Emozioni per aria - Piccolo Opificio Sociologico

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Emozioni per aria
Raffaella Maiullo
[email protected]
“L’aereo ha superato la tropopausa, l’aria tranquilla, ed è giunto al bordo esterno, all’ozono sfilacciato e lacerato in
brandelli consunti simili a vecchie tele di sacco. E questo era impressionante. […] Anime stavano salendo, dalla terra,
laggiù in basso. […] Salivano fluttuando come paracadutisti al contrario. Con le mani sui fianchi, ruotavano e giravano.
E le anime univano le mani, si agganciavano alle caviglie formando una trama, una grande rete di anime. E le anime
erano molecole di tre atomi d’ossigeno, erano di ozono”
[Angels in America]
Introduzione
In questo lavoro proveremo a riflettere su una serie di incidenze rispetto alla pratica del paracadutismo
sportivo in relazione all’ambito delle emozioni cercando di capire in che misura la pratica di questo
sport influenza il sentire di coloro che l’hanno sperimentata rispetto a chi invece non l’ha fatto. Tutto
questo, chiaramente, si profila sotto una lente di osservazione sociologica delle emozioni, tema
sempre più presente nell’ambito della ricerca sociale. Nondimeno, accade sovente che il senso
comune associ lo studio delle emozioni solo ed esclusivamente alla sfera psicologica senza
considerare l’enorme ruolo ricoperto dalla rappresentazione sociale di quest’ultime per gli individui
e quanto possano dire rispetto al modus vivendi del nostro (s)oggetto di analisi. È pur vero che “[…]
teoricamente parlando, il numero delle definizioni del concetto di emozione è quasi pari a quello degli
autori che hanno scritto sull’argomento, ma la maggior parte di esse si riferisce in realtà non tanto
all’emozione, quanto alle sue componenti. Le emozioni implicano: a) la valutazione di uno stimolo o
di un contesto situazionale; b) modificazioni nelle sensazioni fisiologiche o corporee; c) l’esibizione,
libera o inibita, di gesti espressivi, e d) una definizione culturale applicata alle specifiche costellazioni
generate, dalla combinazione di una o più delle prime tre componenti” 1.
Emozioni con (o senza) paracadute
Riflettere sulle emozioni in relazione allo sport comporta necessariamente una breve premessa
rispetto a quanto concerne il mezzo che permette loro di essere, ovvero il corpo.
1
Thoits, p. 27, 1995.
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In ogni epoca storica, il rapporto tra corpo ed emozioni non è stato sempre costante. Al contrario, la
distanza immaginifica tra percezione delle emozioni e corporeità si è allungata e accorciata in maniera
piuttosto elastica. Tuttavia, la contemporaneità ci indirizza verso una tematizzazione “dualistica” del
corpo “[…] come artificio, accessorio, simulacro, ecc., in particolare con le manipolazioni genetiche,
il cyborg o gli innumerevoli laboratori sociali che trasformano il corpo (culturismo, chirurgia estetica,
transessualismo, modifiche corporali, ecc.) 2. Si può affermare che il corpo si presenti come una sorta
di declinazione del negotium postmoderno, che faccia da fattore esplorativo e si presti alla libera
sperimentazione” 3 . Si viene a stabilire, in un una qualche maniera una sorta di alleanza tra
‘naturalismo di ritorno e imperativo tecnico’ 4.
In questo panegirico doveroso non mancheremo di sottolineare almeno una dimensione sociologica
fondamentale, ovverosia quella che riguarda la correlazione tra corpo inteso come indice di verità
dell’individuo (espressione) e pratica sportiva che approfondiremo nel corso della nostra analisi. In
particolar modo ci concentreremo su quanto concerne le attività sportive rischiose, nella fattispecie
lo sport che prenderemo in considerazione sarà il paracadutismo. Quest’ultimo si presta bene alla
riflessione relativa al fattore del rischio, centrale nell’indagine e che certamente rappresenta
l’elemento di congiunzione-disgiunzione tra chi pratica e chi non pratica questo genere di sport. “Il
rischio, che le nostre istituzioni combattono in differenti ambiti, procura, se sentito come una libera
scelta, un’opportunità di vivere controcorrente, di ritemprarsi, di sfuggire alla noia intensificando la
relazione con ogni singolo istante grazie ad un’attività inebriante. È una scorciatoia per riprendere in
mano un’esistenza abbandonata al dubbio, al caos o alla monotonia. In un’attività di tempo libero o
di sfida personale, il rischio diventa una riserva da cui attingere del senso, per accrescere una gioia di
vivere carente o talvolta addirittura per ritrovarla dopo averla persa. Questo riguarda, perciò, degli
individui socialmente ben integrati, che si sforzano di fuggire la routine e la sicurezza di un’esistenza
troppo regolata. La ricerca del rischio offre un’intensità dell’esistenza laddove essa è carente: è un
modo per rompere la routine dell’esistenza” 5.
