UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA CALABRIA Dipartimento di Studi Umanistici Master di I livello in Didattica e psicopedagogia per i Disturbi Specifici di Apprendimento Sede UNICAL - Rende Tesi finale Una scuola per tutti e per ciascuno Viaggio verso l’Inclusione Direttore del Master Candidata Prof.ssa Antonella Valenti Maria Carmela Di Lorenzo A.A. 2012/2013 ”Non c’è peggiore ingiustizia del dare cose uguali a persone che uguali non sono” Don Lorenzo Milani 2 INDICE Premessa ……………………………………………………………………....p 4 Introduzione…………………………………………………………………….. p 5 CAPITOLO PRIMO: Politiche Inclusive 1.1 L’Impegno Internazionale……………………..………………….…..…………. p 6 1.2 La Normativa Italiana…………………………………………………………....p 7 1.2.1 I Volti dell’Altro nella Scuola di Oggi: i BES…………………………….p 9 CAPITOLO SECONDO: Costruire una Scuola di Qualità 2.1 Strumenti Operativi per promuovere l’Inclusione………………………..…..p 12 2.1.1 Ruoli e Organismi d’Istituto……………..………………………………p 13 2.1.2 L’Organizzazione Territoriale…………………………………….……..p 15 2.2 Il Profilo del Docente Inclusivo………………………………………………p 17 2.2.1 La Formazione degli Insegnanti……………………………………………p 18 2.3 Orientare la Scuola verso il Cambiamento……………………………………p 19 2.3.1 La Valutazione dell’Inclusività…………………………………………...p 20 CAPITOLO TERZO: Didattica e Inclusione 3.1 La Scuola dell’Educazione Inclusiva……………………………………………p 23 3.1.1 Il Percorso Individualizzato e Personalizzato ……………………………p 25 3.1.2 Le Misure Dispensative e gli Strumenti Compensativi ………………….p 26 3.2 Strategie Didattiche Inclusive ………………………………………………p 28 3.2.1 La Peer Education ..…………………………………………………….p 30 3.2.2 La LIM ………………….......................................................p 32 3.2.3 Prospettive per il Futuro: la Flipped Classroom……………………...p 35 Conclusioni …………………………………………………………………………..p 38 Bibliografia e Sitografia……………………………………………………………..p 39 Principali Riferimenti Normativi…………………………………………………….p 42 Premessa A quarant‟anni dalla sua morte, l‟insegnamento del Priore di Barbiana risulta più che mai attuale tanto da apparire come una straordinaria anticipazione di quanto espresso nelle Raccomandazioni del Parlamento e del Consiglio Europeo del dicembre 2006. In esse si legge che l‟istruzione e la formazione iniziali “devono saper offrire a tutti i giovani gli strumenti per sviluppare le competenze chiave a un livello che li prepari alla vita adulta e costituisca la base per ulteriori occasioni di apprendimento, come pure la vita lavorativa”1. Continuando a leggere si incontrano altri concetti in grande sintonia con la scuola di Barbiana: “…si tenga debitamente conto di quei giovani che a causa di svantaggi educativi determinati da circostanze personali, sociali, culturali ed economiche hanno bisogno di un sostegno particolare per realizzare le loro potenzialità”; “gli adulti siano in grado di aggiornare e sviluppare le loro competenze chiave in tutto il corso della vita”.2 Dunque, da quella Lettera a una professoressa3 in cui i ragazzi di Barbiana, assieme al loro maestro Don Milani, denunciavano un metodo didattico che ostacolava la realizzazione, anche sociale, dei ragazzi delle classi più povere, arriva ancora oggi quell‟I care che dovrebbe costituire lo slogan riassuntivo di uno stile di fare scuola con il cuore, orientato alla presa di coscienza civile e sociale, improntato al valore dell‟accoglienza, in una società complessa e in costante cambiamento, per insegnare a ogni alunno ad apprendere secondo il proprio ritmo e con le proprie modalità. La Scuola per Don Milani deve incoraggiare e non scoraggiare per evitare che diventi “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”4. L‟attualità del suo pensiero sta proprio nell‟approccio alle questioni degli apprendimenti e nel nesso con le disuguaglianze. L‟esperienza di Don Milani continua ancora oggi a servire da stimolo alla riflessione pedagogica infondendo alle nuove generazioni, il senso del rispetto dell‟altro, il valore dell‟eguaglianza tramite il riconoscimento delle differenze e il sentimento della responsabilità costante nei confronti del prossimo. 1 RACCOMANDAZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l‟apprendimento permanente 2 Ibidem. 3 L. MILANI , Lettera a una Professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1976. 4 Ibidem. 4 Introduzione “Una Scuola per tutti e per ciascuno” fa palesemente allusione ad un importante documento, la Carta di Lussemburgo, frutto del seminario finale del programma comunitario Helios, del 1996. Questa Carta è la sintesi di un lungo, vasto e impegnativo lavoro, prima mai compiuto, nei Paesi della Comunità Europea, confrontati anche con altri Paesi europei ed extraeuropei, in materia di integrazione educativa e scolastica. Sulla scia di quanto affermato nella Carta di Lussemburgo, la presente Tesi intende delineare i momenti più significativi che la Scuola e la Società stanno vivendo nel loro lungo viaggio verso l‟Inclusione con l‟auspicio che una scuola unica, aperta a tutti, sia veramente realizzabile. Il capitolo primo analizza il quadro internazionale relativo alle politiche scolastiche inclusive con particolare attenzione alla situazione italiana e alla normativa vigente in fatto di inclusione; il capitolo secondo delinea le risorse, gli strumenti e le azioni necessari per realizzare una scuola inclusiva; il capitolo terzo promuove la realizzazione di una rinnovata cultura didattica con l‟intento di cambiare il modo di fare scuola, realizzando, in un‟ottica di giustizia sociale, come vuole la nostra Costituzione (art.3), “il pieno sviluppo della persona umana e l‟effettiva partecipazione di tutti (…) all‟organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. 5 CAPITOLO PRIMO: Politiche Inclusive 1.1 L’impegno internazionale In ambito internazionale esistono molte convenzioni, dichiarazioni, asserzioni e decisioni sulla disabilità, l‟integrazione e l‟istruzione speciale che orientano le politiche e le strategie socioculturali ed economiche dei vari Paesi interessati a rendere reale l‟Educazione per Tutti. Dall‟anno 2000, Education for All (EFA) rappresenta uno degli obiettivi centrali tra quelli individuati nell‟ambito del Millennium Development Goals e definiti nel corso del Millennio Summit contestualmente all‟adozione della Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite. Gli ambiziosi obiettivi, da raggiungere entro il 2015, muovono dall‟affermazione che l‟esercizio dei diritti umani fondamentali (Dichiarazione universale dei diritti umani) richiede una revisione e una rivisitazione di molti aspetti del sistema sociale e formativo. Education for All è in realtà un programma che, pur avviato fin dal 1990 nell‟ambito della conferenza sull‟educazione svoltasi a Jomtien (Thailandia), ha assunto attenzione e rilevanza crescenti dopo il World Education Forum svoltosi a Dakar nel 2000 e in cui l‟UNESCO ha acquisito il ruolo di organo responsabile dell‟intero programma. I temi al centro dell‟attenzione sono quelli dell‟analfabetizzazione nei Paesi in via di sviluppo e delle cause che la determinano, ovvero povertà, malattie, tradizioni locali di discriminazioni, conflitti armati, catastrofi naturali, assenza di infrastrutture adeguate. L‟istruzione per tutti, e in particolare l‟istruzione di base gratuita e obbligatoria, è dunque ritenuta un fattore fondamentale per la lotta alla povertà e per la crescita globale di ogni Paese e l‟affermazione dei diritti di tutti. Nell‟ambito della 48ma sessione della Conferenza internazionale sull‟educazione dell‟UNESCO, dedicata all‟“Inclusive education: the way of the future” (Ginevra, 25 e 28 novembre 2008) è stata sottolineata l‟esigenza di precisare con maggiore rigore la dimensione concettuale dell‟inclusione in relazione al concetto di integrazione e al costrutto teorico dei Bisogni Educativi Speciali (BES), di cui si parlerà successivamente. Un altro importante documento a livello internazionale è rappresentato dalle Linee Guida per le Politiche di Integrazione nell‟Istruzione (2009) dell‟UNESCO, dove convergono tutte le decisioni riguardanti l‟integrazione scolastica a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti umani (1948), alla Convenzione contro la 6 Discriminazione nell‟Istruzione (1960), la Convenzione sui Diritti del Fanciullo (1989), la Convenzione sulla Protezione e Promozione della Diversità nelle Espressioni Culturali (2005). Più di recente, la Convenzione sui Diritti delle Persone Disabili (2006), e specificamente l‟Articolo 24, ha evidenziato l‟importanza cruciale dell‟integrazione scolastica. Nelle Linee Guida, l‟UNESCO suggerisce che: “La scuola inclusiva è un processo di fortificazione delle capacità del sistema di istruzione di raggiungere tutti gli studenti. Un sistema scolastico „incluso‟ può essere creato solamente se le scuole comuni diventano più inclusive. In altre parole, se diventano migliori nell‟educazione di tutti i bambini della loro comunità”5. Questo documento prosegue affermando che: “L‟integrazione è vista come un processo di indirizzo e di risposta alla diversità delle esigenze di tutti i bambini, giovani ed adulti attraverso l‟incremento delle possibilità di partecipazione all‟apprendimento, alle culture e alle comunità e riducendo ed eliminando l‟esclusione e l‟emarginazione dall‟istruzione. Promuovere l‟inclusione significa stimolare il dibattito, incoraggiare atteggiamenti positivi e adottare strutture scolastiche e sociali che possano affrontare le nuove richieste che oggi si presentano alle strutture scolastiche e al governo. Ciò significa migliorare i contributi, i processi e gli ambienti per far crescere la cultura dello studente nel suo ambiente e, sul piano di sistema, sostenere l‟intera esperienza di apprendimento”6. 1.2 La normativa italiana Le recenti disposizioni ministeriali in merito ai BES sono il punto di arrivo di un lungo processo verso l‟inclusione che ha attraversato la scuola italiana negli ultimi quarant‟anni. Il diritto allo studio è un principio garantito dall‟ art. 3 della Costituzione Italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali dinnanzi alla legge, senza distinzione […] di condizioni personali e sociali.”; “E‟ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]”. La legge 118/1971 dispose l‟inserimento degli alunni con disabilità nelle classi normali, assicurandone il trasporto, l‟accesso agli edifici scolastici attraverso il superamento delle barriere architettoniche e l‟assistenza degli alunni più gravi Principio dell‟inserimento: “L‟istruzione dell‟obbligo deve avvenire nelle classi 5 6 UNESCO, Policy Guidelines on Inclusion in Education, Paris 2009, pp 7-9. Ibidem. 