ANDREA GIUSSANI Situazioni soggettive superindividuali, azioni collettive e class actions: contributo alla teoria generale Relazione per l’incontro di studio del Consiglio Superiore della Magistratura sul tema: “Nuove forme di tutela processuale e nuove legittimazioni ad agire” – Roma, 27-28 marzo 2008 Sommario: 1. Azione civile collettiva e situazione sostanziale di vantaggio. – 2. Contenzioso di serie e accesso alla giustizia. – 3. Azione collettiva e deterrenza delle condotte illecite. – 4. Azione collettiva risarcitoria ed economia processuale. 1. – Non è consolidato il concetto di azione civile collettiva1: si rende dunque necessario prendere subito una posizione netta nel senso che debba qui parlarsi dell’azione collettiva intendendola come situazione di vantaggio avente ad oggetto un provvedimento sul merito, da parte del giudice di cognizione, di portata superindividuale, sia che il provvedimento abbia ad oggetto situazioni di vantaggio a loro volta di portata superindividuale (denominabili come interessi collettivi o diffusi), sia che esso abbia ad oggetto una pluralità di situazioni di vantaggio individuali omogenee, allorché sia possibile dedurle in un unico giudizio ad opera di un soggetto legittimato a farlo in vista della sua rappresentatività rispetto alla categoria dei titolari di tali situazioni: in entrambi i casi, infatti, la questione fondamentale concerne l’accesso a un’utilità giuridica non escludibile da parte di più soggetti. Pertanto, altro è che si riconoscano situazioni sostanziali di vantaggio di portata collettiva, altro è che si riconoscano azioni collettive: possono quindi darsi sia situazioni sostanziali di vantaggio di portata collettiva tutelabili in via individuale, sia situazioni sostanziali di vantaggio individuali passibili di essere fatte valere, ai fini del conseguimento della tutela giurisdizionale, tramite azioni civili collettive. Vale la pena di sottolineare subito che l’azione collettiva non è in sé qualificabile come diritto costituzionalmente protetto in capo a uno specifico titolare al pari dell’azione individuale: la sua previsione legislativa può essere costituzionalmente doverosa, proprio per assicurare effettività alla tutela dei diritti soggettivi individuali, ma la sua imputazione plurisoggettiva può implicare che a livello individuale la sua titolarità sia relativamente più fragile, a causa, oltre che della possibilità della sua unilaterale consumazione da parte di uno qualsiasi dei titolari, anche della sua inidoneità a prevalere sulla manifestazione di volontà contraria da parte del titolare del diritto soggettivo potenzialmente destinatario degli effetti della pronuncia giurisdizionale richiesta. La portata collettiva della situazione di vantaggio si ricollega essenzialmente alla circostanza che il bene della vita conseguibile tramite il suo esercizio non sia escludibile: colui che se ne assicuri la fruizione non può impedire che altri interessati ne fruiscano egualmente2. A volte ciò dipende dalla circostanza che sia eccessivamente costoso o addirittura materialmente impossibile impedire ad altri l’eguale fruizione della stessa utilità (nel tipico esempio, la cessazione di un’immissione giova anche al condomino di colui che l’abbia richiesta senza che quest’ultimo possa materialmente impedirlo), a volte da un’ulteriore regola giuridica (tipicamente nel caso delle situazioni soggettive nei confronti della p.a., tenuta ad assicurare parità di trattamento: il ricorrente non può impedire giuridicamente che l’annullamento dell’atto collettivo giovi anche ai cointeressati), ma quel che rileva è che sia insuscettibile di appropriazione esclusiva il bene della vita oggetto della tutela. Nelle culture giuridiche derivate dalla tradizione romanistica si è sovente dubitato che le utilità insuscettibili di appropriazione esclusiva possano formare oggetto di diritti soggettivi, talora affermandosi che la loro tutela spetta solo alla p.a., salvo il controllo, in sede di giurisdizione amministrativa, sulla legittimità dell’esercizio di tale potere (anch’esso inoltre accessibile solo a quanti siano titolari di una posizione giuridicamente differenziata, rispetto alla generalità dei consociati, tale da qualificarne l’interesse al corretto esercizio dell’azione amministrativa come legittimo). Da molti anni, però, si riconosce prevalentemente che questo genere di situazione di vantaggio può inquadrarsi nello schema dell’obbligazione solidale dal lato attivo, riferita a prestazioni indivisibili di fare o di non fare: anche i diritti soggettivi tutelabili dalla giurisdizione civile possono dunque, come gli interessi legittimi tutelabili dalla giurisdizione amministrativa, assumere portata superindividuale avendo ad oggetto utilità insuscettibili di appropriazione esclusiva3. Capita tuttavia sempre più di frequente che il legislatore sostanziale protegga situazioni di vantaggio qualificandole esplicitamente come situazioni superindividuali, definendole, anziché come diritti soggettivi, come interessi collettivi. Questa opzione – ispirata soprattutto dalle fonti comunitarie – permette che la disciplina della tutela giurisdizionale della situazione di vantaggio non si ritrovi più necessariamente nell’art. 24 cost. – letteralmente applicabile solo ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi – e influisce soprattutto sul regime della legittimazione a far 1 Sulle incertezze lessicali italiane v., per es., S. Chiarloni, Per la chiarezza delle idee in tema di tutele collettive dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, pp. 567 ss.; cfr. altresì, sulla questione terminologica, anche per ulteriori riferimenti, per es. A. Gidi, Class Actions in Brasil: A Model for Civil Law Countries, in American Journal of Comparative Law, 2003, pp. 334 ss. (leggibile anche in lingua romanza: v. Las acciones colectivas y la tutela de los derechos difusos, colectivos e individuales in Brasil, México, 2004, pp. 31 ss.). 2 Per una formulazione molto influente di questo collegamento, anche presso le culture giuridiche straniere, v. V. Denti, Interessi diffusi, in Noviss. dig. it., Appendice, IV, Torino, 1983, pp. 305 ss. 3 V., per un recente autorevole esempio di questa prevalente impostazione, da ult., G. Costantino, La tutela collettiva: un tentativo di proposta ragionevole, in Foro it., 2007, IV, cc. 140 ss. 1 valere in giudizio la situazione di vantaggio e sui limiti soggettivi di efficacia del giudicato formatosi sulla conseguente pronuncia giurisdizionale di merito. Sotto il primo profilo, la qualificazione dalla situazione di vantaggio come interesse collettivo permette che la legittimazione ad agire, oltre ad essere conferita ad un soggetto diverso dal fruitore delle sue utilità, non sia affatto conferita a quest’ultimo: la legittimazione a far valere gli interessi collettivi dei consumatori può essere conferita dalla legge a un’associazione rappresentativa della categoria, e non spettare ai singoli consumatori direttamente colpiti nella loro sfera patrimoniale dalla condotta lesiva di tali interessi4. Sotto il secondo profilo, può darsi che la sentenza di rigetto della domanda di tutela dell’interesse collettivo proposta da un’associazione sia opponibile ad un’altra associazione collegittimata, ancorché quest’ultima non abbia partecipato né sia stata concretamente posta in grado di partecipare al relativo procedimento tramite notizia legale della sua pendenza: l’art. 24 cost., infatti, impedisce che un diritto sia sprovvisto di azione, ma non impedisce che un’azione con cui non si eserciti un diritto né un interesse legittimo – ossia un’azione a tutela di un mero interesse collettivo – sia protetta solo nella misura discrezionalmente stabilita dal legislatore ordinario, e quindi sia anche regolata in modo da poter essere pregiudicata da un giudicato inter alios (mentre un siffatto pregiudizio a un’azione a tutela di una situazione di vantaggio qualificata dal legislatore sostanziale come vero e proprio diritto soggettivo è assai difficilmente compatibile con la garanzia costituzionale in discorso)5. Naturalmente per chi non ami che possa darsi azione senza diritto queste implicazioni possono risultare difficili da accettare: che possa prodursi efficacia del giudicato ultra partes e, a monte, che possa attribuirsi la legittimazione a soggetti diversi da quelli direttamente colpiti dall’illecito, sembra troppo difforme dai principi generali. Tuttavia la prevalenza della concezione polisemica dell’azione spiega perché di solito si affermi che l’interesse collettivo si sovrappone ai diritti soggettivi di quanti siano direttamente colpiti dall’illecito: quest’ultimo si qualifica come plurioffensivo, nel senso che lede situazioni soggettive di tipo diverso, sicché nessun effetto ultra partes del giudicato può prodursi in pregiudizio dei diritti soggettivi individuali (benché si produca comunque una efficacia di precedente fortemente persuasivo, tale da escludere di fatto il rischio di reiterazione della domanda, sia da parte dei singoli, sia da parte delle altre associazioni, anche a prescindere dalla opponibilità del giudicato)6. La circostanza che la qualificazione sostanziale della situazione di vantaggio abbia implicazioni nella disciplina del processo non deve però indurre ad appiattire il concetto di azione civile collettiva sulla tutela dell’interesse collettivo: in astratto nessun ostacolo di ordine logico-giuridico impedisce che la tutela dell’interesse collettivo sia regolata in maniera corrispondente a quella del diritto soggettivo (attribuendo la legittimazione a farla valere in giudizio a ciascun fruitore delle utilità assicurate dalla protezione della situazione di vantaggio ed escludendo effetti ultra partes del giudicato), e del pari niente impedisce (anzi, come si vedrà, molte ragioni suggeriscono) che la tutela della situazione di vantaggio qualificata dal legislatore come diritto soggettivo possa essere regolata – ovviamente entro i limiti posti dall’art. 24 cost. – in maniera tale, sotto il profilo della legittimazione ad agire, da giustificare il ricorso al concetto di azione collettiva nelle ipotesi di serialità del conflitto, in cui – come si vedrà più avanti – la stessa sentenza favorevole costituisce un bene non escludibile. A ulteriore chiarimento di quanto appena affermato si può rimarcare che la situazione di vantaggio superindividuale, al pari delle situazioni individuali omogenee deducibili in via collettiva, può, a seconda delle previsioni normative su cui si fonda, formare oggetto di tutela di piena condanna (in guisa da costituire anche titolo per l’esecuzione forzata, ossia per realizzare, attraverso misure penalizzanti per il patrimonio del condannato o per la sua capacità di disporne, l’effettivo adeguamento della realtà materiale alla realtà giuridica accertata7), sia inibitoria (da concepirsi, ai fini che qui interessano, come condanna a cessare la condotta illegittima – commissiva o omissiva che sia – e a rimuoverne gli effetti: ma sul punto si avrà modo di ritornare), sia risarcitoria (ossia di condanna al risarcimento del danno), oltre che, a fortiori, di tutela di mero accertamento della sua esistenza nonché eventualmente di tutela 4 Almeno secondo l’interpretazione prevalente (v. però, per un esempio della minoritaria ma plausibile tesi secondo cui in Italia la legittimazione concorrente dei singoli sarebbe sempre costituzionalmente doverosa, I. Pagni, Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (prime riflessioni sull’art. 3, l. 30.7.1998, n. 281), in La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (l. 30 luglio 1998, n. 281), a cura di A. Barba, Napoli, 2000, p. 143; contra, però, v., per es., Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7036, in Foro it., 2006, I, cc. 1715 ss.). 5 In proposito cfr., per es., i rilievi di L. Montesano, Tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e dei concessionari dei servizi di pubblica utilità nelle normative sulle clausole abusive e sulle autorità di regolazione, in Riv. dir. proc., 1997, pp. 9 ss. 6 Per un’ampia e recente bibliografia sul dibattito italiano in materia v., per es., E. Marinucci, Azioni collettive e azioni inibitorie da parte delle associazioni dei consumatori, in Consumatori e processo. La tutela degli interessi collettivi dei consumatori, a cura di S. Chiarloni e P. Fiorio, Torino, 2005, pp. 68 ss.; per un efficace panorama delle soluzioni prevalenti negli altri ordinamenti europei v., per es., H. Koch, Die Verbandsklage in Europa, in 113 Zeitschrift für Zivilprozess, 2000, pp. 413 ss.; più di recente v. anche lo stesso H. Koch, Prozessführung bei complexen Verfahren in Europa, in The Coming Together of Procedural Laws in Europe, a cura di M. Storme, Antwerp, 2003, pp. 373 ss.; cfr. altresì il più risalente, ma ancora significativo lavoro di M. Cappelletti e B.G. Garth, Finding an Appropriate Compromise: a Comparative Study of Individualistic Models and Group Rights in Civil Procedure, in 2 Civil Justice Quarterly, 1983, p. 111 ss. 7 Valga ciò a rendere esplicita l’adesione, in questo scritto, alla concezione ampia della tutela di condanna, a beneficio di quanti siano disposti ad accoglierla almeno in via stipulativa (v., per es., per questa attitudine, e per gli opportuni riferimenti alle argomentazioni in favore delle tesi più restrittive, da ult., Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Torino, 200618, pp. 67 ss.). 2 costitutiva (ossia tale per cui gli effetti nel tempo dell’accertamento giurisdizionale si producano secondo regole speciali8), avendo tali forme carattere prodromico alla tutela di condanna. La sua funzione – come d’altronde si evince dal regime della legittimazione ad agire – consiste infatti comunque nel favorire la deterrenza delle condotte illecite – in particolare di quelle pregiudizievoli per ampie pluralità di persone – per ragioni di politica del diritto di volta in volta individuate dal legislatore, sicché non vi è nessun motivo per escludere che possa prevedersi altresì la risarcibilità del pregiudizio patrimoniale e (proprio in tali categorie di casi) anche non patrimoniale determinato dall’illecito lesivo della situazione soggettiva, benché essa sia superindividuale9. Per sostenere il contrario si dovrebbe escludere che il sistema della tutela risarcitoria possa cooperare alla funzione di deterrenza delle condotte illecite: in questo senso è invero ancora diffuso un pregiudizio, sviluppatosi sulla base di spunti offerti dalla giurisprudenza tedesca10, da cui però l’esame del diritto positivo italiano induce a diffidare. Ancorché ciò non sia previsto in via generale, la legge nazionale infatti già contempla da tempo varie particolari ipotesi in cui l’autore di un illecito è tenuto a versare alla sua vittima somme di danaro senza bisogno di prova di alcun pregiudizio, in funzione di stretta deterrenza: ad esempio, per i casi di diffamazione viene esplicitamente stabilito che si condanni l’autore al pagamento di una somma ulteriore rispetto al danno patrimoniale e non patrimoniale, con funzione di pena privata giudiziale non determinata nel massimo e applicabile solo alle condotte dolose11. La legislazione più recente, inoltre, contempla sempre più spesso pene pecuniarie private, a volte su impulso del diritto comunitario, a volte semplicemente ispirandosi ad esperienze straniere: ad esempio, deriva dal diritto comunitario l’introduzione della sanzione pecuniaria civile, da corrispondersi alla controparte, per i casi di inottemperanza al provvedimento inibitorio di tutela di interessi collettivi in materia di ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, in funzione di misura coercitiva12; costituisce invece un’elaborazione soltanto ispirata alle esperienze straniere l’introduzione della sanzione pecuniaria civile da corrispondere alla controparte per i casi di proposizione temeraria del ricorso per cassazione o temeraria resistenza allo stesso13. Pertanto, concludere – come a 8 Come nella nota precedente, deve sottolinearsi il carattere meramente stipulativo di siffatta individuazione del proprium di tale categoria, la cui assenza in altre importanti culture giuridiche permette che qui si prescinda dal discuterne la natura giuridica (a cui si dedicano già, d’altronde, non infrequenti contributi di ampio spessore: v., per es., M. Fornaciari, Situazioni potestative, tutela costitutiva, giudicato, Torino, 1999, passim). 9 Secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. avallata da Corte cost. 30 giugno 2003, n. 233, in Foro it., 2003, I, cc. 2201 ss., il risarcimento del danno non patrimoniale non richiede esplicite previsioni di legge ove siano in gioco la tutela della persona o altri valori di rilevanza costituzionale, ma le norme con cui si prevede la tutela di situazioni soggettive superindividuali, giustificate soprattutto da obiettivi di deterrenza facilmente permettono anche più o meno esplicitamente la tutela risarcitoria, benché il danno sia prevalentemente non patrimoniale: v. per es. l’art. 27 della l. 7 dicembre 2000, n. 383. 10 V. già BGH, 4 giugno 1992, in Neue Juristische Wochenschrift, 1992, pp. 3096 ss. (su cui v. già i rilievi critici di A. Saravalle, I punitive damages nelle sentenze delle Corti europee e dei tribunali arbitrali, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1993, pp. 867 ss.); BVerfG, 17 dicembre 1994, in Neue Juristische Wochenschrift, 1995, c. 649 (ma proprio in Germania v. invece, da ult., in senso favorevole al riconoscimento, BVerfG, 24 gennaio 2007, in Recht der internationalen Wirtschaft, 2007, pp. 211 s., su cui cfr. i commenti a caldo di H.R. Röhm e R.A. Schütze, Die Bilanzierung von Class Action-Risiken, ivi, pp. 241 ss.; A.G. Berger e S. Wilske, Der U.S. Supreme Court und Punitive Damages. Eine überraschende Erkenntnis aus einer Nicht-Entscheidung, ivi, pp. 245 ss.; J. von Hein, BVerfG gestattet Zustellung einer US-amerikanischen Klage auf Punitive Damages. Entspannung im transatlantischen Justizkonflikt?, ivi, pp. 249 ss.); su tale scia v. poi App. Venezia, 15 ottobre 2001, in Riv. dir. int. priv. proc., 2002, p. 1021 ss. (sulla quale v., per rilievi critici, per es., Z. Crespi Reghizzi, Sulla contrarietà all’ordine pubblico di una sentenza straniera di condanna a punitive damages, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2002, pp. 977 ss.; S. Corongiu, Pregiudizio subito e quantum risarcitorio nelle sentenze di punitive damages: l’impossibile riconoscimento in Italia, in Int’l Lis, 2004, pp. 89 ss.; G. Campeis e A. De Pauli, Danni punitivi, ordine pubblico e sentenze straniere delibande a contenuto anfibio, in Nuova giur. civ. comm., 2002, I, pp. 771 ss.), e da ult. Cass., 19 gennaio 2007, n. 1183, in Foro it., 2007, I, cc. 1460 ss., con nota critica di G. Ponzanelli, Danni punitivi: no, grazie, e in Corr. giur., 2007, pp. 497 ss., con nota adesiva di P. Fava, Punitive damages e ordine pubblico: la Cassazione blocca lo sbarco. 11 V., esplicitamente in tal senso, l’applicazione dell’art. 12 della l. 8 febbraio 1948, n. 47, da parte di Cass., 7 novembre 2000, n. 14485, in Giur. it., 2001, pp. 1360 ss. (sull’inquadramento di tale fattispecie cfr. già, per es., anche per ulteriori riferimenti, F.D. Busnelli, Verso una riscoperta delle pene private?, in Le pene private, a cura di F.D. Busnelli e G. Scalfi, Milano, 1985, pp. 3 ss.; C.M. Bianca, Riflessioni sulla pena privata, ivi, pp. 407 ss.; V. Zeno-Zencovich, Il risarcimento esemplare per diffamazione nel diritto americano e la riparazione pecuniaria ex art. 12 legge sulla stampa, in Resp. civ. prev., 1983, pp. 40 ss.; P. Cendon, Pena privata e diffamazione, in Pol. dir., 1979, pp. 149 ss.). 12 V. l’art. 8 del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, attuativo della direttiva 00/35/CE (forse proprio suggestioni teutoniche hanno indotto G. De Cristofaro, Obbligazioni pecuniarie e contratti d’impresa: i nuovi strumenti di “lotta” contro i ritardi nel pagamento dei corrispettivi di beni e servizi, in Studium juris, 2003, I, p. 14, a ritenere che il destinatario delle somme sia lo stato, e D. Amadei, Le disposizioni processuali del d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231: la tutela degli interessi collettivi e le modifiche al procedimento d’ingiunzione (seconda parte), in Resp. civ. prev., 2003, pp. 899 s., a ritenere non chiara la questione: il richiamo alle norme menzionate in queste ultime note dovrebbe dimostrare che nulla impedisce di accedere alla più semplice interpretazione della norma, secondo cui esse spettano a quell’associazione che abbia fatto valere l’interesse collettivo, immediatamente raggiunta da G. De Nova e S. De Nova, I ritardi di pagamento nei contratti commerciali, Milano, 2003, p. 36). 13 V., per il rilevo che la comparazione con le esperienze straniere potrebbe suggerire interventi ben più incisivi di quello realizzato con la recente novellazione dell’art. 385 c.p.c. cui si allude nel testo, A. Dondi e A. Giussani, Appunti sul problema dell’abuso del processo civile nella prospettiva de iure condendo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, pp. 193 ss.; v. anche, per la (de iure condito assai più problematica) qualificazione della responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. come danno punitivo, 3 volte accade in giurisprudenza – che i danni punitivi siano in quanto tali contrari all’ordine pubblico italiano appare a sua volta in verità alquanto temerario dal punto di vista interpretativo14. Naturalmente in Italia è pur sempre necessario che l’inibitoria assistita da misure coercitive pecuniarie sia specificamente prevista dalla legge ai fini della tutela dell’interesse collettivo: secondo l’impostazione prevalente, infatti, tale forma di tutela non assume carattere generale neppure ai fini della protezione dei veri e propri diritti soggettivi, sicché a maggior ragione ai fini della tutela di situazioni soggettive superindividuali un’esplicita indicazione legislativa risulta indispensabile15. L’ulteriore implicazione che la situazione soggettiva superindividuale sia altresì passibile di tutela risarcitoria può però costituire una altrettanto normale conseguenza della funzione di deterrenza civilistica attribuita dal legislatore alla tutela di questo genere di situazioni soggettive, soprattutto quando sia affidata a soggetti diversi da quanti siano direttamente vittime dell’illecito. Ovviamente, così come l’interesse collettivo di una categoria di soggetti si sovrappone ai diritti soggettivi dei suoi singoli componenti senza assorbirli né pregiudicarli, il danno all’interesse collettivo si aggiunge al danno prodotto ai singoli individui senza assorbirlo. Meno banalmente, però, può notarsi che la situazione di vantaggio avente ad oggetto il risarcimento del danno all’interesse collettivo si presenta a sua volta come una situazione di vantaggio in qualche misura superindividuale, perché la sua fruizione esclusiva è assicurata solo dalla sua tutela giurisdizionale: è congruo ritenere, infatti, che così come l’accoglimento della domanda inibitoria può consumare l’azione concreta, impedendo che altri collegittimati possano ulteriormente chiedere la cessazione della stessa condotta illegittima16, del pari l’accoglimento della correlata domanda risarcitoria produca un analogo effetto consumativo. Questa conclusione si impone infatti proprio alla luce della funzione di deterrenza di tale ipotesi di tutela risarcitoria: così come accade nelle esperienze straniere di riferimento, l’aspettativa di conseguimento della somma svolge una funzione di incentivo all’esercizio dell’azione, giustificata sia da funzioni di prevenzione generale e speciale, sia dall’obiettivo di assicurare effettività al diritto sostanziale in situazioni in cui, per ragioni di cui si darà meglio conto fra breve, l’accesso alla giustizia può essere ostacolato proprio dalla portata collettiva del conflitto, senza però che tale aspettativa formi oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo17. Trib. Torre Annunziata, 24 febbraio 2000 e 14 marzo 2000, in Danno e resp., 2000, pp. 1121 ss., con nota critica di A. Musy, Punitive damages e resistenza temeraria in giudizio: regole, definizioni e modelli istituzionali a confronto. 14 In dottrina si segnala, da ult., in adesione alla giurisprudenza restrittiva sopra menzionata, E. D’Alessandro, Pronunce americane di condanna al pagamento di punitive damages e problemi di riconoscimento in Italia, in Riv. dir. civ., 2007, pp. 383 ss., ove, pur riconoscendosi che essi, a seguito degli sviluppi della giurisprudenza statunitense, non sono affatto indeterminati nel limite massimo, né privi di proporzione rispetto al danno patrimoniale (in particolare dopo il tutto sommato neanche più recentissimo caso BMW of North America, Inc. v. Gore, 517 U.S., pp. 559 ss., 1996, anche in Foro it., 1996, IV, cc. 421 ss., con nota di G. Ponzanelli, L’incostituzionalità dei danni punitivi “grossly excessive”), se ne afferma la contrarietà all’ordine pubblico, non solo ai fini del diritto internazionale privato, ma addirittura ai fini del mero riconoscimento della sentenza (al quale peraltro secondo alcuni dovrebbero applicarsi gli stessi principi: v., per es., anche per riferimenti alla dominante interpretazione contraria, Crespi Reghizzi, Sulla contrarietà all’ordine pubblico di una sentenza straniera di condanna a punitive damages, cit., pp. 988 ss.), semplicemente perché di applicazione generale, poiché ciò implicherebbe uno stravolgimento delle funzioni della responsabilità civile tale da renderne predominanti le finalità sanzionatorie (il che però equivale a sostenere che siano contrarie all’ordine pubblico le sentenze di divorzio per mutuo consenso o per colpa comune: per l’osservazione – invero alquanto banale – che un istituto non può essere contrario all’ordine pubblico, soprattutto in sede di mera delibazione della sentenza straniera, solo perché di applicazione generale anziché limitata a casi tipici, benché da tale generalità possa ben discendere un significativo mutamento di funzioni dell’istituto – salvo non potersi invece riconoscere la sentenza di divorzio non fondata sul disfacimento della comunione familiare, appunto perché ciò in Italia non è ammesso in alcuna ipotesi –, v., per es., fra le più recenti, anche per ulteriori riferimenti, Cass. 28 maggio 2004, n. 10378; in senso generalmente favorevole alla riconoscibilità di tali pronunce v. invece, per es., oltre ai riferimenti poc’anzi indicati, G. Broggini, Compatibilità di sentenze straniere di condanna al risarcimento di “punitive damages” con il diritto europeo della responsabilità civile, in Eur. dir. priv., 1999, pp. 479 ss.; P. Sirena, Il risarcimento dei c.d. danni punitivi e la restituzione dell’arricchimento senza causa, in Riv. dir. civ., 2006, pp. 531 ss.); cfr. anche, da ult., il Considerando 32 del Reg. CE 864/07 (c.d. Roma II), con cui si indica, con riferimento alla disposizione di cui all’art. 26, che le condanne al pagamento di punitive damages possono considerarsi contrarie all’ordine pubblico solo se eccessive. 