La prospettiva quotidiana del rischio non deve essere sottovalutata. Gli uomini si servono, per usare
le parole di Schütz, di una specifica epoché ove non è la fede nel mondo esterno e nei suoi oggetti ad
essere sospesa come per quanto concerne la fenomenologia bensì il dubbio si sospende circa la loro
esistenza. “Ciò che egli mette tra parentesi è il dubbio che il mondo e i suoi oggetti possano essere
Le Breton 1999; Sassatelli 2000.
Germano, p. 81, 2011.
4
Ibidem
5
Le Breton, p. 408, 1999.
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diversi da come appaiono a lui. Proponiamo di chiamare questa epochè l’epochè dell’atteggiamento
naturale” 6.
Abbiamo scelto di includere nell’indagine soggetti con esperienza e senza esperienza nell’ambito
dello sport paracadutistico. L’intero test potrebbe essere suddiviso idealmente in due parti. In un
primo momento abbiamo sottoposto delle immagini agli intervistati. Mentre, nella seconda parte del
test, era il rispondente a dover fornire delle immagini rispetto agli input emozionali che abbiamo
fornito. Questa duplice azione aveva lo scopo di favorire la riflessione sul proprio sentire, portando a
una sua tematizzazione da parte dell’attore stesso.
Inoltre, l’utilizzo dello strumento visuale ha svolto un ruolo fondamentale in ogni fase della ricerca.
Non soltanto perché ha rappresentato il mezzo mediante il quale intervistati e intervistatori si sono
interrogati ma anche per la potenza autoriflessiva dell’immagine. Bisogna infatti tenere in
considerazione il fatto che la sociologia visuale non si serve delle immagini come oggetto marginale
o aggiuntivo di documenti o illustrazioni, piuttosto le immagini diventano fonte e parte integrante
della ricerca stessa 7. Nella prima fase del questionario abbiamo sottoposto alcune immagini volte a
stimolare e comprendere il rapporto con la visione del volo e della natura, generando una
contrapposizione logica. Volare, di per sé, rappresenta per l’uomo qualcosa che trascende la naturalità
dell’azione. Abbiamo fatto cenno al rischio come fattore caratterizzante di questo tipo di pratiche. Il
rischio in cui si incorre praticando questo genere di sport possiamo definirlo come rischio volontario
ed è proprio in questa volontà che troviamo la distanza con il rischio della vita quotidiana. Ancora un
altro elemento risulta essere necessario alla comprensione del rapporto tra l’esperienza del volo e la
non esperienza: l’incertezza ricercata. Quest’ultima non si configura come un elemento offuscante
della ragione e ma piuttosto come elemento esperienziale. Il fatto stesso di aver esperito, anche solo
una volta, quel tipo di consapevolezza muta il pensiero stesso relativo all’azione. Schütz, parla di
trauma, beninteso non relativo all’esperienza come frattura o crisi, ma piuttosto al modo in cui a
questa ci rapportiamo. La provincia finita di significato pre-volo non può essere modificata se non
facendo esperienza del volo, consentendo così all’attore di ridefinirne i limiti. In questo modo si può
vedere che l’incertezza svolte la funzione di garante per l’attore che si prefigge lo scopo di dare il
meglio di sé.
“L’incertezza lo autorizza a sviluppare le proprie abilità, i propri riflessi, a realizzarsi nell’azione.
Quanto maggiori sono le difficoltà sollevate da un determinato passaggio o scoglio, che tuttavia resta
a misura d’uomo, tanto più l’individuo si sente rinforzato e felice di averle affrontate, tanto più queste
6
7
Schütz, p. 202, 1979.