7 normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere difficoltoso l‟apprendimento.” Con la legge 517/1977 si diede avvio all‟attuazione del principio dell‟integrazione scolastica: essa stabiliva e chiariva condizioni, strumenti e finalità per l‟integrazione scolastica degli alunni con disabilità, mediante l‟istituzione di interventi individualizzati, insegnanti specializzati per le attività di sostegno, servizio sociopsicopedagogico e forme particolari di sostegno. Fu la Legge Quadro 104/1992 per l‟assistenza, l‟integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate a dare un grande impulso nella direzione di un sistema formativo più equo: obiettivo dell‟integrazione scolastica divenne “lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell‟apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione” (art.12, c.3) e venne definitivamente affermato che “L‟esercizio del diritto all‟educazione e all‟istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all‟handicap” (art.12, c.4 ). Lo stesso impianto dell‟Autonomia scolastica è stato concepito e realizzato come condizione più favorevole alla promozione del successo formativo per tutti gli alunni. Il DPR 8 marzo 1999, n. 275 all‟art. 1 recita: «L'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo (…)”. La legge 53 del 2003 segna il riconoscimento del diritto di tutti i ragazzi alla personalizzazione dell‟apprendimento, visto che impone di riconoscere e valorizzare le diversità individuali attraverso piani di studio personalizzati per i singoli alunni, per tutti i singoli alunni, e non solo per gli alunni in situazione di handicap, perché tutti i singoli alunni sono diversi l'uno dall'altro. Dopo alcuni anni di note e di un sostanziale vuoto normativo arrivano la Legge 170 dell‟ 8 ottobre 2010 (Norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico) e il Decreto Ministeriale n. 5669 del 12.07.2011 Articolo 5 (Interventi didattici individualizzati e personalizzati). In questi documenti la Scuola italiana garantisce ed esplicita finalmente, nei confronti di alunni e studenti con DSA, interventi didattici individualizzati e personalizzati, anche attraverso la 8 redazione di un Piano Didattico Personalizzato, con l‟indicazione degli strumenti compensativi e delle misure dispensative adottate. 1.2.1 I volti dell’Altro nella scuola di oggi: i BES La Direttiva dello scorso 27 dicembre 2012 relativa ai Bisogni Educativi Speciali (BES) completa il quadro italiano dell‟inclusione scolastica. La nozione di BES, di uso comune nei paesi anglosassoni, non è univocamente definita. Sebbene relativamente simili, a seconda degli autori, dei paesi e dei momenti storici, le varie definizioni presentano alcune differenze. In linea di massima e semplificando, tutte descrivono situazioni in cui la proposta educativa scolastica quotidiana, “standard” - pur considerando una fisiologica fascia di variabilità individuale - non consente allo studente un apprendimento e uno sviluppo efficace, a causa delle difficoltà dovute a situazioni di varia natura. Il concetto di BES si basa su una visione globale della persona che si accompagna efficacemente a quella del modello ICF della classificazione internazionale del funzionamento, disabilità e salute (International Classification of Functioning, Disability and Health) fondata sul profilo di funzionamento e sull‟analisi del contesto, come definito dall‟Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2001). La Direttiva amplia al di là dei DSA l‟area delle problematiche prese in considerazione quali, ad esempio, i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione funzionamento motoria, intellettivo dell‟attenzione limite, e e introduce dell‟iperattività, nonché il svantaggio tema dello il socioeconomico, linguistico, culturale. Essa inoltre, insieme alle successive note ministeriali, sposta definitivamente l‟attenzione dalle procedure di certificazione alla rilevazione dei bisogni di ciascuno studente, delinea e precisa la strategia inclusiva della scuola italiana al fine di realizzare appieno il diritto all‟apprendimento per tutti gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà (C.M. del 6 marzo 2013). Viene inoltre evidenziato il ruolo fondamentale dell‟azione didattica ed educativa, e quindi il dovere per tutti i docenti, di realizzare la personalizzazione del processo formativo di ogni alunno, anche attraverso l‟utilizzo, quando necessario, di misure dispensative e strumenti compensativi, con una specifica attenzione alla distinzione tra ordinarie difficoltà di apprendimento, gravi difficoltà e disturbi di apprendimento (nota prot. 2563 del 22.11.2013). 9 A ben guardare, non si tratta di un concetto innovativo, dato che il riconoscimento di situazioni di difficoltà non dovrebbe essere estraneo alla professionalità docente. L'aspetto di novità è invece l‟approccio, riferito all'uso dell'espressione "bisogni": esso infatti sposta la prospettiva dell‟educatore da una posizione statica/esterna (constatare le difficoltà presentate dallo studente nel raggiungimento degli standard ) ad una posizione più dinamica/coinvolta (rispondere alle necessità della persona in formazione). E' opportuno notare che, ancora oggi, in molti casi, sono gli studenti a doversi adattare alle attività e proposte didattiche e ciò è giustificato dal fatto che le varie attività e proposte sono state messe a punto e sperimentate a lungo per rispondere proprio alle caratteristiche dello “studente tipo”, il quale, per definizione, non presenta tratti particolari. Nel momento in cui invece uno studente vive una condizione che gli rende difficile o impossibile rispondere adeguatamente e produttivamente, è necessario che anche la Scuola attui degli adattamenti alla propria proposta, in funzione del maggiore successo formativo possibile dello studente. Non è sufficiente, quindi, preoccuparsi di definire chi sono gli studenti in situazione di BES; importante invece è cambiare il modo di insegnare e di valutare, affinché ogni studente in relazione alla sua condizione e alla sua manifesta difficoltà, trovi la giusta risposta. L‟espressione BES è utilizzata, quindi, per definire tutte le situazioni in cui gli studenti incontrano importanti difficoltà nel percorso scolastico; tali situazioni possono essere ricondotte, secondo la Direttiva del 27 dicembre, a tre grandi sottocategorie: la disabilità, certificata ai sensi dell‟art. 3, commi 1 o 3 (gravità) della Legge 104/92, che dà titolo all‟attribuzione dell‟insegnante di sostegno; i disturbi evolutivi specifici (secondo la Direttiva, tali disturbi se non vengono o non possono venir certificati ai sensi della legge 104/92, non danno diritto all‟insegnante di sostegno): i DSA (con diagnosi ai sensi dell‟art. 3 della Legge 170/2010) e gli altri quadri diagnostici quali i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, dell‟attenzione e dell‟iperattività, e il funzionamento intellettivo limite (che viene considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico); lo svantaggio socio-economico, linguistico, culturale: la Direttiva dispone che l‟individuazione di tali tipologie di BES deve essere assunta da Consigli di classe sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e, in 10 particolare, secondo la Circolare n.8 del 6 marzo 2013, sulla base di elementi oggettivi (come ad es. una segnalazione degli operatori dei servizi sociali), ovvero di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche. Un importante elemento contenuto nella Direttiva è la sottolineatura della necessità di guardarsi dal pericolo degli automatismi, essa si esprime in modo chiaro ed inequivocabile a riguardo: non ritiene che tutti gli studenti appartenenti alle categorie sopra elencate siano BES, ma soltanto che alcuni di loro, a causa di manifeste difficoltà o di altre problematiche, possono rivelare tali bisogni: “In questo senso, ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e personalizzata risposta” (Premessa della Direttiva BES del 27.12.2012). In sostanza, si indica chiaramente che occorre partire dalla constatazione dell'esistenza di un bisogno di attenzione didattica specifica (e quindi dell‟innalzamento di una logica di intervento personalizzato) e non dall'appartenenza ad una categoria che di per sé, essendo generale, non può descrivere i bisogni reali di uno studente. 11 CAPITOLO SECONDO: Costruire una Scuola di Qualità 2.1 Strumenti operativi per promuovere l'inclusione La Direttiva assegna al Consiglio di classe, o tutte i componenti del team docenti della scuola primaria, il compito di deliberare un percorso individualizzato e personalizzato (L.53/2003) per ogni alunno con BES, anche in assenza di certificazione, dando luogo al Piano Didattico Personalizzato. Il PDP assume la doppia funzione di strumento di lavoro in itinere per gli insegnanti e di documentazione per le famiglie circa le strategie di intervento programmate. In aggiunta a tutti gli strumenti compensativi e dispensativi già previsti dalla Legge 170/2010, il PDP può prevedere anche un‟opportuna calibratura della progettazione didattica in termini di livelli minimi di apprendimento attesi in uscita e deve essere firmato dal Dirigente scolastico (o da un docente da questi specificamente delegato), dai docenti e dalla famiglia. La bozza di Circolare del 20 settembre 2013, avente per oggetto “Strumenti di intervento per alunni con BES” richiama l‟attenzione sulla distinzione tra ordinarie difficoltà di apprendimento, difficoltà permanenti e disturbi di apprendimento. Vi si specifica che la rilevazione di una mera difficoltà di apprendimento non dovrebbe indurre all‟attivazione di un percorso specifico con la conseguente compilazione di un PDP e che soltanto quando i Consigli di classe o i team docenti, eventualmente anche sulla base di criteri generali stabiliti dal Collegio dei docenti, siano unanimemente concordi nel valutare l‟efficacia di ulteriori strumenti - in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla certificazione di disabilità o nel caso di difficoltà non meglio specificate - questo potrà indurre all‟adozione di un piano personalizzato, con eventuali misure compensative e/o dispensative, e quindi alla compilazione di un PDP. Si ribadisce che tutte queste operazioni servono per offrire maggiori opportunità formative e flessibilità dei percorsi, non certo per abbassare gli obiettivi di apprendimento. In merito agli alunni con cittadinanza non italiana si chiarisce che essi necessitano anzitutto di interventi didattici relativi all‟apprendimento della lingua e solo in via eccezionale della formalizzazione tramite un PDP, soprattutto per alunni neo arrivati in Italia, ultratredicenni, provenienti da Paesi di lingua non latina. 