15 Benché autorevole dottrina abbia affermato la doverosità costituzionale della previsione di una tutela inibitoria avverso l’illecito civile assistita da misure coercitive di portata generale (v. specialmente M. Taruffo, Note sul diritto alla condanna e all’esecuzione, in Riv. cri. dir. priv., 1986, pp. 635 ss.; C. Rapisarda e M. Taruffo, Inibitoria (azione): I) diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, pp. 9 ss., continua a prevalere l’impostazione più restrittiva (v., per es., in giurisprudenza, nel senso che ai fini dell’applicazione della tutela inibitoria non possa andarsi oltre l’interpretazione analogica delle disposizioni di settore, Cass. 25 luglio 1986, n. 4755, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, pp. 386 ss., con nota di M. Libertini; in dottrina v., in favore di questo secondo approccio, in particolare S. Chiarloni, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980, p. 222 ss.). 16 Secondo i principi generali per l’esposizione dei quali si può ancora rinviare alla classica trattazione di E.T. Liebman, Azioni concorrenti, in Studi in memoria di Umberto Ratti, Milano, 1935, pp. 663 ss. 17 Per quel che riguarda i punitive damages del diritto statunitense, la questione può dirsi pacifica: in giurisprudenza v., per es., già In re “Dalkon Shield” IUD Prods. Liab. Litig., 526 Federal Supp., pp. 887 ss. (N.D. Cal. 1981), spec. p. 898, e più di recente In re Simon II Litig., 211 Federal Rules Decisions, pp. 86 ss. (E.D. N.Y. 2002), spec. p. 162; in dottrina cfr., per es., E.J. Cabraser e Th.M. Sobol, Equity for the Victims, Equity for the Transgressor: The Classwide Treatment of Punitive Damages Claims, in 74 Tulane Law Review, 2000, p. 2006; R.A. Nagareda, Punitive Damages Class Actions and the Baseline of Tort, in 36 Wake Forest Law Review, 2001, p. 949; C.M. Sharkey, Punitive Damages as Societal Damages, in 113 Yale Law Journal, 2003, pp. 347 ss.; S. 4 A conclusione di questo panorama introduttivo sul rapporto fra la portata individuale o collettiva della situazione sostanziale di vantaggio e quella del procedimento di cognizione diretto alla sua tutela si deve osservare, per un verso, che la possibilità di una tutela della situazione sostanziale superindividuale secondo le regole ordinarie (sicché l’interesse collettivo venga fatto valere dal singolo direttamente colpito dalla condotta lesiva senza effetti ultra partes del giudicato) non è radicalmente esclusa dalla legge18, ma è di quasi nulla importanza pratica per quelle stesse ragioni che inducono il legislatore a configurare la tutelabilità dell’interesse collettivo attraverso l’azione collettiva: ciò accade infatti in presenza di ostacoli di fatto all’accesso alla giustizia impeditivi della tutela degli stessi diritti soggettivi, sicché a maggior ragione tali ostacoli impediscono la tutela in via individuale dell’interesse collettivo. Per altro verso si deve però aggiungere che regole processuali speciali idonee a configurare una tutela giurisdizionale collettiva di situazioni di vantaggio individuali, con effetti esecutivi e di giudicato pieni e diretti, favorevoli e sfavorevoli, rispetto ai titolari di tali situazioni, non sono affatto prive di rilevanza pratica: in loro presenza è infatti possibile che gli ostacoli all’accesso alla giustizia vengano superati in maniera ancora più efficiente. La disciplina speciale della tutela risarcitoria in un unico procedimento civile di una pluralità di diritti individuali omogenei – ossia violati dalla medesima azione, omissione o condotta abituale del medesimo soggetto – però, pur avendo sviluppato numerosi aspetti ricollegati alla conseguente complessità dell’oggetto del giudizio, risulta essere in Italia poco evoluta nel tenere conto proprio dei problemi di accesso alla giustizia tipicamente presenti in tali situazioni. Come si procederà a illustrare tra breve, questa lacuna comporta a sua volta effetti di sottodeterrenza delle condotte illecite nocivi per il sistema economico e per la ricchezza complessiva del paese, nonché diseconomie nell’allocazione delle risorse giurisdizionali nocive per l’efficienza dell’amministrazione della giustizia e per la stessa sovranità nazionale. 2. – Gli ostacoli di fatto all’accesso alla giustizia a tutela dei diritti individuali omogenei sono stati identificati da così tanto tempo da costituire ormai un luogo privilegiato di dibattito per la letteratura scientifica in materia di teoria delle decisioni razionali. Il punto di partenza dell’analisi è costituito dalla notissima distinzione fra “parti abituali” e “parti occasionali”19: il contenzioso a tutela dei diritti individuali omogenei è inevitabilmente ripetitivo, sicché l’avversario del gruppo, oltre a fruire di economie di scala e vantaggi strategici nella sua gestione – sia sul piano dell’accesso alle informazioni, sia su quello dell’influenza sulla formazione delle regole di decisione –, è razionalmente indotto a investire nella lite somme assai più considerevoli di quelle che ciascuno dei componenti del gruppo stesso può a sua volta razionalmente investire. Questo divario nella propensione a investire nella causa dipende soprattutto dall’asimmetria delle poste in gioco determinata dall’efficacia del precedente giudiziario: anche quando quest’ultimo non assume formalmente il valore di fonte del diritto, la sua influenza sulla risoluzione giurisdizionale delle controversie caratterizzate dalle stesse questioni giuridiche e fattuali è comunque decisiva20, sicché per la parte abituale – ma non per la parte occasionale – il valore effettivo della causa in via individuale promossa per prima corrisponde approssimativamente alla somma dei valori di tutte le altre potenziali controversie isomorfe relative a diritti omogenei. L’importanza pratica di questo divario dipende a sua volta dalla circostanza che investire nella lite, oltre a incrementare le probabilità di vincerla, permette anche nel peggiore dei casi di infliggere all’avversario costi non ripetibili: la loro proporzione rispetto agli investimenti compiuti varia a seconda di molti fattori – anzitutto a seconda del regime della responsabilità per le spese in caso di soccombenza – ma in ogni sistema è possibile, purché il gruppo delle parti occasionali sia abbastanza grande, che il valore effettivo della causa per la parte abituale sia superiore alla somma necessaria a infliggere alla parte occasionale costi non ripetibili superiori al valore della sua singola pretesa; la strategia processuale intimidatoria della parte abituale può dunque rendere economicamente irrazionale la coltivazione della pretesa individuale, rendendone negativo il valore attuale persino laddove il suo valore nominale sia considerevole e l’apparenza di fondatezza della domanda sia manifesta. Apparentemente la strategia intimidatoria della parte abituale è di corto respiro: per infliggere all’avversario costi non ripetibili superiori al valore della pretesa individuale occorre di norma investire almeno altrettanto, sicché il saldo complessivo, se si dovesse adottare la strategia nei confronti di tutte le parti occasionali, sarebbe negativo21. Ma se Mesulam, Collective Rewards and Limited Punishment: Solving the Punitive Damages Dilemma with Class, in 104 Columbia Law Review, 2004, pp. 1139 s.; da ult., A.B. Klass, Punitive Damages and Valuing Harm, in 92 Minnesota Law Review (in corso di pubblicazione); a conferma di ciò si può notare anche che diversi stati federati ne prevedono la parziale attribuzione a enti di beneficienza o organi pubblici (per riferimenti v., per es., ancora Sharkey, Punitive Damages as Societal Damages, cit., pp. 375 ss.). 18 Vi è anzi chi ne afferma la doverosità costituzionale (v. quanto riferito supra, nota 4). 19 È obbligatorio in proposito richiamare il celebre contributo di M. Galanter, Why the “Haves” Come Out Ahead: Speculations on the Limits of Legal Change, in Law & Society, 1974, pp. 95 ss., di cui si può leggere anche una trad. it. Perché gli abbienti si avvantaggiano. Riflessioni sui limiti del riformismo giuridico, in Pol. dir., 1976, pp. 307 ss. 20 Com’è noto, le differenze in proposito fra i sistemi di common law e gli ordinamenti di derivazione romanistica non possono essere sopravvalutate (v., per es., per una sintesi dei termini del problema, M. Taruffo, Per un’analisi comparativa del precedente giudiziario, in Ragion pratica, 1996, VI, pp. 55 ss.; per maggiori approfondimenti v., per es., Interpreting Precedents. A Comparative Study, a cura di D.N. MacCormick, e R.S. Summers, Sydney, 1997, passim). 21 Una obiezione di questo tipo si ritrova nella prima edizione dell’opera di R.A. Posner, Economic Analysis of Law, Boston, 1972, p. 345 s., ma non più nelle edizioni successive. 5 la parte abituale può costruirsi una reputazione di intransigenza22 – ed è facile che essa abbia comunque ottime ragioni per farlo23 –, non è necessario eseguire concretamente la minaccia nei confronti di alcuna parte occasionale, a meno che sussistano particolari condizioni di contorno: per ciascuna di loro, infatti, prendere l’iniziativa è irrazionale, perché la sentenza favorevole costituisce un tipico caso di bene la cui utilità è non escludibile e non consumabile, pertanto qualificabile (oltre che come bene pubblico per la generalità dei consociati, al pari di qualsiasi sentenza, dal punto di vista della sua portata esplicativa del diritto positivo24, anche) come bene comune rispetto ai componenti del gruppo interessati ad avvalersi della sua pronuncia ai fini della risoluzione delle loro attuali controversie; per il conseguimento di questo genere di bene occorre dunque superare la dominanza del comportamento opportunistico. La questione della razionalità dell’opportunismo quando sia in gioco il conseguimento di un bene non escludibile è da tempo centrale nella teoria delle decisioni razionali: è soprattutto in vista di tale analisi che si ravvisa la dimensione superindividuale della situazione sostanziale di vantaggio e – come si è accennato in precedenza – si giustificano regole speciali in tema di legittimazione ad agire ed effetti del giudicato ai fini della sua tutela. Il punto di partenza consiste nell’osservazione che in mancanza di un sistema di ripartizione fra gli interessati dei costi necessari per il conseguimento del bene, se questi sono superiori al valore del bene stesso per il singolo interessato, l’equilibrio delle scelte razionali individuali è subottimale: il mercato fallisce perché per ciascuno degli interessati è preferibile attendere che siano altri a prendere l’iniziativa, onde poi fruire dei benefici a costo nullo, sicché il bene non viene conseguito affatto anche se i benefici complessivi del suo conseguimento sono superiori ai suoi costi25. Naturalmente lo stallo può essere superato in presenza (come si è accennato) di condizioni particolari: in particolare se il gruppo degli interessati è poco numeroso, o è molto coeso socialmente, la ripartizione dei costi può comunque aver luogo anche in via informale e l’attivazione collettiva per il conseguimento del bene comune può rendersi concretamente praticabile26. È quasi inevitabile, in proposito, rammentare il fondamento pratico della preferenza della cultura marxista per la classe operaia, rispetto a quella contadina, quale guida dell’attività rivoluzionaria o anche solo sindacale27: l’intensa convivenza forzata sul luogo di lavoro assicura un grado di coesione sociale spesso sufficiente a permettere l’attivazione collettiva, dato che le sanzioni sociali per il crumiro possono acquisire una elevata effettività (e negli stessi termini sembra spiegabile la circostanza che le proteste organizzate dei viaggiatori per i ritardi ferroviari riguardino sempre i treni a breve percorrenza, nonostante che i loro ritardi siano – 22 Secondo la teoria delle decisioni razionali, nei c.d. giochi di minaccia l’egemonia del “falco” dipende dalla sua reputazione di massimizzatore di differenza piuttosto che di utilità (v., per una classica introduzione al problema, H. Hamburger, Games as Models of Social Phenomena, San Francisco, 1979, pp. 69 ss., di cui v. anche una parziale tr. it. in Giochi e paradossi in politica, a cura di G.E. Rusconi, Torino, 1989, pp. 43 ss.), come tale soggetta, sul lungo periodo, a un declino (v., per es., J.E. Alt, R.L. Calvert e B.D. Humes, Reputation and Hegemonic Stability: a Game-Theoretic Analysis, in 82 American Political Science Review, 1988, II, pp. 445 ss., di cui v. anche una trad. it. in Giochi e paradossi in politica, cit., pp. 255 ss.); tuttavia, se il falco può rendere noto un impegno irrevocabile all’esecuzione della minaccia, non subisce la “fallacia del ricattatore”, e il “gioco di contrattazione” diventa un “gioco di ultimatum” in cui egli detta unilateralmente le condizioni (v. ampiamente J.C. Harsanyi, Rational Behavior and Bargaining Equilibrium in Games and Social Situations, Cambridge, 1977, trad. it., Comportamento razionale ed equilibrio di contrattazione, Milano, 1985, pp. 279 ss.). 23 Negli Stati Uniti si è suggerito alle imprese “a rischio” di rendere pubblici accordi che le vincolino reciprocamente all’assistenza giudiziaria reciproca e alla strenua difesa – senza possibilità di accettare transazioni – nelle cause proposte contro di loro (v., anche per una discussione della dubbia liceità di tale pattuizione, i due saggi di P.N. Sheridan, House Counsel Management of Mass Tort Litigation, e Sindell and its Sequelae, or from a Defendant Perspective, How to Manage Multiple-Party Litigation under Nontraditional Theories of Litigation, entrambi in Effective Coordination of Multiple Product Liability Litigation, a cura di R. Lawrence, F.C. Nelson e R.A. Rothman, New York, 1988, pp. 289 ss. e 349 ss.); una strategia di questa sorta – basata però meramente sulla reputazione, e così soggetta a un declino sul lungo periodo, soprattutto a causa delle dinamiche opportunistiche interne al gruppo delle parti abituali – è apparsa operare nel contesto del contenzioso legato alle sigarette (v., in proposito, per es., R.L. Rabin, A Sociolegal History of the Tobacco Tort Litigation, in 44 Stanford Law Review, 1992, pp. 853 ss.). 24 Questo effetto è particolarmente importante per gli ordinamenti di common law (v., in proposito, il celebre saggio di O. Fiss, Against Settlement, in 93 Yale Law Journal, 1984, pp. 1073 ss.), ma non è trascurabile in quelli di derivazione romanistica (nonostante le differenze in tema di efficacia del precedente: v., oltre a quanto già indicato, per es., M. Taruffo, Dimensioni del precedente giudiziario, in Studi in memoria di Gino Gorla, 1994, I, pp. 383 ss.); cfr. anche, a proposito della trasparenza nelle azioni collettive risarcitorie devolute in arbitrato, quanto si osserverà infra, nel par. 4. 25 Ormai classico in argomento è il testo di M. Olson, The Logic of Collective Action, Cambridge, 19712, p. 14 ss. (v. anche la trad. it., Logica dell’azione collettiva, Milano, 1981); è il caso di precisare che il bene, per le ragioni appena viste, è “a blocchi”, nel senso che richiede, per essere conseguito, la cooperazione di almeno una parte dei componenti del gruppo interessato (v., per un'analisi di questo profilo, per es. M. Taylor e H. Ward, Chikens, Whales and Lumpy Goods: Alternative Models of Public-Goods Provisions, in 30 Political Studies, 1982, p. 350 ss., trad. it. in Giochi e paradossi in politica, cit., p. 73 ss.). 26 Oltre a quanto indicato nella nota precedente, v. anche, sulla razionalità della cooperazione quando il gioco sia iterato, i giocatori siano più di due, sia riconoscibile il loro precedente comportamento, ed abbia propensioni cooperative una quota dei giocatori tanto minore quanto più il gruppo sia numeroso, il celebre lavoro di R. Axelrod, The Evolution of Cooperation, New York, 1984, trad. it. Giochi di reciprocità, Milano, 1985, p. 123 ss. (cui adde, per ulteriori sviluppi e riferimenti, per es. R. Gibbons, A primer in Game Theory, Harvester, 1992, trad. it. Teoria dei giochi, Bologna, 1994, pp. 227 ss.). 27 V. già K. Marx e F. Engels, Manifesto of the Communist Party, London, 1848 (e fra le varie trad. it., Manifesto del partito comunista, Roma, 1962, pp. 65 ss.), e successivamente, per es., V.I. Lenin, Что делать?, Stuttgart, 1902 (e per una trad. it. Che fare?, Roma, 1969, pp. 114 ss.). 6 come è normale che sia – di gran lunga inferiori a quelli dei treni a lunga percorrenza: i viaggiatori a breve percorrenza sono molto più facilmente pendolari la cui coesione sociale è evidentemente assai maggiore di quella dei viaggiatori occasionali dei treni a lunga percorrenza). Questi meccanismi, però, a loro volta falliscono quanto meno il gruppo è socialmente coeso e quanto più esso è ampio, perché i costi transattivi da sostenere per organizzare l’iniziativa collettiva e assicurare la ripartizione dei suoi oneri diventano troppo elevati: di conseguenza risultano, a parità di condizioni, di fatto escluse dall’accesso alla giustizia proprio le pretese derivanti dalle condotte illecite più pervasive. Di poco aiuto, inoltre, è la possibilità che le propensioni individuali al comportamento cooperativo (anziché a quello opportunistico da cui deriva la subottimalità dell’equilibrio delle scelte individuali) siano incrementate per effetto della percezione della prevalenza delle propensioni cooperative nei cointeressati: si è in effetti dimostrato che la propensione individuale alla cooperazione spontanea è di fatto influenzata da quelle dei cointeressati, e che la percezione delle propensioni altrui può essere a sua volta efficacemente influenzata da opportune strategie comunicative, in modo da favorire il raggiungimento di un equilibrio ottimale28; ma la realtà non cessa mai di mostrare esempi concreti di fallimenti del mercato prodotti dalla prevalenza delle condotte opportunistiche. È appena il caso di notare, poi, che sebbene in astratto nulla impedisca che una parte occasionale si faccia carico unilateralmente dei costi del conseguimento della sentenza favorevole per puro altruismo, non è ammissibile che l’effettività della garanzia dell’accesso alla giustizia per la tutela di diritti individuali omogenei debba dipendere da atti di eroismo individuale: fin troppo facile è rimarcare come debba considerarsi sfortunato un sistema del genere29. Una disciplina speciale per le controversie di serie diretta a superare gli effetti dell’asimmetria delle poste risulta pertanto doverosa già in considerazione della disciplina costituzionale dell’azione civile di cui è detto in precedenza. Una prima possibilità consiste nel prevedere la ripetibilità di tutte le spese: si può immaginare che se tutti i costi sostenuti dall’attore sono posti a carico del convenuto in caso di accoglimento della domanda, la condotta intimidatoria della parte abituale diventi inefficace, e che i suoi vantaggi strategici residui non risultino ostativi all’effettivo accesso alla giustizia della parte occasionale. Si tratta però di una scelta rischiosa: la regola del victus victori – in virtù della quale la parte soccombente risponde delle spese sostenute dall’avversario per la sua difesa – svolge una funzione importantissima nel rendere rilevante l’apparenza di fondatezza della domanda ai fini della decisione di agire in giudizio, assicurando efficienza nell’allocazione delle risorse giurisdizionali30, e attenua senza dubbio gli effetti impeditivi dell’effettivo accesso alla giustizia derivanti dall’asimmetria delle poste nel contenzioso di serie; i limiti alla sua applicazione, però – in particolare il principio dell’irripetibilità delle spese superflue –, sono coerenti con tale sua funzione, e manipolarli può risultare controproducente. La ripetibilità delle spese superlue, infatti, rischia di produrre effetti inflativi dell’attività processuale, e quindi di determinare sprechi nell’allocazione delle risorse giurisdizionali. Inoltre, anche se la ripetizione delle spese fosse globale, la necessità di attualizzare il valore della loro rifusione, in ragione della probabilità di conseguirla (determinata soprattutto, anche se non esclusivamente, dall’apparenza di fondatezza della domanda) e del tempo occorrente, implicherebbe comunque un costo del contenzioso (a meno di incrementare corrispondentemente la somma liquidata per la rifusione, ma, di nuovo, al prezzo di accentuare l’effetto inflativo delle attività processuali)31. È poi del tutto ovvio che favorire l’esercizio dell’azione in giudizio della parte occasionale attraverso pubbliche sovvenzioni aggraverebbe l’effetto inflativo, a meno di subordinarlo a valutazioni preliminari di apparenza di fondatezza della domanda (nonché di non superfluità dei vari atti del processo). Il sovvenzionamento pubblico di iniziative valutabili favorevolmente, invece, è senz’altro apprezzabile, ma presenta relativamente maggiori costi di gestione e tende a ricadere almeno in parte su contribuenti del tutto disinteressati al conflitto da risolvere32. La soluzione più congrua sembra quindi piuttosto quella di prevedere un incentivo economico all’esercizio dell’azione, da porre a carico della parte soccombente, più raffinato di quelli consistenti nel prevedere la ripetibilità di tutte le spese, o il loro incremento in ragione del rischio di non conseguirle: un incentivo parametrato, piuttosto, alla 28 V., anche per ampi riferimenti alle ricerche sul punto, D.M. Kahan, The Logic of Reciprocity: Trust, Collective Action, and Law, in 43 Michigan Law Review, 2003, pp. 71 ss. 29 È impossibile resistere alla tentazione di ricordare B. Brecht, Teatro, II, Torino, 1963, p. 779; si può altresì notare che il ragionamento formulato nel testo vale anche nell’ipotesi in cui si accetti l’idea che una propensione irrazionale – se non eroica – alla cooperazione spontanea fra gli esseri umani sia determinata a livello neurologico (in proposito v. per es. le ricerche empiriche illustrate in R. Catalano, La mente economica. Immagini e comportamenti di mercato, Bari, 2005, pp. 33 ss.). 30 In proposito v. già S. Shavell, Suit, Settlement, and Trial: A Theoretical Analysis Under Alternative Methods for the Allocation of Legal Costs, in 11 Journal of Legal Studies, 1982, pp. 55 ss. 31 Il premio per il rischio corso, presente in alcune esperienze statunitensi di liquidazione degli onorari di difesa a carico della controparte soccombente, è assai dibattuto proprio per questo motivo: v. già, per es., J. Leubsdorf, The Contingency Factor in Attorney Fee Awards, in 90 Yale Law Journal, 1986, pp. 473 ss. (anche in trad. it. in Avvocatura e giustizia negli Stati Uniti, a cura di A. Dondi, Bologna, 1993, pp. 405 ss.). 