1 CAP.1 IL MOBBING ED IL BOSSING IN ITALIA: Il primo ad utilizzare il termine mobbing è stato Lorenz[1963] nell’ambito dell’etologia per indicare il comportamento di alcuni animali, quando si coalizzano tra loro per escludere un animale indesiderato dal gruppo. Heinemann[1972] è stato però il primo ad introdurre il termine mobbing(deriva da: to mob, ovvero accerchiare qualcuno) nell’ambito del comportamento umano. Leymann[1984] ha definito il mobbing come forma di comunicazione ostile e prolungata di uno o più lavoratori nei confronti di un altro lavoratore, che non può difendersi. Lo stesso fenomeno viene però chiamato in diversi nomi : nei paesi scandinavi esiste il termine mobbing, in America emotional abuse o workpalce harassment , in Australia victmisation at work, in Inghilterra bullying at work, in Francia harcèlement professional, in Olanda pesten, infine in Italia terrore psicologico sul posto di lavoro. Esistono inoltre altri termini nei paesi di lingua inglese che descrivono alcune azioni mobbizzanti come whistleblowing(screditare una persona), stalking( telefonate anonime, lettere di minaccia, volantini diffamatori, aggressioni fisiche). Neurberger[1994] ha definito il mobbing come un gioco sporco nelle organizzazioni ai danni di un lavoratore che è impossibilitato a difendersi. Ma come sottolinea Crawford[1998] il concetto di mobbing comprende un’ampia gamma di comportamenti. Per Hadjiifotiu[1983] il mobbing consiste in un insieme di azioni sistematiche che dirette ad una vittima involontaria, producono in questa distress e umiliazione. Bjorkqvist, Osterman[1994] considerano il mobbing come una aggressione protratta nel tempo nei confronti di un lavoratore che non è nelle condizioni di 1 2 difendersi dagli attacchi. Per Keashly, Trutt, Mac Lean[1994] il mobbing è fondamentalmente un abuso psicologico nei confronti di un lavoratore da parte di uno o più lavoratori. Secondo Robinson e Bennett[1995] è un comportamento deviante e controproduttivo. Per Giacalone e Greenberg[1997] un comportamento antisociale sul luogo di lavoro. Einarsen[1994] lo definisce come un processo graduale in continua evoluzione. Walter[1993] definisce il mobbing come un conflitto a lungo termine in cui tutti i partecipanti si fanno prendere dall’emotività e la cui conseguenza porta ad uno stato di inferiorità di un partecipante. Per Andrea Adams il mobbing è un abuso di potere o una condizione di criticismo prolungato nei confronti di un lavoratore. Per DeLongis, Kessler[1989] il mobbing è il passaggio dal potere disciplinare del datore di lavoro all’ abuso di potere. Per Olweus[1990] il mobbing è caratterizzato da uno squilibrio di potere tra carnefice e vittima. Spector[1987] e Zapf[1999] descrivono il mobbing come una forma di stress psicosociale sul luogo di lavoro. Niedl[1995] , Einarsen, Raknes[1997] e Arnetz[1998] sottolineano l’estrema rarità di aggressioni fisiche nel mobbing e la sottigliezza delle azioni mobbizzanti. Brodsky[1976] distingue tra molestia soggettiva e molestia oggettiva: tra ciò che effettivamente è stato fatto ai danni della vittima e la percezione soggettiva dell’evento da parte della vittima. Olweus invece opera una distinzione tra mobbing diretto ed indiretto: ad esempio tattiche indirette sono l’esclusione sociale della vittima dal gruppo di lavoro oppure la mancanza di informazioni necessarie a svolgere il lavoro. Namie[2000] considera il mobbing come risultante sia di azioni mobbizzanti che di atti di omissione(mancanza di aiuto e di 2 3 collaborazione). Per definire il concetto di mobbing è necessario comunque fare delle distinzioni. Innanzitutto bisogna fare la distinzione tra azioni mobbizzanti e mobbing. Leymann nel suo questionario LIPT classifica cinque tipi di azioni mobbizzanti: contatti umani negativi o insufficienti, isolamento sociale, cambiamenti di mansioni, attacchi contro la reputazione, violenza o minacce di violenza. Secondo Leymann[1993] sia il trasferimento che gli spostamenti continui da un reparto all’altro sono da considerarsi azioni mobbizzanti. Successivamente Knorz e Zapf[1995] hanno aggiunto altri 39 tipi di azioni mobbizzanti al questionario Lipt, tra cui ad esempio: l’esclusione dalle cene aziendali, dare informazioni sbagliate, negare il diritto alla formazione, togliere la scrivania, far lavorare parallelamente il successore della vitttima. Il mobbing non consiste in un singolo atto episodico, ma in una serie continua di azioni mobbizzanti, caratterizzata dalla durata di almeno 6 mesi e dalla frequenza di almeno una vessazione a settimana. La differenza tra azione mobbizzante e mobbing è determinata quindi sia dalla frequenza che dalla durata delle azioni negative verso una personabersaglio[Leymann, 1996]. Nella maggior parte dei casi di mobbing gli attori sono il mobber(il persecutore), il mobbizzato(la vittima), il sidemobber o co-mobber(il complice o i complici del mobber), gli spettatori neutrali(bystanders). Per Huber[1994] una persona può diventare mobbizzata se all’interno del gruppo di lavoro è sola, strana, nuova, o ha successo rispetto agli altri colleghi. E’ un fatto ormai accertato che in ogni caso di mobbing vi siano dei colleghi di lavoro della persona presa di mira, che sono spettatori di quello che accade. Huber[1993] distingue gli 3 4 spettatori in side-mobbers e bystanders. Ege nelle sue opere scrive ripetutamente che nel mobbing “chi tace acconsente”, per cui secondo lui nessuno sarebbe spettatore neutrale. Il comportamento del side-mobber è subdolo. Quando il conflitto è ormai manifesto si dichiara totalmente estraneo alla vicenda ed ignaro della situazione critica[Walter,1993]: eppure ha spalleggiato e parteggiato per il mobber, in alcuni casi lo ha istigato ed aizzato contro la vittima. Altra caratteristica del side-mobber è l’omertà a riguardo dell’intera vicenda. Spesso il side-mobber diventa tale per cause razionali, come la carriera. Non è da escludere però il piacere di assistere ad uno spettacolo emozionante, come un conflitto lavorativo. Si pensi solo al piacere di molte persone di assistere ad uno spettacolo cruento come la corrida, descritto magistralmente da Hemingway in “La morte nel pomeriggio”. Si pensi a tutti gli spettacoli tuttora in voga come la lotta greco-romana, il pugilato, il wrestling, il rally, le lotte tra cani, i combattimenti tra galli, oppure agli spettacoli in voga nell’antichità come le arene, i duelli, le impiccagioni in pubblico. Sia chiaro: nel mobbing lo spettacolo porta spesso alla morte psicosociale della vittima e non all’eliminazione fisica. Secondo l’associazione Health and safety authority il mobbing causa aumento di assenteismo, aumento di turnover, deficit di motivazione nel mobbizzato, calo di produttività nell’azienda. Wilson[1991] ha stimato che i costi dovuti al mobbing ogni anno negli Usa variano da 5 a 6 bilioni di dollari. La Camera di Commercio di Londra ha invece stimato che il costo del mobbing è di 2 bilioni all’anno in Inghilterra. Secondo la Camera di Commercio di Londra circa 19 milioni di giornate lavorative sono perse a causa del mobbing. In Germania il 4 5 sindacato Dag ha stimato che il 50% dei lavoratori mobbizzati sta in malattia per 6 settimane l’anno. Ege scrive che in Italia una vittima di mobbing, costretta alla pensione a soli 40 anni costa 1 miliardo e 200 milioni di lire in più rispetto ad un pensionato all’età prevista. Queste cifre sono da considerare con il beneficio del dubbio. Certo è che la comunità si accolla tre tipi di costi ingenti a causa del mobbing: costi sanitari, costi previdenziali, costi aziendali. I costi sanitari e previdenziali contribuiscono ad aumentare il debito pubblico, mentre i costi aziendali determinano una diminuzione del prodotto interno lordo. Il mobbing può essere verticale(il datore di lavoro o il dirigente perseguita il sottoposto), orizzontale(spesso si tratta di una molestia collettiva dei colleghi contro la vittima), ascendente(dal basso verso l’alto). A sua volta si può distinguere tra mobbing emotivo e mobbing strategico, sempre verticale. Quest’ultimo viene definito bossing[Ege, 1999] o mobbing pianificato ed è compiuto da parte del datore di lavoro per eliminare un lavoratore scomodo o addirittura un gruppo ragguardevole di lavoratori(che spesso vengono trasferiti in reparti-confino). Il mobbing dovuto ad anomalia dei rapporti interpersonali è sempre esistito. Ma il mobbing strategico verticale(o bossing) è un fenomeno assai recente, dovuto alle ristrutturazioni aziendali ed alle fusioni di società[Cassitto,2000]. Nell’ambito del futuribile è possibile che con la diffusione del telelavoro, della posta elettronica, delle videoconferenze ( in definitiva di quello che Negroponte[1995] definisce il passaggio dagli atomi ai bit) il mobbing diminuisca fino addirittura a scomparire: prenderanno comunque il suo posto la pirateria del software, il flaming, il computer crime, i virus degli hacker. A differenza del bullismo e del 5 6 nonnismo il mobbing raramente comprende episodi di violenza fisica. Inoltre il nonnismo è la negazione della gerarchia ufficiale e della catena di comando dell’esercito, secondo cui le prove e le esercitazioni dovrebbero essere ordinate da ufficiali e non da soldati semplici inesperti e prossimi al congedo illimitato. Nel bullismo invece esiste la violenza fisica e la minaccia di rappresaglia, ma le cause di questo fenomeno sono ravvisabili in cause disposizionali e non situali. Il mobbing invece comprende delle azioni sofisticate atte a distruggere l’identità sociale della personabersaglio. Inoltre- come vedremo- nel mobbing spesso avviene il passaggio dal potere legittimo del superiore gerarchico all’abuso di potere. E’ raro che si verifichino casi di mobbing estremo, ovvero di omicidi e suicidi dovuti all’inasprimento di un conflitto lavorativo. Secondo Leymann[1990] in Svezia ogni anno il 10-15% dei suicidi sarebbe dovuto al mobbing. Ma è problematico classificare un suicidio in base alla causa che lo ha determinato[Neumann, 2000]: per questa ragione non si ritengono credibili le cifre e le stime riguardo ai suicidi dovuti al mobbing. Come è possibile – viene da chiedersi – essere certi che un suicidio sia dovuto al mobbing e non ad una depressione endogena mascherata, protratta per diversi anni ? Queste stime possono solo portare acqua al mulino di professionisti dell’ultima ora che cercano in ogni modo di speculare sul problema mobbing. Viene definito invece mobbing sessuale la persecuzione sul posto di lavoro di un superiore gerarchico o di un datore di lavoro nei confronti di una dipendente, che ha rifiutato le avances sessuali del capo. Per quanto riguarda le fasi del mobbing, secondo Leymann[1993] esistono 4 fasi: 6 7 conflitto quotidiano, inizio del mobbing, errori ed abusi dell’amministrazione del personale, esclusione del mondo del lavoro. Secondo Ege[1998] invece in Italia si verificherebbe in 6 fasi: conflitto mirato, inizio del mobbing, primi sintomi psico-somatici, errori ed abusi dell’amministrazione del personale, serio aggravamento della salute psicofisica della vittima, esclusione dal mondo del lavoro. In realtà Ege aggiunge 2 fasi al modello di Leymann(primi sintomi psico-somatici e serio aggravamento della salute della vittima), che riguardano il disagio psichico del lavoratore mobbizzato, ma che niente hanno a che vedere con l’iter del mobbing all’interno dell’organizzazione. Molto più interessante invece è la scoperta del doppio mobbing in Italia, fatta da Ege[1998]. Secondo Ege la famiglia riveste un ruolo primario nella società italiana. In Italia la famiglia riesce a dare un elevato sostegno morale al lavoratore vessato ed umiliato, in modo che questo possa sfogarsi in casa e trovare comprensione da parte dei propri familiari. Anche se la capacità di resistenza della famiglia è più elevata rispetto a quella del singolo, anche essa è limitata: accade quindi che una volta che la famiglia ha esaurito le risorse cessa di sostenere la persona mobbizzata. Una volta avvenuta questa saturazione della famiglia tutto il nucleo familiare, ormai stanco di ascoltare di continuo lamentele e sfoghi, per istinto di conservazione inizia a difendersi dal lavoratore mobbizzato, inizia a pensare e a dire che la colpa di quel che accade in ufficio è solo sua. Il lavoratore vessato quindi si trova sempre più solo: non ha oramai contro solo il mobber sul luogo di lavoro, ma la sua stessa famiglia diventa mobber. Il primo a svolgere una ricerca sul mobbing in Italia è stato Ege. Ha somministrato il questionario Lipt a 7 8 301 vittime di mobbing. Non si tratta certo di una ricerca compiuta su un campione rappresentativo della popolazione lavorativa italiana e proprio per questo motivo i dati della ricerca di Ege non sono da considerarsi attendibili(come si può intuire dalla tabella della pagina successiva). Ad esempio salta subito all’occhio che l’Emilia Romagna(26,9% dei casi di mobbing) e la Lombardia(20,3%) siano sovrarappresentate, mentre Valle d’Aosta, Abruso, Molise, Basilicata addirittura non sono rappresentate(0%). Considerando la distribuzione in percentuale delle vittime di mobbing nelle 4 zone statistiche d’Italia abbiamo invece: il 65% mobbizzati provenienti dal nord, il 24% dal centro, il 6% dal sud, il 5% dalle isole. Per quanto riguarda il settore lavorativo di provenienza delle vittime il 22% lavorava nella amministrazione pubblica, il 38% nell’industria, l’8% nella sanità, il 12% nella scuola, il 3% nella magistratura, il 2% nell’agricoltura, il 15% in altri settori. Per quanto concerne le fasce di età il 48% dei mobbizzati ha tra i 41 ed i 50 anni, il 32% tra i 31 ed i 40, il 15% tra i 51 ed i 60, il 5% tra i 21 ed i 30. Regione di provenienza della vittima Valle d’Aosta Piemonte Lombardia Trentino/Alto Adige Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia-Romagna Toscana Marche Umbria Numero -19 61 2 19 8 6 81 17 10 1 Percentuale 0% 6,3% 20,3% 0,7% 6,3% 2,7% 2,0% 26,9% 5,6% 3,3% 0,3% 8 9 Lazio Abruzzo Molise Campania Basilicata Puglia 43 --13 -2 14,3% 0% 0% 4,3% 0% 0,7% Calabria Sardegna Sicilia 4 6 9 1,3% 2,0% 3.0% Zona statistica Nord Percentuale delle vittime intervistate 65% Centro Sud Isole 24% 6% 5% Numero dei dipendenti <11 11-30 31-50 51-100 101-500 >501 Numero dei mobber Una persona Da 2 a 4 persone Oltre 4 persone Tutto il reparto gruppo di lavoro Percentuali 2% 9% 9% 13% 28% 39% Risultati di Ege in Italia Risultati di Leymann in Svezia 19,9% 33% 45,5% 40% 26,3% 27% o 8,3% Leymann non riporta questo dato. Scrive che è molto raro che si verifichi. 9 10 numero dei dipendenti nelle aziende delle vittime di mobbing S1 Serie1 <11 da 11 31-50 51- 101- >501 a 30 100 500 Secondo le conclusioni di Ege in Italia a differenza che in Svezia(dove ha condotto le sue ricerche Leymann) esisterebbe una CONDIZIONE ZERO, ovvero una pre-fase del mobbing sul luogo di lavoro. Questo significherebbe che nel nostro paese a differenza degli altri paesi europei la conflittualità nelle aziende e nelle istituzioni è quotidiana. Non solo, ma viene anche tollerata molto di più che negli altri paesi. In Italia è più probabile che un capoufficio faccia una sfuriata. In altre nazioni questo comportamento sarebbe considerato un comportamento da mobber. Questa fase che Ege ha definito condizione zero probabilmente è determinata da un particolare pregiudizio culturale, che nel nostro paese risente ancora della concezione biblica della sofferenza sul lavoro. Il luogo di lavoro secondo questa concezione assai retrograda non può essere luogo di benessere, ma solo luogo di sofferenze per avere la busta paga a fine mese. 10 11 mobbing e fasce di età 48% 50% 40% 32% 30% 5% 10% 0% Serie1 15% 20% 21-30anni 31-40 41-50 51-60 settore di provenienza delle vittime di mobbing altri sett. agricolt. magistrat. industria sanità scuola amm.pubb Settore di provenienza delle vittime Industria e servizi Amministrazione pubblica Scuola ed università Sanità ed ospedali Magistratura Agricoltura Altri settori Percentuale 38% 22% 12% 8% 3% 2% 15% 11 12 I dati sia delle tabelle che dei grafici sono tratti da “I numeri del mobbing” di Ege. Viene da chiedersi: possibile che al sud ci sia solo il 6% di mobbing e nelle isole solo il 5% ? Le ipotesi sono due: 1) il sud è meno industrializzato. Nell’11% sono compresi tutti i casi di mobbing di mafia. Ma questa ipotesi è poco credibile, poco realistica. 2) nel sud il tasso di mobbing è molto maggiore rispetto ai dati di Ege. Le statistiche di Ege risentono sia del fatto che la sede della sua associazione è a Bologna e non nel sud, sia del fatto che i mobbizzati nelle imprese mafiose hanno paura per la propria incolumità e per quella dei propri familiari. Eppure anche Ege nel suo libro “mobbing estremo” intitola un capitolo “la mafia come mobber”, in cui scrive di essere venuto a conoscenza di lavoratori, che avevano ricevuto intimidazioni da dipendenti e dirigenti dell’azienda di “copertura mafiosa”, in cui lavoravano. Ege scrive di aver ricevuto richieste di aiuto tramite lettere e telefonate anonime: molto raramente è venuto a conoscenza di queste storie tramite un colloquio diretto con gli intervistati. Si ricorda che il mobbing all’interno di un azienda mafiosa può avvenire principalmente per tre motivi: 1) perché il lavoratore fa la spia e perciò viene ucciso. Si tratta quindi di mobbing estremo. 2) perché l’azienda mafiosa ha delle scadenze pressanti ed allora costringe i dipendenti a lavorare senza sosta e a lavorare per alcune ore senza essere retribuiti. 3) perché l’impresa mafiosa vuole licenziare il dipendente onesto per poi sostituirlo con un uomo del clan. Come vedremo inoltre le stime 12 13 riguardo al mobbing in Italia non sono attendibili, perché il nostro paese ha uno dei più elevati tassi di lavoro nero in Europa. Di conseguenza è impossibile allo stato attuale quantificare il mobbing sommerso in Italia. Altri aspetti che non sono stati presi in esame nella ricerca di Ege sono i nuovi settori occupazionali in Italia: la new economy e il non profit. Per quanto riguarda la new economy esiste la possibilità che una quota parte di questo nuovo settore sia dominato dal liberismo selvaggio. In Italia attualmente non sono state fatte ricerche che indagano l’incidenza delle vessazioni nell’ambito della new economy. In America si parla già di net slaves, cioè dei lavoratori della new economy sottopagati e sfruttati. La legge sulle Onlus(organizzazioni non lucrative di utilità sociale) è stata varata nel 1997 con il decreto 460. Le associazioni non profit si stanno diffondendo a dismisura nel nostro paese perché hanno sia la possibilità di richiedere l’esenzione Iva che di ricevere donazioni che possono essere scaricate dalle tasse. Possono inoltre ricevere crediti agevolati. Nonostante questi vantaggi ci sono anche dei problemi come il fund rising, ovvero ricercare fondi ed attuare una strategia di approvvigionamento finanziario. Per ottenere dei finanziamenti i responsabili dell’associazione devono quindi riuscire a padroneggiare le leggi di finanziamento regionali ed europee. Un altro problema è quello dell’elevato turnover di queste associazioni: volontari, collaboratori part-time, obiettori, pensionati che si avvicendano all’interno dell’associazione. Proprio questo elevato tasso di turnover potrebbe essere una causa di mobbing, ma allo stato attuale delle conoscenze non esistono dati né a favore né contro questa ipotesi: il settore è ancora inesplorato da questo punto di vista. Ci sono poi categorie di 13 14 lavoratori che non sono state ancora prese in esame, come ad esempio i lavoratori immigrati o le lavoratrici domestiche. Quanti sono i lavoratori immigrati mobbizzati ? Quante sono le lavoratrici domestiche sottoposte a mobbing sessuale ? L’European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions ha svolto una ricerca tra il Novembre 1996 ed il Gennaio 1997 sulle molestie morali sul luogo di lavoro in 15 paesi europei. Secondo i risultati di questa ricerca in Italia il mobbing avrebbe un’incidenza del 4% sui lavoratori. i Inoltre questa cifra non è attendibile per l’esiguo numero di persone intervistate(solo 1032 lavoratori in Italia). Gilioli[2000] considera questa cifra come un dato approssimato per difetto. 