asse lungo la
direzione delle linee di forza stesse.
Campo elettromagnetico
Torniamo ora all‟effetto magnetico della corrente elettrica che passa attraverso un conduttore.
Come si è detto, il fatto che un ago magnetico posto in prossimità del filo ruota disponendosi perpendicolarmente al filo, con uno dei suoi poli rivolto in un senso o nell‟altro
a seconda del verso della corrente, dimostra che il passaggio della corrente ha generato
un campo magnetico analogo a quello che potrebbe generare una calamita di forma molto allungata disposta parallelamente all‟ago e con i poli orientati in un verso o nell‟altro
in funzione del verso della corrente (Figura 71).
Si può poi sperimentalmente verificare che l‟intensità del campo magnetico è tanto
maggiore quanto maggiore è l‟intensità della corrente e, più precisamente che è direttamente proporzionale all‟intensità della corrente.
Per questa ragione, se si hanno due fili paralleli in cui circola una corrente di uguale intensità ma di verso contrario (Figura 72) il campo magnetico nella zona compresa fra i
due fili è somma dei campi magnetici generati da ciascun filo 38 ed ha quindi un‟intensità
doppia del campo generato da ciascun filo. Quindi se i due fili sono parte di un circuito
formato da un cavo ascendente, uno orizzontale e uno discendente, cioè è una spira,
l‟intensità del campo magnetico all‟interno della spira è doppio di quello esterno. Inoltre
se il circuito è fatto in modo da costituire due spire, l‟intensità del campo magnetico
all‟interno delle due spire è il doppio dell‟intensità del campo di una sola spira 39. Se le
spire sono ancora più numerose il campo magnetico interno è tante volte maggiore di
quello di una spira quanto è il numero di spire formate dal circuito.
Un circuito elettrico fatto da una serie di spire circolari poste ad uguale distanza l‟una
dall‟altra si chiama “solenoide” (Figura 73). Il campo magnetico all‟interno del solenoide, come somma di una serie di campi magnetici consecutivi, diventa regolare cioè le
sue linee di forza diventano rettilinee e disposte lungo l‟asse del solenoide e questo si
comporta come una calamita con i poli Nord e Sud situati alle due estremità, da una parte o dall‟altra in funzione della direzione della corrente.
38
È facile verificare dal disegno rappresentativo dei campi che fra i due fili paralleli il campo magnetico
ha lo stesso verso pur avendo uno dei campi il verso orario e l‟altro il verso antiorario.
39
Ed è ovviamente il quadruplo del campo generato da un solo filo.
80
Campo magnetico
N
S
N
S
N
S
Figura 71
Circuito a spira
Figura 72
81
L‟intensità del campo magnetico dipende inoltre dalla natura del mezzo in cui si genera.
Finora abbiamo tacitamente assunto che esso si formi nell‟aria, ma se le spire di un solenoide sono avvolte intorno ad un oggetto, per esempio un cilindro pieno, il campo si
forma all‟interno del materiale del cilindro.
L‟effetto che si ottiene con alcuni materiali è molto rilevante nel senso che il campo
magnetico, a parità di intensità di corrente, diventa molto più forte che nell‟aria. Ad esempio con un cilindro di ferro il campo magnetico diventa circa 7.000 volte più forte e
con alcune leghe ferro-nichel può arrivare fino a 100.000 volte.
Un solenoide avvolto intorno ad un‟anima di ferro dolce si chiama “elettrocalamita” e
ha il vantaggio, rispetto ad una calamita normale, di funzionare come calamita quando
nel conduttore passa corrente, ma di perdere completamente il suo magnetismo quando
la corrente non circola.
È proprio su questo principio che si basano alcune applicazioni pratiche come una suoneria elettrica o il telegrafo (Figura 74).
Nel caso del campanello la chiusura del pulsante attiva l‟elettrocalamita che attira a se
un‟ancoretta che termina con una pallina d‟acciaio che va a percuotere la campana.
Contemporaneamente però lo spostamento dell‟ancoretta apre il circuito e la corrente
cessa di circolare nell‟elettrocalamita. L‟ancoretta allora non è più attratta e viene richiamata da una molla nella sua posizione precedente dove richiude il circuito. Il ciclo
si ripete fino a che non si solleva il dito dal pulsante del campanello riaprendo così definitivamente il circuito elettrico.