Henny, 1986.
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lasciano una traccia nella sua memoria, e tanto maggiore è il loro rendimento simbolico in termini
identitari” 8.
FIGURA 1
FIGURA 2
Nella figura 1, si può vedere un soggetto nella fase del lancio. Abbiamo sottoposto questa immagine
domandando cosa rappresentasse. Indipendentemente dall’esperienza, si è potuto constatare che la
direzione piuttosto libera tutte le risposte sono state prettamente descrittive. La parola più usata infatti
è stata “lancio”, seguita da “paracadute” come si vede nella Words Cloud della figura 2. Per il secondo
termine è interessante notare come pur non essendo visibile alcun paracadute nella foto quasi tutti i
rispondenti abbiano fatto riferimento all’oggetto come caratterizzante 9 . Sempre in relazione alla
stessa figura è stata posta una ulteriore domanda, questa volta si chiedeva di immedesimarsi nel
soggetto che effettuava il lancio. In questo caso abbiamo potuto osservare il primo cambiamento della
percezione dell’esercizio. Nel caso dei soggetti senza alcuna esperienza l’aspetto della paura è
preponderante e centrale come si evince dalla figura 4, mentre per gli altri è ugualmente presente
seppure con accezione diversa. La paura per chi ha esperito lo sport è una sfida, un limite da superare,
un rischio volontario che vale la pena di essere corso per l’emozione. Una sorta di baratto emotivo,
la paura in cambio di un sentimento nuovo, intenso e piacevole.
“Stephen Lyng, autore di uno studio etnografico su un gruppo di paracadutisti, descrive la loro
sensazione di entrare improvvisamente in una «iper-realtà» (1992), un mondo infinitamente vivo che
proietta il resto dell’esistenza nel grigiore. «Quando saliamo sull’aereo per raggiungere l’altitudine
del salto, sono spaventato e mi chiedo perché mai io mi imponga un’attività tanto bizzarra – saltare
Le Breton, p.412, 1999.
In questo caso rimandiamo all’importanza dell’oggetto tecnico e la sua funzione all’interno dello specifico contesto
come teorizza Bruno Latour.
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da un aereo, dice un praticante. Ma appena sono fuori dall’aereo, è come penetrare in un’altra
dimensione. Improvvisamente tutto sembra molto reale. La caduta libera è ben più reale dell’esistenza
quotidiana» 10”. Eppure, la dimensione quotidiana svolte un ruolo fondamentale in questa esperienza.
FIGURA 3
FIGURA
4
Come abbiamo annunciato precedentemente, l’utilizzo dello strumento visuale ha svolto la funzione
di medium della relazione tra gli intervistati e gli intervistatori. Nella seconda parte del questionario
si chiedeva ai soggetti esaminati di fornire personalmente delle immagini che rappresentassero varie
emozioni, individuate tra positive e negative. Pur essendo emersi numerosi aspetti interessanti relativi
alle interviste, in questo frangente porremo l’accento su un elemento in particolare. In prima istanza
si osserverà il ruolo giocato dallo sport nell’esemplificazione delle emozioni proposte.
Partendo dall’ipotesi Eliasiana, sosterremo che le condotte comportamentali emozionali risultano più
forti quando sono apprese invece che istintuali. La rigidità genetica 11 di queste ultime si mantiene
soltanto in parte: di fatti, le ritroviamo flessibili e passibili di mescolanza con quelle forme apprese
in relazione al contesto, ribadendo così la capacità decisionale dell’individuo. Fermo restando il fatto
che quel bagaglio di modalità di comportamento non appreso risulta fondamentale sotto il punto di
vista della comunicazione (esempi di questo tipo possono essere ricondotti al pianto o il riso).
Tuttavia, questo sistema nel tempo è divenuto sempre più debole ed è dato certo che se un individuo
con una qualunque socializzazione di base 12, dovesse basarsi solo su forme non apprese rimarrebbe
Le Breton, p. 115, 1999.
Una condotta emozionale, se vogliamo, appresa e non meramente genetica offre uno straordinario vantaggio alla
specie che la padroneggia rispetto alle altre.
