UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DELLA CALABRIA
Dipartimento di Studi Umanistici
Master di I livello in
Didattica e psicopedagogia
per i Disturbi Specifici di Apprendimento
Sede UNICAL - Rende
Tesi finale
Una scuola per tutti e per ciascuno
Viaggio verso l’Inclusione
Direttore del Master
Candidata
Prof.ssa Antonella Valenti
Maria Carmela Di Lorenzo
A.A. 2012/2013
”Non c’è peggiore ingiustizia
del dare cose uguali
a persone che uguali non sono”
Don Lorenzo Milani
2
INDICE
Premessa ……………………………………………………………………....p 4
Introduzione…………………………………………………………………….. p 5
CAPITOLO PRIMO: Politiche Inclusive
1.1 L’Impegno Internazionale……………………..………………….…..…………. p 6
1.2 La Normativa Italiana…………………………………………………………....p 7
1.2.1 I Volti dell’Altro nella Scuola di Oggi: i BES…………………………….p 9
CAPITOLO SECONDO: Costruire una Scuola di Qualità
2.1 Strumenti Operativi per promuovere l’Inclusione………………………..…..p 12
2.1.1 Ruoli e Organismi d’Istituto……………..………………………………p 13
2.1.2 L’Organizzazione Territoriale…………………………………….……..p 15
2.2 Il Profilo del Docente Inclusivo………………………………………………p 17
2.2.1 La Formazione degli Insegnanti……………………………………………p 18
2.3 Orientare la Scuola verso il Cambiamento……………………………………p 19
2.3.1 La Valutazione dell’Inclusività…………………………………………...p 20
CAPITOLO TERZO: Didattica e Inclusione
3.1 La Scuola dell’Educazione Inclusiva……………………………………………p 23
3.1.1 Il Percorso Individualizzato e Personalizzato ……………………………p 25
3.1.2 Le Misure Dispensative e gli Strumenti Compensativi ………………….p 26
3.2 Strategie Didattiche Inclusive ………………………………………………p 28
3.2.1 La Peer Education ..…………………………………………………….p 30
3.2.2 La LIM ………………….......................................................p 32
3.2.3 Prospettive per il Futuro: la Flipped Classroom……………………...p 35
Conclusioni …………………………………………………………………………..p 38
Bibliografia e Sitografia……………………………………………………………..p 39
Principali Riferimenti Normativi…………………………………………………….p 42
Premessa
A quarant‟anni dalla sua morte, l‟insegnamento del Priore di Barbiana risulta più
che mai attuale tanto da apparire come una straordinaria anticipazione di quanto
espresso nelle Raccomandazioni del Parlamento e del Consiglio Europeo del
dicembre 2006. In esse si legge che l‟istruzione e la formazione iniziali “devono
saper offrire a tutti i giovani gli strumenti per sviluppare le competenze chiave a un
livello che li prepari alla vita adulta e costituisca la base per ulteriori occasioni di
apprendimento,
come
pure
la
vita
lavorativa”1.
Continuando a leggere si incontrano altri concetti in grande sintonia con la scuola di
Barbiana: “…si tenga debitamente conto di quei giovani che a causa di svantaggi
educativi determinati da circostanze personali, sociali, culturali ed economiche
hanno bisogno di un sostegno particolare per realizzare le loro potenzialità”; “gli
adulti siano in grado di aggiornare e sviluppare le loro competenze chiave in tutto il
corso
della
vita”.2
Dunque, da quella Lettera a una professoressa3 in cui i ragazzi di Barbiana, assieme
al loro maestro Don Milani, denunciavano un metodo didattico che ostacolava la
realizzazione, anche sociale, dei ragazzi delle classi più povere, arriva ancora oggi
quell‟I care che dovrebbe costituire lo slogan riassuntivo di uno stile di fare scuola
con il cuore, orientato alla presa di coscienza civile e sociale, improntato al valore
dell‟accoglienza, in una società complessa e in costante cambiamento, per insegnare
a ogni alunno ad apprendere secondo il proprio ritmo e con le proprie modalità.
La Scuola per Don Milani deve incoraggiare e non scoraggiare per evitare che
diventi “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”4.
L‟attualità del suo pensiero sta proprio nell‟approccio alle questioni degli
apprendimenti e nel nesso con le disuguaglianze.
L‟esperienza di Don Milani continua ancora oggi a servire da stimolo alla riflessione
pedagogica infondendo alle nuove generazioni, il senso del rispetto dell‟altro, il
valore dell‟eguaglianza tramite il riconoscimento delle differenze e il sentimento
della responsabilità costante nei confronti del prossimo.
1
RACCOMANDAZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 18 dicembre
2006 relativa a competenze chiave per l‟apprendimento permanente
2
Ibidem.
3
L. MILANI , Lettera a una Professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1976.
4
Ibidem.
4
Introduzione
“Una Scuola per tutti e per ciascuno” fa palesemente allusione ad un importante
documento, la Carta di Lussemburgo, frutto del seminario finale del programma
comunitario Helios, del 1996. Questa Carta è la sintesi di un lungo, vasto e
impegnativo lavoro, prima mai compiuto, nei Paesi della Comunità Europea,
confrontati anche con altri Paesi europei ed extraeuropei, in materia di integrazione
educativa e scolastica.
Sulla scia di quanto affermato nella Carta di Lussemburgo, la presente Tesi intende
delineare i momenti più significativi che la Scuola e la Società stanno vivendo nel
loro lungo viaggio verso l‟Inclusione con l‟auspicio che una scuola unica, aperta a
tutti, sia veramente realizzabile.
Il capitolo primo analizza il quadro internazionale relativo alle politiche scolastiche
inclusive con particolare attenzione alla situazione italiana e alla normativa vigente
in fatto di inclusione; il capitolo secondo delinea le risorse, gli strumenti e le azioni
necessari per realizzare una scuola inclusiva; il capitolo terzo promuove la
realizzazione di una rinnovata cultura didattica con l‟intento di cambiare il modo di
fare scuola, realizzando, in un‟ottica di giustizia sociale, come vuole la nostra
Costituzione (art.3), “il pieno sviluppo della persona umana e l‟effettiva
partecipazione di tutti (…) all‟organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”.
5
CAPITOLO PRIMO: Politiche Inclusive
1.1 L’impegno internazionale
In ambito internazionale esistono molte convenzioni, dichiarazioni, asserzioni e
decisioni sulla disabilità, l‟integrazione e l‟istruzione speciale che orientano le
politiche e le strategie socioculturali ed economiche dei vari Paesi interessati a
rendere reale l‟Educazione per Tutti.
Dall‟anno 2000, Education for All (EFA) rappresenta uno degli obiettivi centrali tra
quelli individuati nell‟ambito del Millennium Development Goals e definiti nel corso
del Millennio Summit contestualmente all‟adozione della Dichiarazione del
Millennio delle Nazioni Unite. Gli ambiziosi obiettivi, da raggiungere entro il 2015,
muovono dall‟affermazione che l‟esercizio dei diritti umani fondamentali
(Dichiarazione universale dei diritti umani) richiede una revisione e una rivisitazione
di molti aspetti del sistema sociale e formativo. Education for All è in realtà un
programma che, pur avviato fin dal 1990 nell‟ambito della conferenza
sull‟educazione svoltasi a Jomtien (Thailandia), ha assunto attenzione e rilevanza
crescenti dopo il World Education Forum svoltosi a Dakar nel 2000 e in cui
l‟UNESCO ha acquisito il ruolo di organo responsabile dell‟intero programma. I temi
al centro dell‟attenzione sono quelli dell‟analfabetizzazione nei Paesi in via di
sviluppo e delle cause che la determinano, ovvero povertà, malattie, tradizioni locali
di discriminazioni, conflitti armati, catastrofi naturali, assenza di infrastrutture
adeguate. L‟istruzione per tutti, e in particolare l‟istruzione di base gratuita e
obbligatoria, è dunque ritenuta un fattore fondamentale per la lotta alla povertà e per
la crescita globale di ogni Paese e l‟affermazione dei diritti di tutti. Nell‟ambito della
48ma sessione della Conferenza internazionale sull‟educazione dell‟UNESCO,
dedicata all‟“Inclusive education: the way of the future” (Ginevra, 25 e 28 novembre
2008) è stata sottolineata l‟esigenza di precisare con maggiore rigore la dimensione
concettuale dell‟inclusione in relazione al concetto di integrazione e al costrutto
teorico dei Bisogni Educativi Speciali (BES), di cui si parlerà successivamente.
Un altro importante documento a livello internazionale è rappresentato dalle Linee
Guida per le Politiche di Integrazione nell‟Istruzione (2009) dell‟UNESCO, dove
convergono tutte le decisioni riguardanti l‟integrazione scolastica a partire dalla
Dichiarazione Universale dei Diritti umani (1948), alla Convenzione contro la
6
Discriminazione nell‟Istruzione (1960), la Convenzione sui Diritti del Fanciullo
(1989), la Convenzione sulla Protezione e Promozione della Diversità nelle
Espressioni Culturali (2005). Più di recente, la Convenzione sui Diritti delle Persone
Disabili (2006), e specificamente l‟Articolo 24, ha evidenziato l‟importanza cruciale
dell‟integrazione scolastica. Nelle Linee Guida, l‟UNESCO suggerisce che: “La
scuola inclusiva è un processo di fortificazione delle capacità del sistema di
istruzione di raggiungere tutti gli studenti. Un sistema scolastico „incluso‟ può
essere creato solamente se le scuole comuni diventano più inclusive. In altre parole,
se diventano migliori nell‟educazione di tutti i bambini della loro comunità”5.
Questo documento prosegue affermando che: “L‟integrazione è vista come un
processo di indirizzo e di risposta alla diversità delle esigenze di tutti i bambini,
giovani ed adulti attraverso l‟incremento delle possibilità di partecipazione
all‟apprendimento, alle culture e alle comunità e riducendo ed eliminando
l‟esclusione e l‟emarginazione dall‟istruzione. Promuovere l‟inclusione significa
stimolare il dibattito, incoraggiare atteggiamenti positivi e adottare strutture
scolastiche e sociali che possano affrontare le nuove richieste che oggi si presentano
alle strutture scolastiche e al governo. Ciò significa migliorare i contributi, i
processi e gli ambienti per far crescere la cultura dello studente nel suo ambiente e,
sul piano di sistema, sostenere l‟intera esperienza di apprendimento”6.
1.2 La normativa italiana
Le recenti disposizioni ministeriali in merito ai BES sono il punto di arrivo di un
lungo processo verso l‟inclusione che ha attraversato la scuola italiana negli ultimi
quarant‟anni. Il diritto allo studio è un principio garantito dall‟ art. 3
della
Costituzione Italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali
dinnanzi alla legge, senza distinzione […] di condizioni personali e sociali.”; “E‟
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che
impediscono il pieno sviluppo della persona umana […]”.