In modo analogo funziona il telegrafo. In questo caso un‟ancoretta viene attratta dalla
elettrocalamita per tutto il tempo in cui il pulsante che chiude il circuito viene tenuto
chiuso. L‟ancoretta termina con una punta che scrive su un foglio di carta scorrevole su
un supporto lasciando il segno di un punto per chiusure brevi e di una linea per chiusure
leggermente più lunghe (alfabeto Morse). Il pulsante può trovarsi anche a molta distanza dall‟ancoretta e ciò permette di trasmettere questi segnali fra località lontane.
Induzione elettromagnetica
Consideriamo un circuito chiuso (Figura 75), formato da una o più spire, in cui sia inserito un “galvanometro”, cioè uno strumento che indica l‟eventuale passaggio di una corrente, il verso in cui circola e la misura della sua intensità. In condizioni normali nel circuito non circola corrente.
Se avviciniamo a tale circuito una calamita lo strumento indica il passaggio di una corrente che si manifesta durante il movimento ma cessa quando la calamita si ferma. Il
verso in cui circola la corrente è opposto se allontaniamo la calamita rispetto al circuito.
Lo stesso fenomeno si ripete se si tiene ferma la calamita e si allontana o si avvicina ad
essa il circuito. L‟intensità della corrente è tanto maggiore quanto maggiore è la velocità
del movimento relativo fra calamita e circuito.
Se anziché una calamita si usa un‟elettrocalamita si nota che nel circuito precedente
passa una corrente, non solo se l‟elettrocalamita viene allontanata o avvicinata, ma anche quando l‟elettrocalamita viene eccitata o diseccitata o quando si fa variare
l‟intensità del suo campo magnetico variando l‟intensità della corrente nel suo solenoide. Anche in questo caso l‟intensità della corrente generata nel circuito dipende dalla
velocità con cui si è variata l‟intensità del campo magnetico.
Questi esperimenti mostrano che le correnti che si generano in un circuito chiuso posto
in un campo magnetico sono indotte dalle variazioni di intensità di tale campo provoca-
82
Solenoide - Elettromagnete
S
N
N
S
Figura 73
Alcune applicazioni
Il campanello
Il telegrafo
~
~
~ ~
~
Figura 74
83
~
te da uno spostamento relativo fra campo e circuito o da qualsiasi altro fattore che modifichi l‟intensità del campo magnetico concatenato con il circuito.
È questo il fenomeno della cosiddetta “induzione elettromagnetica” e le correnti così
generate si chiamano “correnti indotte”.
Possiamo definire meglio questo fenomeno se facciamo riferimento ad una grandezza
che si chiama “flusso magnetico” attraverso la superficie di una spira. Se consideriamo
le linee di forza di un campo magnetico che si irradiano nello spazio dal polo di una calamita (Figura 76) e una serie di spire poste in questo campo possiamo definire flusso
magnetico concatenato con le spire le linee di forza che attraversano la superficie delle
spire. Si può allora agevolmente notare che se si allontanano le spire dal polo della calamita diminuisce il flusso magnetico che attraversa le spire, mentre invece aumenta se
le spire vengono avvicinate al polo della calamita. È proprio questa variazione di flusso
che genera nelle spire la corrente indotta che fluisce in un verso quando il flusso aumenta e nell‟altro verso quando il flusso diminuisce.
La scoperta di questo fenomeno ha avuto un‟influenza enorme sullo sviluppo
dell‟utilizzo dell‟energia elettrica sia nel settore domestico che in quello industriale perché, come vedremo fra poco, ha permesso la trasformazione di qualsiasi forma di energia in elettricità, che è un‟energia molto più facile da distribuire ed utilizzare.
La corrente alternata
Consideriamo un campo magnetico fra le due facce di una crossa calamita a ferro di cavallo. Come abbiamo già avuto modo di constatare le linee di forza, che ora possiamo
chiamare le linee di flusso di questo campo sono parallele fra loro (Figura 77).
Disponiamo ora in questo campo una spira la cui superficie sia parallela alle linee di
flusso. In questa posizione nessuna linea attraversa la superficie della spira, cioè il flusso nella spira è nullo.
Facciamo ora ruotare la spira intorno ad un suo asse perpendicolare alle linee di flusso.
Man mano che la spira ruota il flusso che attraversa la superficie della spira aumenta fin
a quando, compiuto un quarto di giro, la superficie della spira è perpendicolare alle linee
di flusso. In questa posizione il flusso che attraversa la spira è massimo 40.
