IL PRIMO NOVECENTO
LUIGI PIRANDELLO E ITALO SVEVO
© GSCATULLO
(
Il Primo Novecento
Luigi Pirandello
Vita
Luigi Pirandello nacque il 28 giugno 1867 nella villa Caos, nei pressi di Girgenti (oggi Agrigento) da Stefano
Pirandello, che aveva delle miniere di zolfo, e Caterina Ricci Gramitto, proveniente da una famiglia borghese
antiborbonica. Pirandello fu liceale a Palermo, dove si iscrisse all’università di lettere per poi trasferirsi prima
a Roma e poi in Germania (1889), all’Università di Bonn, dove si laureò nella primavera del 1891. Desideroso
di dedicarsi alla letteratura, ottenne dal padre un assegno mensile e si trasferì a Roma (1892) dove conobbe
Capuana, scrivendo nel 1893 il suo primo romanzo, L’esclusa.
Nel 1894 sposò a Girgenti, in un matrimonio combinato, la benestante Maria Antonietta Portulano, con la
quale si trasferì a Roma ed ebbe tre figli. Nel 1897 Pirandello divenne professore universitario all’Istituto
superiore di magistero di Roma. Nel 1903 una delle miniere del padre si allagò facendogli perdere tutto il
capitale lì investito, tra cui la dote della stessa Antonietta che ebbe un crollo psichico. Privo delle rendite
familiari Pirandello intensificò la collaborazione con giornali e riviste, scrivendo tra l’altro Il fu Mattia Pascal,
romanzo grazie al cui successo si guadagnò l’attenzione dell’editore Treves di Milano che iniziò ad occuparsi
della pubblicazione delle sue opere.
Nel 1910 la compagna teatrale di Nino Martoglio rappresentò i suoi primi due atti unici, ma intanto Pirandello
continua la sua produzione narrativa specie con novelle che apparivano (dal 1911) specialmente sul Corriere
della Sera. Il lavoro anche per l’industria cinematografica lo portò a comporre il romanzo Si gira pubblicato
nel 1915 sulla Nuova Antologia. Nello stesso anno andavano in scena al teatro Manzoni di Milano la sua prima
commedia in tre atti: Se non così. In questo periodo Pirandello ha la sua maggior produzione teatrale.
L’infuriare della Grande Guerra è per l’autore siciliano il necessario sbocco del Risorgimento, pur
individuandone gli aspetti distruttivi. Suo figlio Stefano, al fronte, viene fatto prigioniero nel 1915 (anno in
cui muore la madre di Pirandello), per tornare solo a guerra finita: questa situazione fa aggravare la malattia
mentale di Antonietta che nel 1919 è ricoverata in una casa di cura a Roma dove resterà sino alla morte.
Nel 1920 Pirandello vede la piena affermazione del suo teatro con i suoi Sei personaggi in cerca d’autore,
che, dopo il fiasco della prima rappresentazione a Roma (9/05/1921), trionfa a Milano il 27 settembre dello
stesso anno e inaugura un grande successo internazionale. Pirandello da sedentario diventa viaggiatore, e
scrive soprattutto negli alberghi, gira l’Europa e l’America, acquisendo nuove tecniche specialmente
cinematografiche ed impegnandosi nell’attività di regista. Inoltre desidera una sistemazione globale delle sue
opere raccogliendo le novelle nella raccolta Novelle per un anno (primo volume 1922) e i testi teatrali in
Maschere nude (primo volume 1918).
Sempre guardando con sospetto e pessimismo la vita sociale, Pirandello ne partecipa divenendo un
personaggio pubblico. Quest’ambiguità lo porta all’adesione al fascismo (1924) e all’amicizia con Mussolini,
cose che gli procurano finanziamenti per un nuovo organismo teatrale, il Teatro d’Arte a Roma, inaugurato il
4 aprile 1925, che costituì una vera e propria compagnia teatrale diretta dallo stesso Pirandello. La compagnia
scritturò tra l’altro una giovanissima Marta Abba (1900-1989) cui Pirandello si legò sentimentalmente e le
lasciò in eredità i diritti delle sue ultime opere. Il progetto fu però chiuso nel 1928.
