Menopausa e alimentazione: aspetti psicologici e nutrizionali

Menopausa e alimentazione:
aspetti psicologici e nutrizionali
Bruni R.
Psichiatra, Psicoanalista, Docente di Psicopatologia dei comportamenti alimentari
nel CL in Dietistica, Università Campus Bio-Medico di Roma
Autore per corrispondenza
Rosa Bruni
Via della Pineta Sacchetti n. 229, 10168 Roma, Italia
e-mail [email protected]
Riassunto: Il dialogo tra saperi diversi, per esempio tra psicoanalisi e biologia, tra medicina e
antropologia può aprire scenari nuovi in cui inscrivere e comprendere meglio, in modo più
profondo, fenomeni complessi, come quello della menopausa. Parlando di menopausa non è
possibile infatti utilizzare un solo vertice di osservazione: così la considerazione dei fattori
biologici-ormonali, metabolici, neurologici- non può essere disgiunta dalle esperienze emozionali e dai vissuti e dalle implicazioni antropologiche e culturali. Così si tratta di considerare che le stesse modificazioni biologiche che avvengono in menopausa- da quelli ormonali a
quelli neurologici- assumono un significato nella misura in cui appartengono a quella dimensione del Leib, del corpo vivo, della corporeità. La scienza alimentare, per la sua stessa natura polisemica, può rivestire, nelle sue diverse declinazioni teoriche e operative, un ruolo centrale nella “cura” dell’età critica. Iniziando dalla cura dell’alimentazione, si potrebbero attivare una serie di risorse capaci di implementare la disponibilità della persona a prendersi
cura di sé, a responsabilizzarsi verso la propria salute e il proprio benessere.
Abstract: Menopause is a peculiar and complex phase of the women’s lives requiring different methodological approaches from biology and medicine to psychology and anthropology. This phase
is a result of biologic remodelling dominated by a disruption of sexual hormones leading to not
only profound metabolic and neurologic adjustments, but also to remarkable changes due to the
co-occurring social and psychological transformations. These changes may create considerable
stress for some women, affecting their identity, self-esteem, and social and family relationship. For
others, these might mark the beginning of more fulfilling relationships and new challenges for positive psychological growth. Understanding the independent and interactive effects of the social,
psychological, and biological changes during the menopause is crucial for comprehending midlife
development and provides different instruments to improve the health. Nutrition must be included
in that exploration. In fact the lifestyle changes focused on improving dietary intake could be considered the cornerstones in both prevention and treatment of metabolic syndrome and many others
critical aspects of midlife health.
Parole chiave: Menopausa, Corporeità, Psichicità, Alimentazione
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Parlare di menopausa è dire di una realtà
complessa; è confrontarsi con la difficoltà
di definire confini che appaiono sfrangiati
e mobili; è incontrare più interrogativi che
certezze: quando inizia la menopausa? nelle concentrazioni di ormoni sessuali, nella
comparsa di segni/sintomi specifici, nell’esperienza vissuta di ogni donna? È fenomeno unico o molteplice? Evento o processo? Realtà naturale o patologia? Lo
stesso termine menopausa, introdotto nel
1816 dal medico francese De Gardanne
(1816)1 nella sua opera “Avis aux femmes
qui entrent dans l’âge critique” è sinonimo
di un doppio fenomeno: la fine delle mestruazioni e della funzione ovarica, e l’inizio di un’età “critica”. Fin dalle origini,
cioè la dimensione menopausa appare connotata dalla molteplicità. Fin dall’inizio la
definizione medica classica che vede nella
menopausa quella “condizione di ipoestrogenemia in cui l’interruzione della ciclicità
ovulatoria fa seguito a esaurimento della
funzione ovulatoria”, appare insufficiente e
insoddisfacente. Nella misura in cui la menopausa coincide con il termine della vita
riproduttiva, allora non può che non riproporre, in termini fantasmatici, la figura della maternità e le sue vicissitudini, singolarmente declinate, più o meno drammatiche, più o meno risolte (pensiamo alle situazioni di menopausa precoce o indotta
artificialmente per ragioni mediche). In
questo senso la menopausa costringe ogni
donna ad un confronto ineludibile con il
proprio “essere” e “pensarsi”al femminile,
con il proprio essere o non essere “madre”.