Continuando a far ruotare la spira, il flusso attraverso la sua superficie diminuisce fino a
quando, compiuto un altro quarto di giro e quindi mezzo giro dall‟inizio, la superficie
della spira è di nuovo parallela alle linee di flusso e quindi il flusso che l‟attraversa è di
nuovo nullo. In questa posizione inoltre quella che inizialmente era la faccia superiore
della spira è rivolta verso il basso e viceversa.
Continuiamo a ruotare la spira per un quarto di giro. Il flusso che attraversa la spira aumenta nuovamente, ma ora entra dalla faccia opposta a quella da cui entrava nel primo
quarto di giro. Esso diventa nuovamente massimo alla fine del quarto di giro e cioè a tre
quarti dall‟inizio.
Nell‟ultimo quarto di giro il flusso, entrante sempre dalla faccia opposta a quella iniziale, diminuisce nuovamente fino ad azzerarsi quando, compiuto l‟ultimo quarto di giro,
la spira ritorna nella posizione iniziale.
Da questo punto in poi il ciclo si ripete come descritto sopra.
In tutto il ciclo c‟è dunque una variazione di flusso magnetico attraverso la spira. Questa
40
Per maggior chiarezza, nella parte inferiore della figura sono riportate le tre posizioni assunte dalla spira (leggermente rimpicciolita) nel primo quarto di giro.
84
Correnti indotte
N
S
S
N
S
Figura 75
Flusso magnetico
S
N
Figura 76
85
N
S
N
è quindi percorsa da una corrente che, secondo quanto descritto, ha un‟intensità crescente nel primo quarto di giro, decrescente fino ad azzerarsi nel secondo quarto, crescente
nuovamente nel terzo quarto ma nel verso contrario e decrescente e sempre nel verso
contrario nell‟ultimo quarto fino ad azzerarsi al ritorno nella posizione iniziale. Il ciclo
si ripete così in tutte le fasi successive.
Lo stesso andamento dell‟intensità si ha anche per la differenza di potenziale fra i due
estremi della spira.
Siamo quindi di fronte ad una corrente che non fluisce sempre nello stesso verso, e non
è più costante nei suoi parametri, intensità e potenziale. È la “corrente alternata”.
Se su un diagramma (Figura 78) si rappresenta l‟andamento di questi parametri in funzione del tempo (o dell‟angolo descritto dalla spira ruotante), si ha una curva che si
chiama “sinusoide” che si ripete ad ogni giro della spira.
La corrente alternata è quella che, per ragioni che vedremo fra poco, circola nelle nostre
case. Il suo ciclo si ripete 50 volte al secondo, cioè la sua frequenza e 50 Hz e il suo potenziale medio, o “tensione efficace”, è 220 Volt.
Generazione della corrente alternata
La ricerca di una macchina capace di produrre energia elettrica, come si è visto, ha impegnato a lungo gli sforzi degli studiosi.
La scoperta della pila fu il primo passo significativo in questa direzione. Essa aveva
permesso la trasformazione di energia chimica in energia elettrica continua ma la potenza e la capacità dei generatori non andavano oltre certi limiti abbastanza modesti.
L‟induzione elettromagnetica invece ha permesso di trasformare l‟energia meccanica di
movimento in energia elettrica e, a sua volta, l‟energia meccanica di movimento può essere ottenuta per trasformazione di quasi tutte le altre forme di energia. Quindi si può
dire che quasi ogni forma di energia può essere trasformata in energia elettrica alternata.
La macchina che permette di realizzare questa trasformazione è “l‟alternatore” ed il suo
funzionamento è essenzialmente quello descritto sopra per la spira rotante in un campo
magnetico.
In un alternatore, in generale, si preferisce mantenere ferma la spira e far ruotare il campo magnetico, ma l‟effetto è lo stesso perché la corrente indotta è generata dalla variazione del flusso magnetico attraverso la spira che è lo stesso sia che si muova l‟uno o
l‟altro dei componenti in gioco.
L‟energia che viene trasformata in energia elettrica è quella utilizzata per far girare
l‟elemento rotante dell‟alternatore, il “rotore”, e le potenze in gioco possono raggiungere valori molto elevati.
Ciò permette di concentrare la produzione dell‟energia in centrali molto grandi capaci di
servire una grande pluralità di utenti con notevoli economie sui costi di produzione.
Sorge però il problema della distribuzione di questa energia dalla produzione all‟utenza
e ciò può avvenire soltanto collegando fisicamente con dei conduttori la produzione e
l‟utenza.
