NOSTROFIGLIO.IT 22 dicembre 2014 Dislessia bambini: che cosa è

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22 dicembre 2014
Dislessia bambini: che cosa è, quali sono i segnali d'allarme e
strategie di aiuto
di Simona Regina
Che cosa significa dislessia e bambino dislessico? Quanti sono i bambini dislessici in Italia e nel mondo? Quali
sono le strategie per aiutare bambini con una forma di dislessia? La dislessia tende a compensarsi nel tempo?
Per rispondere a tanti dubbi su quello che sembra un disturbo sempre più comune tra i bambini,
nostrofiglio.it ha interpellato diverse esperti
Corrono il rischio di essere etichettati come pigri, svogliati e disattenti. Perché fanno fatica a imparare a leggere e non
riescono a farlo speditamente, col rischio di non capire quello che leggono. Difficilmente poi non incappano in
qualche errore durante i dettati e, a volte, imparare a memoria una poesia è un’impresa tutta in salita. Ma non è
questione di scarso impegno o mancanza di concentrazione.
Le bambine e i bambini dislessici hanno a che fare con un disturbo specifico dell’apprendimento che rende più
difficile imparare a leggere e scrivere, tanto da poter condizionare negativamente il rendimento scolastico, e far
sentire a disagio i piccoli scolari che non riescono a padroneggiare le lettere che affollano la pagina di un libro, di un
quaderno o la lavagna.
Ma non per questo si deve mettere in discussione la loro intelligenza. I bambini con dislessia, infatti, sono intelligenti,
non hanno problemi neurologici e sensoriali (vista, udito), ma il loro cervello funziona un po’ diversamente, per cui
hanno una ridotta capacità di percepire, distinguere e manipolare i suoni che compongono le parole e una grossa
difficoltà nell’associare il suono alla lettera corrispondente. Nostrofiglio.it ha consultato un pool di esperti per
conoscere meglio la dislessia e capire cosa fare per aiutare i bambini.
Che cosa è la dislessia?
“La dislessia evolutiva, detta anche disturbo specifico della lettura, è un disturbo dello sviluppo neurobiologico che
compromette la capacità di imparare a svolgere in modo fluido e senza fatica tutte quelle operazioni mentali
necessarie per leggere: riconoscere le singole lettere, le sillabe o le parole, e associarle con i suoni corrispondenti”
spiega Maria Luisa Lorusso, responsabile del servizio di Neuropsicologia dei disturbi dell'apprendimento dell'Istituto
scientifico Eugenio Medea di Lecco.
Come si può manifestare la dislessia?
Si parla di IRCCS “E. Medea” - Ass. La Nostra Famiglia
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La dislessia si manifesta innanzitutto con evidenti difficoltà di lettura. Nel complesso, infatti, le prestazioni nella
lettura dei bambini dislessici risultano molto al di sotto del livello che ci si aspetterebbe in base all’età, alla classe
frequentata e al livello intellettivo generale.
“I dislessici - spiega la psicologa e neurolinguista - qualche volta leggono anche piuttosto velocemente, ma non in
modo corretto”. La lettura, cioè, è accompagnata da numerosi errori, quali, per esempio, omissioni di parole o parti di
parola, inversioni di lettere o numeri (21-12), confusione tra lettere, per esempio quelle che hanno tratti visivi simili o
speculari (e/a, b/d), e sostituzioni di parti o intere parole, in pratica una parola viene letta al posto di un'altra con cui
condivide alcune lettere (Algeri/allegri), a causa di un deficit nel processare l’informazione visiva.
“Oppure la lettura può essere sufficientemente corretta, ma molto lenta, perché la decodifica grafema-fonema non è
automatizzata”.
Inoltre, spesso i bambini dislessici incontrano difficoltà nel comprendere ciò che leggono e, di conseguenza, devono
rileggere più volte un testo per capirne il contenuto, con l’effetto di affaticarsi di più.
