Lars Danielsson le libere corde dell’anima di Marco Maimeri foto di Alessandra Freguja Lirico e possente sia al contrabbasso sia al violoncello, ha portato avanti per anni un quartetto con Dave Liebman al sax, Bobo Stenson al piano e Jon Christensen alla batteria, aperto e coeso. Specializzatosi anche come compositore e arrangiatore per orchestre sinfoniche e big bands, dopo l’esperienza al fianco del pianista polacco Leszek Możdżer incrocia adesso il suo strumento con un altro talento della tastiera, l’armeno Tigran Hamasyan: e da quest’intesa nasce “Liberetto”. Cosa spinge un giovane promettente violoncellista classico come te a passare al contrabbasso e al jazz: un naturale sviluppo nel percorso formativo o il frutto di una irruente passione? Per me fu naturale andare in cerca di uno strumento che fosse più consono alla musica improvvisata, sin da quando, all’età di diciotto anni, iniziai ad ascoltare jazz. Questo accadde dopo che già suonavo rock’n’roll e classica. Strimpellavo l’organo Hammond e la chitarra in una band quando ero giovane. Un giorno vidi un concerto di Oscar Peterson e NHØP, Niels-Henning Ørsted Pedersen, alla tivù e decisi di passare al basso. Quali sono stati i tuoi principali maestri ed ispiratori nel processo di studio, ascolto e approfondimento del jazz? Dopo aver ascoltato nel corso degli anni Sessanta solo pop e rock, fu una colossale rivoluzione per me scoprire la musica jazz. I Beatles, la mia band preferita in assoluto, avevano smesso di suonare, Jimi Hendrix era morto ed io non trovavo più nulla di interessante nel pop e nel rock. Dunque il jazz fu un’enorme scoperta per me, al pari di giungere su un nuovo pianeta. Non capivo bene come la musica fosse strutturata, sentivo però che mi giungeva fre14 JazzColo[u]rs | aprile ’12 sca e meravigliosa. Ascoltai un sacco di strumentisti quali Palle Danielsson, Gary Peacock e Charlie Haden, per restare solo sui bassisti, come anche e lungamente Miles Davis, John Coltrane e Keith Jarrett. Sono stato fortunato a suonare con molti musicisti più grandi e con più esperienza di me. È stato grazie a questo che ho imparato a creare improvvisazioni ed atmosfere musicali sempre migliori. Quanto sono state importanti l’influenza e l’eredità di grandi bassisti scandinavi come Ørsted Pedersen, Palle Danielsson, Anders Jormin e altri, nel tuo modo di suonare e concepire il jazz? Sono stati tutti davvero molto importanti per me, in quanto strumentisti provenienti da quella stessa parte del mondo che aveva sviluppato un suo specifico sound. È per Anders Jormin che ho studiato al conservatorio di Göteborg e Palle Danielsson era ed è tuttora al contrabbasso il mio più grande eroe e mito. Quali ricordi hai del tuo quartetto di lungo corso con il sassofonista Dave Liebman, il pianista Bobo Stenson e il batterista Jon Christensen? È stato un periodo fantastico, una grande scuola per imparare ad improvvisare senza seguire la traccia l'uno dell'altro ma facendo sì che ognuno esprima e porti avanti la propria nella musica così che diventi un tutt'uno. Credo che quella band fosse davvero unica e mi piacciono i dischi realizzati insieme. Quel gruppo fu il tuo primo banco di prova come compositore ed arrangiatore. Che esperienza ne hai tratto e come sei riuscito poi ad adattare il tuo stile pure a contesti più estesi come orchestre sinfoniche e big bands quali la Danish Radio Concert Orchestra ed il Jazz Baltica Ensemble? Nello scrivere per formazioni estese ho cercato di restituire lo stesso senso della forma che si può avere nel quartetto e questo è un qualcosa che trovo più difficile in un’orchestra grande che in una più piccola. Noi jazzisti siamo soliti cambiare la forma di ciò che suoniamo ogni giorno, ogni volta che improvvisiamo. Ma ciò valeva pure per Igor Stravinskij e Maurice Ravel, ad esempio, anche loro erano bravi a fare questo. Comporre musica scritta che costituisca una nuova sfida ogni giorno. Mi era stato chiesto di scrivere un pezzo per la Gothenburg Symphony Orchestra così, per trovare ispirazione, sono andato a