12 Secondo la C. M. n.8 del 6 marzo 2013, al termine di ogni anno scolastico (entro il mese di giugno) ogni Scuola deve redigere il PAI. Lo scopo del Piano Annuale per l‟Inclusività è quello di fornire un elemento di riflessione nella predisposizione del POF, di cui esso è parte integrante. Il Piano è discusso e deliberato in Collegio dei Docenti. Esso non va inteso come un ulteriore adempimento burocratico, bensì come uno strumento che possa contribuire ad accrescere la consapevolezza dell‟intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei “risultati” educativi, per creare un contesto educante dove realizzare concretamente la scuola “per tutti e per ciascuno”. Il Piano è finalizzato all‟auto-conoscenza e alla pianificazione, da sviluppare in un processo responsabile e attivo di crescita e partecipazione. Non va interpretato come un “piano formativo per gli alunni con bisogni educativi speciali”, ad integrazione del P.O.F. Non è un “documento” per chi ha bisogni educativi speciali, ma è lo strumento per una progettazione della propria offerta formativa in senso inclusivo. Per riassumere nel P.O.F. delle singole Scuole occorre che trovino esplicitazione: un concreto impegno programmatico per l‟inclusione, basato su una attenta lettura del grado di inclusività della scuola e su obiettivi di miglioramento, da perseguire nel senso della trasversalità delle prassi di inclusione negli ambiti dell‟insegnamento curricolare, della gestione delle classi, dell‟organizzazione dei tempi e degli spazi scolastici, delle relazioni tra docenti, alunni e famiglie; criteri e procedure di utilizzo “funzionale” delle risorse professionali presenti, privilegiando, rispetto a una logica meramente quantitativa di distribuzione degli organici, una logica “qualitativa”, sulla base di un progetto di inclusione condiviso con famiglie e servizi sociosanitari che recuperi l‟aspetto “pedagogico” del percorso di apprendimento e l‟ambito specifico di competenza della scuola; l‟impegno a partecipare ad azioni di formazione e/o di prevenzione concordate a livello territoriale. 2.1.1 Ruoli e organismi d’istituto La Direttiva del 27 dicembre 2012, la C.M. n.8/2013 e la Nota 2563 del 22.11.2013 non fanno menzione della presenza di una figura specifica d‟Istituto riferita ai BES. 13 Nel rispetto delle autonome scelte ciascuna Scuola si doterà delle figure di sistema, compatibilmente con le risorse e le riflessioni di tipo organizzativo, professionale, che ritiene più funzionali alla propria organizzazione scolastica, ma che garantiscano in ogni caso di: effettuare consulenza/informazione ai docenti, al personale ATA, alle famiglie in materia di normativa e di metodologia e didattica; curare il rapporto con gli Enti del territorio (Comune, ASL, Associazioni, ecc…), CTS, CTI e UST; supportare i Cdc/Team per l‟individuazione di casi di alunni BES; raccogliere, analizzare la documentazione (certificazione diagnostica/ segnalazione) aggiornando il fascicolo personale e pianificare attività/progetti/strategie ad hoc; partecipare ai Cdc/Team, se necessario, e fornire collaborazione/consulenza alla stesura di PdP e PEI; organizzare momenti di approfondimento/formazione/aggiornamento sulla base della necessità rilevate all‟interno dell‟istituto; monitorare/valutare i risultati ottenuti e condividere proposte con il Collegio dei Docenti e Consiglio d‟Istituto; gestire e curare una sezione della biblioteca di istituto dedicata alle problematiche sui BES; gestire il sito web della scuola in merito ai BES e collaborare con il referente POF di Istituto. aggiornarsi continuamente sulle tematiche relative alle diverse “tipologie” che afferiscono ai BES. Il docente di sostegno, pur essendo portatore di una formazione specialistica e ponendosi come risorsa per l‟intero istituto in materia di metodologie, suggerimenti pratici e concreti per una didattica inclusiva, non necessariamente deve ricoprire la funzione BES d‟Istituto, in quanto lo spirito della Direttiva tende ad allargare e rendere partecipe tutta la comunità scolastica, e quindi i docenti curricolari, di questa prerogativa. Il GLHI viene sostituito dal GLI (Gruppo di Lavoro per l‟Inclusione) coordinato dal Dirigente Scolastico, ne fanno parte tutte le risorse specifiche e di coordinamento presenti nella scuola: funzioni strumentali, insegnanti per il sostegno, AEC, assistenti 14 alla comunicazione, docenti “disciplinari” con esperienza e/o formazione specifica o con compiti di coordinamento delle classi, genitori ed esperti istituzionali o esterni in regime di convenzionamento con la scuola. Il GLI svolge funzioni interne ed esterne alla scuola, relative a tutte le problematiche riferite ai BES. Funzioni interne: rilevazione dei BES presenti nella scuola; raccolta e documentazione degli interventi didattico-educativi posti in essere anche in funzione di azioni di apprendimento organizzativo in rete tra scuole e/o in rapporto con azioni strategiche dell‟Amministrazione; focus/confronto sui casi, consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie/metodologie di gestione delle classi; rilevazione, monitoraggio e valutazione del livello di inclusività della scuola; raccolta e coordinamento delle proposte formulate dai singoli GLH Operativi sulla base delle effettive esigenze; elaborazione di una proposta di Piano Annuale per l‟Inclusività riferito a tutti gli alunni con BES, da redigere al termine di ogni anno scolastico; elaborazione di una programmazione di inizio anno degli obiettivi da perseguire e delle attività da porre in essere soggetta a delibera del Collegio dei Docenti. Tale programmazione confluirà nel Piano Annuale per l‟Inclusività; i risultati raggiunti saranno verificati dal Collegio al termine dell‟anno scolastico. Funzioni esterne: interfaccia della rete dei CTS e dei servizi sociali e sanitari territoriali per l‟implementazione di azioni di sistema (formazione, tutoraggio, progetti di prevenzione, monitoraggio, ecc.) pur nel rispetto delle autonome scelte delle scuole, si suggerisce con una cadenza - ove possibile - almeno mensile, nei tempi e nei modi che maggiormente si confanno alla complessità interna della scuola. 2.1.2 L’organizzazione territoriale I CTS sono stati istituiti dagli Uffici Scolastici Regionali in accordo con il MIUR mediante il Progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”. I Centri sono collocati presso 15 scuole polo e la loro sede coincide con quella dell‟istituzione scolastica che li accoglie. Rappresentano l‟interfaccia fra l‟Amministrazione e le scuole e tra le scuole stesse in relazione ai BEI e svolgono le seguenti funzioni: informano i docenti, gli alunni, gli studenti e i loro genitori delle risorse tecnologiche disponibili, sia gratuite sia commerciali; organizzano iniziative di formazione sui temi dell‟inclusione scolastica e sui BES, nonché nell‟ambito delle tecnologie per l‟integrazione, rivolte al personale scolastico, agli alunni o alle loro famiglie; valutano e propongono ai propri utenti soluzioni di software freeware a partire da quelli realizzati mediante l‟Azione 6 del Progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”; attraverso il contributo di un esperto, offrono consulenza nell‟ambito della tecnologia, coadiuvando le scuole nella scelta dell‟ausilio e accompagnando gli insegnanti nell‟acquisizione di competenze o pratiche didattiche che ne rendano efficace l‟uso anche in relazione alle attività di studio a casa in collaborazione con la famiglia. La consulenza si estende gradualmente a tutto l‟ambito della disabilità e dei disturbi evolutivi specifici, non soltanto alle tematiche connesse all‟uso delle nuove tecnologie; acquistano ausili adeguati alle esigenze territoriali e possono definire accordi con le Ausilioteche e/o Centri Ausili presenti sul territorio; raccolgono le buone pratiche di inclusione realizzate dalle istituzioni scolastiche e, opportunamente documentate, le condividono con le scuole del territorio di riferimento. I CTI, di livello distrettuale, sono affiancati dai CTS. Dovranno collegarsi o assorbire i preesistenti Centri Territoriali per l‟integrazione Scolastica degli alunni con disabilità, i Centri di Documentazione per l‟integrazione scolastica degli alunni con disabilità (CDH) ed i Centri Territoriali di Risorse per l‟integrazione scolastica degli alunni con disabilità (CTRH). Svolgono la funzione di reti territoriali per la gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e finanziarie, l'integrazione degli alunni con bisogni educativi speciali, la formazione permanente, la prevenzione dell'abbandono e il contrasto dell'insuccesso scolastico e formativo e dei fenomeni di bullismo. 16 2.2 Il profilo del docente inclusivo Il Profilo dei Docenti Inclusivi è uno dei risultati principali del progetto “Teacher Education for Inclusion” realizzato dall‟Agenzia Europea per lo Sviluppo dell‟Istruzione degli Alunni Disabili.7 Il progetto triennale – cui hanno partecipato più di 55 esperti nazionali provenienti da 25 paesi europei – ha preso in esame i seguenti aspetti: Quale docente per una società inclusiva nella scuola del 21° secolo? Quali le competenze essenziali che il docente deve possedere per favorire ed ampliare l‟integrazione scolastica e l‟inclusione degli alunni? Il progetto ha inteso individuare quali sono le competenze essenziali, il bagaglio formativo e culturale, i comportamenti e i valori necessari a tutti coloro che intraprendono la professione docente, a prescindere dalla materia di insegnamento, dalla specializzazione, dall‟età degli alunni o dal tipo di scuola in cui si andrà ad insegnare. Sono stati individuati quattro valori fondamentali per l‟insegnamento e l‟apprendimento come base del lavoro dei docenti in ambienti scolastici inclusivi. Questi valori sono associati alle aree di competenza. Le aree di competenza contano tre elementi: comportamento, conoscenza, competenza. Un determinato comportamento o convinzione personale richiede un determinato livello di conoscenza o comprensione e quindi di capacità di tradurre quella conoscenza in pratica. Per ogni area di competenza si presentano i comportamenti, le conoscenze e le competenze. Il profilo adotta questo quadro di valori fondamentali e aree di competenza: Valorizzare la diversità dell’alunno – la differenza è da considerare una risorsa e una ricchezza. Le aree di competenza riportano a: - Opinioni personali sull‟integrazione scolastica e sull‟inclusione; - Opinioni personali sulla differenza che esiste nel gruppo-classe. Sostenere gli alunni – coltivare alte aspettative sul successo scolastico degli alunni. 