32 Sui problemi posti da tali soluzioni cfr., per es., già le riflessioni di V. Denti, L’evoluzione del “legal aid” nel mondo contemporaneo, in Riv. dir. proc., 1977, pp. 573 ss. (e anche in V. Denti, Un progetto per la giustizia civile, Bologna, 1982, pp. 133 ss.), e M. Cappelletti, Dimensioni della giustizia nelle società contemporanee, Bologna, 1994, pp. 82 ss.; v. anche, per notizie su più recenti sviluppi, C. Hodges, Multi-Party Actions: A European Approach, in 11 Duke Journal of Comparative & International Law, 2001, pp. 332 ss. 7 dimensione dell’asimmetria delle poste. Tuttavia, affinché non si producano indebiti effetti di sovradeterrenza delle condotte occorre altresì – come si vedrà meglio più avanti – ricollegare la sua configurazione all’introduzione dell’azione collettiva a tutela dei diritti individuali omogenei, con effetti di giudicato pieno e diretto, favorevoli e sfavorevoli, rispetto ai loro titolari: l’incentivo economico ricollegato all’ampiezza del gruppo tutelato attraverso il conseguimento del bene non escludibile costituito dalla sentenza favorevole può infatti spettare solo se con l’esercizio dell’azione si è anche rischiato di precludere del tutto tale conseguimento, poiché altrimenti le parti abituali si troverebbero esposte alla reiterazione del contenzioso anche in casi in cui la probabilità di accoglimento della domanda sia molto bassa (dato che il valore dell’incentivo potrebbe essere abbastanza elevato da giustificare razionalmente l’iniziativa anche se attualizzato in ragione di una bassa probabilità di vincere). In alternativa, in non poche occasioni si è suggerito che la semplificazione del procedimento potesse risolvere il problema, nella misura in cui possa derivarne qualche forma di contingentamento del costo del processo idoneo a limitare la capacità della parte abituale di infliggere costi all’avversario. La conseguente compressione delle facoltà delle parti, però, oltre a non essere necessariamente vantaggiosa per la parte occasionale, incontra limiti di ordine costituzionale, ricollegabili sia a garanzie individuali insopprimibili – anche in vista dalla normativa sovranazionale in materia –, sia a un pubblico interesse ad un minimo grado di accuratezza nell’esercizio della funzione giurisdizionale33. Queste stesse considerazioni escludono poi a maggior ragione che sia sufficiente affidare – come a volte si immagina – la gestione del contenzioso seriale all’autorità amministrativa, sul presupposto della sua pretesa (si dovrà ritornare più avanti sulla questione) maggiore efficienza nella gestione delle routines. Infatti, delle tre l’una: o tale istituenda autorità può qualificarsi come giurisdizionale, nel qual caso si sta solo proponendo di formare un nuovo giudice specializzato, ovvero – previa in tal caso, in Italia, modifica dell’art. 102, c. 2, cost. – un nuovo giudice speciale, dinanzi al quale il fenomeno della serialità del contenzioso si ripresenta così come si manifesta dinanzi al giudice ordinario, a meno di configurare regole processuali appropriate, la cui applicazione, però, risolverebbe il problema anche dinanzi al giudice ordinario, sicché l’istituzione del nuovo giudice risulterebbe priva di giustificazione; oppure s’intende introdurre una fase amministrativa condizionante l’accesso alla giustizia, in linea generale giustificabile sul piano costituzionale magari in vista di una sua funzione conciliativa34, ma in tal caso gli ostacoli all’accesso alla giustizia, lungi dall’essere rimossi, vengono aggravati, con la conseguenza che la stessa conciliazione, necessariamente negoziata ad armi non pari (non potendo l’attore minacciare credibilmente di coltivare il procedimento), costituisca un insulto al più elementare senso di giustizia e un viatico alla commissione di illeciti su scala industriale; oppure ancora s’intende dire che la soggezione di un’attività pericolosa alla regolamentazione amministrativa dovrebbe automaticamente esonerarla del tutto dalla responsabilità civile per i danni provocati violandola, ma tale soluzione postula una supremazia del diritto pubblico non più molto popolare dopo la caduta del muro di Berlino35. Men che meno poi appare accettabile che si affronti la questione interamente sul piano sostanziale attraverso l’introduzione di meccanismi di responsabilità oggettiva, esclusivi della prova liberatoria di essersi congruamente adoperati per prevenire il danno, magari alimentati da fondi costituiti attraverso contribuzioni forzate degli stessi componenti della categoria interessata, o della collettività in generale, e gestiti da organi indipendenti. Tali meccanismi 33 Intorno ai limiti di efficacia di tale approccio cfr. già, per es., V. Denti, I procedimenti non giudiziali di conciliazione come istituzioni alternative, in Riv. dir. proc., 1980, pp. 410 ss. (e anche in Denti, Un progetto, cit., pp. 317 ss. e spec. pp. 330 ss.); Cappelletti, Dimensioni della giustizia, cit., pp. 90 ss. 34 Per ampi riferimenti intorno ai limiti al condizionamento della giurisdizione posti dalla garanzia costituzionale dell’azione cfr., per es., Comoglio, La garanzia costituzionale dell’azione, cit., pp. 188 ss.; I. Andolina e G. Vignera, I fondamenti costituzionali della giustizia civile, Torino, 19972, pp. 57 ss.; N. Trocker, Processo e strumenti alternativi di composizione delle liti nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Diritto processuale civile e Corte costituzionale, a cura di E. Fazzalari, Napoli, 2006, pp. 439 ss. 35 Sembrerebbe invero ovvio che dal punto di vista dell’efficienza siano casomai i controlli amministrativi ad essere difficili da giustificare, e che mai essi possano sostituire la responsabilità risarcitoria (v., per es., le classiche considerazioni di S. Shavell, Liability for Harm Versus Regulation of Safety, in 13 Journal of Legal Studies, 1984, pp. 357 ss., spec. p. 365), ma l’impostazione paternalista trova ancor oggi non disinteressati sostenitori: le parti abituali, infatti, possono facilmente esercitare, presso le autorità politiche e amministrative, pressioni molto più efficaci di quelle esercitabili nei confronti dell’autorità giurisdizionale, quando l’indipendenza di quest’ultima, e la trasparenza della sua attività, siano protette in base alle garanzie applicabili negli ordinamenti democratici (garanzie la cui portata è, d’altronde, relativamente meno intensa nei confronti degli organi amministrativi proprio perché spetta alla giurisdizione il poterne di controllarne l’attività), e quindi affermano volentieri che il controllo amministrativo dovrebbe sostituire integralmente il sistema della responsabilità civile; non mancano inoltre, ovviamente, persone disposte a conferire una patina di credibilità scientifica a tale approccio (v., per es., nel senso che sia credibile l’affermazione, formulata dalla European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations, secondo cui il livello europeo di sicurezza dei prodotti è superiore a quello statunitense grazie agli effetti della regolamentazione amministrativa, in guisa da rendere superflua la tutela giurisdizionale degli eventuali danneggiati, Hodges, Multi-Party Actions, cit., pp. 339 ss.; v. anche l’impostazione suggerita da M. Beretta, Audizione sui progetti di legge recanti l’introduzione dell’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 6 marzo 2007, in www.confindustria.it, p. 5; cfr. poi, per l’ancor più esasperata tesi secondo cui la protezione delle parti deboli sarebbe addirittura compito, in Italia, del solo legislatore e non della giurisdizione – evidentemente tramite norme tali da non richiedere attuazione né in sede giurisdizionale, né in sede amministrativa – il già menzionato contributo di D’Alessandro, Pronunce americane di condanna al pagamento di punitive damages, cit., p. 402). 8 possono risultare efficienti nella gestione del contenzioso seriale, ma ancora una volta si pone un’alternativa: se non si prevede un fondo separato sul quale le vittime dell’illecito possano rivalersi, il problema dell’accesso alla giustizia è alleviato ma non risolto (dato che – come si è appena detto – la possibilità di contingentare il costo della lite è limitata, la circostanza che la responsabilità del convenuto sia oggettiva non elimina del tutto gli effetti dell’asimmetria delle poste); se invece si costituisce il fondo, la conseguente attenuazione dell’incentivo ad adoperarsi per la prevenzione del danno da parte di chi rischia di produrlo determina complessivamente allocazioni subottimali delle risorse in maniera tanto palese che solo l’obiettivo di favorire certe attività per particolari ragioni (ovvero di risolvere un contenzioso seriale la cui causa si sia definitivamente esaurita) può giustificare in via eccezionale che in casi speciali vi si proceda e che i relativi costi siano posti a carico della categoria o addirittura della collettività36. La soluzione congrua al problema degli ostacoli all’accesso alla giustizia derivanti dall’asimmetria delle poste consiste dunque non nel semplificare il procedimento sopprimendo le garanzie individuali, ma nel favorire l’eliminazione delle ripetizioni, attraverso l’introduzione del sistema dell’azione collettiva risarcitoria a tutela dei diritti individuali omogenei: ne discende un meccanismo procedimentale in realtà più complicato, come richiede d’altronde la complessità soggettiva del contenzioso seriale, ma proprio per questo più efficiente. Solo in tal caso, infatti, si evita che, con un’eterogenesi dei fini, la ricerca dell’efficienza dia luogo ad allocazioni inefficienti delle risorse giurisdizionali e di quelle produttive. Una ulteriore soluzione può poi consistere nel configurare un’azione civile pubblica, affidata alla magistratura requirente o ad altro organo equivalente per indipendenza. Si tratta di una soluzione tecnicamente corretta, ma destinata a scontrarsi con almeno due ordini di problemi: quello dei limiti delle risorse e quello delle priorità istituzionali. Per quanto riguarda la magistratura requirente è fin troppo ovvio che nei limiti delle risorse disponibili la priorità – anche in vista della normativa costituzionale di riferimento in Italia – dell’esercizio dell’azione penale rende ormai notoriamente illusori gli effetti dell’attribuzione al pubblico ministero dell’azione civile pubblica37. Per quel che concerne istituiti o istituendi altri organi pubblici, basti osservare che: immaginare che vengano provvisti di risorse adeguate contrasta fortemente con l’esperienza sinora acquisita in Italia38; dubitare che le motivazioni di ordine istituzionale – proprie dei titolari degli organi pubblici – risultino efficaci quanto quelle di ordine personale – proprie dei soggetti direttamente colpiti dall’illecito – nell’incoraggiare l’esercizio delle facoltà di azione corrisponde fortemente all’esperienza acquisita un po’ in tutto il mondo39; lamentare che i costi di tale meccanismo gravino anche sui contribuenti non coinvolti nel conflitto è semplicemente naturale. Anche in vista di tali considerazioni si è sempre più spesso fatto ricorso, negli ordinamenti dei sistemi economici più sviluppati – e in particolare in Europa, su impulso della legislazione di derivazione comunitaria a sua volta ispirata alle esperienze francesi e tedesche in materia –, al sistema dell’azione collettiva a tutela di situazioni soggettive superindividuali, imputate ad associazioni rappresentative della categoria interessata, di cui si è discusso in precedenza. In apparenza questa soluzione risolve almeno due problemi: il titolare dell’azione è un soggetto privato, sicché i costi della sua attività non sono a carico del contribuente e le sue motivazioni di ordine istituzionale – sul presupposto che abbia acquisito il ruolo per scelta disinteressata, anziché per conseguire un comodo impiego pubblico – sono relativamente più forti. La realtà, però, può facilmente rilevarsi assai meno rosea. Proprio quando non vi è alcuna sovvenzione pubblica, la conseguente indipendenza si paga in termini di ristrettezza delle risorse disponibili, sicché alle motivazioni di ordine istituzionale riferite alla tutela degli interessi della categoria tendono inevitabilmente a sovrapporsi motivazioni di ordine istituzionale riferite alla sopravvivenza del soggetto rappresentativo in un mondo di risorse limitate in cui chi spende più di quel che incassa non può sopravvivere. Questo fenomeno a sua volta incide assai negativamente sugli incentivi operanti ai fini della selezione delle controversie da dedurre in giudizio. Per chiarire come ciò accada, deve osservarsi che anche se la situazione soggettiva superindividuale è passibile di tutela risarcitoria, oltre che inibitoria, il suo ammontare, nella tradizione giuridica 36 Se l’attività rischiosa si è esaurita l’incentivo ad adoperarsi per la prevenzione del danno derivante dal sistema della responsabilità civile riduce i suoi effetti (potendo concernere tutt’al più attività future similari), e il costo della sua precisa determinazione può risultare superiore ai suoi benefici: in questa logica si spiegano soluzioni di questo tipo, in Europa di solito negoziate in sede politica (a volte però proprio su impulso del contenzioso collettivo statunitense: v., per es., la Gesetz zur Errichtung einer Stiftung “Erinnerung, Verantwortung und Zukunft”, emanata nella Repubblica Federale Tedesca il 2 agosto 2000, in risposta al contenzioso collettivo sul risarcimento dei lavoratori forzati dell’epoca nazionalsocialista pendente proprio negli Usa), mentre negli Stati Uniti si negoziano sovente anch’esse in sede giurisdizionale, anche sul presupposto che tale metodo sia più efficiente (cfr. i rilievi svolti nella nota precedente). 37 V., per es., per l’osservazione che l’azione di nullità del brevetto esercitata dal p.m. risultava ancora “ignota alla pratica”, la nota redazionale a Trib. Milano, 10 marzo 1977, in Giur. ann. dir. ind., 1977, p. 366. 38 V., per es., a proposito dei Consiglieri di parità di cui alla l. n. 125 del 1991, le considerazioni di T. Treu e M.V. Ballestrero, Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, in Nuove l. civ. comm., 1994, I, pp. 8 ss. 39 Ma soprattutto nelle culture giuridiche maggiormente influenzate dalla tradizione burocratica, come quelle di derivazione romanistica (nel mondo anglosassone, infatti, è più facile che le motivazioni istituzionali vengano vissute anche come motivazioni personali, a causa della minor propensione a distinguere l’organo dalla persona del suo titolare: v. già i rilievi di M.R. Damaska, The Faces of Justice and State Authority, New Haven, 1986, trad. it. I volti della giustizia e del potere, Bologna, 1991, passim e spec. alle pp. 365 ss.). 9 europea (anche in considerazione delle resistenze ad attribuire funzioni di deterrenza alla giustizia civile), è di solito meramente simbolico e non particolarmente appetibile (storicamente la tradizione di riconoscerlo in Europa è derivata dall’obiettivo – obsoleto nella legislazione italiana – di giustificare in base ad esso l’esercizio, da parte dell’associazione, dell’azione civile nel processo penale40), e che la somma da corrispondere quale sanzione per l’eventuale inottemperanza al provvedimento inibitorio, anche nel caso in cui se ne preveda il versamento al soggetto che abbia conseguito il provvedimento, può essere ottenuta solo se l’inottemperanza si verifica e se si affrontano anche i costi del monitoraggio della condotta del condannato: nel complesso, dunque, il saldo economico dell’attività di tutela in giudizio della situazione soggettiva superindividuale in quanto tale non è particolarmente significativo. Tuttavia l’associazione rappresentativa della categoria può contare sugli introiti derivanti dalla notorietà della sua attività di tutela: tale attività, infatti, induce gli interessati a percepire una maggiore propensione al comportamento cooperativo e ad adottarlo essi stessi, tipicamente attraverso contribuzioni spontanee in favore dell’associazione. Dato che tali introiti possono essere considerevoli sul piano finanziario, e che essi rafforzano l’associazione anche in sede politica (traducendosi facilmente anche in adesioni di lungo periodo), sicché l’effetto di promozione dell’immagine soddisfa sia l’interesse dell’ente alla propria crescita (in termini di risorse e di adesioni), sia l’interesse della categoria a rafforzare i soggetti che la rappresentano nelle più varie sedi, è naturale che ai fini delle selezione delle domande da proporre in sede giurisdizionale la loro potenziale notorietà rilevi assai più della loro probabilità di accoglimento: la conferenza stampa successiva alla proposizione della domanda conta, insomma, più della sentenza favorevole, a seguito della quale un ulteriore conferenza stampa avrebbe di solito minore risonanza (dato che a quel punto la questione controversa non sarebbe più altrettanto nuova per il pubblico). La rilevanza dell’apparenza di fondatezza della domanda è poi ancor più attenuata dalla circostanza che il conseguimento della sentenza favorevole può essere di scarso interesse anche per la controparte del gruppo: per la parte abituale la sentenza sfavorevole è fortemente negativa, ma quella favorevole è di modesta utilità, perché dare notizia di essere stati coinvolti in un contenzioso, anche se a torto, non conferisce comunque una buona immagine. Gli interessi delle parti, dunque, finiscono sovente per convergere in favore della diserzione bilaterale della causa subito dopo la proposizione della domanda. Il sistema europeo di azione collettiva fondato sulla tutela di situazioni soggettive superindividuali da parte di soggetti rappresentativi della categoria degli interessati risulta pertanto insoddisfacente da almeno tre diversi punti di vista: anzitutto produce deterrenza delle condotte screditanti agli occhi dell’opinione pubblica anche se lecite (e non delle condotte illecite ma non screditanti); inoltre determina sprechi delle risorse giurisdizionali (favorendo la proposizione della domanda a prescindere dalla valutazione della sua apparenza di fondatezza); infine, e soprattutto, rimuove solo di rado gli ostacoli all’accesso alla giustizia derivanti dall’asimmetria delle poste, perché solo occasionalmente permette che si formi un precedente giudiziario favorevole utilizzabile ai fini della tutela dei diritti soggettivi individuali. A quest’ultimo proposito vale la pena di sottolineare che l’idea, autorevolmente sostenuta, che per favorire le parti occasionali debba prevedersi che la sentenza sulla domanda di tutela della situazione soggettiva superindividuale produca effetti di giudicato secundum eventum litis, ossia in favore ma non in sfavore dei componenti della categoria interessata rimasti estranei al giudizio41, appare viziata proprio dalla mancata considerazione degli effetti dell’asimmetria delle poste: se il precedente sfavorevole alla parte abituale produce, anziché una mera efficacia persuasiva, addirittura una piena efficacia di giudicato nelle controversie seriali, gli incentivi al comportamento intimidatorio diretto a evitarne la pronuncia non possono che ulteriormente accentuarsi, con la conseguenza che la formazione di pronunce favorevoli alle parti occasionali non possa, a parità di condizioni, che diminuire (realizzandosi così una compiuta eterogenesi dei fini)42. È appena il caso di notare, poi, che se la rappresentatività dell’associazione, ai fini della sua legittimazione a far valere la situazione soggettiva superindividuale, viene determinata in sede amministrativa – come spesso accade in Europa, dove la rappresentatività viene di solito concepita come una caratteristica istituzionale oggetto di valutazione politica, anziché come una corrispondenza delle caratteristiche del campione rispetto a quelle dei componenti del gruppo interessato, in quanto tale oggetto di valutazione giuridica43 –, anziché in sede giurisdizionale alla luce 40 V., in proposito, anche per riferimenti, l’ampia rassegna di Guinchard, L’action de groupe en procédure civile française, in Revue international de droit comparé, 1990, II, pp. 600 ss. 41 V., per es., S. Chiarloni, Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei consumatori, in Consumatori e processo, cit., p. 14; cfr. anche A. Pellegrini Grinover, da ult. in New Trends in Standing and Res Judicata in Collective Suits, in Direito processual comparado. XIII World Congress of Procedural Law, a cura di A. Pellegrini Grinover e P. Calmon, Brasilia, 2007, pp. 319 s.). 42 Vale la pena di notare che negli Stati Uniti il giudicato secundum eventum litis sulle questioni discusse e decise costituisce la regola generale (la rule of mutuality che lo escludeva, infatti, venne abbandonata a seguito di Blonder-Tongue Laboratories, Inc. v. University of Illinois Foundation, 402 U.S., 1971, pp. 313 ss., e Parklane Hosiery Co., Inc. v. Shore, 439 U.S., 1979, pp. 322 ss.; di tale evoluzione dava notizia già M. Taruffo, “Collateral estoppel” e giudicato sulle questioni, in Riv. dir. proc., 1971, pp. 651 ss., 1972, pp. 272 ss.), e che si riconosce che questo elemento rafforza l’esigenza di prevedere un sistema di azioni collettive a tutela di diritti individuali omogenei corredato da adeguati incentivi (v., per es., anche per ulteriori riferimenti alla questione, R.A. Nagareda, The Preexistence Principle and the Structure of the Class Action, in 103 Columbia Law Review, 2003, pp. 166 ss.). 43 Almeno in tempi recenti: in Italia è ormai abbandonata da quasi un secolo la teoria ottocentesca della rappresentanza imperfetta tra condebitori solidali (sostenuta, per es., in G. Pisanelli, P.S. Mancini e A. Scialoja, Commentario del codice di procedura civile per gli Stati sardi, IV, Torino, 1857, p. 134, e ancora in L. Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile, V, 10 dell’adeguatezza dell’attività svolta nel caso concreto in favore della categoria, aumentano i rischi di vera e propria infedeltà: risulta infatti relativamente più difficile impedire che la rinuncia agli atti da parte dell’associazione sia retribuita dalla controparte senza che la relativa somma sia mai impiegata in favore della categoria interessata. Una più efficiente configurazione degli incentivi può invece discendere, come si è accennato, dalla disciplina dell’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei, laddove si contempli che alla produzione di effetti di giudicato nei confronti dei loro titolari si correli una disciplina delle spese in cui si preveda l’attribuzione a carico del convenuto, in caso di soccombenza, di onorari distraibili direttamente dal difensore tecnico, determinati in applicazione del tariffario forense e ulteriormente incrementati in ragione dell’ampiezza soggettiva del gruppo tutelato. Questo sistema, infatti, rende determinante il conseguimento della sentenza favorevole, e conseguentemente la valutazione di apparenza di fondatezza della domanda, favorendo l’ottimalità dell’allocazione delle risorse giurisdizionali, la deterrenza delle condotte illecite in ragione della diffusività del danno che potrebbero provocare, nonché l’effettività dell’accesso alla giustizia dei componenti del gruppo, per i quali la sentenza favorevole può essere direttamente utilizzata ai fini del conseguimento delle somme a loro spettanti. Naturalmente il rischio dell’infedeltà al gruppo di colui che ne fa valere i diritti non può essere completamente eliminato: si rende sempre necessario un ulteriore controllo, per l’effettuazione del quale il soggetto nella migliore posizione è – come si è accennato – il giudice della causa; almeno, però, il sistema degli incentivi non è tale da incoraggiare sempre il perseguimento di interessi diversi da quelli direttamente propri delle vittime della condotta illecita della parte abituale. Inoltre, l’idoneità dell’incentivo a riequilibrare le poste in gioco permette di fare a meno della intermediazione dell’associazione, e di attribuire la legittimazione a promuovere l’azione collettiva anche direttamente al singolo componente del gruppo, purché sia rappresentativo nel senso poc’anzi descritto (ossia quando ne sia un esempio), dato che la valutazione determinante – quella dell’apparenza di fondatezza della domanda – viene comunque compiuta dal difensore tecnico (al quale si rivolge principalmente l’incentivo), ossia dal soggetto posto nella posizione migliore, in vista della sua competenza professionale, per compiere tale valutazione in modo accurato (attribuire l’incentivo all’associazione, in tal caso, produce infatti maggiori costi transattivi, poiché l’associazione stessa dovrebbe comunque retribuire un legale per fargli compiere tale valutazione)44. È chiaro che con questo meccanismo l’avvocato assume di fatto su di sé il rischio economico dell’esito del contenzioso: è lui stesso ad avere interesse a reclutare un componente del gruppo per il ruolo di campione rappresentativo, e in un sistema di tariffe forensi liberalizzate la competizione fra più avvocati per il reclutamento del campione può implicare che a quest’ultimo si offra la difesa al costo minimo (o addirittura, se la legge non lo vieta espressamente, può darsi che il cliente venga addirittura retribuito dal suo difensore; in presenza di divieti, può anche darsi che ciò accada di fatto comunque); dato però che anche i componenti del gruppo possono competere per il ruolo di campione rappresentativo, la contrattazione sul punto può anche trovare punti di equilibrio differenti. Soprattutto, si tratta – come si avrà modo di spiegare anche più avanti – di un’evoluzione tutt’altro che disprezzabile sotto il profilo dell’efficienza allocativa, a condizione che si prevedano anche metodi congrui di controllo della fedeltà del suo operato rispetto agli interessi del gruppo. Resta ovviamente da spiegare un apparente paradosso: per favorire l’accesso alla giustizia si permette la deduzione in giudizio di diritti individuali senza alcuno specifico mandato da parte dei loro titolari, sicché sembra che si favorisca l’accesso alla giustizia di soggetti che non l’abbiano affatto richiesto. In proposito va subito precisato che in forza dello stesso art. 24 cost. deve sempre permettersi al titolare del diritto di impedirne la deduzione in via collettiva senza bisogno di costituirsi in giudizio a tale fine: la diversa soluzione operante in altri ordinamenti non è compatibile con le garanzie costituzionali italiane. Il vincolo costituzionale non impedisce affatto però che si facciano valere i diritti individuali omogenei di quanti, congruamente informati dell’iniziativa, non vi si oppongano tempestivamente: già in base all’art. 1333 c.c. in tali condizioni può perfezionarsi addirittura il contratto (allorché preveda obbligazioni a carico del solo proponente)45, e generalmente non si dubita della legittimità costituzionale di varie disposizioni in forza delle quali, in deroga al contrario principio generale posto dall’art. 81 c.p.c., è possibile far valere diritti altrui in via di sostituzione processuale – e quindi senza bisogno di alcun mandato –, in presenza di rapporti sostanziali fra sostituto e sostituito tali da assicurarne la cointeressenza all’accoglimento della domanda (come nei casi di cui all’art. 2900 c.c. o agli artt. 108, 110 Torino, 19055, pp. 110 ss., ma poi respinta da G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 19233, rist. 1965, p. 926, e duramente attaccata da E. Allorio, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1935, rist. 1992, p. 91). 