Si tratta in altri termini di ripensare la pro-
pria configurazione identitaria stabilendo
nuovi valori e definendo nuove appartenenze. Si tratta di affrontare perdite, reali – a
volte la menopausa coincide con il distacco
dai figli divenuti adulti o con la perdita delle figure parentali – o fantasmatiche – dal
cambiamento dell’immagine corporea giovanile, alla perdita di seduttività; si tratta di
scoprire nuove risorse, di costruire narrazioni significative sul proprio percorso di
vita. Ecco perché adottando un punto di
vista che rispetti la complessità, la menopausa non costituisce un mero evento biologico, una realtà naturale ma rappresenta
piuttosto un significante, il cui campo semantico è in continua evoluzione: buffer
zone piuttosto che linea di frattura.
La menopausa è quindi fenomeno polisemico nella misura in cui implicando dimensioni diverse dell’esperienza – corporea non meno che psicologica – rimanda a
differenti modi di pensare il corpo, il tempo, l’identità femminile, i rapporti intergenerazionali e sociali. Si tratta allora, per
comprendere meglio il significante menopausa, di muoversi lungo quella linea di
confine che attraversa paradigmi diversi da
quello biomedico a quello culturale, da
quello psicologico a quello antropologico.
In quanto figura polisemica la menopausa
non può che non risentire dello Zeitgeist
prevalente: così se in alcune culture, come
quella dei Mohave (Devereux, 1950), la
transizione alla menopausa coincide con
l’acquisizione di importanza e prestigio all’interno della comunità familiare e sociale, in altre annuncia la morte fisica o sociale (Cohen, 1967). Nella cultura occidentale
1
De Gardanne, mettendo insieme le due parole greche menes (mestruo) e pausis (pausa), introduce il termine
menopause per definire l’età critica della donna.
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odierna, la menopausa è figura tacitata: o
perché confinata nei territori della medicina – menopausa come sinonimo di patologia o disfunzione da curare o da monitorare – o rimossa nella cultura massmediatica, nascosta nell’ombra del mito della
bellezza senza tempo. Il significato di questa rimozione non può che non rimandare
ad uno scenario che è quello del femminile, del corpo femminile e del tempo al
femminile.
Nuove geometrie dell’esistenza
Nella misura in cui la menopausa fa riferimento ad un cambiamento corporeo, stabilisce un tempo – la fine dell’ovulazione,
l’inizio dell’età critica e dell’invecchiamento – è anche figura di trasformazione.
Non un solo tempo piuttosto più tempi insieme abitano quest’età incerta: c’è il tempo lineare della fisicità – l’irreversibilità
dei fenomeni biologici che si evidenza nella cessazione della funzione ovarica, nel
venir meno della produzione di estrogeni
con le relative conseguenze su organi e apparati diversi. Se la cessazione della funzione ovarica è cesura nel tempo lineare, è
insieme e snodo significativo per un altro
tempo, il tempo ciclico. Come la fertilità è
tempo ciclico incarnato,dominato dal ritmo
della natura nella sua alternanza incessante
delle fasi lunari e delle stagioni; così la
perdita della fertilità è ritorno all’indifferenziato, a quel tempo ordinario, rientro in
una posizione di margine su cui sì sembrano affacciarsi insieme infanzia e vecchiaia.
Non a caso la lingua francese per definire
la menopausa parla di retour d’âge, l’età
del ritorno o ritorno dell’età.
Il tempo della menopausa, se visto dalla
prospettiva personale, è tempo vissuto, trama di significati e di esperienze che inces-
santemente si costruiscono e si disfano in
un orizzonte mobile che è la corporeità in
transizione. In menopausa, un po’ come in
adolescenza, il corpo esce dall’usuale cono
d’ombra, per farsi realtà che si fa sentire,
che chiede, a volte sommessamente, a volte rumorosamente, di essere accolta. Fenomeni come le vampate di calore, le sudorazioni profuse, le sensazioni di caldo, le
tachicardie rappresentano simbolicamente,
al di là delle declinazioni sintomatiche, gli
araldi della nuova età che si apre, del tempo che viene e si annuncia nel corpo. Così i
cambiamenti nell’assetto ormonale, con le
ricadute nei singoli tessuti e apparati – da
quello muscolo-scheletrico alla pelle, dal
sistema cardio-vascolare a quello nervoso – si traducono in un cambiamento nel
modo di vivere il proprio corpo, di abitarlo
più o meno comodamente. Compaiono
nuove rughe, la pelle è meno morbida e inizia a macchiarsi; cambia il tono muscolare,
spesso, si prende peso (Crawford, 2000).