16% 14% 12% 10% 8% 6% 4% 2% 0% Nazione Inghilterra Germania Svezia Francia Finlandia 1 Inghilterra Germania Svezia Francia Finlandia Irlanda Olanda Spagna Grecia Italia Percentuale di lavoratori sottoposti ad intimidazioni e bullying sul lavoro 16% 14% 10% 9% 9% 14 15 Irlanda Lussemburgo Austria Olanda Danimarca Spagna Portogallo Grecia Belgio Italia 8% 7% 7% 7% 6% 5% 5% 5% 4% 4% Fonte: European Foundation for the improvement of Living and Working Conditions,1997, pag.312. Dati tratti da “Violence at work” di Chappell e Di Martino[ILO]. In paesi come la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, l’inghilterra, gli Usa, l’Australia, la Germania il mobbing è da anni oggetto di studio per i ricercatori sociali[Chappell, Di Martino, 2000]. Per Cassitto[2000] in Italia, Francia, Olanda, Svizzera, Spagna siamo ancora agli inizi, solo ora si sta iniziando a considerare la problematica mobbing. Nel frattempo alla Wolkswagen i sindacati tedeschi nel contratto collettivo hanno inserito un capitolo sul mobbing; all’Ibm è stato inaugurato un dipartimento benessere che si occupa anche di mobbing. Dopo l’aumento di mobbing nelle companies giapponesi[Coleman, 1996] la Tokyo Manager’s Union ha creato una “Bullying hoy-line”. Nei paesi scandinavi oltre ad una normativa vigente anti-mobbing in molte azienda sono diffusi codici di comportamento contro le molestie morali, vengono fatti corsi di formazione per i dirigenti e iniziative seminariali per i dipendenti per sensibilizzare tutti riguardo al mobbing. Nei paesi scandinavi ed in America sono inoltre più diffuse le strutture di gestione del personale, che 15 16 possono prevenire il mobbing o fare counselling, cioè fornire supporto nei momenti peggiori ed aiutare la persona a mobilitare le proprie risorse interiori nell’affrontare il problema. Secondo una ricerca di Baron[1986] il 40% delle grandi imprese americane disponeva di direzioni del personale già dal 1935. Nel nostro paese la presenza di direzioni del personale sono sempre state una rarità e quando sono presenti nella realtà aziendale sono prevalentemente orientate nei compiti amministrativi e disciplinari[Vanni, 1970]: non certo nella selezione, nella valutazione, nella ricompensa, nello sviluppo ed infine nell’ascolto delle problematiche dei lavoratori. In Italia esiste ancora molta disinformazione a riguardo del mobbing. Alcuni giornalisti hanno descritto il mobbing come la sindrome di Fantozzi, come scrive Gilioli[2000]. Francesco Merlo in Sette n°47 del 26/11/’98, supplemento del “Corriere della Sera” ha scritto: “..e senza mobbing Dino Buzzati non avrebbe neppure immaginato “Il deserto dei tartari”, quel romanzo sul “mobbing” praticato (a quei tempi) al “Corriere della Sera”. Una storia che è un omaggio straordinario alla maldicenza, alla calunnia, al dolore e alla miseria, insomma alla vita della gentaglia d’ufficio.” Prendere sul serio la posizione di Merlo significherebbe però fare confusione tra mobbing(presente sul luogo di lavoro) ed ostracismo(presente nel settore artistico). Poeti come Dino Campana, attori di teatro come Dario Fo, cantautori come Piero Ciampi, interpreti come Mia Martini sono stati emarginati per anni nel loro ambito. Ma non si può paragonare i casi di ostracismo artistico con i casi di mobbing: infatti a differenza dei mobbizzati gli artisti ostracizzati godono di un’ampia rete di supporto sociale, costituita da decine se non centinaia di loro estimatori, sempre 16 17 pronti ad aiutarli finanziariamente o a dare loro lavoro. Gli artisti ostracizzati hanno sempre una remota possibilità di trovare un mecenate, i mobbizzati no. Il mobbing comunque secondo alcuni giornalisti sarebbe un male immaginario, se non addirittura una necessità. Nel frattempo nel nostro paese per la Confindustria il mobbing non esiste. I sindacati invece iniziano a promuovere conferenze sul mobbing e ad aprire sportelli antimobbing. La Uil ad esempio ha aperto il primo sportello anti-mobbing a Perugia. A Torino è stato fatto un corso anti-mobbing a cui hanno partecipato 300 dipendenti comunali. Secondo Ege comunque i sindacati italiani non possono intervenire efficacemente a riguardo, perché spesso il mobber, mobbizzato e side-mobber sono iscritti entrambi allo stesso sindacato. I sindacati italiani secondo Ege possono intervenire efficacemente nella contrattazione collettiva, ma difficilmente possono difendere il singolo lavoratore contro altri lavoratori. Può anche accadere che rispetto ad un caso di mobbing il delegato sindacale si schieri con i mobber e l’avvocato del sindacato si schieri invece con il presunto mobbizzato. In pratica quindi anche i sindacati rispetto al problema mobbing non hanno ancora attuato tecniche di intervento efficaci per attuare mediazioni e gestire conflitti tra lavoratori. Sia chiaro: i sindacati attualmente hanno svolto un ruolo preponderante in Italia nella sensibilizzazione riguardo al mobbing. Attualmente un mobbizzato per curarsi e per far valere i propri diritti lavorativi deve rivolgersi non ai sindacati, ma a strutture specializzate come la Clinica del Lavoro “Luigi Devoto” di Milano, la Mima(Movimento Italiano Mobbizzati Associati) di Roma, la Prima(Associazione Italiana contro mobbing e stress 17 18 psicosociale) di Bologna, l’ISPESL(Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro) di Roma. i Non è stato possibile venire a conoscenza del tipo di campionamento effettuato per pervenire a questi dati. Il tipo di campionamento non è menzionato né nel volume “Violence at work” di Chappell e Di Martino, né negli abstract in lingua inglese. Uno dei problemi riguardo al mobbing è proprio l’insufficienza di dati statistici attendibili, ossia reperiti tramite criteri considerati scientifici. Nella stragrande maggioranza delle ricerche sul mobbing non sono infatti menzionati i tipi di campionamento adottati, oppure i campioni non sono rappresentativi della popolazione lavorativa del paese in cui è stata svolta l’indagine. E’ da ritenersi inoltre che in ogni indagine avente oggetto di studio un fenomeno assai recente e di cui conosciamo ancora poco(il mobbing) la ricerca qualitativa(ad esempio le interviste semistrutturate) dovrebbe precedere ed affiancare la ricerca quantitativa, per non incorrere in alte percentuali di falsi negativi e falsi positivi: purtroppo nell’ambito del mobbing gli studiosi svolgono solo ricerca qualitativa o solo ricerca quantitativa. Un altro problema riguardo alle ricerche sul mobbing è l’enorme difficoltà di avere un campione rappresentativo della popolazione lavorativa del paese in cui si svolgono le ricerche. Gli psicologi clinici, gli psicologi del lavoro, gli psichiatri che si occupano di mobbing non hanno l’opportunità di scegliersi i lavoratori mobbizzati in base al loro settore lavorativo, bensì sono i lavoratori mobbizzati, spesso casualmente, a scegliere loro. D’altronde vige un ordine di priorità: si occupano sopratutto della sofferenza psichica e della rilevazione dei sintomi fisici e psichici dovuti al mobbing. 18 19 2. DINAMICHE DI GRUPPO E MOBBING: Per considerare un insieme di persone come un gruppo sono innanzitutto necessarie queste premesse di base: interdipendenza tra gli individui, perseguimento di uno stesso obiettivo, bisogno di appartenenza. Lewin[1951] analizzò il gruppo come entità superindividuale e prese a prestito il concetto di campo dalla fisica: come un campo magnetico esercita una certa forza su un ago, così l’individuo all’interno del gruppo è influenzato da forze psicologiche che lo trascendono. Il gruppo per Lewin è quindi “una totalità dinamica”, cioè è diverso dalla somma dei singoli individui che ne fanno parte. Per Stone[1992] esistono tre tipi di fenomeni all’interno del gruppo: i fenomeni relativi al gruppo come totalità, le dinamiche interpersonali, i processi intrapsichici. Che il gruppo sia diverso dalla somma dei singoli membri del gruppo non è necessariamente un fatto positivo. A riprova esiste in letteratura la tradizione del pensiero anticollettivo di Le Bon[1897] e Mc Dougall[1920]. Anche per quanto riguarda la performance Steiner[1971] ha scoperto che la produttività effettiva di un gruppo è uguale alla produttività potenziale meno le perdite di processi imperfetti. Uno di questi processi imperfetti è “l’effetto Ringelmann”[1913], dovuto ad un deficit di motivazione. Per Ingham[1974] e successivamente per Stroebe e Frey[1982] esistono due perdite di processo nel gruppo: le perdite dovute alla motivazione, le perdite dovute alla mancanza di coordinamento. All’interno di un grupppo possono verificarsi casi di free-rider o di social loafing[Latane, 1979]. Nel primo caso un membro di un gruppo sceglie deliberatamente 20 di disimpegnarsi, consapevole che difficilmente qualcuno se ne accorgerà. Nel secondo caso tutti i membri del gruppo vengono influenzati da una sorta di inerzia sociale non intenzionale: il fatto stesso di essere in gruppo quindi deteriora il loro livello di prestazione. E’ ipotizzabile che in determinati casi la persona mobbizzata sia un freerider, oppure sia più efficiente rispetto alla media del gruppo, affetto da social loafing. Per perdite di coordinamento invece bisogna intendere i tempi lunghi per giungere al consenso nella presa di decisioni, la difficoltà di condivisione delle informazioni, l’organizzazione logistica del gruppo nello svolgimento di compiti[Zappalà, 1998]. Un paradosso riscontrabile nell’analisi dei gruppi è che un insieme di persone normali può formare un gruppo patologico e violento, mentre un gruppo strutturato può svolgere funzione terapeutica nei confronti del singolo individuo con disturbi psichici( ne sono esempi lo psicodramma di Moreno, la terapia cognitivo-comportamentale di Ellis, i gruppi bioenergetici di Lowen, etc). Il gruppo svolge funzioni psicologiche fondamentali per l’equilibrio dell’individuo come mantenimento dell’autostima, sostegno morale, comprensione dei problemi. Durante il quarto congresso internazionale di psicoterapia di gruppo, svoltosi a Vienna nel 1968, il gruppo venne concepito come “difesa contro l’ansietà che ci viene dal pensiero dei miliardi di individui che vivono sul nostro pianeta”. Allo stesso tempo l’individuo per essere parte integrante di un gruppo deve ridefinire il concetto di se stesso[ Kuhn e Mc Partland, 1954; Brown, 1978; Moreland e Levine, 1982]. E’ quindi pacifico ritenere che una persona emarginata dal gruppo di lavoro sia 21 fortemente demoralizzata, demotivata ed a lungo termine si senta sempre più indifesa. E’ invece argomento più controverso stabilire quali possano essere i fattori che possono essere causa dell’emarginazione di una persona dal gruppo. Il motivo più facilmente rintracciabile è la diversità dell’individuo emarginato dal resto della comunità. Una rassegna di studi ha rilevato infatti la contiguità tra somiglianza, credenze simili ed amicizia[Byrne, 1971]. L’ambiente di lavoro infatti è costituito da un piccolo gruppo e spesso nel piccolo gruppo si crea una cricca, uno zoccolo duro, che tende ad escludere “i diversi”. Questa differenza che lo contraddistingue negativamente dal resto del gruppo può essere volontaria o involontaria. Nel primo caso il soggetto emarginato è un deviante, che non si conforma alle regole adottate dal gruppo. Il gruppo di lavoro è ufficialmente un gruppo secondario[Cooley,1902], ma all’interno si creano dei sottogruppi informali, che stabiliscono regole di comportamento e livelli di prestazione[Brown, 1961]. Il gruppo informale può fornire sostegno, solidarietà, rimozione dell’ansietà individuale soprattutto in lavori rischiosi come quello del minatore[Trist e Bamforth, 1951]. Una maggiore coesione del gruppo di lavoro aumenta il livello di sicurezza ambientale dei lavoratori[Ancelin-Schutzenberger, 1961]. Ma in determinate circostanze il gruppo informale può emarginare chi ha divergenze di vedute rispetto alla posizione prioritaria della maggioranza o atteggiamenti e comportamenti diversi, che la maggioranza disapprova. Inizialmente i membri del gruppo rivolgono maggiore attenzione al deviante per convincerlo a cambiare idea, ma se 22 questi tentativi hanno esito negativo allora vengono evitati, non considerati ed ostracizzati[Festinger, 1950; Schachter, 1951]. Nel caso della diversità involontaria la persona appartiene ad una minoranza all’interno del gruppo. E’ nero in un gruppo di bianchi, gay in un gruppo di eterosessuali, moralista in un gruppo di libertini, di destra in un gruppo di sinistra o viceversa. E’ possibile individuare il lavoratore scomodo con la scala LPC(Least Preferred Co-Worker) di Fiedler[1978] oppure con il metodo sociometrico di Moreno[1934]. In questa circostanza il fenomeno della CATEGORIZZAZIONE SOCIALE può accentuare le differenze esistenti. La categorizzazione è la tendenza a considerare gli elementi del mondo esterno come raggruppati in insiemi omogenei. Di conseguenza gli elementi classificati in una stessa categoria vengono stimati come più simili tra loro di quanto in effetti siano, mentre vengono accentuate oltre misura le differenze tra le diverse categorie, enfatizzando i tratti che possono considerarsi distintivi. Come dimostrò Tajfel[1957, 1959] il fenomeno di categorizzazione è presente anche nella percezione di oggetti e figure. Altri fenomeni e dinamiche di gruppo possono facilitare la violenza psicosociale, quali: la deindividuazione, la polarizzazione, la normalizzazione, l’obbedienza acritica all’autorità, una leadership autoritaria, la relazione tra frustrazione ed aggressività, il fenomeno del bystander, il disimpegno morale. E’ altamente improbabile ad esempio che un razzista da solo se la prenda con una persona di colore, mentre ciò potrebbe accadere quando si trova in un gruppo di persone con gli stessi pregiudizi. Questa differenza di 23 comportamento si può spiegare con il fenomeno intragruppo di deindividuazione[Zimbardo, 1969]. La DEINDIVIDUAZIONE è l’attenuazione della propria identità personale, caratterizzata da sensazione di anonimato, responsabilità diffusa, sottovalutazione e trasgressione delle norme istituzionali. La POLARIZZAZIONE è uno spostamento nella posizione verso cui la maggioranza del gruppo è orientata. Una rassegna di studi[ Wallach, 1962; Moscovici e Zavolloni, 1969; Fraser, 1973;Stephenson et al. , 1975; Laughin, 1980] ha documentato questo fenomeno del gruppo nell’ambito della presa di decisioni, del decision making, ma è plausibile che ciò avvenga anche nella valutazione delle persone. Alcune ricerche hanno infatti dimostrato che la polarizzazione non è un effetto del gruppo presente solo nella scelte di decisioni strategiche sulle cose, come nelle scelte rischiose nel gioco di azzardo, ma perfino sulle persone: ad esempio nei verdetti delle giurie. L’iniziatore di questo filone di ricerca fu Stoner[1961], che somministrò un questionario di 12 item, che misurava la propensione al rischio. Successivamente Janis nel 1972 ha descrittto numerosi esempi di prese di decisioni politiche, causate dal fenomeno di polarizzazione, come ad esempio l’invasione della Baia dei Porci nel 1961, in cui il presidente Kennedy ed un gruppo di consiglieri vollero appoggiare con l’aviazione americana una squadriglia di esuli cubani, che invasero le coste di Cuba. L’epilogo fu tragico: alcuni esuli vennero uccisi, altri fatti prigionieri. Anche Myers e Bishop[1970] con le loro ricerche su un gruppo di studenti con pregiudizi razziali hanno confermato il movimento verso l’estremo di membri del gruppo con atteggiamenti simili. 