44 Si applica insomma il generale principio di efficienza secondo cui gli incentivi e le responsabilità devono ricadere direttamente sul soggetto in grado di raccogliere a minor costo le informazioni necessarie per ridurre gli errori (in questo caso, nella previsione dell’esito della lite): v., in proposito, la classica esposizione di G. Calabresi, The Cost of Accidents. A Legal and Economic Analysis, New Haven, 1970 (e in trad. it. Costo degli incidenti e responsabilità civile. Analisi economico-giuridica, Milano, 1975), pp. 135 ss., e la più sintetica versione del principio in G. Calabresi e A.D. Melamed, Property Rules, Liability Rules, and Inalienability: One View of the Cathedral, in 85 Harvard Law Review, 1972, pp. 1093 ss. 45 In argomento cfr., per es., C.M. Bianca, Il contratto, Milano 20002, pp. 259 ss.; R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, X, Torino, 20023, pp. 23 ss. 11 e 111 c.p.c.), ancorché il sostituto possa ben compiere validamente atti più o meno indirettamente dispositivi del diritto del sostituito e senza neppure che quest’ultimo sia sempre almeno litisconsorte necessario nella causa46. Non vi è dunque ragione per ritenere in contrasto con l’art. 24 cost. (ed anzi deve ritenersi doverosa proprio in vista di tale disposizione, quale strumento per assicurare effettività alla stessa garanzia dell’azione in via individuale nella sua dimensione concreta, ossia quale diritto a conseguire effettivamente, per quantro materialmente possibile, tutte le utilità 47 conferite dalla legge sostanziale), o con l’art. 111 cost. , e men che meno con l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti 48 dell’uomo , una disciplina in forza della quale, in vista di una cointeressenza all’accoglimento della domanda creata da una congrua disciplina degli incentivi alla proposizione di domande fondate, si renda effettivamente possibile far valere il diritto della parte occasionale nei confronti della parte abituale, altrimenti di fatto privo di valore attuale, grazie alla possibilità di dedurlo in un unico giudizio insieme a tutti gli altri diritti individuali lesi dalla medesima azione, omissione o condotta abituale del convenuto, senza bisogno di ricevere dagli interessati un esplicito mandato se non da uno di loro, a condizione che non emergano specifici conflitti d’interesse e che i titolari di tali diritti siano compiutamente informati dell’iniziativa e abbiano la possibilità di sottrarsi ai suoi effetti attivandosi a costi minimali entro congrui margini di tempo (e che ne sia comunque esclusa la responsabilità per le spese dell’azione collettiva). Infatti, è vero che la successiva proposizione della domanda in via individuale può risultare preclusa dal giudicato formatosi in via collettiva, ma deve riconoscersi che subordinare l’esercizio dell’azione in via individuale alla tempestiva comunicazione a costi minimali di non voler fruire dell’azione collettiva pendente appare perfettamente compatibile con la giurisprudenza costituzionale in tema di condizionamento della giurisdizione: dato che si ammette – come si è appena ricordato – l’efficacia condizionante di veri e propri filtri, per effetto dei quali l’esercizio dell’azione può essere addirittura subordinato al tempestivo compimento di attività stragiudiziali, allorché ciò favorisca l’efficienza dell’amministrazione della giustizia (anche se non a pena di decadenza né sine die), e dato che la notizia legale della deduzione in giudizio di una lite avente ad oggetto un suo diritto fa senz’altro gravare sul destinatario l’onere di attivarsi entro termini ragionevolmente ristretti se vuole difendersi attivamente (anche a pena di decadenza), deve a maggior ragione permettersi al legislatore di stabilire che chi riceva notizia legale della proposizione dell’azione collettiva a tutela del suo diritto individuale abbia l’onere, per conservare la facoltà di agire in proprio, di comunicarlo tempestivamente, dato che gli incrementi di efficienza del sistema assicurati da questa regola sarebbero rilevantissimi49. Men che meno, poi, una disciplina siffatta potrebbe contrastare (come a volte si è immaginato) con gli artt. 41 e 42 cost. o con l’art. 101 cost.: dal primo punto di vista basti osservare che chi opta per non partecipare all’azione collettiva tutt’al più rischia di subire un pregiudizio di fatto non sostanzialmente diverso da quello in cui può incorrere chi non partecipi a una procedura concorsuale, sicché non vi è timore che si configuri un’indebita coazione all’esercizio 46 Potendosi anzi persino dubitare che ai fini della sostituzione processuale sia indispensabile un’espressa disposizione di legge, allorché siano tutelabili situazioni soggettive superindividuali (per questo tipo di impostazione cfr., per es., Denti, Un progetto, cit., pp. 187 ss.; Cappelletti, Dimensioni della giustizia, cit., pp. 85 ss.; Andolina e Vignera, I fondamenti costituzionali, cit., pp. 53 ss.; N. Trocker, Processo civile e costituzione, Milano, 1974, pp. 196 ss.; L.P. Comoglio, Rapporti civili (artt. 24-26), in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1981, pp. 16 ss.; v. anche, a proposito dell’applicabilità a tali situazioni soggettive dell’art. 24 cost., quanto osservato già supra, nel par. 1). 47 Dubbi a proposito della compatibilità di istituti di questo genere con l’art. 24 cost. erano stati sollevati nel parere reso per la Philip Morris (e spesso citato nei contributi al dibattito in materia provenienti dalle associazioni rappresentative delle parti abituali) da P. Rescigno, Sulla compatibilità tra il modello processuale della “class action” ed i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano, in Giur. it., 2000, p. 2228, sul presupposto che essi comportino la rinuncia del singolo a far valere i suoi diritti (il che però evidentemente non accade quando sia concessa la facoltà di recedere individualmente dall’azione collettiva: v. meglio il par. 4, infra), ed inammissibili effetti ultra partes del giudicato (ma vale la pena di ricordare che chi afferma con più convinzione che la produzione dei effetti ultra partes del giudicato sia costituzionalmente illegittima ritiene poi che nei casi in discorso i componenti del gruppo vadano, in tale prospettiva, qualificati come parti: v. G. Monteleone, I limiti soggettivi del giudicato civile, Padova, 1978, pp. 187 ss.; v. anche, da ult., per un’analoga osservazione, e per il rilievo che – come si vedrà meglio infra, nella parte seconda – tali istituti sono operativi, oltre che negli Stati Uniti, in molti altri sistemi nei quali sono altresì previste garanzie costituzionali affatto equivalenti a quelle in discorso, V. Vigoriti, Impossibile la class action in Italia? Attualità del pensiero di Mauro Cappelletti, in Resp. civ. e prev., 2006, pp. 38 s.; ovviamente la qualità di parte dei componenti passivi del gruppo è ambigua in questo genere di situazioni, dato che, per es. nell’esperienza applicativa statunitense, essi sono destinatari degli effetti della decisione, possiedono facoltà di interloquire sulla sua formazione superiori rispetto a quelle degli estranei ma inferiori rispetto a quelle delle parti costituite in proprio, e inoltre non sono soggetti agli stessi obblighi delle parti costituite; v., da ult., per una discussione della loro qualità di parte, per es., Principles of the Law of Aggregate Litigation: Discussion Draft No. 2, a cura dell’American Law Institute, Philadelphia, 2007, pp. 1 ss.); questo contributo è stato poi citato, ma aggiungendo un ulteriore riferimento all’art. 111 cost. (forse per rimarcare il nesso fra la garanzia del contraddittorio e il diritto di difesa), in Marinucci, Azioni collettive, cit., p. 83. 48 L’idea che tale disposizione sia ostativa a questo sistema, in quanto garantirebbe il diritto a scegliere se agire o meno in giudizio, viene di recente evocata da E. D’Alessandro, Il riconoscimento delle sentenze straniere, Torino, 2007, p. 230 (ma è appena il caso di notare che tale diritto non è affatto conculcato dal meccanismo in parola, nella misura in cui sia sempre concesso al titolare del diritto di impedirne la deduzione attivandosi tempestivamente, e sarebbe tutt’al più in contrasto con le appena menzionate ipotesi di sostituzione processuale). 49 Oltre ai riferimenti poc’anzi indicati a proposito del condizionamento della giurisdizione v. quanto si dirà, a proposito dell’efficienza, infra, nel par. 4. 12 del credito50; sotto il secondo profilo, va rimarcato che gli effetti vincolanti della decisione non si produrrebbero nei confronti della collettività in generale, ma sempre solo nei confronti di soggetti individuati o almeno descritti in modo da risultare individuabili, la possibilità di rendere i quali parti in giudizio è già prevista dalla legge vigente allorché si rende applicabile, ai sensi dell’art. 150 c.p.c., la notifica per pubblici proclami51. Tutt’al più può dubitarsi della compatibilità con l’art. 24 cost. di una disciplina in forza della quale l’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei possa essere innescata d’ufficio (nella misura in cui si ritenga costituzionalizzato il principio della domanda) o su iniziativa del convenuto (evidentemente controinteressato all’accoglimento della domanda), magari anche al fine di far valere in via collettiva diritti della parte abituale nei confronti delle parti occasionali: ma questo tipo di regole, osservate in altri ordinamenti, trovano anche colà scarsa applicazione, e non sono giustificate da esigenze di superamento di ostacoli di fatto all’accesso alla giustizia, sicché non vi è motivo di prenderle in considerazione ai fini dell’introduzione dell’azione collettiva risarcitoria a tutela di diritti individuali omogenei nel diritto italiano. Opporsi all’introduzione di una disciplina caratterizzata da queste salvaguardie solo perché viene retribuita un’attività di tutela di diritti svolta in favore di soggetti che non l’hanno richiesta espressamente postula invero una visione del mondo poco condivisa52: chi non apprezza che grazie a strutture idonee ad abbatterne i costi unitari vengano retribuiti servizi resi a soggetti che non li abbiano chiesti esplicitamente perché non sono in condizioni di farlo, evidentemente ritiene anche che non si debba trasportare in ospedale la vittima di un incidente se a causa del trauma questa non è in grado di formulare la richiesta di soccorso; la circostanza che in tale ipotesi sarebbe in gioco un valore superiore, infatti, non può essere rilevante ai fini della giustizia civile, dove lungi dal dirsi (come può accadere in sede penale) che minima non curat praetor,53 si può affermare – come dettava un Maestro – che l’ingiustizia avvelena anche in dosi omeopatiche54. È inoltre appena il caso di notare che la lacuna di tutela determinata dall’assenza del meccanismo in discorso, per quanto modesta per la parte occasionale, può produrre effetti distorsivi del mercato di amplissimo respiro, sicché l’analisi della questione deve ricomprendere anche – ed ora si provvederà a farlo più in dettaglio – la discussione delle funzioni di deterrenza civilistica proprie dell’istituto. 3. – Come si è già accennato, sia le situazioni di vantaggio superindividuali, sia le azioni collettive sono state introdotte negli ordinamenti propri dei sistemi economici più avanzati anche in vista della loro funzione di deterrenza di condotte illecite allo stesso tempo particolarmente nocive e insidiose55. Ovviamente tale scelta si giustifica largamente considerando che in tali occasioni anche la tutela penale, come la tutela civile in via individuale, tende a fallire i suoi obiettivi, benché per ragioni diverse: a causa della sua (peraltro costituzionalmente doverosa) frammentarietà, della configurazione favorevole all’imputato delle regole di decisione operanti nel processo (altrettanto costituzionalmente doverosa), nonché di altri squilibri (forse meno necessari, ma che comunque non è il caso di enumerare e men che meno discutere qui)56; analoghi limiti, d’altronde, pregiudicano l’effettività del sistema delle sanzioni amministrative57. 50 Sui dubbi intorno a tali profili di legittimità costituzionale v. già Marinucci, Azioni collettive, cit., pp. 83 s. Esprime dubbi sulla compatibilità delle azioni collettive a tutela di diritti individuali omogenei con l’art. 101 cost. A. Carratta, Effetti del giudicato e tutela collettiva, in Le azioni collettive in Italia, a cura di C. Belli, Milano, 2007, pp. 115 ss.; in effetti, benché la dottrina precedente alla Costituzione non intravedesse difficoltà nel ricorso a tale forma di notificazione come strumento per rendere parti in giudizio soggetti non identificati (v., per es., Chiovenda, Principii, cit., p. 644), in seguito si erano diffuse interpretazioni restrittive (v., per es., S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959, p. 530; V. Andrioli, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, p. 529); la giurisprudenza, però, ne ha in più occasioni ammesso l’uso quando vi siano difficoltà di identificare i destinatari (v., per es., fra le più recenti, Cass., 3 luglio 1998, n. 6507, in Foro it., 1999, I, cc. 2021 ss., cui adde, da ult. Cass., 4 gennaio 2005, n. 121) e la dottrina più recente ha aderito a tale impostazione (v., per es., C. Punzi, Delle notificazioni e comunicazioni, in Commentario del codice di procedura civile, diretto da E. Allorio, I, 2, Torino, 1973, pp. 1528 ss.; B. Sassani, A proposito di notificazione per pubblici proclami, efficacia soggettiva della sentenza, e “obiter dicta” giudiziali, in Giur. it., 1991, I, 2, cc. 99 ss.; A. Proto Pisani, Nuovi diritti e tecniche di tutela, in Scritti in onore di Elio Fazzalari, Milano, 1993, II, p. 66; G. Balena, Notificazione e comunicazione, in Dig. IV, disc. priv., sez. civ., XII, Torino, 1995, p. 274). 52 Benché non manchino propensioni, da parte dei titolari passivi di tali diritti, a farsi paladini della libertà di autodeterminazione dei loro avversari (v., per es., L’azione collettiva per il risarcimento del danno: elementi di riflessione, a cura di Assonime, Roma, 2006, pp. 17 s.; Beretta, Audizione sui progetti di legge, cit., p. 6; cfr. anche l’analogo ragionamento a proposito dell’efficacia dei controlli amministrativi ricordato supra, e quanto si osserverà tra breve). 53 V. C.E. Paliero, “Minima non curat praetor”, Padova, 1985, passim. 54 V., per quest’espressione, P. Calamandrei, Elogio dei giudici, Firenze, 19594, rist. 1989, p. 340. 55 Con riferimento agli Stati Uniti, si può osservare che anche se è controverso se la riforma del 1966 della Federal Rule of Civil Procedure 23, con cui è stata introdotta la forma moderna di azione collettiva a tutela dei diritti individuali omogenei, sia stata effettivamente animata da tali obiettivi, anziché solo dall’intento di recepire orientamenti giurisprudenziali già formatisi (v., per una raccolta di testimonianze contrastanti sul punto, D.R. Hensler, N.M. Pace, B. Dombey-Moore, B. Giddens, J. Gross e E.K. Moller, Class Action Dilemmas: Pursuing Public Goals for Private Gains, Santa Monica, 2000, pp. 11 ss.), tali orientamenti erano comunque stati adottati proprio in tale ottica, recependo impostazioni dottrinali il più celebre esempio delle quali è il contributo di H. Kalven e M. Rosenfield, The Contemporary Function of the Class Suit, in 8 University of Chicago Law Review, 1941, pp. 684 ss. (ripetutamente citati sia nelle Advisory Committee’s Notes on Proposed Rules of Civil Procedure for the United States District Courts, in 39 Federal Rules Decisions, 1996 pp. 98 ss., sia in B. Kaplan, Continuing Work of the Civil Committee: 1966 Amendments to the Federal Rules of Civil Procedure (I), in 81 Harvard Law Review, 1967, pp. 356 ss.). 56 Basti, a tale proposito, rinviare alle considerazioni svolte da F. Stella, Il rischio da ignoto tecnologico e il mito delle discipline, in Il rischio da ignoto tecnologico, Milano, 2005, p. 3 ss. e spec. p. 19. 51 13 Si è anche già notato, inoltre, che l’efficacia deterrente dell’azione collettiva dipende in larga misura dalla configurazione degli incentivi all’esercizio dell’azione civile: se gli incentivi sono indiretti, come accade nel sistema europeo dell’azione collettiva a tutela di situazioni soggettive superindividuali, la deterrenza concerne soprattutto le condotte screditanti agli occhi dell’opinione pubblica, mentre se gli incentivi sono direttamente correlati all’accoglimento della domanda, la deterrenza riguarda più specificamente le condotte illecite (o meglio quelle qualificabili come tali in giudizio). Questa differenza è naturalmente tutt’altro che irrilevante: oltre a implicare un’attuazione relativamente più accurata del diritto sostanziale, la scelta in favore della seconda alternativa favorisce – si ritornerà sulla questione più avanti – una migliore allocazione delle risorse giurisdizionali. Le associazioni rappresentative delle parti abituali suggeriscono però ripetutamente che l’introduzione in Italia dell’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei produrrebbe in realtà effetti di sovradeterrenza a loro volta determinativi di inefficienze sul piano allocativo, perché l’effetto intimidatorio dell’azione collettiva indurrebbe a conciliare anche pretese prive di fondamento giuridico58, al punto che interi settori produttivi verrebbero distrutti dalle azioni collettive59 e addirittura sarebbe pregiudicata la competitività dell’intero sistema economico nazionale60. Ancorché le fonti su cui si basano tali affermazioni siano assai poco credibili sul piano scientifico (e soprattutto l’ultima sia talmente assurda da muovere al sorriso)61, le ragioni che rendono alcuni di questi rilievi non prima facie irricevibili meritano di essere esplorate: effetti di sovradeterrenza possono infatti derivare in qualche misura da particolari configurazioni della disciplina dell’azione collettiva, e in qualche misura dall’attuazione in via collettiva di particolari disposizioni di diritto sostanziale. Il loro esame consente infatti di chiarire se qualche particolare configurazione dell’azione collettiva rischi effettivamente di produrre inefficienze allocative, se particolari disposizioni di diritto sostanziale richiedano di essere riformate in occasione dell’introduzione dell’azione collettiva nell’ordinamento, e se alcune di esse debbano magari ritenersi insuscettibili di essere attuate in via collettiva, onde non produrre tali perniciosi effetti. Anzitutto vale la pena di rimarcare che un effetto di sovradeterrenza tale per cui un soggetto è tenuto a spendere per la prevenzione del danno somme maggiori del costo del danno da prevenire può già prodursi per effetto di varie vigenti disposizioni di diritto sostanziale. Il caso più ovvio è quello della tutela inibitoria assistita da misure coercitive civili: quando essa è applicabile l’autore dell’illecito, in caso di inottemperanza al provvedimento di condanna, non può confidare su di una quantificazione oggettiva del danno provocato per liberarsi dalla responsabilità, e la sua vittima può effettivamente costringerlo, oltre che a ripararlo integralmente, anche a versare somme ulteriori indipendentemente dalla prova di alcun pregiudizio materiale o morale. La circostanza che tale istituto sia già previsto dall’ordinamento, ancorché non – secondo l’opinione prevalente – in via generale, dovrebbe già bastare a chiarire come alla tutela civile non possano ascriversi esclusivamente funzioni compensative: ulteriori esempi in tal senso sono stati già indicati in precedenza. Occorre però chiedersi se, ove fosse 57 Applicandosi ad esse principi analoghi in forza della l. 24 novembre 1981, n. 689 (d’altronde si è già notato come, più in generale, i controlli amministrativi possano solo integrare, e mai sostituire, la tutela risarcitoria). 58 V., per es., L’azione collettiva per il risarcimento del danno, cit., pp. 6 ss.; cfr. anche Beretta, Audizione sui progetti di legge, cit., p. 4. 59 V., per es., la Audizione presso la Commissione Giustizia della Camera in merito ai progetti di legge C. 1495 ed abbinati, recanti l’introduzione della class action, a cura di Confcommercio, Roma, 2006, pp. 15 s. 60 V. ancora Beretta, Audizione sui progetti di legge, cit., pp. 1 s. 61 A sostegno si citano infatti acriticamente sondaggi di USA Today (v. L’azione collettiva, cit., p. 9) o articoli del Financial Times (v. M. Beretta, Audizione sui progetti di legge, cit., p. 1), o contributi contenenti critiche di metodo a ricerche empiriche altrui (per es. G.L. Priest, What We Know and What We Don’t Know About Modern Class Actions: A Review of the Eisenberg-Miller Study, in 9 Civil Justice Report, 2005, pp. 1 ss.), e persino saggi in cui tali considerazioni sono esaminate in realtà per illustrarne l’infondatezza (cfr. l’effettivo contenuto di Th. Eisenberg e G.P. Miller, Attorneys Fees in Class Actions Settlements: An Empirical Study, in 1 Journal of Empirical Legal Studies, 2004, pp. 27 ss., e C. Poncibò, La controriforma delle class actions, in Danno e resp., 2006, pp. 124 ss.), si trascura la più ampia – e divertente – fonte di citazioni delle manifestazioni dei sentimenti di panico delle parti abituali convenute nelle azioni collettive risarcitorie, e delle generose accoglienze di cui tali manifestazioni hanno goduto anche in sede legislativa e persino in certi settori della giurisprudenza statunitense (forse perché spiega bene quanto sia sciocca l’idea che le parti abituali siano costrette proprio da tale meccanismo a conciliare pretese di cui conoscano l’infondatezza: si tratta del saggio di C. Silver, We’re Scared to Death: Does Class Certification Subject Defendants to Blackmail?, in 78 New York University Law Review, 2003, pp. 1357 ss.; a tale proposito v. peraltro meglio il par. 5 infra), e si tace che la recente fuga dei capitali dal mercato azionario statunitense può piuttosto imputarsi alla diffusione degli strumenti di deterrenza presso gli altri mercati (v., per es. E.J. Pan, Why the World No Longer Puts Its Stock in Us, Benjamin N. Cardozo School of Law, New York, 2006, pp. 1 ss.), e soprattutto alle riforme limitative del ricorso alla azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei nelle controversie in tema di trasparenza del mercato dei titoli mobiliari, imposte dal Congresso a metà degli anni ’90, per effetto delle quali il livello della deterrenza è sensibilmente calato (v., per es., per ampi riscontri della diffusione di comportamenti predatori a seguito di tali riforme, A.D. Pond Cummings, “Ain’t No Glory in Pain”: How the 1994 Republican Revolution and the Private Securities Litigation Reform Act Contributed to the Collapse of the United States Capital Markets, in 83 Nebraska Law Review, 2005, pp. 979 ss.; in proposito cfr. anche infra, nel cap. I della seconda parte), fermo restando che i dati empirici confermano che tutt’ora l’ingresso nel mercato borsistico americano garantisce, a chi provenga da un sistema in cui non siano esperibili azioni collettive a tutela di diritti individuali omogenei, un considerevole aumento di competitività proprio perché il livello di deterrenza rimane (nonostante le riforme appena menzionate) assai superiore a quello degli altri paesi (v., per ampi riferimenti, J.C. Coffee, Law and the Market: The Impact of Enforcement, Columbia University School of Law, New York, 2007, passim). 14 esercitabile l’azione collettiva nei termini sinora descritti, gli altri strumenti civilistici di deterrenza rischino di produrre effetti di sovradeterrenza in senso proprio, ossia allocazioni subottimali delle risorse, ulteriori rispetto a quelle derivanti dall’applicazione di sanzioni a comportamenti produttivi di tale allarme sociale (e quindi considerati produttivi di gravi inefficienze di lungo periodo) da essere specificamente vietati dalla legge penale o da un provvedimento inibitorio del giudice civile: la sovradeterrenza, nella misura in cui costringe a prendere misure preventive del danno più onerose del costo del danno da prevenire, può infatti rendere preferibili condotte più dannose ma non soggette a tale ulteriore sanzione (ponendosi in tal caso il problema della c.d. deterrenza marginale)62. Il primo caso da discutere è proprio quello della tutela inibitoria in via collettiva: quando essa si fonda sulla tutela di una situazione di vantaggio superindividuale è lo stesso riconoscimento della tutelabilità della situazione soggettiva sostanziale (tutelabilità alla quale, come si è visto in precedenza, può conseguire altresì la risarcibilità delle lesioni alla stessa situazione, ancora in funzione di deterrenza) a potere, in ipotesi, produrre inefficienze allocative (salva la possibilità di affermare che la tutela inibitoria è comunque più efficiente di quella risarcitoria ad esempio quando l’autore del danno può evitarlo a minor costo o negoziare preventivamente con la vittima63); quando invece essa si fonda sulla deduzione in via collettiva di diritti individuali omogenei (aventi dunque ad oggetto obblighi di fare o non fare, anziché il pagamento di somme di danaro a titolo di risarcimento del danno), si può accentuare l’effettività della norma sostanziale, sia rendendosi accessibile una tutela altrimenti di fatto preclusa (grazie al correlato incremento degli onorari di difesa posti a carico del convenuto soccombente), sia diffondendosi la legittimazione a far valere l’inottemperanza al provvedimento di condanna, ai fini del conseguimento delle somme dovute dal condannato in forza della sanzione civile comminata in sede di fissazione delle misure coercitive, ma non si fa altro che assicurare che si produca di fatto una deterrenza (o sovradeterrenza) già giuridicamente operante a prescindere dalla deducibilità della pretesa inibitoria individuale anche in via collettiva (dato che la somma dovuta dipende giuridicamente solo dalle inottemperanze del condannato, e solo di fatto dall’aumento delle probabilità di individuarle). In proposito deve quindi soprattutto richiamarsi quanto osservato in precedenza: nella misura in cui presuppone un sistema di incentivi correlato all’accoglimento della domanda, e quindi favorisce la proposizione della domanda giudiziale solo in quanto sia fondata, il sistema dell’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei è senz’altro preferibile a quella dell’azione collettiva a tutela di situazioni soggettive superindividuali dal punto di vista dell’accuratezza nell’applicazione della sanzione civile. Un problema di sovradeterrenza – in particolare con riferimento alle condotte screditanti ma non dannose (e magari neppure illecite) – può quindi prodursi assai più facilmente nella prima ipotesi che nella seconda. Un discorso analogo vale poi per l’ipotesi in cui la legge contempli la liquidazione di danni in funzione di deterrenza: allocazioni subottimali potrebbero in effetti in astratto discendere dalla liquidazione del danno alla situazione soggettiva superindividuale (laddove questa non fosse – come invece di fatto è in Europa – solamente simbolica); la liquidazione in via collettiva del danno inferto alle situazioni soggettive individuali, invece, rende casomai – anche in virtù di aspetti di cui si tratterà fra breve – relativamente più accurata l’applicazione della norma sostanziale, assicurando inoltre – ma su questo aspetto si avrà modo di ritornare – un consistente abbattimento dei costi transattivi e di gestione del contenzioso. Un discorso particolare merita però di essere svolto a proposito della deduzione in via collettiva dei danni punitivi: tale istituto, di carattere generale nel diritto statunitense, appare in via di introduzione anche in Europa – nonostante le resistenze di cui si è già dato conto – su impulso della legislazione di derivazione comunitaria64. Si potrebbe pensare, infatti, che il danno punitivo nel diritto statunitense – di ammontare, com’è noto, tutt’altro che meramente simbolico – sia previsto proprio per colmare la lacuna della funzione compensativa derivante dagli ostacoli di fatto all’accesso alla giustizia tipici del contenzioso seriale. Se così fosse, la disponibilità dell’azione collettiva risarcitoria a tutela di diritti individuali omogenei renderebbe il rimedio ridondante, e la possibilità di far valere in via collettiva i danni punitivi attribuibili a ciascun componente del gruppo delle vittime dell’illecito produrrebbe un effetto di sovradeterrenza, imponendo costi di prevenzione del danno superiori a quelli della sua riparazione anche al di fuori dell’ambito di applicazione della tutela inibitoria assistita da misure coercitive e degli altri speciali strumenti di deterrenza riferiti a condotte tipiche, e rendendo quindi potenzialmente preferibili condotte più dannose ma non soggette a tale sanzione speciale. Tale ricostruzione si rivela però infondata. In dottrina si è invero proposto di correlare la quantificazione del danno punitivo alla probabilità che la condotta rimanga impunita65, ma sempre nella logica della deterrenza: una 62 V., per vari riferimenti all’ampia letteratura scientifica sul punto, per es. R.A. Bierschbach e A. Stein, Overenforcement, in 93 Georgetown Law Journal, 2005, pp. 1743 ss. (le riflessioni sulla proporzionalità della pena in vista del calcolo costi-benefici compiuto ex ante dal reo si rinvengono peraltro già in J. Bentham, An Introduction to the Principles of Morals and Legislation, London, 1823, rist. 1907, p. 170, ed ancor prima in C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, Livorno, 1764, § 6). 