E non di rado la dislessia è accompagnata da altre difficoltà, per esempio verbali, come recuperare termini appropriati
o memorizzare parole nuove, con i numeri, in particolare nel calcolo mentale e nella memorizzazione delle tabelline,
o nella scrittura (disortografia).
Spesso, poi, il bambino dislessico manifesta disagio psicologico, difficoltà comportamentali e demotivazione nei
confronti della scuola: ma sono conseguenze della dislessia e non la causa.
A quale età si manifesta la dislessia? Non tutte le difficoltà di lettura però sono dislessia
La dislessia è un disturbo congenito, presente fin dalla nascita: “E' stata accertata infatti una significativa componente
genetica, su base familiare ed ereditaria. Tuttavia, è con l'avvio dell'apprendimento scolastico dei processi di lettura e
scrittura che la dislessia si manifesta più chiaramente” dice Lorusso.
In altre parole, il problema risulta evidente in seconda-terza elementare, anche se alcuni segni si possono osservare
già a partire dalla scuola dell’infanzia. “Il 60%, infatti, dei bambini che manifestano un ritardo nello sviluppo del
linguaggio in età prescolare, perché per esempio storpiano le parole e hanno uno scarso vocabolario, manifestano
poi disturbi dell’apprendimento” aggiunge Rossella Grenci, logopedista dell’Azienda Ospedaliera San Carlo di Potenza
e autrice del libro per bambini Capire la mia dislessia.
Attenzione però. “Va ricordato che non tutti i bambini che inizialmente mostrano difficoltà nell'acquisire le basi
della lettura sono dislessici – ribadisce Lorusso -. Molti recuperano spontaneamente le difficoltà iniziali e
raggiungono in tempi abbastanza brevi livelli assolutamente normali di competenza. Proprio per questo, si è molto
prudenti e si aspetta almeno un anno e mezzo di scolarizzazione prima di formulare una diagnosi”.
Quali possono essere i campanelli di allarme della dislessia? I principali sono tre
E' importante osservare e monitorare con particolare attenzione i bambini che dopo diversi mesi di scuola faticano
ancora a riconoscere le lettere e attribuire loro i suoni corretti, o stentano a riconoscere i suoni iniziali e finali delle
parole, a individuare somiglianze e differenze, per esempio manipolando i suoni nelle rime o nelle filastrocche.
“Soprattutto se sono presenti altri indicatori di rischio, come altri familiari con dislessia– sottolinea Lorusso-. Questo
però non significa che si debba correre subito dallo specialista. Ma provare ad aiutare il bambino a superare le
difficoltà, anche con interventi di supporto a livello didattico, e se i problemi persistono essere pronti a effettuare
approfondimenti”.
In ogni caso, proprio sulla ricerca degli indicatori che possano segnalare precocemente il rischio di dislessia si sono
concentrati gli sforzi degli scienziati.
1) ABILITA' FONOLOGICHE “E ormai c’è accordo nel considerare predittori delle future difficoltà di lettura le
cosiddette abilità fonologiche, cioè la capacità o meno di discriminare suoni simili e di segmentare i suoni delle parole
nelle sillabe costituenti” spiega Andrea Facoetti, neuropsicologo dello sviluppo dell'Università di Padova.
2) DIFFICOLTA' A REPERIRE LA PAROLA GIUSTA Così come altro campanello di allarme è considerata “l’incapacità di
rapida denominazione: i bambini dislessici hanno infatti difficoltà a trovare velocemente la parola giusta da usare al
momento giusto”.
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3) DEFICIT DELLA CAPACITA' VISIVA Ma anche ridotte abilità visuo-attenzionali, cioè la capacità di estrarre dal
contesto visivo l’informazione rilevante rispetto a quella irrilevante, possono indicare rischio di dislessia. In uno studio
pubblicato su Current Biology, il team di Facoetti ha dimostrato infatti che le difficoltà nell’acquisire le abilità di
lettura, principale manifestazione della dislessia, possono essere causate da deficit nelle capacità di attenzione visiva
dei bambini in età prescolare.
Come si fa la diagnosi di dislessia?