Il passaggio di corrente attraverso un conduttore genera calore (effetto Joule) il che significa che una parte dell‟energia elettrica durante il trasferimento si trasforma in calore
e quindi va perduta.
Ricordiamo che la quantità di calore prodotta per effetto Joule è proporzionale al quadrato dell‟intensità di corrente che circola nel conduttore, oltre che alla resistenza del
conduttore.
86
La corrente alternata
N
S
Figura 77
Intensità ( o ΔV) della corren
nte
Intensità o ΔV della corrente
Figura 78
87
La resistenza dei conduttori può essere contenuta usando materiali ad alta conducibilità
(rame, leghe di alluminio ecc.) e aumentando la sezione dei cavi, ma oltre certi limiti
non si può andare.
Bisogna quindi agire sull‟intensità della corrente e la riduzione dell‟intensità è molto efficace perché la dispersione di calore varia col quadrato dell‟intensità, ossia se si riduce
a metà l‟intensità il calore diventa un quarto ecc.
Per ridurre l‟intensità, i, senza ridurre la potenza trasferita, P, bisogna aumentare la tensione, V, perché, come sappiamo, la potenza è uguale al prodotto dell‟intensità per la
tensione :
P = V∙i
Quindi, a parità di potenza trasmessa, se si aumenta la tensione di 10 volte l‟intensità
della corrente si riduce di 10 volte ed il calore disperso si riduce di 100 volte.
Con la corrente alternata la tensione può essere variata con un semplice apparecchio, il
“trasformatore statico”.
Il trasformatore statico
L‟aggettivo statico attribuito al trasformatore sta ad indicare che si tratta di una macchina in cui non ci sono organi in movimento.
Il trasformatore è infatti costituito da un nucleo di ferro dolce, a volte in forma di lamelle, intorno a cui sono avvolte due serie di spire distinte e isolate fra loro (Figura 79).
Una delle due serie si chiama (circuito) “primario” l‟altra (circuito) “secondario”.
Il numero delle spire delle due serie è diverso. Chiamiamo N1 quelle del primario e N2
quelle del secondario.
Se il circuito primario è alimentato da una tensione alternata V 1 in esso circola una corrente alternata di intensità i1 che genera un flusso magnetico alternato nel nucleo di ferro
dolce del trasformatore. Questo flusso si concatena con l‟avvolgimento secondario e induce in esso una corrente alternata V2 diversa da V1.
La tensione indotta è legata a quella del circuito primario dalla relazione
Ciò significa che se le spire del secondario, N2, sono più numerose di quelle del primario, N1, la tensione del secondario è maggiore di quella del primario, se meno numerose
è inferiore. Un trasformatore cioè fa aumentare o diminuire la tensione solamente in
funzione del numero di spire di ciascun avvolgimento.
Naturalmente poiché il trasformatore è una macchina statica essa non aggiunge né toglie
potenza al circuito 41 e pertanto l‟intensità di corrente varia in modo inverso, cioè diminuisce se la tensione aumenta e viceversa.
Il trasformatore, nel trasporto di energia dalla produzione al consumo, è quindi usato
due volte e per due scopi diversi
41
Eccetto qualche leggera perdita di energia dovuta soprattutto all‟effetto Joule della corrente che circola
nei circuiti del trasformatore.
88
in prossimità della produzione, per elevare la tensione e quindi ridurre le dispersioni di calore lungo il trasporto dell‟energia all‟utente
in prossimità dell‟utenza, per ridurre la tensione a livelli più bassi per ragioni di
sicurezza.
È stata proprio la possibilità di conseguire questo doppio importante risultato in maniera tanto semplice che ha portato alla enorme diffusione dell‟uso della corrente alternata.
Macchine e centrali di produzione
Come si è detto, per produrre energia elettrica o, meglio, per trasformare in energia elettrica altre forme di energia è necessario utilizzare queste ultime per far ruotare un campo magnetico rispetto ad un circuito elettrico che resta fermo.
Il campo magnetico è generato da una serie di elettrocalamite montate su un corpo cilindrico, il rotore (Figura 80), che ruota all‟interno di un contenitore cilindrico fisso, lo
statore, su cui è installato il circuito elettrico. Questa macchina è l‟alternatore.
Le elettrocalamite del rotore sono alimentate da una corrente continua ausiliaria di modesta intensità che crea però un campo magnetico molto intenso grazie al materiale con
cui sono costruite le elettrocalamite.