24 Un altro processo che può rafforzare l’ostilità di un gruppo nei confronti di un individuo è la NORMALIZZAZIONE, ovvero il fenomeno di convergenza spontaneo dei punti di vista. Come ha scritto Allport[1954]: “c’è nell’uomo una tendenza fondamentale a moderare le proprie opinioni e la propria condotta in rapporto alle opinioni e alle condotte degli altri”. Fu Sherif[1935] il primo a dimostrarlo con il suo celebre esperimento sull’effetto autocinetico, ripetuto successivamente da altri studiosi con i medesimi risultati. Con questo esperimento Sherif dimostrò che gli individui quando si imbattono in uno stimolo ambiguo e di non chiara interpretazione si adeguano acriticamente alla posizione assunta dal gruppo, abbandonando la propria valutazione iniziale. Asch[1952] sottopose degli studenti ad un esperimento sulla discriminazione visiva in gruppo. I soggetti avrebbero dovuto stabilire per ben diciotto volte quale tra tre linee di confronto era di lunghezza uguale ad una linea di riferimento(linea standard). Il compito era così facile che in un gruppo di controllo formato da 37 persone, che risposero da sole, 35 non fecero alcun errore. Nella situazione sperimentale invece i soggetti, seduti a semicerchio, dovevano dare il loro parere ad alta voce, di fronte al gruppo composto da altre 6 persone. Gli altri componenti del gruppo erano complici dello sperimentatore e davano le risposte che questo aveva predeterminato. Nelle 12 prove critiche, in cui i complici volutamente sceglievano la linea sbagliata, la percentuale di errori fu del 37%. Questi risultati testimoniano quindi l’effetto prorompente che la pressione di una maggioranza “sbagliata” ma unanime può esercitare sui giudizi inizialmente corretti di un singolo individuo. Crutchfield[1955] escogitò 25 una diversa tecnica di pressione di gruppo, adattata per ricerche su larga scala: esaminò infatti circa 600 persone. Crutchfield concluse che la pressione di gruppo provoca notevole quantità di cedimento, anche quando il giudizio è errato. Dal punto di vista cognitivo una persona potrebbe perciò aderire al parere negativo che ha la maggioranza sul deviante o sul diverso. Un altro processo sociale all’interno del gruppo che può condurre all’emarginazione di un soggetto è L’OBBEDIENZA CIECA ALL’AUTORITA’. A questo riguardo è celebre l’esperimento di Milgram[1969], in cui ogni soggetto esaminato doveva somministrare scariche elettriche ad un’altra persona, ogni qual volta questa rispondeva erroneamente a dei quesiti. L’intensità della scarica veniva aumentata al progredire degli errori. In realtà la vittima era un complice dello sperimentatore, che non riceveva nessuna scarica elettrica, ma fingeva di provare dolore, naturalmente all’insaputa del soggetto esaminato. I risultati furono sbalorditivi: il 62% dei soggetti, istigati dallo sperimentatore aumentava l’intensità della scarica, fino a quando lo sperimentatore non gli diceva di smettere. Poiché tutti i soggetti erano adulti e capaci di intendere e di volere, risultò stupefacente il fatto che obbedissero ciecamente all’autorità, pur essendo consapevoli che questo comportava dolore ad un altro essere umano. Questo potrebbe succedere anche nel caso in cui un datore di lavoro istigasse i dipendenti verso un lavoratore-bersaglio. Per quanto ci siano molte divergenze tra le varie teorie sulla leadership, i loro autori concordano sul fatto che l’autoritarismo del leader in un gruppo di lavoro può causare abbassamento di prestazione, come aveva già messo 26 in luce il lavoro pioneristico di Lewin, Lippit, White[1939], ed un pessimo clima organizzativo. Inoltre Hogan, Curphy, Hogan[1994] hanno messo in rilievo la relazione tra leadership ed esiti negativi nel gruppo di lavoro(incidenti, infortuni, perdite economiche). Un altro fattore che potrebbe portare alla rappresaglia di un gruppo nei confronti di un individuo è l’ipotesi formulata da Dollard[1939] che la frustrazione dia luogo alla formazione di una certa energia psichica negli individui. Sempre secondo Dollard “la presenza del comportamento aggressivo presuppone sempre l’esistenza della FRUSTRAZIONE e, viceversa l’esistenza della frustrazione conduce sempre a qualche forma di aggressività”. Se questa energia non può essere utilizzata immediatamente allora può essere canalizzata in due modi: a) tramite catarsi: la persona sfoga la propria insoddisfazione dedicandosi ad attività sportive. In questo caso la quantità di energia aggressiva viene canalizzata in una partita di calcio, in una corsa a piedi o in bicicletta. b) tramite spostamento: accade spesso che non si possa riversare la propria rabbia nei confronti della persona che è fonte della nostra frustrazione. Sarebbe ad esempio controproducente se un lavoratore si arrabbiasse con il proprio superiore gerarchico, che non gli ha dato la promozione tanto desiderata. Ecco allora che sposta la sua aggressività scaturita da quell’evento sulla moglie o sui suoi sottoposti, su una persona con cui è più conveniente prendersela. Infine un altro fenomeno è quello del BYSTANDER. Che esistano gli spettatori passivi nel corso del mobbing è un fatto accertato. In una ricerca 27 svolta da Work, Stress and Health nel 1999 vennero intervistate 200 persone, di cui 154 vittime di mobbing e 53 testimoni di mobbing. Anche se questa deve essere considerata un’indagine preliminare senza alcun criterio scientifico può senz’altro fornirci alcuni elementi indicativi, tra cui il fatto che esistano dei colleghi di lavoro delle vittime che assistono passivamente al mobbing. Si iniziò a parlare di bystanding con l’omicidio di Kitty Genovese nel 1964, una donna uccisa a coltellate nonostante chiedesse aiuto. 38 persone affacciate alla finestra assistessero al delitto, ma vennero chiamate le forze dell’ordine quando ormai era troppo tardi. Un fattore determinante nel comportamento di aiuto è il numero delle persone presenti, come hanno dimostrato Latanè e Dabbs[1975]. In un loro esperimento facevano compilare ai soggetti un questionario, quindi accendevano un registratore nella stanza attigua in cui era registrata la voce di una donna che chiedeva aiuto. Le persone che erano da sole nella stanza accorsero a prestare l’ipotetico aiuto nel 70% dei casi. Mentre quando erano in due persone nella stessa stanza si accingevano a prestare soccorso solo il 40% dei soggetti[Latanè e Rodin, 1969]. Secondo Latanè e Darley i fattori sociali che possono determinare il mancato intervento sono: l’ignoranza pluralistica, la diffusione di responsabilità, l’inibizione in pubblico. L’ignoranza pluralistica è causata dal fatto che spesso l’evento può essere ambiguo ed il soggetto interpreta la situazione nello stesso modo in cui la interpreta la maggioranza. Quindi se la maggioranza non interpreta il fumo come campanello di allarme di un incendio ma come uno scherzo di alcuni colleghi di lavoro bontemponi anche il singolo individuo segue e si associa alla maggioranza. Piliavin e Piliavin’s[1972] hanno invece 28 concluso che l’intervento o il mancato intervento siano dovuti ad un’analisi razionale costi/benefici. La persona quindi valuterebbe i costi dell’intervento(eventuali danni personali, perdita di tempo, impegno, imbarazzo di fronte ad altri) ed allo stesso tempo i costi del mancato intervento( costo di empatia: sensazione spiacevole nel veder soffrire la vittima; costo personale: senso di colpa successivo all’evento e disapprovazione pubblica). Per Cialdini[1991] il comportamento prosociale non scaturisce dall’altruismo, piuttosto dall’evitare sensazioni psicologicamente spiacevoli che scaturiscono da un mancato intervento di aiuto. Per quanto riguarda invece I SIDE-MOBBER O CO-MOBBER la spiegazione più plausibile del loro comportamento è il fenomeno di IDENTIFICAZIONE[Freud, 1921], ossia di un legame emozionale con il mobber, che porta sia all’investimento oggettuale nei confronti del mobber che all’imitazione dei suoi atteggiamenti e comportamenti nei confronti della vittima. Il side-mobber o co-mobber può essere non solo seguace del leader del gruppo informale( che diventa mobber), ma anche una persona succube, che ha subito comportamenti vessatori da parte del leader in passato e successivamente si è identificata con il suo oppressore. A riguardo bisogna infatti ricordare che esistono anche casi di identificazione estrema come quelli documentati da Bettelheim[1943] dei prigionieri ebrei in campi di concentramento nei confronti dei loro aguzzini e come quelli documentati da Milner[1975] dei bambini di colore nei confronti dei bambini bianchi. 29 Infine per quanto concerne I MOBBER nell’ambito della psicologia sociale una spiegazione possibile del loro comportamento è IL DISIMPEGNO MORALE, una autoassoluzione collettiva: una scissione tra pensiero ed azione che permette al soggetto di compiere azioni eticamente riprovevoli senza avere rimorsi di coscienza né sensi di colpa[Bandura, 1999]. Secondo Caprara[2000] il disimpegno morale è determinato dai seguenti meccanismi psicologici: giustificazione morale, etichettamento eufemistico, confronto vantaggioso, spostamento e diffusione delle responsabilità, sottovalutazione colpevolizzazione della vittima. e distorsione delle conseguenze, 30 3. CONFLITTO E MOBBING: Le definizioni di conflitto sono molteplici. Per Brenner[1976] il conflitto è uno stato di tensione scaturito da desideri repressi in contrasto con le relazioni interpersonali. Coombs e Avrunin[1988] analizzano il conflitto come un tentativo di effettuare una scelta tra svariate opzioni. Per French[1941] il conflitto principale è la risultante tra le proposte innovative del singolo e la paura di cambiamento del gruppo. Secondo Edwards[1957] il conflitto scaturisce dalla frattura tra individuo e piccolo gruppo: dalla lotta tra desiderio individuale e desiderio sociale. Dahrendorf[1958] invece considera il conflitto come una situazione in cui gli obiettivi sono incompatibili. Esiste una scuola di pensiero in sociologia(Dahrendorf, Niebhur) che ha teorizzato l’inevitabilità del conflitto. Altri sociologi come Callaway [1993]invece hanno messo in dubbio l’inevitabilità del conflitto. Per Spaltro[1990] “il conflitto non è una patologia relazionale, ma è la relazione in se stessa”. Un compito della psicologia del lavoro è quello di gestire e controllare i conflitti all’interno delle organizzazioni di lavoro, considerando comunque il conflitto anche come risorsa relazionale. CONFLITTO INTERPERSONALE SUL LUOGO DI LAVORO: I motivi per cui due persone possono entrare in conflitto sono diversi: divergenza di idee, competizione, istinto a padroneggiare, gap generazionale, linguaggi diversi, interessi conflittuali, antipatia , possibilità di carriera. Spesso il luogo di lavoro non permette allo stesso tempo il perseguimento di obiettivi comuni e l’autorealizzazione dell’individuo. Perché ciò avvenisse il gruppo di lavoro dovrebbe essere “una comunità 31 morale” ed ogni lavoratore “un individualista democratico” per dirla alla Dewey([1939]. In realtà invece può accadere che il superiore sia un maniaco del controllo, abbia “una personalità autoritaria”[Adorno] o sia affetto da carattereopatia. I danni del conflitto interpersonale possono essere elevati. A questo riguardo basta ricordare il caso citato da Goleman[1995] ne “L’intelligenza emotiva”, in cui i copiloti non dissero nulla al loro capo irrascibile del livello di carburante dell’aereo, per paura di una sua esplosione di rabbia. L’aereo precipitò e morirono dieci persone. Nel “Nuovo dizionario di Sociologia” il conflitto viene distinto in : latente, manifesto, diretto, indiretto, non violento e violento. Rapaport[1960] distingue tra tre tipi di conflitto: lotta, gioco, dibattito. Nei casi di mobbing è da escludersi la violenza fisica, che caratterizza invece altri fenomeni psicosociali come il bullismo ed il nonnismo. Per Coombs[1988] esistono tre tipi di conflitto: intrapersonali; interpersonali in cui gli individui devono scegliere tra diverse opzioni; interpersonali in cui due o più individui ambiscono allo stesso obiettivo, ma le risorse sono limitate. E’ bene intendersi: un conflitto non è un episodio isolato, ma un rapporto con una sua storia, un suo motivo, una sua dinamica, un suo contesto. Il problema principale è che il conflitto possa inasprirsi, giungere ad una escalation e diventare insanabile. Questo può avvenire quando il conflitto interpersonale tra due persone si allarga e tramite un gioco di schieramenti e di alleanze diventa un conflitto intragruppo che coinvolge l’intero reparto. Il conflitto interpersonale è stato analizzato da Lewin con l’introduzione del concetto di allontanamento(avoidance)/ avvicinamento(approach). Con l’analisi transazionale di Berne è possibile invece analizzarlo considerando sia gli 32 stati dell’io (Genitore, Adulto, Bambino) che le posizioni esistenziali dei contendenti( io sono ok, tu sei ok – io non sono ok, tu sei ok – io sono ok, tu non sei ok- io non sono ok, tu non sei ok). Il problema principale è distinguere tra conflitto positivo e conflitto negativo. Il conflitto positivo può condurre ad una crescita e al superamento di ostacoli: al pluralismo e al decentramento cognitivo dei partecipanti. Il conflitto negativo invece può portare all’anarchismo globale, alla cessazione dei rapporti, a tutta una serie di blocchi emozionali. E’ significativa a proposito la distinzione di Walton[1969] tra “disaccordi interpersonali obiettivi” ed “antagonismi interpersonali emotivi”: il conflitto da positivo diventa negativo quando avviene il passaggio dalle divergenze di idee agli antagonismi emotivi. Si passa quindi dal criticare le idee dell’altro ad attaccare la sfera privata dell’altro: l’avversario diventa perciò nemico. Il conflitto positivo è quindi un tentativo di relazione autentica senza prescindere dal rispetto reciproco delle persone. Il conflitto interpersonale negativo invece può condurre a delle relazioni patologiche tra i contendenti come ad esempio “il doppio legame” di Bateson, “la posizione insostenibile” di Laing, “il legame disperante” di Cigoli, “la disattenzione selettiva” di Sullivan, “la sottomissione involontaria” di Gilbert. Il doppio legame presuppone un rapporto intenso tra gli individui e l’impossibilità di scelta ed è caratterizzato da messaggi ambivalenti ed ambigui: ad esempio l’atteggiamento corporeo ed il tono della voce “disconfermano” il significato letterale delle parole. La posizione insostenibile di Laing invece è la situazione di chi si sente in trappola, per l’appunto intrappolato in una dipendenza ostile, che causa risentimento inespresso ed un continuo 33 rimuginare. Il legame disperante di Cigoli significa una relazione esasperata in cui ognuno dei partner aspetta soltanto il cambiamento dell’altro. La disattenzione selettiva di Sullivan è la conseguenza di una relazione conflittuale perché il soggetto conservi la propria identità e la propria sicurezza personale. Per quanto riguarda la sottomissione involontaria di Gilbert invece questa non è altro che la necessità di adeguarsi all’altro per paura di ritorsioni o di aggressioni. Per Fromm talvolta gli individui in relazioni conflittuali utilizzano come meccanismo di difesa la regressione a comportamenti infantili con le figure parentali: ecco allora che il capo autoritario può diventare una sorta di padre padrone. Un altro meccanismo difensivo è utilizzare quello che Winnicott definì il “falso sé”, il cui scopo è di nascondere il vero sé con un’accettazione acritica nei confronti delle richieste esterne. Secondo Hartmann perché l’ambiente sia “mediamente prevedibile” per l’individuo le modalità sono tre: cambiare se stessi in funzione dell’ambiente(autoplastica), cercare di cambiare gli altri(alloplastica), cercare un altro ambiente in cui inserirsi. Quando il conflitto raggiunge il punto di non ritorno invece entrambi cercano di cambiare l’altro, ma mai se stessi. Nell’ambito del conflitto negativo in definitiva da espressioni come “hai torto” si passa ad espressioni come “non conti e non vali niente”: il dominatore assume quindi una posizione destabilizzante nei confronti dell’autostima dell’identità dell’altro: dalla divergenza di opinioni si giunge a continui attacchi personali. Come ha evidenziato Brenner l’elemento principale del conflitto è l’ambivalenza emotiva. Infatti è caratterizzato da esplosioni di rabbia intervallate da periodi di stasi e di calma apparente. Un altro 34 elemento è la mobilitazione di energia psichica, il dispendio di forze che contraddistingue ogni conflitto negativo. Per Mortensen gli aspetti caratteristici del conflitto sono tre: intensità, emozioni, orientamento. Ogni qual volta si verifica un litigio aumenta notevolmente l’intensità della comunicazione, l’emotività dei contendenti e l’orientamento di ognuno è polarizzato e separatista. Il litigio quindi produce un effetto a valanga. Entrambi i partecipanti passano all’acting out ed immediatamente provocano o rispondono alle provocazioni. Lazzari[1997] nell’ambito del litigio aziendale distingue tra comunicazioni pressive e comunicazioni depressive. Le comunicazioni pressive vanno dall’alto verso il basso della scala gerarchica e sono caratterizzate dal fatto che più alto è il grado gerarchico più scarsa è la preoccupazione a misurare le parole nei confronti dei propri sottoposti. Le comunicazioni depressive vanno invece dal basso verso l’alto e sono caratterizzate dall’atteggiamento difensivo del dipendente nei confronti del superiore. Da ricerche empiriche sulle relazioni interpersonale Barkham, Hardy, Startup[1994] hanno confermato i 5 ruoli sociali di Gilbert[1992]: attaccamento, accudimento, cooperazione, competizione, relazione sessuale. Nell’ambito dell’esacerbarsi del conflitto la vittima potrebbe essere incapace di inviare segnali di sofferenza e richieste di aiuto ad altri, mentre invece l’aggressore potrebbe rivestire il ruolo continuo di competizione, senza mai manifestare sentimento di attaccamento nei confronti della persona bersaglio. Il conflitto quindi dipende anche dalla strategia dei contendenti. Se compariamo il comportamento umano con il comportamento animale, studiato dall’etologia ci accorgiamo che nella maggior parte dei casi nel regno 35 animale la lotta intraspecifica è fatta di tornei informali e di aggressività ritualizzata, come ci ricorda K.Lorenz nella sua opera “sull’aggressività”. La teoria dei giochi, nata con “The theory of Games and Economic Behaviour” di Von Neumann e Morgenstern[1944], analizza le strategie degli attori nell’ambito soprattutto economico. I problemi principali dell’applicazione della teoria dei giochi al conflitto aziendale è che il lavoro non necessariamente è un gioco a somma zero reiterato, che le alternative degli attori sono qualificabili ma non quantificabili e ponderabili, che l’assunto di base di questa nuova disciplina di studiovvero il postulato che l’uomo sia prevalentemente razionale e calcolatore – è discutibile. L’uomo spesso si lascia sopraffare dall’emotività e alla presa di decisioni non utilizza il teorema di Bayes o il modello walrasiano di equilibrio concorrenziale, in cui l’ottimo individuale deriva da un’analisi di costi/benefici di fattori come la tecnologia, i prezzi, il sistema legale. Nonostante ciò anche per un esperto di questo ambito di studi come Axerold la migliore strategia a lungo termine nell’interazione sociale è quella indulgente. Del resto anche il biologo Dawkins nel suo libro "Il gene egoista” a tale proposito intitola un suo capitolo “i buoni arrivano primi”. Axerold infatti organizzò una gara tra esperti di teoria dei giochi e chiese loro di creare una strategia, intesa come piano completo di azione. Successivamente simulò una gara al computer tra quindici strategie. La competizione fu vinta dalla strategia indulgente Tit for Tat, che utilizza la defezione subito dopo che la strategia avversaria ha utilizzato la defezione, ma dimentica facilmente i torti subiti. Tit for Tat oltre a non essere vendicativa non è nemmeno invidiosa: non cerca a tutti i costi di 36 guadagnare più della controparte. In fondo niente di nuovo. Infatti come osserva Dawkins esistono quattro tipi di strategie da combattimento: il falco, la colomba, la rappresaglia, il bullo. Il falco cerca in tutti i modi il predominio assoluto e nell’eventualità in cui trova un altro falco più feroce soccombe. La colomba se trova un falco si dà alla fuga o rimane vittima del predatore. Il bullo inizia come falco, ma se trova un vero falco finisce come la colomba. La rappresaglia invece inizia come colomba e può finire come falco se la controparte cerca di attaccarla. La strategia Tit for Tat era quindi una sorta di variante più complessa della rappresaglia. Il conflitto interpersonale sul luogo di lavoro quindi dipende da una molteplicità di fattori: la strategia degli attori, la loro personalità, la loro mentalità, il livello di istituzionalizzazione del conflitto nel contesto aziendale ed infine la cultura organizzativa. IL CONFLITTO ORGANIZZATIVO: Come osserva Einarsen[1994] le macrocause del mobbing sono quattro: il mobber, la vittima, la dinamica del gruppo, l’organizzazione