Nonostante ciò continuò ad avere contatti con la cultura ufficiale: nel 1929 fu chiamato a far parte
dell’Accademia d’Italia e nel 1934 gli venne assegnato il Nobel per la letteratura. Distaccato sempre più dalla
retorica del regime fascista, negli ultimi anni pensò al completamento delle Novelle per un anno. Ammalatosi
di polmonite, mentre seguiva le riprese di un film tratto da Il fu Mattia Pascal a Cinecittà, Luigi Pirandello
morì a Roma il 10 dicembre 1936.
Modelli e pensiero
Modelli
Ad aver contribuito all’opera pirandelliana sono diversi elementi, anche tra loro lontani, che l’autore siciliano
riunisce in sé e nei testi, essi sono: la “sicilianità”, con tutto il mondo popolare di Girgenti, le credenze
folcloristiche anche legate ai miti greci; la società impiegatizia romana; le perversioni e i turbamenti propri
della modernità; l’ossessione per i rapporti familiari, pensieri influenzati dall’infanzia e dal matrimonio; gli
elementi propri della tradizione umoristica italo-europea.
L’esistenza
La visione di Pirandello sull’esistenza è indubbiamente pessimistica, l’uomo è l’unico essere che sa di vivere,
questo però non gli permette che una percezione del dolore che è la vita, e l’opera dell’autore non è quella
di alleviarla ma di palesarla, di sottolinearla e analizzarla. In maniera distaccata e poi comprendendo le ragioni
di quale situazione viva l’uomo: è l’umorismo.
Comico e umorismo
La concezione pirandelliana dell’umorismo è enunciata dall’autore nel suo saggio L’umorismo, pubblicato nel
1908, sviluppando i temi già presenti ne Il fu Mattia Pascal, in cui Pirandello afferma che esistono due
sentimenti legati nell’uomo: il comico e l’umorismo, e che gli autori umoristici si occupano del secondo. Il
comico è l’avvertimento del contrario, ovvero la percezione e la messa in evidenza delle contraddizioni che
riguardano ogni aspetto della vita (è il sentimento che si prova, ad esempio guardando un’anziana
“imbellettata” e vestita come una giovane). L’umorismo è invece il sentimento del contrario, in cui la
riflessione permette di andare oltre il riso del comico e comprendere le sofferenze che si celano dietro le
contraddizioni (come quando si realizza che l’anziana non ha piacere di conciarsi da “pappagallo” ma lo fa
per piacere al marito molto più giovane di lei): l’umorista è solidale con le deformazioni che mette in
evidenza, ride e piange per le contraddizioni tra vita e forma, tra maschera e realtà.
Maschere, fantasmi e personaggi
La vita sociale è in effetti per Pirandello un’apparenza esterna che nasconde la realtà, una “maschera”
appunto da cui è difficile, se non impossibile, liberarsi. Queste maschere rappresentano una forma,
un’artificializzazione, di quel flusso continuo, profondo e autentico, che è la vita: la maschera ne blocca la
comunicazione, è una sorta di morte. Le persone, sopraffatte dalle maschere diventano esseri inafferrabili,
al cui posto si trovano i personaggi, emanazioni delle fantasie dell’autore e da lui distinti, che chiedono di
potersi realizzarsi in maniera assoluta assumendo un ruolo nella letteratura.
Il lanternino
Un’altra concezione interessante propria del pensiero pirandelliano è quella del lanternino esposta ne Il fu
Mattia Pascal, durante un monologo rivolto da Angelo Paleari al protagonista, in cui l’uomo è paragonato ad
un lanternino che cerca di far luce attorno a sé, essendo immerso nel buio. Per far luce si rivolge a
“lanternoni” più grandi, che sono i grandi valori, gli ideali e le religioni. Il destino del lanternino però è essere
spento in un soffio ed essere immerso in quella “notte”, buia, che di fatto non sarebbe mai stata percepita
senza il lanternino e che quindi in qualche modo ha creato l’uomo stesso.