Se si ha il dubbio che il proprio figlio sia dislessico, si deve consultare il pediatra e su sua richiesta rivolgersi alla Asl di
appartenenza o a un centro specializzato. “La diagnosi viene effettuata da un’equipe multidisciplinare composta da
neuropsichiatria infantile, psicologo e logopedista.
La si fa solo alla fine della seconda elementare, quando si è chiuso il ciclo di prima alfabetizzazione” spiega Grenci. Per
misurare e analizzare le difficoltà e le capacità del bambino si usano test standardizzati e con l’intervento dello
psicologo si valuta se il bambino vive un disagio.
“Non bisogna pensare, però, che ogni difficoltà che manifesta un bambino sia sinonimo di un disturbo. D’altro
canto, non valutare tempestivamente la fatica che il bambino fa nell’imparare a leggere e scrivere e analizzare, di
conseguenza, l’effetto di strategie di aiuto è dannoso” afferma Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo
all'Università di Padova.
“Secondo il manuale diagnostico DSM5, - aggiunge - per capire se un bambino è dislessico bisogna verificare la
resistenza al trattamento: cioè lo si sottopone a una serie di esercizi mirati e solo se i meccanismi di potenziamento
non risultano efficaci si può diagnosticare la dislessia. Non basta, cioè, misurare il tempo di lettura e gli errori”.
Quanti sono i bambini dislessici in Italia e nel mondo?
La dislessia è meno frequente in quei paesi dove si parlano (e scrivono) lingue in cui la corrispondenza tra segni e
suoni (le lettere e i fonemi) è molto regolare e trasparente. “Per questo in Italia, che ha una lingua con ortografia
molto trasparente, si stima che i dislessici siano il 2-4% della popolazione, contro il 5-8% o più dei paesi di lingua
inglese” precisa Lorusso.
“In particolare la prevalenza stimata sulla popolazione scolastica è del 3,5%, e si avvicina al 5% nella scuola primaria”
sottolinea Giacomo Stella, professore ordinario di Psicologia clinica all'Università di Modena e Reggio Emilia e
fondatore dell'Associazione Italiana Dislessia. Questo significa che in una classe di 20 alunni è abbastanza probabile
che almeno un bambino sia dislessico.
“Si tenga presente che le percentuali cambiano nel tempo - ricorda Stella - perché la dislessia è un
disturbo che tende a compensarsi: col tempo cioè il problema tende a farsi meno significativo, perché
le maggiori competenze lessicali riducono l’impatto della difficoltà di decodificare i segni aiutando a
prevedere cosa c’è scritto”.
C’è il rischio di sovradiagnosi di dislessia?
Secondo gli esperti interpellati la cosiddetta sovradiagnosi, cioè un numero eccessivo di diagnosi rispetto all'effettiva
prevalenza del disturbo, è un rischio da evitare, non un dato di fatto.
“Nel 2013 – precisa Stella - il Miur ha calcolato circa 100.000 diagnosi di dislessia tra gli studenti di 6-18 anni, che
corrispondono a poco più dell’1% della popolazione scolastica. Quindi manca almeno il 2% delle diagnosi.
La distribuzione però è disomogenea: in Calabria, per esempio, viene certificato lo 0,1%, mentre in Friuli Venezia
Giulia circa il 3%. Questo indica che in alcune regioni ci sono più domande di approfondimento, ma non possiamo
concludere che a livello nazionale ci sia un eccesso di diagnosi”.
“Possono poi verificarsi situazioni particolari – spiega Lorusso - per cui in certi contesti o in certe scuole il numero di
bambini diagnosticati supera le percentuali previste, ma prima di pensare che le diagnosi siano formulate con
superficialità bisogna escludere fattori più probabili”.
Per esempio, le famiglie con bambini percepiti come più fragili potrebbero tendere ad affidarsi a scuole con più
esperienza o con più attenzione rispetto ai disturbi specifici dell’apprendimento.