La legge 118/1971 dispose l‟inserimento degli alunni con disabilità nelle classi
normali, assicurandone il trasporto, l‟accesso agli edifici scolastici attraverso il
superamento delle barriere architettoniche e l‟assistenza degli alunni più gravi
Principio dell‟inserimento: “L‟istruzione dell‟obbligo deve avvenire nelle classi
5
6
UNESCO, Policy Guidelines on Inclusion in Education, Paris 2009, pp 7-9.
Ibidem.
7
normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi
deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere
difficoltoso l‟apprendimento.” Con la legge 517/1977 si diede avvio all‟attuazione
del principio dell‟integrazione scolastica: essa stabiliva e chiariva condizioni,
strumenti e finalità per l‟integrazione scolastica degli alunni con disabilità, mediante
l‟istituzione di interventi individualizzati, insegnanti specializzati per le attività di
sostegno, servizio sociopsicopedagogico e forme particolari di sostegno.
Fu la Legge Quadro 104/1992 per l‟assistenza, l‟integrazione sociale e i diritti delle
persone handicappate a dare un grande impulso nella direzione di un sistema
formativo più equo: obiettivo dell‟integrazione scolastica divenne “lo sviluppo delle
potenzialità della persona handicappata nell‟apprendimento, nella comunicazione,
nelle relazioni e nella socializzazione” (art.12, c.3) e venne definitivamente
affermato che “L‟esercizio del diritto all‟educazione e all‟istruzione non può essere
impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle
disabilità connesse all‟handicap” (art.12, c.4 ). Lo stesso impianto dell‟Autonomia
scolastica è stato concepito e realizzato come condizione più favorevole alla
promozione del successo formativo per tutti gli alunni. Il DPR 8 marzo 1999, n. 275
all‟art. 1 recita: «L'autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di
insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella
realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo
della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle
caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo
formativo (…)”. La legge 53 del 2003 segna il riconoscimento del diritto di tutti i
ragazzi alla personalizzazione dell‟apprendimento, visto che impone di riconoscere e
valorizzare le diversità individuali attraverso piani di studio personalizzati per i
singoli alunni, per tutti i singoli alunni, e non solo per gli alunni in situazione di
handicap, perché tutti i singoli alunni sono diversi l'uno dall'altro.
Dopo alcuni anni di note e di un sostanziale vuoto normativo arrivano la Legge 170
dell‟ 8 ottobre 2010 (Norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in
ambito scolastico) e il Decreto Ministeriale n. 5669 del 12.07.2011 Articolo 5
(Interventi didattici individualizzati e personalizzati). In questi documenti la Scuola
italiana garantisce ed esplicita finalmente, nei confronti di alunni e studenti con
DSA, interventi didattici individualizzati e personalizzati, anche attraverso la
8
redazione di un Piano Didattico Personalizzato, con l‟indicazione degli strumenti
compensativi e delle misure dispensative adottate.
1.2.1 I volti dell’Altro nella scuola di oggi: i BES
La Direttiva dello scorso 27 dicembre 2012 relativa ai Bisogni Educativi Speciali
(BES) completa il quadro italiano dell‟inclusione scolastica.
La nozione di BES, di uso comune nei paesi anglosassoni, non è univocamente
definita. Sebbene relativamente simili, a seconda degli autori, dei paesi e dei
momenti storici, le varie definizioni presentano alcune differenze.
In linea di massima e semplificando, tutte descrivono situazioni in cui la proposta
educativa scolastica quotidiana, “standard” - pur considerando una fisiologica fascia
di variabilità individuale - non consente allo studente un apprendimento e uno
sviluppo efficace, a causa delle difficoltà dovute a situazioni di varia natura.
Il concetto di BES si basa su una visione globale della persona che si accompagna
efficacemente a quella del modello ICF della classificazione internazionale del
funzionamento, disabilità e salute (International Classification of Functioning,
Disability and Health) fondata sul profilo di funzionamento e sull‟analisi del
contesto, come definito dall‟Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, 2001).
La Direttiva amplia al di là dei DSA l‟area delle problematiche prese in
considerazione quali, ad esempio, i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali,
della
coordinazione
funzionamento
motoria,
intellettivo
dell‟attenzione
limite,
e
e
introduce
dell‟iperattività,
nonché
il
svantaggio
tema
dello
il
socioeconomico, linguistico, culturale. Essa inoltre, insieme alle successive note
ministeriali, sposta definitivamente l‟attenzione dalle procedure di certificazione alla
rilevazione dei bisogni di ciascuno studente, delinea e precisa la strategia inclusiva
della scuola italiana al fine di realizzare appieno il diritto all‟apprendimento per tutti
gli alunni e gli studenti in situazione di difficoltà (C.M. del 6 marzo 2013).
Viene inoltre evidenziato il ruolo fondamentale dell‟azione didattica ed educativa, e
quindi il dovere per tutti i docenti, di realizzare la personalizzazione del processo
formativo di ogni alunno, anche attraverso l‟utilizzo, quando necessario, di misure
dispensative e strumenti compensativi, con una specifica attenzione alla distinzione
tra ordinarie difficoltà di apprendimento, gravi difficoltà e disturbi di apprendimento
(nota prot. 2563 del 22.11.2013).
9
A ben guardare, non si tratta di un concetto innovativo, dato che il riconoscimento di
situazioni di difficoltà non dovrebbe essere estraneo alla professionalità docente.
L'aspetto di novità è invece l‟approccio, riferito all'uso dell'espressione "bisogni":
esso infatti sposta la prospettiva dell‟educatore da una posizione statica/esterna
(constatare le difficoltà presentate dallo studente nel raggiungimento degli standard )
ad una posizione più dinamica/coinvolta (rispondere alle necessità della persona in
formazione). E' opportuno notare che, ancora oggi, in molti casi, sono gli studenti a
doversi adattare alle attività e proposte didattiche e ciò è giustificato dal fatto che le
varie attività e proposte sono state messe a punto e sperimentate a lungo per
rispondere proprio alle caratteristiche dello “studente tipo”, il quale, per definizione,
non presenta tratti particolari. Nel momento in cui invece uno studente vive una
condizione che gli rende difficile o impossibile rispondere adeguatamente e
produttivamente, è necessario che anche la Scuola attui degli adattamenti alla propria
proposta, in funzione del maggiore successo formativo possibile dello studente.
Non è sufficiente, quindi, preoccuparsi di definire chi sono gli studenti in situazione
di BES; importante invece è cambiare il modo di insegnare e di valutare, affinché
ogni studente in relazione alla sua condizione e alla sua manifesta difficoltà, trovi la
giusta risposta.
L‟espressione BES è utilizzata, quindi, per definire tutte le situazioni in cui gli
studenti incontrano importanti difficoltà nel percorso scolastico; tali situazioni
possono essere ricondotte, secondo la Direttiva del 27 dicembre, a tre grandi sottocategorie:
 la disabilità, certificata ai sensi dell‟art. 3, commi 1 o 3 (gravità) della Legge
104/92, che dà titolo all‟attribuzione dell‟insegnante di sostegno;
 i disturbi evolutivi specifici (secondo la Direttiva, tali disturbi se non
vengono o non possono venir certificati ai sensi della legge 104/92, non
danno diritto all‟insegnante di sostegno): i DSA (con diagnosi ai sensi
dell‟art. 3 della Legge 170/2010) e gli altri quadri diagnostici quali i deficit
del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria,
dell‟attenzione e dell‟iperattività, e il funzionamento intellettivo limite (che
viene considerato un caso di confine fra la disabilità e il disturbo specifico);
 lo svantaggio socio-economico, linguistico, culturale: la Direttiva dispone che
l‟individuazione di tali tipologie di BES deve essere assunta da Consigli di
classe sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e, in
10
particolare, secondo la Circolare n.8 del 6 marzo 2013, sulla base di elementi
oggettivi (come ad es. una segnalazione degli operatori dei servizi sociali),
ovvero di ben fondate considerazioni psicopedagogiche e didattiche.
Un importante elemento contenuto nella Direttiva è la sottolineatura della necessità
di guardarsi dal pericolo degli automatismi, essa si esprime in modo chiaro ed
inequivocabile a riguardo: non ritiene che tutti gli studenti appartenenti alle categorie
sopra elencate siano BES, ma soltanto che alcuni di loro, a causa di manifeste
difficoltà o di altre problematiche, possono rivelare tali bisogni: “In questo senso,
ogni alunno, con continuità o per determinati periodi, può manifestare Bisogni
Educativi Speciali: o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi
psicologici, sociali, rispetto ai quali è necessario che le scuole offrano adeguata e
personalizzata risposta” (Premessa della Direttiva BES del 27.12.2012).
In sostanza, si indica chiaramente che occorre partire dalla constatazione
dell'esistenza di un bisogno di attenzione didattica specifica (e quindi
dell‟innalzamento di una logica di intervento personalizzato) e non dall'appartenenza
ad una categoria che di per sé, essendo generale, non può descrivere i bisogni reali di
uno studente.
11
CAPITOLO SECONDO: Costruire una Scuola di Qualità
2.1 Strumenti operativi per promuovere l'inclusione
La Direttiva assegna al Consiglio di classe, o tutte i componenti del team docenti
della scuola primaria, il compito di deliberare un percorso individualizzato e
personalizzato (L.53/2003) per ogni alunno con BES, anche in assenza di
certificazione, dando luogo al Piano Didattico Personalizzato. Il PDP assume la
doppia funzione di strumento di lavoro in itinere per gli insegnanti e di
documentazione per le famiglie circa le strategie di intervento programmate.
In aggiunta a tutti gli strumenti compensativi e dispensativi già previsti dalla Legge
170/2010, il PDP può prevedere anche un‟opportuna calibratura della progettazione
didattica in termini di livelli minimi di apprendimento attesi in uscita e deve essere
firmato dal Dirigente scolastico (o da un docente da questi specificamente delegato),
dai docenti e dalla famiglia.
La bozza di Circolare del 20 settembre 2013, avente per oggetto “Strumenti di
intervento per alunni con BES” richiama l‟attenzione sulla distinzione tra ordinarie
difficoltà di apprendimento, difficoltà permanenti e disturbi di apprendimento. Vi si
specifica che la rilevazione di una mera difficoltà di apprendimento non dovrebbe
indurre all‟attivazione di un percorso specifico con la conseguente compilazione di
un PDP e che soltanto quando i Consigli di classe o i team docenti, eventualmente
anche sulla base di criteri generali stabiliti dal Collegio dei docenti, siano
unanimemente concordi nel valutare l‟efficacia di ulteriori strumenti - in presenza di
richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla
certificazione di disabilità o nel caso di difficoltà non meglio specificate - questo
potrà indurre all‟adozione di un piano personalizzato, con eventuali misure
compensative e/o dispensative, e quindi alla compilazione di un PDP.