Il fascismo
Una nota particolare deve essere lasciata all’adesione dell’autore al fascismo, una scelta politica figlia del suo
essere vicino al patriottismo conservatore, desideroso di vitalità dopo l’età giolittiana, e per questo vicino al
futurismo, Pirandello ritenne probabilmente che il fascismo realizzasse proprio queste esigenze: una vita che
si affermasse sul liberalismo giolittiano fatto di forme. Eppure la sua adesione, dapprima sincera e convinta,
divenne poi dubbio e lento distacco, mal conciliandosi il suo pessimismo radicale con l’ordine repressivo del
regime, e svelandosi le parate e i segni del fascismo come vuota esteriorità retorica, proprio le forme da cui
l’autore voleva fuggire.
Opere
Il fu Mattia Pascal
Dopo i primi esperimenti letterari tra il 1893 e il 1895, sono di questo periodo L’esclusa e Il turno, Pirandello
si dedicò alla scrittura de Il fu Mattia Pascal, durante il periodo di grave difficoltà causato dal tracollo
economico familiare. Il romanzo venne pubblicato a puntate sulla Nuova Antologia nel 1904, ricevendo scarsa
attenzione e valutazioni poco benevole della critica.
La vicenda ruota intorno a Mattia Pascal che, a seguito di varie disgrazie familiari, fugge a Montecarlo dove
vince una fortuna alla roulette, e tornando a casa legge sul giornale di essere stato identificato dalla moglie
Romilda nel cadavere di un suicida presso il suo paese. Decide allora di andare a vivere a Roma con il falso
nome di Adriano Meis, usando l’ingente somma vinta al gioco. Innamoratosi della figlia del padrone di casa,
Adriana, vorrebbe sposarla ma ciò non gli è possibile in quanto lui non figura allo stato civile. Decide di
abbandonare Roma e Adriana per tornare a casa, inscenando un altro suicidio, per annegamento, ma tornato
al suo paese scopre che la moglie si è formata una nuova famiglia: rinuncia così alla vecchia identità
accontentandosi di vivere in una biblioteca e scrivendo la propria storia, in attesa della morte definitiva.
Il racconto particolare non segue i criteri di verosimiglianza naturalista, ma propone un personaggio disilluso,
che narra la storia senza identificarsi definitivamente con gli eventi. La stessa struttura del romanzo che vede
il narratore anche protagonista della storia chiarisce questo concetto: egli può narrare nel momento in cui
ne è uscito fuori, ne è estraneo, in una sorta di ringkomposition per cui la narrazione iniziale anticipa il finale
del romanzo. All’ottimismo dell’inizio del Novecento, Pirandello contrappone un dubbio che tutto sia
finzione, che non ci siano certezze o sicurezze stabili.
I Quaderni di Serafino Gubbio operatore
Pubblicato nel 1905 con il titolo Si gira…, i Quaderni di Serafino Gubbio operatore, titolo assunto nel 1925
con un’edizione riveduta, è un romanzo con cui si vuole analizzare l’alienazione che la macchina impone
all’uomo, in un periodo tra l’altro di grande ambizione futurista che volevano le macchine vincitrici sull’uomo.
In forma di diario il romanzo racconta le vicende di Serafino Gubbio, operatore cinematografico, silente
osservatore dei comportamenti distruttivi e artificiali dei vari protagonisti, cui invano cerca di opporsi il
mondo delle origini provinciali e della natura incontaminata: nel finale una tigre, portata sul set per girare
una particolare scena esotica, si ribella e sbrana l’attore che avrebbe dovuto ucciderla. Anche questa scena
così drammatica viene ripresa però da Serafino, ormai muto operatore con il solo, alienante, compito di girare
la manovella della cinepresa.