Il movimento di rotazione del rotore è ottenuto con un‟altra macchina che si chiama
“turbina” che è essenzialmente una ruota a pale messa in movimento dall‟energia cinetico di un fluido che colpisce le pale.
Il fluido può essere una corrente d‟acqua di un fiume, di una cascata, o di una condotta
forzata42 e in questo caso la turbina e quindi l‟alternatore trasforma l‟energia cinetica
dell‟acqua in energia elettrica (Figura 81). Ciò avviene in una centrale idraulica.
Il fluido può essere vapor d‟acqua generato in una caldaia riscaldata dal calore derivante
dalla trasformazione dell‟energia chimica dei combustibili fossili (carbone, petrolio e
gas naturale) e in questo caso si tratta di una centrale termoelettrica (Figura 82).
Il vapore può poi essere prodotto da una reazione controllata di combustibile nucleare in
una centrale nucleare, da calore naturale geotermico in una centrale geotermica, da rifiuti solidi urbani in un termovalorizzatore, da biomasse in una centrale a biomasse.
Il rotore dell‟alternatore può anche essere messo in movimento invece che da una turbina tradizionale da un‟elica mossa dal vento(Figura 83) e in questo caso si trasforma in
elettrica l‟energia eolica, o da un‟elica mossa dal flusso delle maree che trasforma quindi in elettrica l‟energia marina.
In ogni caso quindi, qualunque sia l‟origine dell‟energia primaria, l‟energia elettrica in
una centrale si ottiene con uno schema produttivo sempre dello stesso tipo: una turbina,
un alternatore43 e un trasformatore finale prima della distribuzione (Figure 85-87).
Accenniamo soltanto ora, senza entrare in dettagli, che gran parte dell‟energia elettrica
distribuita al consumo viene utilizzata nei motori elettrici. Concettualmente questi sono
come degli alternatori che funzionano alla rovescia. La corrente circola nello statore e
42
Una condotta forzata è una tubazione che trasporta acqua che scorre da un lago naturale o artificiale situato in una posizione geografica elevata ad un lago o un fiume posto in una posizione meno elevata.
43
Esula da questo schema la produzione di energia fotovoltaica, che è una trasformazione diretta
dell‟energia solare in energia elettrica ottenuta grazie alle proprietà di alcuni materiali , e l‟energia elettrica prodotta dalle pile a combustibile, in cui l‟energia chimica dei combustibili viene direttamente trasformata in energia elettrica con alcuni procedimenti su cui non possiamo addentrarci in questa sede.
89
Trasformatori
n1
n2
V1
V2
i1
V2 = V1
n2
n1
i2
P2 = P1
V2i2 = V1i1
Figura 79
Campo magnetico rotante
Figura 80
90
Chi lo fa ruotare
Turbina idraulica
Figura 81
Chi lo fa ruotare
Turbina a gas
Figura 82
91
Chi lo fa ruotare
Turbina eolica
Figura 83
Quale energia
Figura 84
92
Centrale idroelettrica
Figura 85
Centrale termoelettrica
Figura 86
93
crea un campo magnetico che attira e fa ruotare il rotore. In tal modo si trasforma
l‟energia elettrica in energia meccanica, cioè si è avuto in pratica il trasferimento di una
forma di energia che sarebbe stato molto più arduo trasportare tal quale o usare localmente.
Ovviamente questo beneficio ha un costo energetico (e quindi economico) molto elevato perché l‟energia che si ottiene alla fine di tutte le trasformazioni è di gran lunga inferiore a quella presente nella fonte originaria di energia da cui si era partiti.
Autoinduzione
Un conduttore in cui circoli una corrente continua oppone una resistenza al passaggio
della corrente che provoca un fenomeno simile a quello dell‟attrito fra due corpi che
strisciano l‟uno sull‟altro cioè una trasformazione di parte dell‟energia in calore.
La stessa cosa avviene anche con la corrente alternata. In questo caso non c‟è un flusso
di cariche nel conduttore ma solo una loro oscillazione. Tuttavia anche un‟oscillazione è
un movimento di elettroni a cui il conduttore oppone resistenza e quindi anche in questo
caso una parte dell‟energia viene trasformata in calore.
La legge di Joule vale anche per la corrente alternata, quindi il calore che si produce è
proporzionale al quadrato dell‟intensità efficace e dipende dalla natura del circuito.
Per la corrente alternata però c‟è anche un altro fenomeno che si aggiunge a quello descritto e crea un ulteriore ostacolo al passaggio della corrente.