vedere “La Sagra della Primavera” di Stravinskij: dopo il concerto ho smesso immediatamente di cercar di creare un flusso musicale come quello. Ho deciso invece di fare qualcosa che coinvolgesse maggiormente l’improvvisazione. In che modo il tuo approccio alla composizione cambia quando ricevi una commissione per scrivere per grandi orchestre come la Gothenburg Symphony Orchestra e la NDR Big Band, oppure lars danIElsson lIBErETTo (aCT - 2011) lars danielsson (cb, vlo, Wurlitzer), Tigran hamasyan (pn, vc), John Parricelli (ch), arve henriksen (tr), magnus Öström (bt, prc) yerevan liberetto day one orange market hymnen svensk låt hov arek sarer djan Party on the Planet Tystnaden; ahdes Theme; driven to daylight; Blå Ängar per produzioni teatrali quali “Bastards”, che debutterà il prossimo maggio in Islanda? Parlavo prima della Symphony Orchestra ma con la Liberetto non è solo l’album d’incontro fra due interessanti, innovativi musicisti. Il binomio fra il leader, contrabbassista e violoncellista Lars Danielsson, e il nuovo talento del pianoforte jazz, Tigran Hamasyan — inopportunamente identificato come il “nuovo Keith Jarrett” quando già di suo è uno “straordinario Tigran” — è certo intrigante, e di questo va dato merito sia all’agente di Danielsson, René Hess, che lo ha suggerito, sia alla ACT che lo ha posto in essere e documentato. Liberetto è anche la testimonianza dell’osmosi fra due modi di concepire il jazz, complementari perché affondano le loro radici nella comune passione e dedizione per la musica classica, eppure diversi, perché colgono a piene mani dal folk delle rispettive terre dei protagonisti, la Svezia del primo, l’Armenia del secondo. Ma il bello sta nel fatto che è Tigran stesso a presentare queste due culture sotto un’unica luce: è lui, infatti, a comporre la traccia “più svedese” del disco, Svensk Låt, come anche ad arrangiarne la canzone “più armena”, la tradizionale Hov Arek Sarer Djan, per poi unire le forze a quelle del ti- tolare nell’ibrida e co-firmata Tystnaden, dal sound sopranazionale. Insomma, un album affascinante, che spazia da atmosfere cangianti (Yerevan di Tigran, Orange Market, Driven to Daylight di Danielsson) a melodie ariose (Liberetto, Day One), da brani eterei (Hymnen, Blå Ängar) a terrigne composizioni pop-rock (Party on the Planet, Ahdes Theme). Non bisogna dimenticare, poi, che non si tratta di un disco in duo ma di un progetto in trio allargato a quintetto: da notare perciò le frastagliate ed avviluppanti soluzioni della batteria e delle percussioni dello svedese Magnus Öström; i sottili ed evanescenti interventi della cristallina e suadente tromba del norvegese Arve Henriksen; nonché i deliziosi e arzigogolati intrecci della candida e straniante chitarra del britannico John Parricelli. La diversa nazionalità dei componenti permette di chiudere con una considerazione: solo mettendo insieme e facendo coesistere le differenti culture e tradizioni del nostro Vecchio Continente si può dare vita ad un autentico e rinnovato spirito europeo. Che la musica jazz sia d’insegnamento._Ma.Ma. JazzColo[u]rs | aprile ’12 15 Big Band è differente. Si tratta perlopiù di arrangiare pezzi per un gran numero di fiati. Tutto dipende dalla melodia. Ho scritto alcuni arrangiamenti per Robben Ford e la Danish Radio Big Band, in massima parte blues, così poi ho deciso di continuare il più possibile su quell’area e con quel mood. Scrivere per il Jazz Baltica Ensemble è diverso perché presuppone melodie più lunghe e tipologie musicali più variegate. Penso si debba reagire ad ogni situazione, solo così la musica potrà diventare più intensa possibile. Quella che sto componendo insieme alla cantante Caecilie Norby per “Bastards” è specifica per il teatro ed è qualcosa di nuovo per me. Utilizzeremo la Symphony Orchestra ma ci esibiremo anche dal vivo in duo. In casi come questi occorre pensare in maniera differente perché il testo e il fluire dell’opera hanno un ruolo centrale e la musica deve rendere l’emozione della piéce ancora più forte. Quanto ti ha aiutato la