Novelle per un anno
La produzione novellistica è costante per tutta la vita di Pirandello ed in esse si rivela il vastissimo intreccio
di temi, materiali e prospettive, che è alla base di tutta la sua opera. Pirandello cercò di raccogliere le novelle
sin dal 1894 con la raccolta Amori senza amore, ma solo nel 1922 ebbe l’intenzione di un piano globale: aveva
intenzione di comporre ventiquattro volumi (ne porterà a termine solo quattordici) ciascuno con il titolo
tratto dalla prima novella, per un totale di trecentosessantacinque novelle, una per ogni giorno dell’anno,
come chiarisce già il titolo generale.
La raccolta però è volutamente caotica, non possiede un ordine preciso o un filo conduttore particolare,
lasciando al lettore questa possibilità. Questa scelta può essere considerata decisamente all’avanguardia
rispetto le raccolte tradizionali di novelle: ma la frammentarietà della raccolta non fa altro che rispecchiare,
in realtà, la situazione della società moderna.
Sei personaggi in cerca d’autore
Capolavoro teatrale di Pirandello, dopo i suoi primi esperimenti e lavori sul teatro, Sei personaggi in cerca
d’autore, opera scritta tra il 1920 e il 1921 (rappresentata per la prima volta a Roma il 9 maggio 1921), ha
influenzato tutto il teatro del Novecento. Mentre una compagnia di attori sta provando Il giuoco delle parti,
testo anch’esso di Pirandello, irrompono in scena sei spettrali figure, membri di una famiglia (il Padre, la
Madre, la Figliastra, il Figlio, il Giovinetto e la Bambina), personaggi rifiutati dall’autore che li ha concepiti,
che chiedono con insistenza al capocomico di mettere in scena il dramma che hanno vissuto. La compagnia
teatrale accetta e cerca di mettere in scena un racconto su cui la famiglia è però in disaccordo, al limite dello
squallido, come nel narrare l’incontro tra il Padre e la Figliastra: i sei personaggi vivono la loro vita come
qualcosa di fisso eternamente, ma la morte della Bambina per annegamento ed il suicidio del fanciullo,
portano il dramma a frantumarsi, i personaggi a sparire, lasciando la scena sospesa e inconclusa. L’opera, che
scompone i meccanismi teatrali e analizza il confine tra vita vera e teatro, si propone in tal senso come
apripista del teatro d’avanguardia contemporaneo.
Uno, nessuno e centomila
L’ultimo romanzo pirandelliano, Uno, nessuno e centomila, venne iniziato dall’autore nel 1910 e variamente
continuato sino al 1926. Il tessuto narrativo è qui estremamente disgregato, frantumato nelle riflessioni,
divagazioni e digressioni di un ininterrotto monologo. Vitangelo Moscarda è il personaggio, protagonista, che
riassume in sé molte figure pirandelliane, egli dissolve la realtà riducendo al nulla l’unità del soggetto
parlante, lasciandola contemporaneamente moltiplicarsi quanti sono gli sguardi esterni sulla sua realtà.
Italo Svevo
Vita
Ettore Schmitz nacque a Trieste il 19 dicembre 1861 da una famiglia ebrea di origine tedesca, per parte di
padre, ed italiana, da parte della madre. Il padre, Francesco Schmitz, era impegnato in proficue attività
commerciali, per le quali manda i figli a studiare, dal 1874 al 1878 Ettore fu educato, con i fratelli Adolfo ed
Elio, in un collegio tedesco a Segnitz in Baviera, dove lesse con passione i classici tedeschi. Tornato a Trieste
si iscrisse all’Istituto superiore commerciale Revoltella, interessandosi ben presto di problemi culturali e
letterari.
Nel 1880 iniziò una collaborazione, che durò un decennio, al giornale triestino “L’Indipendente”, con
numerosi articoli firmandosi con le iniziali E.S. o lo pseudonimo E. Samigli. Dopo varie ricerche di impiego
venne assunto nel settembre 1880 presso la filiale triestina della banca Union di Vienna, riuscendo nelle sue
giornate lavorative a recarsi regolarmente alla Biblioteca Civica di Trieste, dove, tra le numerose letture, si
interessò di Schopenhauer. Si accostò anche alla narrativa, scrivendo le prime novelle e il romanzo Una vita
iniziato nel 1888 e pubblicato nel 1892, anno della morte del padre, con lo pseudonimo Italo Svevo.