12
Chiaramente in questo ragionamento escludiamo coloro che non possono individuare autonomamente ulteriori
modalità. Esemplificando, un bambino o una persona incapace di riconoscere determinati input per mancanza di
esperienza o per impossibilità cognitive, non possono essere presi in considerazione.
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11
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tagliato fuori dal mondo sociale. “Sarebbe più facile comprendere l’evidente relazione tra
caratteristiche apprese e non apprese nel caso degli umani se le nostre abitudini di pensiero non
fossero così fortemente radicate […]. All’apparenza, la vecchia controversia natura-educazione è
morta e sepolta da almeno trent’anni, ma sotto le ceneri il suo fuoco continua ad ardere, sostenuto
dalla passione che presenta come disconnesso ciò che nei fatti è connesso, come fenomeno isolato
ciò che nei fatti è interdipendente. Così la conoscenza e, a dire il vero, ogni altra cosa acquisita dagli
esseri umani attraverso l’apprendimento è assai spesso concepita come “non-natura” - se non come
“anti-natura”. La natura, assimilata con ciò che è immutabile e innato, finisce con l’essere
concettualmente isolata da ciò che è mutevole e appreso, mentre ciò che è mutevole e appreso viene
classificato come cultura, società, o altre modalità di rappresentazione di ciò che è concepito come
“non naturale”. Eppure come potrebbero gli esseri umani apprendere alcunché se non fossero per
natura, ovvero biologicamente, attrezzati per farlo?” 13.
Per Elias, in altre parole, è presente una dimensione biologica delle emozioni, tuttavia questa viene
plasmata e risente del sistema di interdipendenze di cui gli esseri umani fanno parte. Questo
ragionamento ci aiuta a comprendere meglio la correlazione che esiste tra lo sport praticato, le
emozioni che hanno assorbito l’esperienza e il numero di lanci 14.
Alcuni soggetti con un numero considerevole di lanci (più di 15) hanno manifestato l’influenza dello
sport sulle emozioni, sia rispetto agli stimoli positivi che a quelli negativi. In una delle domande si
chiedeva di fornire una immagine, giustificandola, della cosa che faceva sentire a proprio agio il
soggetto. Rispetto ai casi sopra citati un soggetto ha fatto riferimento al momento in cui si ‘atterra’
(figura 5); mentre un altro soggetto ha fatto riferimento al momento del volo (figura 6).
FIGURA 5
FIGURA 6
Elias, p. 129, 2015.
Inoltre vale la pena sottolineare come la reazione ad immagini di paracadutisti fosse piuttosto simile tra coloro
avevano poca esperienza e quelli che ne avevano molta. Questo elemento in una fase dell’analisi ha portato a pensare
che il grande discrimine fosse tra volo e non volo.
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In relazione alla gioia, cinque soggetti hanno fornito immagini del lancio, descrivendolo come ‘il
momento migliore e più bello’ (figura 7).
FIGURA 7
La pratica di questo sport si riverbera anche nella domanda sulla figura dell’amore. Ben tre soggetti
hanno fornito immagini che rendessero l’idea di un ‘amore per il cielo’.
Tuttavia, non sono soltanto gli stimoli positivi ad essere associati al volo ma anche quelli negativi.
La paura, come le altre emozioni risente del sistema di interdipendenze in cui siamo immersi,
ovverosia il contesto in cui le relazioni umane avvengono 15. Provando a riflettere su questo punto
potremo dire che per alcuni, la pratica dello sport non esclude la dimensione del pericolo e riconduce
alla questione della cosiddetta “ansia fondamentale”, concetto attraverso il quale Schütz riflette sulla
consapevolezza della morte. Il fatto di sapere che la nostra vita è destinata a finire e allo stesso tempo
il timore per questo evento ineluttabile (ma imprevedibile) sta alla base di tutte le nostre decisioni,
dunque dei nostri piani di vita. Per riprendere le parole di Schütz, diremo che l’ansia fondamentale
non è altro che “[…] l’anticipazione primordiale da cui hanno origine tutte le altre. Dall’ansia
fondamentale emergono i molti sistemi di speranze e timori, di desideri e di soddisfazioni, di
possibilità e di rischi” 16.