7 EUROPEAN AGENCY FOR DEVELOPMENT IN SPECIAL NEEDS EDUCATION , Teacher Education for Inclusion (TE4I), 2011 17 Le aree di competenza riportano a: - Promuovere l‟apprendimento disciplinare, pratico, sociale ed emotivo; - Adottare approcci didattici efficaci per classi eterogenee. Lavorare con gli altri – la collaborazione e il lavoro di gruppo sono essenziali a tutti i docenti. Le aree di competenza riportano a: - Saper lavorare con i genitori e le famiglie; - Saper lavorare con più professionisti dell‟educazione. Sviluppo e aggiornamento professionale – insegnare è un‟attività di apprendimento e i docenti sono responsabili del proprio l‟apprendimento per tutto l‟arco della vita. Le aree di competenza riportano a: - Il docente come professionista capace di riflettere sul proprio ruolo ed il proprio operato; - Il percorso formativo iniziale è la base dello sviluppo professionale continuo. 2.2.1 La formazione degli insegnanti Il progetto dell‟Agenzia Europea dedica molto spazio alla formazione iniziale dei “nuovi insegnanti inclusivi” che ritiene un punto di partenza cruciale nella costruzione di una Scuola Inclusiva e di Qualità. In esso viene indicato chiaramente che i percorsi di formazione/abilitazione all‟insegnamento dovrebbero : sviluppare la capacità dei nuovi insegnanti ad essere più inclusivi nella pratica scolastica quotidiana; abilitare nuovi docenti capaci nelle strategie didattiche nonché esperti dei contenuti disciplinari. Un obiettivo della formazione iniziale dovrebbe essere quello di aiutare i futuri docenti a sviluppare una propria personale teoria pedagogica basata sul pensiero critico e la capacità di analisi, coerente con le conoscenze, le abilità e i valori che si riflettono nelle competenze didattiche e professionali. I percorsi di formazione e avviamento alla professione docente dovrebbero sviluppare nel corsista un 18 apprezzamento del ruolo che si andrà a svolgere in relazione ad una scuola concepita come comunità di apprendimento. Le norme e i valori culturali di cui i futuri docenti sono portatori vanno viste, nel corso della formazione iniziale, come il necessario punto di partenza per l‟acquisizione di conoscenza ed abilità. E‟ importate che le attività formative iniziali sviluppino la sensibilità personale stimolando una profonda comprensione delle questioni riguardanti la diversità e la possibilità di mettere in azione questa capacità di comprensione. Il passaggio da una visione politica del programma scolastico come soggetto base dell‟istruzione a corsi e didattiche interdisciplinari di insegnamento ed apprendimento si riflette anche nei programmi dei corsi di formazione iniziale e abilitazione all‟insegnamento proposti che dovrebbero quindi basarsi su un modello che inserisce le prassi inclusive in tutte le aree disciplinari e in tutte le materie di studio 8. 2.3 Orientare la scuola verso il cambiamento L‟Inclusione è un processo che coinvolge tutta la comunità scolastica, che ne condivide i principi e si attrezza per concretizzarli nella pratica didattica ed educativa. Pertanto, la normativa ci chiede di valutare la qualità dei nostri processi inclusivi e di individuare fattori di miglioramento per poter orientare la scuola verso il cambiamento. La rilevazione, il monitoraggio e la valutazione del grado di inclusività della scuola sono finalizzate ad accrescere la consapevolezza dell‟intera comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei “risultati” educativi. Da tali azioni si potranno inoltre desumere indicatori realistici sui quali fondare piani di miglioramento organizzativo e culturale. A tal fine possono essere adottati sia strumenti strutturati reperibili in rete (come l‟“Index per l‟inclusione” o il progetto“Quadis”), sia concordati a livello territoriale. Il compito è demandato alla singola istituzione scolastica, con modalità di lavoro che possono essere ricondotte alla autoanalisi d‟istituto, cosi definibile: un‟attività valutativa volta ad acquisire informazioni sulla natura dell‟oggetto considerato e ad accertarne il valore e il merito attraverso modalità rigorose e 8 EUROPEAN AGENCY FOR DEVELOPMENT IN SPECIAL NEEDS EDUCATION , Teacher Education for Inclusion (TE4I), 2011 19 formalizzate da parte di una scuola, dell‟attuale funzionamento della scuola stessa, con lo scopo di promuovere un cambiamento delle condizioni di apprendimento utile ad un più efficace perseguimento degli obiettivi educativi della scuola stessa. L‟autoanalisi d‟istituto in questa accezione si differenzia da altre pratiche simili, quali l‟analisi organizzativa, l‟autovalutazione e la riflessione interna alla scuola in quanto: il suo scopo è produrre un processo di cambiamento il suo oggetto è l‟istituto scolastico come sottosistema organizzato dotato di una autonomia sostanziale e inserito in un determinato contesto ambientale la sua modalità di lavoro è una valutazione interna fondata su un accertamento sistematico della qualità dei processi e dei prodotti educativi della scuola da parte degli stessi soggetti che operano in essa. Le scuole italiane hanno sviluppato nel tempo numerosi modelli di autoanalisi, anche in assenza di una cornice nazionale di riferimento. Attualmente si sta sperimentando un Sistema Nazionale di Valutazione basato su un‟interazione tra autovalutazione della singola scuola e valutazione esterna da parte di team di valutatori, per individuare piste di miglioramento da attuare in un tempo definito, con successiva verifica e rendicontazione sociale (DPR 28 marzo 2013, n. 80 Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione). L‟autovalutazione è quindi considerata un momento imprescindibile del percorso valutativo, premessa indispensabile per la condivisione del processo di miglioramento e cambiamento da parte del nostro sistema scolastico. 2.3.1 La valutazione dell’inclusività Come si situa in questo panorama l‟autovalutazione del grado di inclusività della scuola? Prima di rispondere a tale domanda bisogna innanzitutto definire il concetto di inclusione. Inclusione e integrazione sono due termini che vengono intesi, nel dibattito attuale, in almeno tre modi: 1. i due termini sono sinonimi (vedi Linee Guida del 2009 sull‟integrazione degli alunni con disabilità); 20 2. i due termini si contrappongono: l‟integrazione va superata perche non ha raggiunto lo scopo, non servono più garanzie specifiche, ma una scuola diversa per tutti; 3. integrazione come parte del processo di inclusione. Nel presente lavoro i due termini vengono intesi nell‟accezione seguente: Integrazione: insieme di politiche e metodologie atte a garantire il massimo sviluppo possibile per alcune categorie di persone con BES, con pedagogia speciale. Inclusione: cornice fatta di didattica e clima, una scuola che cambia per accogliere tutti. Mentre l‟integrazione pone l‟accento su alcuni gruppi, l‟inclusione fornisce la cornice generale per tutti. Mentre l'integrazione è un processo innescato dalla presenza di un alunno con disabilità, che può presentare incapacità e difficoltà dipendenti dal suo deficit che richiedono cambiamenti ad hoc per quella situazione, al fine di permettergli il massimo delle possibilità di partecipazione all‟apprendimento, l'inclusione è un processo intenzionale che parte dalla scuola, volto a rendere accessibile a tutti la partecipazione all‟apprendimento, anche a coloro che hanno temporaneamente o stabilmente difficoltà; tale processo può essere avviato indipendentemente dalla presenza di un alunno con disabilità. I modelli a disposizione per valutare la Scuola sono molti, fra gli altri: Caf – Common Assesment Framework Modello rete europea delle Scuole che Promuovono Salute Index per l‟inclusione Quadis, Kit per l‟autoanalisi e l‟autovalutazione d‟istituto sull‟integrazione In questo contesto mi soffermerò a parlare dell‟Index per l’inclusione9, uno degli strumenti che la Circolare Ministeriale n.8/2013 indica ai fini della rilevazione, del monitoraggio e della valutazione del grado di inclusività della scuola. Nasce in Inghilterra in un sistema misto, in cui sono presenti scuole normali e scuole speciali; a partire dal Rapporto Warnok del 1978 (Prima definizione di Bisogni Educativi Speciali, SEN, Special Educational Needs), ha la finalità di sostenere le scuole che vogliono essere inclusive, accogliendo sia gli alunni con disabilita che 9 T. BOOTH e M. AINSCOW, Index for Inclusion, 2002 CSIE, Traduzione italiana Erickson, Trento 2008. 21 quelli con altri bisogni. L‟Index viene pubblicato nel 2000 dal Centre for Studies on Inclusive Education (tradotto da Ianes e Dovigo per Erickson nel 2008). È uno strumento per l‟autovalutazione e l‟automiglioramento, rivolto alle istituzioni scolastiche che hanno come obiettivo la trasformazione della loro cultura e delle loro pratiche per arrivare a essere delle Scuole Inclusive. L‟autoanalisi di istituto è correlata alla produzione di un progetto per migliorare l‟inclusività attraverso il superamento degli ostacoli all‟apprendimento e alla partecipazione di ogni alunno. L‟attenzione viene posta: su tutti gli alunni della scuola, non si limita agli alunni disabili o agli alunni con bisogni educativi speciali, ma prende in carico l‟insieme delle differenze ai valori e alle condizioni dell‟insegnamento e dell‟apprendimento Richiede la presenza di un “amico critico” che aiuta la scuola nelle varie fasi e fornisce un feedback esterno. Secondo questo modello la vita della scuola viene analizzata secondo 3 dimensioni: culture, politiche, pratiche. Le culture si riferiscono all‟orizzonte dei valori, delle convinzioni, delle abitudini: mutare le culture in senso inclusivo è il presupposto per il cambiamento virtuoso; le politiche riguardano la gestione della scuola e del suo cambiamento; le pratiche concernono le attività di insegnamento e apprendimento, lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse. Ogni dimensione contiene due sezioni; a sua volta ogni sezione è declinata in diversi indicatori (44 in totale) che rappresentano il livello direttamente osservabile e misurabile di un determinato aspetto sulla base di dati e situazioni precise. Ad ogni indicatore corrispondono una serie di domande che esplorano nel dettaglio la realtà della scuola. L‟analisi della scuola viene effettuata tramite questionari con domande chiuse e aperte. I questionari, basati sugli indicatori, sono rivolti al personale scolastico, alle famiglie, agli alunni I questionari possono essere modificati per adattarsi al contesto. La valutazione degli esiti è condotta dal gruppo di lavoro della scuola (DS e docenti) con il supporto “dell‟amico critico”. I tempi per l‟intero processo di autovalutazione e miglioramento sono di due o tre anni. L‟autoanalisi dà alla scuola oggetti di miglioramento chiaramente definiti, su cui basare il PAI per l‟anno successivo. 