Recensione Jazz Convention - Settembre 2015

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Tigran Hamasyan ­ Mockroot
Scritto da Aldo Del Noce Mercoledì 30 Settembre 2015 00:00
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Nonesuch ­ 546521 ­ 2015 Tigran Hamasyan: pianoforte, tastiere, voce
Sam Minaie: basso elettrico
Arthur Hnatek: batteria, elettroniche
Areni Agbabian: voce
Gayanée Movsisyan: voce
ospiti:
Chris Tordini: sax tenore in Song for Melan & Rafik
Ben Wendel: basso elettrico in Song for Melan & Rafik
Nate Wood: batteria in Song for Melan & Rafik
Esordendo con marchi di fabbrica stilistici già inconfondibili, fin dalle declamazioni di To Love alle stralunate e
scintillanti veemenze di Out of the Grid, lala sesta personale prova discografica dell’americanizzato (ma adesso
solidamente rimpatriato) talento armeno Tigran Hamasyan, Mockroot dichiara di persistere su una non­velleitaria
corrente tematica, facendosi ulteriormente dichiarato, per molti versi letterale, il recupero sul pentagramma e
nell'alfabeto ideativo del proprio patrimonio culturale. Di spettacolarità nel complesso meno esasperata rispetto al precedente album, la regia ed i ruoli permangono fortemente
immersi entro la dimensione del gioco, esplicitato non tanto dalle mescolanze melodiche quanto dalle rinnovate
invenzioni ritmiche, particolarmente dominanti ­ ed adeguatamente rette dalla sezione percussiva. Dilaga un'impulsività rock, introiettata già nell'infanzia in unicum con i linguaggi della classicità, e un senso della
rappresentazione mutuato e allineato alla sua cultura d'origine: determinante nella costruzione del groove il metallo
fiammante e le asciutte pelli di Arthur Hnatek, in parte e in sintonia nel ruolo ritmico che comunque in buona parte
scaturisce dalle prorompenti prodezze del leader, spregiudicato esploratore di un pianoforte in prevalente fase di
decollo. Maggior ariosità e freschezza nell'impianto generale, meno gravato dalle più grosse fila del precedente album, e che
assai si giova dell'apporto vocale femminile di Areni Agbabian e Gayanée Movsisyan (muse rispettivamente dei
precedenti Shadow Theater ed EP1) cui continua ad affiancarsi il cantato dello stesso Tigran (qui in veste di vocalist un
po' più convincente e concentrato). Opportunamente alterno il carattere delle tracks, che ben raramente depongono l'impegno costruttivo e la tensione
espressiva ­ si transita così dal "prog" inquieto e liricheggiante di Song for Melan and Rafik alle più fluenti cantabilità
delle due Kars, spaziate nell'arco dell'album, rispettivamente dedicate ai monti e ai drammi d'Armenia, segnando
l'epilogo in Out of the Grid, che stempera le veemenze jazz­rock dell'attacco nel medesimo, nobile cantato posto ad
"intro" dell'album, aggraziato e segnato da teatralità semplice, recuperante un gusto di familiare intimità. Alla vigilia di un progetto che lo vedrà duettare con il grande confratello Brad Mehldau, (nonché dell'ormai certo
debutto per ECM totalmente dedicato al canto corale armeno), Tigran si conferma in solida forma e ancora poco
concessivo ai consensi e al credito evidentemente conquistati sul campo, ove continua a spendere ed elargire una
musicalità che, se non completa, è densamente pervasa da forti segni identitari e peculiare senso della spettacolarità,
suggellando una nuova raccolta creativa che giunge da un artista nel cui caso "firma" e "inconfondibile" hanno ormai
assunto argomentata sostanza. Link di riferimento: www.nonesuch.com/albums/mockroot
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