Si ribadisce che tutte queste operazioni servono per offrire maggiori opportunità
formative e flessibilità dei percorsi, non certo per abbassare gli obiettivi di
apprendimento. In merito agli alunni con cittadinanza non italiana si chiarisce che
essi necessitano anzitutto di interventi didattici relativi all‟apprendimento della
lingua e solo in via eccezionale della formalizzazione tramite un PDP, soprattutto per
alunni neo arrivati in Italia, ultratredicenni, provenienti da Paesi di lingua non latina.
12
Secondo la C. M. n.8 del 6 marzo 2013, al termine di ogni anno scolastico (entro il
mese di giugno) ogni Scuola deve redigere il PAI. Lo scopo del Piano Annuale per
l‟Inclusività è quello di fornire un elemento di riflessione nella predisposizione del
POF, di cui esso è parte integrante. Il Piano è discusso e deliberato in Collegio dei
Docenti. Esso non va inteso come un ulteriore adempimento burocratico, bensì come
uno strumento che possa contribuire ad accrescere la consapevolezza dell‟intera
comunità educante sulla centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione
alla qualità dei “risultati” educativi, per creare un contesto educante dove realizzare
concretamente la scuola “per tutti e per ciascuno”.
Il Piano è finalizzato all‟auto-conoscenza e alla pianificazione, da sviluppare in un
processo responsabile e attivo di crescita e partecipazione. Non va interpretato come
un “piano formativo per gli alunni con bisogni educativi speciali”, ad integrazione
del P.O.F. Non è un “documento” per chi ha bisogni educativi speciali, ma è lo
strumento per una progettazione della propria offerta formativa in senso inclusivo.
Per riassumere nel P.O.F. delle singole Scuole occorre che trovino esplicitazione:
 un concreto impegno programmatico per l‟inclusione, basato su una attenta
lettura del grado di inclusività della scuola e su obiettivi di miglioramento, da
perseguire nel senso della trasversalità delle prassi di inclusione negli ambiti
dell‟insegnamento curricolare, della gestione delle classi, dell‟organizzazione
dei tempi e degli spazi scolastici, delle relazioni tra docenti, alunni e famiglie;
 criteri e procedure di utilizzo “funzionale” delle risorse professionali presenti,
privilegiando, rispetto a una logica meramente quantitativa di distribuzione
degli organici, una logica “qualitativa”, sulla base di un progetto di inclusione
condiviso con famiglie e servizi sociosanitari che recuperi l‟aspetto
“pedagogico” del percorso di apprendimento e l‟ambito specifico di
competenza della scuola;
 l‟impegno a partecipare ad azioni di formazione e/o di prevenzione
concordate a livello territoriale.
2.1.1 Ruoli e organismi d’istituto
La Direttiva del 27 dicembre 2012, la C.M. n.8/2013 e la Nota 2563 del 22.11.2013
non fanno menzione della presenza di una figura specifica d‟Istituto riferita ai BES.
13
Nel rispetto delle autonome scelte ciascuna Scuola si doterà delle figure di sistema,
compatibilmente con le risorse e le riflessioni di tipo organizzativo, professionale,
che ritiene più funzionali alla propria organizzazione scolastica, ma che garantiscano
in ogni caso di:
 effettuare consulenza/informazione ai docenti, al personale ATA, alle
famiglie in materia di normativa e di metodologia e didattica;
 curare il rapporto con gli Enti del territorio (Comune, ASL, Associazioni,
ecc…), CTS, CTI e UST;
 supportare i Cdc/Team per l‟individuazione di casi di alunni BES;
 raccogliere, analizzare la documentazione (certificazione diagnostica/
segnalazione)
aggiornando
il
fascicolo
personale
e
pianificare
attività/progetti/strategie ad hoc;
 partecipare ai Cdc/Team, se necessario, e fornire collaborazione/consulenza
alla stesura di PdP e PEI;
 organizzare momenti di approfondimento/formazione/aggiornamento sulla
base della necessità rilevate all‟interno dell‟istituto;
 monitorare/valutare i risultati ottenuti e condividere proposte con il Collegio
dei Docenti e Consiglio d‟Istituto;
 gestire e curare una sezione della biblioteca di istituto dedicata alle
problematiche sui BES;
 gestire il sito web della scuola in merito ai BES e collaborare con il referente
POF di Istituto.
 aggiornarsi continuamente sulle tematiche relative alle diverse “tipologie”
che afferiscono ai BES.
Il docente di sostegno, pur essendo portatore di una formazione specialistica e
ponendosi come risorsa per l‟intero istituto in materia di metodologie, suggerimenti
pratici e concreti per una didattica inclusiva, non necessariamente deve ricoprire la
funzione BES d‟Istituto, in quanto lo spirito della Direttiva tende ad allargare e
rendere partecipe tutta la comunità scolastica, e quindi i docenti curricolari, di questa
prerogativa.
Il GLHI viene sostituito dal GLI (Gruppo di Lavoro per l‟Inclusione) coordinato dal
Dirigente Scolastico, ne fanno parte tutte le risorse specifiche e di coordinamento
presenti nella scuola: funzioni strumentali, insegnanti per il sostegno, AEC, assistenti
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alla comunicazione, docenti “disciplinari” con esperienza e/o formazione specifica o
con compiti di coordinamento delle classi, genitori ed esperti istituzionali o esterni in
regime di convenzionamento con la scuola.
Il GLI svolge funzioni interne ed esterne alla scuola, relative a tutte le problematiche
riferite ai BES.
Funzioni interne:
 rilevazione dei BES presenti nella scuola;
 raccolta e documentazione degli interventi didattico-educativi posti in essere
anche in funzione di azioni di apprendimento organizzativo in rete tra scuole
e/o in rapporto con azioni strategiche dell‟Amministrazione;
 focus/confronto sui casi, consulenza e supporto ai colleghi sulle
strategie/metodologie di gestione delle classi;
 rilevazione, monitoraggio e valutazione del livello di inclusività della scuola;
 raccolta e coordinamento delle proposte formulate dai singoli GLH Operativi
sulla base delle effettive esigenze;
 elaborazione di una proposta di Piano Annuale per l‟Inclusività riferito a tutti
gli alunni con BES, da redigere al termine di ogni anno scolastico;
 elaborazione di una programmazione di inizio anno degli obiettivi da
perseguire e delle attività da porre in essere soggetta a delibera del Collegio
dei Docenti. Tale programmazione confluirà nel Piano Annuale per
l‟Inclusività; i risultati raggiunti saranno verificati dal Collegio al termine
dell‟anno scolastico.
Funzioni esterne:
 interfaccia della rete dei CTS e dei servizi sociali e sanitari territoriali per
l‟implementazione di azioni di sistema (formazione, tutoraggio, progetti di
prevenzione, monitoraggio, ecc.)
 pur nel rispetto delle autonome scelte delle scuole, si suggerisce con una
cadenza - ove possibile - almeno mensile, nei tempi e nei modi che
maggiormente si confanno alla complessità interna della scuola.
2.1.2 L’organizzazione territoriale
I CTS sono stati istituiti dagli Uffici Scolastici Regionali in accordo con il MIUR
mediante il Progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”. I Centri sono collocati presso
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scuole polo e la loro sede coincide con quella dell‟istituzione scolastica che li
accoglie. Rappresentano l‟interfaccia fra l‟Amministrazione e le scuole e tra le
scuole stesse in relazione ai BEI e svolgono le seguenti funzioni:
 informano i docenti, gli alunni, gli studenti e i loro genitori delle risorse
tecnologiche disponibili, sia gratuite sia commerciali;
 organizzano iniziative di formazione sui temi dell‟inclusione scolastica e sui
BES, nonché nell‟ambito delle tecnologie per l‟integrazione, rivolte al
personale scolastico, agli alunni o alle loro famiglie;
 valutano e propongono ai propri utenti soluzioni di software freeware a
partire da quelli realizzati mediante l‟Azione 6 del Progetto “Nuove
Tecnologie e Disabilità”;
 attraverso il contributo di un esperto, offrono consulenza nell‟ambito della
tecnologia, coadiuvando le scuole nella scelta dell‟ausilio e accompagnando
gli insegnanti nell‟acquisizione di competenze o pratiche didattiche che ne
rendano efficace l‟uso anche in relazione alle attività di studio a casa in
collaborazione con la famiglia. La consulenza si estende gradualmente a tutto
l‟ambito della disabilità e dei disturbi evolutivi specifici, non soltanto alle
tematiche connesse all‟uso delle nuove tecnologie;
 acquistano ausili adeguati alle esigenze territoriali e possono definire accordi
con le Ausilioteche e/o Centri Ausili presenti sul territorio;
 raccolgono le buone pratiche di inclusione realizzate dalle istituzioni
scolastiche e, opportunamente documentate, le condividono con le scuole del
territorio di riferimento.
I CTI, di livello distrettuale, sono affiancati dai CTS. Dovranno collegarsi o
assorbire i preesistenti Centri Territoriali per l‟integrazione Scolastica degli alunni
con disabilità, i Centri di Documentazione per l‟integrazione scolastica degli alunni
con disabilità (CDH) ed i Centri Territoriali di Risorse per l‟integrazione scolastica
degli alunni con disabilità (CTRH). Svolgono la funzione di reti territoriali per la
gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e finanziarie, l'integrazione degli
alunni con bisogni educativi speciali, la formazione permanente, la prevenzione
dell'abbandono e il contrasto dell'insuccesso scolastico e formativo e dei fenomeni di
bullismo.
16
2.2 Il profilo del docente inclusivo
Il Profilo dei Docenti Inclusivi è uno dei risultati principali del progetto “Teacher
Education for Inclusion” realizzato dall‟Agenzia Europea per lo Sviluppo
dell‟Istruzione degli Alunni Disabili.7
Il progetto triennale – cui hanno partecipato più di 55 esperti nazionali provenienti da
25 paesi europei – ha preso in esame i seguenti aspetti:
 Quale docente per una società inclusiva nella scuola del 21° secolo?
 Quali le competenze essenziali che il docente deve possedere per favorire ed
ampliare l‟integrazione scolastica e l‟inclusione degli alunni?
Il progetto ha inteso individuare quali sono le competenze essenziali, il bagaglio
formativo e culturale, i comportamenti e i valori necessari a tutti coloro che
intraprendono la professione docente, a prescindere dalla materia di insegnamento,
dalla specializzazione, dall‟età degli alunni o dal tipo di scuola in cui si andrà ad
insegnare. Sono stati individuati quattro valori fondamentali per l‟insegnamento e
l‟apprendimento come base del lavoro dei docenti in ambienti scolastici inclusivi.
Questi valori sono associati alle aree di competenza. Le aree di competenza contano
tre elementi: comportamento, conoscenza, competenza.
