Perversione sadomasochistica e relazioni oggettuali interne Marcello Pedretti M. Pedretti, Perversione sado-masochistica e relazioni oggettuali interne, Bergasse 19. Cultura e cura psicoanalitica, n. 8 – Ottobre 2012, Ed. Ananke Questo lavoro vuole portare l’attenzione a un aspetto particolare della patologia perversa: la patologia perversa come espressione di una diade oggettuale interna, a difesa da angosce abbandoniche e a copertura di desideri fusionali. (L’interesse è stato suscitato in me da una persona che ho avuto occasione di seguire, caratterizzata da una perversione di tipo prevalentemente relazionale a sfondo sadomasochistico, e dalla contagiosità e dal potere seduttivo e confusivo di tali diadi, che vengono a costituire un “altro mondo”, il solo mondo possibile). Il concetto di perversione nel linguaggio comune, come riportato nel dizionario Treccani, indica: “Qualsiasi modificazione in senso deteriore, patologico, di un processo psichico, di un sentimento, di un comportamento, di una tendenza istintiva”. Come possiamo vedere si fa riferimento ad ambiti e significati diversi, sono presenti aspetti interni ed esterni, e sono presenti implicazioni biologiche, affettive, ideative e sociali In psicoanalisi i riferimenti obbligati per il concetto di perversione sono da un lato i modelli teorici relativi allo sviluppo psico-sessuale, psico-affettivo e relazionale dell’uomo e dall’altro il concetto di norma. La norma dal punto di vista sociale è collegata al riconoscimento pubblico di un comportamento, dal punto di vista psicoanalitico più che al concetto di norma, definitivamente superato con il concetto di “posizioni” proposto da Melanie Klein, si fa riferimento a un ideale rappresentato da una struttura del Sé coesa, da difese flessibili, da un buon contatto con la realtà. A partire da ciò possiamo parlare di sintomi perversi e di strutture perverse, di vari tipi di perversione: sessuale, morale, relazionale. Nei vari modelli psicoanalitici ci si confronta continuamente con domande come: Cosa è il male? Cosa è il piacere? Cosa differenzia il piacere da un vissuto di pienezza dell’essere? Cosa differenzia la distruttività dalla aggressività? Meltzer (1973) afferma che “non c’è attività umana che non possa venire pervertita, dato che l’essenza dell’impulso perverso consiste nel trasformare la parte buona in cattiva, conservando l’apparenza della bontà”. Al centro non è lo scostamento da un ideale o dalla norma, ma la falsificazione della realtà, una falsificazione che pone la realtà perversa come la migliore realtà possibile. […] Quali i contributi della psicoanalisi al tema della perversione? La perversione sadomasochistica è stata al centro dell’attenzione della psicoanalisi fin dalle prime riflessioni di Sigmund Freud. Egli si occupa all’inizio, nel solco degli studi descrittivi a lui precedenti, in particolare delle perversione sessuali. È con lui che vengono superati i concetti di innatismo e di degenerazione e vengono messi in evidenza i rapporti stretti tra le perversioni sessuali adulte e lo sviluppo della sessualità infantile, con le sue varie fasi: orale, anale e fallica. Oltre al collegamento regressivo con forme di piacere infantile, contributo essenziale di Sigmund Freud è stato evidenziare nella perversione una scissione parziale dell’Io che attraverso il contemporaneo riconoscimento e diniego della realtà permette di "conservare la gratificazione dell' istinto", mentre allo stesso tempo “si porta il dovuto rispetto alla realtà". Nel 1920 in “Al di là del principio del piacere” Freud teorizza la presenza nell’uomo di una pulsione di morte accanto a quella di vita e nel 1924 con il saggio “Il problema economico del masochismo” postula l’esistenza di un masochismo primario, erede della pulsione di morte, mentre precedentemente il masochismo era stato visto come il rovesciamento di una fantasia sadica. L’evoluzione del pensiero di Sigmund Freud sulla perversione può essere seguita attraverso i seguenti scritti: Tre saggi sulla teoria sessuale(1905), Un bambino viene picchiato (1919), Il problema economico del masochismo (1924), La negazione (1925), Il feticismo (1927), La scissione dell'io nel processo di difesa (1938). Anna Freud, pur mantenendo il modello pulsionale, assegna una grande