63 Basti, a tale proposito, rinviare ancora a Calabresi e Melamed, Property Rules, cit., pp. 1115 ss. 64 V. le indicazioni contenute nel recente Libro Verde della Commissione delle Comunità Europee Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, approvato il 19 dicembre 2005, e seguito dal parere favorevole del Comitato economico e sociale europeo del 26 ottobre 2006 (cfr., per un primo commento al Libro Verde, S. Bastianon, Il risarcimento del danno antitrust tra esigenze di giustizia e problemi di efficienza, in Mercato concorrenza regole, 2006, p. 321 ss.). 65 V. spec. A.M. Polinsky e S. Shavell, Punitive Damages: An Economic Analysis, in 111 Harvard Law Review, 1998, pp. 957 ss. (il punto di partenza di analisi di questo tipo si rinviene nel celebre saggio di G.S. Becker, Crime and Punishment: An 15 condotta difficilmente individuabile verrebbe punita più intensamente anche se produttiva di danni modesti (sicché risulterebbero preferibili condotte più dannose, purché meno insidiose, e sarebbe razionale investire nella prevenzione del danno derivante da condotte insidiose più del costo della riparazione del danno stesso). Inoltre, tale proposta ha avuto scarso seguito66: i punitive damages vengono attribuiti soprattutto in ragione della gravità della condotta dell’autore dell’illecito e della misura delle sanzioni civili applicabili a comportamenti analoghi, oltre che dell’insidiosità della sua condotta e dell’ampiezza del danno provocato, e non in ragione della difficoltà di agire in giudizio nei suoi confronti (se non eventualmente in quanto indice dell’insidiosità della condotta); pertanto essi non servono solo a colmare lacune della funzione compensativa nell’ottica della c.d. deterrenza ottimale della responsabilità civile, ma svolgono anche una funzione di stretta deterrenza riferita alle condotte particolarmente riprovevoli67. In secondo luogo si può osservare che in presenza di una pluralità di vittime ciascuna di esse, in astratto, ha titolo per richiederne l’attribuzione in un separato procedimento in via individuale, ma solo fino alla concorrenza di un limite massimo complessivo: una volta raggiunto tale limite, le richieste successive non possono più essere accolte, proprio per evitare effetti di sovradeterrenza68. Di conseguenza i punitive damages formano oggetto, anziché di un diritto soggettivo, di una situazione soggettiva meno protetta e di portata eventualmente superindividuale (quando vi siano più vittime dell’illecito), giustificata da obiettivi di deterrenza e la cui deduzione in via collettiva appare perciò in realtà doverosa, se non altro per ragioni equitative: chi li fa valere, infatti, esercita comunque un’azione collettiva, dato che fa valere una situazione di vantaggio protettiva di un bene della vita non escludibile – ossia il diritto a non subire illeciti intenzionali, protetto dal sistema sanzionatorio innescato dalla domanda giudiziale –, ancorché l’utilità consistente nella percezione della somma dovuta a titolo sanzionatorio sia consumabile, ed è quindi da preferirsi che gli sia impedito di farlo quando i suoi interessi siano in conflitto con quelli delle altre vittime, o con modalità per loro penalizzanti (anche se solo perché appunto consumative delle loro opportunità di partecipare alla distribuzione della somma dovuta a titolo di sanzione civile)69. Economic Approach, in 76 Journal of Political Economy, 1968, pp. 169 ss.; v. anche, per una eco di questo approccio, per es., Mathias v. Accor Economy Lodging, Inc., 347 Federal 2nd, 5th Circ. 2003, pp. 672 ss.). 66 Sulla difficoltà di accettare tale impostazione v. spec. C.R. Sunstein, D.A. Schkade e D. Kahneman, Do People Want Optimal Deterrence?, in Punitive Damages: How Juries Decide, a cura di C.R. Sunstein, R. Hastie, J.W. Payne, D.A. Schkade e W. Kip Viscusi, Chicago, 2002, pp. 132 ss., e cfr., per es., Cooper Industries, Inc., v. Leathermantool Group, Inc., 532 U.S., 2001, pp. 424 ss. 67 Cfr. i riferimenti indicati nella nota precedente; si può peraltro aggiungere, per essere precisi, che questa conclusione vale per i punitive damages in senso stretto, ossia per la pena privata giudiziale applicata alla generalità degli illeciti dolosi e insidiosi in base alle leggi sostanziali dei vari stati federati la cui varietà non è il caso di esaminare qui (per una rassegna v., per es., W. Elser, Punitive Damages Review 2006, New York, 2006, passim): le diverse pene private giudiziali previste da numerosissime leggi speciali (come i treble damages della legislazione antitrust o le similari disposizioni contro le organizzazioni criminali, o varie altre ancora), sono anch’esse dirette contro condotte dolose e insidiose, ma a volte comportano l’inapplicabilità dei punitive damages, e vengono liquidati ricomprendendo in un’unica voce sia la funzione compensativa sia quella di premio alla cooperazione del privato nella repressione dell’illecito, sicché nei casi, per es., di treble damages la funzione di stretta deterrenza è svolta solo da due terzi della somma liquidata (su questi fenomeni, intorno ai quali non è qui possibile compiere approfondimenti, v., anche per ulteriori riferimenti, per es. S.W. Waller, The Incoherence of Punishment in Antitrust, in 78 Chicago-Kent Law Review, 2003, pp. 207 ss.). 68 Questo tipo di osservazione si rinviene già in In re “Agent Orange,” Prods. Liab. Litig., 100 Federal Rules Decisions pp. 728 ss. (E.D. N.Y. 1983) – di cui dava già notizia adesivamente G. Ponzanelli, Il quantum dei punitive damages nei mass disasters, in Le pene private, cit., pp. 391 ss. – e più di recente in In re Simon II, cit.; anche in dottrina si era riscontrato, ancor prima della esplicita limitazione quantitativa dei punitive damages compiuta dalla Corte Suprema nel caso BMW, cit., come le loro successive quantificazioni in via individuale con riferimento alla stessa condotta risultassero progressivamente decrescenti (v., per es., M.A. Perino, Class Action Chaos? The Theory of the Core and an Analysis of Opt-Out Rights in Mass Tort Class Actions, in 46 Emory Law Journal, 1997, p. 147; d’altronde il suggerimento di tenere conto, ai fini della quantificazione, dei danni punitivi liquidati in precedenza in favore di altre vittime della stessa condotta si rinveniva già nel contributo di Polinsky e Shavell, Punitive Damages, cit., p. 925; rimane il dubbio, peraltro, se sia strategicamente conveniente per il convenuto dedurre di essere stato già condannato al risarcimento del danno punitivo per la stessa condotta in altro giudizio, v., nel senso che ciò non costituisca un problema, K.N. Hylton, Reflections on Remedies and Philip Morris v. Williams, Boston University School of Law, Boston, 2007, p. 13; nel senso che sia decisamente sconsigliabile, v. però, per es., Mesulam, Collective Rewards and Limited Punishment, cit., p. 1141). 69 In questo senso si rinvengono le indicazioni di una vasta corrente dottrinale (v., per es., già R.A. Seltzer, Punitive Damages in Mass Tort Litigation: Addressing the Problems of Fairness, Efficiency and Control, in 52 Fordham Law Review, 1983, pp. 37 ss., e più di recente Cabraser e Sobol, Equity for the Victims, cit., pp. 2005 ss.; Mesulam, Collective Rewards and Limited Punishment, cit., pp. 1114 ss.; A.L. Nagy, Certifying Mandatory Punitive Damages Classes in a Post-Ortiz and State Farm World, in 58 Vanderbilt Law Review, 2005, pp. 599 ss.) all’interno della quale deve però distinguersi chi ritiene che debba comunque permettersi il recesso dall’azione collettiva, sul presupposto che tali considerazioni equitative non possano pregiudicare l’autonomia individuale e che la casualità della distribuzione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno punitivo sia coerente con la natura e la funzione dell’istituto (v. spec. R.A. Nagareda, Punitive Damage Class Actions and the Baseline of Tort, in 36 Wake Forest Law Review, 2001, pp. 943 ss.); secondo le più recenti pronunce della Corte Suprema, i punitive damages non possono essere attribuiti considerando comportamenti svoltisi al di fuori dell’ambito territoriale di applicazione della legge su cui si fondano (v. State Farm Mut. Automobile Ins. Co. v. Campbell, 538 U.S., pp. 408 ss., 2003), né condotte nei confronti di soggetti che non siano parti in giudizio, se non in quanto indici dell’insidiosità della condotta illecita (Philip Morris USA v. Williams, 127 S. Ct., 2007, pp. 1057 ss.), ma questo sembra rafforzare l’idea di dedurli in via collettiva, dato che nel sistema statunitense i componenti passivi del gruppo vengono resi parti, sia pure con un trattamento sui generis (v. già quanto rilevato supra, nota 47). 16 Quando i diritti individuali omogenei dedotti in giudizio in via collettiva si fondino sulle disposizioni generali in materia di responsabilità civile un problema di sovraderrenza sembra invece non potersi porre affatto. Qualche dubbio in proposito può però porsi ove si considerino gli effetti dell’aggregazione delle pretese sul riparto dell’onere della prova. Molto si è discusso del tema della causazione del danno: rispetto a condotte pericolose di serie può accadere che il rischio si avveri con modalità non specifiche, sicché solo una parte dei soggetti danneggiati possa ritenersi causata dall’illecito; se in tal caso l’azione risarcitoria viene esperita in via individuale, ciascun danneggiato può soddisfare o meno i criteri generali di sufficienza della prova a seconda se la percentuale di danneggiati riconducibile all’illecito è a sua volta sufficiente o meno (per esempio: se in base a una correlazione statisticamente significativa – e quindi, per così dire, al di là di ogni ragionevole dubbio – l’esposizione a una sostanza tossica raddoppia il rischio di contrarre un certo disturbo, solo la metà fra i soggetti esposti e ammalatisi dovrebbero ritenersi tali a causa dell’esposizione; quindi i soggetti esposti e ammalati vengono risarciti tutti, ovvero non viene risarcito nessuno, a seconda se il criterio di sufficienza della prova è – rispettivamente – inferiore o superiore al 50%). Se però si può svolgere una tutela collettiva, può darsi che ciò determini una semplificazione della fattispecie tale per cui la questione della causalità specifica diventi irrilevante e che il convenuto sia direttamente condannato a pagare il complessivo ammontare dei danni ascrivibili alla sua condotta (e quindi, nell’esempio precedente, a risarcire il danno patito dal 50% dei soggetti esposti anche se il criterio generale di sufficienza della prova è superiore o inferiore), da destinarsi a un fondo separato sul quale possano rivalersi in via individuale i componenti passivi del gruppo70. Quando questo fenomeno di semplificazione della fattispecie corrisponde a una scelta del legislatore sostanziale e il rimedio è del tutto non escludibile e non consumabile – come accade, ad esempio, nella tutela inibitoria contro la discriminazione indiretta, in cui la dimensione seriale della condotta può essere elemento costitutivo della fattispecie ed il rimedio inibitorio non può di fatto non giovare anche ai cointeressati71 – il suo effetto sul riparto del rischio di soccombenza nel merito non è in realtà un’implicazione dell’azione collettiva, ma quando si tratta di risarcimento del danno a diritti individuali omogenei può darsi che sia proprio lo strumento processuale a determinarlo: se si prevede che l’onere della prova della causalità specifica sia soddisfatto successivamente ai fini del riparto fra i danneggiati della somma globalmente liquidata in loro favore, in modo da determinare priorità relative nell’accesso al relativo fondo separato sino al suo esaurimento (sicché siano soddisfatti prioritariamente quanti risultino con maggiori probabilità vittime dell’illecito, rispetto a quanti risultino tali con minore probabilità, proporzionalmente alla relativa differenza), si produce solo una più accurata applicazione della legge sostanziale ai fini della deterrenza della condotta illecita; ma se così non è – ad esempio perché si vogliono risparmiare i costi dell’accertamento delle probabilità della causalità specifica – si produce inoltre un effetto ridistribuivo più difficile da conciliare con le funzioni compensative del sistema della responsabilità civile, perché vengono uniformati gli esiti di quelle che in via individuale sarebbero, anche se solo a causa, per esempio, dell’erraticità dei criteri adottati in materia dalle giurie popolari, e della loro sensibilità alle caratteristiche anche extragiuridiche del caso concreto, liquidazioni differenti. Questo secondo tipo di soluzioni, però, viene adottato sulla base di conciliazioni collettive in circostanze in cui si giustificherebbero anche quei provvedimenti legislativi di semplificazione sostanziale della fattispecie, con riferimento a particolari attività dannose – ad esempio quelle ormai esauritesi – cui si è accennato nel capitolo precedente. Naturalmente, la circostanza che tali effetti ridistributivi si compiano in sede giurisdizionale può destare perplessità – sarà necessario ritornare più avanti sulla questione –, ma quel che va qui soprattutto rimarcato è che il loro effetto non sembra in alcun modo produrre sovradeterrenza: si rende anzi relativamente più accurata e meno costosa la deterrenza prodotta dall’applicazione degli ordinari meccanismi compensativi. Naturalmente non si può poi escludere del tutto che qualche effetto di vera e propria sovradeterrenza possa derivare dalla più accurata applicazione di qualche speciale norma sostanziale, tale da distruggere settori produttivi o pregiudicare la competitività del sistema economico (benché sia poco plausibile che ciò accada spesso, specie se si considera che la globalizzazione economica sta progressivamente uniformando le regole giuridiche del pianeta: su questo punto si avrà modo di ritornare): in tale occasione però, il problema risiederebbe più nella norma sostanziale che nel meccanismo processuale che ne garantisca l’effettività72. La distruzione di interi settori produttivi è però, di solito, la 70 Il celebre leading case statunitense in questa materia è In re “Agent Orange” Prod. Liab. Litig., 597 Federal Supp., pp. 740 ss. (E.D. N.Y. 1984), sul quale cfr., per es., la nota redazionale Procedural History of the Agent Orange Product Liability Litigation, in 52 Brooklyn Law Review, 1986, pp. 335 ss. e l’ampio volume di P.H. Schuck, Agent Orange on Trial: Mass Toxic Disasters in the Courts, Cambridge, 19872, passim. 71 In questa materia il leading case statunitense è Griggs v. Duke Power Co., 401 U.S., pp. 424 ss. (1971); vale la pena di osservare che solo apparentemente simile è la regola in Italia posta dall’art. 4, c. 6, della l. 10 aprile 1991, n. 125 (oggi recepita nell’art. 40 del d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198), in base alla quale il fatto può presumersi in base a dati di carattere statistico, poiché a tal fine bastano statistiche meramente descrittive, il cui valore probatorio del fatto non equivale a quello delle statistiche inferenziali dotate di significatività (su tale distinzione, nonché per ulteriori riferimenti alla casistica di cui a questa nota ed alla precedente, sia concesso rinviare a A. Giussani, La prova statistica nelle “class actions”, in Riv. dir. proc., 1989, pp. 1029 ss., e in Studi in onore di Vittorio Denti, III, Padova, 1994, pp. 149 ss.), sicché il meccanismo va preferibilmente inquadrato nell’ambito delle presunzioni legali (v. già M. Taruffo, Presunzioni e onere della prova, in Riv. cri. dir. lav., 1992, pp. 791 ss.). 72 Non è ovviamente il caso di discutere qui se siano o meno efficienti le variamente discutibili disposizioni sostanziali attributive della responsabilità civile in particolari materie (a proposito della trasparenza del mercato azionario v., per es., da ult., le 17 conseguenza, in realtà, dell’applicazione di norme sostanziali di cui è alquanto imbarazzante sostenere l’inefficienza: paradigmatico, in proposito, è il caso della produzione di amianto, invero arrestata dall’applicazione dall’antica e venerata regola che vieta di uccidere, e non certo dall’esperibilità delle azioni collettive a tutela di diritti individuali omogenei (la quale ha anzi permesso di abbattere i costi del conseguente contenzioso risarcitorio). Merita infine di essere oggetto di speciale analisi la questione, assai dibattuta, dell’effetto intimidatorio dell’azione collettiva risarcitoria a tutela di diritti individuali omogenei, in ipotesi tale da indurre a conciliare anche pretese prive di fondamento giuridico. In prima battuta il ragionamento sembra assurdo: deducendo in giudizio il complesso del valore delle pretese delle parti occasionali, l’attore altro non fa che riequilibrare l’asimmetria delle poste altrimenti ostativa all’accesso della tutela giurisdizionale; ciò da cui le parti abituali dicono volentieri di essere terrorizzate è semplicemente ciò che esse stesse fanno regolarmente alle parti occasionali del contenzioso seriale, allorché dimostrano di avere un interesse nella causa tale da giustificare investimenti corrispondenti al suo valore di fatto, anziché al valore nominale della singola pretesa. Si tratta invero di atteggiamenti umanamente comprensibili: a chiunque piacerebbe essere di fatto immune dalla tutela giurisdizionale, ed è normale che la perdita dell’immunità venga soggettivamente vissuta come una punizione crudele e immeritata (anche quando l’immune ne abbia – come di dice – combinata una più di Bertoldo). È chiaro però che siffatto privilegio non può essere compatibile con la costituzione vigente, neppure quando ben più solide ragioni possano giustificarlo73. Si deve tuttavia concedere che il ragionamento contiene un nucleo di verità a particolari condizioni: se i costi non ripetibili necessari per ottenere il rigetto della domanda superano quelli necessari per la sua proposizione, anche la più platealmente infondata delle pretese può acquisire un valore attuale positivo, poiché per il convenuto può essere in effetti conveniente – se si trascurano sia gli incentivi reputazionali, operanti anche rispetto alle pretese del tutto fondate, sia l’interdipendenza degli investimenti (ossia la possibilità di investire nella difesa allo scopo non di conseguire il rigetto della domanda, ma di infliggere ulteriori costi non ripetibili all’avversario), entrambi esaminati nel precedente capitolo – conciliare la lite, purché per una somma non superiore al costo da sostenere per conseguire la sentenza favorevole, con evidenti effetti di sovradeterrenza74. Va però anche notato che questo fenomeno può dipendere solo da regole che nulla hanno a che vedere con l’esperibilità dell’azione collettiva – in particolare dalle regole sul riparto dell’onere della prova e da quelle sulla ripetibilità delle spese: è ovvio che la dinamica in discorso può essere ben più rilevante negli Stati Uniti che in Europa, dato che colà per regola generale gli onorari di difesa non vengono posti a carico della parte soccombente, sicché ove il carico probatorio del convenuto richieda lo svolgimento di attività difensive relativamente più costose, le spese non ripetibili da sostenere per ottenere il rigetto della domanda potrebbero davvero essere considerevolmente maggiori di quelle da sostenere per la sua proposizione75 –, sicché gli effetti di tale esperibilità vanno specificamente esaminati per chiarire se essa aggravi o meno il problema. In linea di massima la risposta non sembra poter essere altro che negativa: a parità di condizioni, l’azione collettiva abbatte corrispondentemente, rispetto a ogni singola pretesa, sia il costo unitario delle proposizione della domanda, sia il costo unitario della difesa necessaria per conseguirne il rigetto. L’impressione che qualcosa cambi, però, non è del tutto infondata: per le parti occasionali l’abbattimento è assai più rilevante che per la parte abituale, dato che delle economie di scala proprie del contenzioso seriale essa fruisce comunque; ciò che viene lamentato, ancora una volta, è quindi la perdita di un privilegio privo di giustificazione sul piano dell’efficienza76. Vale la pena di notare che un incremento del costo della difesa da domande infondate non si produce neppure quando la deducibilità della dimensione collettiva del conflitto permette di semplificare la fattispecie produttiva della responsabilità civile: nei casi esaminati nel paragrafo precedente, infatti, la semplificazione della fattispecie, oltre a dipendere da scelte del legislatore sostanziale, incide sulla fondatezza delle domande (ad esempio rendendo tali anche quelle per le quali non vi sia prova della causalità specifica), ma non sul costo della difesa dalle domande infondate. Questi rilievi, peraltro, non escludono affatto che la possibilità di conciliare l’azione collettiva produca inefficienze allocative: vi sono infatti inefficienze passibili di dare luogo a fenomeni di sovradeterrenza che dipendono dalla possibilità di conciliare qualsiasi controversia, e che pur senza essere aggravate dall’esperibilità dell’azione considerazioni di J.C. Coffee, Reforming the Securities Class Action: An Essay on Deterrence and Its Implementation, in 106 Columbia Law Review, 2006, pp. 1536 ss.). 73 Si allude naturalmente alla vicenda conosciuta da Corte cost., 20 gennaio 2004, n. 24, in Foro it., 2004, I, cc. 321 ss. 74 Valga in proposito un rinvio alla classica analisi di D. Rosenberg e S. Shavell, A Model in wich Suits are Brought for their Nuisance Value, in 5 International Review of Law & Economics, 1985, pp. 3 ss. (e per ampi riferimenti al successivo dibattito a R.J. Kozel e D. Rosenberg, Solving the Nuisance-Value Settlement Problem: Mandatory Summary Judgement, in 90 Virginia Law Review, 2004, pp. 1849 ss.). 75 La c.d. American Rule, solitamente contrapposta, nel linguaggio giuridico anglosassone, alla opposta British Rule, si è affermata a partire dal caso Arcambel v. Wiseman, 3 U.S., pp. 306 ss. (1796): in argomento v., per es., J. Leubsdorf, Toward a History of the American Rule on Attorney Fee Recovery, in 48 Law & Contemporary Problems, 1984, I, p. 9 ss.; per un panorama delle varie eccezioni a tale regola v., per es., D.D. Dobbs, Awarding Attorney Fees against Adversaries, in Duke Law Journal, 1986, p. 439 ss. (anche in trad. it. in Avvocatura e giustizia, cit., pp. 397 ss.). 76 V. ampiamente Kozel e Rosenberg, Solving the Nuisance-Value Settlement Problem, cit., pp. 1858 ss., 1879 ss. (e già in precedenza, B. Hay e D. Rosenberg, “Sweetheart” and “Blackmail” Settlements in Class Actions: Reality and Remedy, in 75 Notre Dame Law Review, 2000, pp. 1403 ss.). 18 collettiva, non vengono però da essa neppure eliminate; inoltre vi sono inefficienze prodotte specificamente dalla possibilità di conciliare l’azione collettiva, ma che danno vita, anziché ad effetti di sovradeterrenza, ad effetti di sottodeterrenza. Di questo tipo di fenomeni conviene però trattare nel prossimo capitolo, nel contesto dell’esame del complesso rapporto fra l’azione collettiva risarcitoria e gli obiettivi di efficienza dell’amministrazione della giustizia. 