Un determinato comportamento o convinzione personale richiede un determinato
livello di conoscenza o comprensione e quindi di capacità di tradurre quella
conoscenza in pratica. Per ogni area di competenza si presentano i comportamenti, le
conoscenze e le competenze.
Il profilo adotta questo quadro di valori fondamentali e aree di competenza:
 Valorizzare la diversità dell’alunno – la differenza è da considerare una
risorsa e una ricchezza.
Le aree di competenza riportano a:
- Opinioni personali sull‟integrazione scolastica e sull‟inclusione;
- Opinioni personali sulla differenza che esiste nel gruppo-classe.
 Sostenere gli alunni – coltivare alte aspettative sul successo scolastico degli
alunni.
7
EUROPEAN AGENCY FOR DEVELOPMENT IN SPECIAL NEEDS EDUCATION , Teacher
Education for Inclusion (TE4I), 2011
17
Le aree di competenza riportano a:
- Promuovere l‟apprendimento disciplinare, pratico, sociale ed emotivo;
- Adottare approcci didattici efficaci per classi eterogenee.
 Lavorare con gli altri – la collaborazione e il lavoro di gruppo sono
essenziali a tutti i docenti.
Le aree di competenza riportano a:
- Saper lavorare con i genitori e le famiglie;
- Saper lavorare con più professionisti dell‟educazione.
 Sviluppo e aggiornamento professionale – insegnare è un‟attività di
apprendimento e i docenti sono responsabili del proprio l‟apprendimento per
tutto l‟arco della vita.
Le aree di competenza riportano a:
- Il docente come professionista capace di riflettere sul proprio ruolo ed il proprio
operato;
- Il percorso formativo iniziale è la base dello sviluppo professionale continuo.
2.2.1 La formazione degli insegnanti
Il progetto dell‟Agenzia Europea dedica molto spazio alla formazione iniziale dei
“nuovi insegnanti inclusivi” che ritiene un punto di partenza cruciale nella
costruzione di una Scuola Inclusiva e di Qualità.
In esso viene indicato chiaramente che i percorsi di formazione/abilitazione
all‟insegnamento dovrebbero :
 sviluppare la capacità dei nuovi insegnanti ad essere più inclusivi nella pratica
scolastica quotidiana;
 abilitare nuovi docenti capaci nelle strategie didattiche nonché esperti dei
contenuti disciplinari.
Un obiettivo della formazione iniziale dovrebbe essere quello di aiutare i futuri
docenti a sviluppare una propria personale teoria pedagogica basata sul pensiero
critico e la capacità di analisi, coerente con le conoscenze, le abilità e i valori che si
riflettono nelle competenze didattiche e professionali. I percorsi di formazione e
avviamento alla professione docente dovrebbero sviluppare nel corsista un
18
apprezzamento del ruolo che si andrà a svolgere in relazione ad una scuola concepita
come comunità di apprendimento. Le norme e i valori culturali di cui i futuri docenti
sono portatori vanno viste, nel corso della formazione iniziale, come il necessario
punto di partenza per l‟acquisizione di conoscenza ed abilità. E‟ importate che le
attività formative iniziali sviluppino la sensibilità personale stimolando una profonda
comprensione delle questioni riguardanti la diversità e la possibilità di mettere in
azione questa capacità di comprensione.
Il passaggio da una visione politica del programma scolastico come soggetto base
dell‟istruzione
a
corsi
e
didattiche
interdisciplinari
di
insegnamento
ed
apprendimento si riflette anche nei programmi dei corsi di formazione iniziale e
abilitazione all‟insegnamento proposti che dovrebbero quindi basarsi su un modello
che inserisce le prassi inclusive in tutte le aree disciplinari e in tutte le materie di
studio 8.
2.3 Orientare la scuola verso il cambiamento
L‟Inclusione è un processo che coinvolge tutta la comunità scolastica, che ne
condivide i principi e si attrezza per concretizzarli nella pratica didattica ed
educativa. Pertanto, la normativa ci chiede di valutare la qualità dei nostri processi
inclusivi e di individuare fattori di miglioramento per poter orientare la scuola verso
il cambiamento.
La rilevazione, il monitoraggio e la valutazione del grado di inclusività della scuola
sono finalizzate ad accrescere la consapevolezza dell‟intera comunità educante sulla
centralità e la trasversalità dei processi inclusivi in relazione alla qualità dei
“risultati” educativi. Da tali azioni si potranno inoltre desumere indicatori realistici
sui quali fondare piani di miglioramento organizzativo e culturale.
A tal fine possono essere adottati sia strumenti strutturati reperibili in rete (come
l‟“Index per l‟inclusione” o il progetto“Quadis”), sia concordati a livello
territoriale. Il compito è demandato alla singola istituzione scolastica, con modalità
di lavoro che possono essere ricondotte alla autoanalisi d‟istituto, cosi definibile:
un‟attività valutativa volta ad acquisire informazioni sulla natura dell‟oggetto
considerato e ad accertarne il valore e il merito attraverso modalità rigorose e
8
EUROPEAN AGENCY FOR DEVELOPMENT IN SPECIAL NEEDS EDUCATION , Teacher
Education for Inclusion (TE4I), 2011
19
formalizzate da parte di una scuola, dell‟attuale funzionamento della scuola stessa,
con lo scopo di promuovere un cambiamento delle condizioni di apprendimento utile
ad un più efficace perseguimento degli obiettivi educativi della scuola stessa.
L‟autoanalisi d‟istituto in questa accezione si differenzia da altre pratiche simili,
quali l‟analisi organizzativa, l‟autovalutazione e la riflessione interna alla scuola in
quanto:
 il suo scopo è produrre un processo di cambiamento
 il suo oggetto è l‟istituto scolastico come sottosistema organizzato dotato di
una autonomia sostanziale e inserito in un determinato contesto ambientale
 la sua modalità di lavoro è una valutazione interna fondata su un
accertamento sistematico della qualità dei processi e dei prodotti educativi
della scuola da parte degli stessi soggetti che operano in essa.
Le scuole italiane hanno sviluppato nel tempo numerosi modelli di autoanalisi, anche
in assenza di una cornice nazionale di riferimento. Attualmente si sta sperimentando
un Sistema Nazionale di Valutazione basato su un‟interazione tra autovalutazione
della singola scuola e valutazione esterna da parte di team di valutatori, per
individuare piste di miglioramento da attuare in un tempo definito, con successiva
verifica e rendicontazione sociale (DPR 28 marzo 2013, n. 80 Regolamento sul
sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione).
L‟autovalutazione è quindi considerata un momento imprescindibile del percorso
valutativo, premessa
indispensabile per la condivisione del
processo di
miglioramento e cambiamento da parte del nostro sistema scolastico.
2.3.1 La valutazione dell’inclusività
Come si situa in questo panorama l‟autovalutazione del grado di inclusività della
scuola? Prima di rispondere a tale domanda bisogna innanzitutto definire il concetto
di inclusione. Inclusione e integrazione sono due termini che vengono intesi, nel
dibattito attuale, in almeno tre modi:
1. i due termini sono sinonimi (vedi Linee Guida del 2009 sull‟integrazione degli
alunni con disabilità);
20
2. i due termini si contrappongono: l‟integrazione va superata perche non ha
raggiunto lo scopo, non servono più garanzie specifiche, ma una scuola diversa per
tutti;
3. integrazione come parte del processo di inclusione.
Nel presente lavoro i due termini vengono intesi nell‟accezione seguente:
Integrazione: insieme di politiche e metodologie atte a garantire il massimo sviluppo
possibile per alcune categorie di persone con BES, con pedagogia speciale.
Inclusione: cornice fatta di didattica e clima, una scuola che cambia per accogliere
tutti.
Mentre l‟integrazione pone l‟accento su alcuni gruppi, l‟inclusione fornisce la
cornice generale per tutti. Mentre l'integrazione è un processo innescato dalla
presenza di un alunno con disabilità, che può presentare incapacità e difficoltà
dipendenti dal suo deficit che richiedono cambiamenti ad hoc per quella situazione,
al
fine
di
permettergli
il
massimo
delle
possibilità
di
partecipazione
all‟apprendimento, l'inclusione è un processo intenzionale che parte dalla scuola,
volto a rendere accessibile a tutti la partecipazione all‟apprendimento, anche a coloro
che hanno temporaneamente o stabilmente difficoltà; tale processo può essere
avviato indipendentemente dalla presenza di un alunno con disabilità.
I modelli a disposizione per valutare la Scuola sono molti, fra gli altri:
 Caf – Common Assesment Framework
 Modello rete europea delle Scuole che Promuovono Salute
 Index per l‟inclusione
 Quadis, Kit per l‟autoanalisi e l‟autovalutazione d‟istituto sull‟integrazione
In questo contesto mi soffermerò a parlare dell‟Index per l’inclusione9, uno degli
strumenti che la Circolare Ministeriale n.8/2013 indica ai fini della rilevazione, del
monitoraggio e della valutazione del grado di inclusività della scuola.
Nasce in Inghilterra in un sistema misto, in cui sono presenti scuole normali e scuole
speciali; a partire dal Rapporto Warnok del 1978 (Prima definizione di Bisogni
Educativi Speciali, SEN, Special Educational Needs), ha la finalità di sostenere le
scuole che vogliono essere inclusive, accogliendo sia gli alunni con disabilita che
9
T. BOOTH e M. AINSCOW, Index for Inclusion, 2002 CSIE, Traduzione italiana Erickson, Trento
2008.
21
quelli con altri bisogni. L‟Index viene pubblicato nel 2000 dal Centre for Studies on
Inclusive Education (tradotto da Ianes e Dovigo per Erickson nel 2008).
È uno strumento per l‟autovalutazione e l‟automiglioramento, rivolto alle istituzioni
scolastiche che hanno come obiettivo la trasformazione della loro cultura e delle loro
pratiche per arrivare a essere delle Scuole Inclusive.
L‟autoanalisi di istituto è correlata alla produzione di un progetto per migliorare
l‟inclusività attraverso il superamento degli ostacoli all‟apprendimento e alla
partecipazione di ogni alunno.
L‟attenzione viene posta:
 su tutti gli alunni della scuola, non si limita agli alunni disabili o agli alunni
con bisogni educativi speciali, ma prende in carico l‟insieme delle differenze
 ai valori e alle condizioni dell‟insegnamento e dell‟apprendimento
Richiede la presenza di un “amico critico” che aiuta la scuola nelle varie fasi e
fornisce un feedback esterno. Secondo questo modello la vita della scuola viene
analizzata secondo 3 dimensioni: culture, politiche, pratiche.
Le culture si riferiscono all‟orizzonte dei valori, delle convinzioni, delle abitudini:
mutare le culture in senso inclusivo è il presupposto per il cambiamento virtuoso; le
politiche riguardano la gestione della scuola e del suo cambiamento; le pratiche
concernono le attività di insegnamento e apprendimento, lo sviluppo e la
valorizzazione delle risorse.