Agli anni intorno al 1892 risale anche il rapporto con Giuseppina Zergol, di cui rimane una traccia nel
personaggio di Angiolina nel romanzo Senilità, pubblicato nel 1898. Ettore Schmitz continuava intanto la sua
vita di impiegato di banca; nel 1893 iniziò ad insegnare corrispondenza tedesca nell’Istituto Revoltella. Nel
dicembre 1895 si fidanzò con Livia Veneziani, figlia di un industriale cattolico, che impose alla figlia una
morale ed una religiosità borghese molto rigida. Dapprima Ettore cercò di insinuare nella fidanzata dei dubbi
e risvegliarne una sorta di inquietudine intellettuale (Diario per la fidanzata, 1896), tentativo che fallì (come
evidente nella lettera Cronaca della famiglia, intitolata 1897). I due si sposarono civilmente nel luglio del
1896 e con rito religioso nell’agosto 1897, cerimonia che richiese ad Ettore il battesimo cattolico. Nel
settembre dello stesso anno nacque l’unica figlia, Letizia. La famiglia abitava in un appartamento della grande
villa Veneziani.
Nel 1899 Ettore lasciò la banca ed entrò nella ditta del suocero impegnandosi attivamente nell’attività
lavorativa, spinto anche dalle richieste pressanti della moglie. Il lavoro gli permise di viaggiare in Europa,
soggiornando in Francia ed in Inghilterra. Nel 1905 conobbe James Joyce, trasferitosi quell’anno a Trieste
come insegnante di lingua, che gli diede tra l’altro lezioni di inglese. Tra il 1908 e il 1910 si interessò della
psicoanalisi e delle teorie di Freud.
Con lo scoppio della guerra nel 1914 diminuì la produzione della fabbrica che fu sequestrata dalle autorità
austriache, ciò permise ad Ettore di approfondire la psicoanalisi, sperimentandola tra l’altro su di se in una
forma solitaria. Nel dopoguerra collaborò con il quotidiano triestino “La Nazione” e riprende, anche se in
modo attenuato, l’attività di industriale. Dal 1919 torna a scrivere lavorando al suo romanzo La coscienza di
Zeno, pubblicato nel 1923. Accolto in maniera disinteressata dalla critica italiana, fu il riconoscimento
internazionale dell’amico Joyce, trasferitosi intanto a Parigi, a fargli avere la giusta attenzione. Compì nuovi
viaggi per promuovere la sua opera in tutta Europa, il 14 marzo 1928 venne festeggiato a Parigi da più di
cinquanta scrittori europei. Morì nel settembre dello stesso anno a seguito di un incidente d’auto,
nell’ospedale di Motta di Livenza.
Opere
Una vita
Il primo romanzo di Italo Svevo fu Una vita, iniziato nel 1888 con il titolo Un inetto, fu pubblicato solo nel
1892 a spese dell’autore dall’editore triestino Vram. Il romanzo narra in terza persona il fallimento
intellettuale di Alfonso Nitti, venuto dalla campagna nella città di Trieste, tenta di scalare la sua posizione
sociale; innamorato di Annetta Maller, figlia del direttore di una banca, fugge tornando al suo paese per stare
dapprima con la madre, poi, alla morte di lei, torna in città. Qui però si rende conto che ogni tentativo di
cambiamento è vano e, impossibilitato a reagire agli eventi della vita, ormai completamente passivo, si
suicida. Nitti è un antieroe, che Svevo ritrae con una prosa senza retoriche, lontano del resto come autore
dal classicismo, e quasi aspra in alcuni punti.