Possiamo suddividere le risposte relative all’immagine della paura con esplicito riferimento
all’esperienza del volo in due tipi di reazioni. Da una parte coloro che hanno fatto riferimento alla
paura intesa come incertezza di riuscita rispetto al lancio, in particolare la “paura di rimanere sulla
sedia a rotelle” e la “paura che non si apra il paracadute”. Dall’altro lato abbiamo invece il timore di
non riuscire a lanciarsi ponendo come motivazione più “fastidiosa” quella del maltempo. Risulterà
interessante tenere in considerazione anche coloro che, senza nessuna esperienza, associano
l’emozione della paura proprio all’altezza e al volo. Sarà bene sottolineare che lo stimolo iniziale del
15
16
L’ambiente fisico, ad esempio, contribuisce in maniera importante sul gioco delle interdipendenze.
Schütz, p. 228, 1962.
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questionario riguarda proprio questo frangente e dunque è plausibile che il soggetto sia stato in
qualche misura più sensibile al tema e alla contestualizzazione della sua paura rispetto al quel tipo di
contesto.
Per concludere, a sostegno di tutte le ipotesi prese in esame, consideriamo quanto gli stessi adepti17
dello sport affermano. La vita routinaria genera la necessità di ricercare “[…] un’intensità
dell’esistenza che di solito manca. Le sensazioni associate a attività con un certo grado di rischio sono
tanto più sollecitate quanto più il resto della vita è pacificato, protetto da qualsiasi imprevisto, quanto
più, cioè, l’esistenza familiare e professionale è al riparo da ogni angoscia. Per godere di un
radicamento più sensibile alla propria vita personale e «ritrovare le proprie sensazioni», il gioco col
rischio appare allora una via maestra” 18.
Da una parte, constatiamo quanto l’esperienza del paracadutismo condizioni il contesto quotidiano
dell’attore sociale: come emerge in più fasi del questionario, la componente emotiva si trova ad essere
associata allo sport, quasi a voler rifuggire la rigidità emozionale della vita quotidiana, ancorata alla
routine. La fuga dal completo stato di veglia 19 diventa un modo per esorcizzare la realtà stessa
mettendo se stessi e il proprio corpo alla prova della resistenza psico-fisica.
La citazione iniziale, tratta da Angels in America 20 cerca di riassumere il sentimento di trascendenza
personale cui si va in contro nel momento dell’evocazione divina volontà di rottura rispetto alla
quotidianità. Come afferma Laberge in Frontières, “[…] se Dio esiste, non è lontano da lì” 21, il cielo.
Bibliografia:
-
Elias, Norbert. "Osservazioni sugli esseri umani e le loro emozioni. Un saggio di sociologia
processuale." Cambio. Rivista sulle Trasformazioni Sociali 5.10 (2015): 125-137.
-
Germano, Ivo Stefano. "Sport, gender, corpo. La sociologia dello sport di Norbert Elias come
superamento del pensiero combinatorio." Cambio 1 (2011): 2-11.
-
Henny, Leonard. “Theory and Practice of Visual Sociology”, Current Sociology, vol. 34, n.
3, 1 Edgework: A Social Psychological Analysis of Voluntary Risk Taking, in «American
Journal of Sociology», 95, 4, pp. 410-425.986
-
Le Breton, David. "Il corpo in pericolo. Antropologia delle attività fisiche e sportive a rischio."
Rassegna italiana di sociologia 43.3 (2002): 407-428.
Le Breton, p. 419, 1999.
Le Breton, p. 410, 1999.
19
Schütz 1979.
20
Miniserie televisiva del 2003 tratta dall’omonima opera teatrale.
21
Laberge, p.33, 1994 in Le Breton 2002.
17
18
8
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-
Le Breton, David. L'adieu au corps. Editions Métailié. (1999)
-
Schütz Alfred., On multiple realities, in Id., Collected Papers, vol.I, Martinus Nijhoff, The
Hague. (1962)
-
Schütz, Alfred. "Sulle realtà multiple." Saggi sociologici, Utet, Torino (1979): 203.7
-
Thoits, Peggy A. "La sociologia delle emozioni." La sociologia delle emozioni. Edizioni
Anabasi, Milano (1995).
9
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