4. – La discussione dei rapporti fra l’azione collettiva risarcitoria e l’efficienza dell’amministrazione della giustizia richiede preliminarmente di chiarire in che maniera quest’ultima debba valutarsi. La questione è delicata perché l’economia processuale a un’analisi superficiale rischia di essere concepita come la scienza dello smaltimento dell’arretrato giudiziario: in tale ottica, si giustificherebbero in base a considerazioni di efficienza, ad esempio, regole che incrementino il costo dell’accesso alla giustizia, che escludano la tutelabilità di certe situazioni soggettive di vantaggio, o che convoglino settori del contenzioso verso metodi alternativi di risoluzione delle controversie in cui l’applicazione della legge sostanziale sia meno accurata. Qui s’intende invece l’economia processuale come la scienza della minimizzazione, a parità di costi, del rapporto fra i conflitti generati dall’interazione sociale spontanea e quelli risolti applicando la legge sostanziale. Pertanto, gli strumenti limitativi dell’accesso alla giustizia appena menzionati nulla hanno a che vedere con l’economia processuale in tal senso: nella misura in cui implicano il rifiuto di applicare pienamente la legge sostanziale ai fini della risoluzione delle controversie sorte dall’interazione sociale – e rendono quindi applicabile la legge sempre in vigore in via residuale, ossia la ben poco efficiente legge del più forte –, si possono piuttosto qualificare come strumenti di “avarizia” processuale (rispecchiando la distinzione tra il comportamento economico, che è quello di chi investe le risorse a sua disposizione per farle fruttare, e il comportamento avaro, che è quello di chi, del tutto improduttivamente, le nasconde sotto il materasso)77. La potenziale ambiguità del concetto di economia processuale ha caratterizzato in maniera interessante (e per l’osservatore neutrale forse anche abbastanza buffa) alcune fasi del dibattito statunitense in materia di azioni collettive risarcitorie di cui conviene dare qui rapidamente conto. La vicenda inizia proprio con l’introduzione delle azioni collettive risarcitorie nella loro forma moderna: le parti abituali alimentarono una consistente propaganda diretta a suggerire che fosse in atto un’esplosione del contenzioso pregiudizievole per l’efficienza dell’amministrazione federale della giustizia, e che dovesse porvisi rimedio attraverso metodi di selezione limitativi dell’accesso in via collettiva alla giustizia federale78; la giurisprudenza venne quindi rapidamente convinta a rendere diverse decisioni in forza delle quali il contenzioso collettivo venne deviato presso le giurisdizioni degli stati federati, in cui la disciplina delle azioni collettive era relativamente meno sviluppata e in cui le parti abituali contavano quindi di trovare un ambiente processuale a loro più favorevole79. Nel corso del tempo le parti abituali dovettero però rendersi conto di aver ottenuto una vittoria di Pirro: le giurisdizioni degli stati federati sono tante, e in presenza dei presupposti per l’esercizio di un’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei le possibilità di forum shopping sono vaste, anche perché l’illecito commesso su scala commerciale tende a non essere concentrato in uno stato federato, e a estendersi invece sul territorio nazionale; di conseguenza, fra le giurisdizioni federate interessate ad attrarre contenzioso – perché relativamente meno oberate, o anche solo perché interessate alle ricadute economiche favorevoli dello svolgimento del contenzioso presso la loro sede (si consideri che presso alcune giurisdizioni federate le associazioni forensi svolgono funzioni determinanti nella procedura di reclutamento dei magistrati)80 – finì per innescarsi una competizione a rendere l’ambiente processuale più ospitale possibile per chi promuoveva le azioni collettive risarcitorie. Si è quindi assistito recentemente alla comica marcia indietro a tutto vapore delle associazioni rappresentative delle parti abituali americane: enormi risorse sono state investite per propagandare una riforma – effettivamente approvata da una maggioranza parlamentare fortemente 77 Si è già fatto ricorso a questo vocabolario in A. Giussani, Studi sulle “class actions”, Padova, 1996, pp. 195 ss. L’allarme sull’esplosione del contenzioso presso la giurisdizione federale trovò eco già in un contributo dell’allora Presidente della Corte Suprema W.E. Burger, The State of the Judiciary, in 56 A.B.A. Journal, 1970, p. 929; fra i contributi dei difensori specializzati nella difesa delle parti abituali, diretti a sostenere che soprattutto il carico di lavoro derivante dalle azioni collettive risarcitorie fosse insostenibile per le corti federali, risultarono particolarmente influenti quelli di M. Handler, The Shift from Substantive to Procedural Innovations in Antitrust Suits: The Twenty-third Annual Antitrust Review, in 71 Columbia Law Review, 1971, pp. 5 ss. (a cui si deve la prima formulazione della teoria dell’effetto intimidatorio della proposizione dell’azione collettiva discusso nel precedente cap., spec. nel par. 5); W. Simon, Class Actions: Useful Tool or Engine of Destruction?, in 55 Federal Rules Decisions, 1973, pp. 375 ss.; F.R. Kirkham, Complex Civil Litigation: Have Good Intentions Gone Awry?, in 70 Federal Rules Decisions, 1976, pp. 199 ss.; ebbe inoltre ampia risonanza l’analisi, corredata da varie restrittive proposte di riforma, svolta in Report and Recommandations of the Special committee on Rule 23 of the Federal Rules of Civil Procedure, a cura dell’American College of Trial Lawyers, Los Angeles, 1972, passim. 79 Cfr. spec. Snyder v. Harris, 394 U.S., 1969, pp. 332 ss., Zahn v. International Paper Co., 414 U.S., 1974, pp. 291 ss., e soprattutto la celebre Eisen v. Carlisle & Jacquelin, 417 U.S., 1974, pp. 156 ss. (anche in trad. it. in V. Vigoriti, Interessi collettivi e processo: la legittimazione ad agire, Padova, 1979, pp. 291 ss.). 80 In tali occasioni si riscontra ovviamente una propensione a favorire l’attore: per un’analisi dei dati empirici in proposito, v., per es., A.T. Tabarrok e E. Helland, Court Politics: The Political Economy of Tort Awards, in Journal of Law & Economics, 1999, pp. 157 ss. 78 19 sensibile alle istanze delle parti abituali nel 2005 e denominata Class Action Fairness Act – diretta a reindirizzare il contenzioso di portata collettiva all’inverso, dalle giurisdizioni statali a quella federale81. L’insegnamento offerto da questa storia vera sembra abbastanza chiaro: oltre alla competizione fra sistemi economici, e fra ordinamenti giuridici82, esiste anche una competizione fra sistemi giurisdizionali, molto accentuata negli Stati Uniti ma ben presente anche in Europa (e invero, per effetto della globalizzazione economica, destinata a operare a livello planetario). Se si confonde l’economia processuale con l’avarizia, non si perdono solo le ricadute reddituali dello svolgimento del contenzioso presso la propria sede (di cui magari poco ci si interessa in sede politica): si perde addirittura la sovranità, perché le controversie vengono risolte da strutture giudiziarie straniere, con effetti ben più penalizzanti proprio per il sistema economico. Con buona pace di quanti temono che l’introduzione in Italia dell’azione collettiva risarcitoria a tutela di diritti individuali omogenei pregiudichi la competitività delle imprese nazionali, deve quindi osservarsi che proprio la mancanza di tale strumento assicura una perdita netta a tutti i soggetti nazionali coinvolti nel contenzioso di dimensione collettiva: quelle imprese che si illudono che l’Italia sia un porto sicuro sono destinate a scoprire che proprio l’assenza di un sistema efficiente di gestione del contenzioso ripetitivo rende più difficile l’accoglimento, da parte del giudice statunitense, dell’eccezione di difetto di giurisdizione per forum non conveniens quando esse vengano convenute oltreoceano per rispondere dei loro illeciti83; il giudice statunitense, però – e soprendersene è decisamente ingenuo –, tende poi naturalmente, nelle sue decisioni, a favorire le vittime locali rispetto a quelle straniere (la legislazione più recente tende ad arginare, ma solo in parte, questo genere di propensioni)84. In linea astratta questo problema sembra potersi affrontare negando il riconoscimento in Italia di tali decisioni: in base al diritto vigente può a volte giustificarsi un diniego del riconoscimento, ad esempio rispetto alle pretese di soggetti cui non sia stata concessa la facoltà di recedere dall’azione collettiva né di costituirsi in giudizio in proprio85, e 81 Per riferimenti alla campagna propagandistica v. già Poncibò, La controriforma delle class actions, cit., pp. 124 ss.; per un più dettagliato esame critico v. però, per es., Class Action “Judicial Hellholes”: Empirical Evidence Is Lacking, a cura del Public Citizen’s Congress Watch, Washington, 2005, passim; più ampiamente sulla formazione e sulla portata del c.d. CAFA del 2005 cfr., per es., E.J. Cabraser, The Class Action Counterreformation, in 57 Stanford Law Review, 2005, p. 1514 ss.; A.B. Morrison, Removing Class Actions to Federal Court: A Better Way to Handle the Problem of Overlapping Class Actions, ivi, p. 1521 ss.; E.F. Sherman, Class Actions After the Class Action Fairness Act of 2005, in 80 Tulane Law Review, 2006, p. 1593 ss.; S. Issacharoff, Settled Expectations in a World of Unsettled Law: Chioce of Law After the Class Action Fairness Act, in 106 Columbia Law Review, 2006, pp. 1839 ss.; R.A. Nagareda, Aggregation and Its Discontents: Class Settlement Pressure, Class-wide Arbitration, and CAFA, ivi, pp. 1872 ss.; S.B. Burbank, Aggregation on the Couch: The Strategic Uses of Ambiguity and Hypocrisy, ivi, pp. 1924 ss.; S.C. Yeazell, Overhearing Part of a Conversation: Shutts as a moment in a Long Dialogue, UCLA School of Law, Los Angeles, 2006, passim; da ult., R.L. Marcus, Modes of Procedural Reform, in Direito processual comparado, cit., pp. 817 ss. 82 Cfr., per es., i contributi raccolti in La concorrenza tra ordinamenti giuridici, a cura di A. Zoppini, Bari, 2004, passim. 83 V., per es., nel senso che l’eccezione debba rigettarsi quando il foro alternativo sia in Belgio, in vista dell’assenza colà di un efficiente sistema di azioni collettive a tutela di diritti individuali omogenei, In re Lernout & Hauspie Sec. Litig., 208 Federal Supp. 2d (D. Mass. 2002), pp. 91 s.; per avere un’idea dell’ampiezza dei margini di esercizio della giurisdizione statunitense (ai fini della quale possono assumere rilevanza, oltre ai luoghi di svolgimento dei fatti, anche quelli di produzione degli effetti, nonché la provenienza dell’attore) v., per es., già L.J. Silberman, Developments in Jurisdiction and Forum Non Conveniens in International Litigation: Thoughts on Reform and a Proposal for a Uniform Standard, in 28 Texas International Law Journal, 1993, pp. 501 ss., e più di recente (soprattutto ai sensi, oltre che dell’Alien Tort Claims Act – riguardante solo gli stranieri e quindi applicato in modo relativamente meno generoso ai fini dell’eccezione di forum non conveniens –, della legislazione antitrust e di quella a tutela della trasparenza del mercato dei titoli mobiliari), v., per es., K.L. Boyd, Universal Jurisdiction and Structural Reasonableness, in 40 Texas International Law Journal, 2004, pp. 1 ss.; H.L. Buxbaum, Transnational Regulatory Litigation, in 46 Virginia Journal of International Law, 2006, pp. 251 ss.; da ult. cfr. anche N. Trocker, Transnational Tort Litigation: Jurisdictional Issues. Trends, Policies, Rules, in Comparative Study of Business Tort Litigation, atti del convegno di Lyone del 4 ottobre 2007, in corso di pubblicazione a cura di M. Kawano, pp. 14 ss,. del dattiloscritto; con particolare riferimento alle azioni collettive risarcitorie a tutela di diritti individuali omogenei v. poi, per es., D.L. Basset, U.S. Class Actions Go Global: Transnational Class Actions and Personal Jurisdiction, in 72 Fordham Law Review, 2003, pp. 41 ss., e da ult. H.L. Buxbaum, Multinational Class Actions Under Federal Securities Law: Toward a “Fraud on the Global Market” Theory?, in 46 Columbia Journal of Transnational Law, 2007 (in corso di pubblicazione). 84 Il CAFA del 2005 limita (pur senza escluderla del tutto) la discriminazione, in sede di omologazione della conciliazione collettiva, fra i componenti passivi del gruppo, sul piano della liquidazione dei danni, in base alla loro prossimità geografica, e potrebbe ritenersi ostativo all’esplicito ricorso a pratiche di questo genere, in precedenza facilmente osservabile (v., per es., Lindsey v. Dow Corning Corp., 1994 WL 578353, N.D. Ala. 1994, pp. 12 ss.; cfr., in proposito, la nota redazionale Actualizing the Trope of Internationalism in Class Action Theory, in 118 Harvard Law Review, 2005, pp. 2830 ss.), ma non può certo impedire che i locali siano favoriti in maniera meno visibile, magari attraverso l’aggregazione di locali e stranieri in due gruppi differenti (in modo da giustificare la disparità di trattamento: v., per es., per il ricorso a questo metodo, In re Cable & Wireless, PLC Sec. Litig., 217 F.R.D., E.D. Va. 2003, pp. 372 ss.), o in sede di selezione del campione rappresentativo del gruppo o del suo difensore tecnico (v., per es., nel senso che lo straniero non sia adeguatamente rappresentativo di un gruppo comprendente anche locali, In re Royal Ahold NV Sec. Litig., 219 F.R.D., D. Md. 2003, pp. 343 ss.; nel senso che non possa essere adeguato un difensore tecnico proveniente da un ordinamento in cui non siano sperimentate le azioni collettive risarcitorie a tutela di diritti individuali omogenei, Malchman v. Davis, 706 Federal 2d, 2d Circ. 1983, p. 433). 85 Qualcuno si spinge ad affermare che sia contro l’ordine pubblico processuale ai fini del riconoscimento addirittura qualsiasi pronuncia su pretese di componenti passivi del gruppo (così D’Alessandro, Il riconoscimento, cit., pp. 231 s.), ma tale 20 si potrebbe anche introdurre qualche ulteriore disposizione specificamente ostativa. Questa linea di condotta non sembra però destinata a miglior successo di quella con cui si è tentato, in Europa, attraverso la Convenzione dell’Aja del 18 marzo 1970 in materia di assunzione delle prove all’estero, di proteggere le imprese locali dalla discovery esplorativa prevista dal diritto processuale statunitense: sfuggire all’attuazione dei provvedimenti dei giudici statunitensi è difficile tanto quanto sottrarsi alla loro giurisdizione86. Ovviamente subire l’influenza dei sistemi economici dominanti e doversi adattare alle loro regole giuridiche non è cosa allegra, e sono umanamente comprensibili – specie nel clima politico internazionale di questi tempi – le diffuse avversioni istintive a tutto ciò che “puzza” di America87. Chiudersi a riccio, però, serve a poco, e illudersi di risolvere i problemi con soluzioni originali trascurando di conoscere cosa accada negli altri paesi può riservare sgradevoli sorprese: tipicamente si propongono soluzioni non adottate altrove semplicemente perché adottate in precedenza con esiti negativi e già abbandonate (ossia soluzioni tecnicamente obsolete); nel tentativo di reinventare da capo la ruota, insomma, ci si accorge sulla propria pelle – e spesso troppo tardi – dell’utilità dei freni. Per sostenere la competizione fra giurisdizioni, quindi, occorre conoscere cosa accade altrove ed avvalersi delle innovazioni tecnologiche – di tecnica del processo – scoperte colà, adattandole alle particolarità del contesto locale in modo che assicurino una non minore efficienza – in modo, cioè, che gli apparecchi funzionino lo stesso anche se le spine e le prese di corrente sono diverse –, e magari addirittura migliorandone l’efficienza, nella prospettiva non dell’avarizia, ma dell’economia processuale come sopra definita. Sono queste politiche, infatti, e non certo i protezionismi dal fiato corto, a poter assicurare sul lungo periodo anche la competitività del sistema economico. Queste generali premesse consentono di illustrare le funzioni di economia processuale dell’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei attraverso un’immagine idonea a esonerare chi scrive e chi legge da troppo noiose formalizzazioni: l’introduzione dello strumento processuale in discorso equivale alla introduzione, in una città in cui il trasporto pubblico sia compiuto solo dai taxi, della possibilità di offrire anche il trasporto in autobus88. La metafora chiarisce come la funzione di ampliamento dell’accesso alla giustizia conviva con la funzione di razionalizzazione dell’impiego delle risorse giurisdizionali: l’autobus è più lento del taxi, e inizialmente si può anche pensare che rallenti il traffico, ma è ovvio che sul lungo periodo la mobilità complessiva aumenta considerevolmente, sia perché si possono avvalere del trasporto collettivo (più scomodo e meno personalizzato, ma spesso sufficiente a condurre a destinazione a costi unitari inferiori) diversi potenziali utenti del taxi, sicché aumenta il rapporto fra la quantità di persone trasportate e il numero di mezzi in circolazione, sia perché accedono al trasporto pubblico anche quanti sono sprovvisti dei mezzi per permettersi il taxi; analogamente, l’esercizio dell’azione collettiva risarcitoria a tutela di diritti individuali omogenei dà luogo di certo a procedimenti ben più lunghi e complessi di quelli in via individuale, ma raggruppando un grande opinione non può meritare accoglimento, perché si fonda sull’idea che non siano riconoscibili decisioni in cui la sostituzione processuale sia ammessa in casi diversi da quelli previsti dal diritto italiano (ossia sulla inaccettabile concezione dell’ordine pubblico come elemento ostativo al riconoscimento di qualsiasi decisione applicativa di un ordinamento non identico a quello italiano: v. quanto rilevato, a proposito della riconoscibilità delle condanne al pagamento di danni punitivi supra, nei parr. 1 e 3), e sull’errata credenza che la controparte non possa di fatto spendere eccezioni personali (laddove proprio l’eventualità che siano spendibili eccezioni personali diversificate rende difficile il ricorso all’azione collettiva negli Stati Uniti – cfr., in proposito, Principles of the Law of Aggregate Litigation, cit., p. 159 –, salvo essere rese le stesse irrilevanti quando la causa viene definita in limine litis in via conciliativa, nel qual caso, però, possono a volte lamentare effetti pregiudizievoli i componenti passivi del gruppo, nella misura in cui non partecipino ai negoziati preparatori della transazione, e non certo la controparte: v. comunque meglio, in proposito, quanto si dirà tra breve); per la più corretta opinione che si pongano problemi di riconoscimento soprattutto nei casi in cui non sia consentito al titolare della pretesa il recesso dal gruppo cfr., per es., in Germania, già P. Gottwald, Class Actions auf Leistung von Schadensersatz nach amerikanischem Vorbild im deutschen Zivilprozess?, in 91 Zeitschrift für Zivilprozess, 1978, p. 1 ss., e più di recente C. Greiner, Die “Class action” im amerikanischen Recht und deutscher “Ordre public”, Francoforte sul Meno, 1998, p. 170 ss.; da ult. cfr. anche, nel senso che, ai fini della cooperazione giudiziaria internazionale, possa tutt’al più sindacarsi l’abusività delle class actions con cui si facciano valere punitive damages alla luce delle circostanze del caso concreto, la pronuncia del BVerfG, 14 gennaio 2007, già ricordata supra, nel par. 1; in Inghilterra, da ult., J. Harris, The Recognition and Enforcement of US Class Action Judgements in England, in Contr. e impr./Europa, 2006, p. 617 ss.; in Francia, da ult., M. Matousekova, Would French Courts Enforce U.S. Class Action Judgements?, ivi, p. 651 ss. (può inoltre escludersi il riconoscimento della defendant class action – che costituisce però un caso molto raro – e della class action avviata su istanza del convenuto o d’ufficio). 86 Sull’assai dibattuta vicenda cfr., per es., A. Saravalle, La Convenzione dell’Aja sull’assunzione di prove all’estero, in Dir. comm. intern., 1987, pp. 482 ss.; L. Fumagalli, Conflitti tra giurisdizioni nell’assunzione di prove civili all’estero, Padova, 1990, pp. 97 ss.; N. Trocker, Il contenzioso transnazionale e il diritto delle prove, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, pp. 477 ss.; B. Ficcarelli, Pre-trial discovery statunitense e controversie transnazionali: una questione rimasta aperta, in Riv. dir. civ., 2000, pp. 510 ss.; si vis, v. anche A. Giussani, L’esibizione di documenti situati nello spazio giuridico europeo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, pp. 870 ss.; per un’esame dell’influenza esercitata dal leading case in materia, con cui la giurisprudenza statunitense ha ritenuto disapplicabile la Convenzione (Société Nationale Industrielle Aérospatiale v. United States Dist. Court, 482 U.S., 1987, pp. 522 ss.), sulla casistica successiva cfr., per es., P.J. Borchers, The Incredibile Shrinking Hague Evidence Convention, in 38 Texas International Law Journal, 2003, pp. 73 ss.; H.L. Buxbaum, Assessing Sovereign Interests in Cross-Border Discovery Disputes: Lessons from Aerospatiale, ivi, pp. 87 ss.; J.A.R. Nafziger, Another Look at the Hague Evidence Convention After Aerospatiale, ivi, pp. 103 ss. 87 V., per un esempio significativo, S. Chiarloni, La tutela dei risparmiatori alla luce delle recenti iniziative legislative, in Giur. it., 2006, pp. 1114 ss. 88 Chi scrive ha già fatto più volte ricorso a quest’immagine (v. già A. Giussani, Il consumatore come parte debole nel processo civile italiano: esigenze di tutela e prospettive di riforma, in Consumatori e processo, cit., pp. 38 ss.). 21 numero di controversie seriali, cui assicura un trattamento meno personalizzato unitamente però a un significativo abbattimento del costo unitario, permette di conseguire, a parità di costi, un enorme incremento dell’attuazione del diritto sostanziale (quale risultato della migliore efficienza unitaria e dell’abbattimento dei costi di accesso). La stessa metafora illustra poi efficacemente anche gli aspetti di relativa efficienza di numerose variabili della disciplina dell’azione collettiva risarcitoria. A proposito dell’alternativa, già esaminata in precedenza, fra l’attribuzione in sede politico-amministrativa, anziché in sede giurisdizionale, della legittimazione ad esperire l’azione collettiva, si può osservare che, posto che il problema principale in materia è costituito dal rischio che il legittimato non possieda le risorse per proteggere la categoria, o sia addirittura in conflitto d’interessi, è molto più probabile che sia in grado di accorgersi di tale rischio il giudice a cui sia proposta la domanda in ciascun caso concreto, specialmente se si prevede che i componenti passivi del gruppo possano segnalargli elementi di fatto rilevanti sul punto senza bisogno di costituirsi in giudizio, e che possano assumersi d’ufficio le relative prove, piuttosto che l’ufficio ministeriale preposto a conferire in via generale, e sulla base di astratti criteri predeterminati (o, peggio ancora, in via del tutto discrezionale), abilitazioni creative di rendite di posizione (come tali sempre bisognose di specifica giustificazione): lo si capisce bene osservando che l’autista dell’autobus deve di certo essere abilitato alla guida di grossi veicoli – la sua competenza professionale può giustificare la rendita di posizione –, e analogamente l’azione collettiva non può esercitarsi senza il tramite di un avvocato, ma che del rischio che tale autista sia ubriaco, o intenzionato a dirigersi a casa propria anziché al capolinea, è molto più probabile che si accorgano i passeggeri, o i vigili in strada, piuttosto che gli uffici della motorizzazione, a cui egli si è senz’altro presentato sobrio, o al sindaco, a cui, durante la selezione per il reclutamento, egli si è ben guardato dal manifestare cattive intenzioni, o ad altri organi pubblici in tante altre faccende affaccendati. Similmente può trattarsi il tema dell’alternativa fra il sistema dell’adesione (opt-in) e quello del recesso (opt-out) rispetto ai titolari di diritti individuali omogenei rimasti passivi in occasione dell’esercizio dell’azione collettiva risarcitoria diretta alla loro tutela (ossia della questione se ricomprendere o meno nell’azione collettiva i diritti dei componenti passivi del gruppo di riferimento: con il sistema dell’opt-in sono inclusi solo quanti tempestivamente aderiscano, mentre con quello dell’opt-out sono esclusi solo quanti tempestivamente recedano): il percorso dell’autobus deve prevedere stazioni intermedie in cui si possa salire o scendere, ed è senz’altro preferibile che l’autista si fermi per permetterlo anche se la persona presso il relativo segnale non ha alzato la mano per richiederlo espressamente. Come si è già osservato, l’art. 24 cost. impone che si permetta sempre di scendere dal mezzo – come anche di non salirvi – ma non impedisce affatto di prevedere che debba poter salire anche chi non lo abbia chiesto esplicitamente, sicché l’ovvia preferibilità del sistema dell’opt-out, dal punto di vista dell’economia processuale come sopra intesa (come anche, d’altronde, ai fini della deterrenza nei termini esaminati in precedenza, e persino dal punto di vista della diffusione della propensione al comportamento cooperativo: dato che l’esperienza indica che qualsiasi sia il sistema adottato, solo ridottissime percentuali degli interessati si attivano89, il sistema dell’opt-in veicola l’informazione che il comportamento prevalente è opportunistico, mentre quello dell’opt-out veicola l’informazione che l’opportunismo è inusuale, e quindi – in vista delle considerazioni in precedenza formulate – favorisce assai di più la diffusione della cultura dell’associazionismo), non trova alcuna sorta di plausibile controindicazione: difficilmente, dunque, può ritenersi casuale che in vari ordinamenti si sia passati dal sistema dell’opt-in a quello dell’opt-out e che non sia mai accaduto il contrario90. 