Saggistica Aracne 223 Innocenzo Alfano Storie di Rock Gli anni Sessanta e Settanta attraverso dischi, festival, libri, luoghi, suoni e molte curiosità Copyright © MMXI ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–4451–3 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: dicembre 2011 Quasi tutti pensano che per essere un buon musicista di blues uno debba per forza soffrire. Io penso che non sia così. A me il blues piace soprattutto come suono. Quando sento certe note provo un autentico senso di felicità. (Jimi Hendrix, 1942-1970) È sempre la stessa dannata storia: non abbiamo fondi per la scuola, mentre non mancano mai i soldi per le armi nucleari! Credo che i nostri politici perdano troppo tempo in questioni stupide o di scarsa importanza. (Grace Slick, cantante dei Jefferson Airplane e dei Jefferson Starship) La felicità non puoi trovarla in te ma nell’amore che agli altri un giorno darai. (Le Orme, in “Ritratto di un mattino”) Forse Ollie non è mai stato il miglior chitarrista del mondo, ma certamente era tra i primi due. (John Halsey a proposito di Ollie Halsall, membro di Patto e Tempest tra il 1970 e il 1974) La maggior parte delle case discografiche guardano soltanto a una cosa: i risultati. I profitti sono il nocciolo della faccenda, tutto quello che conta alla fine. Considerano il lavoro di registrazione di un artista come se fosse un prodotto che deve essere venduto sul mercato come qualsiasi altro bene di consumo. (George Martin, il “quinto beatle”) È meglio aprire gli occhi e dire di non aver capito, piuttosto che tenerli chiusi e dire di non crederci. (Funkadelic bylaw n. 19, 1978) INDICE 11. Introduzione I. Inghilterra e Usa patrie del rock e del blues (e del folk) 17. Allman Brothers Band: il blues, per incominciare 21. Jimi Hendrix e la banda degli zingari Coda: incisioni postume 26. Colosseum: i figli del tempo 31. Isle of Wight Festival 1969 Coda: il folk atipico dei Pentangle 36. Una canzone per i Family (e per Chappo) 42. La modernità per Bob Dylan passa da Tokyo Coda: digitale versus analogico 47. Un nuovo inizio per Jimi Hendrix 52. The Bath Festival 1970 Coda: anche in Olanda si fa festa 59. The Knife, cavallo di battaglia dei Genesis dal vivo 64. Il power trio dei Bakerloo a caccia di gloria 70. In memory of John Cipollina 76. Big Sur Folk Festival 1970 Coda: spirito progressista 81. Finalmente dal vivo: il Rainbow Theatre ospita i Family 86. Un “vulcanico” Jimi Hendrix si esibisce alle Hawaii Coda: il contagioso fascino dei crateri 90. Jon Hiseman non ha paura, e fonda i Tempest 95. Il rock sudista della Allman Brothers Band II. PFM e dintorni 103. La PFM è ancora in sella. Anzi, in carrozza... 7 8 111. Stelle dei media frivole e falsi professori: gli Acqua Fragile non ci stanno 121. Le Orme in concerto valevano il prezzo del biglietto? 130. La PFM dal vivo non teme nessuno, specialmente in U.S.A. 145. Mauro Pagani racconta l’Italia degli anni ’70 attraverso un romanzo 154. Fabrizio De André in concerto con arrangiamenti (contraffatti) della PFM III. Just a collection of curiosities 167. Rubare è un reato, ma non nella musica rock. Il caso Bombay Calling Coda: copiano tutti, povero Wallace 170. Il primo album di progressive rock? Una raccolta Coda: due generi ben distinti 177. Si fa presto a dire album solista... 182. In che modo una canzone può cambiare la nostra vita? 187. Steeplejack in concerto a Pisa: c’ero anch’io 191. Suonare suonare... con la Banda Musicale 195. Un marpione chiamato Jimmy Page (ovvero quando la musica degli altri diventa tua senza che quegli altri lo sappiano, e anche se lo sapessero, chi se ne importa!) 204. Jimi Hendrix, l’“eroe negativo” 206. L’epopea dell’electric folk britannico raccontata in un bel libro da un italiano Coda: camminando per Londra con Ralph McTell 213. Terry Kath si spara e muore, per gioco Coda: i “100 migliori” chitarristi rock 217. I Beatles, un magnifico quintetto 225. Le sviste delle enciclopedie rock: il caso Colosseum 233. Michelle come non l’avete mai ascoltata Coda: cercasi esperti di teoria musicale 236. Gli Who e quella curiosa paura di invecchiare 239. Un gruppo eccentrico. Di più, dadaista! 