Ogni dimensione contiene due sezioni; a sua volta ogni sezione è declinata in diversi
indicatori (44 in totale) che rappresentano il livello direttamente osservabile e
misurabile di un determinato aspetto sulla base di dati e situazioni precise.
Ad ogni indicatore corrispondono una serie di domande che esplorano nel dettaglio
la realtà della scuola. L‟analisi della scuola viene effettuata tramite questionari con
domande chiuse e aperte. I questionari, basati sugli indicatori, sono rivolti al
personale scolastico, alle famiglie, agli alunni I questionari possono essere modificati
per adattarsi al contesto. La valutazione degli esiti è condotta dal gruppo di lavoro
della scuola (DS e docenti) con il supporto “dell‟amico critico”. I tempi per l‟intero
processo di autovalutazione e miglioramento sono di due o tre anni.
L‟autoanalisi dà alla scuola oggetti di miglioramento chiaramente definiti, su cui
basare il PAI per l‟anno successivo.
22
CAPITOLO TERZO: Didattica e Inclusione
3.1 La scuola dell’educazione inclusiva
“Una scuola che „include‟ è una scuola che „pensa‟ e che „progetta‟ tenendo a
mente proprio tutti. Una scuola che, come dice Canevaro, non si deve muovere
sempre nella condizione di emergenza, in risposta cioè al bisogno di un alunno con
delle specificità che si differenziano da quelle della maggioranza degli alunni
„normali‟ della scuola. Una scuola inclusiva è una scuola che si deve muovere sul
binario del miglioramento organizzativo perché nessun alunno sia sentito come non
appartenente, non pensato e quindi non accolto”10.
L‟educazione inclusiva, come definita nello Statuto di Salamanca, promuove “il
riconoscimento del bisogno di lavorare verso una scuola adatta a tutti che celebri le
diversità, supporti l‟apprendimento e risponda ai bisogni individuali”11.
I sistemi di educazione inclusiva sono quei sistemi che affondano le radici in una
pedagogia centrata sul bambino in grado dunque di istruire con successo tutti i
bambini inclusi quelli che hanno seri svantaggi e disabilità. Il merito di queste scuole
non consiste unicamente nella loro capacità di provvedere ad un‟educazione di
qualità per tutti bambini, ma la loro struttura è cruciale nel processo di cambiamento
delle attitudini discriminatorie, nel creare delle comunità aperte e nello sviluppo di
società inclusive.
L‟UNESCO definisce l‟educazione inclusiva come “un processo che indirizza e
risponde a una varietà di bisogni di tutti gli studenti tramite l‟aumento di
partecipazione nell‟apprendimento, nella cultura, nella comunità, una riduzione
dell‟esclusione all‟interno e da parte dell‟educazione. Comprende inoltre
cambiamenti e modifiche a livello di contenuto, di approccio, struttura e strategia,
tramite una visione comune che considera tutti i bambini di età appropriata e una
convinzione che sia responsabilità dello Stato di educatore tutti i suoi bambini.”12
Ponendo la persona al centro - quale portatrice di diritti - l‟educazione inclusiva
comporta dunque dei benefici a tutti gli studenti, con o senza disabilità o bisogni
10
P.SANDRI, Scuola di qualità e inclusione. Master “Didattica e Psicopedagogia per i Disturbi
Specifici di Apprendimento” Facoltà di Scienze della Formazione- Università di Bologna
11
UNICEF, The right of children with disabilities: a rights-based approach to inclusive education,
2012
12
Ibidem
23
speciali, li prepara a vivere e a lavorare in una società pluralistica promuovendo una
maggiore coesione sociale. Investire nell‟inclusione significa contribuire a garantire
un futuro da cittadini attivi e responsabili a tutti i bambini, soprattutto quelli più
vulnerabili perché la possibilità di fruire di una buona educazione è una condizione
indispensabile per una piena inclusione sociale ed economica, soprattutto dei più
svantaggiati. L‟inclusione può essere compresa non solamente come uno strumento
per porre fine alle discriminazioni, ma piuttosto come un impegno verso la creazione
di scuole che rispettino e valorizzino la diversità e che mirino alla promozione della
democrazia e di un set di valori fondati sull‟uguaglianza e sulla giustizia sociale
affinché tutti bambini partecipino al proprio apprendimento.
Promuovendo l‟inclusione a scuola contribuiamo non soltanto a ridurre le
disuguaglianze sociali, ma anche a sviluppare una cultura di tolleranza e accoglienza
nei bambini e nel personale scolastico, in grado di estendersi all‟intera comunità.
Un approccio inclusivo promuove un equo accesso alle opportunità d‟istruzione e
favorisce la qualità dell‟insegnamento, a beneficio di tutti i bambini, non solo dei più
svantaggiati. In questo modo il sistema d‟istruzione può assicurarsi che nessun
bambino sia lasciato indietro e che tutti realizzino il loro diritto all‟istruzione,
raggiungendo il loro massimo potenziale in termini di capacità cognitive, emozionali
e creative. Un approccio inclusivo promuovere l‟apprendimento attivo e cooperativo,
la pianificazione didattica individualizzata e l‟uso di materiali appropriati.
Tutto ciò comporta una ristrutturazione della scuola sotto molti aspetti: la scuola
inclusiva deve prevedere un‟organizzazione flessibile, una differenziazione della
didattica, un ampliamento dell‟offerta formativa nonché un innalzamento della
qualità di quest‟ultima, creando reti tra scuole oltre che una rete di collaborazione e
corresponsabilità tra scuola, famiglia e territorio. Il ruolo della famiglia è
fondamentale nel supportare il lavoro delle insegnanti e nel partecipare alle decisioni
che riguardano l‟organizzazione delle attività educative. Inoltre rappresenta un punto
di riferimento essenziale per una corretta inclusione scolastica dell‟alunno sia perché
fonte d‟informazioni preziose sia perché luogo in cui avviene la continuità tra
educazione genitoriale e scolastica. I genitori devono sentirsi parte anche loro della
Scuola e partecipi della sua vita, devono anche loro stessi “includere” attraverso
l‟educazione dei propri figli, in collaborazione con le insegnanti.
È una scuola dove oltre all‟apprendimento cooperativo esiste anche l‟insegnamento
cooperativo: nella scuola inclusiva tutte le insegnanti collaborano e programmano in
24
maniera congiunta verso la stessa direzione; hanno a disposizione spazi e momenti
adeguati per condividere materiali, risorse ed esperienze.
In conclusione, l‟educazione inclusiva non rappresenta una questione marginale ma
anzi è centrale per il raggiungimento di un‟educazione di alta qualità per tutti gli
studenti e per lo sviluppo di società più giuste. L‟educazione inclusiva è essenziale
per raggiungere l‟equità sociale13.
3.1.1 Il percorso individualizzato e personalizzato
Nella C.M. n.8 del 6 marzo 2013, si legge che “gli studenti in difficoltà hanno diritto
alla personalizzazione degli apprendimenti” così come previsto dalla legge 53/2003.
Il docente, pertanto, nella progettazione dell‟azione educativa, deve partire da una
lettura pedagogica della norma, con particolare riferimento a:
 L.53/2003 art.1 … favorire la crescita e la valorizzazione della persona
umana, nel rispetto dei ritmi dell‟età evolutiva, delle differenze e dell‟identità
di ciascuno e delle scelte della famiglia
 L.53/2003 art.2… promuovere l‟apprendimento in tutto l‟arco della vita e
assicurare a tutti pari opportunità … di sviluppare le capacità e le
competenze, attraverso le conoscenze e le abilità …in coerenza con le
attitudini e le scelte personali
La prospettiva della personalizzazione, che evidenzia l‟unicità di ogni studente, con
le sue peculiari caratteristiche d‟apprendimento non standardizzabili e il suo diritto
ad essere accompagnato alla piena realizzazione di se stesso, è dunque principio di
riferimento fondamentale per tutta l‟azione didattica, al di là delle specifiche
situazioni di difficoltà. Quest‟ultime, tuttavia, richiedono un innalzamento
dell‟attenzione che si concretizza con l‟attuazione di diverse strategie che aiutino il
singolo alunno a raggiungere gli obiettivi ritenuti indispensabili per tutti, attraverso
la definizione di tempi e modi in sintonia con le sue capacità e problematicità, a
aggiungere i massimi risultati possibili nelle diverse aree, ed infine ad esprimere al
meglio le proprie potenzialità nell‟ottica della costruzione di un proprio progetto di
vita. E‟ importante riprendere a questo proposito quando scritto nelle “Linee guida
per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di
13
COALIZIONE ITALIANA DELLA CAMPAGNA GLOBALE PER L‟EDUCAZIONE, Che
nessuno resti indietro!, Roma 2014
25
apprendimento” del luglio 2011, che, al fine di promuovere l‟apprendimento di
ciascuno, distingue e congiuntamente pone in stretta connessione la didattica
individualizzata e quella personalizzata:
 La didattica individualizzata consiste nelle attività di recupero individuale
che può svolgere l‟alunno per potenziare determinate abilità o per acquisire
specifiche competenze, anche nell‟ambito delle strategie compensative e del
metodo di studio; tali attività individualizzate possono essere realizzate nelle
fasi di lavoro individuale in classe o in momenti ad esse dedicati, secondo
tutte le forme di flessibilità del lavoro scolastico consentite dalla normativa
vigente.
 La didattica personalizzata, invece, anche sulla base di quanto indicato nella
Legge 53/2003 e nel Decreto legislativo 59/2004, calibra l‟offerta didattica, e
le modalità relazionali, sulla specificità ed unicità a livello personale dei
bisogni educativi che caratterizzano gli alunni della classe, considerando le
differenze individuali soprattutto sotto il profilo qualitativo; si può favorire,
così, l‟accrescimento dei punti di forza di ciascun alunno, lo sviluppo
consapevole delle sue „preferenze‟ e del suo talento. Nel rispetto degli
obiettivi generali e specifici di apprendimento, la didattica personalizzata si
sostanzia attraverso l‟impiego di una varietà di metodologie e strategie
didattiche, tali da promuovere le potenzialità e il successo formativo in ogni
alunno: l‟uso dei mediatori didattici (schemi, mappe concettuali, etc.),
l‟attenzione agli stili di apprendimento, la calibrazione degli interventi sulla
base dei livelli raggiunti, nell‟ottica di promuovere un apprendimento
significativo”.
3.1.2 Le misure dispensative e gli strumenti compensativi
La legge 170/2010 art.5 lettera b richiama le Istituzioni scolastiche all‟obbligo di
garantire “l‟introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di
apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative
da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere.”