Si è visto che il passaggio di corrente in un circuito crea un campo magnetico e se la
corrente non è costante anche il campo magnetico è variabile.
Abbiamo anche visto che una variazione di un campo magnetico concatenato ad un circuito induce in esso una corrente, per cui il campo magnetico variabile di un circuito in
cui circola una corrente alternata induce nello stesso circuito un‟altra corrente elettrica.
È questo il fenomeno che prende il nome di “autoinduzione” perché la corrente è indotta
nello stesso circuito in cui circola la corrente che ha generato il campo magnetico.
La corrente autoindotta è anch‟essa alternata ma è in opposizione di fase rispetto alla
corrente che ha generato il campo magnetico, quindi si oppone ad essa come una resistenza aggiuntiva.
L‟intensità della corrente autoindotta dipende dalla forma del circuito. In circuiti costituiti da lunghi tratti rettilinei le correnti autoindotte hanno un‟intensità molto piccola, in
un solenoide invece (Figura 88) l‟intensità delle correnti autoindotte è molto elevata,
specialmente se il solenoide è avvolto su un nucleo di materiale ferroso. Per i primi si
dice che hanno una bassa induttanza per i secondi alta induttanza.
L‟induttanza si indica con la lettera L e si misura in “henry”.
L‟insieme dell‟induttanza e della resistenza di un circuito a corrente alternata costituisce
“l‟impedenza” che è la caratteristica di un circuito che si oppone alla circolazione della
corrente alternata che, nel caso della corrente continua è costituita soltanto dalla resistenza.
I circuiti oscillanti
Si consideri un condensatore carico. Su una delle sue armature sono concentrate le cariche positive, sull‟altra le cariche negative.
Se le due armature vengono collegate con un semplice circuito formato da un filo metal-
94
Centrale termonucleare
Figura 87
Autoinduzione
G
~
Figura 88
95
lico, le cariche passano rapidamente dall‟una all‟altra ed il condensatore “si scarica”,
ossia non c‟è più differenza fra le cariche presenti su ciascuna delle due armature.
Se però nel circuito che collega le armature è inserito un solenoide (Figura 89), durante i
due brevissimi periodi transitori in cui la corrente cresce perché le cariche iniziano a
spostarsi e poi diminuisce perché si esauriscono le cariche, si crea per autoinduzione
una corrente che si oppone a quella che l‟ha generata, in particolare in verso contrario al
flusso di cariche all‟inizio perché si oppone alla crescita e nello stesso verso alla fine
perché si oppone alla diminuzione.
In particolare in quest‟ultima fase la corrente autoindotta porta delle cariche aggiuntive
sull‟armatura del condensatore che sta ricevendo le cariche. Per esempio se, secondo la
convenzione, assumiamo che le cariche positive si spostano verso l‟armatura negativa
l‟autoinduzione della fase finale aggiunge altre cariche positive a quelle che erano inizialmente presenti sull‟armatura positiva. Queste cariche sono in eccesso rispetto a quelle necessarie a neutralizzare l‟armatura negativa che quindi si carica positivamente.
A questo punto la disposizione delle cariche nel condensatore si è invertita anziché annullarsi e, poiché il collegamento fra le due armature continua ad esistere, ha inizio nel
circuito un flusso di cariche che procede in senso inverso rispetto al precedente e, tutto
il fenomeno si ripete come in precedenza. Il flusso di cariche quindi continua a oscillare
da un estremo all‟altro del circuito e, teoricamente, non dovrebbe più cessare. In pratica
però esso si smorza dopo un certo tempo, come qualsiasi altro movimento, per la presenza di forze frenanti sempre presenti in natura.
Il fenomeno dei circuiti e delle correnti oscillanti non deve meravigliare. Ci sono altri
fenomeni molto simili a cui forse siamo più abituati.
Per esempio il moto di un pendolo (o di un‟altalena) che una volta “caricato”, ossia portato in una posizione diversa dalla verticale, ritorna in questa posizione, la supera per
inerzia, ne raggiunge una uguale (o quasi) dall‟altra parte e continua ad oscillare smorzandosi, poco a poco per effetto dell‟attrito.
Altri esempi sono il movimento della superficie di un liquido in una bacinella che venga
inclinata e rilasciata in un punto del bordo, oppure i rimbalzi di una pallina elastica portata ad una certa altezza e lasciata cadere.
In questi casi l‟inerzia e l‟attrito giocano il ruolo che nei circuiti oscillanti esercitano
l‟autoinduzione e la resistenza.