22 CAPITOLO TERZO: Didattica e Inclusione 3.1 La scuola dell’educazione inclusiva “Una scuola che „include‟ è una scuola che „pensa‟ e che „progetta‟ tenendo a mente proprio tutti. Una scuola che, come dice Canevaro, non si deve muovere sempre nella condizione di emergenza, in risposta cioè al bisogno di un alunno con delle specificità che si differenziano da quelle della maggioranza degli alunni „normali‟ della scuola. Una scuola inclusiva è una scuola che si deve muovere sul binario del miglioramento organizzativo perché nessun alunno sia sentito come non appartenente, non pensato e quindi non accolto”10. L‟educazione inclusiva, come definita nello Statuto di Salamanca, promuove “il riconoscimento del bisogno di lavorare verso una scuola adatta a tutti che celebri le diversità, supporti l‟apprendimento e risponda ai bisogni individuali”11. I sistemi di educazione inclusiva sono quei sistemi che affondano le radici in una pedagogia centrata sul bambino in grado dunque di istruire con successo tutti i bambini inclusi quelli che hanno seri svantaggi e disabilità. Il merito di queste scuole non consiste unicamente nella loro capacità di provvedere ad un‟educazione di qualità per tutti bambini, ma la loro struttura è cruciale nel processo di cambiamento delle attitudini discriminatorie, nel creare delle comunità aperte e nello sviluppo di società inclusive. L‟UNESCO definisce l‟educazione inclusiva come “un processo che indirizza e risponde a una varietà di bisogni di tutti gli studenti tramite l‟aumento di partecipazione nell‟apprendimento, nella cultura, nella comunità, una riduzione dell‟esclusione all‟interno e da parte dell‟educazione. Comprende inoltre cambiamenti e modifiche a livello di contenuto, di approccio, struttura e strategia, tramite una visione comune che considera tutti i bambini di età appropriata e una convinzione che sia responsabilità dello Stato di educatore tutti i suoi bambini.”12 Ponendo la persona al centro - quale portatrice di diritti - l‟educazione inclusiva comporta dunque dei benefici a tutti gli studenti, con o senza disabilità o bisogni 10 P.SANDRI, Scuola di qualità e inclusione. Master “Didattica e Psicopedagogia per i Disturbi Specifici di Apprendimento” Facoltà di Scienze della Formazione- Università di Bologna 11 UNICEF, The right of children with disabilities: a rights-based approach to inclusive education, 2012 12 Ibidem 23 speciali, li prepara a vivere e a lavorare in una società pluralistica promuovendo una maggiore coesione sociale. Investire nell‟inclusione significa contribuire a garantire un futuro da cittadini attivi e responsabili a tutti i bambini, soprattutto quelli più vulnerabili perché la possibilità di fruire di una buona educazione è una condizione indispensabile per una piena inclusione sociale ed economica, soprattutto dei più svantaggiati. L‟inclusione può essere compresa non solamente come uno strumento per porre fine alle discriminazioni, ma piuttosto come un impegno verso la creazione di scuole che rispettino e valorizzino la diversità e che mirino alla promozione della democrazia e di un set di valori fondati sull‟uguaglianza e sulla giustizia sociale affinché tutti bambini partecipino al proprio apprendimento. Promuovendo l‟inclusione a scuola contribuiamo non soltanto a ridurre le disuguaglianze sociali, ma anche a sviluppare una cultura di tolleranza e accoglienza nei bambini e nel personale scolastico, in grado di estendersi all‟intera comunità. Un approccio inclusivo promuove un equo accesso alle opportunità d‟istruzione e favorisce la qualità dell‟insegnamento, a beneficio di tutti i bambini, non solo dei più svantaggiati. In questo modo il sistema d‟istruzione può assicurarsi che nessun bambino sia lasciato indietro e che tutti realizzino il loro diritto all‟istruzione, raggiungendo il loro massimo potenziale in termini di capacità cognitive, emozionali e creative. Un approccio inclusivo promuovere l‟apprendimento attivo e cooperativo, la pianificazione didattica individualizzata e l‟uso di materiali appropriati. Tutto ciò comporta una ristrutturazione della scuola sotto molti aspetti: la scuola inclusiva deve prevedere un‟organizzazione flessibile, una differenziazione della didattica, un ampliamento dell‟offerta formativa nonché un innalzamento della qualità di quest‟ultima, creando reti tra scuole oltre che una rete di collaborazione e corresponsabilità tra scuola, famiglia e territorio. Il ruolo della famiglia è fondamentale nel supportare il lavoro delle insegnanti e nel partecipare alle decisioni che riguardano l‟organizzazione delle attività educative. Inoltre rappresenta un punto di riferimento essenziale per una corretta inclusione scolastica dell‟alunno sia perché fonte d‟informazioni preziose sia perché luogo in cui avviene la continuità tra educazione genitoriale e scolastica. I genitori devono sentirsi parte anche loro della Scuola e partecipi della sua vita, devono anche loro stessi “includere” attraverso l‟educazione dei propri figli, in collaborazione con le insegnanti. È una scuola dove oltre all‟apprendimento cooperativo esiste anche l‟insegnamento cooperativo: nella scuola inclusiva tutte le insegnanti collaborano e programmano in 24 maniera congiunta verso la stessa direzione; hanno a disposizione spazi e momenti adeguati per condividere materiali, risorse ed esperienze. In conclusione, l‟educazione inclusiva non rappresenta una questione marginale ma anzi è centrale per il raggiungimento di un‟educazione di alta qualità per tutti gli studenti e per lo sviluppo di società più giuste. L‟educazione inclusiva è essenziale per raggiungere l‟equità sociale13. 3.1.1 Il percorso individualizzato e personalizzato Nella C.M. n.8 del 6 marzo 2013, si legge che “gli studenti in difficoltà hanno diritto alla personalizzazione degli apprendimenti” così come previsto dalla legge 53/2003. Il docente, pertanto, nella progettazione dell‟azione educativa, deve partire da una lettura pedagogica della norma, con particolare riferimento a: L.53/2003 art.1 … favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell‟età evolutiva, delle differenze e dell‟identità di ciascuno e delle scelte della famiglia L.53/2003 art.2… promuovere l‟apprendimento in tutto l‟arco della vita e assicurare a tutti pari opportunità … di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso le conoscenze e le abilità …in coerenza con le attitudini e le scelte personali La prospettiva della personalizzazione, che evidenzia l‟unicità di ogni studente, con le sue peculiari caratteristiche d‟apprendimento non standardizzabili e il suo diritto ad essere accompagnato alla piena realizzazione di se stesso, è dunque principio di riferimento fondamentale per tutta l‟azione didattica, al di là delle specifiche situazioni di difficoltà. Quest‟ultime, tuttavia, richiedono un innalzamento dell‟attenzione che si concretizza con l‟attuazione di diverse strategie che aiutino il singolo alunno a raggiungere gli obiettivi ritenuti indispensabili per tutti, attraverso la definizione di tempi e modi in sintonia con le sue capacità e problematicità, a aggiungere i massimi risultati possibili nelle diverse aree, ed infine ad esprimere al meglio le proprie potenzialità nell‟ottica della costruzione di un proprio progetto di vita. E‟ importante riprendere a questo proposito quando scritto nelle “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di 13 COALIZIONE ITALIANA DELLA CAMPAGNA GLOBALE PER L‟EDUCAZIONE, Che nessuno resti indietro!, Roma 2014 25 apprendimento” del luglio 2011, che, al fine di promuovere l‟apprendimento di ciascuno, distingue e congiuntamente pone in stretta connessione la didattica individualizzata e quella personalizzata: La didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale che può svolgere l‟alunno per potenziare determinate abilità o per acquisire specifiche competenze, anche nell‟ambito delle strategie compensative e del metodo di studio; tali attività individualizzate possono essere realizzate nelle fasi di lavoro individuale in classe o in momenti ad esse dedicati, secondo tutte le forme di flessibilità del lavoro scolastico consentite dalla normativa vigente. La didattica personalizzata, invece, anche sulla base di quanto indicato nella Legge 53/2003 e nel Decreto legislativo 59/2004, calibra l‟offerta didattica, e le modalità relazionali, sulla specificità ed unicità a livello personale dei bisogni educativi che caratterizzano gli alunni della classe, considerando le differenze individuali soprattutto sotto il profilo qualitativo; si può favorire, così, l‟accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, lo sviluppo consapevole delle sue „preferenze‟ e del suo talento. Nel rispetto degli obiettivi generali e specifici di apprendimento, la didattica personalizzata si sostanzia attraverso l‟impiego di una varietà di metodologie e strategie didattiche, tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo in ogni alunno: l‟uso dei mediatori didattici (schemi, mappe concettuali, etc.), l‟attenzione agli stili di apprendimento, la calibrazione degli interventi sulla base dei livelli raggiunti, nell‟ottica di promuovere un apprendimento significativo”. 