89 Per ampi dati empirici sulla scarsissima incidenza dell’esercizio del diritto al recesso nelle azioni collettive a tutela di diritti individuali omogenei negli Stati Uniti (anche nei casi in cui siano in gioco pretese individuali di valore elevato difficilmente si raggiungono percentuali del 5%; altrimenti si resta sotto l’1%), nonché riferimenti alle ricerche precedenti, v., da ult., Th. Eisemberg e G.P. Miller, The Role of Opt-Outs and Objectors in Class Action Litigation: Theoretical and Empirical Issues, in 57 Vanderbilt Law Review, 2004, pp. 1529 ss.; per converso, coerentemente alle indicazioni della teoria, salvo che si tratti di gruppi ristretti e coesi (per es. nella disciplina del Fair Labor Standards Act, v. il Manual for Complex Litigation, a cura del Federal Judicial Center, Washington, 20044, p. 597; si può ricordare, in proposito, che il legislatore aveva scelto tale sistema all’esplicito scopo di impedire che i sindacati – legittimati attivi ad eseperire il giudizio – potessero avvalersi del contenzioso per acquistare adesioni, v. Nagareda, The Preexistence Principle, cit., p. 224, e cfr. United States v. Cook, 795 Federal 2d, Fed. Circ. 1986, pp. 992 s.; v. poi, per un’applicazione al di fuori dei casi previsti dalla legge, per es., In re Ski Train Fire in Kaprun, 220 Federal Rules Decisions, S.D. N.Y., 2003, pp. 207 ss., in cui si è ritenuto ammissibile tale metodo, finché non è sopravvenuta in senso contrario Kern v. Seimens Corp., 393 Federal 3d, 2d Cic. 2004, pp. 120 ss.; cfr., in proposito, Cabraser, The Class Action Conterreformation, cit., pp. 1517 ss.), le percentuali di adesione attiva difficilmente raggiungono percentuali in doppia cifra (v., a proposito dell’esperienza inglese, per es., R. Mulheron, Justice Enhanced: Framing an Opt-Out Class Action for England, in 70 Modern Law Review, 2007, p. 557; sul fallimento dell’analoga esperienza francese con l’action en représentation conjointe, v., per es., E. Jeuland, La France, in Les recours collectifs: étude comparée, a cura della Société de législation comparée, Paris, 2006, pp. 77 ss); secondo un’efficace sintesi, il sistema dell’opt-in è il peggiore dei mondi possibili, perché pregiudica l’efficienza dell’azione collettiva come strumento di deterrenza e ne aggrava i costi (v. I.T. Buschkin, The Viability of Class Action Lawsuits in a Globalized Economy: Permitting Foreign Claimants to Be Members of Class Action Lawsuits in the U.S. Federal Courts, in 90 Cornell Law Review, 2005, p. 1576); può peraltro capitare che lo si adotti, in alcune giurisdizioni concorrenti rispetto ad altre in cui sia previsto il sistema del recesso, rispetto ai componenti passivi del gruppo ad esse estranei, per es. perché non residenti (naturalmente con l’effetto di riversare presso le giurisdizioni alternative il contenzioso seriale territorialmente diffuso). 90 Il più importante di questi passaggi è stato ovviamente quello compiuto negli Stati Uniti nel 1966: sulle ragioni del suo abbandono cfr., oltre alle Advisory Committee’s Notes, cit., pp. 105 s., v. anche Kaplan, Continuing Work, cit., spec. alle pp. 397 ss. (dove si sottolinea che il principale difetto del precedente sistema – in base al quale l’opt-in era possibile anche dopo la sentenza, e si 22 Ancora l’immagine dell’autobus può inoltre chiarire il dubbio se sia preferibile che la sentenza di accoglimento della domanda si limiti a dichiarare la responsabilità civile del convenuto, senza liquidare i danni dovuti ai singoli componenti della categoria interessata, o se possa anche provvedervi e quindi costituire titolo esecutivo da essi direttamente utilizzabile: è chiaro che quanto più si debbono conoscere questioni che non riguardino l’intero gruppo, tanto più l’azione collettiva risarcitoria perde efficienza e di conseguenza giustificazione; analogamente, è giusto chiedersi se il capolinea dell’autobus possa essere collocato anche in periferia, dove magari le strade sono più strette e tortuose, e debba magari anche prevedere un percorso non lineare, onde permettere ai passeggeri diretti in luoghi diversi ma non troppo distanti tra loro di scendere il più vicino possibile alla destinazione. L’immagine, infatti, sembra spiegare bene come non sia saggio escludere a priori che si possano organizzare anche capolinea in periferia e percorsi tortuosi: la maggiore o minore efficienza di questo tipo di corse si può valutare solo con riferimento al caso concreto, e così come non è difficile individuare ipotesi concrete in cui la liquidazione del danno risarcibile a ciascuno degli interessati può agevolmente compiersi in via standardizzata senza alcun pregiudizio delle funzioni compensative (oltre alle numerose ipotesi in cui, in alternativa, è ragionevole rinunciare all’accuratezza delle funzioni compensative, privilegiando l’accuratezza delle funzioni di deterrenza, e quindi procedere a una liquidazione complessiva del danno, eventualmente riservando la ripartizione della somma fra gli interessati a subprocedimenti deformalizzati a struttura concorsuale), non è affatto raro osservare gli autobus metropolitani spingersi in periferia ed effettuare percorsi articolati per consentire a ciascuno degli utenti di scendere il più vicino possibile alla propria destinazione particolare. Il modo migliore per assicurare che in ogni caso concreto si adotti la soluzione più efficiente consiste dunque nel configurare gli incentivi in modo che risulti massimizzata la soddisfazione di quanti potrebbero essere pregiudicati dalla scelta sbagliata, ossia i componenti del gruppo dei passeggeri dell’autobus della giustizia: a questo scopo ha senso prevedere che l’autista sia retribuito soltanto all’arrivo al capolinea, in ragione della quantità di passeggeri trasportati, in modo che lui stesso – come soggetto posto nella posizione migliore per prendere una decisione informata – compia le scelte appropriate a pena di perdita del compenso sperato. In base a questa logica, l’avvocato del gruppo è senz’altro il soggetto nella posizione migliore per valutare se sia preferibile chiedere solo la condanna generica della controparte ovvero anche la liquidazione del dovuto, poiché la sua competenza professionale gli può permettere di informarsi adeguatamente sul punto, e se la scelta comporta inefficienze è lui il primo a soffrirne. In merito a tali questioni vale anche la pena di osservare che non appare conveniente neppure escludere a priori che si possa chiedere la mera condanna generica, allorché il convenuto non vi si opponga: nonostante che siano diffuse in dottrina opinioni restrittive intorno alla deducibilità in via frazionata della pretesa sostanziale, a volte fondate anche su considerazioni di economia processuale, deve in realtà in linea di massima (e con tutte le eccezioni del caso: e ovviamente il riferimento alle eccezioni non è affatto casuale) ritenersi preferibile, proprio ai fini dell’efficienza della gestione delle risorse giurisdizionali, che le parti non vengano indotte a discutere profili del rapporto controverso ulteriori rispetto a quelli dedotti in giudizio91. Quindi, dato che la giurisprudenza di solito ammette, in mancanza di contestazioni del convenuto, che si possa agire per la sola condanna generica92, è preferibile ritenere, anche alla luce delle esperienze straniere, che a maggior ragione ciò sia possibile attraverso l’azione collettiva. D’altronde è sempre sul difensore tecnico del gruppo che si deve contare anche per valutare se l’azione collettiva può essere resa inefficiente dall’esigenza di discutere quelle difese del convenuto che riguardino solo alcuni dei componenti della categoria interessata: sovente potrà trattarsi ancora di questioni standardizzabili, ma dovrà comunque lui valutare il rischio che nel caso concreto possano dedursene tali e tante da rendere l’iniziativa non più redditizia, e sopportare il costo del suo eventuale errore di valutazione. Peraltro, gli obiettivi di efficienza del sistema economico nel suo complesso escludono che la professione forense possa rifiutarsi di riconoscere la propria natura imprenditoriale (sia pure sui generis) e impedire che l’esercizio del patrocinio comporti l’assunzione di un rischio configurava quindi il giudicato secundum eventum litis – non stava nella sua iniquità nei confronti del convenuto, ma nella sua carenza di effettività nell’assicurare l’accesso alla giustizia: cfr. già quanto osservato nel par. 2, supra); il ritorno al sistema dell’optin è stato propugnato già nel 1972, nelle proposte di riforma del Report and Recommandations, cit., pp. 31 ss., e si è proposto di autorizzarlo esplicitamente come alternativa all’opt-out ancora in un progetto di riforma del Justice Department del 1978 (v., in proposito, i rilievi critici del celebre contributo di A.R. Miller, Of Frankenstein Monsters and Shining Knights: Myth, Reality, and the “Class Action Problem”, in 92 Harvard Law Review, 1979, p. 689), e nel corso dei lavori dell’Advisory Committee sfociati nell’Amendment del 1998 in materia di impugnabilità del provvedimento endoprocessuale di abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva (sulle ragioni che hanno suggerito che la proposta relativa all’opt-in venisse invece abbandonata v., per es., E.H. Cooper, The (Cloudy) Future of Class Actions, in 70 Arizona Law Review, 1998, pp. 935 ss.; Hensler, Pace, Dombey-Moore, Giddens, Gross e Moller, Class Actions Dilemmas, cit., pp. 476 s.), ma nessuna di tali iniziative ha mai avuto seguito; un altro caso significativo è quello dello stato federato australiano del Victoria, in cui proprio in base a considerazioni di effettività dell’accesso alla giustizia si è modificata, introducendo l’opt-out in luogo dell’opt-in previsto in precedenza (v., sulla vicenda, per es. S. Stuart Clark e C. Harris, Multi-Plaintiff Litigation in Australia: A Comparative Perspective, in 11 Duke Journal of Comparative & International Law, 2001, pp. 294 s.). 91 Il tema attiene ai principi generali del processo e può quindi essere qui solo accennato: per maggiori chiarimenti su ciò che chi scrive intende dire con questi passaggi v. A. Giussani, Collegamento negoziale ed effetti del giudicato, in Il collegamento negoziale, atti del seminario 2006 della rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Milano, 2007, pp. 113 ss. 92 V., per es., Cass., sez. un., 23 novembre 1995, n. 12103. 23 d’impresa93, quando ciò possa – come nel caso di cui si discorre – contribuire efficacemente alla razionalizzazione dell’impiego delle risorse giurisdizionali. La circostanza, poi, che essi possano oggi non essere pronti, cui taluno si richiama per opporsi all’introduzione dell’istituto in parola94, è poi a un tempo ovvia – è normale non essere pronti a far qualcosa che non si può fare – e irrilevante: studi legali specializzati nelle azioni collettiva non esistevano neanche in America prima che l’istituto venisse introdotto, e certamente nessuno sapeva guidare l’autobus prima che lo si adottasse; una volta inventato l’autobus, e una volta introdotta la disciplina delle azioni collettive risarcitorie a tutela di diritti individuali omogenei, è lecito invece prevedere che – come usa dire – l’intendance suivra. Non sembri esagerato, dunque, che si faccia ricorso alla stessa immagine anche per discutere dei filtri preliminari all’esercizio dell’azione. Alcuni di essi, come la verifica dalla legittimazione attorea ad esperire l’azione collettiva in qualità di suo campione rappresentativo provvisto di risorse idonee a proteggere i componenti passivi del gruppo, e quella della omogeneità delle pretese dedotte in giudizio, hanno un’evidente utilità perché equivalgono alla verifica che l’autista sia provvisto di patente ed all’annuncio ai passeggeri del percorso previsto: servono rispettivamente a evitare che si ponga alla guida del mezzo un soggetto a priori inidoneo (anche, cioè, se non è ubriaco), e che ci si impegni a condurre i viaggiatori in direzioni talmente diverse da rendere chiaramente irrazionale l’uso del mezzo collettivo, senza escludere che per il resto la pianificazione logistica spetti – come è preferibile che sia alla luce di quanto appena detto – all’aspirante difensore tecnico del gruppo. Di tale provvedimento si suggerisce a volte che debba consentirsi di chiedere sempre il riesame immediato dinanzi al giudice superiore, e magari anche in sede di legittimità95. Sembra però che sia preferibile permettere invece che l’istanza di abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva respinta sia riproponibile, e che il provvedimento favorevole sia soggetto a modifica e revoca anche d’ufficio ed anche su riesame di circostanze già conosciute, per ovvie esigenze di protezione dei componenti passivi del gruppo: risulta quindi difficile attribuirgli autonoma portata decisoria ed incongruo – e inefficiente – contemplare il diritto al suo riesame immediato da parte di altro giudice. Meno apprezzabile, però, è che la concessione del provvedimento sia subordinata anche – come a volte si propone – a una valutazione di apparenza di fondatezza della domanda o all’esperimento di tentativi di conciliazione. Nella prima ipotesi, infatti, è come se si pretendesse che un vigile valutasse ogni volta in anticipo la praticabilità del percorso: è vero che si proteggerebbe il convenuto da iniziative pretestuose, ed anche il gruppo dei danneggiati da iniziative premature (il cui esito potrebbe pregiudicarle)96; ma è anche vero che la parte meritevolmente interessata a una valutazione preliminare del fumus boni iuris della domanda ha già a disposizione allo scopo la tutela cautelare (e se non ce l’ha già non sembra che il semplice metus dell’azione collettiva – che, come si è già notato, altro non è che il riflesso psicologico della perdita di un privilegio ingiustificato – imponga di attribuirglielo)97, e che le parti occasionali possono essere protette dalle iniziative premature esercitando il diritto all’opt-out98, sicché tale vaglio preliminare risulta di così modesta utilità rispetto ai suoi costi da risultare difficilmente compatibile con il criterio di legittimità costituzionale della ragionevolezza99 (e anche negli Stati Uniti, le ripetute proposte di introdurre una regola del genere sono state finora sempre respinte100). 93 In particolare in sede comunitaria si rinvengono decise indicazioni nel senso che i limiti all’applicazione della disciplina della concorrenza debbano trovare solide giustificazioni: v., per es., la comunicazione della Commissione europea Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali, COM2004(83) del 9 febbraio 2004. 94 V., per es., S. Chiarloni, La tutela dei risparmiatori alla luce delle recenti iniziative legislative, cit., p. 1118. 95 V., per es., A. Carratta, Dall’azione collettiva inibitoria a tutela di consumatori e utenti all’azione collettiva risarcitoria: i nodi irrisolti delle proposte di legge in discussione, in Giur. it., 2005, p. 666; Costantino, La tutela collettiva, cit., pp. 144 s. 96 Il problema si pone nelle occasioni in cui la questione della causazione del danno è oggetto di ricerche scientifiche in fieri: l’idea, formulata da F.E. McGovern, Resolving Mature Mass Tort Litigation, in 69 Boston University Law Review, 1989, pp. 659 ss., è stata ripresa nel caso Castano v. American Tabacco Co., 84 Federal 3d (5th Circ. 1996), pp. 748 s. 97 Analogamente, si è osservato che le parti interessate ad anticipare la valutazione della fondatezza della domanda negli Stati Uniti possono chiedere un summary judgement (tale provvedimento non è cautelare ma di merito, e si può rendere nei casi di manifesta fondatezza o infondatezza della domanda, ma può svolgere una equivalente funzione di proteggere il convenuto dalle iniziative temerarie: v., per la proposta di prevederne la pronuncia d’ufficio in limine litis a tale scopo, Kozel e Rosenberg, Solving the Nuisance-Value Settlement Problem, cit., pp. 1860 ss.). 98 Almeno in Italia, posto che l’art. 24 cost. dovrebbe sempre assicurarlo (v. supra, par. 2): negli Stati Uniti il problema diviene più serio quando l’opt-out sia impedito (cfr. supra, par. 3). 99 È appena il caso di ricordare, a tale proposito, la recente pronuncia della Consulta sull’art. 274 c.c. (v. Corte cost., 10 febbraio 2006, n. 50, in Foro it., 2006, I, 966; in arg. cfr., per es., R. Conte, Il criterio di ragionevolezza nel sindacato costituzionale di norme processualcivilistiche, in Diritto processuale civile e Corte costituzionale, cit., p. 134 ss.; F. Danovi, L’art. 274 c.c. e gli irragionevoli ostacoli all’esercizio del diritto di azione, ivi, p. 201 ss.). 100 V., per es., la già ricordata proposta del Justice Department del 1978, severamente criticata, sotto tale profilo, da Miller, Of Frankenstein Monsters, cit., p. 689; l’idea venne poi considerata anche durante i lavori dell’Advisory Committee degli anni ’90 (v., in proposito, Cooper, The (Cloudy) Future of Class Actions, cit., pp. 955 ss.); anche a seguito delle riforme del 2003 e del 2005, però, e nonostante autorevoli indicazioni in favore del riesame della questione (v., per es., G.C. Hazard, Class Certification Based on the Merits of the Claim, in 69 Tennessee Law Review, 2001, pp. 1 ss.; R.G. Bone e D.S. Evans, Class Certification and the Substantive Merits, in 51 Duke Law Journal, 2002, pp. 1251 ss.; cfr. però, in difesa delle regole in vigore, per es. G.P. Miller, Review of the Merits in Class Action Certification, San Francisco, 2004, passim), sono rimasti fermi i principi affermatisi in precedenza, secondo i quali le questioni di merito possono esaminarsi in limine litis solo in quanto rilevino ai fini della pronuncia 24 Per quanto riguarda poi la conciliazione, non si può non pensare all’idea di chiedere ai passeggeri saliti a bordo conferma della loro intenzione di recarsi a destinazione: sembra una presa in giro. In realtà i tentativi di conciliazione effettuati in limine litis, o addirittura preliminarmente alla proposizione della domanda, in un momento cioè in cui le parti ben difficilmente hanno acquisito informazioni sulle loro probabilità di vincere la causa ulteriori rispetto a quelle che le hanno indotte a promuoverla101, a volte hanno senso e possono funzionare: per esempio se la conciliazione produce effetti vincolanti superiori a quelli della transazione stragiudiziale (come accade in Italia nelle controversie di lavoro, in forza dell’art. 2113 c.c.), ovvero se il tentativo è condotto dal giudice della causa in modo da far trapelare informazioni rilevanti sul punto, e quindi tende a costituire una valutazione del fumus boni iuris della domanda; sotto entrambi i profili, però, la conciliazione dell’azione collettiva risarcitoria, in limine litis o invero in qualsiasi altro momento, desta serie perplessità, anche dallo specifico punto di vista degli obiettivi di razionalizzazione dell’impiego delle risorse giurisdizionali correttamente intesi, tali da giustificare la specifica trattazione del tema cui ora si procederà. Il punto di partenza per discutere la questione della conciliazione dell’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei è costituito dall’analisi di un altro tradizionale caso di fallimento del mercato: quello dell’incarico (c.d. principal-agent problem). Com’è noto, infatti, quanto meno l’incaricante è in grado di controllare la qualità dell’operato svolto in suo favore dall’incaricato, tanto più è probabile che si producano conseguenze allocative inefficienti. Quando l’incarico ha carattere professionale la difficoltà di chi lo conferisce nel valutare la sua esecuzione rientra nell’ordine delle cose (talché il servizio professionale si qualifica come credence good), e proprio questo fattore può – come osservato a suo tempo dalla giustizia comunitaria – giustificare limiti all’applicazione della disciplina della tutela della concorrenza nell’offerta del relativo servizio: l’esercizio del patrocinio, quindi, pur avendo natura imprenditoriale (come si è già accennato in precedenza), può essere specialmente regolato in vista di tale caratteristica102. È chiaro però che nel contesto dell’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei l’esigenza di controllare che l’operato del difensore tecnico sia fedele agli interessi dei componenti passivi del gruppo si accentua esponenzialmente, perché questi ultimi non hanno con lui alcun rapporto diretto, e inoltre il loro personale interesse nella causa ha spesso un valore talmente esiguo da non giustificare comunque alcuna attività di monitoraggio. Naturalmente le regole che ricollegano l’incremento della retribuzione del difensore del gruppo all’accoglimento della domanda svolgono anche la funzione di riallinearne gli interessi (oltre a quella di incrementare la rilevanza dell’apparenza di fondatezza della domanda ai fini della decisione di agire in giudizio), e ulteriori presidi contro l’infedeltà dell’avvocato possono essere posti dal diritto all’opt-out dei componenti del gruppo e dalla loro facoltà di indicare elementi di fatto suggestivi dell’esistenza di conflitti d’interesse, nonché dai poteri officiosi del giudice di compiere attività istruttorie intorno a tali fatti e di revocare, anche su riesame di circostanze già conosciute, l’abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva, nonché, per i casi estremi, dalla disciplina penalistica (magari congruamente arricchita). Se però al difensore del gruppo si permette di conciliare l’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei, tutto questo può non bastare: l’ampia esperienza statunitense in proposito dimostra che l’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’avvocato lo induce tipicamente (anche a causa della competizione al ribasso che può instaurarsi fra diversi aspiranti all’esercizio dell’azione collettiva) ad accettare offerte conciliative eccessivamente favorevoli alla controparte, in pregiudizio sia dei diritti dei componenti passivi del gruppo, sia delle funzioni di deterrenza del sistema della responsabilità civile (producendosi, in tal modo, come si è accennato, un effetto di sottodeterrenza)103. sull’abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva – e quindi in particolare per la verifica dell’adeguatezza della difesa del gruppo da parte dell’attore – e non ai fini della valutazione del fumus boni iuris delle pretese dedotte: cfr. i leading cases Eisen v. Carlisle & Jacquelin, cit., pp. 177 ss., Coopers & Lybrand v. Livesay, 437 U.S., 1978, p. 469, e General Telephone Company v. Falcon, 457 U.S., 1982, p. 161; v. inoltre il Report to the Standing Committee on Rules of Practice and Procedure dell’Advisory Committee on the Federal Rules of Civil Procedure del 20 maggio 2002, p. 98, ed il Manual for Complex Litigation, cit., pp. 255 ss.; cfr. anche, a proposito dei limiti alla valutazione della loro maturità – nel senso poc’anzi precisato – nella prassi giurisprudenziale, per es., L.E. Chamblee, Between “Merit Inquiry” and “Rigorous Analysis: Using Daubert to Navigate the Grey Areas of Federal Class Action Certification, in 31 Florida State University Law Review, 2004, pp. 1041 ss.; Y.K. Lee, Beyond Gatekeeping: Class Certification, Judicial Oversight, and the Promotion of Scientific Reasearch in “Immature” Pharmaceutical Torts, in 105 Columbia Law Review, 2005, pp. 1905 ss. 101 Evidentemente l’acquisizione di informazioni nel corso del giudizio favorisce la conciliazione riducendo le divergenze di aspettative delle parti intorno alle probabilità di vincere (l’osservazione che tale divergenza costituisce il principale ostacolo della conciliazione è alquanto banale: v. già W.M. Landes, An Economic Analysis of the Courts, in 14 Journal of Law & Economics, 1971, pp. 101 s., e per ulteriori sviluppi, per es., G.L. Priest e B. Klein, The Selection of Disputes for Litigation, in 13 Journal of Legal Studies, 1984, pp. 1 ss.; S.R. Gross e K.D. Sylverud, Getting to No: A Study of Settlement Negotiations and the Selection of Cases for Trial, in 90 Michigan Law Review, 1991, pp. 319 ss.). 102 V. ancora la comunicazione della Commissione europea Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali, COM2004(83) del 9 febbraio 2004. 103 A differenza del problema dell’effetto intimidatorio della proposizione dell’azione collettiva, quello del rischio della collusione fra attore e convenuto (e specialmente fra il difensore tecnico del gruppo e il convenuto) è molto serio, e la letteratura in materia è amplissima: v., anche per ulteriori riferimenti al dibattito da cui sono scaturite le riforme di cui subito si dirà, per es., J.C. Coffee, Class Wars: The Dilemma of the Mass Tort Class Action, in 95 Columbia Law Review, 1995, pp. 1347 s.; S.P.Koniak, 25 Nell’esperienza statunitense si è affrontato il problema subordinando l’efficacia della conciliazione a sempre maggiori garanzie procedimentali. Si è quindi previsto che ogni definizione in via transattiva dell’azione collettiva (come anche ogni desistenza dalla sua coltivazione suscettibile di impedire la riproposizione della domanda) debba essere omologata dal giudice del merito, in base a un controllo non solo della sua regolarità formale, ma anche della sua equità, da intendersi come corrispondenza al valore delle pretese attualizzato in ragione delle probabilità di conseguire il provvedimento di merito favorevole104, e nelle più recenti riforme in materia si è ulteriormente stabilito (recependo gli orientamenti giurisprudenziali in tal senso): che a tal fine debba tenersi apposita udienza105; che i componenti passivi del gruppo siano previamente informati dei termini dell’accordo106 e possano ivi contestare la proposta conciliativa107; che lo stesso valga per la pronuncia di liquidazione degli onorari di difesa (salvo essere l’udienza a tali fini facoltativa)108; che possa concedersi un nuovo termine per l’opt-out109; che non possano omologarsi conciliazioni discriminatorie nei confronti dei componenti passivi del gruppo geograficamente più distanti110. Ulteriori strategie si sono poi sviluppate nella stessa ottica: affiancare al difensore del gruppo un ausiliare del giudice111; retribuire il campione rappresentativo del gruppo affinché sorvegli l’opera del suo avvocato112 (e correlativamente, vietare che il campione sia retribuito proprio da quest’ultimo113); selezionare come campione Feasting While the Widow Weeps: Georgine v. Amchem Products, Inc., in 80 Cornell Law Review, 1995, pp. 1055 ss.; Hay e Rosenberg, “Sweetheart” and “Blackmail” Settlements in Class Actions, cit., pp. 1389 ss. 104 Questa regola era invalsa nella prassi assai prima della riforma del 1966: v. C. McLaughlin, Capacity of PlaintiffStockholder to Terminate a Stockholder’s Suit, in 46 Yale Law Journal, 1936, pp. 421 ss. (sulla sua applicazione odierna v. invece il Manual for Complex Litigation, cit., pp. 308 ss.). 