Per evitare che il moto si smorzi e infine si estingua bisogna somministrare al sistema,
con opportuni accorgimenti e nell‟istante giusto44, quella parte di energia necessaria a
vincere gli attriti nei sistemi meccanici o che viene trasformata in calore e in onde elettromagnetiche nei sistemi elettrici.
Le onde elettromagnetiche
Il circuito oscillante descritto nel paragrafo precedente potrebbe avere una configurazione rettilinea se si pongono le due armature del condensatore ad una certa distanza fra
loro e fra esse si inserisce il circuito elettrico, come indicato nella parte destra della Figura 89.
In questo circuito il campo elettrico oscillante e il campo magnetico ad esso concatenato
si crea fra le due armature del condensatore.
La particolarità in questo caso però è che l‟energia della corrente oscillante non resta
44
Si ricordi, a tale proposito, il fenomeno della risonanza descritto in acustica.
96
Circuiti oscillanti
−
+
+
−
Figura 89
Onde elettromagnetiche
Figura 90
97
racchiusa nel circuito stesso ma si irradia da esso nello spazio circostante sotto forma di
onde elettriche e onde magnetiche concatenate e disposte su piani perpendicolari fra loro (Figura 90).
Maxwell, studiando questa materia da un punto di vista puramente teorico, sviluppò delle formule matematiche che ne davano l‟interpretazione di un fenomeno ondulatorio.
Ovviamente si trattava di un moto ondulatorio di onde non materiali, in cui a vibrare erano campi elettrici e campi magnetici collegati, le “onde elettromagnetiche”.
Sempre con lo sviluppo di formule matematiche Maxwell inoltre calcolò la velocità di
propagazione delle onde elettromagnetiche: 300.000 Km/sec. La velocità della luce!
Quella di Maxwell fu una pietra miliare nella conoscenza dei fenomeni elettromagnetici,
ma Maxwell non andò oltre la speculazione teorica.
Fu merito di Hertz, qualche decennio dopo, di dare un supporto sperimentale alle teorie
di Maxwell. Egli riuscì infatti a produrre e a ricevere nel suo laboratorio onde elettromagnetiche di diverse lunghezze d‟onda e a misurarne sperimentalmente la velocità di
propagazione, confermando che esse si propagano alla velocità della luce.
Le sperimentazioni di Hertz aprirono il campo delle applicazioni pratiche delle onde elettromagnetiche e in questo campo si distinse, fra gli altri, un grande scienziato italiano: Guglielmo Marconi45.
I grandi risultati ottenuti successivamente nel campo delle telecomunicazioni sono sotto
gli occhi di tutti.
45
Guglielmo Marconi (1874-1937) fisico italiano
98
Citazioni
Si riportano qui di seguito, in ordine cronologico di nascita, i nomi degli scienziati menzionati in questo testo, con l’avvertenza che si tratta di pochi, anche se fra i più eccelsi,
personaggi che hanno contribuito alla conoscenza di questa materia.
La schiera delle persone che hanno dedicato la vita allo studio, alla ricerca ed alla sperimentazione dei fenomeni fisici è immensa e, anche se il loro nome non è compreso in
questo elenco, a tutti loro va un deferente pensiero di ammirazione e di ringraziamento.
Benjamin Franklin (1706-90) scrittore, scienziato e politico statunitense
Charles Augustin Coulomb (1736-1806) fisico francese
Luigi Galvani (1737-98) anatomista italiano
Alessandro Volta (1745-1827) fisico italiano
André-Marie Ampère (1775-1836) fisico e matematico francese
George Simon Ohm (1787-1854) fisico tedesco
Michael Faraday (1791-1867) chimico e fisico inglese
Christian Doppler (1803-53) fisico austriaco
James P. Joule (1818-89) fisico inglese
James Clerk Maxwell (1831-1879) matematico e fisico scozzese
Heinrich R. Hertz (1857-94) fisico tedesco
Guglielmo Marconi (1874-1937) fisico italiano
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Referenze
I dati contenuti in questo documento, riportati tal quale o utilizzati per l’elaborazione
dei grafici, sono stati ricavati da una pluralità di fonti, fra cui principalmente:

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

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
Enciclopedia della scienza e della tecnica – Mondadori
Enciclopedia per i ragazzi – Rizzoli
Enciclopedia universale – Garzanti
M. Davoli – Fisica per i licei scientifici
Autori vari – La fisica di Berkeley
E. Guadagno – Ambiente ed Energia
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delle relative immagini nelle edizioni successive del documento.