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“Insomma – continua la psicologa - le medie e le varie statistiche rappresentano dei valori teorici, che riassumono e
semplificano la variabilità e la complessità del mondo reale, ma di fatto i motivi per cui in una certa scuola i casi con
diagnosi di dislessia potrebbero essere anche molto più numerosi della media sono tanti.
Ma vorrei ricordare che gli specialisti abilitati a diagnosticare la dislessia hanno alle spalle anni di studio approfondito
del problema, e rispondono personalmente (ai loro albi professionali e alle autorità giudiziarie) degli atti compiuti
nell'esercizio della professione. Inoltre oggi i criteri per le diagnosi di dislessia sono ben definiti a livello nazionale e
ogni regione ha posto regole molto precise sulle procedure e sulle modalità degli accertamenti e delle relazioni
diagnostiche”.
Quali sono le strategie per aiutare i bambini dislessici?
La dislessia non deve essere percepita dalla famiglia, né tanto meno dal bambino, come una disgrazia o qualcosa di
cui vergognarsi, ma come uno dei tanti modi di essere, con i suoi aspetti positivi e negativi e con le sue inevitabili e
innegabili fatiche.
“Essere pronti ad affrontarle e riuscire a trovare e mobilitare nel proprio contesto le risorse utili a facilitare il percorso
è probabilmente la ricetta vincente” sostiene Lorusso, che ribadisce quanto la ricerca abbia fatto enormi passi avanti
nella definizione e nella verifica dell'efficacia di vari interventi a supporto dei bambini e dei ragazzi dislessici, sia in
ambito didattico sia riabilitativo.
Oggi, dunque, le famiglie hanno a disposizione possibilità e strumenti diversi per aiutare i bambini: “Trattamenti
logopedici, interventi di stimolazione che possono essere effettuati presso centri e studi professionali o anche a
domicilio, supervisionati a distanza da operatori specializzati, fino ad arrivare a software sempre più sofisticati che
alleggeriscono il carico e la fatica dei ragazzi nelle attività di lettura e scrittura”.
L'importante è non scoraggiarsi, non drammatizzare la situazione, e attivarsi senza perdere tempo per definire
bisogni e risorse e trovare le risposte più adatte alle esigenze personali dei bambini.
È molto importante, infatti, che l’intervento sia precoce, perché quanto più è tempestivo, tanto più si può cercare sia
di ridurre le difficoltà, sia di stimolare strategie cognitive per aggirare l'ostacolo, prevenendone anche le conseguenze
sul piano psicologico.
È altrettanto importante, come si legge sul sito dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che l'ambiente
familiare e quello scolastico vadano incontro alle difficoltà del bambino, aiutandolo nella costruzione di un'immagine
di sé non fallimentare.
A scuola è importante dunque adattare la didattica alle sue difficoltà di apprendimento, con l'adozione di strategie
compensative o dispensative: per esempio privilegiando la lettura silenziosa, l’uso di un lettore o di libri "parlanti", e
del computer per la scrittura.
“A casa poi – aggiunge Grenci – è meglio che ad aiutare il bambino, nello svolgimento dei compiti, non sia né mamma
né papà, per non logorare il rapporto genitore –figlio e in generale il clima familiare con il carico di lavoro scolastico, e
ridurre anche l'ansia da prestazione nel bambino”.
Ben venga, invece, che mamma e papà leggano libri, storie, fiabe ad alta voce e propongano una serie di giochi che
facciano riflettere il bambino sul linguaggio in maniera ludica, a partire per esempio dagli anagrammi, smontando e
ricomponendo parole.
Cosa prevede la legge 170/2010 sui disturbi specifici di apprendimento?
Come spiega Giacomo Stella nel libro Dislessia oggi, la legge 170 detta i principi generali che devono guidare
l’intervento, nell’ambito scolastico e sanitario, per garantire una gestione appropriata della dislessia e di altri disturbi
specifici di apprendimento, al fine di favorire la migliore realizzazione delle potenzialità delle persone che ne sono
affette.