3.1.2 Le misure dispensative e gli strumenti compensativi La legge 170/2010 art.5 lettera b richiama le Istituzioni scolastiche all‟obbligo di garantire “l‟introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere.” La Direttiva e la Circolare sui BES precisano che: “le scuole - con determinazioni assunte dai consigli di classe, risultanti dall‟esame della documentazione clinica 26 presentata dalle famiglie e sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e didattico - possono avvalersi per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali degli strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalla disposizioni attuative della L.170/2010 (DM 5669/2011)…”. Alla luce delle disposizione sopra richiamate è il Cdc/team docenti deputato a determinare gli strumenti compensativi più efficaci per l‟apprendimento dell‟alunno. E‟ bene che l‟uso degli strumenti compensativi, previsti dalla norma, sia concordato con la famiglia e/o con l‟alunno. Nel caso di studente maggiorenne tale azione è fondamentale perché finalizzata a responsabilizzarlo e a renderlo protagonista del suo apprendimento. In particolare gli strumenti compensativi consentono all‟alunno di controbilanciare le carenze funzionali determinate dal disturbo permettendogli di svolgere la parte “automatica” della consegna, concentrando l‟attenzione sui compiti cognitivi più complessi. Non incidono sul contenuto, ma possono avere importanti ripercussioni sulla velocità e/o sulla correttezza dell‟esecuzione della prestazione richiesta dall‟insegnante. A titolo esemplificativo si citano: la tavola pitagorica, la tabella delle misure e delle formule, la calcolatrice, il PC, i dizionari di lingua straniera computerizzati, tabelle, traduttori ecc… Le misure dispensative invece evitano allo studente di cimentarsi in forme di attività che sono destinate al sicuro fallimento, indipendentemente dall‟impegno del soggetto, in quanto minate dal disturbo. A titolo esemplificativo si citano: tempi più lunghi per le prove scritte e lo studio, mediante una adeguata organizzazione degli spazi ed un flessibile raccordo tra gli insegnanti; organizzazione di interrogazioni programmate, assegnazione di compiti a casa in misura ridotta. In particolare per gli alunni che sperimentano difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua italiana è possibile adottare misure dispensative come ad esempio: la dispensa dalla lettura ad alta voce; la dispensa da attività ove la lettura è valutata; la dispensa dalla scrittura veloce sotto dettatura, ecc. E‟ bene sottolineare che in ogni caso, non si potrà accedere alla dispensa dalle prove scritte di lingua straniera se non in presenza di uno specifico disturbo clinicamente diagnosticato, secondo quanto previsto dall‟art. 6 del DM n. 5669 del 12 luglio 2011. 27 Giova inoltre ricordare che il docente, proprio perché esperto nella metodologia didattica, sia generale sia afferente la specifica materia di insegnamento, deve prima di tutto prevedere nel PDP l‟utilizzo di metodologie didattiche individualizzate e personalizzate e, solo in seconda istanza, di eventuali compensazioni e di possibili dispense. In sede di esame di Stato per questi alunni non sono attualmente previste modalità differenziate di verifica degli apprendimenti, anche se ciò potrebbe essere auspicabile. L‟uso temporaneo di dispense, di compensazioni e di flessibilità didattica è utile al fine di porre l‟alunno e lo studente nelle condizioni di sostenere, al termine del percorso di studi, l‟esame di licenza e l‟esame di Stato con le stesse modalità e i medesimi tempi degli studenti che non vivono situazioni di BES. L‟uso di strumenti compensativi e, solo se necessarie, di misure dispensative non deve generare alcuna dipendenza da parte dell‟allievo, aggravando la sua peculiare difficoltà. L‟uso di tali dispositivi deve anzi metterlo nella condizione di superare eventuali ritardi e/o problematicità e/o complicanze afferenti l‟apprendimento. 3.2 Strategie didattiche inclusive Come già detto, l‟Educazione Inclusiva comporta la trasformazione della Scuola per poter incontrare e rispondere alle esigenze di tutti. Essa è un costante processo di miglioramento, volto a sfruttare le risorse esistenti, specialmente le risorse umane per sostenere la partecipazione all‟istruzione di tutti gli studenti all‟interno di una comunità. Questo modello ha come scopo l‟adattamento della scuola alle esigenze di apprendimento dei bambini e non solo l‟adattamento dei bambini alla scuola. Insegnare ad alunni con tipologie diverse di difficoltà è un aspetto del saper insegnare. Ciò di cui la Scuola ha bisogno sono delle buone prassi didattiche, dei mezzi adatti alle capacità di ciascuno. Quindi occorre che gli insegnanti conoscano molti strumenti didattici, molti metodi, molti modi di lavorare e di organizzare la classe. Occorre che essi conoscano i processi attraverso cui di volta in volta trasformare, modificare, curvare tali strumenti per renderli adatti ai bisogni di tutti e di ciascuno. Le principali linee d‟azione attraverso cui costruire una didattica realmente inclusiva, possono essere, secondo M. Tarabusi14, le seguenti: 14 M. TARABUSI, I piani di inclusione BES. I piani personalizzati e il piano annuale, Casa Editrice Spaggiari, Parma 2013. 28 Sviluppare un clima positivo nella classe Costruire percorsi di studio partecipati Partire dalle conoscenze e dalle abilità pregresse degli studenti Contestualizzare l‟apprendimento, favorire la ricerca e la scoperta Attivare interventi didattici personalizzati nei confronti della diversità Realizzare attività didattiche basate sulla cooperazione Potenziare le attività di laboratorio Sviluppare negli studenti competenze metacognitive Pertanto, le metodologie e le strategie didattiche di una Scuola Inclusiva devono essere volte a: ridurre al minimo i modi tradizionali “di fare scuola” (lezione frontale, completamento di schede che richiedono ripetizione di nozioni o applicazioni di regole memorizzate, successione di spiegazione-studio interrogazioni …) sfruttare i punti di forza di ciascun alunno, adattando i compiti agli stili di apprendimento degli studenti minimizzare i punti di debolezza (errori ortografici, deficit nella memoria di lavoro, lentezza esecutiva, facile affaticabilità, mancata autonomia nella lettura….) facilitare l‟apprendimento attraverso il canale visivo (avvalendosi di organizzatori grafici, come schemi, mappe, immagini, filmati) e il canale uditivo (audiolibri, registrazioni, sintesi vocale o lettore umano, libri di testo digitali) far leva sulla motivazione ad apprendere favorire un dialogo in tutte le attività con i compagni della classe sviluppare l‟ autostima e la fiducia nelle proprie capacità Ipotesi per una lezione efficace: iniziare l‟attività con una sintesi della lezione precedente, coinvolgendo tutti con domande flash (“warm up”) avvalersi del “brainstorming” visivo e grafico per “orientarsi” nelle informazioni (creando “Mappa della lezione” da seguire durante le attività) variare azioni e contenuti, sollecitando diverse abilità, affinché ciascuno possa trovare il suo spazio e favorire la motivazione 29 ogni tanto interrompere e fare sintesi dei contenuti riprendere e ripetere in modi diversi i concetti più importanti (controllare spesso se gli alunni seguono … se è chiaro il percorso) prediligere strategie di apprendimento cooperativo, come il cooperative learning o il lavoro a coppie, in cui le capacità cognitive dell‟alunno con BES possano esprimersi nell‟interazione con i compagni, incaricati di fungere da mediatori per le strumentalità di base fornire materiale registrato per riascoltare la lezione Per concludere possiamo affermare che le metodologie didattiche più appropriate per il potenziamento degli apprendimenti negli alunni con BES e non solo, sembrano essere le seguenti: Cooperative Learning (Sviluppa forme di cooperazione e di rispetto reciproco fra gli allievi e veicola le conoscenze/abilità/competenze) Peer-Tutoring (Apprendimento fra pari: lavori a coppie) Problem Solving (Favorisce la centralità del bambino/ragazzo e realizza la sintesi fra sapere e fare, sperimentando in situazione ) Didattica multisensoriale ( Uso costante e simultaneo di più canali percettivi visivo, uditivo, tattile, cinestesico- incrementa l‟apprendimento) Tecnologie didattiche ( Uso di computer, notebook, tablet, LIM, software specifici) Nei paragrafi seguenti mi soffermerò ad analizzare alcune delle suddette strategie didattiche ed a promuovere un “modo nuovo di fare scuola” che racchiude un po‟ tutte le metodologie già citate che risponde al nome di “Flipped Classroom”. 3.2.1 La peer education L'idea base dell''aiuto reciproco è molto semplice: un alunno insegna a un compagno. “C'è poi un corollario, secondo Mazzeo, che può essere difficile da accettare per molti insegnanti: spesso capita che le capacità di un alunno di insegnare a un compagno siano più elevate di quelle dell'insegnante stesso, o, se preferiamo, che i risultati conseguiti siano migliori. Questo non avviene a causa 30 della maggiore competenza disciplinare del ragazzo rispetto all'adulto, ma perché la comunicazione che si instaura tra due coetanei è spesso qualitativamente migliore di quella che si riesce a instaurare tra adulto e bambino”15. Le prime sperimentazioni di insegnamento reciproco risalgono all'Inghilterra industriale di fine Ottocento e, in particolare, a due ricercatori, Lancaster e Bell, che volevano risolvere il problema del sovraffollamento delle classi popolari e della scarsità di insegnanti professionisti. In Italia Don Milani utilizzò moltissimo l'aiuto reciproco nella sua scuola di Barbiana, intuendo in maniera molto lucida come a imparare fossero contemporaneamente sia il docente che l'alunno. I risultati conseguiti, non ultimo la pubblicazione del libro, Lettera ad una professoressa, sono stati a dir poco eccezionali, se si tiene presente che la maggior parte dei ragazzi di Barbiana erano stati respinti dalla scuola ufficiale perché non adatti allo studio. Sempre secondo Mazzeo, nei confronti degli alunni, l'aiuto reciproco agisce contemporaneamente su due piani differenti16: Il livello cognitivo e disciplinare di tutti i bambini coinvolti. Chi apprende infatti può migliorare le proprie conoscenze e le proprie strategie di studio e di risoluzione dei problemi, soprattutto grazie all'identificazione con il tutor e al modellamento su di esso. Anche chi insegna ha modo di rinforzare le proprie conoscenze, dovendole ripercorrere e illustrare a un'altra persona. Tutto questo aiuta l'alunno tutor a migliorare le proprie strategie di apprendimento. Il livello dell'autostima. Entrambi i soggetti coinvolti traggono vantaggio da questa attività. L'alunno più grande si trova valorizzato e responsabilizzato dal proprio ruolo di tutor riconosciuto come persona abile dalla figura dell'insegnante. Tenderà così a sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti della struttura scolastica e dell'apprendimento più in generale. Se l'alunno più grande viene selezionato tra quelli che, nella propria classe, si trovano spesso in difficoltà (la differenza di età consente di operare questa scelta), i risultati in termini di aumento dell'autostima possono essere davvero notevoli. Anche l'autostima di 15 M. MAZZEO, L' organizzazione efficace dell'apprendimento. Personalizzazione e metodo di studio, Erickson, Trento 2005. 