9 244. Paul McCartney è morto, ma nessuno lo sa 249. Una nazione in balia del groove 254. A Los Angeles anche i gufi ama(va)no il blues IV. San Francisco Sound: i suoni di una città 259. Tenetevi forte: i Jefferson Airplane spiccano il volo! Coda: una live band, innanzitutto 267. Anno nuovo musica nuova per i Grateful Dead Coda: uno strumento inconsueto 277. Gli It’s A Beautiful Day fanno il bis, e poi quasi nulla più Coda: chi non c’è più e chi si dedica alla politica 294. L’uomo va sulla luna, i Quicksilver Messenger Service nel bosco Coda: giorni tristi 316. Si scrive Cold Blood, si pronuncia funk Coda: rock al femminile 323. L’astronave della controcultura vaga felice nello spazio Coda: in aereo o sull’astronave, l’importante è suonare 348. Il Fillmore: dagli esordi ai “last days” Coda: a est di San Francisco 363. Bibliografia e sitografia di riferimento INTRODUZIONE Nei quattro capitoli di questo libro il lettore troverà numerose riflessioni da me dedicate al rock “classico”, cioè il rock suonato dal vivo ed inciso su dischi di vinile tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso. Ce n’è per tutti i gusti: analisi di album – e di singoli brani – con relativa guida all’ascolto, saggi critici, retrospettive più o meno ampie, recensioni di libri, rievocazione di storici festival e concerti, oltre a molte, davvero tante, curiosità. Le mie riflessioni sulla musica rock erano iniziate nel 2004 con la pubblicazione de Il caso del rock progressivo. Erano poi proseguite nel 2006 con l’uscita di Verso un’altra realtà, ed erano continuate nel 2008 con circa venti saggi inclusi nel lungo Effetto Pop. A quel punto stavo quasi per fermarmi, convinto di aver esaurito le cose “urgenti” da dire su questo genere musicale. Ma mi sbagliavo, perché di cose da dire ce n’erano ancora parecchie, e alcune le ho dette nelle 370 pagine di questo libro. Per esempio mi è piaciuto molto raccontare la storia musicale del cosiddetto San Francisco Sound, citato spessissimo nelle enciclopedie rock ma che nessuno in Italia, fino ad ora, si era preso la briga di analizzare con la necessaria accuratezza e con un minimo di sistematicità (per la sistematicità completa, essendo la città di San Francisco ricca di gruppi e di stili a partire dal 1966, si rimanda, magari, ad una pubblicazione futura). Il rock della San Francisco Bay Area è analizzato nel Capitolo IV, l’ultimo del volume, con, tuttavia, un’anteprima già nel capitolo iniziale, nel quale ho ricordato la figura del compianto chitarrista dei Quicksilver Messenger Service John Cipollina. Ma il rock, negli anni Settanta, è stato anche italiano, grazie all’affascinante fenomeno del progressive. All’Italia ho dedicato tutto il Capitolo II, concentrandomi in particolare sulla Premiata Forneria Marconi. Il secondo capitolo di Storie di Rock è quello più breve, ma è anche il più difficile, poiché vi si parla di musica in senso prevalentemente tecnico, e con l’“aggravante” che la musica della PFM, così come quella degli Acqua Fragile e delle Orme presenti in due paragrafi di questa sezione, è piut11 12 tosto complessa. Confesso che è per me alquanto imbarazzante dover avvertire i lettori (eventuali, s’intende) che le parti più difficili in un libro di musica sono proprio quelle musicali. Imbarazzante e assurdo, ma in Italia, dispiace dirlo, la cultura e le competenze musicali dei semplici appassionati di rock sono così limitate – a volte nulle – che l’avvertenza è quasi d’obbligo. La scarsa dimestichezza con la cosiddetta arte dei suoni non è comunque prerogativa dei soli “fan”, perché anche i critici non brillano di certo in tal senso. E infatti in Italia, rispetto al rock, non si scrivono, in generale, libri di musica, ma libri attorno alla musica. Così “attorno” che i musicisti bravi rischiano di non essere neppure notati o di venir dimenticati in fretta, a tutto vantaggio di quelli semplicemente famosi, quasi sempre tali per ragioni che nulla hanno a che vedere con la capacità di suonare in modo brillante e originale uno o più strumenti. Per dirla tutta credo