Saggistica Aracne
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Innocenzo Alfano
Storie di Rock
Gli anni Sessanta e Settanta
attraverso dischi, festival, libri,
luoghi, suoni e molte curiosità
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ISBN
978–88–548–4451–3
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
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I edizione: dicembre 2011
Quasi tutti pensano che per essere un buon musicista di blues uno debba per forza soffrire. Io
penso che non sia così. A me il blues piace soprattutto come suono. Quando sento certe note
provo un autentico senso di felicità.
(Jimi Hendrix, 1942-1970)
È sempre la stessa dannata storia: non abbiamo
fondi per la scuola, mentre non mancano mai i
soldi per le armi nucleari! Credo che i nostri politici perdano troppo tempo in questioni stupide
o di scarsa importanza.
(Grace Slick, cantante dei Jefferson Airplane e
dei Jefferson Starship)
La felicità non puoi trovarla in te
ma nell’amore che agli altri un giorno darai.
(Le Orme, in “Ritratto di un mattino”)
Forse Ollie non è mai stato il miglior chitarrista
del mondo, ma certamente era tra i primi due.
(John Halsey a proposito di Ollie Halsall, membro di Patto e Tempest tra il 1970 e il 1974)
La maggior parte delle case discografiche guardano soltanto a una cosa: i risultati. I profitti
sono il nocciolo della faccenda, tutto quello che
conta alla fine. Considerano il lavoro di registrazione di un artista come se fosse un prodotto
che deve essere venduto sul mercato come qualsiasi altro bene di consumo.
(George Martin, il “quinto beatle”)
È meglio aprire gli occhi e dire di non aver capito, piuttosto che tenerli chiusi e dire di non
crederci.
(Funkadelic bylaw n. 19, 1978)
INDICE
11. Introduzione
I. Inghilterra e Usa patrie del rock e del blues (e del folk)
17. Allman Brothers Band: il blues, per incominciare
21. Jimi Hendrix e la banda degli zingari
Coda: incisioni postume
26. Colosseum: i figli del tempo
31. Isle of Wight Festival 1969
Coda: il folk atipico dei Pentangle
36. Una canzone per i Family (e per Chappo)
42. La modernità per Bob Dylan passa da Tokyo
Coda: digitale versus analogico
47. Un nuovo inizio per Jimi Hendrix
52. The Bath Festival 1970
Coda: anche in Olanda si fa festa
59. The Knife, cavallo di battaglia dei Genesis dal vivo
64. Il power trio dei Bakerloo a caccia di gloria
70. In memory of John Cipollina
76. Big Sur Folk Festival 1970
Coda: spirito progressista
81. Finalmente dal vivo: il Rainbow Theatre
ospita i Family
86. Un “vulcanico” Jimi Hendrix si esibisce alle Hawaii
Coda: il contagioso fascino dei crateri
90. Jon Hiseman non ha paura, e fonda i Tempest
95. Il rock sudista della Allman Brothers Band
II. PFM e dintorni
103. La PFM è ancora in sella. Anzi, in carrozza...
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111. Stelle dei media frivole e falsi professori:
gli Acqua Fragile non ci stanno
121. Le Orme in concerto valevano il prezzo del biglietto?
130. La PFM dal vivo non teme nessuno,
specialmente in U.S.A.
145. Mauro Pagani racconta l’Italia degli anni ’70
attraverso un romanzo
154. Fabrizio De André in concerto con arrangiamenti
(contraffatti) della PFM
III. Just a collection of curiosities
167. Rubare è un reato, ma non nella musica rock.
Il caso Bombay Calling
Coda: copiano tutti, povero Wallace
170. Il primo album di progressive rock? Una raccolta
Coda: due generi ben distinti
177. Si fa presto a dire album solista...
182. In che modo una canzone può cambiare la nostra vita?
187. Steeplejack in concerto a Pisa: c’ero anch’io
191. Suonare suonare... con la Banda Musicale
195. Un marpione chiamato Jimmy Page (ovvero quando
la musica degli altri diventa tua senza che quegli altri
lo sappiano, e anche se lo sapessero, chi se ne
importa!)