importanza all’Io e, in “L’Io e i meccanismi di difesa” (1961), evidenzia accanto alle difese dalle angosce pulsionali e da quelle collegate al conflitto tra tendenze opposte, un gruppo di difese oggettuali, rivolte cioè verso la realtà, collegate alla immaturità dell’Io. Ricordo tra le stesse la negazione in fantasia, la negazione mediante parole od atti, la limitazione dell’Io, l’identificazione con l’aggressore. Ella mostra come la negazione in fantasia di aspetti della realtà e la sostituzione degli stessi con fantasie piacevoli, a differenza della rimozione degli impulsi, permette di non rinunciare ai desideri istintuali ed evita così che si sviluppi una nevrosi d’angoscia. Nel gioco fantasia e realtà si sovrappongono parzialmente, senza confondersi. Quando la distinzione tra fantasia e realtà viene persa, l’Io viene privato della sua capacità di valutazione e la fantasia assume un carattere rigido e concreto, non potendo più essere abbandonata pena il riemergere dell’angoscia. Venendo ad autori più recenti possiamo vedere come i concetti di Anna Freud si pongono alla base di numerosi sviluppi, come l’importanza crescente data agli aspetti relazionali, cioè alla realtà, da autori della Psicologia dell’Io come Mahler e Spitz, le teorizzazione di Steiner sui “Rifugi della mente” e l’importanza riconosciuta da Stoller alla identificazione con l’aggressore con inversione dei ruoli, all’interno di una teoria traumatica della perversione. Sempre in continuità con il pensiero di Sigmund Freud, Janine Chasseguet-Smirgel evidenzia come nel perverso venga idealizzato, a scapito del mondo reale, un mondo indifferenziato sadico-anale e, nelle forme più gravi addirittura il mondo uterino, con un incremento della pulsione di morte. La negazione della realtà avviene per lei attraverso la negazione delle differenze tra i sessi e le generazioni. Nelle teorie relazionali la perversione sadomasochista viene vista come difesa da angosce che minacciano l’identità personale e/o l’integrità del Sé. Centrali sono le interazioni con l’ambiente primario. La perversione acquista il valore di una regressione narcisistica in risposta all’insufficienza dell’ambiente vitale da carenza o eccesso di stimoli, regressione in cui predominano modalità sensoriali e illusionali di sostegno e sopravvivenza, difese maniacali dal dolore mentale, stati di grandiosità, tentativi erotizzati di evitare esperienze di morte e di frammentazione psichica. Al blocco dello sviluppo psicosessuale corrisponde l’erotizzazione delle difese regressive. Donald Winnicott in “Gioco e realtà” (1971) sottolinea come l’oggetto transizionale può a volte degenerare in un oggetto feticistico. In tal caso il suo uso diventa coatto, ripetitivo, e si manterrà nella vita adulta, manifestando il diniego di un’esperienza angosciante, collegata a vissuti di perdita e/o separazione. Phillis Greenacre in “Studi psicoanalitici sullo sviluppo emozionale” (1971) dedica un’ampia attenzione alla perversione e allo sviluppo di oggetti feticistici. Ella mette la patologia perversa in relazione a turbe dello sviluppo infantile, dovute alla presenza accanto al bambino di una madre "non sufficientemente buona", che investe il bambino come parte di sé, con conseguente aumento dell' attaccamento e delle frustrazioni. Ciò porta a difficoltà nel processo di individuazione, legate a una persistente attività dei meccanismi di identificazione primaria, e a difficoltà a gestire le illusioni multiple che si sviluppano nel rapporto con la realtà, specie quella in attivo cambiamento del corpo. Caratteristici di tale patologia sono, secondo lei, disturbi specifici dell' immagine corporea e la deviazione delle pulsioni sessuali a sostegno narcisistico dell'Io con erotizzazione diffusa del corpo e della pena e del dolore quando superano una certa intensità. Il feticcio, a differenza dell' oggetto transizionale, secondo Greenacre, non ha una funzione di ponte verso la realtà, ma di difesa dalla stessa. Esso serve a ricondurre la situazione esistente, che suscita angoscia, sotto il controllo illusorio del bambino o dell' uomo adulto e rappresenta una difesa espressa in una forma stabile e concreta, che tende ad essere incorporata in modo permanente nella vita individuale. Attraverso la propria cristallizzazione, esso