del lavoro. Più specificatamente a riguardo del fattore organizzativo Leymann[1993] trovò una correlazione significativa tra mobbing e scarso standard morale nel reparto, leadership autoritaria, deficit di job design, esposizione sociale della vittima. Sempre Leymann e Gustafson[1994] dedussero una correlazione tra la violazione del principio organizzativo dell’unità di comando e la propensione al mobbing, in un ospedale in cui le infermiere sottostavano a due tipologie gerarchiche: i medici e le capogruppo delle infermiere. Cummins[1989] trovò riscontri empirici tra bullying sul luogo 37 di lavoro ed altri fattori organizzativi come sovraccarico di lavoro, scadenze pressanti, conflitto di ruolo, mancanza di partecipazione. Einarsen[1994] svolgendo delle ricerche in Norvegia e successivamente Grover[1996] hanno confermato come causa rilevante di mobbing il conflitto di ruolo. Seigne[1993] mise in luce altri fattori come una leadership autoritaria, la competizione esasperata, lo stress occupazionale accumulato. L’ipotesi della competizione come antecedente di mobbing è stata corroborata anche da Bjorkqvist[1994] con una ricerca in un’università finlandese. Un ulteriore fattore organizzativo coinvolto è lo scarso livello di controllo da parte dei lavoratori nelle loro mansioni[Vartia, 1996]. Honell[1996] ha evidenziato ulteriori fattori di comportamento organizzativo da parte dei superiori come abuso di potere, arroganza, senso di superiorità. Problemi organizzativi di ogni genere a lungo termine possono perciò essere considerati degli stressors che portano al terrorismo psicologico sul posto di lavoro, come prevede la relazione frustrazioneaggressività di Berkowitz[1989]. Maggiore è il numero di situazioni conflittuali, maggiore è la possibilità di un conflitto interpersonale insanabile[Zapf, 1998]. A questo punto però è necessario riflettere come osserva Brodsky[1976] sulla cultura organizzativa: infatti le angherie in un gruppo di lavoro esistono solo se la direzione le consente e le tollera. LA CULTURA ORGANIZZATIVA: Nel best-seller intitolato “L’one minute manager” Blanchard e Spencer[1981] definiscono il manager efficiente come colui che “organizza se stesso e i propri collaboratori in modo che sia l’azienda sia gli uomini 38 che dipendono da lui traggano giovamento dalla sua presenza”. Spesso però ci sono alcuni elementi della cultura organizzativa la cui applicazione può portare a dei rapporti disumanizzanti sul luogo di lavoro come: il principio 80/20 o legge di Pareto, il darwinismo socio-economico, il machiavellismo dei manager, la concezione biblica della sofferenza del lavoro, i corsi outdoor per manager( o corsi di sopravvivenza), la razionalità tecnologica esasperata. Secondo la legge di Pareto l’80% dei risultati deriva dal 20% delle cause, l’80% dell’energia mondiale è consumata dal 20% della popolazione, l’80% della ricchezza mondiale è detenuta dal 20% della popolazione. Questo principio è stato utilizzato efficacemente per ogni sistema operativo informatico dall’Ibm, dall’Apple, dalla Lotus e più recentemente dalla Microsoft. Il principio 80/20 sostiene che c’è uno squilibrio tra cause ed effetti, tra input ed output[Koch,1997]. Il problema principale è che la legge di Pareto dovrebbe essere applicata solo sui sistemi informatici e sui macchinari. Spesso invece al management viene in mente la malsana idea che l’80% degli utili aziendali sia determinato dal 20% dei dipendenti: ma l’applicazione della legge di Pareto sui lavoratori è disumana e spesso porta a conseguenze drastiche. Un altro aspetto deteriore che caratterizza spesso la cultura organizzativa è il machiavellismo manageriale. Molti manager hanno assurto a modello di comportamento “Il principe” del segretario fiorentino, come scrive Spagnol[2001] in “Machiavelli per i manager”. Secondo il Machiavelli il principe doveva saper usare la razionalità analitica, la logica strumentale(la volpe) e la forza irrazionale(il leone). Ne “Il principe” il Machiavelli prende come modello ideale di leader nientemeno che Cesare Borgia e nell’ottavo capitolo tratta 39 del delitto politico come estremo rimedio a male estremo. Si immagini quali relazioni lavorative possano scaturire prendendo come modello di comportamento l’opera dello scrittore fiorentino. Per quanto concerne i corsi di sopravvivenza per manager è da ritenere che siano dei training che possano rendere ancora più esasperato ed ipercompetitivo un clima organizzativo, già di per sé stressante e carrierista. Per quanto riguarda infine la razionalità tecnologica esasperata basta citare un esempio tratto da “L’uomo come fine” di Moravia. Ci sono due modi di tracciare una strada: il primo è quello di rispettare la natura e gli abitanti(rispettando i limiti dei poderi e nel lasciare intatti cascinali e case), il secondo è quello di non curarsi degli ostacoli e farli scomparire, perseguendo solo l’obiettivo del profitto. Per Moravia spesso in questo secolo l’uomo antiumanista ha scelto il secondo metodo, considerando l’utile e la tecnologia come fini e l’essere umano come mezzo. Come ha notato Galbraith[1978] in tutte le corporation prevale ormai la tecnostruttura, ovvero un apparato di tecnici e specialistici, che dirige la compagnia. Già Larner[1963] nel corso delle sue ricerche aveva constatato che nelle 2000 corporation da lui analizzate nell’85% dei casi nessun singolo azionista arrivava a detenere il 10% del capitale e la maggioranza delle corporation erano già dirette da manager e non da proprietari ed azionisti. Spesso però la tecnostruttura si preoccupa soltanto di benefit e stock option e non dell’interesse dei lavoratori. Ecco allora che in diversi casi la tecnostruttura si pone come obiettivi l’assistenza post-vendita dei clienti, conquistare nuove quote di mercato, riduzione del time to market, guadagnare in borsa, etc. Bill Gates[1999] nel suo libro “Business alla 40 velocità del pensiero” scrive: “il mantra di ogni azienda è arrivare primi”. Spesso però il perseguimento di obiettivi economici eccezionali va a discapito dei dipendenti stessi delle aziende. Accade infatti che per arrivare primi gli yes men della tecnostruttura eliminino lungaggini organizzative tramite il reengineering: una ristrutturazione organizzativa il cui risultato per i dipendenti è una serie di licenziamenti e prepensionamenti. Accade anche che per arrivare primi l’azienda utilizzi l’outsorcing: vengono cioè esternalizzati quei servizi dell’azienda stessa che vengono considerati troppo costosi o troppo inefficienti per arrivare primi sul mercato. Ma spesso tra il dilemma make or buy scegliere di esternalizzare dei servizi significa considerare dei rami secchi da tagliare certi settori aziendali con il conseguente licenziamento e prepensionamento dei dipendenti che lavoravano in quei reparti considerati inefficienti o troppo dispendiosi a livello economico per raggiungere la leadership sul mercato. Altra tecnica che porta direttamente al bossing è quella che il sindacalista Trentin definì “politica aziendale del doppio binario”: ovvero repressione e negoziazione. Durante l’autunno caldo questa strategia aziendale venne applicata dalla dirigenza Fiat: da un lato fare la schedatura del personale(chiamata “servizi generali”), una lista nera in cui erano descritte le opinioni politiche e sindacali di ogni lavoratore sospettato di essere un attivista politico con conseguenti licenziamenti e spostamenti interni, dall’altro lato invece cercare accordi favorevoli con i sindacati. Certo erano anche altri tempi, c’erano tensioni e sommosse, però non sono strategie così anacronistiche come si può pensare di primo acchito. Non è da escludersi che certe tattiche aziendali nelle grandi aziende vengano ancora attuate. Sicuramente i 41 reparti-confino esistono. Ma quale è il costo economico che si accolla la comunità quando centinaia di lavoratori subiscono il bossing ? A quanto ammontano le spese previdenziali e le spese sanitarie ? Non è che così facendo le grandi imprese perdano di vista “l’utilità sociale”(secondo la Costituzione Italiana) dell’azienda stessa ? 42 4. IL MOBBING COME STRESS PSICOSOCIALE IN AMBITO LAVORATIVO: Il primo a parlare di stress fu Seyle[1936] che analizzò le reazioni di animali in laboratorio, precedentemente il termine stress indicava soltanto in ingegneria la deformazione di un materiale sottoposto ad un carico. Cannon[1908] precedentemente aveva studiato la reazione di allarme di fronte ad un pericolo esterno parlando di “lotta o fuga”. Lo stesso Seyle nelle sue opere ha dato diverse definizioni di stress: il sale della vita, relazione organica di adattamento, spinta a reagire, sindrome generale di adattamento. La sindrome generale di adattamento è composta da tre fasi: la fase di allarme, la fase di resistenza, la fase di esaurimento. Lo stress è la risposta biologica aspecifica di un organismo ad un agente esterno. Può essere stress positivo(eustress) oppure negativo(distress). Per quanto riguarda la durata bisogna distinguere tra stress acuto, emozionale, cronico. Per quanto riguarda la struttura Lancioni[1999] distingue tra stress biologico, psichico, sociale. Lazarus e Folkman[1984] hanno analizzato lo stress considerandolo come transazione tra persona ed ambiente, come processo e come percezione soggettiva(appraisal). Lazarus[1991] distingue tra primary appraisal e secondary appraisal. Quest’ultima viene intesa come una rielaborazione, una rivalutazione cognitiva dell’evento stressante. Secondo Lazarus e Folkman esistono quattro tipologie di appraisal: una persona può interpretare la situazione come sfida, minaccia, danno, beneficio. Altro concetto basilare della teoria di Lazarus è quello di coping, cioè il modo di affrontare le richieste ambientali. Per Lazarus esistono due tipi di coping: “emotion-focused 43 strategies”, ovvero strategie emotive e “problem-focused strategies”, cioè strategie centrate sulla risoluzione cognitiva del problema. Per fronteggiare una situazione stressante l’individuo può avvalersi anche di risorse personali(salute, energia, credenze, abilità), di risorse sociali( supporter sociali) e di risorse utilitaristiche( soldi, status socioeconomico, servizi a disposizione). Altro concetto fondamentale è quello di stressor, inteso come “richiesta ambientale, sociale o interna all’individuo che rende necessaria la modifica del proprio comportamento”. Lo stressor può essere esterno o interno. Esistono diversi tipi di stimoli stressanti: fisici, sensoriali, socioprofessionali, emozionali. In particolare gli stressors vengono distinti in life events, stress cronico e daily hassles(fastidi giornalieri). Per Grief[1989] la percezione soggettiva dello stress è composta dai seguenti fattori: previsione, importanza attribuita all’evento, distanza nel tempo, aspettativa di durata. Friedman e Rosenmané1974] distinsero tra due tipologie di personalità: il tipo A ed il tipo B. Il tipo A al contrario del tipo B è iperattivo, competitivo, esigente sia con se stesso che con gli altri. Successivamente Henry e Stephens[1977] dimostrarono la correlazione tra tipo A e predisposizione allo stress. Secondo il diagramma di Lennart Levi il livello di stress dipende sia dal grado di libertà del soggetto che dall’intensità degli stimoli. Rotter[1966] invece ritiene che il locus of control interno(la credenza del soggetto di poter influenzare il corso degli eventi) possa essere una risorsa personale fondamentale per la resistenza allo stress. Kobasa[1979] invece riguardo alle risorse personali mette in evidenza tre caratteristiche individuali: control(capacità di controllo sulle circostanze esterne), committment(impegno nel conseguire i fini preoposti), 44 challange(la mancanza di resistenza al cambiamento). Antonovsky[1970] dopo aver studiato un gruppo di sopravvissute ad un campo di concentramento nazista conclude che sia il Sense of Coherence la qualità personale essenziale per far fronte allo stress. Il Sense of Coherence a sua volta è costituito da comprensibilità, gestibilità, ricchezza di significato. RELAZIONE TRA STRESS E MALATTIA: E’ bene intendersi: non tutte le persone sottoposte a stress intensi e prolungati sviluppano conseguentemente malattie psicosomatiche. Il rapporto tra stress e malattia non è di tipo causa-effetto, bensì di tipo statistico-probabilistico: ovvero una persona stressata è maggiormente predisposta ad ammalarsi. Molte ricerche scientifiche hanno dimostrato che lo stress è implicato in patologie come ipertensione, infarto miocardico, ulcere gastrointestinali, coliti. Per Rossel[1998] le patologie in rapporto diretto con lo stress sono: l’ulcera gastroduodenale, l’amenorrea, l’influenza, herpes, dermatiti, psoriasi, stitichezza, malattie coronariche. Ma lo stress non è l’unico fattore: l’approccio è sempre multifattoriale. Ad esempio per quanto riguarda i principali fattori in grado di influenzare i valori pressori abbiamo: età, sesso, razza, ereditarietà, massa corporea, consumo di alcolici, diabete, dieta, stress[Di Veroli, Pastorelli, 2000]. Per diagnosticare l’ipertensione nella maggior parte dei casi i medici usano il test di Holter, ma non esiste nessun strumento oggettivo attualmente che possa rivelarci esattamente il ruolo dei diversi fattori. Che lo stress sia un fattore determinante sia per l’insorgenza che per il decorso di alcune patologie questo è un fatto ormai consolidato. Resta però da stabilire con 45 esattezza quali siano le patologie e quale sia il peso del fattore stress. Ad esempio per quanto riguarda la colite ulcerosa, per anni considerata una malattia psicosomatica, North[1990] ha smentito questa ipotesi. Sono stati anche avanzati dei dubbi riguardo alla relazione tra ulcera peptica e stress[ Levenstein, Ackerman, Dubois, Kielcolt-Glaser, 1999]. Per ogni disturbo intestinale esiste da tempo una disputa tra gastroenterologi e psicologi clinici: i primi avanzano l’ipotesi di infezioni batteriologiche o di cause organiche, i secondi invece parlano di malattie psicosomatiche e di stress. Recentemente è stato dimostrato anche il ruolo, precedentemente sottovalutato dello stress psicosociale, da Powell[1983] con la scoperta del nanismo psicosociale, ovvero la stretta correlazione tra deficit di statura e ambiente familiare stressante. Più recentemente si è tenuto a Rapallo il 13 Aprile 1999 un convegno su stress e problemi cardiovascolari, in cui è stato evidenziato come lo stress psicosociale possa favorire l’insorgenza di patologie cardiovascolari. Una nuova disciplina di studio, la psicoimmunologia ha sottolineato la relazione tra stress e soppressione immunitaria[Goldberg,1981], la relazione tra elevati livelli di stress cronico e deficit di linfociti T-suppressor[Mc kinnon, 1989]. La psicoimmunologia è stata definita come “la disciplina che studia in modo sistematico il sistema immunitario quale sistema in grado di reagire e modificare le sue reattività anche sulla base delle interazioni tra individuo ed ambiente mediate dal sistema nervoso”[Biondi, 1994]. Ma anche nell’ambito di questo nuovo filone di studi ai ricercatori risulta ancora difficile quantificare l’intensità della relazione tra psiche e sistema immunitario. 46 GLI ORMONI DELLO STRESS: Subito dopo la reazione di allarme l’ipotalamo secerne la corticotrofina(CRF), trasmettitore biochimico, che a sua volta fa scaturire nell’ipofisi anteriore la secrezione di noradrenalina, adrenalina e dell’ ormone adrenocorticotropo(ACTH), che a sua volta scatena la produzione di cortisolo[Buck,1988; Cassini, Dell’Antonio,1982; Palomba, Stegagno, 1989] nelle ghiandole surrenali. Nel frattempo il lobo posteriore dell’ipofisi secerne le endorfine e la vasopressina. La vasopressina ha un effetto antidiuretico e consente un contenimento dei liquidi e quindi aumenta la resistenza alla situazione di emergenza. Inoltre nella ipofisi viene rilasciato l’ormone tireotropo(TSH), che mette in azione la tiroide. La ricerca di Grinker e altri[1955] su un gruppo di paracadutisti durante la fase di addestramento dimostrò che il giorno del primo salto c’è un aumento di adrenalina, noradrenalina, cortisolo, ormone della crescita ed un abbassamento di testosterone. Le misurazioni fisiologiche comprendevano analisi del sangue ed analisi delle urine. Inoltre Frankenhauser ed altri[1979] ha dimostrato che lo stress di un esame di dottorato scatena l’aumento sia di adrenalina che di noradrenalina, lo stress di un elevato ritmo di operazioni automatiche in fabbrica e lo stress di un viaggio affollato in treno comportano un innalzamento di adrenalina. Ricerche compiute su giocatori di Hockey[ Elmadjan, Hope, Lamson, 1957] hanno ulteriormente dimostrato il diverso ruolo di adrenalina e noradrenalina: lo sforzo fisico dei giocatori di hockey causa un innalzamento di noradrenalina, mentre lo stress psicologico degli spettatori causa una maggiore produzione di adrenalina. La produzione di adrenalina 47 sembra perciò in relazione con l’intensità dello stress psicologico, mentre invece la secrezione di noradrenalina con l’intensità dello stress psicofisico. LE LISTE PER MISURARE LO STRESS: Le due liste più note sono quella di Holmes e Rahe[1967] e quella di Paykel-Ferreri[rielaborata nel 1987]. La lista di Holmes e Rahe comprende 43 eventi, il punteggio massimo attribuito ad un evento è 100( la morte del coniuge) e la persona che ottiene un punteggio oltre i 200 punti ha serie probabilità di ammalarsi. La seconda lista di Paykel-Ferreri elenca 57 eventi e a differenza della lista di Holmes e Rahe considera come evento più stressante la morte del figlio(19,3 punti), a cui attribuisce quindi il punteggio più alto. Oltre il punteggio complessivo di 50 punti il soggetto è in forte pericolo di contrarre malattie. Un’altra lista è quella denominata LES, standardizzata da Sarason e Johnson. Il questionario Les è formato da 47 eventi. La valutazione però a differenza delle prime due liste citata avviene su una scala a 7 punti. La lista è stata ideata per calcolare l’impatto positivo o negativo di un evento sulla persona. Somministrare queste liste ad una ipotetica persona mobbizzata non aiuta certo a capire l’entità dei danni psichici conseguenti alle vessazioni subite. La lista di Holmes-Rahe attribuisce al licenziamento 47 punti, al cambio di responsabilità sul lavoro 29, ai problemi sul lavoro con un superiore 23, al cambiamento dell’orario o delle condizioni di lavoro 20. Se sommiamo questi punteggi attribuiti, ci accorgiamo che con questa lista una persona che soffre di mobbing non raggiungerà un punteggio superiore a 200. Lo stesso vale per la lista di Paykel-Ferreri, che attribuisce al licenziamento 16,4 punti, 48 all’abbassamento dello status sociale 15,1 , ai litigi con il padrone 12,2 , ai cambiamenti nelle condizioni di lavoro 9,2. Un altro difetto dei questionari per la misurazione dello stress è che sono “self-report survey” e che quindi può esserci una discrepanza tra strain effettivo e percezione soggettiva