204. Jimi Hendrix, l’“eroe negativo”
206. L’epopea dell’electric folk britannico raccontata
in un bel libro da un italiano
Coda: camminando per Londra con Ralph McTell
213. Terry Kath si spara e muore, per gioco
Coda: i “100 migliori” chitarristi rock
217. I Beatles, un magnifico quintetto
225. Le sviste delle enciclopedie rock: il caso Colosseum
233. Michelle come non l’avete mai ascoltata
Coda: cercasi esperti di teoria musicale
236. Gli Who e quella curiosa paura di invecchiare
239. Un gruppo eccentrico. Di più, dadaista!
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244. Paul McCartney è morto, ma nessuno lo sa
249. Una nazione in balia del groove
254. A Los Angeles anche i gufi ama(va)no il blues
IV. San Francisco Sound: i suoni di una città
259. Tenetevi forte: i Jefferson Airplane spiccano il volo!
Coda: una live band, innanzitutto
267. Anno nuovo musica nuova per i Grateful Dead
Coda: uno strumento inconsueto
277. Gli It’s A Beautiful Day fanno il bis, e poi
quasi nulla più
Coda: chi non c’è più e chi si dedica alla politica
294. L’uomo va sulla luna, i Quicksilver Messenger
Service nel bosco
Coda: giorni tristi
316. Si scrive Cold Blood, si pronuncia funk
Coda: rock al femminile
323. L’astronave della controcultura vaga felice
nello spazio
Coda: in aereo o sull’astronave, l’importante è suonare
348. Il Fillmore: dagli esordi ai “last days”
Coda: a est di San Francisco
363. Bibliografia e sitografia di riferimento
INTRODUZIONE
Nei quattro capitoli di questo libro il lettore troverà numerose riflessioni da me dedicate al rock “classico”, cioè il rock suonato dal vivo ed inciso su dischi di vinile tra gli anni ’60 e ’70
del secolo scorso. Ce n’è per tutti i gusti: analisi di album – e di
singoli brani – con relativa guida all’ascolto, saggi critici, retrospettive più o meno ampie, recensioni di libri, rievocazione di
storici festival e concerti, oltre a molte, davvero tante, curiosità.
Le mie riflessioni sulla musica rock erano iniziate nel 2004
con la pubblicazione de Il caso del rock progressivo. Erano poi
proseguite nel 2006 con l’uscita di Verso un’altra realtà, ed erano continuate nel 2008 con circa venti saggi inclusi nel lungo
Effetto Pop. A quel punto stavo quasi per fermarmi, convinto di
aver esaurito le cose “urgenti” da dire su questo genere musicale. Ma mi sbagliavo, perché di cose da dire ce n’erano ancora
parecchie, e alcune le ho dette nelle 370 pagine di questo libro.
Per esempio mi è piaciuto molto raccontare la storia musicale
del cosiddetto San Francisco Sound, citato spessissimo nelle
enciclopedie rock ma che nessuno in Italia, fino ad ora, si era
preso la briga di analizzare con la necessaria accuratezza e con
un minimo di sistematicità (per la sistematicità completa, essendo la città di San Francisco ricca di gruppi e di stili a partire
dal 1966, si rimanda, magari, ad una pubblicazione futura). Il
rock della San Francisco Bay Area è analizzato nel Capitolo IV,
l’ultimo del volume, con, tuttavia, un’anteprima già nel capitolo
iniziale, nel quale ho ricordato la figura del compianto chitarrista dei Quicksilver Messenger Service John Cipollina.
Ma il rock, negli anni Settanta, è stato anche italiano, grazie
all’affascinante fenomeno del progressive. All’Italia ho dedicato tutto il Capitolo II, concentrandomi in particolare sulla Premiata Forneria Marconi. Il secondo capitolo di Storie di Rock è
quello più breve, ma è anche il più difficile, poiché vi si parla di
musica in senso prevalentemente tecnico, e con l’“aggravante”
che la musica della PFM, così come quella degli Acqua Fragile
e delle Orme presenti in due paragrafi di questa sezione, è piut11
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tosto complessa. Confesso che è per me alquanto imbarazzante
dover avvertire i lettori (eventuali, s’intende) che le parti più
difficili in un libro di musica sono proprio quelle musicali. Imbarazzante e assurdo, ma in Italia, dispiace dirlo, la cultura e le
competenze musicali dei semplici appassionati di rock sono così
limitate – a volte nulle – che l’avvertenza è quasi d’obbligo. La
scarsa dimestichezza con la cosiddetta arte dei suoni non è comunque prerogativa dei soli “fan”, perché anche i critici non
brillano di certo in tal senso. E infatti in Italia, rispetto al rock,
non si scrivono, in generale, libri di musica, ma libri attorno alla musica. Così “attorno” che i musicisti bravi rischiano di non
essere neppure notati o di venir dimenticati in fretta, a tutto vantaggio di quelli semplicemente famosi, quasi sempre tali per ragioni che nulla hanno a che vedere con la capacità di suonare in
modo brillante e originale uno o più strumenti. Per dirla tutta
credo che il rock sia l’unico genere musicale nel quale ci si ricorda a oltranza dei mediocri e si gettano nell’oblio i capaci.