che il rock sia l’unico genere musicale nel quale ci si ricorda a oltranza dei mediocri e si gettano nell’oblio i capaci. Io però nei miei libri, per molti versi controcorrente ma coerenti con la visione che ho della musica, ho sempre preferito parlare dei musicisti bravi, indicando quali sono attraverso nomi, cognomi e nazionalità e spiegando inoltre che cosa hanno fatto insieme alle loro rispettive band, cioè quali sono (state) le loro opere migliori e come sono (state) costruite. Il lettore interessato, oltre a nomi più noti, si imbatterà perciò in gruppi come Colosseum, Family, Tempest, Bakerloo, Funkadelic, Bonzo Dog Doo/Dah Band, Cold Blood, It’s A Beautiful Day e Acqua Fragile, tutti composti da musicisti tecnicamente validi e con diverse punte di eccellenza. Penso sia ora che gli storici “ufficiali” del rock, soprattutto italiani, comincino ad occuparsi seriamente anche di queste – come di altre – formazioni. Ricordo che un giorno, nel 2009 o 2010, un mio caro amico, giornalista rock e scrittore, mi disse che secondo lui è impossibile parlare di musica rock senza parlare anche delle droghe e della loro presenza e influenza nella vita di molti gruppi e di singoli musicisti. L’affermazione mi stupì molto, anche perché avevo già scritto tre libri interi sul rock senza, per l’appunto, parlare di droghe, se non per dire che purtroppo esistono ma so- 13 prattutto per sottolineare i danni che causano o che possono causare alla salute degli individui, e i tanti musicisti rock morti giovanissimi a causa della dipendenza da qualche sostanza stupefacente – e/o alcolica – ne sono la tragica testimonianza. Con questo libro, il mio quarto in ambito musicale, continuo a dimostrare che è invece possibile parlare di musica rock senza parlare di droghe, o di aneddotica, un’altra materia assai cara ad appassionati e critici “specializzati”. Non è difficile scrivere libri sul rock concentrandosi solo, o principalmente, sulla musica. Io l’ho fatto, quindi si può fare. Basta stabilirlo prima. Il terzo capitolo, dedicato alle “curiosità”, è il più eclettico del libro. Qui, tra il serio e il faceto, ho cercato di fare un po’ di chiarezza su questioni che nel rock vengono affrontate con una certa superficialità, talvolta grave ed inspiegabile, e senza il necessario spirito critico. Mi sono posto diverse domande, in questa sezione del volume, in qualche caso riprendendo e sviluppando ulteriormente temi già affrontati all’epoca di Effetto Pop. Per esempio mi sono domandato che cosa sia esattamente, o che cosa dovrebbe essere, o come dovrebbe essere inteso, un album solista, espressione assai usata, e a mio avviso parecchio abusata, nella musica rock. O domande sul ruolo e sulla funzione, in chiave compositiva, dei produttori musicali esperti di musica e musicisti essi stessi, con riferimento ai Beatles e a George Martin, che per molti aspetti non è esagerato considerare il quinto membro della celebre band inglese. Oppure sui “prestiti” e sulle citazioni di brani altrui, o di parti di brani altrui, non segnalati nei credits dei dischi, con picchi di autentico menefreghismo raggiunti nel caso dei gruppi guidati dal chitarrista britannico Jimmy Page. O sulle famose classifiche dei “migliori 100”, veri e propri compendi di banalità varie – in particolare nei commenti “giustificativi” – e colpevoli abbagli. E su altro ancora. Insomma, spero che quelli che leggeranno questo libro, molti o pochi che siano, ne traggano utili elementi in vista di una ridefinizione del rock come fenomeno musicale più che come fatto di costume, rango al quale è stato ridotto, con il tacito assenso dei musicisti (non tutti, ma la stragrande maggioranza di essi), negli ultimi quarant’anni. Invito inoltre i medesimi lettori a 14 segnalarmi errori e incongruenze, o ad esprimere semplicemente una loro opinione su ciò che avranno letto, scrivendo al seguente indirizzo email: [email protected]. Per ultimo la dedica, che è sempre la stessa: ai miei genitori, Isa e Francesco, with love. Pisa, ottobre 2011 I. Inghilterra e Usa patrie del rock e del blues (e del folk) ALLMAN BROTHERS BAND: IL