Anche le ossa, interessate dal fenomeno
osteoporotico indotto dalla carenza ormonale, si fanno più fragili; l’adipe si ridistribuisce diversamente e cambia la forma del
corpo. La stessa dimensione della sensorialità nel suo complesso appare interessata
dai cambiamenti menopausali: dal deterioramento delle vista per la secchezza
congiuntivale indotta dalla riduzione degli
estrogeni (Graziottin, 1999), alla minore
secrezione sudoripara e sebacea dovuta alla carenza di ferormoni, alla secchezza delle mucose buccali che interessa quasi la
metà delle donne in menopausa (Streckfus
et al., 1998). La secchezza della bocca, poi,
oltre ad ostacolare l’articolazione della parola, può comportare, insieme all’involuzione del gusto, cambiamenti delle abitudini alimentari. Insomma tutto sembra di-
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ventare estraneo. In questi termini anche
quei particolari stati d’animo o quei “sintomi” così frequenti – le improvvise tristezze, gli stati d’ansia continui, perfino le
piccole perdite di memoria e di concentrazione – sembrano dire lo smarrimento dinanzi ad una nuova realtà che chiede di essere accolta. A volte, in questa fase compaiono vere e proprie malattie: da quelle
metaboliche (pensiamo al diabete di tipo
II, alle dislipidemie), a quelle cardiache o
neurodegenerative. Un corpo che non solo
irrompe sulla scena ma a volte lo fa in modo doloroso, pericoloso. Non a caso la menopausa rimanda al latino climacterium (o
al greco klimakter) che, secondo Furetiére
(1690) indica: “un anno pericoloso da passare e in cui si è in pericolo di vita”.
Un corpo che è da intendersi sempre
come corpo vivo Leib, risultante di un dialogo incessante tra la inafferrabile fisicità
– il corpo come organismo dotato di funzioni sue proprie – e la psichicità, che contenendo e dando nome alle sensazioni e alle emozioni scaturite dall’opacità somatica,
le organizza e le rappresenta in un orizzonte di senso e di linguaggio condiviso. La
forma chiasmatica della menopausa, il suo
essere snodo di vicende somatiche e psichiche, si esprime anche attraverso gli stessi meccanismi fisiopatologici. Così la drastica riduzione dei livelli estrogenici si ripercuote anche a livello del Sistema Nervoso Centrale, sulle concentrazioni di neurotrasmettitori (soprattutto noradrenalina,
dopamina e serotonina), neuro peptidi (in
particolare gli oppioidi) e neurosteroidi.
Questo squilibrio neuroendocrino porta all’insorgenza di sintomi vasomotori, modificazioni del comportamento alimentare e
alterazioni della pressione arteriosa per il
coinvolgimento ipotalamico; e ad alterazioni del tono dell’umore, stati d’ansia e
labilità emotiva conseguenti all’interessamento del sistema limbico. Così non è un
caso che nel periodo perimenopausale si
possano configurare veri e propri disturbi
psichiatrici, come si evince dalla letteratura psichiatrica, dalla malinconia da involuzione ad insorgenza menopausale di
Kraepelin (1896) alla particolare suscettibilità alle nevrosi individuata in questa fase
della vita da Freud (1912-13), dai disturbi
depressivi-malinconici legati alla ferita narcisistica descritti dalla Deutsch (1949) o di
Françoise Dolto (1982), ai disturbi psichici
della menopausa descritti da Ey (1989). Al
di là delle derive patologiche, non si può
non considerare il fatto che in ogni transizione menopausale, si mobilitano affetti
più o meno disturbanti, emozioni e sentimenti ambivalenti. Gli stessi cambiamenti
fisiologici della corporeità disegnano nuove configurazioni identitarie, nuovi modi
di sentirsi e di pensarsi che si traducono in
nuove geometrie dell’esistenza. Pensarsi e
sentirsi diversamente vuol dire cambiamento dell’immagine corporea, quel costrutto psichico2 che, radicandosi nell’esperienza più profonda e opaca del corpo,
si costruisce come imago, rappresentazione
dell’esperienza della corporeità, nei suoi
1
Diversi fattori modulano l’immagine corporea, dai fattori emotivi positivi o negativi (Carli, 1995), alla qualità delle esperienze relazionali (Fisher,1993) a fattori legati alla dimensione della sessualità, sia in termini
di rappresentazione identitaria che di esperienza sentimentale in termini fisiologici o patologici (Leiblum e
Rosen, 2004).
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significati affettivi e simbolici (Galimberti,
1992). Se poi si considera l’impatto che sull’immagine corporea hanno le rappresentazioni e i modelli di femminilità, in cui bellezza-giovinezza e salute coincidono in un
ideale normativo, allora possiamo comprendere quanto possa essere difficile e faticoso la ricerca di nuovi assetti identitari
nel tempo della menopausa.