dello stress. Ad esempio persone con disturbi psichici a cui vengono somministrati questionari sullo stress raggiungono punteggi molto più elevati rispetto al livello di stress effettivamente vissuto LA RELAZIONE TRA STRESS E MOBBING SECONDO EGE: Per H.Ege le persone stressate hanno maggiori probabilità di diventare mobbers. Quindi lo stress è causa di mobbing per quello che Ege chiama effetto “valvola”, ovvero la persona stressata perseguita un altro lavoratore per il bisogno di sfogare su un bersaglio la rabbia accumulata nel tempo. Sempre secondo Ege esiste anche lo stress da mobbing. Per quanto riguarda l’effetto “valvola” questo è corroborato da altri autori[Thylefors, 1987; Bjorkqvist, 1992; Brodsky,1976], anche Felson[1992] nelle sue ricerche ha scoperto la relazione tra stress cronico violazione delle normi sociali. Per quanto riguarda invece le varie distinzioni tra stress e mobbing di Ege occorre fare delle precisazioni. Ege descrive le differenze tra stress fisico e mobbing, ma se consideriamo il mobbing per quello che effettivamente è, cioè una forma estrema di stress psicosociale sul lavoro[Zapf,1999] non si può fare chiaramente una distinzione tra stress psicosociale e mobbing. Per stress psicosociale intendiamo per l’appunto “quella situazione in cui la richiesta ambientale viene posta dal contesto sociale dei rapporti umani” [Sibilia,2000]. Nella vita umana è incontestabile la predominanza degli 49 stressors psicosociali sugli stress fisici[Pancheri, 2000].Mentre negli animali si possono osservare di fronte ad uno stressor due comportamenti(lotta o fuga), nell’uomo l’attivazione emozionale può essere mediata dal filtro della valutazione cognitiva: l’uomo moderno è quindi un mediatore di stressors psicosociali. LO STRESS OCCUPAZIONALE: Secondo il modello di Yerkes e Dodson[1908] perché un lavoratore raggiunga l’efficienza umana ottimale deve essere sollecitato da un livello di arousal(livello di attivazione fisiologica) ponderato da un medio carico e da una media domanda. Una situazione lavorativa ad alta domanda(ad esempio un compito molto complesso cognitivamente) oppure una mansione a basso carico(ad esempio un lavoro parcellizzato come quello di una linea di assemblaggio) a lungo termine possono determinare una scarsa produttività lavorativa(turn-over, assenteismo, infortuni, scarti di lavorazione, inefficienze) ed un’insoddisfazione psicologica del lavoratore. Per Lancioni[2000] due situazioni lavorative anormali sono quelle della sovra-attivazione e della sotto-attivazione. Per quanto riguarda la sovraattivazione il carico di lavoro è eccessivo rispetto alle forze del lavoratore per cui si verifica uno sbilanciamento tra la richiesta ambientale e la capacità di risposta. E’ quello che i francesi chiamano surmenage, gli americani wok-overload. Nel caso in cui si verifichi una sotto-attivazione la richiesta lavorativa è insufficiente rispetto alla capacità del soggetto. Questa situazione ad esempio si verifica quando un gruppo di lavoratori 50 indesiderati vengono trasferiti in un reparto confino a non fare assolutamente niente. Lo stress occupazionale viene considerato come risultante dell’ambiente di lavoro, dello spazio di lavoro e della mansione. Secondo il modello di Karasek lo stress occupazionale è dato dalla relazione tra domanda e controllo. La domanda o richiesta lavorativa è composta da 3 fattori: carico di lavoro psicologico, carico di lavoro fisico, livello di insicurezza sul lavoro. Per controllo si intende sia la capacità di svolgere un compito che la discrezionalità e l’ampiezza decisionale nell’organizzarlo[Favretto,1994]. Per Karasek il controllo a sua volta è determinato da 3 componenti: valutazione delle proprie capacità, potere decisionale sui compiti lavorativi, progettualità intesa come macrodecisionalità. Alcune ricerche hanno dimostrato la relazione tra stressors occupazionali e mobbing: la monotonia del compito lavorativo causa maggior tasso di conflitti interpersonali[Appelberg,1991], compiti routinari e sovrattivazione determinano maggiori casi di mobbing rispetto alla media[Einarsen, Raknes, Matthiesen, 1994], stress organizzativo, stile autoritario manageriale si sono rivelati antecedenti organizzativi in 30 casi di mobbing in Irlanda[Seigne,1998]. Va sottolineato inoltre che non solo lo stress occupazionale può determinare il mobbing, ma anche il mobbbing è fonte di stress occupazionale e non solo nei mobbizzati, ma anche negli spettatori passivi[bystander]. In una ricerca inglese Rayner[1997] ha scoperto che su 20 colleghi di mobbizzati, testimoni quindi di mobbing, il 20% decise di cercare un altro lavoro. Si ritiene quindi che anche gli spettatori passivi 51 soffrono di distress psicologico: la loro maggiore paura è di essere vittime a loro volte di questo meccanismo perverso. Una ricerca di Zapf, svoltasi tra il 1995 ed il 1998, ha confrontato gli stressors occupazionali a cui erano sottoposti i membri di un gruppo di mobbizzati rispetto a quelli a cui erano sottoposti i partecipanti del gruppo di controllo. Inizialmente il gruppo di mobbizzati( 96 persone) venne creato reclutando persone da gruppi di autoaiuto, da annunci su quotidiani e da un’organizzazione tedesca denominata “Società contro stress psicosociale e mobbing”. Il gruppo di controllo(37 persone) venne formato invece tramite un campionamento a valanga. Zapf e collaboratori cercarono di creare per quanto possibile un gruppo di controllo simile per quanto riguarda il genere, l’età, il livello di istruzione al gruppo di mobbizzati. Successivamente venne formato un secondo campione di 118 persone, facenti parte dell’associazione DAG. Nella fase successiva tramite questionari e colloqui cercarono di distinguere tra mobbizzati reali e presunti tali. I criteri di base per attuare questa distinzione furono quelli di considerare come mobbing un periodo di angherie di 6 mesi e con almeno una vessazione a settimana. Quindi venne creato un gruppo di 143 persone mobbizzate ed un gruppo di controllo di 81 persone. Il gruppo di controllo era formato dal 57% di donne, l’età media era di 42 anni, il 30% aveva un’istruzione universitaria. Ad entrambi i gruppi venne somministrato Instrument for stress oriented job-analysis[ISJA] di Semmer et al.[1995]. Le scale del questionario erano: complessità del lavoro, controllo della mansione, incertezza, problemi organizzativi, necessità di concentrazione, tempo necessario al controllo del compito, ritmi di lavoro pressanti e 52 cooperazione forzata. Vennero anche somministrati i seguenti questionari: la scala di stressors sociali di Frese e Zapf[1987], riguardante il clima organizzativo ed i conflitti all’interno del gruppo di lavoro; l’adattamento in versione tedesca della scala di supporto sociale dei colleghi, sviluppata da Caplan[1975] ed adattata da Frese[1989]; Employee Opinion Survey di Lawthorn et al.[1992], una scala che rileva la qualità della comunicazione nel gruppo di lavoro; il ROCI II[Rahim e Magner, 1995] riguardo al conflitto organizzativo; il Lipt di Leymann[1990]; vari questionari ideati da Mohr[1986] ed il Panas di Watson[1988] per rilevare le disfunzioni psicologiche. Zapf constatò che il gruppo di mobbizzati differiva dal gruppo di controllo riguardo alle caratteristiche del lavoro. Rilevò infatti che per il gruppo di mobbizzati gli stressors organizzativi ed occupazionali erano più elevati e che il livello di controllo dei compiti lavorativi era invece era inadeguato e di gran lunga minore rispetto a quello del gruppo di controllo. Le differenze più marcate tra i due gruppi riguardavano l’incertezza, il tempo necessario al controllo dei compiti lavorativi ed i problemi organizzativi. Chiaramente il gruppo di persone mobbizzate aveva registrato valori più elevati riguardo a questi aspetti lavorativi. L’unica scala di item che non fece rilevare differenze significativa(dal punto di vista statistico) fu quella riguardante la complessità del lavoro. 53 5. PSICODIAGNOSTICA DELMOBBING La maggior parte dei casi di mobbing vengono diagnosticati: ptsd: disturbo da stress post-traumatico[Leymann & Gustfasson; Field; Ellis; Einarsen; Davenport, Elliott, Schwartz; Naime; Wilson; Pardini]; gad: disturbo d’ansia generalizzato[ Leymann & Gustfasson]; pdsd: disturbo da stress prolungato[ Field] ;sindrome di affaticamento cronico[ Ellis]; burn-out [Leymann & Gustfasson] ;disturbo dell’adattamento[Pardini; Giglioli]. I questionari standardizzati utilizzati per diagnosticare il mobbing sono: il Lipt di Leyman, Brief Psychiatric Rating Scale di Overall e Gorham, General Health Questionnaire di Goldberg, Beck Depression Inventory di Beck, Impact of Event Scale di Horowitz et al., Post Traumatic Symptom Scale di Malt, diagnosi di Ptsd accordata ai criteri del DSM e dell’IC.10. Per quanto riguarda le diagnosi differenziali tra le varie sindromi è utile considerare i seguenti criteri: durata, intensità, frequenza, contesto in cui sono maturati i disturbi, la storia del paziente, il tempo di latenza. Per quanto riguarda la diagnosi di mobbing non è possibile fare una diagnosi di natura, come nella schizofrenia in cui è riscontrabile una produzione eccessiva di dopamina nel sistema mesolimbico o come nella depressione endogena in cui è riscontrabile invece un deficit di serotonina e di noradrenalina nel lobo frontale[Sachar, 1985]. Si cercherà quindi di fare delle distinzioni, anche se spesso non esiste una linea di demarcazione oggettiva tra stress ed ansia. A riguardo basta ricordare che il DSM IV classifica il disturbo acuto da stress ed il disturbo post-traumatico da stress tra i disturbi d’ansia. 54 DISTINGUERE TRA PARANOIA ED IPERVIGILANZA: Innanzitutto è bene descrivere le differenze psichiche tra la persona paranoica e la persona che soffre di mobbing. Tim Field è stato il primo a fare questa distinzione e a distinguere tra danno psichico e instabilità mentale nell’ambito del mobbing. Per Field la paranoia è duratura, l’ipervigilanza tende a diminuire gradualmente o addirittura a scomparire in mancanza delle cause che l’hanno prodotta. Il paranoico non ammette di essere paranoico, mentre invece la persona che soffre di mobbing molto spesso esprime il timore di essere paranoica. Inoltre la persona paranoica ha deliri di grandezza e le frustrazioni possono indurre ad un aggravamento della situazione, mentre la persona mobbizzata ha uno scarso livello di autostima. Il mobbizzato soffre di continui sensi di colpa e di vulnerabilità, prova sensazioni di vergogna e di inadeguatezza, invece la persona paranoica non ha questi sintomi. Infine il paranoico spesso sostiene che il persecutore è sconosciuto, il mobbizzato invece spesso non è consapevole di essere stato perseguitato. Comunque per riconoscere disturbi fittizi e non incorrere erroneamente in falsi positivi e falsi negativi è necessario oltre alla somministrazione di un questionario standardizzato sul mobbing anche un colloquio clinico e/o la somministrazione di test proiettivi di personalità come il test di Rorschach e il TAT(Thematic Apperception Test di Murray), oppure di inventari standardizzati come il MMPI di Hataway e McKinley, il Big Five Factors di Mc Crae e Costa, il 16 PF(Personality Factors) di Cattell, l’Eysenk Personality Inventory appunto di Eysenk. 55 DISTINGUERE TRA SADOMASO E MOBBING: Anche se statisticamente potrebbe rivelarsi un evento raro non è da escludere a priori che si possa fraintendere una relazione sadomaso degenerata in un caso di mobbing. Nell’ambito delle comunità sadomaso esistono dei ruoli specifici: il master(dominatore e/o sadico) o la mistress, la slave(sottomessa e/o masochista) o lo slave, oppure lo/a switch(persona che cambia spesso ruolo). I termini sadico e masochista compaiono per la prima volta nel libro “Psychopathia sexualis” di Kraft Ebing[1885]. Per Kraft Ebing non esisteva una linea di demarcazione netta tra sadomasochismo e normalità, dato che anche tra gli amanti normali esistono dei “giochi pesanti”. H.Ellis coniò il termine agolagnia che indica che il sadismo ed il masochismo sono attività e stati emotivi complementari nell’ambito di una relazione affettiva tra persone consenzienti. L’antropologo P.Gebhard invece evidenziò il simbolismo come aspetto caratterizzante delle relazioni sadomaso. Freud invece considerò il masochismo sia come perversione sessuale che come fenomeno regressivo incentrato su un bisogno inconscio di punizione. Sempre Freud[1924] distinse tra masochismo erogeno( provare piacere tramite il dolore), femminile( provare piacere essendo passivi ed inattivi) e morale(compiacimento della propria sofferenza ). La sociologa americana L.S.Chancer[1992] nel suo libro “Sadomasochism in everyday life” aveva già evidenziato alcuni aspetti in comune tra la vita in ufficio ed in fabbrica ed il sadomaso: in particolare aveva messo in luce che il datore di lavoro spesso cerca il controllo assoluto dei dipendenti, i quali accettano la sottomissione e sottostanno ai rituali di sottomissione ed ai codici di autorità. Anche Casilli[1997] in “La fabbrica libertina” considera il 56 “sadomasochismo da ufficio”. Al di là delle analogie di Chancer e Casilli bisogna però dire ad onor del vero che una distinzione fondamentale tra mobbing e sadomaso esiste: la relazione sadomaso, per quanto perversa o anomala, si esplica tra persone consenzienti. E’ da considerarsi quindi come una sorta di gioco di ruolo. Nel mobbing invece non esiste il consenso della vittima. Bisogna però anche considerare il filone di studi della vittimologia, iniziato con “The criminal and his victim”[1949] di von Hentig e proseguito con la fondazione dell’associazione da parte di B.Mendelsohn. Secondo l’ottica della vittimologia potrebbe anche essere che la vittima abbia iniziato una sequenza di comportamenti provocatori(azione) atti a scatenare il mobbing(reazione). Ad esempio “un masochista morale”, come lo intendeva Freud, potrebbe essere più esposto al rischio di mobbing. Non esistono questionari da somministrare per accertare se una persona è masochista, in questo caso l’unico modo è accertarsi che la presunta vittima di mobbing non abbia intessuto con il presunto mobber un legame sadomaso con conseguente rottura della relazione, né che faccia parte di una comunità sadomaso. Per quanto riguarda il mobbing sessuale dobbiamo invece considerare la concezione di Freud, esposta nei “Tre saggi sulla teoria della sessualità”[1903], secondo cui il sadismo corrisponde alla componente aggressiva dell’istinto sessuale ormai diventata indipendente dalla stessa sessualità fino a prenderne totalmente il posto. Più recentemente A. Maslow[1973] ha teorizzato la relazione tra comportamento sessuale, dominanza e status socioeconomico. Nel mobbing sessuale quindi il rifiuto sessuale della donna di grado gerarchico inferiore rispetto al molestatore viene considerato da 57 questo un atto di insubordinazione. L’unico obiettivo allora per ripristinare il dominio nei confronti della sottoposta diventa quindi un comportamento sadico per generare “la morte psicosociale” della donna. LA DIAGNOSI DI MOBBING DI LEYMANN: Nel 1992 Leymann somministrò il questionario LIPT a 2428 lavoratori, di cui 350 risultarono soffrire di mobbing. Per rilevare la frequenza dei sintomi sofferto durante gli ultimi dodici mesi i soggetti avevano a disposizione 4 modalità di risposta: costantemente, spesso, raramente, mai. Successivamente a queste 350 persone vennero somministrati questionari neurologici per individuare i sintomi più frequenti. Venne fatta un’analisi fattoriale delle componenti principali dei sintomi. I sintomi vennero quindi suddivisi in 7 raggruppamenti. A fianco di ogni sintomo è riportato il relativo peso fattoriale. GRUPPO1: sensazione di ricaduta(0,8); stato di agitazione generale(0,7); facile irritabilità(0,7); perdita di iniziativa, apatia(0,6); sensazione di insicurezza(0,6); aggressività(0,6); umore depresso(0,5); difficoltà di concentrazione(0,5); disturbi di memoria(0,5). GRUPPO 2: sensazione di nausea(0,8); vomito(0,7); diarrea(0,7); incubi(0,6); dolori di stomaco o dolori addominali(0,6); senso di solitudine, isolamento(0,6); perdita di appetito(0,6); groppo alla gola(0,5); pianto(0,5). GRUPPO 3:capogiri(0,8); respiro affannoso(0,7); dolori al petto(0,6); sudorazione(0,6); palpitazioni(0,6); secchezza della bocca. GRUPPO 4: dolori di schiena(0,7); torcicollo(0,7); dolori muscolari(0,6). GRUPPO 5: interruzioni di sonno(0,7); risvegli precoci(0,7); difficoltà di addormentarsi(0,6). 