BLUES, PER INCOMINCIARE Alla fine degli anni ’60 i migliori musicisti rock militavano, in generale, nei gruppi blues in Gran Bretagna e nelle formazioni dedite alla psichedelia negli Stati Uniti d’America, dove il genere era noto anche come acid-rock. La verifica delle qualità strumentali, per gruppi e singoli musicisti, era affidata alla prova maestra degli spettacoli dal vivo, nei quali i vari espedienti tecnici utilizzabili dalle band dentro uno studio di registrazione, e tendenti a migliorare e/o abbellire la propria musica (sovraincisioni, nastri manipolati, ricorso massiccio ad ospiti, ecc.), erano assenti. Su un palco, di conseguenza, o si era bravi per davvero oppure, come capitò a molti, si rischiava di fare delle figuracce. Chi non fece mai brutte figure, fin dall’inizio, fu la Allman Brothers Band (ABB), che anzi proprio sui palchi diede il meglio di sé costruendovi gran parte della meritata fama. Su impulso dei fratelli Gregg e Duane Allman, rispettivamente tastierista e chitarrista del gruppo, la ABB prese forma nei primi mesi del 1969 debuttando a Jacksonville, in Florida, il 29 marzo. Subito dopo elesse come quartier generale la città di Macon, in Georgia, dove, insieme alla Capricorn Records di Phil Walden, mise a punto un tipo di musica che i critici hanno definito “southern rock”. Un genere che prevedeva la mescolanza di rock, country e blues e che era tipico, come fa chiaramente intendere l’aggettivo “southern”, di formazioni del sud degli Stati Uniti, ed in particolare di alcune tra quelle messe sotto contratto proprio da Phil Walden. L’organico strumentale della Allman Brothers Band era per l’epoca rivoluzionario, in quanto comprendeva, oltre alle tastiere – di solito organo Hammond – e al basso elettrico, due chitarre soliste e due batterie, di cui una suonata da un percussionista afroamericano. Le parti vocali erano di competenza pressoché esclusiva di Gregg Allman. Il primo album della Allman Brothers Band, in attesa che partisse il progetto Capricorn Records, venne registrato a New York City in collaborazione con la blasonata etichetta ATCO, 17 18 Storie di Rock una sussidiaria della Atlantic Recording Corp., subito dopo il megaraduno di Woodstock (15-18 agosto). La pubblicazione del long playing avvenne circa due mesi dopo, ma si trattò, nonostante la validità del materiale incluso nel 33 giri, di un mezzo disastro: pare infatti che il totale delle copie vendute fu, in prima battuta, di poco superiore alle 30.000 unità, il che volle dire, per il gigantesco mercato discografico statunitense, praticamente un fiasco. I classici stilemi southern rock sono in questo primo lavoro della ABB ancora allo stadio embrionale. Il disco, prodotto da Adrian Barber (che è anche tecnico del suono), è invece dominato dal blues, oltre che, come era tipico del loro stile, dalle improvvisazioni dei due chitarristi e dalla ritmica serrata e onnipresente delle batterie di Butch Trucks e Jai Johanny Johanson. Per ascoltare elementi più compiuti di “rock sudista” bisognerà perciò attendere la pubblicazione del secondo lp. Nel frattempo Duane Allman e Dickey Betts ne approfittano per affinare la tecnica in quello che divenne uno dei tratti stilistici più vistosi ed innovativi del gruppo, e cioè il costante dialogo tra le due chitarre soliste. Ma le Gibson Les Paul di Allman e Betts non si limitavano soltanto a dialogare tra loro, beninteso ad altissimo livello, perché, già che c’erano, i due escogitarono pure un’altra tecnica: quella dei riff e degli elementi motivici da suonare all’unisono – e a volte, come nel caso del riff di Black Hearted Woman, addirittura in un unisono di tipo collettivo – in un contesto che prevedeva la partecipazione di entrambe le chitarre, dell’organo e anche del basso elettrico. Il primo unisono (quasi collettivo) si può ascoltare già nel brano di apertura del long playing. Si tratta della cover di un rhythm’n’blues dello Spencer Davis Group intitolato Don’t Want You No More, un 45 giri di scarso successo pubblicato dalla formazione britannica più di due anni prima, e dal quale gli Allman Brothers eliminarono la