rende possibile che lo sviluppo, se pur gravato da un peso, non si arresti. A differenza dell' oggetto transizionale che ha una funzione diffusa, relazionale, il feticcio ha una funzione focale, fornendo una illusoria riparazione. Il segreto è in intima relazione con il feticcio: il rapporto con il feticcio, a differenza di quello con l'oggetto transizionale che è pubblico, viene tenuto nascosto. Secondo Masud Kahn, la madre o il gruppo primario perversogeno non riconoscono le iniziative del bambino che viene trasformato in cosa propria, oggetto idoleggiato e investito libidicamente. Il bambino per non perdere le attenzioni del suo ambiente, per lui vitali, è costretto a scindere il sentimento del corpo dagli altri settori dell' Io e a interiorizzare sia un immagine di Sé idolatrata, in cui si adatta agli interessi del suo ambiente, che il divieto di una propria identità. Nell' azione perversa si manifesterebbe quindi sia il tentativo di ricreare la diade madre-bambino che quello di esternalizzare l' angoscia. Joyce Mac Dougall, pur non aderendo interamente alle teorie relazionali, propone il concetto di “neosessualità” per descrivere forme erotizzate difensive di regressione narcisistica con al centro il tentativo di riparare un Sé danneggiato e di mantenere l’illusione di un controllo sull’oggetto. Sono forme che danno origine a “neobisogni”, a una dipendenza tossicomanica dalla difesa stessa. Essa riserva il termine perversione solo a quelle forme dove il soggetto è completamente indifferente ai bisogni e ai desideri dell’altro. Melanie Klein sviluppa un modello centrato sul conflitto tra pulsioni di morte e di vita che trova rappresentazione in un mondo di relazioni oggettuali interne portatrici di tale conflitto. Per i kleiniani la perversione ha al suo centro un disturbo della aggressività e il trionfo maniacale sugli oggetti. Wilfred Bion sviluppa tale modello proponendo una teoria basata sul conflitto tra le parti sane e quelle psicotiche della personalità, viste come parti narcisistiche distruttive, e richiamerà l’attenzione alle proiezioni esterne delle relazioni oggettuali interne. Di particolare importanza sono i contributi di Donald Meltzer, il quale in “Stati sessuali della mente” (1973) evidenzia come la mente possa funzionare come un organo sessuale, producendo piacere. Quando si sviluppa un nucleo patologico, il piacere diviene di tipo masturbatorio, cioè auto-prodotto attraverso fantasticherie o agiti onnipotenti, e il ritiro si manifesta come perdita di contatto il proprio Sé, compreso il Sé corporeo, con gli altri come persone. Ove è possibile accedere alle fantasie infantili di questi pazienti si ritrova un ritiro in fantasie eccitate. In questa prospettiva la perversione sadomasochista viene considerata una struttura patologica della personalità, non collegata alla sessualità, ma a stati di sessualizzazione eccitata della mente posti a difesa da terrori primitivi. La parte perversa, falsifica la realtà psichica e, agendo sui sensi, può giungere a provocare una dipendenza di tipo tossicomanico e una deriva criminale. Tale modello è ben illustrato in “Il ruolo educativo della famiglia. Un modello psicoanalitico dei processi di apprendimento” (1983) di D. Meltzer, M. Harris, in cui viene descritto come il prevalere delle parti distruttive della personalità porti a stati mentali pervertiti o invertiti, dominati dalla pulsione di morte. È questo un testo in cui viene proposto un modello unificato della struttura della vita psichica nell’individuo, nella famiglia, nella comunità. Franco De Masi, sulla stessa linea di Meltzer, ritiene che il piacere sensoriale sado-masochistico, come probabile espressione di scariche endorfiniche, e quindi scollegato dal piano delle emozioni relazionali. Egli ci propone un bell’esempio di erotizzazione di una fantasia a proposito di un suo paziente ventenne, in “La perversione sadomasochista” (1999). “Nella fantasia usuale un bambino sta a cavalcioni su un cuscino, che nella sua fantasia si anima e diventa un cavallo: ora il bambino possiede un animale amico e potente, che lo pota in giro, obbediente ai suoi comandi […] e il bambino ne ricava piacere. […] Vediamo ora la versione di questo gioco nel racconto del paziente. C’è sempre un bambino che gioca al