16 Ibidem. 31 chi apprende migliora; il fatto di dover lavorare con un altro alunno più grande della scuola, in una situazione protetta, fa sentire maggiormente a proprio agio anche l'alunno discente. Un altro livello di azione di questa attività è costituita dalla diversa funzione svolta dall'istituzione scolastica e dal ruolo assunto dagli adulti. A livello istituzionale, si assiste a un'effettiva riorganizzazione degli spazi, a un cambio di ruoli che altrimenti vengono vissuti in modo rigido, a una reale apertura delle classi. Applicando l'aiuto reciproco l'insegnante impara a rivedere il proprio ruolo di unico dispensatore di conoscenze, potendo «mettersi da parte» per lasciare un effettivo spazio di azione agli alunni. La miglior posizione per l'insegnante che assiste è porsi in fondo alla stanza, dietro agli studenti (in modo tale da non essere guardato continuamente). Le prime volte sarà difficile per l'insegnante restare in silenzio rinunciando al ruolo cui è abituato. Non dobbiamo preoccuparci di momenti di silenzio, di qualche piccolo errore o se qualche sezione dell'esercizio da svolgere viene saltata. È importante ricordarsi che l'obiettivo principale di questa attività non è soltanto quello di terminare l'esercizio per bene, ma anche quello di rinforzare l'autostima delle due persone che vi prendono parte. Ogni intervento dell'adulto rischia di compromettere il raggiungimento di questa finalità. 3.2.2 La LIM Secondo Ianes, l‟uso della Lavagna Interattiva Multimediale, forse più di quello di altre tecnologie, è un approccio in grado di facilitare processi positivi di tipo inclusivo. La LIM, infatti, rispetto ad altri strumenti o ausili, ha un carattere universale, si rivolge cioè già a tutti gli alunni, non soltanto a quelli con qualche tipo di difficoltà. È già intrinsecamente inclusiva17. Infatti essa permette di: valorizzare le differenze facilitare la comunicazione, cooperazione e appartenenza al gruppo potenziare i processi di insegnamento-apprendimento realizzare la “speciale normalità” facilitare la circolazione di buone prassi 17 D. IANES, Didattica inclusiva con la LIM, Erickson, Trento 2009, pp 9-11. 32 Uno degli aspetti costitutivi di una scuola inclusiva è senz‟altro il riconoscimento e l‟uso valorizzato delle differenze individuali. I docenti che vogliono costruire una didattica inclusiva si trovano di fronte ai due grandi compiti complementari del conoscerle e del valorizzarle. Secondo Ianes, la LIM ci può aiutare in questo compito in quanto con essa, un alunno o un insegnante rende pubblico e visibile il suo modo di operare e di pensare (visivo o verbale, globale o analitico, ad esempio), lo rende discutibile con gli altri compagni e confrontabile apertamente. Si possono vedere in diretta i processi di analisi, di elaborazione e di sviluppo di output di un alunno che riassume un testo, che risolve un problema, che progetta qualcosa. Inoltre grazie alla LIM un‟attività può essere infatti presentata e condotta dagli alunni in mille modi diversi e questo permette dunque l‟espressione e la valorizzazione delle differenze individuali. Un altro punto di forza della LIM è quello di aiutare a sviluppare le competenze comunicative, di cooperazione e di appartenenza-partecipazione al gruppo: se infatti gli alunni lavorano sempre di più in modo cooperativo, valorizzando a vicenda i diversi modi di operare, molto probabilmente approfondiranno positivamente la conoscenza reciproca, abituandosi sempre di più all‟idea di essere, alla fine, una grande squadra in cui ognuno ha un posto importante. E anche in questo sta l‟inclusione: un gruppo inclusivo è un gruppo in cui si comunica bene, si coopera e in cui ci si sente accolti e ci si sente di far parte. Scoprire pian piano le capacità e le caratteristiche dell‟altro, fare insieme, vivere insieme gli stati d‟animo importanti (l‟ansia, la tristezza, la gioia del successo) creano quella familiarità che contribuisce ad abbattere le barriere e ad avvicinare le persone. In questo modo il gruppo classe diventa un gruppo sempre più resiliente, in grado di superare, migliorandosi, i vari stress delle differenze, delle difficoltà e delle emozioni negative.18 Una classe inclusiva è un ambiente che non solo non pone barriere all‟apprendimento di alcun alunno, ma che lo facilita attivamente, fornendogli le condizioni idonee allo sviluppo del suo massimo potenziale. Dunque le dinamiche di insegnamentoapprendimento e le condizioni adatte a sviluppare al meglio le competenze vanno ancora più potenziate in una classe inclusiva, perché devono essere efficaci per tutti gli alunni. Il vantaggio più grande nell‟uso della LIM è sicuramente la sua 18 D. IANES, Didattica inclusiva con la LIM, Erickson, Trento 2009, pp 11-17. 33 straordinaria multimedialità che potenzia, in alcuni casi enormemente, i processi di apprendimento. Filmati, documenti audio, immagini, ecc. arricchiscono indubbiamente l‟input e stimolano i processi attentivi, facilitando anche i processi di percezione sia visivi (facilitazioni date dalle dimensioni o dai colori dei materiali scritti alla lavagna) che uditivi (aggiunta di input audio, musiche). L‟archiviabilità e la facile recuperabilità dei materiali aiutano molto anche la riflessione metacognitiva, il comprendere come e perché si sia arrivati a quel risultato, attraverso quali processi, quali operazioni intermedie, quali decisioni, ecc. In questo modo si rendono più trasparenti i processi, li si può valutare e correggere per le attività successive. Nell‟elaborare una metodologia didattica globale con la LIM, è utile dunque tener conto di questa sua grande potenzialità metacognitiva. Un altro punto di forza della LIM è quello di permettere la realizzazione di ciò che Ianes chiama “la speciale normalità”. Nei materiali usati con la LIM si possono introdurre molti elementi di arricchimento e modificazione che provengono da tecniche speciali di lavoro, anche abilitativo, ma che, diluiti e inclusi a vari livelli nei materiali, li rendono più efficaci per tutti. Si pensi, ad esempio, alle immagini usate nelle modalità di comunicazione aumentativa alternativa, studiate per alunni con gravi deficit di comunicazione, che vengono usate alla lavagna come linguaggio comune per scambiare alcune informazioni oppure ai software di sintesi vocale che trasformano un file di testo in un file audio, originariamente confinati sui soggetti con dislessia o difficoltà sensoriali, che con la LIM possono arricchire per tutti gli alunni le fasi di lettura e comprensione di un testo scritto. Una scuola inclusiva è una comunità di buone pratiche: all‟inclusione servono molte idee, molto materiale, molte soluzioni didattiche, organizzative, progettuali, molte buone prassi. Tipicamente, la scuola italiana non brilla per capacità di documentare e tesaurizzare il proprio immenso patrimonio di realizzazioni che hanno funzionato, né per la disponibilità/capacità di scambiarlo tra pari. La LIM può aiutare in questo, stimolando la facilità di costruire, rendere disponibile e scambiare grandi quantità di memoria didattica. Ianes conclude le sue riflessioni dicendo che anche se la LIM è un ottimo mezzo per migliorare in modo significativo la qualità dei processi di inclusione, è comunque necessario che essa venga utilizzata da insegnanti competenti: «Nessun vento è buono per il marinaio che non sa dove andare» (Seneca). 34 3.2.3 Prospettive per il futuro: la Flipped Classroom In questo paragrafo intendo soffermarmi su quella che potrebbe essere la soluzione metodologica più adatta per affrontare le problematiche didattiche relative ai BES: vale a dire la Flipped Classroom. La flipped classroom è un sistema che, attraverso l‟uso delle tecnologie didattiche, inverte il tradizionale schema di insegnamento/apprendimento ed il conseguente rapporto docente/discente. I materiali didattici vengono caricati all‟interno dell‟ambiente virtuale per del “gruppo classe” in forme e linguaggi digitali anche molto differenziati. Per approfondire un contenuto o un tema non si utilizzano più solo testi scritti ma anche, audio, video, simulazioni e materiali disponibili su Internet. Questi materiali possono essere approfonditi dagli studenti da soli o in gruppo “fuori dalla classe” a casa, in biblioteca o in altri luoghi di aggregazione informale. Mentre in classe con l‟insegnante i contenuti “appresi” attraverso la tecnologia diventano oggetto di attività cooperative mirare a “mettere in movimento” le conoscenze acquisite. La classe non è più il luogo di trasmissione delle nozioni ma lo spazio di lavoro e discussione dove si impara ad utilizzarle nel confronto con i pari e con l’insegnante. Il docente, infatti, una volta scelto un tema da approfondire, e caricato il materiale relativo sulla una piattaforma di elearning, indica allo studente quali temi e contenuti studiare o approfondire nei giorni precedenti l‟attività in classe dedicata a quel tema. In questo modo si realizza l‟ “inversione” del setting tradizionale e si può parlare di flipped classroom appunto. Questa metodologia didattica ha origine nel mondo anglosassone – da sempre più attento alla didattica laboratoriale e “per esperienza” - e si è diffuso, in particolare negli Stati Uniti, dove già da anni le classi sono infrastrutturate digitalmente e si utilizzano sistemi di elarning basati su sistemi di classi virtuali. La dinamica del processo didattico si svolge nel modo seguente. Gli insegnanti predispongono i materiali di approfondimento all‟interno del Virtual Learning Environmet (Ambiente virtuale di appredimento) adottato dall‟Istituto scolastico. Gli studenti approfondiscono prima della lezione, a casa, il tema proposto. In