Qui si gioca la possibilità di accettare il
proprio divenire o il tentativo di sottrarvisi,
di trovare nuove configurazioni identitarie,
di individuare nuovi orizzonti di senso.
Questa ricerca finisce spesso per coinvolgere non solo la donna in menopausa ma la
stessa relazione di coppia, in termini sia di
intesa affettiva che di sessualità (Avis et al,
2000), in senso ampio. E di qui il rimando
alla dimensione familiare, ai nuovi assetti
più o meno armonici che si vengono a costruire.
In definitiva se la menopausa si pone
come dimensione della complessità, come
figura molteplice, se tanti saperi – da quello biologico e a quello psicologico, da
quello antropologico al sociologico – sono
necessari per definirne i territori, allora
non sorprende considerare che in termini
non solo di cura ma anche di prevenzione
siano necessarie prospettive nuove che piuttosto che ridurre ne mantengano aperta la
complessità. In questo senso pensiamo che
la scienza alimentare, per la sua stessa natura polisemica, possa rivestire, nelle sue diverse declinazioni teoriche e operative, un
ruolo centrale nella “cura” dell’età critica.
Nutrizione e menopausa
L’aumento dell’aspettativa di vita ha comportato la conseguenza che la maggior parte delle donne nelle società occidentali trascorrano più di un terzo della propria vita
nella fase menopausale. Considerando l’incidenza di malattie cardiovascolari in questa fase della vita, allora è fondamentale
mettere in atto politiche di prevenzione efficaci per evitare almeno alcune delle condizioni più frequentemente associate ai disturbi cardiaci, vale a dire il diabete e le dislipidemie. Si tratta di situazioni che possono essere trattate e prevenute efficacemente attraverso interventi di tipo nutrizionale (Calvert Finn 2000). Se consideriamo poi che la stessa osteoporosi, così
diffusa e invalidante nelle sue conseguenze, risente positivamente degli interventi
nutrizionali (dieta ricca di calcio, sali minerali e vitamine D, K, A, B6, and C, e magnesio; povera di alcool e caffeina), allora
davvero arriviamo a pensare che la menopausa possa rappresentare il periodo ideale
per usare la nutrizione come strumento di
promozione della salute (Prentice, 2004).
Se poi il cibo rappresenta “lo strumento
simbolico per eccellenza” (Morse, 1994),
allora non appare peregrino immaginare
che attraverso interventi nutrizionali si possa promuovere un approccio culturale diverso alla menopausa. Considerando l’ampiezza semantica della parola nutrirsi – ci
si nutre di cibo così come si nutrono emozioni, affetti, sentimenti – non si può non
riflettere sul fatto che i comportamenti alimentari si inscrivono, fin dalle prime fasi
dell’esistenza, in uno scenario che è fisico
non meno che psichico, concreto non meno
che simbolico, individuale non meno che
relazionale. Fin dai primi giorni di vita, infatti, la dimensione affettivo-relazionale si
articola con quella nutrizionale: così durante l’allattamento il bambino non riceve
soltanto nutrienti fondamentali per la sopravvivenza fisica, ma realizza un’esperienza complessa in cui, a partire dalle sen-
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sazioni corporee, emergono emozioni e affetti, si definiscono, tramite l’imprescindibile funzione della rêverie materna, nuove funzioni psichiche e si realizzano i primi scambi relazionali. Se già Freud aveva
individuato nell’oralità una funzione di primo organizzatore psichico, Bion (1962) ha
proposto l’analogia tra i processi psichici
di introiezione e proiezione – processi che
fanno parte e allo stesso tempo formano la
mente – e i processi dell’apparato digerente (assimilazione/evacuazione del cibo):
come il corpo assimila e digerisce il cibo,
così la menta funziona come apparato che
metabolizza sensazioni ed emozioni. Così i
vissuti e i significati legati all’esperienza
nutrizionale si stratificano in livelli diversi
per profondità e per accessibilità alla consapevolezza: da livelli più profondi a cui si
situano sensazioni e stati inconsci prossimi
all’esperienza della fisicità, si passa a significati preconsci e infine a credenze, ad
atteggiamenti e comportamenti consapevoli, benché magari disfunzionali Ciò appare
particolarmente evidente in alcune fasi della vita, come quella adolescenziale (Ferrari, 1992), in cui la corporeità assume una
rilevanza particolare e più che in altri momenti l’integrazione tra fisicità e psichicità