105 L’introduzione della Federal Rule of Civil Procedure 23(e)(1)(c) nel 2003 ha confermato una prassi diffusa: v. le Advisory Committee’s Notes e cfr., per es., In re “Agent Orange” Prod. Liab. Litig., 597 Federal Supp. (E.D. N.Y. 1984), pp. 746 s.; In re Silicon Gel Breast Implant Prods. Liab. Litig., 1994 WL 578353 (N.D. Ala. 1994); cfr. Anche J.B. Weinstein, Individual Justice in Mass Tort Litigation, Evanston, 1995, pp. 96 ss.; sulla sua attuazione v., per es., da ult., W.B. Rubenstein, The Fairness Hearing: Adversarial and Regulatory Approaches, in 53 UCLA Law Review, 2006, pp. 1435 ss. 106 Compresi in particolare, in base alla nuova formula della Rule 23(e)(2), quelli relativi agli onorari di difesa (il leading case Evans v. Jeff D., 475 U.S., 1986, pp. 417 ss., permette infatti di conciliare su di essi contestualmente alla conciliazione sul merito della lite, nonostante che sovente si osservi in dottrina come sarebbe preferibile escluderlo: v., per es., già D.L. Rhode, Class Conflicts in Class Actions, in 34 Stanford Law Review, 1982, p. 1251, anche in trad. it. in Avvocatura e giustizia, cit., p. 372; J.C. Coffee, The Unfaithful Champion: The Plaintiff as Monitor in Shareholder Litigation, in 48 Law & Contemporary Problems, 1985, p. 71; più di recente, in particolare a proposito della pattuizione che il convenuto non contesti le richieste di liquidazione giudiziale degli onorari, W.D. Henderson, Clear Sailing Agreements: A Special Form of Collusion in Class Action Settlements, in 77 Tulane Law Review, 2003, pp. 813 ss.; cfr. anche, nel senso che sia preferibile che il giudice imponga che sugli onorari si negozi separatamente, il Manual for Complex Litigation, cit., p. 335); sono escluse però le clausole con cui si preveda la risoluzione dell’accordo nel caso in cui una quota eccessiva dei componenti passivi del gruppo lo rifiuti esercitando l’opt-out (la cui rivelazione è dunque obbligatoria solo nei confronti del giudice: v. ancora il Manual for Complex Litigation, cit., pp. 320 ss.). 107 La nuova formula della Rule 23(e)(4) prevede altresì l’omologazione anche per la rinuncia a tali contestazioni (onde prevenire il rischio che anche su di esse si raggiungano accordi collusivi), e si riconosce da tempo anche il diritto dei componenti passivi del gruppo di impugnare autonomamente la pronuncia di omologazione, anche senza essersi previamente costituiti in giudizio in proprio, purché abbiano formulato contestazioni all’udienza (i residui dubbi in proposito sono stati dissipati da Devlin v. Scardelletti, 536 U.S., 2002, pp. 1 ss.: cfr. ancora il Manual for Complex Litigation, cit., pp. 326 ss.). 108 In base alla nuova Rule 23(h) tale facoltà spetta anche a prescindere dalla definizione in via conciliativa della lite (cfr. ancora il Manual for Complex Litigation, cit., p. 338). 109 Anche questo aspetto della nuova Rule 23(e)(3) riflette una prassi già affermatasi, recependo in particolare la tendenza a subordinare il recesso tardivo a particolari condizioni (per es. a far valere i punitive damages, in vista della loro configurabilità come contenuto di una situazione soggettiva di dimensione superindividuale: cfr. quanto osservato supra, nel par. 3): v., da ult., per un’ampia rassegna delle esperienze precedenti e successive alla riforma, nonché riferimenti all’amplissimo dibattito in materia negli Stati Uniti (in cui è ovviamente di estrema rilevanza che la facoltà di recesso non sia assicurata in via generale), R. Wasserman, The Curious Complications with Back-End Opt-Out Rights, San Francisco, 2007, passim; cfr. anche la posizione assunta in Principles of the Law of Aggregate Litigation, cit., pp. 269 ss. 110 V., su questo aspetto del CAFA del 2005, quanto già osservato supra, nella nota 84. 111 V., per tale indicazione, il Manual for Complex Litigation, cit., p. 329, e per ampi riferimenti sul dibattito innescato da tale prassi, Principles of the Law of Aggregate Litigation, cit., pp. 249 ss. 112 Su queste esperienze cfr., per es., Th. Eisenberg e G.P. Miller, Incentive Awards to Class Action Plaintiffs: An Empirical Study, in 53 UCLA Law Review, 2006, pp. 1303 ss.; R.A. Nagareda, Restitution, Rent Extraction, and Class Representatives: Implications of Incentive Awards, ivi, pp. 1483 ss. 113 Questo divieto è stato introdotto nella riforma relativa alla tutela della trasparenza del mercato azionario del 1995 (Private Securities Litigation Reform Act), ai cui effetti negativi si è accennato supra, nel par. 3, e si applica solo in tale settore: la norma intendeva impedire il ricorso ai c.d. professional plaintiffs, muniti di un’azione di ciascuna delle società quotate allo scopo di fungere da prestanome per le azioni collettive organizzate dagli studi specializzati (sul fenomeno cfr. già, per es., J.C. Coffee, Understanding the Plaintiff's’Attorney: the Implication of Economic Theory for Private Eenforcement of Law through Class and Derivative Actions, in 86 Columbia Law Review, 1986, pp. 682 ss.; B.G. Garth, I.H. Nagel e S.J. Plager, The Institution of the Private Attorney General: Perspectives from an Empirical Study of Class Action Litigation, in 61 Southern California Law Review, 1988, pp. 379 ss.; D.R. Hensler e M.A. Peterson, Understanding Mass Personal Injury Litigation: a Socio-Legal Analysis, in 59 Brooklyn Law Review, 1993, pp. 1025 ss.; J.L. Kopel, Procedural Reforms, in Securities Class Actions: Abuses and Remedies, a cura di E.J. Yodowitz, R. Clegg e S.J. Kolleeny, Washington, 1994, pp. 118 ss.). 26 rappresentativo il soggetto la cui pretesa sia di maggior valore114 (e si è anche proposto di collocare all’asta il complesso delle pretese del gruppo, affinché l’assegnatario sia provvisto di un interesse nella causa tale da giustificare le attività di monitoraggio115). Queste varie soluzioni risultano invero efficienti in maniera diversa a seconda delle situazioni – come si dirà fra breve, è opportuno in realtà distinguere, nella configurazione dei dettagli della disciplina, fra diversi tipi di azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei – ma un rilievo di carattere generale è subito possibile: i più gravosi compiti di controllo della fedeltà dell’operato del difensore del gruppo ricadono comunque sul giudice del merito. Grava infatti comunque su di lui sia il difficile compito di valutare l’equità della conciliazione rispetto alle prospettive di accoglimento della domanda nel merito senza però che il giudizio sul merito si sia svolto (e per di più spesso in casi in cui la pronuncia sul merito spetterebbe ad altri, e cioè alla giuria), sia quello di valutare se avvalersi a tale fine, di ausiliari o magari ricorrere a strumenti di incentivazione del monitoraggio privato (la cui adozione è obbligatoria solo in casi eccezionali116). È chiaro che tutto ciò impone l’esercizio di amplissimi margini di discrezionalità, ma ciò risulta tollerabile nel contesto istituzionale americano, in cui il reclutamento dei magistrati si basa anche su considerazioni di ordine politico, anziché – come accade di solito in Europa e soprattutto in Italia – squisitamente sulla base della competenza tecnica del candidato117. Questo assetto istituzionale spiega inoltre perché il giudice americano sia anche provvisto in generale di ampi poteri discrezionali di selezione del difensore tecnico del gruppo in presenza di una pluralità di candidature118. Essi infatti convergono nel rafforzare la capacità del giudice di indurre le parti a conciliazioni i cui effetti siano fortemente ridistributivi, in funzione di obiettivi di carattere politico, penalizzanti di solito non per le parti abituali – le quali anzi tendono sovente a chiedere esse stesse che si proceda in via collettiva119, soprattutto allo scopo di ottenere l’omologazione della conciliazione, preferibilmente senza che sia concesso alcun opt-out agli interessati, quando siano dedotte pretese il cui valore attualizzato sia positivo anche se dedotte in via individuale, sicché la definizione transattiva del contenzioso seriale può comportare forti risparmi di spesa (sia perché si riducono i costi processuali, sia perché la collettivizzazione può a volte di fatto comprimere il valore medio del risarcimento a causa del minore impatto cognitivo 114 Anche questa regola è stata introdotta dal PLSRA del 1995, con la stessa ratio delle regola esaminata nella nota precedente (cfr. il Manual for Complex Litigation, cit., pp. 529 ss.; v., per il suggerimento di introdurla, E.J. Weiss e J.S. Beckerman, Let the Money do the Monitoring: How Institutional Investors Can Reduce Agency Costs in Securities Class Actions, in 104 Yale Law Journal, 1995, pp. 2053 ss., e già in precedenza J.C. Coffee, Rethinking the Class Action: A Policy Primer on Reform, in 62 Indiana Law Journal, 1987, p. 643); i risultati di tali innovazioni sembrano peraltro avere sortito nella pratica effetti assai negativi (cfr., per es., J.D. Cox e R.S. Thomas, Letting Billions Slip Through Your Fingers: Empirical Evidence and Legal Implications of the Failure of Financial Institutions to Participate in Securities Class Action Settlements, in 58 Stanford Law Review, 2005, p. 411 ss.; Rubenstein, The Fairness Hearing: Adversarial and Regulatory Approaches, cit., pp. 1443 s.; Nagareda, Restitution, Rent Extraction, and Class Representatives, cit., pp. 1488 ss.; per un’ampia rassegna di ricerche empiriche in proposito v. inoltre S.J. Choi e R.B. Thompson, Securities Litigation and Its Lawyers: Changes During the First Decade After the PSLRA, in 106 Columbia Law Review, 2006, pp. 1489 ss.; cfr. ancora quanto osservato nel par. 3, supra). 115 In proposito cfr., per es., Coffee, The Unfaithful Champion, cit., pp. 77 ss.; J.R. Macey e G.P. Miller, The Plaintiff’s Attorney’s Role in Class Action and Derivative Litigation: Economic Analysis and Recommandations for Reform, in 58 University of Chicago Law Review, 1991, pp. 105 ss.; R.S. Thomas e R.G. Hansen, Auctioning Class Action and Derivative Litigation: A Critical Analysis, in 87 Northwestern University Law Review, 1993, pp. 423 ss.; P.H. Schuck, Mass Torts: An Institutional Evolutionist Perspective, in 80 Cornell Law Review, 1995, pp. 982 ss.; si è anche prospettato di collocare tramite una gara all’offerta più bassa l’affidamento del patrocinio della classe (v. In re Oracle Securities Litigation, 131 Federal Rules Decisions, N. D. Cal. 1990, pp. 688 ss.; cfr., però per considerazioni critiche, p.es., N.L. Stasko, Competitive Bidding in the Courthouse: In re Oracle Securities Litigation, in 59 Brooklyn Law Review, 1994, pp. 1667 ss.; J.E. Fisch, Aggregation, Auctions, and Other Developments in the Selection of Lead Counsel Under the PSLRA, in 64 Law & Contemporary Problems, 2001, pp. 53 ss.), ovvero l’incerico di ausiliare del giudice (v. A. Klement, Who Guards the Guardians? A New Approach for Monitoring Class Action Lawyers, in 21 Review of Litigation, 2002, pp. 25 ss.), o di richiedere il versamento di cauzioni (v., per es., Rubenstein, The Fairness Hearing, cit., pp. 1456 ss.). 116 In particolare il PSLRA si applica solo alle cause in tema di trasparenza del mercato dei titoli mobiliari (cfr. i riferimenti indicati nelle note precedenti). 117 A tale proposito si può ricordare che l’Italia ha preceduto anche la Francia nel prevedere il reclutamento tramite un concorso per esami (con la l. 8 giugno 1890, n. 6878: in Francia tale sistema venne introdotto solo nel 1908, v., per es., R. Perrot, Institutions judiciaires, Paris, 19957, p. 310). 118 V., sulla formula, introdotta con gli Amendments del 2003, della Rule 23(g)(2)(B), e sulla misura in cui essa permette il ricorso alla gara d’asta cui si è appena accennato, nonché per il rilievo che laddove si applichi il PSLRA la nomina del difensore tecnico spetta invece solo al campione rappresentativo a sua volta selezionato in vista del valore della sua pretesa, ancora il Manual for Complex Litigation, cit., pp. 278 ss. 119 Cfr., in proposito, anche per vari riferimenti, per es., già S.C. Yeazell, Collective Litigation as Collective Action, in 1 U. Illinois Law Review, 1989, pp. 56 ss.; M.A. Peterson e M. Selvin, Mass Justice: The Limited and Unlimited Power of Courts, in 54 Law & Contemporary Poblems, 1991, III, pp. 234 ss.; J.C. Coffee, The Corruption of the Class Action: The New Technology of Collusion, in 80 Cornell Law Review, 1995, pp. 851 ss.; da ult., Nagy, Certifying Mandatory Punitive Damages Classes, cit., pp. 626 s. 27 del fatto lesivo sulla giuria120, sia perché si può approfittare della divergenza di interessi fra il gruppo e il difensore tecnico che ne negozia gli atti dispositivi), e hanno a volte persino ottenuto di trasformare la conciliazione in operazione promozionale (secondo una prassi ostacolata, ma non del tutto proibita dalla legislazione più recente)121 – ma per quelle, fra le parti occasionali, le cui pretese siano relativamente più fondate122. Tale fenomeno si associa ovviamente a quelle dinamiche di semplificazione della fattispecie di cui si è trattato in precedenza, e richiede di discutere il tema dell’allocazione delle funzioni ridistributive fra il potere legislativo e quello giudiziario: nel dibattito statunitense si sostiene a volte che il negoziato politico sulla ridistribuzione delle risorse può rivelarsi, per le parti occasionali, ancora più penalizzante di quello in sede giurisdizionale, poiché quest’ultima offre in realtà maggiori opportunità partecipative e migliori capacità di adattamento al mutamento delle condizioni123, e si afferma l’idea che la conciliazione dell’azione collettiva risarcitoria debba ammettersi anche quando la predominanza delle questioni individuali su quelle comuni potrebbe rendere inefficiente e perciò improcedibile la coltivazione della domanda sino alla pronuncia sul merito (nonostante che in tale situazione la forza di contrattazione delle parti possa essere alquanto squilibrata, se le singole pretese possiedono a loro volta un valore attuale negativo nelle controversie in via individuale: si osserva che per i componenti del gruppo è pur sempre meglio che niente)124. Questo ragionamento, però, nella misura in cui implica la soggezione dei componenti passivi del gruppo agli effetti della conciliazione senza che essi abbiano la possibilità di rifiutarla, sembra presupporre una fiducia nella capacità legittimante del procedimento, e fondarsi sulla concezione della giuria popolare come manifestazione della sovranità locale, più che sulla competenza tecnica del giudice, e forse anche postulare che questi abbia altresì qualche forma di legittimazione politica, sicché occorre una certa cautela nel considerarlo dal punto di vista degli ordinamenti di derivazione romanistica125. Nei sistemi di derivazione romanistica si può magari pensare di permettere la conciliazione collettiva sulla base di votazioni analoghe a quelle previste per i concordati nei casi di insolvenza imprenditoriale, ma occorre considerare che se si permette che l’effetto ridistributivo si compia per effetto dell’omologazione della definizione in via conciliativa dell’azione collettiva, allora diventa normale permettere che esso si compia anche con la pronuncia sul merito in caso di mancata conciliazione: occorre infatti semplicemente accettare che le decisioni di portata ridistributiva possano in tali occasioni compiersi in sede giurisdizionale anche se nessuno degli attori del negoziato è provvisto di una legittimazione di tipo politico. Indicazioni favorevoli in tal senso possono però rinvenirsi da entrambi i lati dell’Atlantico: in Europa è generalizzato il modello dell’azione collettiva delle associazioni rappresentative della categoria a tutela di situazioni soggettive superindividuali, i cui effetti sono – come si è visto – largamente ridistributivi, poiché penalizzano come se fossero illeciti i comportamenti screditanti agli occhi dell’opinione pubblica anche se non illeciti né forieri di alcun danno risarcibile; negli Stati Uniti si è formata una giurisprudenza in tema di rapporti fra l’azione collettiva risarcitoria e le clausole compromissorie da cui si deduce che tali funzioni potrebbero essere svolte anche dagli arbitri. Un’ampio filone di casistica ha infatti riguardato in questi anni la prassi di adottare clausole compromissorie nei contratti per adesione, sotto il profilo della loro idoneità a impedire che pretese di valore attuale negativo in via 120 Il fenomeno è stato ripetutamente osservato: cfr., per es., Coffee, Retinking the Class Action, cit., p. 649; J.S. Kakalik, P.A. Ebener, W.L.F. Felstiner, G. Haggstrom e M.G. Shanley, Variation in Asbestos Litigation Compensation and Expenses, Los Angeles, 1984, pp. 61 ss.; P.L. Glaser, Management of Complex Mass Tort Litigation: Preparing for Trial, New York, 1986, p. 475; su questo genere di fenomeni mentali v., per es., R.E. Nisbett e L. Ross, Human Inference: Strategies and Shortcomings of Social Judgement, Englewood Cliffs, 1980, trad. it. L’inferenza umana, Bologna, 1989, pp. 91 ss. 121 Il CAFA del 2005 ha introdotto in particolare restrizioni alla prassi di liquidare il risarcimento ai danneggiati nella forma di buoni sconto per futuri acquisti (v., per un’ampia rassegna di casi in cui si è adottato questo metodo, Hensler, Pace, DombeyMoore, Giddens, Gross e Moller, Class Actions Dilemmas, cit., pp. 95 ss.;, cfr., peraltro, per considerazioni critiche, per es. E.F. Sherman, Class Actions After the Class Action Fairness Act of 2005, in 80 Tulane Law Review, 2006, p. 1614; R.H. Klonoff e M. Herrmann, The Class Actioon Fairness Act: An Ill-Conceived Approach to Class Settlements, ivi, pp. 1695 ss.). 122 V., sulla misura in cui tale effetto può qualificarsi come distorsione del diritto sostanziale, quanto già osservato supra, nel par. 3. 123 V., per es., nel senso che le regole distributive negoziate nelle conciliazioni collettive sono tecnicamente più accurate di quelle configurate in sede legislativa, già Schuck, Mass Torts, cit., pp. 987 s., e più di recente S. Issacharoff e J.F. Witt, The Inevitability of Aggregate Settlements: An Institutional Account of American Tort Law, in 57 Vanderbilt Law Review, 2004, pp. 1615 ss. 124 Questa prassi è stata fortemente limitata da Amchem Prod., Inc. v. Windsor, 521 U.S., 1997, pp. 591 ss. (anche massimata in Foro it., 1998, IV, c. 175, con nota di A. Giussani, La transazione collettiva per i danni futuri: economia processuale, conflitti d’interesse e deterrenza delle condotte illecite nella disciplina delle “class actions”), e a seguito di tale pronuncia venne abbandonata la proposta, formulata dall’Advisory Committee, di riformulare la Rule 23 per legittimarla esplicitamente (v., sulla proposta, Cooper, The (Cloudy) Future of Class Actions, cit., pp. 934 s., e sul suo abbandono, Hensler, Pace, Dombey-Moore, Giddens, Gross e Moller, Class Actions Dilemmas, cit., pp. 33 ss.); tuttavia essa più facilmente praticabile presso le giurisdizioni federate, e continua a fruire di autorevole sostegno (v. specialmente le indicazioni formulate in Principles of the Law of Aggregate Litigation, cit., pp. 232 ss.); per l’osservazione che le armi di contrattazione fra le parti sono in tali occasioni impari v. già, per es., Coffee, Class Wars, cit., pp. 1379 s.; per l’osservazione che se il valore attuale delle pretese è negativo la conciliazione è pur sempre meglio che niente v., per es., Cabraser, The Class Action Conterreformation, cit., p. 1476. 125 V., peraltro, nel senso che tali poteri vadano riservati al legislatore anche nell’ordinamento statunitense, R.A. Nagareda, The Preexistence Principle and the Structure of the Class Action, cit.., pp. 149 ss. 28 individuale potessero dedursi in via collettiva in sede giurisdizionale: diverse pronunce lo avevano escluso osservando che rispetto a tali pretese la deducibilità in via collettiva è precondizione dell’accesso alla giustizia126. La Corte suprema degli Stati Uniti ha quindi affermato, coerentemente con la sua linea di estremo favore per l’arbitrato, che le azioni collettive non sono incompatibili con quest’ultimo, e ha dunque esplicitamente statuito che possano validamente svolgersi in tale sede, nonostante che l’arbitro sia evidentemente sprovvisto di qualsiasi legittimazione di tipo politico127: naturalmente nei regolamenti appositamente predisposti dalle istituzioni private specializzate nell’amministrazione di arbitrati si contempla, in tali occasioni, la rinuncia alla segretezza tipica dell’istituto, rispettando la natura non escludibile della sentenza favorevole al gruppo128. L’opzione in favore dello svolgimento di funzioni ridistributive in sede giurisdizionale, però, non è affatto un presupposto necessario dell’introduzione dell’azione collettiva risarcitoria a tutela di diritti individuali omogenei: quest’ultima infatti è del tutto compatibile con la scelta di riservare al legislatore l’individuazione dei casi di semplificazione della fattispecie e più in generale dei criteri di distribuzione delle risorse, e può essere regolata in modo da attenuare considerevolmente il problema dell’infedeltà dell’avvocato attraverso la semplicissima previsione che la conciliazione non possa produrre effetti nei confronti dei componenti passivi del gruppo. Posto che in tal caso non si produrrebbe alcun incremento dell’onorario, si otterrebbero, con questa soluzione, oltre al risparmio dei costi del subprocedimento di omologazione, anche consistenti risparmi dei costi di controllo della fedeltà del difensore, si accentuerebbe la rilevanza dell’apparenza di fondatezza della domanda ai fini della selezione delle pretese da dedurre in giudizio in via collettiva, si azzererebbe il preteso problema dell’effetto intimidatorio della proposizione dell’azione collettiva e si potrebbero anche di conseguenza alleviare gli oneri a carico del giudice meno compatibili con le tradizioni istituzionali degli ordinamenti di derivazione romanistica. Naturalmente questa soluzione richiede di rinunciare a concepire l’azione collettiva risarcitoria come strumento per favorire la conciliazione collettiva (o addirittura per realizzare operazioni promozionali autocondonatorie). Se però si concepisce correttamente la funzione di economia processuale, si può comprendere che proprio tale scelta è la più efficiente, anche a prescindere dalle considerazioni appena esposte: la conciliazione è uno strumento efficiente di risoluzione delle controversie solo se si limita a ridurre il costo del conflitto, perché se altera le attribuzioni compiute dal diritto sostanziale, a causa della sperequazione di forza di contrattazione fra le parti, il risparmio – lo smaltimento dell’arretrato – si paga in termini di accuratezza dell’applicazione delle legge; dato che nulla comunque impedisce che il convenuto formuli comunque offerte conciliative, e che la loro accettazione da parte di ciascuno dei destinatari ne produca la validità nei suoi confronti, deve quindi concludersi che proprio l’impossibilità di definire l’azione collettiva in via conciliativa ne massimizza gli effetti di economia processuale, perché assicurando il riequilibrio della forza di contrattazione fra le parti attraverso la rimozione degli ostacoli di fatto alla tutela favorisce l’eventualità che tale offerta conciliativa sia equa e quindi la risoluzione convenzionale del conflitto davvero efficiente (perché accettata dal diretto interessato anziché da un suo difficilmente controllabile incaricato). Sul piano teorico, si può sintetizzare questa impostazione rimarcando che il conferimento del potere di consumare l’azione concreta individuale, sulla base dell’abilitazione all’esercizio dell’azione collettiva a tutela di diritti individuali omogenei e del mancato esercizio della facoltà di recesso da parte del componente del gruppo, non comporta necessariamente l’attribuzione anche del potere di consumare la situazione soggettiva di vantaggio individuale a protezione della quale sia configurata l’azione stessa (così come il potere di disporre del diritto in contesa non discende automaticamente del conferimento della procura alle liti ai sensi dell’art. 84 c.p.c.). 126 Cfr., per ampi riferimenti, per es. J.R. Sternlight e E.J. Jensen, Using Arbitration to Eliminate Consumer Class Actions: Efficient Business Practice or Unconscionable Abuse?, in 67 Law & Contemporary Problems, 2004, pp. 77 ss.; J.S. Lipshutz, The Court’s Implicit Roadmap: Charting the Prudent Course at the Juncture of Mandatory Arbitration Agreements and Class Action Lawsuits, in 57 Stanford Law Review, 2005, pp. 1693 ss.; M. Gilles, Opting Out of Liability: The Forthcoming, Near-Total Demise of the Modern Class Action, in 104 Michigan Law Review, 2005, pp. 399 ss.; Nagareda, Aggregation and Its Discontents, cit., pp. 26 ss. 127 V. Green Tree Financial Corp. v. Bazzle, 539 U.S., 2003, pp. 444 ss. 128 Cfr., per es., le Supplementary Rules for Class Arbitration adottate nell’ottobre 2003 dalla American Arbitration Association (sul sito www.adr.org) e le Class Action Procedures adottate nel febbraio 2005 dal JAMS (sul sito www.jamsadr.com), nonché i rilievi di Gilles, Opting Out of Liability, cit., pp. 408 ss. 29