58 GRUPPO 6: senso di stanchezza alle gambe(0,6); senso generale di stanchezza(0,6). GRUPPO 7: debolezza(0,8); tremori(0,6). Successivamente Leymann comparò i sintomi rilevati più frequentemente con i criteri diagnostici sia del DSM che dell’ICD-10, giungendo a questi raggruppamenti di sintomi per quanto riguarda il Ptsd: GRUPPO A: 1) presenza di un evento traumatico GRUPPO B:1) l’evento viene rivissuto tramite immagini 2) tramite incubi 3) tramite flashback 4) sensazione di sconforto rispetto alla presenza di qualcosa o qualcuno che simboleggia l’evento o ne è associato GRUPPO C: 1) sforzo di evitare pensieri o sensazioni associati all’evento traumatico 2) evitamento di attività o situazioni associate al trauma 3) inabilità a ricordare aspetti importanti del trauma(amnesia psicologica) 4) riduzione di interessi in attività importanti GRUPPO D: difficoltà a prendere sonno; irritabilità; difficoltà di concentrazione; ipervigilanza; reazione esagerata rispetto a stimoli esterni inaspettati; reazioni psicologiche in presenza di eventi associati al trauma. GRUPPO E: i disturbi devono durare almeno un mese Questi criteri diagnostici permisero a Leymann di distinguere tra GAD, PTSD e BURN-OUT. Leymann trovò che i valori per diagnosticare il PTSD erano così elevati( alcuni raggiunsero il punteggio pieno) che ritenne necessario l’utilizzo di THE GAD CRITERIA GROUP D, che permettevano una distinzione dei sintomi di stress psicosomatico in tre gruppi: tensione muscolare, iperattività del sistema nervoso, ipervigilanza. Complessivamente si trattava di 18 sintomi, di cui la presenza di almeno 6 59 indicava il disturbo d’ansia. Questi sintomi non sono in alcun modo in relazione ai sintomi di chi soffre di attacchi di panico. Per quanto riguarda il burn-out i risultati furono più controversi. In una successiva ricerca nella sua clinica analizzò 64 persone mobbizzate( 3 soggetti drop-out), di cui a 59 venne diagnosticato il Ptsd e alle rimanenti 5 il burn-out. I pazienti a cui venne diagnosticato il burn-out avevano gli stessi punteggi degli altri nelle catregorie B, C, D, E, ma solo tramite un’anamnesi lavorativa riuscì ad identificare in questi soggetti una forte perdita di motivazione nella professione svolta. Inoltre questo gruppo di pazienti non era rappresentativo della popolazione attiva svedese. Ad esempio il gruppo era costituito dal 69% di donne e dal 31% di uomini. Per quanto riguarda i settori lavorativi l’industria privata era sottorappresentata del 13,4%, i trasporti sottorappresentati del 10%; l’amministrazione pubblica sovrarappresentata del 10,9%, la sanità del 13,1%, le istituzioni religiose del 5,7%. IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS(PTSD): Spesso è causato da un grave trauma come una calamità naturale, un incidente automobilistico, rapine, sparatorie, stupro. Questa sindrome nella maggior parte dei casi si manifesta quindi in seguito al coinvolgimento di un evento terrificante e devastante. Davis[1992] ha analizzato ad esempio i disturbi post-traumatici di reduci del Vietnam. Anche un infortunio sul lavoro può causare il Ptsd, tant’è che Dejours[1987] a tale proposito scrive di “psicopatologia della paura del lavoro”. Subito dopo la persona che ne è stata coinvolta non sembra manifestare nessuna anomalia[Luborsky e CritsChristoph,1990]. Spesso infatti c’è un periodo di latenza: di solito dopo 4-6 60 settimane la persona inizia a provare un senso di vulnerabilità psicologica e sia i suoi sentimenti che i suoi pensieri iniziano a ruotare attorno all’evento traumatico[Herman,1992]. Il soggetto rivive l’evento tramite ricordi angosciosi, incubi, flashback dissociativi. Il disturbo post-traumatico da stress secondo il DSM IV può essere acuto( con sintomi che durano meno di tre mesi), cronico( con una durata superiore ai tre mesi), oppure può essere ad esordio ritardato( se i sintomi si manifestano almeno 6 mesi dopo l’evento stressante). Spesso il disturbo post-traumatico da stress è la conseguenza diretta di un disturbo da stress acuto non curato. Il disturbo da stress acuto insorge per un evento traumatico ed è caratterizzato da una sensazione di stordimento, da derealizzazione, da depersonalizzazione e da amnesia dissociativa. Le alterazioni delle strutture del sistema limbico in persone sofferenti di Ptsd riguardano l’amigdala ed il locus ceruleus[Charney,1993], la ghiandola pituitaria[Numeroff,1990], la cui modificazione causa un’ipersecrezione di Crf. Per quanto riguarda la diagnosi di mobbing viene da chiedersi come mai un mobbizzato presenti dei sintomi simili ad una persona che è sopravvissuta ad un incidente automobilistico ad esempio. Per quanto riguarda l’incidente automobilistico si tratta di un evento con una intensità enorme, ma di breve durata. Nei casi di mobbing invece abbiamo quel che gli psichiatri americani chiamano KINDLING( bruciare lento, prendere fuoco a poco a poco): ovvero una sommatoria continua di microtraumi che può portare ad una patologia di funzioni psichiche. Per Tim Field il PDSD si distingue dal PTSD principalmente per il fatto che il disturbo da stress prolungato causato da mobbing prevede la perdita del lavoro e la comparsa di problemi 61 coniugali e familiari( quello che Ege in Italia ha definito doppio mobbing). Inoltre sempre secondo Field il PDSD prevede la comparsa di attacchi di panico e palpitazioni. Il PDSD quindi sarebbe diagnosticabile a lavoratori che sono stati sottoposti al mobbing per un periodo di tempo maggiore. DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATA( GAD): Il disturbo d’ansia generalizzata prevede una preoccupazione eccessiva e costante. I soggetti vivono in uno stato continuo di ipervigilanza e di inquietudine. Tra i sintomi anche uno stato elevato di tensione fisica, caratterizzato da vari dolori muscolari. Il GAD quindi causa sia sintomi fisici che psicologici. I soggetti possono infatti soffrire di vertigini, formicolii, secchezza delle fauci, cefalea. La caratteristica principale di questa sindrome è che l’intensità, la durata, la frequenza dell’ansia e dell’apprensione sono eccessive rispetto al reale impatto degli eventi[Mc Glynn e Metcalf, 1989]. Il disturbo d’ansia generalizzata non presenta attacchi di panico isolati, piuttosto un livello costante di presentazione della durata di almeno 6 mesi[Marshall,1994]. Per quanto riguardo un confronto tra PTSD e GAD bisogna considerare cinque elementi essenziali: l’intensità, la durata, il tempo di latenza, i dolori fisici e muscolari, i flashback. Intensità e durata dei sintomi sono maggiori nel GAD rispetto al PTSD. Il periodo di latenza ed i flashback sono riscontrabili solo nel PTSD. I dolori fisici e muscolari solo nel GAD. SINDROME DA AFFATICAMENTO CRONICO(SAC): Si tratta di un affaticamento cronico legato ad una caduta provvisoria delle difese immunitarie. I sintomi sono simili ad una forma di mononucleosi infettiva[Breton,1996]. Su questa sindrome non è stata ancora detta l’ultima 62 parola: alcuni ricercatori stanno cercando di analizzare gli aspetti depressivi di questo disturbo. C’è il dubbio perfino che sia “una depressione mascherata”, perché esistono delle analogie tra la sindrome da affaticamento cronico e la depressione grave[Dowling,1998]. Sembra che non sia causata solo dal surmenage lavorativo, ma anche da uno squilibrio del ritmo circadiano[Rossel,1998]. Per quanto riguarda una diagnosi differenziale tra SAC e PTSD bisogna quindi considerare l’intensità, la durata, il tempo di latenza. Per quanto riguarda i primi due aspetti nel caso di SAC è riscontrabile un livello minore rispetto al PTSD. Il tempo di latenza invece è verificabile soltanto nel PTSD. BURN-OUT: Per burn-out si intende una sindrome psicologica che colpisce soprattutto i lavoratori che svolgono attività assistenziali e socio-sanitarie, come infermieri, assistenti sociali, operatori psichiatrici: quelle che vengono definite “le professioni d’aiuto”[Handy,1988]. E’ un esaurimento caratterizzato in particolar modo da apatia, stanchezza, indifferenza nei confronti degli altri, mancanza di motivazione e perdita di coinvolgimento nel proprio lavoro[Pines,1981]. Cherniss[1980] ad esempio considera questa sindrome uno stato psicologico di un professionista che prima riversava le sue forze interamente nel proprio lavoro, e a seguito di stress e di difficoltà organizzative poi si disimpegna. Per la Maslach[1982] il burnout è un tipo di stress dell’operatore, il cui stressor è l’interazione tra operatore ed utente. Il burn-out si distingue dal disturbo post-traumatico per il contesto in cui è maturato il disturbo, per i fattori scatenanti, per il fatto che nel burn-out esistono delle fasi mentre nel disturbo post-traumatico 63 esiste un tempo di latenza ma non delle fasi una volta che si è verificata l’insorgenza. Le fasi del burn-out per Edelwich e Brodsky[1980] sono quattro: periodo di entusiasmo( “luna di miele”), periodo di stagnazione( “carenza di carburante), periodo di frustrazione( fatica, ansietà), periodo di indifferenza ed apatia( fase depressiva). Infine per quanto riguarda il burnout[Rossel,1998] esiste un tratto di personalità che è correlato alla sindrome( il tipo A: ambizioso, competitivo, esigente sia con se stesso che con gli altri, puntuale, frettoloso, aggressivo ), mentre invece nessuna caratteristica di personalità è correlata con il PTSD. I DISTURBI DELL’ADATTAMENTO: Secondo il Dott. Pardini i casi di mobbing in Italia vengono diagnosticati per la maggior parte con il disturbo post-traumatico o con un altro disturbo di adattamento. Va ricordato che i disturbi dell’adattamento si distinguono principalmente in base alla durata: il disturbo è acuto se dura da meno di 6 mesi, è cronico invece se ha una durata maggiore ai 6 mesi. Un elemento fondamentale nei disturbi dell’adattamento è la presenza di un agente stressante o traumatico avvenuto nei tre mesi precedenti. I sintomi psicologici inoltre tendono poi a scomparire dopo 6 mesi dall’assenza del fattore stressante. La classificazione dei disturbi dell’adattamento conferma quanto scritto precedentemente: non esiste una distinzione netta ed oggettiva in alcuni casi tra depressione, ansia, stress. Ulteriore riprova di questo fatto è che ad esempio il disturbo post-traumatico da alcuni psichiatri è considerato come un tipo di depressione reattiva, mentre da altri un particolare tipo di stress[Hales,1995]. Secondo la classificazione dei disturbi dell’adattamento abbiamo: disturbo dell’adattamento con umore 64 depresso; dda con umore ansioso; dda con umore ansioso e depresso; dda con disturbo della condotta ;dda con turbe emotive e disturbo della condotta; dda non specificato. Nella clinica del Lavoro di Milano, diretta da Gilioli, a 2/3 dei mobbizzati viene diagnosticato un disturbo dell’adattamento con sintomi depressivo ansiosi, mentre ai rimanenti un disturbo post-traumatico. Secondo la dottoressa Cassitto(intervenuta al convegno “Mobbing” UIL a Milano, il 31 Gennaio 2000) i disturbi psichici conseguenti al mobbing sono : Dda in situazione occupazionale vissuta come avversativa, dda compatibile con situazione anamnesticamente avversativa, dda in situazione occupazionale stressogena, dda in situazione occupazionale con aspetti avversativi, dpts con prevalente componente occupazionale, dpts occupazionale. Va ricordato comunque che spesso molte distinzioni terminologiche per lo stesso disturbo psichico sono dovute sia a differenze culturali del paese d’origine dei terapeuti che all’appartenenza di diverse scuole di psicoterapia. Ad esempio per gli analisti americani nel corso degli anni’80 era rara la diagnosi di “disturbi schizoidi di personalità”, mentre per gli analisti inglesi era altrettanto rara la diagnosi di “narcisismo”[Greenberg, 1983]. Allo stesso modo in Italia è molto più rara la diagnosi di psicosi maniaco-depressiva rispetto all’Inghilterra, probabilmente per la maggiore tolleranza che noi italiani abbiamo nei confronti dei comportamenti maniacali[Andreoli, 1999]. Per una perizia medico-legale di un caso di mobbing secondo Chieregatti e d’Orsi[2000], collaboratori di Ege, occorrono una anamnesi fisiologica, una anamnesi lavorativa ed un esame psichico. Per quanto riguarda l’anamnesi fisiologica, che comprende anche la storia del paziente, è necessario 65 valutare se la persona abbia avuto disturbi psichici antecedenti oppure se esista comorbidità familiare riguardo a disturbi depressivi o di ansia, per valutare se esista una predisposizione ereditaria alla vulnerabilità psicologica. L’interrogativo che si pone a questo punto è il seguente: il mobbing può colpire chiunque oppure solo alcune persone con specifici tratti di personalità ? Alcuni ricercatori[Adams, 1992; Brodsky,1976; Zapf,1999] avevano avanzato ipotesi disposizionali e cercato di descrivere il profilo delle vittime. Ma successivamente Leymann e Hirigoyen hanno escluso la tesi disposizionale e considerato solo l’aspetto situale. Attualmente è stata esclusa la correlazione tra i tratti di personalità del mobbizzato e l’insorgenza di mobbing. Tuttavia è pacifico ritenere che esistano delle differenze individuali e che alcune persone possano possedere degli anticorpi psicologici più resistenti alle vessazioni. Cassano[1993] a proposito del disturbo post-traumatico si pone l’interrogativo riguardo alla costituzione più o meno fragile delle persone affette dal disturbo psichico e a tale proposito considera il trauma come un effetto “SLATENTIZZANTE”(pag.169- “E liberaci dal male oscuro”Longanesi), che cioè favorisce l’insorgenza di un disturbo a cui erano già predisposti. Ritengo che questa ipotesi sia la più idonea al momento anche per i casi di mobbing, come di ogni disturbo psichico del resto. IL PROFILO PSICOLOGICO DEL MOBBER: Secondo una stima approssimativa di Einarsen[2000] i sociopatici rappresenterebbero soltanto il 2-4% dei mobber. Field a proposito dei disturbi di personalità dei mobber ha avanzato l’ipotesi che siano persone con un disturbo antisociale, ma il cui elevato livello intellettivo li porterebbe a compiere azioni non perseguibili legalmente. Per la psichiatra 66 Hirigoyen l’aggressore nelle molestie morali è “un narcisista perverso”, che ha come caratteristiche fondamentali: la megalomania, la mancanza di empatia, l’irresponsabilità, la paranoia, la vampirizzazione. Per quanto riguarda proprio la vampirizzazione la Hirigoyen sostiene che il perverso narcisista gode della sofferenza altrui e che per affermare se stesso deve distruggere e umiliare gli altri. Per quanto riguarda i tratti di personalità del mobber Field invece elenca 4 tipologie: 1) DISTURBO DI PERSONALITA’ ANTISOCIALE: mancata accettazione delle norme sociali, disonestà, impulsività, mancanza di empatia per gli altri, irresponsabilità, mancanza di rimorso. Spesso il disturbo antisociale è la conseguenza di un disturbo della condotta iniziato prima dei quindi anni. 2) PERSONALITA’ PARANOICA: sospetto infondato che gli altri vogliano procurare danni o sfruttare, riluttanza a confidarsi, diffidenza verso la lealtà delle persone vicine, travisamento della realtà, mancanza di perdono per dubbie offese ricevute. 3) DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITA’: sentimento di superiorità rispetto agli altri, desiderio costante di ammirazione, scarsa empatia, fantasie sconfinate di successo, esagerazione delle proprie qualità. 4) DISTURBO BORDERLINE: relazioni instabili, sensazione di vuoto, senso di abbandono, incapacità di controllare la collera, comportamenti autolesionisti, mutamenti ricorrenti di umore, spese impulsive di denaro, comportamenti rischiosi.i i è necessario sottolineare che allo stato attuale delle conoscenze si tratta solo di ipotesi. 67 6. MOBBING E COMUNICAZIONE INTERPERSONALE: Nel questionario LIPT di Leymann vengono considerati gli aspetti comunicativi per valutare se il lavoratore sia soggetto a mobbing. Ad esempio per quanto riguarda l’aspetto dei contatti umani viene esaminata la possibilità o meno di esprimersi, la presenza di critiche incessanti e rimproveri subiti; per quanto riguarda l’isolamento sistematico viene invece chiesto se i colleghi di lavoro parlino o meno con l’interessato; infine vengono presi in esame anche gli attacchi alla reputazione e le minacce verbali di violenza. Lo stesso Leymann[1993] ha definito il mobbing come una serie sistematica di comunicazioni negative rivolte ad un lavoratore da uno o più persone del suo gruppo di lavoro. Einarse, Matthiesen, Raknes[1994] ha descritto il mobbing come un maltrattamento continuo dovuto ad insulti, rimproveri eccessivi, battute mordaci, isolamento. In Germania l’Associazione contro lo stress psicosociale ed il mobbing, fondata nel 1993, considera il mobbing come una comunicazione conflittuale sul posto di lavoro, in cui la vittima viene aggredita direttamente o indirettamente, spesso con attacchi verbali, da una o più persone. Il rapporto ILO del 1998 riporta a riguardo i risultati di un’indagine[1994] sui rapporti interpersonali sul lavoro, svolta da Canadian Union of Pubblic Employes, secondo cui per il 70% dei lavoratori intervistati la principale forma di violenza sul luogo di lavoro è dovuta ad aggressioni verbali. Ellis[1996] in Inghilterra esaminando 22 casi di mobbing ha trovato che i comportamenti verbali mobbizzanti più frequenti erano: umiliazione pubblica, insulti, telefonate anonime o intimidatorie, maldicenze, esclusione deliberata dalle conversazioni nei confronti della 68 vittima. Se si pensa al principio di cooperazione di Grice[1977] ed alle sue 4 prescrizioni conversazionali( massima verità, massima informazione, massima rilevanza, massima chiarezza) ci accorgiamo che questi principi comunicativi vengono totalmente disattesi nei casi di mobbing. Infatti Tim Field, esperto di mobbing, ha descritto il comportamento verbale dei mobber come non sincero, ipocrita, aggressivo, manipolativo, oscurantista ed accentratore di informazioni necessarie, infine contraddistinto da risposte evasive alle richieste di aiuto. Cassitto[2000] mette in risalto nei casi di mobbing la strategia dei mobber di isolare la vittima dal flusso di informazioni necessarie allo svolgimento delle sue mansioni lavorative. Sia in Inghilterra che in America vi sono leggi ad hoc, volte a perseguire azioni, commenti, comportamenti, contatti fisici, lesivi della dignità umana. In particolar modo queste leggi tutelano le minoranze: esiste infatti la Sex Discrimination Act, la Race Relation Act, la Disability Discrimination. Come è possibile constatare nell’ambito di studio del mobbing la rassegna di testimonianze di mobbizzati è in abbondanza. Da un’analisi di questi racconti di mobbing, reperibili tramite libri , articoli di giornale, siti internet, chiunque può constatare l’importanza cruciale che assume la comunicazione nei casi di mobbing. Di conseguenza si ritiene interessante fare alcune premesse sull’analisi della comunicazione e successivamente un’analisi della comunicazione mobbizzante puramente qualitativa. ANALISI DELLA COMUNICAZIONE: La struttura della comunicazione verbale è costituita da: i comunicanti, il canale, il segno, il codice, il messaggio, il referente. Il canale è il veicolo fisico tramite cui viene realizzato il messaggio: ad esempio in una 69 conversazione il canale è la propagazione di onde sonore. Il segno è il mezzo verbale che permette di comunicare informazioni ed idee. Per adibire a questa funzione il segno a sua volta è composto essenzialmente da un significato ed un significante. Richiede obbligatoriamente un referente ed uno schema concettuale già definito. Il codice in un dialogo è formato principalmente dalle regole e le convenzioni della fonetica. Il referente infine è la cosa o l’argomento a cui ci si riferisce. Oltre a questi elementi è da considerare il contesto comunicativo, concetto fondamentale sia per “La pragmatica della comunicazione umana” di Watzlavick[1967] che per la terapia relazionale e l’approccio sistemico. Cavazza e Kettlitz[1999] sostengono che a causa di interferenze, rumori, incomprensioni quello che un parlante dice all’altro è minore di quello che vorrebbe dire, mentre quello che l’ascoltatore comprende è minore di quello che sente: ad esempio su 100 cose che il parlante vorrebbe dire l’ascoltatore ne capisce quindi 40. La comunicazione paraverbale invece è costituita da: intonazione(modulazione della voce, melodia che accompagna il parlato: può essere conclusiva, interrogativa o sospensiva), accento(pronuncia più marcata di una vocale in una parola), tono di voce, timbro di voce. La comunicazione non verbale è a sua volta formata da aspetti statici ed aspetti dinamici. Per Cook[1971] gli aspetti statici sono volto, conformazione fisica, voce, abiti; gli aspetti dinamici invece orientazione, distanza, postura, espressione del volto, direzione dello sguardo, tono della voce, velocità di eloquio. Per Argyle[1972] gli aspetti statici della comunicazione non verbale sono contatto fisico, vicinanza, orientazione, aspetto esteriore; gli aspetti dinamici sono postura, cenni del capo, espressioni del volto, 70 gesti, sguardo, altri aspetti non linguistici. Ad esempio per quanto riguarda la distanza interpersonale Hall[1969] ha descritto quattro diverse modalità di interazione sociale: intima, personale, sociale, pubblica. La distanza pubblica è di circa un metro tra persona e persona, mentre invece la distanza personale è di circa mezzo metro. Questo si può constatare quotidianamente: due estranei che aspettano l’autobus staranno almeno alla distanza di un metro, due amici invece a distanza di mezzo metro. L’importanza della comunicazione non verbale è stata dimostrata in teatro da Dario Fo, che dal 1973 ha utilizzato spesso il grammelot, un vero e proprio linguaggio onomatopeico e gestuale, capace di fare a meno della parola comprensibile, inventato dai comici del’400 per aggirare la censura del potere. La comunicazione è stata analizzata principalmente secondo questi tre aspetti: 1) cognitivo, come pura trasmissione di informazioni. E’ il punto di vista di Gode[1964] che dà la seguente definizione:“comunicazione è il processo che rende noto a due o più persone ciò che è monopolio di uno od alcuni”. Per Popper ed Eccles[1977] la comunicazione umana è suddivisibile in funzione descrittiva e funzione argomentativa. Per Camaioni[1980] esiste anche l’uso del linguaggio non referenziale, in cui grazie alla capacità simbolica umana si può fare riferimento a cose assenti, irreali o non legate a limiti spazio-temporali. 