collaborazione con un grande maestro quale Vince Mendoza nello sviluppare ed evolvere le tue abilità come compositore ed arrangiatore per piccoli e grandi ensemble? È stato fantastico lavorare con Vince, anche perché ho sempre ammirato il suo modo di scrivere. A parte Klaus Ogermann, Vince è il mio arrangiatore prefe16 JazzColo[u]rs | aprile ’12 rito: è stato un magnifico privilegio nonché una meravigliosa esperienza collaborare con lui. In particolare, come valuti la tua esperienza nella all-stars band del disco di Mendoza “Blauklang”? Era davvero emozionante quel sound creato da Vince mettendo insieme un quartetto d’archi, un’arpa, un vibrafono, una sezione fiati e Peter Erskine alla batteria. Penso che assomigliasse a quello di una grande orchestra e Vince è bravo in questo: sa creare un mood e un sound che sembrano davvero naturali. Hai lavorato con Randy e Michael Brecker, Jack DeJohnette, John Scofield, Billy Hart, Charles Lloyd, Mike Stern, e preso parte al Trilok Gurtu Group: che caratteristiche deve avere un bassista/violoncellista per entrare in sintonia con differenti leader? Credo che la cosa più importante sia come ci si comporta musicalmente. Io mi chiedo di cosa abbia bisogno la musica da me per diventare più ricca e più grande. Non sempre ciò mi fa risaltare come un musicista estremamente virtuoso ma io devo essere lì per l’arte. In questo mi dà un grande aiuto anche il fatto che suono più strumenti e inoltre sono abituato a comporre. Penso di poter vedere la musica da una prospettiva più ampia rispetto a quella che riguarda solamente “quale tipo di microfono è puntato sul contrabbasso”. Quali nuove alchimie musicali hai cercato coinvolgendo anche il chitarrista britannico John Parricelli e il trombettista norvegese Arve Henriksen nell’ensemble del tuo nuovo disco “Liberetto”? Tanto da Arve che da John credo volessi il sound e il loro modo di interpretare le melodie. Arve può suonare un motivo molto semplice facendolo diventare incantevole, non ha bisogno di mille note per dire qualche cosa. Il modo di creare suoni e sviluppare musica da parte di John mi emoziona tantissimo. Cosa puoi raccontare del modo di suonare di Magnus Öström, ex batterista dell’Esbjörn Svensson Trio? Il suo drumming, quanto ha influenzato il tuo spettro sonoro e musicale? Magnus dà sempre un enorme contributo a livello di suoni e sensibilità, in qualsiasi contesto sia coinvolto, perciò sono davvero contento di averlo con noi in questa “costellazione musicale”. Anche in studio è molto creativo e ha un grande cuore per l'arte. Come hai conosciuto il pianista armeno Tigran Hamasyan e cosa ti ha spinto a creare un duo con lui? Un giorno il mio manager René Hess mi ha chiamato e mi ha chiesto se avessi mai ascoltato il pianista armeno Tigran, poi mi ha mandato un link e così l’ho potuto ascoltare su internet: mi è piaciuto subito il suo pianismo e il suo modo di fare musica, ho sentito che provenivamo musicalmente dallo stesso pianeta. Qual è stato il contributo interpretativo e compositivo di Hamasyan nella realizzazione di “Liberetto” e quali differenze e analogie hai riscontrato fra lui e il pianista polacco Leszek Możdżer, tuo partner musicale negli ultimi lavori “Pasodoble” e “Tarantella” per la ACT? Trovo che “Liberetto” sia una continuazione dei miei album precedenti: la direzione compositiva si attesta sulla stessa area. Le melodie di Tigran recano in sé un differente mood ma suonano perlopiù nello stesso modo. La sua composizione Svensk Låt suona più svedese di molta musica che ho scritto io. L’album “Pasodoble” era un incontro fra due musicisti [Leszek e me] che allora suonavano spesso insieme. È questa la differenza: noi avevamo già una lunga storia in comune prima di registrare quel disco. Quest’ultimo album è stato realizzato in studio, con una band, nel giro di un paio di giorni, e poi è stato mixato. Non è stato un progetto a lungo termine, a differenza della maggior parte dei miei lavori precedenti. Inoltre, questa volta, si capisce che la musica è stata creata in maniera più corale.