Nunc est carpendum Uno studente interpreta il

Nunc est carpendum
Uno studente interpreta il Carpe diem
di Valerio Pignatale
Liceo Classico “Giulio Cesare”, Roma – Classe III C
È tempo di bere! O forse no… forse è meglio preparare prima la tavola e il cibo. Per fare ciò c’è
bisogno di una guida che indichi non solo la giusta ricetta, ma anche il modo di comportarsi a
tavola. Evidentemente nel 23 a.C. la giovane ed ingenua Leuconoe non conosceva le buone norme
di comportamento e per questo motivo Orazio decise di offrirle in soli otto versi una brevissima
ricetta per la vita.
Il tutto comincia con Tu ne quaesieris, un incipit che chiarisce subito l’essenza del “Carpe
Diem”. È un’ode destinata ad una persona particolare (Leuconoe), ma quel «tu» posto in rilievo
all’inizio dichiara anche l’universalità del messaggio di Orazio. Subito dopo l’imperativo negativo
configura il componimento come una ricetta esclusivamente a base di epicureismo: così, nei primi
due versi l’autore consiglia di non accostare indagini, previsioni e calcoli numerici ad un modus
vivendi filosofico. Ut melius quicquid erit pati!: prima di dare gli ingredienti, sembra che Orazio dica di
non preoccuparsi di come sarà il piatto alla fine della sua preparazione. Dunque il suo è un palese
invito ad impedire che la pressione prodotta dal futuro e dalla sua incombenza possa distogliere dal
raggiungimento della felicità presente. Ma quali sono i veri ingredienti della ricetta oltre la filosofia
epicurea? […] Sapias, vina liques et spatio brevi spem longam reseces. […] carpe diem, quam minimum
credula postero. Dunque occorre un pizzico di sale, o meglio di saggezza, per rendere la vita sapida,
occorre filtrare il vino, per entrare nell’atmosfera simposiale e poi “tagliare” quelle speranze che
come dei rami si protendono troppo in avanti. Esiste un “tempo di cottura”? No, una volta
preparato il piatto è già pronto. Ecco il vero senso del “Carpe diem”: non è semplicemente
edonismo, un invito a spiluccare gli ingredienti prima che possano essere utilizzati, bensì
un’esortazione a vivere il presente nel suo rapido divenire, cogliendone i brevi attimi di gioia.
Ma, in che modo dunque cogliere concretamente l’attimo? Tutto è pronto: nunc est bibendum!,
afferma Orazio in apertura di un altro componimento dei Carmina (I.37), ove l’invito del “Carpe
Diem” si concretizza storicamente nell’entusiasmo per la vittoria di Ottaviano. E allora bisogna
bere, danzare e ornare le immagini degli dèi perché Cleopatra, la nemica di Roma, è morta. La
regina d’Egitto è la protagonista del componimento, è il motivo della concitazione dipinta da Orazio
nei primi versi. L’avversaria maggiore dell’Impero mantiene i suoi tratti negativi all’interno dell’ode:
è una figura temibile che trama la rovina di Roma, vive in una corte dissoluta e affoga la sua libidine
nell’ebbrezza provocata dal vino. Ma, nel momento in cui vede la flotta di Ottaviano che si staglia
sullo sfondo del mare e capisce che la sua fine è arrivata, Cleopatra si trasforma radicalmente.
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Sembra quasi che l’egiziana prenda in mano la ricetta del “Carpe Diem” e la applichi proprio quando
sa che non avrà più futuro e che deve necessariamente cogliere l’ultimo attimo che ha a
disposizione: così, la propaganda della pax augustea insaporisce il componimento con l’epicureismo
oraziano. Nonostante sia un “fatale monstrum”, la donna si dimostra impavida di fronte alla morte
perdendo la sua sensibilità femminile e alla fine si fa ausa, fortis e ferocior. Proprio quando sceglie di
morire, acquisisce inaspettatamente gli attributi che cambiano la sua essenza, conferendole quella
virtus che solo un romano può raggiungere. Ecco allora che l’irrisolutezza di Leuconoe viene
compensata dalla necessità di Cleopatra: ciò che la giovane non aveva compiuto tanto da aver
bisogno di quella breve ricetta per la vita, ora viene assolto da una regina al culmine della sua vita.
È interessante notare come siano due donne ad essere al centro dell’attenzione di Orazio: l’una,
quasi idealizzata e funzionale ad un messaggio universalmente applicabile, l’altra, vista con il suo
così particolare modo di carpere diem. La regina d’Egitto si fa non humilis mulier in fin di vita grazie al
suo coraggio nell’affrontare con decisione e tempismo la sorte che le è toccata. Dunque nel “Nunc
est bibendum” la filosofia epicurea determina la redenzione del nemico maggiore per i Romani che,
in fin dei conti, muore con dignità. E pare che questa dignità raggiunta da Cleopatra tramite il
mantra oraziano del “Cogli l’attimo” possa essere uno dei motivi del finale triumpho. Trionfo per la
vittoria di Ottaviano, ma allo stesso tempo trionfo di una semplice ricetta che è riuscita a
trasmettere virtus anche al di là del limes dell’Impero.
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