2)emotivo, affettivo, comunicazione espressivo. l’espressione di Fraser[1978] stati d’animo, evidenzia l’espressione nella di atteggiamenti e relazioni sociali e quella di identità sociale e personale. Secondo C.Lazzari “ per comunicazione si intende non solo il libero flusso di informazioni ma anche la possibilità che una persona ha di aprirsi e 71 rendere manifesti i propri sentimenti agli altri”. 3)Strategico. Viene cioè presa in esame l’influenza del messaggio per cambiare l’atteggiamento dell’altro. Secondo Miller[1966] “la comunicazione ha come interesse principale quelle situazioni comportamentali nelle quali una sorgente trasmette un messaggio ad uno o più destinatari con l’intenzione di modificare il comportamento di questi ultimi”. Per Rita Levi Montalcini[1999] “il sistema di comunicazione umano tende ad influenzare la conoscenza, le convinzioni, gli stati d’animo: lo stato mentale altrui. Perelman ed Olbrechts-Tyteca[1958] nel “Trattato dell’argomentazione: la nuova retorica” mettono in evidenza la logica delle prove non dimostrative, che argomenta pro o contro l’opinabile. Gli autori sostengono che in prediche, arringhe, comizi l’oratore cerca di influire sull’uditorio partendo dalle premesse condivise dei suoi uditori. Ma esistono molte sfaccettature dell’analisi del linguaggio e della comunicazione. Tullio De Mauro[1977] nel volume “La natura della comunicazione” a tale proposito descrive la priorità di studio di ogni corrente di pensiero nella filosofia del linguaggio antica e moderna e nella linguistica: oralità(Democrito), l’articolazione del linguaggio(Aristotele, Humboldt), l’arbitrarietà del segno(Sausurre), la sua creatività e la sua produzione illimitata(Chomsky), l’indeterminatezza semantica(Port-Royal, Pagliato, Wittgenstein), la convenzionalità(Whitney, Aristotele), la possibilità di essere metalingua di se stesso(DucrotTodorou), la sua capacità simbolica(Cassirer), la sua rete di dipendenze e di relazioni interne(Hjelmslev, Sausurre, Chomsky) . Si pensi solo al fatto che un filosofo dei filosofi come Wittgenstein nel corso della sua vita a riguardo del linguaggio ha cambiato radicalmente idea: da un’iniziale 72 accezione del linguaggio come raffigurazione proiettiva della realtà( quindi come modello in miniatura della realtà) è passato ai giochi di lingua, concezione per cui il linguaggio è un gioco le cui regole si imparano giocando. Se poi si esamina la conversazione ci si accorge che è un intreccio tra soggettività dei dialoganti, linguaggio e comunicazione[Biasi, 1999]. Anche per Sini e Vattimo[1990] è impensabile stabilire una linea di demarcazione tra linguaggio del parlante e personalità dello stesso. Plebe ed Emanuele[1992] sostengono che ogni linguaggio parlato è unico ed irripetibile in alcuni aspetti come l’individuo che ne fa uso. Le fasi della comunicazione verbale sono le seguenti: Per l’interlocutore: 1) codifica del messaggio: un sistema interdipendente di operazioni mentali ed emotive che pianifica la modalità più appropriata per trasmettere il messaggio. Secondo Giles[1979] un elemento cognitivo essenziale nella fase di codifica è il self-monitoring, ovvero il controllo del proprio linguaggio. L’emittente si configura i possibili effetti che il suo modo di comunicare può avere sull’altro. Possibili errori di codifica sono determinati dal filtro, cioè dalla distorsione dell’interlocutore che non esplicita all’ascoltatore alcuni suoi valori e alcuni suoi schemi mentali, dandoli per scontati. 2)emissione del messaggio. Per l’ascoltatore: 1)decodifica del messaggio: è la fase di interpretazione del messaggio. Come scrive R.Barthes: “udire è un fenomeno fisiologico; ascoltare è un atto psicologico”. La decodifica è quindi l’ascolto del messaggio. Possibili errori di decodifica sono dati dall’alone semantico, ovvero dalle zone d’ombra della parola. Ci sono infatti parole astratte come giustizia che hanno accezioni diverse a seconda della persona. Sono 73 concetti che non hanno un’interpretazione univoca, a cui ognuno può dare razionalmente significati diversi. Ci sono invece sostantivi ed aggettivi, che hanno sfumatura soggettive. A tale proposito basta ricordarsi che la crisi dello strutturalismo è dovuta proprio a questa ragione. Gli strutturalisti infatti ebbero notorietà per lo smontaggio analitico che avevano operato sul linguaggio. Ma una volta riusciti a tradurre le strutture della Lingua in modelli, altrettanto non poterono fare con la Parola, che comprende in sé non solo la denotazione, l’estensione(categoria di oggetti a cui si riferisce), intensione(proprietà che una cosa deve avere per essere inclusa nella categoria di oggetti), ma anche la connotazione, una coloritura emotiva irreprensibile per lo schema concettuale di ogni linguista. Va anche ricordato che una parola talvolta non contiene solo questo elemento variabile da persona a persona, ma perfino dei sottocodici, familiari solo ad una ristretta cerchia di persone(ad esempio nel caso delle allusioni e dei doppi sensi). Per quanto riguarda questo aspetto Braitenberg[1989] ne “Il cervello e le idee” sottolinea due aspetti preponderanti del linguaggio: la comunicazione e la delimitazione. Delimitazione significa quindi la creazione spontanea in un gruppo di un gergo(ovvero linguaggio per iniziati), non comprensibile alle persone esterne. Inoltre decodificare un messaggio significa non solo comprenderne il contenuto oggettivo, ma anche interpretare e come ci insegna Gadamer, esponente principale dell’ermeneutica, interpretare significa proiettare sul messaggio ricevuto i propri pregiudizi, le proprie aspettative, i propri preconcetti. L’interpretazione è quindi viziata da una pre-comprensione squisitamente personale. In fondo questo concetto è analogo a quello de “la mappa non è 74 il territorio” di Korzypsky, espresso in “Semantica Generale” e divenuto poi principio fondamentale della programmazione neuro-linguistica: ovvero qualsiasi contenuto di qualsiasi atto comunicativo viene trasformato da dei filtri personali. Una via di uscita comunque esiste: tramite feedback l’emittente può evitare malintesi, spiegandosi meglio ed il ricevente avere delucidazioni su messaggi ritenuti ambigui. Tramite la retrocomunicazione perciò entrambi i partecipanti possono ricorrere ai correttivi necessari ad una migliore qualità di comunicazione. E’ mediante feedback che la comunicazione umana diventa continua e circolare e non lineare e segmentata. Altri aspetti essenziali della comunicazione interpersonale sono: il turntaking[Duncan, 1972], ovvero la consapevolezza dell’alternanza dei turni del dialogo; il role-taking[Mead, 1934], cioè la capacità di capire la prospettiva dell’altro, le sue caratteristiche e le sue conoscenze ; la metacomunicazione[Watzlawick, Beavin, Jackson, 1967], cioè l’analisi della comunicazione per chiarire messaggi apparentemente contraddittori o complessi( ad esempio domande dell’emittente come “mi segui ?” o dell’ascoltatore come “cosa vorresti dire ?” appartengono all’ambito della metacomunicazione); la metainterazione, intesa come processo di dislocamento che permette ad un partecipante del dialogo di estraniarsi per riflettere sul significato ed il contesto dell’incontro, per fare il punto della situazione e valutare che cosa sta accadendo. Ad esempio uno psicoterapeuta durante un colloquio con un paziente tramite la metainterazione può analizzare il transfert e le resistenze del paziente. 75 Secondo Austin[1962] vi sono tre livelli di atti linguistici: l’atto locutorio, cioè il contenuto della proposizione; l’atto illocutorio, ovvero l’azione linguistica della frase: ordine, promessa, supplica; l’atto perlocutorio, cioè la conseguenza che ha nell’ascoltatore la frase detta. L’atto illocutorio è chiaro, esplicito. E’ trasparente e viene espresso senza inganni. Invece l’atto perlocutorio consiste nel far fare o nel far credere qualcosa a qualcuno in modo che non ne sia consapevole. Tramite l’atto perlocutorio la frase può diventare strumento di inganno. Tramite continue critiche sull’operato di un lavoratore si può far diminuire l’autostima della persona in questione. Il fine ultimo è quello di sminuire l’altro: dominare l’altro per affermarsi. Apparentemente le critiche sembrano oggettive e non personali, in realtà possono essere concepite ad arte allo scopo di far credere al lavoratore di non essere sufficientemente idoneo per le mansioni che svolge. In questo caso si dice qualcosa semplicemente perché abbia un effetto negativo sull’interlocutore. Le lodi eccessive ed acritiche ad un superiore o ad un collega di pari grado possono essere invece strumentali affinchè la persona che le riceve faccia dei favori: l’altro in questa circostanza diventa così un mezzo per obiettivi, come la scalata al vertice, la carriera. Perché l’atto linguistico perlocutorio sia veramente strumentale l’emittente deve utilizzare la dissimulazione. Deve cioè parlare mascherato. Deve adottare un linguaggio reticente che mascheri le sue vere intenzioni. Colui che ascolta per smascherare il vero intento, può usare invece l’ermeneutica, intesa nell’accezione più ampia del termine. Può interpretare i messaggi dell’interlocutore e considerarla in base al contesto e alla natura della loro relazione, nello stesso modo in cui uno filologo utilizza l’arte di 76 interpretare ed interrogare un testo antico sulla base delle conoscenze sia dell’epoca che dell’autore del documento esaminato. Per Habermas[1973] l’agire comunicativo è caratterizzato dagli atti illocutori, mentre l’agire strategico dagli atti perlocutori. L’agire strategico è contrassegnato dal monopolio del quadro di riferimento: il rapporto è eteroregolamentato da una solo persona. L’altro deve essere docile, assimilare gli schemi di riferimento già decisi, adattarsi alle istanze del dominatore. Mentre nell’ambito dell’agire comunicativo gli interlocutori sono spontanei ed immediati, perché immersi nel mondo della vita, nell’agire strategico ogni atto linguistico è sempre calcolato, predeterminato per secondi fini. LA COMUNICAZIONE DISCORSO MORENTE: INTERNA CARATTERIZZATA DAL La comunicazione all’interno di un’azienda non è solo la trasmissione di informazioni riguardanti gli orari, i turni, i prodotti, cicli di lavoro: non è solo passaggio di informazioni per l’efficienza organizzativa, ma ha anche una dimensione umana, determinata dagli stili di relazione. In un azienda sono presenti tre tipi di comunicazione: quella interna, quella interorganizzazionale, quella esterna(con fornitori e clienti). Per quanto concerne la comunicazione interna viene distinta in comunicazione orizzontali(tra colleghi) e comunicazione verticale(capo-sottoposto). Per quanto riguarda gli scambi comunicativi si distingue tra comunicazione ad una via(ad una sola direzione) e comunicazioni a due vie(reciprocità)[Harrell,1963]. Per G. Klein[1999] nell’ambito della comunicazione interna esistono 4 tipi di direzionalità: interazione unidirezionale(ordine da eseguire), bidirezionale(colloquio tra pari grado), 77 multidirezionale(conferenza; rapporto uno-a-molti), pluridirezionale(riunione di lavoro; rapporto molti-a-molti). Secondo l’etnometodologia[Garfinkel, 1967; Giglioli, Dal Lago, 1983; Heritage, 1984] le caratteristiche stabili di un’organizzazione sono determinate proprio da pratiche comunicative. Infatti la comunicazione è un prerequisito essenziale per rilevare i bisogni specifici e raggiungere gli obiettivi prefissati dell’azienda[Tichy, Charan, 1989]. French e Bell[1976] avevano già intuito la stretta relazione tra comunicazione interna efficace e produttività aziendale. Secondo Peters[1988] le aziende leader nella loro nicchia di mercato utilizzano comunicazioni interne più informali e volte al pluralismo. Lo stesso Bill Gates[1999] scrive: “Per avere successo nei mercati dinamici di oggi, una azienda ha bisogno di un elevato quoziente intellettivo. Per quoziente intellettivo dell’azienda non intendo tanto il semplice fatto di avere un certo numero di persone intelligenti che vi lavorano, anche se questo non guasta, quanto piuttosto la misura in cui coloro che lavorano insieme sanno condividere le informazioni in modo semplice ed esteso…”. Se pensiamo alla comunicazione interna come un network[Leavitt, 1988] ci rendiamo conto che in casi di mobbing il mobbizzato viene escluso dalla rete comunicazionale: questo comporta inefficienza comunicativa, che a sua volta causa disfunzioni organizzative. Tra due interlocutori –secondo la scuola di Palo Alto- possono realizzarsi tre tipi di stili di relazione: 1) simmetrico: è il caso in cui la risposta ha lo stesso identico stile della comunicazione iniziale. Le due comunicazioni sono dello stesso segno: sono dello stesso segno negativo quando ad offesa si risponde con offesa 78 , sono dello stesso segno positivo quando ad un apprezzamento si risponde con un altro apprezzamento. Questo stile di relazione di conseguenza può portare nel primo caso ad un circolo vizioso, nell’ultimo ad un circolo virtuoso. Nel caso di stile di relazione simmetrico negativo si verificherà progressivamente un aumento di intensità del conflitto. L’escalation è dovuta al fatto che nessuno dei due vuole essere nella posizione one-down, cioè in stato di inferiorità rispetto all’altro. Entrambi vogliono invece giungere alla posizione oneup, vogliono cioè avere la supremazia sull’avversario. Ecco allora che si genera una gara, magari dissimulata, in cui ognuno dei due vuole avere la meglio: l’ultima parola. 2) Complementare: è ad esempio il caso di un dipendente che si sottomette ad un capo durante una sfuriata. Anche l’irrigidimento di uno stile complementare può causare notevoli problemi. Essere sempre sottomessi ad un lestofante può rivelarsi nocivo per la propria salute. 3) Parallelo: una delle due persone comprende che in quella data circostanza deve utilizzare uno stile inverso rispetto all’altro. La persona adotta così una strategia comunicativa flessibile, interrompendo l’inerzia di una sequenza di atti linguistici, continuamente simmetrici o complementari. Lo stile parallelo è quindi quello più appropriato per porre fine ad un diverbio. Se nessuno dei due contendenti assume questa posizione, se nessuno cede, si giunge nel migliore dei casi ad uno stallo, nel peggiore all’acutizzarsi di un conflitto. Secondo Bateson invece esistono due modalità di comunicazione verbale all’interno di una organizzazione: il discorso vivente ed il discorso 79 morente. Il discorso vivente è caratterizzato da relazioni sociali autentiche, spontaneità, partecipazione attiva, reciproca comprensione. Nel discorso morente invece il linguaggio è imposto, ogni partecipante è controllato e controllante. Un discorso vivente porta inevitabilmente ad agevolare la collaborazione e la cooperazione in un gruppo. Un discorso morente al contrario crea un clima ostile, conflittuale, ricattatorio tra i membri del gruppo. Per Bateson il linguaggio imposto del discorso morente è quello della civiltà dei consumi. E’ “l’affarese”, fatto di parole come produzione, prestazione, efficienza, soddisfazione del cliente, profitto, arricchimento, carriera. E’ il linguaggio della mercificazione, che considera ogni interazione umana centrata sul rapporto venditore-cliente. Gli altri diventano così “macchinette” e l’uso delle persone diventa quindi abuso, dato che il dipendente è considerato da un datore di lavoro, nientemeno che “uno schiavo della busta paga”…..oppure un potenziale cliente diventa un possibile “recipiente passivo” di campagne pubblicitarie, che lo inebetiscono a tal punto da indurlo a comprare proprio quella marca….. o infine un numero ogni qualvolta metta piede nel mondo della burocrazia o in un reparto ospedaliero. Per Bateson le caratteristiche delle reti sociali del discorso morente sono potere, controllo, obbedienza, prevenzione. Le forme linguistiche del discorso morente sono invece fatte di manipolazioni, ricatti, abusi. Il discorso morente è contraddistinto da un alto grado di formalismo nella comunicazione. Il formalismo può causare disfunzioni comunicative. Le disfunzioni comunicative causano sempre lavori inutili, errori, difficoltà organizzative e crisi nei rapporti interpersonali. In America negli ultimi due decenni è stata presa seriamente in considerazione 80 l’importanza che ha la comunicazione interna sulla performance del gruppo di lavoro. La strategia più applicata è quella dell’open door, ideata da Watson, quando era presidente all’Ibm. L’open door è la consuetudine del capo di stare in ufficio con la porta aperta. Un segnale esplicito per indicare la disponibilità verso i sottoposti ad avere scambi reciproci di informazioni. Più recentemente in America si sta diffondendo la tecnica del MBWA( management by walking around): dirigere cioè andando in giro a chiedere informazioni ai dipendenti di tutti i reparti ed interessarsi delle loro problematiche. Sempre a riguardo del recupero di una comunicazione più informale si pensi anche alla diffusione dei breakfast meetings o alle riunioni al club di golf. L’obiettivo di questi incontri è quello di portare gli individui fuori dal contesto lavorativo abituale per creare un’atmosfera più rilassata. PERDITA DI FACCIA E DERISIONE: Secondo Goffman[1971] ogni persona in un gruppo sociale ha una faccia, cioè una certa immagine di sé. Per il sociologo ognuno cerca di dare la migliore immagine di se stesso e per questa ragione ognuno è “carceriere di se stesso”. Il gruppo avrà delle aspettative conformi alla faccia che ha una persona e di conseguenza questa dovrà agire secondo una linea di condotta coerente. Ad esempio un individuo considerato cortese dovrà fare certe concessioni per non ferire i sentimenti altrui. Con l’espressione “gioco di faccia” Goffman intende “tutto ciò che si fa per rendere le proprie azioni coerenti con la faccia.” Il gioco di faccia è di volta in volta caratterizzato dal tatto, dalla compostezza, dall’autocontrollo. Se la faccia di un uomo viene offesa, questo la considera come una sfida. Le mosse seguenti del 81 comportamento rituale possono essere l’offerta di riparare all’offesa , l’accettazione da parte dell’offensore ed il ringraziamento per essere stato perdonato. Se un gruppo di persone cerca di far “perdere la faccia” ad una persona ritenuta scomoda o antipatica nella maggior parte dei casi cercherà di farla sentire in imbarazzo, di deriderla e sminuirla al cospetto degli altri perché provi vergogna. Il bersaglio diventerà quindi possibile oggetto di derisione. Per Bergson, filosofo dello slancio vitale, per far scaturire il riso si deve tenere presenti di queste peculiarità: 1) il nemico principale del riso sono emozioni, come compassione o sentimento di pietà. Per far ridere bisogna rendere lo spettatore impartecipe insensibile. 