“Diagnosticata la dislessia, in sostanza la legge prevede che la scuola sviluppi un Piano didattico personalizzato in
modo da garantire all’allievo dislessico il diritto di apprendere come gli altri, grazie a misure compensative o
dispensative, come per esempio la concessione di tempi più lunghi per lo svolgimento delle prove o il ricorso a
verifiche orali anziché scritte” spiega Lucangeli.
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“Strumenti compensativi come il computer, la calcolatrice o la tavola pitagorica non risolvono da soli i problemi, non
scrivono da soli i temi o i riassunti- aggiunge Stella - ma costituiscono un elemento di facilitazione che, mentre per i
più può essere considerato un optional, per i dislessici diviene un mezzo necessario per soddisfare le richieste
scolastiche”.
In altri termini, la legge comporta un ripensamento del modo di organizzare la didattica. Gli insegnanti, però,
dovrebbero essere preparati per cogliere eventuali segnali di disagio che possono essere correlati alla dislessia, “e
non sempre lo sono. E a volte – continua Stella - anziché personalizzare la didattica a misura di studente, la scuola
attua un atteggiamento difensivo: la diagnosi attesta un problema e così giustifica una diversa valutazione delle
competenze raggiunte dai bambini più lenti”. Investire nella formazione dei docenti è dunque cruciale.
Che cosa non fare se un bambino è dislessico?
Non bisogna minarne l'autostima. Dunque insegnanti e genitori devono astenersi dal fare paragoni con altri
bambini o dal ridicolizzare o sgridare il bambino per gli errori che fa.
E invece “è importante invece incoraggiare sempre il bambino, perché fa più fatica, ma alla fine impara come gli altri
e la dislessia non gli impedirà di raggiungere soddisfazioni scolastiche e lavorative,” aggiunge la logopedista Greci.
Secondo la logopedista Grenci, potrebbe anche essere inutile, anzi dannoso, insistere nel far leggere ad alta voce
(oppure imparare una poesia a memoria) perché non si fa altro che affaticare il bambino e causargli frustrazione. A
lungo andare potrebbe addirittura fargli odiare la lettura.
Perché i videogiochi d’azione potrebbero essere di aiuto?
I videogiochi d'azione sono caratterizzati da stimoli molto veloci, che compaiono sullo schermo senza sapere dove e
quando, principalmente in visione periferica, e richiedono un’accurata coordinazione sensoriale e motoria al fine di
pianificare l’azione da compiere in base alla percezione degli stimoli. Il team di Facoetti dell’Università di Padova, in
collaborazione con l’istituto Eugenio Medea di Lecco, ha dimostrato che gli “action videogames” possono essere
molto utili per migliorare la capacità di lettura dei bambini dislessici perché migliorano molti aspetti dell’attenzione,
in particolare la capacità di estrarre informazioni rilevanti, sia visive sia uditive, da quelle irrilevanti e interferenti.
“In pratica, la nostra ricerca supporta l'idea che il trattamento del deficit di attenzione selettiva possa essere cruciale
non solo per la terapia, ma anche per prevenire l’insorgere del disturbo. Per imparare a leggere – continua il
neuropsicologo - dobbiamo infatti innanzitutto riuscire a distinguere il singolo grafema dagli altri che compongono la
parola e poi imparare a trasformare la lettera nel suono corrispondente. Ma i bambini dislessici hanno difficoltà a
cogliere la singola lettera, a causa dall’eccessiva interferenza degli altri grafemi.
Lo stesso discorso vale per i suoni delle parole, a causa di un deficit dell’attenzione uditiva rilevata nei bambini con
dislessia. Ecco perché migliorare le loro abilità attenzionali è funzionale al trattamento e alla prevenzione.
Proponiamo quindi di integrare i trattamenti riabilitativi tradizionali con l’utilizzo di quei videogiochi d’azione che
agiscono sui circuiti cerebrali multisensoriali (sia uditivi sia visivi) dell’attenzione, sotto il controllo di uno specialista
della riabilitazione neuropsicologica”.
Si parla di IRCCS “E. Medea” - Ass. La Nostra Famiglia
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