Io però nei miei libri, per molti versi controcorrente ma coerenti con la visione che ho della musica, ho sempre preferito
parlare dei musicisti bravi, indicando quali sono attraverso nomi, cognomi e nazionalità e spiegando inoltre che cosa hanno
fatto insieme alle loro rispettive band, cioè quali sono (state) le
loro opere migliori e come sono (state) costruite. Il lettore interessato, oltre a nomi più noti, si imbatterà perciò in gruppi come
Colosseum, Family, Tempest, Bakerloo, Funkadelic, Bonzo
Dog Doo/Dah Band, Cold Blood, It’s A Beautiful Day e Acqua
Fragile, tutti composti da musicisti tecnicamente validi e con
diverse punte di eccellenza. Penso sia ora che gli storici “ufficiali” del rock, soprattutto italiani, comincino ad occuparsi seriamente anche di queste – come di altre – formazioni.
Ricordo che un giorno, nel 2009 o 2010, un mio caro amico,
giornalista rock e scrittore, mi disse che secondo lui è impossibile parlare di musica rock senza parlare anche delle droghe e
della loro presenza e influenza nella vita di molti gruppi e di
singoli musicisti. L’affermazione mi stupì molto, anche perché
avevo già scritto tre libri interi sul rock senza, per l’appunto,
parlare di droghe, se non per dire che purtroppo esistono ma so-
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prattutto per sottolineare i danni che causano o che possono
causare alla salute degli individui, e i tanti musicisti rock morti
giovanissimi a causa della dipendenza da qualche sostanza stupefacente – e/o alcolica – ne sono la tragica testimonianza. Con
questo libro, il mio quarto in ambito musicale, continuo a dimostrare che è invece possibile parlare di musica rock senza parlare di droghe, o di aneddotica, un’altra materia assai cara ad appassionati e critici “specializzati”. Non è difficile scrivere libri
sul rock concentrandosi solo, o principalmente, sulla musica. Io
l’ho fatto, quindi si può fare. Basta stabilirlo prima.
Il terzo capitolo, dedicato alle “curiosità”, è il più eclettico
del libro. Qui, tra il serio e il faceto, ho cercato di fare un po’ di
chiarezza su questioni che nel rock vengono affrontate con una
certa superficialità, talvolta grave ed inspiegabile, e senza il necessario spirito critico. Mi sono posto diverse domande, in questa sezione del volume, in qualche caso riprendendo e sviluppando ulteriormente temi già affrontati all’epoca di Effetto Pop.
Per esempio mi sono domandato che cosa sia esattamente, o che
cosa dovrebbe essere, o come dovrebbe essere inteso, un album
solista, espressione assai usata, e a mio avviso parecchio abusata, nella musica rock. O domande sul ruolo e sulla funzione, in
chiave compositiva, dei produttori musicali esperti di musica e
musicisti essi stessi, con riferimento ai Beatles e a George Martin, che per molti aspetti non è esagerato considerare il quinto
membro della celebre band inglese. Oppure sui “prestiti” e sulle
citazioni di brani altrui, o di parti di brani altrui, non segnalati
nei credits dei dischi, con picchi di autentico menefreghismo
raggiunti nel caso dei gruppi guidati dal chitarrista britannico
Jimmy Page. O sulle famose classifiche dei “migliori 100”, veri
e propri compendi di banalità varie – in particolare nei commenti “giustificativi” – e colpevoli abbagli. E su altro ancora.
Insomma, spero che quelli che leggeranno questo libro, molti o pochi che siano, ne traggano utili elementi in vista di una ridefinizione del rock come fenomeno musicale più che come fatto di costume, rango al quale è stato ridotto, con il tacito assenso dei musicisti (non tutti, ma la stragrande maggioranza di essi), negli ultimi quarant’anni. Invito inoltre i medesimi lettori a
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segnalarmi errori e incongruenze, o ad esprimere semplicemente una loro opinione su ciò che avranno letto, scrivendo al seguente indirizzo email: [email protected].
Per ultimo la dedica, che è sempre la stessa: ai miei genitori,
Isa e Francesco, with love.