Senilità
Il suo secondo romanzo, Senilità fu elaborato dall’autore a partire dal 1892 e concluso dopo il matrimonio
(1897), apparve a puntate su “L’Indipendente” nel 1898 e poi venne pubblicato in volume. Del tutto ignorato
dalla critica venne “scoperto” dopo l’uscita de La coscienza di Zeno. La narrazione, in terza persona, si
concentra sulle vicende di Emilio Brentani, personaggio “inetto” le cui azioni sono avvolte da un senso di
precoce “senilità”. Brentani, intellettuale fallito di trentacinque anni, conduce una vita di impiegato, ha una
relazione con l’esuberante popolana Angiolina, ma sembra mancare in ogni suo gesto di energia vitale: ogni
suo gesto e azione sembrano essere artificiose, alla ricerca di una perfezione inarrivabile, costruita su modelli
e pregiudizi che non lo rappresentano.
Personaggi principali, oltre al Brentani, l’amico scultore Stefano Balli, generoso, sicuro e spregiudicato, è
amico e figura paterna per il protagonista. Di lui si innamora la sorella di Brentani, Amalia, casalinga votata
alla rinunzia, che per amore troverà la pazzia e la morte. Il personaggio di Angiolina infine è vitale, straniato
rispetto a Brentani, che però lo sogna come simbolo di giovinezza, ma è costretto a vivere il rapporto con lei
attraverso intermediari, non essendo capace di fare altrimenti.
La Coscienza di Zeno
La Coscienza di Zeno è il romanzo più famoso di Italo Svevo, vi inizia a lavorare dopo la fine della guerra
(intorno a febbraio 1919) sino al 1922 quando entrò in contatto con l’editore Cappelli di Rocca San Casciano,
presso Bologna, per un’edizione a proprie spese, la cui stampa fu terminata nell’aprile 1923. La freddezza
della critica fu superata con l’aiuto dell’amico Joyce che invitò Svevo ad inviare una copia del manoscritto a
vari critici e scrittori come Larbaud, Crémieux ed T. S. Eliot. In Italia fu soprattutto un giovane Eugenio
Montale a spingere per la scoperta e diffusione del romanzo. La narrazione è impostata come
un’autobiografia aperta in cui Zeno Cosini, ricco triestino, intraprende un percorso di psicoanalisi, tramite un
diario, con il dottor “S.”, per capire cosa gli impedisce di smettere di fumare. Il romanzo si compone di otto
capitoli:
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Il primo è l’introduzione del dottor S. che spiega cosa lo abbia spinto a pubblicare le memorie del
paziente;
Il secondo in cui lo stesso Zeno ritorna alla sua infanzia e afferma l’impossibilità di recuperarla.
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Il terzo, Il fumo, dedicato al vizio delle sigarette e ai tentativi di liberarsene;
Il quarto, La morte di mio padre, che risale alla giovinezza e al rapporto con il padre;
Il quinto La storia del mio matrimonio, dedicato alle vicende che hanno portato Zeno alla
frequentazione della famiglia Malfenti e le quattro sorelle Ada, Augusta, Alberta e Anna: innamorato
della prima, ripiegò verso Alberta e poi, dirottato, su Augusta, che sposò;
Il sesto La moglie e l’amante, in cui spiega il suo rapporto clandestino con Carla, giovane donna
popolare che vorrebbe diventare cantante, il senso di colpa per il tradimento e il continuo desiderio
di troncarlo;
Il settimo, Storia di un’associazione commerciale, in cui tratta del mondo degli affari e del complicato
rapporto con il cognato, Guido Speier, marito di Ada, che a seguito di un fallimento si toglie la vita;
L’ultimo, infine, Psico-analisi, abbandona il passato e la narrazione ambientata negli anni Novante
del secolo precedente ed adotta la forma diaristica (tre brani datati tra maggio 1915 e 1916); si
dichiara guarito grazie a dei successi commerciali, ottenuti a causa della guerra, e dice di aver
compreso che l’intera vita è malattia, e che dunque non vi è qualcosa da cui salvarsi.