cavallo, ma ora prevale in lui l’attenzione all’animale e alle sue sensazioni: il cavallo deve galoppare sempre più in fretta, portare il cavaliere più avanti il più velocemente possibile, addirittura volare. In questa versione del gioco è importante non tanto il senso eccitante di correre quanto il piacere derivante dalla fatica del cavallo per dare il massimo di soddisfazione e piacere al padrone. […] il piacere del bambino è massimo quando il cavallo ha dato tutto per ottemperare ai suoi comandi: davanti alla vista dell’animale sfiancato l’eccitamento diventa piacere sensuale. […] nell’unità diadica padroneschiavo i due protagonisti hanno ruoli distinti e complementari, tesi a un unico fine eccitatorio. Il padrone gode nel sottrarre energie allo schiavo, e il bene supremo dello schiavo consiste nel sacrificare se stesso al piacere del padrone”. Questo esempio evidenzia chiaramente l’importanza nella fantasticheria perversa di diadi oggettuali interne alla ricerca di oggetti esterni che ne permettano la rappresentazione. Un altro gruppo di contributi proviene dagli studi sul narcisismo. Paul-Claude Racamier, in Il genio delle origini. Psicoanalisi e Psicosi (1993), collega la perversione al disturbo narcisistico e pone all’ origine del disturbo narcisistico una perversione relazionale. Sia il narcisista che il perverso negano la separatezza, trattano l’altro come oggetto da controllare. Le relazioni non sono tra soggetti, sono relazioni di potere. Il carattere narcisista viene posto in relazione al mancato riconoscimento infantile del bambino come soggetto, a processi intrusivi e di appropriazione che distorcono lo sviluppo psico-affettivo e psicosessuale. Parlando della perversione relazionale egli dice: “Non sessuale, non morale, non erotica, ma narcisistica”. Per Racamier il trionfo del perverso sull’oggetto è di tipo difensivo, serve a negare il bisogno di oggetti esterni e la dipendenza da essi, a trionfare sulle angosce di morte. Il “vuoto” viene posto negli altri, la difesa è dal dolore psichico collegato al lutto e al conflitto. L’importante è confondere, disorientare, tenere sotto scacco. Il coinvolgimento affettivo è evitato in quanto vissuto come minaccia all’integrità di un Sé precario, vanificazione delle pretese di autosufficienza. Riassumendo i vari contributi, ciò che costituisce l' essenza della perversione, clinicamente intesa, non è costituito da un atto o da una fantasia, ma dal significato degli stessi in rapporto alla propria persona e alle altre persone, alla organizzazione di base della personalità. Nella perversione propriamente detta centrali sono la rigidità degli atti e delle fantasie, l’erotizzazione degli stessi, la scissione dell’Io, la perdita della percezione del proprio corpo come parte del Sé, l’idealizzazione delle difese perverse e il continuo tentativo di sedurre le parti sane della personalità e di trasformare gli altri, compreso l’eventuale terapeuta , in oggetti di una rappresentazione interna. […] Bergeret in Psicologia patologica (1979) descrive le organizzazioni perverse come un gruppo differenziato all' interno del gruppo degli stati limite. L’angoscia centrale è un’angoscia da perdita di oggetto, depressiva. La difesa principale è il diniego della sessualità e la scissione della personalità in due parti: una parte adattiva, una parte caratterizzata da oggetti parziali e da un Ideale dell’Io puerile gigantesco. Racamier in Il genio delle origini. Psicoanalisi e Psicosi (1993) evidenzia un continuum che va dalla perversione relazionale, attraverso i disturbi borderline della personalità al narcisismo maligno e alle condotte antisociali. Kernberg in Psicoterapia psicodinamica dei disturbi di personalità: un approccio basato sulle relazioni oggettuali. Manuale della Psicoterapia focalizzata sul transfert (TFP) (2006) propone una classificazione delle organizzazioni di personalità baste su due assi: l’asse della gravità e quello introversione/estroversione. […] Anche per lui i tratti e i comportamenti perversi si manifestano in un continuum. A livello nevrotico prevale il conflitto libidico e la distorsione degli impulsi, a livello borderline sono presenti evidenti problematiche pre-edipiche con un eccesso di aggressività, a livello narcisistico maligno, antisociale e