Pisa, ottobre 2011
I. Inghilterra e Usa patrie
del rock e del blues
(e del folk)
ALLMAN BROTHERS BAND: IL BLUES, PER INCOMINCIARE
Alla fine degli anni ’60 i migliori musicisti rock militavano,
in generale, nei gruppi blues in Gran Bretagna e nelle formazioni dedite alla psichedelia negli Stati Uniti d’America, dove il
genere era noto anche come acid-rock. La verifica delle qualità
strumentali, per gruppi e singoli musicisti, era affidata alla prova maestra degli spettacoli dal vivo, nei quali i vari espedienti
tecnici utilizzabili dalle band dentro uno studio di registrazione,
e tendenti a migliorare e/o abbellire la propria musica (sovraincisioni, nastri manipolati, ricorso massiccio ad ospiti, ecc.), erano assenti. Su un palco, di conseguenza, o si era bravi per davvero oppure, come capitò a molti, si rischiava di fare delle figuracce. Chi non fece mai brutte figure, fin dall’inizio, fu la Allman Brothers Band (ABB), che anzi proprio sui palchi diede il
meglio di sé costruendovi gran parte della meritata fama.
Su impulso dei fratelli Gregg e Duane Allman, rispettivamente tastierista e chitarrista del gruppo, la ABB prese forma
nei primi mesi del 1969 debuttando a Jacksonville, in Florida, il
29 marzo. Subito dopo elesse come quartier generale la città di
Macon, in Georgia, dove, insieme alla Capricorn Records di
Phil Walden, mise a punto un tipo di musica che i critici hanno
definito “southern rock”. Un genere che prevedeva la mescolanza di rock, country e blues e che era tipico, come fa chiaramente intendere l’aggettivo “southern”, di formazioni del sud
degli Stati Uniti, ed in particolare di alcune tra quelle messe sotto contratto proprio da Phil Walden.
L’organico strumentale della Allman Brothers Band era per
l’epoca rivoluzionario, in quanto comprendeva, oltre alle tastiere – di solito organo Hammond – e al basso elettrico, due chitarre soliste e due batterie, di cui una suonata da un percussionista
afroamericano. Le parti vocali erano di competenza pressoché
esclusiva di Gregg Allman.
Il primo album della Allman Brothers Band, in attesa che
partisse il progetto Capricorn Records, venne registrato a New
York City in collaborazione con la blasonata etichetta ATCO,
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Storie di Rock
una sussidiaria della Atlantic Recording Corp., subito dopo il
megaraduno di Woodstock (15-18 agosto). La pubblicazione del
long playing avvenne circa due mesi dopo, ma si trattò, nonostante la validità del materiale incluso nel 33 giri, di un mezzo
disastro: pare infatti che il totale delle copie vendute fu, in prima battuta, di poco superiore alle 30.000 unità, il che volle dire,
per il gigantesco mercato discografico statunitense, praticamente un fiasco.
I classici stilemi southern rock sono in questo primo lavoro
della ABB ancora allo stadio embrionale. Il disco, prodotto da
Adrian Barber (che è anche tecnico del suono), è invece dominato dal blues, oltre che, come era tipico del loro stile, dalle improvvisazioni dei due chitarristi e dalla ritmica serrata e onnipresente delle batterie di Butch Trucks e Jai Johanny Johanson.
Per ascoltare elementi più compiuti di “rock sudista” bisognerà
perciò attendere la pubblicazione del secondo lp. Nel frattempo
Duane Allman e Dickey Betts ne approfittano per affinare la
tecnica in quello che divenne uno dei tratti stilistici più vistosi
ed innovativi del gruppo, e cioè il costante dialogo tra le due
chitarre soliste. Ma le Gibson Les Paul di Allman e Betts non si
limitavano soltanto a dialogare tra loro, beninteso ad altissimo
livello, perché, già che c’erano, i due escogitarono pure un’altra
tecnica: quella dei riff e degli elementi motivici da suonare
all’unisono – e a volte, come nel caso del riff di Black Hearted
Woman, addirittura in un unisono di tipo collettivo – in un contesto che prevedeva la partecipazione di entrambe le chitarre,
dell’organo e anche del basso elettrico.