La Direttiva e la Circolare sui BES precisano che: “le scuole - con determinazioni
assunte dai consigli di classe, risultanti dall‟esame della documentazione clinica
26
presentata dalle famiglie e sulla base di considerazioni di carattere psicopedagogico e didattico - possono avvalersi per tutti gli alunni con bisogni educativi
speciali degli strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalla
disposizioni attuative della L.170/2010 (DM 5669/2011)…”.
Alla luce delle disposizione sopra richiamate è il Cdc/team docenti deputato a
determinare gli strumenti compensativi più efficaci per l‟apprendimento dell‟alunno.
E‟ bene che l‟uso degli strumenti compensativi, previsti dalla norma, sia concordato
con la famiglia e/o con l‟alunno. Nel caso di studente maggiorenne tale azione è
fondamentale perché finalizzata a responsabilizzarlo e a renderlo protagonista del
suo apprendimento. In particolare gli strumenti compensativi consentono all‟alunno
di controbilanciare le carenze funzionali determinate dal disturbo permettendogli di
svolgere la parte “automatica” della consegna, concentrando l‟attenzione sui compiti
cognitivi più complessi. Non incidono sul contenuto, ma possono avere importanti
ripercussioni sulla velocità e/o sulla correttezza dell‟esecuzione della prestazione
richiesta dall‟insegnante. A titolo esemplificativo si citano: la tavola pitagorica, la
tabella delle misure e delle formule, la calcolatrice, il PC, i dizionari di lingua
straniera computerizzati, tabelle, traduttori ecc…
Le misure dispensative invece evitano allo studente di cimentarsi in forme di attività
che sono destinate al sicuro fallimento, indipendentemente dall‟impegno del
soggetto, in quanto minate dal disturbo. A titolo esemplificativo si citano: tempi più
lunghi per le prove scritte e lo studio, mediante una adeguata organizzazione degli
spazi ed un flessibile raccordo tra gli insegnanti; organizzazione di interrogazioni
programmate, assegnazione di compiti a casa in misura ridotta.
In particolare per gli alunni che sperimentano difficoltà derivanti dalla non
conoscenza della lingua italiana è possibile adottare misure dispensative come ad
esempio:
 la dispensa dalla lettura ad alta voce;
 la dispensa da attività ove la lettura è valutata;
 la dispensa dalla scrittura veloce sotto dettatura, ecc.
E‟ bene sottolineare che in ogni caso, non si potrà accedere alla dispensa dalle prove
scritte di lingua straniera se non in presenza di uno specifico disturbo clinicamente
diagnosticato, secondo quanto previsto dall‟art. 6 del DM n. 5669 del 12 luglio 2011.
27
Giova inoltre ricordare che il docente, proprio perché esperto nella metodologia
didattica, sia generale sia afferente la specifica materia di insegnamento, deve prima
di tutto prevedere nel PDP l‟utilizzo di metodologie didattiche individualizzate e
personalizzate e, solo in seconda istanza, di eventuali compensazioni e di possibili
dispense. In sede di esame di Stato per questi alunni non sono attualmente previste
modalità differenziate di verifica degli apprendimenti, anche se ciò potrebbe essere
auspicabile. L‟uso temporaneo di dispense, di compensazioni e di flessibilità
didattica è utile al fine di porre l‟alunno e lo studente nelle condizioni di sostenere, al
termine del percorso di studi, l‟esame di licenza e l‟esame di Stato con le stesse
modalità e i medesimi tempi degli studenti che non vivono situazioni di BES.
L‟uso di strumenti compensativi e, solo se necessarie, di misure dispensative non
deve generare alcuna dipendenza da parte dell‟allievo, aggravando la sua peculiare
difficoltà. L‟uso di tali dispositivi deve anzi metterlo nella condizione di superare
eventuali ritardi e/o problematicità e/o complicanze afferenti l‟apprendimento.
3.2 Strategie didattiche inclusive
Come già detto, l‟Educazione Inclusiva comporta la trasformazione della Scuola per
poter incontrare e rispondere alle esigenze di tutti. Essa è un costante processo di
miglioramento, volto a sfruttare le risorse esistenti, specialmente le risorse umane per
sostenere la partecipazione all‟istruzione di tutti gli studenti all‟interno di una
comunità. Questo modello ha come scopo l‟adattamento della scuola alle esigenze di
apprendimento dei bambini e non solo l‟adattamento dei bambini alla scuola.
Insegnare ad alunni con tipologie diverse di difficoltà è un aspetto del saper
insegnare. Ciò di cui la Scuola ha bisogno sono delle buone prassi didattiche, dei
mezzi adatti alle capacità di ciascuno. Quindi occorre che gli insegnanti conoscano
molti strumenti didattici, molti metodi, molti modi di lavorare e di organizzare la
classe. Occorre che essi conoscano i processi attraverso cui di volta in volta
trasformare, modificare, curvare tali strumenti per renderli adatti ai bisogni di tutti e
di ciascuno.
Le principali linee d‟azione attraverso cui costruire una didattica realmente inclusiva,
possono essere, secondo M. Tarabusi14, le seguenti:
14
M. TARABUSI, I piani di inclusione BES. I piani personalizzati e il piano annuale, Casa Editrice
Spaggiari, Parma 2013.
28
 Sviluppare un clima positivo nella classe
 Costruire percorsi di studio partecipati
 Partire dalle conoscenze e dalle abilità pregresse degli studenti
 Contestualizzare l‟apprendimento, favorire la ricerca e la scoperta
 Attivare interventi didattici personalizzati nei confronti della diversità
 Realizzare attività didattiche basate sulla cooperazione
 Potenziare le attività di laboratorio
 Sviluppare negli studenti competenze metacognitive
Pertanto, le metodologie e le strategie didattiche di una Scuola Inclusiva devono
essere volte a:
 ridurre al minimo i modi tradizionali “di fare scuola” (lezione frontale,
completamento di schede che richiedono ripetizione di nozioni o applicazioni
di regole memorizzate, successione di spiegazione-studio interrogazioni …)
 sfruttare i punti di forza di ciascun alunno, adattando i compiti agli stili di
apprendimento degli studenti
 minimizzare i punti di debolezza (errori ortografici, deficit nella memoria di
lavoro, lentezza esecutiva, facile affaticabilità, mancata autonomia nella
lettura….)
 facilitare l‟apprendimento attraverso il canale visivo (avvalendosi di
organizzatori grafici, come schemi, mappe, immagini, filmati) e il canale
uditivo (audiolibri, registrazioni, sintesi vocale o lettore umano, libri di testo
digitali)
 far leva sulla motivazione ad apprendere
 favorire un dialogo in tutte le attività con i compagni della classe
 sviluppare l‟ autostima e la fiducia nelle proprie capacità
Ipotesi per una lezione efficace:
 iniziare l‟attività con una sintesi della lezione precedente, coinvolgendo tutti
con domande flash (“warm up”)
 avvalersi del “brainstorming” visivo e grafico per “orientarsi” nelle
informazioni (creando “Mappa della lezione” da seguire durante le attività)
 variare azioni e contenuti, sollecitando diverse abilità, affinché ciascuno
possa trovare il suo spazio e favorire la motivazione
29
 ogni tanto interrompere e fare sintesi dei contenuti
 riprendere e ripetere in modi diversi i concetti più importanti (controllare
spesso se gli alunni seguono … se è chiaro il percorso)
 prediligere strategie di apprendimento cooperativo, come il cooperative
learning o il lavoro a coppie, in cui le capacità cognitive dell‟alunno con BES
possano esprimersi nell‟interazione con i compagni, incaricati di fungere da
mediatori per le strumentalità di base
 fornire materiale registrato per riascoltare la lezione
Per concludere possiamo affermare che le metodologie didattiche più appropriate per
il potenziamento degli apprendimenti negli alunni con BES e non solo, sembrano
essere le seguenti:
 Cooperative Learning (Sviluppa forme di cooperazione e di rispetto reciproco
fra gli allievi e veicola le conoscenze/abilità/competenze)
 Peer-Tutoring (Apprendimento fra pari: lavori a coppie)
 Problem Solving (Favorisce la centralità del bambino/ragazzo e realizza la
sintesi fra sapere e fare, sperimentando in situazione )
 Didattica multisensoriale ( Uso costante e simultaneo di più canali percettivi visivo, uditivo, tattile, cinestesico- incrementa l‟apprendimento)
 Tecnologie didattiche ( Uso di computer, notebook, tablet, LIM, software
specifici)
Nei paragrafi seguenti mi soffermerò ad analizzare alcune delle suddette strategie
didattiche ed a promuovere un “modo nuovo di fare scuola” che racchiude un po‟
tutte le metodologie già citate che risponde al nome di “Flipped Classroom”.
3.2.1 La peer education
L'idea base dell''aiuto reciproco è molto semplice: un alunno insegna a un
compagno. “C'è poi un corollario, secondo Mazzeo, che può essere difficile da
accettare per molti insegnanti: spesso capita che le capacità di un alunno di
insegnare a un compagno siano più elevate di quelle dell'insegnante stesso, o, se
preferiamo, che i risultati conseguiti siano migliori. Questo non avviene a causa
30
della maggiore competenza disciplinare del ragazzo rispetto all'adulto, ma perché la
comunicazione che si instaura tra due coetanei è spesso qualitativamente migliore di
quella che si riesce a instaurare tra adulto e bambino”15.
Le prime sperimentazioni di insegnamento reciproco risalgono all'Inghilterra
industriale di fine Ottocento e, in particolare, a due ricercatori, Lancaster e Bell, che
volevano risolvere il problema del sovraffollamento delle classi popolari e della
scarsità di insegnanti professionisti.
In Italia Don Milani utilizzò moltissimo l'aiuto reciproco nella sua scuola di
Barbiana, intuendo in maniera molto lucida come a imparare fossero contemporaneamente sia il docente che l'alunno. I risultati conseguiti, non ultimo la
pubblicazione del libro, Lettera ad una professoressa, sono stati a dir poco
eccezionali, se si tiene presente che la maggior parte dei ragazzi di Barbiana erano
stati respinti dalla scuola ufficiale perché non adatti allo studio.
Sempre secondo Mazzeo, nei confronti degli alunni, l'aiuto reciproco agisce
contemporaneamente su due piani differenti16:
 Il livello cognitivo e disciplinare di tutti i bambini coinvolti.
Chi apprende infatti può migliorare le proprie conoscenze e le proprie
strategie di studio e di risoluzione dei problemi, soprattutto grazie
all'identificazione con il tutor e al modellamento su di esso. Anche chi
insegna ha modo di rinforzare le proprie conoscenze, dovendole ripercorrere
e illustrare a un'altra persona. Tutto questo aiuta l'alunno tutor a migliorare le
proprie strategie di apprendimento.
 Il livello dell'autostima.