diventa complessa. Proprio in questa difficoltà di integrazione psicosomatica attraverso cui la “mente” cerca di prendere contatto e al tempo stesso, organizzare e modulare l’esperienza sensoriale ed emotiva
che proviene originariamente dal corpo,
potrebbero trovare radice comportamenti
alimentari alterati più o meno significativamente (Ciocca, Bruni, 1994). Anche in
altre fasi della vita, fenomeni di disarmonia o di vera e propria dissociazione nel
dialogo mente-corpo possono tradursi in
alterazioni dei pattern alimentari. In alcuni
casi si mangia troppo o male o disordinatamente – perché si è stressati, o annoiati,
scontenti o inquieti. “Si mangia per riempire una sensazione di vuoto o per noia; a
volte per non sentire niente e stordirsi; altre per riuscire a sentire qualcosa, fosse
anche una sensazione dolorosa-fastidiosa,
come quella tensione addominale. Si mangia per dire qualcosa agli altri, ma si può
digiunare per lo stesso motivo. Si mangia
troppo per chiedere aiuto, si smette di
mangiare perché qualcuno possa accorgersene. Si digiuna per essere belli ed essere accettati e amati; si mangia troppo o
male perché non ci si ama più e si pensa di
non poter più piacere a nessuno” (Bruni,
Khazrai, 2010). Come dicevamo anche la
menopausa si pone come un territorio in
cui si ripropone la difficile integrazione tra
mente e corpo, tra registri di linguaggio
differenti, tra tempo ciclico e tempo lineare, tra continuità e cesure identitarie. Sulla
base di queste considerazioni provare ad
indagare abitudini e credenze alimentari in
fase menopausale3, cercando di esplorarne
le articolazioni con vissuti, sentimenti e mo-
1
Da qualche tempo nell’ambito di una ricerca pluridisciplinare che vede coinvolte l’area ginecologica e quella nutrizionale del Campus Bio-medico di Roma, stiamo conducendo un’indagine sui comportamenti alimentari delle donne in età perimenopausale e menopausale. Al rilevamento delle informazioni medico-ginecologiche di base, è stato abbinato la somministrazione di strumenti psicodiagnostici – orientati ad esplorare variabili come la regolazione affettiva, i cambiamenti dell’immagine corporea, la presenza di sintomi psicofisici
diversi – di questionari nutrizionali – volti a cogliere nel dettaglio le caratteristiche quantitative e qualitative
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modelli culturali diventa utile in termini sia
fisici che psichici. Investigare i comportamenti alimentari inserendoli in un contesto
più ampio che ne metta in luce i significati
affettivi e relazionali, le implicazioni di significato (cura o mancata cura di sé) e relazionale, vuol dire allora promuovere forme di intervento che possano svolgere un
significato preventivo più profondo e duraturo. L’età menopausale inserendo una discontinuità nel percorso di vita potrebbe
per certi versi facilitare la revisione di assetti cognitivo-affettivi e comportamentali:
così partendo magari dalla cura dell’alimentazione, si potrebbero attivare una serie di risorse capaci di implementare la disponibilità della persona a prendersi cura
di sé, a responsabilizzarsi verso la propria
salute. La possibilità di sviluppare programmi nutrizionali mirati a prevenire e a
ridurre sintomi e deficit propri dell’età menopausale, equivale a promuovere un cambiamento di paradigma, una cultura che valorizzi la diversità. Si tratta quindi, di realizzare un approccio personalizzato, costruire forme di intervento che sollecitino
la partecipazione della donna, che possano
attivare in lei il senso di responsabilità nella cura di sé e della propria salute, intesa
come armonica integrazione tra psichicità
e corporeità. Vuol dire aiutare le donne ad
accettare meglio la specificità menopausale
senza incorrere nel rischio di quelle forme
di cosmesi correttiva, che vede nella menopausa solo un inconveniente di cui sbarazzarsi al più presto. Non si tratta cioè
soltanto di disporre decaloghi alimentari
finalizzati alla correzione dei deficit e delle
disfunzioni (cosa di per sé di grande rilievo) ma di favorire una cultura della cura di
sé nel tempo, di promuovere cioè una concezione ecologica della cura che dia valore
alle diverse età della vita. Un approccio
cioè che senza negare la diversità, senza
appiattirsi a fantasie onnipotenti di bellezza e giovinezza senza fine, sappiano valorizzare le risorse nascoste nell’età critica.
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promuovere linee di ricerca (vedi in tal senso tesi di laurea di F. Adanti: “L’età incerta: aspetti nutrizionali e
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