Il primo unisono (quasi collettivo) si può ascoltare già nel
brano di apertura del long playing. Si tratta della cover di un
rhythm’n’blues dello Spencer Davis Group intitolato Don’t
Want You No More, un 45 giri di scarso successo pubblicato
dalla formazione britannica più di due anni prima, e dal quale
gli Allman Brothers eliminarono la parte cantata. Il primo originale del gruppo, legato senza soluzione di continuità al brano
iniziale dell’album, è invece It’s Not My Cross To Bear, un
blues che dà modo al sestetto statunitense di far capire agli acquirenti – all’inizio pochi – del 33 giri di che pasta sono fatti i
Inghilterra e Usa patrie del rock e del blues (e del folk)
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pionieri del southern rock a contatto con la “musica del diavolo”. Come detto, in questo primo lavoro della Allman Brothers
Band c’è tanto blues, perciò non poteva mancare un omaggio ad
uno dei grandi bluesman americani. L’ossequio, più che sentito,
è nei confronti di McKinley Morganfield alias Muddy Waters, e
la scelta degli Allman Brothers cadde, all’epoca, su Trouble No
More, spesso presente nella scaletta dei concerti di quel periodo
(l’anno dopo la dedica riguarderà invece Willie Dixon con il
classico Hoochie Coochie Man). La chitarra elettrica slide di
Duane Allman fa la parte del leone nell’interpretazione di questo brano di Waters risalente al 1955.
Il lato B della vecchia edizione in vinile dell’album si apre
con Every Hungry Woman, un brano duro alla Steppenwolf caratterizzato da un riff eseguito all’unisono dalle due chitarre dopo una breve introduzione di slide, ma, soprattutto, arricchito da
una memorabile parte centrale contraddistinta da un incalzante
ed eccitante dialogo tra le chitarre elettriche di Allman e Betts
(02:07-02:45). Questo è senza dubbio il primo capolavoro del
disco, un punto di riferimento obbligato per gli album, e per i
concerti, degli anni immediatamente successivi. A ruota seguono gli altri due capolavori del 33 giri, Dreams e Whipping Post.
Il primo è un brano d’atmosfera dalle movenze sognanti (“dreams” vuol dire sogni...) di sette minuti e più di durata giocato
sull’alternanza – perlomeno nelle strofe – di due soli accordi su
un ritmo di 6/4, e nobilitato dal fraseggio alla slide di Duane Allman. È anche, di gran lunga, il brano più esteso dell’ellepì.
Chiude l’album, oltre che la seconda splendida facciata della
versione in vinile del disco, Whipping Post. Una seconda facciata paragonabile, per intensità e qualità musicale, allo straordinario lato 1 di “Idlewild South”, secondo long playing nel
percorso discografico della ABB nonché primo album, come ricordato, a contenere stilemi southern. Anche nel caso di Whipping Post, una composizione ipnotica e vagamente psichedelica,
si nota subito il ritmo inconsueto per un brano rock dell’epoca.
Dopo il 6/4 di Dreams la faccenda si complica infatti un po’ a
causa di un atipico e “stravinskijano” 12/8 nel riff iniziale, così
suddiviso: 3+3+3+2. Le strofe ed il ritornello sono eseguiti in-
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Storie di Rock
vece in un 12/8 ordinario, come pure le sezioni del brano occupate dalle parti solistiche. Per il finale ci si affida ad un blues
lento, senza tuttavia abbandonare il ritmo di 12/8.
La Allman Brothers Band è stata inclusa nella lista che ospita le 500 migliori composizioni rock di tutti i tempi, compilata
dai membri della Rock and Roll Hall of Fame Foundation, con
due brani, Whipping Post e Ramblin’ Man, quest’ultimo vero e
proprio simbolo del gruppo per ciò che concerne il genere che il
sestetto fondato dai fratelli Allman contribuì a fondare all’inizio
degli anni Settanta ed ormai universalmente noto come southern
rock. A differenza di quasi tutte le altre composizioni della
band, Ramblin’ Man, grande successo a 45 giri nel 1973, e presente altresì nell’album “Brothers And Sisters”, è cantata da Dickey Betts.
The Allman Brothers Band – “The Allman Brothers Band”
1. Don’t Want You No More 2:25
2. It’s Not My Cross To Bear 4:55
3. Black Hearted Woman 5:16
4. Trouble No More 3:45
5. Every Hungry Woman 4:13
6. Dreams 7:15
7. Whipping Post 5:20
Musicisti:
Duane Allman, chitarra elettrica solista, chitarra acustica,
chitarra slide
Gregory Allman, organo, voce
Dick Betts, chitarra elettrica solista
Berry Oakley, basso elettrico
Butch Trucks, batteria, timbales, maracas
Jai Johanny Johanson, batteria, congas
Produttore e tecnico del suono: Adrian Barber
Copertina: Robert Kingsbury
Pubblicazione: novembre 1969 (Atco SD-33-308)