Entrambi i soggetti coinvolti traggono vantaggio da questa attività. L'alunno
più grande si trova valorizzato e responsabilizzato dal proprio ruolo di tutor
riconosciuto come persona abile dalla figura dell'insegnante. Tenderà così a
sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti della struttura scolastica e
dell'apprendimento più in generale. Se l'alunno più grande viene selezionato
tra quelli che, nella propria classe, si trovano spesso in difficoltà (la
differenza di età consente di operare questa scelta), i risultati in termini di
aumento dell'autostima possono essere davvero notevoli. Anche l'autostima di
15
M. MAZZEO, L' organizzazione efficace dell'apprendimento. Personalizzazione e metodo di studio,
Erickson, Trento 2005.
16
Ibidem.
31
chi apprende migliora; il fatto di dover lavorare con un altro alunno più
grande della scuola, in una situazione protetta, fa sentire maggiormente a
proprio agio anche l'alunno discente.
Un altro livello di azione di questa attività è costituita dalla diversa funzione svolta
dall'istituzione scolastica e dal ruolo assunto dagli adulti. A livello istituzionale, si
assiste a un'effettiva riorganizzazione degli spazi, a un cambio di ruoli che altrimenti
vengono vissuti in modo rigido, a una reale apertura delle classi.
Applicando l'aiuto reciproco l'insegnante impara a rivedere il proprio ruolo di unico
dispensatore di conoscenze, potendo «mettersi da parte» per lasciare un effettivo
spazio di azione agli alunni. La miglior posizione per l'insegnante che assiste è porsi
in fondo alla stanza, dietro agli studenti (in modo tale da non essere guardato
continuamente). Le prime volte sarà difficile per l'insegnante restare in silenzio
rinunciando al ruolo cui è abituato. Non dobbiamo preoccuparci di momenti di
silenzio, di qualche piccolo errore o se qualche sezione dell'esercizio da svolgere
viene saltata. È importante ricordarsi che l'obiettivo principale di questa attività non è
soltanto quello di terminare l'esercizio per bene, ma anche quello di rinforzare
l'autostima delle due persone che vi prendono parte. Ogni intervento dell'adulto
rischia di compromettere il raggiungimento di questa finalità.
3.2.2 La LIM
Secondo Ianes, l‟uso della Lavagna Interattiva Multimediale, forse più di quello di
altre tecnologie, è un approccio in grado di facilitare processi positivi di tipo
inclusivo. La LIM, infatti, rispetto ad altri strumenti o ausili, ha un carattere
universale, si rivolge cioè già a tutti gli alunni, non soltanto a quelli con qualche tipo
di difficoltà. È già intrinsecamente inclusiva17.
Infatti essa permette di:
 valorizzare le differenze
 facilitare la comunicazione, cooperazione e appartenenza al gruppo
 potenziare i processi di insegnamento-apprendimento
 realizzare la “speciale normalità”
 facilitare la circolazione di buone prassi
17
D. IANES, Didattica inclusiva con la LIM, Erickson, Trento 2009, pp 9-11.
32
Uno degli aspetti costitutivi di una scuola inclusiva è senz‟altro il riconoscimento e
l‟uso valorizzato delle differenze individuali. I docenti che vogliono costruire una
didattica inclusiva si trovano di fronte ai due grandi compiti complementari del
conoscerle e del valorizzarle. Secondo Ianes, la LIM ci può aiutare in questo compito
in quanto con essa, un alunno o un insegnante rende pubblico e visibile il suo modo
di operare e di pensare (visivo o verbale, globale o analitico, ad esempio), lo rende
discutibile con gli altri compagni e confrontabile apertamente. Si possono vedere in
diretta i processi di analisi, di elaborazione e di sviluppo di output di un alunno che
riassume un testo, che risolve un problema, che progetta qualcosa. Inoltre grazie alla
LIM un‟attività può essere infatti presentata e condotta dagli alunni in mille modi
diversi e questo permette dunque l‟espressione e la valorizzazione delle differenze
individuali.
Un altro punto di forza della LIM è quello di aiutare a sviluppare le competenze
comunicative, di cooperazione e di appartenenza-partecipazione al gruppo: se infatti
gli alunni lavorano sempre di più in modo cooperativo, valorizzando a vicenda i
diversi modi di operare, molto probabilmente approfondiranno positivamente la
conoscenza reciproca, abituandosi sempre di più all‟idea di essere, alla fine, una
grande squadra in cui ognuno ha un posto importante. E anche in questo sta
l‟inclusione: un gruppo inclusivo è un gruppo in cui si comunica bene, si coopera e
in cui ci si sente accolti e ci si sente di far parte. Scoprire pian piano le capacità e le
caratteristiche dell‟altro, fare insieme, vivere insieme gli stati d‟animo importanti
(l‟ansia, la tristezza, la gioia del successo) creano quella familiarità che contribuisce
ad abbattere le barriere e ad avvicinare le persone. In questo modo il gruppo classe
diventa un gruppo sempre più resiliente, in grado di superare, migliorandosi, i vari
stress delle differenze, delle difficoltà e delle emozioni negative.18
Una classe inclusiva è un ambiente che non solo non pone barriere all‟apprendimento
di alcun alunno, ma che lo facilita attivamente, fornendogli le condizioni idonee allo
sviluppo del suo massimo potenziale. Dunque le dinamiche di insegnamentoapprendimento e le condizioni adatte a sviluppare al meglio le competenze vanno
ancora più potenziate in una classe inclusiva, perché devono essere efficaci per tutti
gli alunni. Il vantaggio più grande nell‟uso della LIM è sicuramente la sua
18
D. IANES, Didattica inclusiva con la LIM, Erickson, Trento 2009, pp 11-17.
33
straordinaria multimedialità che potenzia, in alcuni casi enormemente, i processi di
apprendimento.
Filmati,
documenti
audio,
immagini,
ecc.
arricchiscono
indubbiamente l‟input e stimolano i processi attentivi, facilitando anche i processi di
percezione sia visivi (facilitazioni date dalle dimensioni o dai colori dei materiali
scritti alla lavagna) che uditivi (aggiunta di input audio, musiche).
L‟archiviabilità e la facile recuperabilità dei materiali aiutano molto anche la
riflessione metacognitiva, il comprendere come e perché si sia arrivati a quel
risultato, attraverso quali processi, quali operazioni intermedie, quali decisioni, ecc.
In questo modo si rendono più trasparenti i processi, li si può valutare e correggere
per le attività successive. Nell‟elaborare una metodologia didattica globale con la
LIM, è utile dunque tener conto di questa sua grande potenzialità metacognitiva.
Un altro punto di forza della LIM è quello di permettere la realizzazione di ciò che
Ianes chiama “la speciale normalità”. Nei materiali usati con la LIM si possono
introdurre molti elementi di arricchimento e modificazione che provengono da
tecniche speciali di lavoro, anche abilitativo, ma che, diluiti e inclusi a vari livelli nei
materiali, li rendono più efficaci per tutti. Si pensi, ad esempio, alle immagini usate
nelle modalità di comunicazione aumentativa alternativa, studiate per alunni con
gravi deficit di comunicazione, che vengono usate alla lavagna come linguaggio
comune per scambiare alcune informazioni oppure ai software di sintesi vocale che
trasformano un file di testo in un file audio, originariamente confinati sui soggetti
con dislessia o difficoltà sensoriali, che con la LIM possono arricchire per tutti gli
alunni le fasi di lettura e comprensione di un testo scritto.
Una scuola inclusiva è una comunità di buone pratiche: all‟inclusione servono molte
idee, molto materiale, molte soluzioni didattiche, organizzative, progettuali, molte
buone prassi. Tipicamente, la scuola italiana non brilla per capacità di documentare
e tesaurizzare il proprio immenso patrimonio di realizzazioni che hanno funzionato,
né per la disponibilità/capacità di scambiarlo tra pari. La LIM può aiutare in questo,
stimolando la facilità di costruire, rendere disponibile e scambiare grandi quantità di
memoria didattica. Ianes conclude le sue riflessioni dicendo che anche se la LIM è un
ottimo mezzo per migliorare in modo significativo la qualità dei processi di
inclusione, è comunque necessario che essa venga utilizzata da insegnanti
competenti: «Nessun vento è buono per il marinaio che non sa dove andare»
(Seneca).
34
3.2.3 Prospettive per il futuro: la Flipped Classroom
In questo paragrafo intendo soffermarmi su quella che potrebbe essere la soluzione
metodologica più adatta per affrontare le problematiche didattiche relative ai BES:
vale a dire la Flipped Classroom.
La flipped classroom è un sistema che, attraverso l‟uso delle tecnologie didattiche,
inverte il tradizionale schema di insegnamento/apprendimento ed il conseguente
rapporto docente/discente. I materiali didattici vengono caricati all‟interno
dell‟ambiente virtuale per del “gruppo classe” in forme e linguaggi digitali anche
molto differenziati. Per approfondire un contenuto o un tema non si utilizzano più
solo testi scritti ma anche, audio, video, simulazioni e materiali disponibili su
Internet. Questi materiali possono essere approfonditi dagli studenti da soli o in
gruppo “fuori dalla classe” a casa, in biblioteca o in altri luoghi di aggregazione
informale. Mentre in classe con l‟insegnante i contenuti “appresi” attraverso la
tecnologia diventano oggetto di
attività cooperative mirare a “mettere in
movimento” le conoscenze acquisite. La classe non è più il luogo di trasmissione
delle nozioni ma lo spazio di lavoro e discussione dove si impara ad utilizzarle
nel confronto con i pari e con l’insegnante. Il docente, infatti, una volta scelto un
tema da approfondire, e caricato il materiale relativo sulla una piattaforma di
elearning, indica allo studente quali temi e contenuti studiare o approfondire nei
giorni precedenti l‟attività in classe dedicata a quel tema. In questo modo si realizza
l‟
“inversione”
del setting
tradizionale
e
si
può
parlare
di flipped
classroom appunto.
Questa metodologia didattica ha origine nel mondo anglosassone – da sempre più
attento alla didattica laboratoriale e “per esperienza” - e si è diffuso, in particolare
negli Stati Uniti, dove già da anni le classi sono infrastrutturate digitalmente e si
utilizzano sistemi di elarning basati su sistemi di classi virtuali.
La dinamica del processo didattico si svolge nel modo seguente. Gli insegnanti
predispongono i materiali di approfondimento all‟interno del Virtual Learning
Environmet (Ambiente virtuale di appredimento) adottato dall‟Istituto scolastico. Gli
studenti approfondiscono prima della lezione, a casa, il tema proposto. In modo
liberare il tempo della vecchia lezione frontale trasmissiva e lasciare spazio per
realizzare per realizzare una serie di esperienze di apprendimento attivo che si
35
svolgono generalmente in piccolo gruppo. Questa idea della classe “capovolta” (da to
flip, capovolgere), oltre che negli USA sta acquistando sempre maggiore popolarità e
credibilità anche negli ambienti educativi europei in particolare nel Nord Europa.