psicotico, prevalgono la negazione delle differenze, l’intolleranza verso la realtà, l’ideazione onnipotente, una aggressività sfrenata. […] Un contributo importante del gruppo che fa capo a Kernberg è fare vedere come, a livello dei disturbi borderline di personalità, le scissioni si organizzino attorno a diadi, portatrici di affetti specifici, a tonalità pre-edipica sado-masochistica, a difesa da angosce confusivo-simbiotiche. […] Ho trovato recentemente una buona descrizione teorica del lavoro con le rappresentazioni oggettuali scisse nel libro “Psicoterapia psicodinamica dei disturbi di personalità: un approccio basato sulle relazioni oggettuali. Manuale della Psicoterapia focalizzata sul transfert (TFP)” di John F. Clarkin, Frank E. Yeomans, Otto F. Kernberg, prima edizione italiana 2011. In esso vengono descritte quattro strategie base. Il commento alle varie strategie è una sintesi personale in base alla mia sensibilità e al presente testo. 1. Definire le relazioni oggettuali dominanti con il loro affetto specifico. Compito principale del terapeuta in questo stadio è riconoscere i propri stati affettivi e verificare se sono presenti stati affettivi simili o complementari nel proprio paziente. Occorre poi identificare le relazioni oggettuali interne dominanti, definirne a livello immaginativo una rappresentazione e dare un nome agli attori, come ad esempio Divinità primitiva/vittima. In questo processo il terapeuta incoraggia il paziente a descrivere l’interazione terapeutica nel qui e ora, desideri, aspettative, paure, percezioni. Centrale è definire, tenendo conto delle risposte del paziente, le rappresentazioni parziali del Sé e dell’oggetto e l’affetto che le lega. 2. Osservare e interpretare i rovesciamenti di ruolo all’interno della relazione correlati con la diade 3. Osservare e interpretare la comparsa di altre diadi. La scissione infatti non si manifesta solo all’interno della diade stessa, ma tra diadi diverse, ad esempio una diade con al centro un investimento aggressivo scisso può mascherarne un altra con un investimento libidico ugualmente scisso. In R. la diade “uomo/granchio”, ha mascherato a lungo quella “divinità primitiva/vittima”, ma anche come vedremo in seguito quella di una coppia omosessuale in cui è stata abolita ogni differenza, vista come uno stato ideale. Occorre fare riferimento ai contenuti manifesti, ma anche ai comportamenti, agli agiti, al controtransfert. 4. Orientare il lavoro alla integrazione delle rappresentazioni parziali scisse e alla modulazione degli affetti. È questo un lavoro prolungato e ripetitivo con al centro cicli di percezione, notazione, confrontazione, interrogazione di senso, interpretazione come momento essenziale della verifica di ciò che si è compreso. Il riferimento è al lavoro di Bion (1963) sulla griglia della conoscenza. Un aspetto a cui occorre fare molta attenzione è che anche i ricordi portati dai pazienti sono ricordi scissi in quanto le operazioni di scissione sono pervasive. È questo un processo in cui occorre fare il lutto del sé ideale e dell’oggetto ideale, ma che è accompagnato da un aumento della coesione del sé e di presenza personale, da una nuova capacità di modulare gli affetti, da un miglioramento delle relazioni, in cui come dice R.: “Si sta peggio, ma si sta anche meglio”. […] …..questa relazione si propone come uno stimolo a ripensare molte situazioni relazionali e cliniche alla luce dell’importanza delle diadi interne e del loro riconoscimento, per giungere, ove esse sono presenti, a una migliore percezione del gioco seduttivo e catturante, fuorviante, delle stesse, così da potere meglio operare per l’ integrazione del Sé e la regolazione degli affetti dei nostri pazienti. Chiudo ricordando Franco Fornari e la sua affermazione che la posizione genitale, cioè l’integrazione psicosessuale e affettiva dell’uomo, è raggiunta solo dove al binomio “Vita mea/mors tua” e viceversa si sostituisce il binomio “Vita mea, vita tua”, cioè si esce dal narcisismo di morte e dalle perversioni ad esso collegate per aprirsi a un narcisismo di vita in un rapporto di interdipendenza con la realtà. Bibliografia Bergeret J. e coll. (1979), Psicopatologia patologica, Masson, Milano, 1979 Bion W. R. 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