modo liberare il tempo della vecchia lezione frontale trasmissiva e lasciare spazio per realizzare per realizzare una serie di esperienze di apprendimento attivo che si 35 svolgono generalmente in piccolo gruppo. Questa idea della classe “capovolta” (da to flip, capovolgere), oltre che negli USA sta acquistando sempre maggiore popolarità e credibilità anche negli ambienti educativi europei in particolare nel Nord Europa. Concretamente si può dire che la classe diventa, il luogo in cui lavorare secondo il metodo del problem solving cooperativo a trovare soluzione a problemi, discutere, e realizzare con l‟aiuto dell‟ “insegnante coach” attività di tipo laboratoriale ed “esperimenti didattici” (reali o virtuali) di attivazione delle conoscenze. Non si tratta di un innovazione radicale dal punto di vista metodologico, ma di una applicazione abilitata dalle tecnologie, dell‟apprendere attraverso il fare (learning by doing). In questo modo, inoltre, vengono valorizzati i nuovi stili di apprendimento degli studenti che sono ormai “nativi digitali” e diviene molto più semplice personalizzare gli apprendimenti, disegnando all‟interno dell‟ambiente virtuale di apprendimento percorsi didattici specifici per singoli o gruppi con bisogni o esigenze particolari. L‟aspetto più interessante di questa metodologia è il fatto che l‟intero setting didattico viene rivisto nell‟ottica di massimizzare una risorsa che sempre di più scarseggia nella scuola: il tempo dell‟insegnante. Insomma, vi sono due livelli di “inversione” del setting didattico: il primo riguarda il fatto che le tecnologie digitali, attraverso l‟utilizzo di ambienti web di apprendimento cooperativo permettono di spostare “fuori dall‟aula in presenza” una serie di attività di tipo nozionistico liberando il tempo dell‟insegnate per seguire più direttamente i problemi di apprendimento degli studenti il secondo consiste nella possibilità di generare all‟interno dell‟aula, in particolare attraverso il lavoro di gruppo cooperativo, una nuova metodologia attiva di apprendimento che trasforma la classe in un piccola “comunità di ricerca” L‟interazione docente/studente si trasforma radicalmente dal momento che si riduce molto il tempo della “lezione frontale” e aumenta proporzionalmente il tempo dedicato al problem solving cooperativo, al monitoraggio e al supporto del lavoro degli studenti, così come quello dedicato alla “revisione razionale” collettiva dei risultati dei lavori di gruppo. Ovviamente questa trasformazione del setting didattico cambia profondamente il ruolo del docente, ma certamente lo “aumenta” non lo diminuisce affatto. Il docente, 36 infatti, da esperto disciplinare e “erogatore” di contenuti e valutazioni si trasformerà, come abbiamo accennato più sopra, in una figura che integra più competenze, ovviamente quelle disciplinari, ma anche quelle di un metodologo didattico esperto di tecnologie digitali, così come quelle di tutoraggio, coaching e mentoring (in presenza e on-line) dei suoi studenti. E‟ infatti, insieme un progettista didattico che allestisce il setting didattico/tecnologico e programma le attività degli studenti in presenza e on-line, un esperto di contenuti disciplinari e nello stesso tempo deve divenire una guida, un sostegno alla costruzione della conoscenza collaborativa da parte degli allievi. Funge, quindi, da stimolo per favorire un‟elaborazione personale e collettiva delle attività di gruppo e per favorire un “apprendimento significativo”. Aiuta, cioè, gli studenti a sviluppare metodologie e pratiche di studio che consentano loro di acquisire competenze reali di gestione dei contenuti e non mere nozioni. In questo processo, come ovvio, cambia anche il ruolo dello studente, che diviene decisamente più attivo. Lo studente con l‟adozione di questo tipo metodologie didattiche innovative diviene sempre più protagonista del processo apprendimento, e soprattutto si responsabilizza maggiormente, anche grazie alla collaborazione con i pari, rispetto ai progressi o alle difficoltà che incontra durante lo studio. Si tratta di una “transizione” non semplice soprattutto per gli insegnanti che spesso non hanno sufficiente formazione e quindi sufficienti competenza sia tecnologiche che metodologiche per attuare questo cambiamento. Per gli studenti non si tratta di una novità: sono nativi digitali19. Per loro gli strumenti digitali, consolle per videogiochi, smartphone e tablet sono strumenti di uso quotidiano. Il problema per l‟insegnante e tutta l‟istituzione formativa è quello di valorizzare le competenze di utilizzo delle tecnologie digitali che hanno acquisito nell‟informale e nella socializzazione tra pari. Si tratta di trasformare la loro naturale fluency tecnologica in uno strumento per veicolare “apprendimenti significativi”, avendo sempre ben presente che “apprendere” non è “giocare” e che la fatica dell‟apprendimento non può essere eliminata dall‟utilizzo di device tecnologici. La sfida è quella di declinare le abilità e le competenze tecnologiche di cui sono già portatori, mettendole al servizio della didattica e dell‟apprendimento. 19 P. FERRI, Nativi digitali, Bruno Mondadori, Milano 2011. 37 Conclusioni Concludo questo mio “viaggio verso l’inclusione” con una riflessione che completa e chiarisce quanto espresso nella Premessa. La mia necessità di ragionare sull‟urgenza di creare un contesto-Scuola positivo e accogliente, in cui promuovere il successo scolastico e sociale di ciascun allievo, attraverso scelte progettuali, metodologiche, organizzative e didattiche efficaci, risponde in realtà ad una esigenza più complessa dell‟opportunità di cambiare “modo di fare scuola” per essere al passo con i tempi e rispondere alle esigenze dei ragazzi. Quello che mi sta a cuore, come stava a cuore al Priore di Barbiana, è soddisfare il bisogno etico di giustizia sociale. Appare evidente che per realizzare una Società Inclusiva, è necessario partire dalla costruzione di una Scuola Inclusiva i cui principi, radicati nella lotta alla discriminazione, alla diseguaglianza e all‟esclusione, in particolare delle fasce più deboli, garantiscano l‟eguaglianza di accesso di tutti i bambini al sapere e alla conoscenza. Solo in questo modo sarà possibile approdare (per rimanere nella metafora del viaggio), a ciò che Canevaro definisce nel titolo del suo ultimo libro, un “mondo più giusto”20. 20 A. CANEVARO, Scuola inclusiva e mondo più giusto, Erickson, Trento 2013. 38 Bibliografia AA.VV., Dislessia. Strumenti compensativi, Ed. Libri Liberi, Firenze 2004. BIONDI G. (a cura di), In classe con la Lavagna Interattiva Multimediale, Giunti, Firenze 2008. BONAIUTI G., Didattica attiva con la LIM, Erickson,Trento 2009. BOOTH T. E AINSCOW M., L‟Index per l‟inclusione, Erickson, Trento 2008. CANEVARO A. , Scuola inclusiva e mondo più giusto, Erickson, Trento 2013. 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Edscuola www.edscuola.it Una ricca offerta di tematiche, rubriche, normativa, ecc. per la disabilità e l‟integrazione scolastica. AIRIPA - Associazione Italiana per la Ricerca e l'Intervento nella Psicopatologia dell'Apprendimento www.airipa.it Associazione che ha come finalità quelle di promuovere studi e ricerche nel settore della psicopatologia dell'apprendimento; favorire la diffusione di informazioni, di conoscenze scientifiche e tecniche fra coloro che operano in questo settore ai fini di ricerca, formazione degli operatori, pratica clinica ed operativa. FADIS - Federazione Associazioni di Docenti per l’Integrazione Scolastica www.integrazionescolastica.it Rivista telematica d‟informazione e documentazione scolastica della Federazione Associazioni di Docenti per l‟Integrazione Scolastica. PAIDEIA 2.0 – Officina per la Didattica Inclusiva www. scuolastoppani.wordpress.com E‟ un blog tematico di supporto e stimolo per le attività didattiche e l‟approfondimento delle conoscenze riguardo il mondo della disabilità, dello svantaggio, dei temi inclusivi ed in genere dei Bisogni Educativi Speciali. ASSOCIAZIONE ITALIANA DISLESSIA – Sito ufficiale dell’Associazione Italiana Dislessia www.aiditalia.org INCLUSIONE – Sito sui DSA www.inclusione.it GRIIS- Integrazione Inclusione Scolastica www.integrazioneinclusione.wordpress.com Gruppo di Ricerca Integrazione e Inclusione Scolastica – Facoltà Scienze della Formazione, Università di Bolzano 41 Principali riferimenti normativi Legge 5 febbraio 1992, n. 104 Legge-quadro per l‟assistenza, l‟integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999 n.275 Regolamento recante norme in materia di autonomia delle Istituzioni scolastiche, ai sensi dell‟art.21 della legge 15 marzo 1997 n.59 MIUR 2006 Linee guida per l‟accoglienza e l‟integrazione degli alunni stranieri1 Raccomandazione del parlamento europeo e del consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l‟apprendimento permanente Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 23 febbraio 2006, n. 185 "Regolamento recante modalità e criteri per l'individuazione dell'alunno come soggetto in situazione di handicap, ai sensi dell'articolo 35, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289" Decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122 “Regolamento recante coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge I settembre 2008, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169 MIUR 2009 Linee guida per l‟integrazione scolastica degli alunni con la disabilità C.M del 4 dicembre 2009 Problematiche collegate alla presenza nelle classi di alunni affetti da sindrome ADHD (deficit di attenzione/iperattività) C.M. del 15 giugno 2010 Disturbo di deficit di attenzione ed iperattività Legge 8 ottobre 2010 n.170 Nuove norme in materia di Disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico Decreto Ministeriale 12 luglio 2011 n. 5669 Decreto attuativo della Legge n.170/2010. Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento. Direttiva MIUR 27 dicembre 2012 Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l‟inclusione scolastica. Accordo tra Governo, Regioni e province autonome di Trento e Bolzano su “Indicazioni per la diagnosi e la certificazione dei Disturbi specifici di apprendimento (DSA)” C.M. n. 8 del 6 marzo 2013 Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l‟inclusione scolastica. Indicazioni operative. Nota MIUR 2563 del 22.11.2013 - Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi speciali a.s. 2013-2014- Chiarimenti. 42