Concretamente si può dire che la classe diventa, il luogo in cui lavorare secondo il
metodo del problem solving cooperativo a trovare soluzione a problemi, discutere, e
realizzare con l‟aiuto dell‟ “insegnante coach” attività di tipo laboratoriale ed
“esperimenti didattici” (reali o virtuali) di attivazione delle conoscenze. Non si tratta
di un innovazione radicale dal punto di vista metodologico, ma di una applicazione
abilitata dalle tecnologie, dell‟apprendere attraverso il fare (learning by doing).
In questo modo, inoltre, vengono valorizzati i nuovi stili di apprendimento degli
studenti che sono ormai “nativi digitali” e diviene molto più semplice personalizzare
gli apprendimenti, disegnando all‟interno dell‟ambiente virtuale di apprendimento
percorsi didattici specifici per singoli o gruppi con bisogni o esigenze particolari.
L‟aspetto più interessante di questa metodologia è il fatto che l‟intero
setting didattico viene rivisto nell‟ottica di massimizzare una risorsa che sempre di
più scarseggia nella scuola: il tempo dell‟insegnante.
Insomma, vi sono due livelli di “inversione” del setting didattico:
 il primo riguarda il fatto che le tecnologie digitali, attraverso l‟utilizzo di
ambienti web di apprendimento cooperativo permettono di spostare “fuori
dall‟aula in presenza” una serie di attività di tipo nozionistico liberando il
tempo dell‟insegnate per seguire più direttamente i problemi di
apprendimento degli studenti
 il secondo consiste nella possibilità di generare all‟interno dell‟aula, in
particolare attraverso il lavoro di gruppo cooperativo, una nuova
metodologia attiva di apprendimento che trasforma la classe in un piccola
“comunità di ricerca”
L‟interazione docente/studente si trasforma radicalmente dal momento che si riduce
molto il tempo della “lezione frontale” e aumenta proporzionalmente il tempo
dedicato al problem solving cooperativo, al monitoraggio e al supporto del lavoro
degli studenti, così come quello dedicato alla “revisione razionale” collettiva dei
risultati dei lavori di gruppo.
Ovviamente questa trasformazione del setting didattico cambia profondamente il
ruolo del docente, ma certamente lo “aumenta” non lo diminuisce affatto. Il docente,
36
infatti, da esperto disciplinare e “erogatore” di contenuti e valutazioni si trasformerà,
come abbiamo accennato più sopra, in una figura che integra più competenze,
ovviamente quelle disciplinari, ma anche quelle di un metodologo didattico esperto
di tecnologie digitali, così come quelle di tutoraggio, coaching e mentoring (in
presenza e on-line) dei suoi studenti. E‟ infatti, insieme un progettista didattico che
allestisce il setting didattico/tecnologico e programma le attività degli studenti in
presenza e on-line, un esperto di contenuti disciplinari e nello stesso tempo deve
divenire una guida, un sostegno alla costruzione della conoscenza collaborativa da
parte degli allievi. Funge, quindi, da stimolo per favorire un‟elaborazione personale e
collettiva delle attività di gruppo e per favorire un “apprendimento significativo”.
Aiuta, cioè, gli studenti a sviluppare metodologie e pratiche di studio che consentano
loro di acquisire competenze reali di gestione dei contenuti e non mere nozioni. In
questo processo, come ovvio, cambia anche il ruolo dello studente, che diviene
decisamente più attivo. Lo studente con l‟adozione di questo tipo metodologie
didattiche innovative diviene sempre più protagonista del processo apprendimento, e
soprattutto si responsabilizza maggiormente, anche grazie alla collaborazione con i
pari, rispetto ai progressi o alle difficoltà che incontra durante lo studio. Si tratta di
una “transizione” non semplice soprattutto per gli insegnanti che spesso non hanno
sufficiente formazione e quindi sufficienti competenza sia tecnologiche che
metodologiche per attuare questo cambiamento.
Per gli studenti non si tratta di una novità: sono nativi digitali19. Per loro gli strumenti
digitali, consolle per videogiochi, smartphone e tablet sono strumenti di uso
quotidiano. Il problema per l‟insegnante e tutta l‟istituzione formativa è quello di
valorizzare le competenze di utilizzo delle tecnologie digitali che hanno acquisito
nell‟informale e nella socializzazione tra pari. Si tratta di trasformare la loro
naturale fluency tecnologica in uno strumento per veicolare “apprendimenti
significativi”, avendo sempre ben presente che “apprendere” non è “giocare” e che
la
fatica
dell‟apprendimento
non
può
essere
eliminata
dall‟utilizzo
di device tecnologici. La sfida è quella di declinare le abilità e le competenze
tecnologiche di cui sono già portatori, mettendole al servizio della didattica e
dell‟apprendimento.
19
P. FERRI, Nativi digitali, Bruno Mondadori, Milano 2011.
37
Conclusioni
Concludo questo mio “viaggio verso l’inclusione” con una riflessione che completa
e chiarisce quanto espresso nella Premessa.
La mia necessità di ragionare sull‟urgenza di creare un contesto-Scuola positivo e
accogliente, in cui promuovere il successo scolastico e sociale di ciascun allievo,
attraverso scelte progettuali, metodologiche, organizzative e didattiche efficaci,
risponde in realtà ad una esigenza più complessa dell‟opportunità di cambiare “modo
di fare scuola” per essere al passo con i tempi e rispondere alle esigenze dei ragazzi.
Quello che mi sta a cuore, come stava a cuore al Priore di Barbiana, è soddisfare il
bisogno etico di giustizia sociale.
Appare evidente che per realizzare una Società Inclusiva, è necessario partire dalla
costruzione di una Scuola Inclusiva i cui principi, radicati nella lotta alla
discriminazione, alla diseguaglianza e all‟esclusione, in particolare delle fasce più
deboli, garantiscano l‟eguaglianza di accesso di tutti i bambini al sapere e alla
conoscenza.
Solo in questo modo sarà possibile approdare (per rimanere nella metafora del
viaggio), a ciò che Canevaro definisce nel titolo del suo ultimo libro, un “mondo più
giusto”20.
20
A. CANEVARO, Scuola inclusiva e mondo più giusto, Erickson, Trento 2013.
38
Bibliografia
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ZAMBOTTI F., Didattica inclusiva con la LIM, Erickson, Trento 2009.
40
Sitografia
Sito
Internet
delle
Edizioni
Erickson
www.erickson.it
Si tratta del sito Internet della Casa Editrice specializzata in materiali per il recupero e il sostegno
educativo-didattico nei vari Bisogni Educativi Speciali.
Sito
Internet
del
Prof.
Dario
Ianes
www.darioianes.it
Una ricca raccolta di materiali, articoli e presentazioni PPT che trattano i principali e più attuali
temi della pedagogia e della didattica speciale.
Edscuola
www.edscuola.it
Una ricca offerta di tematiche, rubriche, normativa, ecc. per la disabilità e l‟integrazione
scolastica.
AIRIPA - Associazione Italiana per la Ricerca e l'Intervento nella Psicopatologia
dell'Apprendimento
www.airipa.it
Associazione che ha come finalità quelle di promuovere studi e ricerche nel settore della
psicopatologia dell'apprendimento; favorire la diffusione di informazioni, di conoscenze
scientifiche e tecniche fra coloro che operano in questo settore ai fini di ricerca, formazione degli
operatori, pratica clinica ed operativa.
FADIS - Federazione Associazioni di Docenti per l’Integrazione Scolastica
www.integrazionescolastica.it
Rivista telematica d‟informazione e documentazione scolastica della Federazione Associazioni di
Docenti per l‟Integrazione Scolastica.
PAIDEIA 2.0 – Officina per la Didattica Inclusiva
www. scuolastoppani.wordpress.com
E‟ un blog tematico di supporto e stimolo per le attività didattiche e l‟approfondimento delle
conoscenze riguardo il mondo della disabilità, dello svantaggio, dei temi inclusivi ed in genere
dei Bisogni Educativi Speciali.
ASSOCIAZIONE ITALIANA DISLESSIA – Sito ufficiale dell’Associazione Italiana
Dislessia
www.aiditalia.org
INCLUSIONE – Sito sui DSA
www.inclusione.it
GRIIS- Integrazione Inclusione Scolastica
www.integrazioneinclusione.wordpress.com
Gruppo di Ricerca Integrazione e Inclusione Scolastica – Facoltà Scienze della Formazione,
Università di Bolzano
41
Principali riferimenti normativi
 Legge 5 febbraio 1992, n. 104 Legge-quadro per l‟assistenza, l‟integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate
 Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999 n.275 Regolamento recante
norme in materia di autonomia delle Istituzioni scolastiche, ai sensi dell‟art.21 della
legge 15 marzo 1997 n.59
 MIUR 2006 Linee guida per l‟accoglienza e l‟integrazione degli alunni stranieri1
 Raccomandazione del parlamento europeo e del consiglio del 18 dicembre 2006 relativa
a competenze chiave per l‟apprendimento permanente
 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 23 febbraio 2006, n. 185
"Regolamento recante modalità e criteri per l'individuazione dell'alunno come soggetto
in situazione di handicap, ai sensi dell'articolo 35, comma 7, della legge 27 dicembre
2002, n. 289"
 Decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2009, n. 122 “Regolamento recante
coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e ulteriori modalità
applicative in materia, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto-legge I settembre 2008, n.
137, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2008, n. 169
 MIUR 2009 Linee guida per l‟integrazione scolastica degli alunni con la disabilità
 C.M del 4 dicembre 2009 Problematiche collegate alla presenza nelle classi di alunni
affetti da sindrome ADHD (deficit di attenzione/iperattività)
 C.M. del 15 giugno 2010 Disturbo di deficit di attenzione ed iperattività
 Legge 8 ottobre 2010 n.170 Nuove norme in materia di Disturbi specifici di
apprendimento in ambito scolastico
 Decreto Ministeriale 12 luglio 2011 n. 5669 Decreto attuativo della Legge n.170/2010.
Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di
apprendimento.
 Direttiva MIUR 27 dicembre 2012 Strumenti di intervento per alunni con bisogni
educativi speciali e organizzazione territoriale per l‟inclusione scolastica.
 Accordo tra Governo, Regioni e province autonome di Trento e Bolzano su “Indicazioni
per la diagnosi e la certificazione dei Disturbi specifici di apprendimento (DSA)”
 C.M. n. 8 del 6 marzo 2013 Strumenti di intervento per alunni con bisogni educativi
speciali e organizzazione territoriale per l‟inclusione scolastica. Indicazioni operative.
 Nota MIUR 2563 del 22.11.2013 - Strumenti di intervento per alunni con bisogni
educativi speciali a.s. 2013-2014- Chiarimenti.
42