parte cantata. Il primo originale del gruppo, legato senza soluzione di continuità al brano iniziale dell’album, è invece It’s Not My Cross To Bear, un blues che dà modo al sestetto statunitense di far capire agli acquirenti – all’inizio pochi – del 33 giri di che pasta sono fatti i Inghilterra e Usa patrie del rock e del blues (e del folk) 19 pionieri del southern rock a contatto con la “musica del diavolo”. Come detto, in questo primo lavoro della Allman Brothers Band c’è tanto blues, perciò non poteva mancare un omaggio ad uno dei grandi bluesman americani. L’ossequio, più che sentito, è nei confronti di McKinley Morganfield alias Muddy Waters, e la scelta degli Allman Brothers cadde, all’epoca, su Trouble No More, spesso presente nella scaletta dei concerti di quel periodo (l’anno dopo la dedica riguarderà invece Willie Dixon con il classico Hoochie Coochie Man). La chitarra elettrica slide di Duane Allman fa la parte del leone nell’interpretazione di questo brano di Waters risalente al 1955. Il lato B della vecchia edizione in vinile dell’album si apre con Every Hungry Woman, un brano duro alla Steppenwolf caratterizzato da un riff eseguito all’unisono dalle due chitarre dopo una breve introduzione di slide, ma, soprattutto, arricchito da una memorabile parte centrale contraddistinta da un incalzante ed eccitante dialogo tra le chitarre elettriche di Allman e Betts (02:07-02:45). Questo è senza dubbio il primo capolavoro del disco, un punto di riferimento obbligato per gli album, e per i concerti, degli anni immediatamente successivi. A ruota seguono gli altri due capolavori del 33 giri, Dreams e Whipping Post. Il primo è un brano d’atmosfera dalle movenze sognanti (“dreams” vuol dire sogni...) di sette minuti e più di durata giocato sull’alternanza – perlomeno nelle strofe – di due soli accordi su un ritmo di 6/4, e nobilitato dal fraseggio alla slide di Duane Allman. È anche, di gran lunga, il brano più esteso dell’ellepì. Chiude l’album, oltre che la seconda splendida facciata della versione in vinile del disco, Whipping Post. Una seconda facciata paragonabile, per intensità e qualità musicale, allo straordinario lato 1 di “Idlewild South”, secondo long playing nel percorso discografico della ABB nonché primo album, come ricordato, a contenere stilemi southern. Anche nel caso di Whipping Post, una composizione ipnotica e vagamente psichedelica, si nota subito il ritmo inconsueto per un brano rock dell’epoca. Dopo il 6/4 di Dreams la faccenda si complica infatti un po’ a causa di un atipico e “stravinskijano” 12/8 nel riff iniziale, così suddiviso: 3+3+3+2. Le strofe ed il ritornello sono eseguiti in- 20 Storie di Rock vece in un 12/8 ordinario, come pure le sezioni del brano occupate dalle parti solistiche. Per il finale ci si affida ad un blues lento, senza tuttavia abbandonare il ritmo di 12/8. La Allman Brothers Band è stata inclusa nella lista che ospita le 500 migliori composizioni rock di tutti i tempi, compilata dai membri della Rock and Roll Hall of Fame Foundation, con due brani, Whipping Post e Ramblin’ Man, quest’ultimo vero e proprio simbolo del gruppo per ciò che concerne il genere che il sestetto fondato dai fratelli Allman contribuì a fondare all’inizio degli anni Settanta ed ormai universalmente noto come southern rock. A differenza di quasi tutte le altre composizioni della band, Ramblin’ Man, grande successo a 45 giri nel 1973, e presente altresì nell’album “Brothers And Sisters”, è cantata da Dickey Betts. The Allman Brothers Band – “The Allman Brothers Band” 1. Don’t Want You No More 2:25 2. It’s Not My Cross To Bear 4:55 3. Black Hearted Woman 5:16 4. Trouble No More 3:45 5. Every Hungry Woman 4:13 6. Dreams 7:15 7. Whipping Post 5:20 Musicisti: Duane Allman, chitarra elettrica solista, chitarra acustica, chitarra slide Gregory Allman, organo, voce Dick Betts, chitarra elettrica solista Berry Oakley, basso elettrico Butch Trucks, batteria, timbales, maracas Jai Johanny Johanson, batteria, congas Produttore e tecnico del suono: Adrian Barber Copertina: Robert Kingsbury Pubblicazione: novembre 1969 (Atco SD-33-308)