Profilo dell’autore
Eugenio Guadagno si è laureato in Ingegneria Chimica nel 1958 presso il Politecnico
di Napoli e, nello stesso anno, ha incominciato a lavorare con il Gruppo Montedison (allora ancora Edison) nel settore della progettazione, costruzione ed avviamento di impianti petrolchimici e petroliferi ricoprendo nell’arco di 12 anni posizioni di responsabilità crescenti.
Molti degli impianti realizzati in tale periodo sono tuttora in esercizio e fra questi di particolare importanza è la raffineria di Priolo, con una capacità produttiva di circa 10 milioni di Ton/anno di petrolio.
Dopo questa fase prettamente tecnica è passato, sempre nell’ambito dello stesso Gruppo, ad incarichi di tipo gestionale nel settore petrolifero, ricoprendo ruoli sempre più
impegnativi fino a diventare nel 1977 Direttore Generale del Settore Petrolifero, carica
che ha poi ricoperto per circa 11 anni.
Nel 1989 è stato nominato Presidente ed Amministratore Delegato della Monteshell
SpA, joint venture fra Montedison e Shell, operante in Italia nel campo della produzione
e commercializzazione di prodotti petroliferi.
Nel 1992 è passato al Gruppo Oilinvest dove ha ricoperto, per quattro anni, la carica di
Direttore Generale della Tamoil Italia SpA, e successivamente varie altre cariche
all’interno del Gruppo, fra cui quelle di Amministratore Delegato della Tamoil Shipping
Ltd e della Tamoil Marketing Ltd, le due società inglesi del Gruppo Oilinvest con sede a
Londra, operanti rispettivamente nel campo del brokeraggio marittimo la prima e della
commercializzazione di prodotti petroliferi la seconda.
100
Sommario
Acustica
Generalità ................................................................................................................. 2
Capitolo 1 – Il moto ondulatorio ................................................................................... 3
Caratteristiche del moto............................................................................................. 5
Capitolo 2 – Il suono ..................................................................................................... 8
Caratteristiche delle onde sonore ............................................................................. 10
Effetto Doppler ....................................................................................................... 13
Onde sonore e ostacoli ............................................................................................ 15
Risonanza acustica .............................................................................................. 15
Riflessione del suono........................................................................................... 18
Ottica
Generalità ............................................................................................................... 23
Capitolo 3 – La luce .................................................................................................... 24
La riflessione della luce ........................................................................................... 26
Diffusione ........................................................................................................... 26
Gli specchi .......................................................................................................... 28
La rifrazione della luce ............................................................................................ 36
La luce ed i colori ................................................................................................... 41
Le lenti.................................................................................................................... 45
Elettricità e Magnetismo
Generalità ............................................................................................................... 54
Capitolo 4 – Elettrostatica ........................................................................................... 55
Elettrizzazione ........................................................................................................ 55
Induzione elettrostatica ........................................................................................... 58
101
Generatori elettrostatici ........................................................................................... 58
Principio di conservazione della carica .................................................................... 60
La misura della carica elettrica ................................................................................ 60
Distribuzione delle cariche ...................................................................................... 62
Il potenziale ............................................................................................................ 63
Capacità elettrica ..................................................................................................... 66
Capitolo 5 - Elettrodinamica ....................................................................................... 70
Generalità ............................................................................................................... 70
La corrente elettrica................................................................................................. 72
Intensità di corrente ................................................................................................. 72
Effetti della corrente................................................................................................ 75
Effetto Joule ........................................................................................................ 75
La corrente nei liquidi ......................................................................................... 76
La corrente nei gas .............................................................................................. 76
Effetto magnetico ................................................................................................ 77
Capitolo 6 - Magnetismo ed elettromagnetismo........................................................... 79
Magnetismo ............................................................................................................ 79
Campo elettromagnetico.......................................................................................... 80
Induzione elettromagnetica...................................................................................... 82
La corrente alternata................................................................................................ 84
Generazione della corrente alternata ........................................................................ 86
Il trasformatore statico ............................................................................................ 88
Macchine e centrali di produzione ........................................................................... 89
Autoinduzione ......................................................................................................... 94
I circuiti oscillanti ................................................................................................... 94
Le onde elettromagnetiche ...................................................................................... 96
Citazioni ..................................................................................................................... 99
Referenze .................................................................................................................. 100
Profilo dell’Autore .................................................................................................... 100
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