2) Il riso è sempre il riso di un gruppo. Bergson fa l’esempio di una individuo da solo che ascolta le barzellette del gruppo presente nel suo scompartimento. Al massimo potranno strappargli un sorriso, mentre i componenti del gruppo rideranno a crepapelle. Il riso presuppone quindi intesa e complicità di persone facenti parte di un gruppo. Di conseguenza il riso è “un gesto sociale”. 3)Gli ideatori di scherzi e battute devono fare in modo che il soggetto bersagliato sia indotto in uno stato di “automatismo e di rigidità. Nel caso in cui non funzioni allora i goliardici potranno imitarlo, cioè “sprigionare la parte di automatismo che egli ha lasciato introdurre nella sua persona”. 4)Alcuni lapsus volontari o giochi di parole possono far scaturire il riso. Secondo Bergson “le distrazioni del linguaggio” creano il comico. 5)L’ironia e l’umorismo hanno l’intenzione di umiliare la persona che viene fatta oggetto di scherno. 6) Enfatizzare dei piccoli difetti può far ridere. 7) Per il filosofo francese “il riso è veramente una specie di castigo sociale”. 82 Ecco allora che un insieme di persone che voglia deridere un singolo può agire tramite sottintesi, allusioni, che diventano vere e proprie stoccate per lo stato d’animo del soggetto bersagliato. Una sola battuta lascia il tempo che trova, ma immaginiamoci per un attimo cosa significa essere oggetto di derisione per quaranta ore alla settimana e per almeno la durata di 6 mesi. Le strategie verbali di mobbing sono quindi sofisticate. Tramite doppi sensi o allusioni , di cui solo pochi intimi conoscono le premesse, i mobber possono ferire senza offendere la persona che stanno mobbizzando. Se queste strategie verbali si svolgessero di fronte ad una persona estranea a quel contesto, non sospetterebbe certo che quelle frasi possano essere un modo per distruggere l’altro. Queste strategie verbali presuppongono spesso la creazione di un gergo, di ciò che gli inglesi chiamano private talk. Il mobber, quando utilizza una strategia verbale parla senza dire niente di offensivo per una persona esterna, ferisce senza offendere per la vittima. Riesce così a perseguire il suo scopo, facendo in modo, che nessuno si accorga di niente e lo accusi di niente. La logica conseguenza è che in questo modo la vittima è isolata, incompresa. Se lo racconta ad altri penseranno che è permalosa o la scambieranno per paranoica. Accade così che dopo essere stata stuzzicata continuamente per mesi la vittima, superato il limite, oltrepassata la soglia di sopportazione, risponde alla provocazione ed a questo punto inizia un botta e risposta, un alternarsi di accuse reciproche: il conflitto manifesto. Altre strategie comunicative dei mobber sono: le pause di silenzio, ogni volta che la vittima prescelta entra in ufficio o si presenta al loro cospetto; l’uso di minacce; rimproveri eccessivi; 83 critiche che attaccano i punti deboli e vulnerabili di una persona e non l’operato del lavoratore; scherzi pesanti ;calunnie. PETTEGOLEZZO, CALUNNIA E VERITA’ SCOMODE: Nei paesi, dove tutti si conoscono, possono essere oggetti di pettegolezzo la sposina procace del piano di sopra o il parrucchiere effeminato. In questi casi la maggior parte delle volte ad ordire queste chiacchere sono state delle comari, sempre anziane, spesso zittelle. Come ci ricorda Kapferer[1987] “private della vita pubblica, le comari rendono pubblica la vita privata”. E’ significativo il romanzo “gli occhiali d’oro” di Bassani, in cui il protagonista, il dottor Fadigati, si suicida affogando nel Po, dopo che la sua reputazione era stata infangata da voci insistenti sulla sua presunta omosessualità. Per Eissler[1993] ci sono due costanti della calunnia: 1)la calunnia per essere creduta deve essere audace. L’importante non è certa la veridicità delle affermazioni. Heidegger in "Essere e tempo” scrisse “ la totale infondatezza della chiacchera non è un impedimento per la sua diffusione pubblica ma un fattore determinante.” 2)qualcosa resta pur sempre addosso: la calunnia provoca comunque effetti negativi sia per la caduta d’immagine sociale sia per l’identità della persona infamata. Pettegolezzi e dicerie sono delle costanti antropologiche. Primo Levi nella sua opera “Del pettegolezzo” lo aveva intuito, quando scriveva: “il pettegolezzo è una forza della natura umana. Chi ha obbedito alla natura trasmettendo un pettegolezzo, prova il sollievo esplosivo che accompagna il soddisfacimento di un bisogno primario”. L’antropologo Levi-Strauss lo ha successivamente dimostrato, analizzando la comunità degli indiani Nambikwara del Brasile. Levi-Strauss osservò che anche in una 84 comunità primitiva anziani e bambini commentavano particolari piccanti sulle coppie adolescenti, che di notte si appartavano furtivamente nella boscaglia circostante. Secondo Allport e Postman, che condussero ricerche dal 1945 al 1947, la diceria riguardo ad organizzazioni, gruppi sociali, singoli individui non è altro che una deformazione grossolana dell’informazione iniziale, dovuta a tre processi: 1)Appiattimento: la circolazione della diceria fa perdere i dettagli iniziali per arrivare alla fine ad essere breve e concisa. Non è raro che dopo essere stata propagata diventi uno slogan. 2)Accentuazione: su alcuni aspetti, quelli più curiosi, più scabrosi vengono create delle iperboli. Gli aspetti più interessanti per il senso comune vengono quindi enfatizzati ed esagerati oltremodo. Agiscono da rinforzo positivo per alcune aspettative ed alcuni pregiudizi insiti nella mentalità comune. 3)Assimilazione: è un modalità per rendere più accattivante la narrazione della storiella. Come ci ricorda Mantovani[1985] ne “l’elogio del pettegolezzo”: il pettegolezzo propone degli interrogativi morali, dei dubbi sulla validità di certe norme sociali. Come scisse Pasolini in “Affabulazione” : “io interrogo solo per sapere, non per giudicare”. Questa frase riassume l’assunzione di ruolo di colui che fa pettegolezzo. Non solo ma il pettegolezzo è anche una modalità di controllo sociale, perché le persone evitino oscenità o gesti che possano creare imbarazzo negli altri o offendere il comune senso del pudore. E’ fondamentale però fare una distinzione tra pettegolezzo benevolo e pettegolezzo malevolo: tra diceria fatta per passare il tempo e calunnia , intesa anche come trama e complotto contro qualcuno. Un esempio di pettegolezzo benevolo potrebbe essere spargere la voce che un 85 dirigente in vista, pur essendo sposato, è un donnaiolo impenitente, che ha delle giovani amanti. In questo caso nessun giudice almeno in Italia istruirebbe un processo per calunnia. E’ vero che la costituzione italiana dà a priori “la buona fama” a tutti i cittadini. Però in questo caso specifico la reputazione non verrebbe affatto scalfita in alcun modo, anzi la sua considerazione sociale aumenterebbe. Il dirigente in questione chiaramente potrebbe reagire in due modi: sorridere bonariamente se è un marito irreprensibile e se ha la coscienza a posto, oppure arrabbiarsi fuor di misura se quel che dicono è vero, perché quelle voci fondate gli hanno rovinato il giro di belle amanti scellerate. Altra cosa invece è la vera calunnia: diffondere la voce che l’interessato abbia contratto una malattia infettiva, che sia omosessuale o pedofiIo. La calunnia si può distinguere dal pettegolezzo benevolo proprio per il danno sociale recato alla persona. La calunnia si rivela persecutoria e distruttiva: la curiosità morbosa invade la privacy dell’interessato e contemporaneamente getta discredito sulla sua immagine sociale per un periodo prolungato. Esistono vocefondai e calunniatori patologici in ogni ambito: al bar dello sport, nel negozio del barbiere o in ufficio. Talvolta i mobbers usano proprio il venticello della calunnia per affossare un collega a loro antipatico. Ma può anche accadere al contrario che una persona rifiuti autentici malaffari , si lamenti di veri comportamenti scorretti all’interno del proprio ambiente di lavoro e per questo motivo venga accusata di calunnia o venga mobbizzata per questo motivo. Un lavoratore onesto che dice una verità troppo scomoda può quindi essere soggetto di ritorsioni. 86 Riassumendo quindi nei casi di mobbing abbiamo spesso una comunicazione interna dalle seguenti caratteristiche: contesto comunicativo: discorso morente Strategie comunicative: reticenza e dissimulazione Stile di relazione del mobber: one-up Atti linguistici del mobber: perlocutori(agire strategico) Metacomunicazione: insufficiente Retrocomunicazione: insufficiente Role-taking del mobber: insufficiente; mancanza di empatia Figure retoriche mobber: utilizzate dal litote, perifrasi, allusione, iperbole Strategie verbali di gruppo: deridere la persona presa di mira, calunniarla. Uso del silenzio: il silenzio viene utilizzato per fare sentire inadeguata la persona. E’ utilizzato come rifiuto volontario di comunicazione. Strategia globale: ferire senza offendere. Mettere il dito nella piaga sistematicamente. Essere sarcastici su difetti e debolezze della vittima. Uso frequente di apparentemente obiettive;: critiche, in realtà sono fatte ad arte per far perdere fiducia alla vittima. Obiettivo a breve termine: far perdere la faccia alla persona dinanzi agli altri. Obiettivo a lungo termine: distruggere l’identità di una persona. Farle perdere la propria autostima. 87 7. GLI ASPETTI LEGALI DEL MOBBING: In questo capitolo si cercherà di fare una breve rassegna sugli articoli di legge che consentono ai lavoratori che hanno subito mobbing di essere risarciti per il danno subito. Per considerare il mobbing nel contesto legale italiano è bene riportare la concezione del mobbing in Italia, accettata dalla maggioranza di giudici ed avvocati, secondo cui “si identifica il mobbing come molestie morali, violenze morali, persecuzioni psicologiche, percosse psichiche, violenza o molestia psicologica, tortura psicologica, pressioni psicologiche, accerchiamento aziendale.”[Caccamo e Mobiglia, 2000]. Ma la definizione legale di mobbing più idonea è comunque quella estrapolata dalle sentenze della Corte di Cassazione, che emette il terzo grado, quindi definitivo, di giudizio. Nella sentenza n°475 del 19 Gennaio 1999 della Corte di Cassazione viene decretato che anche un comportamento “astrattamente illecito” da parte del datore di lavoro diventa illegale se si cela un’intenzione persecutoria. Nel caso suddetto il datore di lavoro chiamava il medico fiscale perché facesse continuamente visita di controllo alla dipendente. Richiedere una visita di controllo è legittimo da parte del datore di lavoro in questo caso, ma la Corte ha condannato la sistematicità illecita e vessatoria delle visite di controllo: il datore di lavoro ha quindi abusato di un suo diritto. Nella sentenza n°3970/1999 è stato convenuto che i turni di lavoro estenuanti possano compromettere seriamente le condizioni psico-fisiche del lavoratore e metterlo in condizioni ,per riduzione di vigilanza e di attenzione, di avere incidenti al di fuori del lavoro. Il lavoratore in questo caso aveva avuto un incidente automobilistico di 88 ritorno dal luogo di lavoro, dove svolgeva da tempo ritmi lavorativi massacranti. Nella sentenza n°3147/1999 la Corte ha stabilito che il licenziamento ingiurioso ed immotivato patito da un lavoratore dovesse non solo essere annullato ed il lavoratore reintegrato ma che dovesse anche essere risarcito per danno alla reputazione. Nella sentenza della Cassazione, sezione Lavoro, n°12339 del 5 Novembre 1999, è stato invece deciso il risarcimento del danno per infarto miocardico causato da vessazioni e dequalificazione professionale. Secondo la sentenza n°143 dell’8 Gennaio 2000 della Corte di Cassazione al dipendente spetta l’onere probatorio: volendo significare che le accuse non provate di molestie sessuali di una lavoratrice al datore di lavoro determinano la comminazione di un licenziamento per giusta causa, in quanto la lavoratrice in questione ha violato il rapporto di fiducia. La lavoratrice in questione aveva chiesto il risarcimento del danno biologico causatole dalle molestie sessuali. La sentenza n°5491 del 2 Maggio 2000 della Cassazione sezione Lavoro ha respinto il risarcimento da danno biologico di un lavoratore e sindacalista autonomo. Il lavoratore in questione aveva richiesto un risarcimento per l’insorgenza di disturbi nervosi con somatizzazioni(dolori epigastrici, nausea, vomito), derivati secondo lui dai comportamenti vessatori subiti dall’Ansaldo. La richiesta è stata respinta per la regola dell’onere probatorio: ovverosia deve esserci una dimostrazione del “nesso causale” tra vessazioni subite e lesione alla propria salute. Secondo la Corte di Cassazione l’insorgenza di disturbi nervosi non è derivata dall’attività persecutoria dell’azienda ma piuttosto dal sovraccarico di lavoro e dal grande impegno che il soggetto riversava nella sua attività di sindacalista. 89 Anche la perdita prima della moglie e poi della nuova compagna e la perdita graduale di relazioni sociali è dovuta secondo la Corte ad una serie di scelte personali e non al mobbing. Alcune sentenze della Corte di Cassazione hanno quindi condannato i mobber, ma in queste ultime due sentenze è stata ricordata la differenza tra mobbing e mobbismo(accuse non provate di mobbing). L’ordinamento giuridico per risarcire un danno richiede infatti la presenza di tre elementi: la condotta illecita, il rapporto di causa-effetto tra condotta illecita e lesione, l’elemento soggettivo. L’elemento soggettivo contempla se la condotta illecita sia intenzionale o meno. Inoltre ricordiamo- anche se è una sentenza di primo grado- la sentenza del 16 Novembre del 1999 in cui è stato sanzionato il comportamento persecutorio del datore di lavoro che maltrattava, offendeva e costringeva la dipendente a lavorare in un luogo angusto. Un’altra sentenza del tribunale di Torino del 30 Dicembre del 1999 ha risarcito la dipendente dal danno psichico temporaneo, derivatole dalle pressioni del suo datore di lavoro perché desse le dimissioni. La lavoratrice aveva rifiutato di dare le dimissioni e per questo motivo era stata trasferita dall’ufficio al magazzino, e quindi demansionata. In queste due sentenze il Tribunale ha contemplato per la prima volta il termine mobbing. In merito invece ai cosiddetti reparti-confino il caso più noto è quello della Palazzina Laf di Taranto. La vicenda ha avuto inizio nel Maggio del 1997 col trasferimento di 70 impiegati scomodi negli uffici fantasma del laminatoio a freddo. Gli impiegati sono stati trasferiti per non aver accettato la richiesta dell’azienda di “novazione” del loro contratto di lavoro: da impiegati sarebbero stati quindi diventati operai a parità di salario [Meucci, 90 2000]. La psichiatra Marisa Lieti nel 1998 ha avviato un centro di ascolto per i mobbizzati presso il C.S.M, da lei diretto. Si sono rivolti a lei 180 lavoratori mobbizzati, di cui il 33% dipendenti Ilva. Dei dipendenti Ilva sottoposti all’inoperosità nella palazzina Laf ha riscontrato numerosi casi di disagio psichico ed alcuni tentativi di suicidio[Convegno Nazionale Uil Ca –16 Giugno 2000].Nel Novembre del 1998 il procuratore Sebastio ha sequestrato la palazzina come corpo di reato ed ha permesso ai 79 lavoratori presenti di uscire dagli uffici fatiscenti. Il 15 Dicembre 1999 è iniziato un processo contro i due imprenditori e 10 dirigenti dell’Ilva: sono stati tutti imputati di tentata violenza privata e di frode processuale. Il 22 Dicembre del 1999 la Pretura di Taranto, nelle veci del dott.Chiarelli, ha accolto la domanda della Uil della Puglia e della Uil provinciale di Taranto a costituirsi parte civile contro l’azienda. Ma per i reparti-confino in Italia non esistono ancora sentenze di terzo grado. Per quanto riguarda le garanzie costituzionali innanzitutto è necessario ricordare l’evoluzione del diritto alla salute. L’art.32 recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.” Fino agli anni’60 però si riconosceva nell’art.32 della Costituzione la tutela della salute pubblica da parte dello Stato, senza prendere in considerazione i rapporti tra soggetti privati[Balduini, 1998]. Un cambiamento radicale avviene con la decisione del tribunale di Milano(ord. Del 2/10/72) che considera l’aborto terapeutico un aborto praticato in stato di necessità e quindi non perseguibile per legge. Detto in altro modo nessuna donna nel caso in cui la gravidanza costituisca pericolo per la sua salute può essere perseguita legalmente. Questa ordinanza del tribunale di Milano verrà 91 successivamente accolta con la sentenza n°27 del 1975 da parte della Corte costituzionale. In seguito a sostegno dell’evoluzione della salute da ricordare la legge del 1982(n°164) sulla possibilità data ai transessuali di cambiare sesso tramite operazione chirurgica per migliorare il loro equilibrio psichico, la sentenza n°669 del 21/4/’92 della Corte di Cassazione che stabilisce la condanna per omicidio preterintenzionale di un chirurgo che aveva effettuato un intervento chirurgico letale senza il consenso della paziente. Tutto ciò ha fatto sì che la salute venga considerata non solo in base a parametri fisici, ma contemplando anche l’equilibrio psichico ed il benessere della persona inteso a tutto tondo. Di conseguenza anche il danno psichico è lesivo della salute. Greco[2000] a proposito scrive: “danno psichico e mobbing viaggiano e si sviluppano di pari passo e il loro rapporto è pari a quello che intercorre tra rumore e ipoacusia,(…)tra il piombo ed il saturnismo, e così via come per tante altre patologie connesse alle malattie professionali o tecnopatie.” Questo non significa che sia facile distinguere tra i vari tipi di danno in sede legale. Matto[1999] sottolinea come spesso nel mobbing vi sia un intreccio tra danno professionale e danno alla persona. E’ necessario inoltre considerare le altre garanzie costituzionali. Nell’art.3 della Costituzione italiana si legge: “ E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Riguardo ai diritti delle donne lavoratrici l’art.37 recita: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse 92 retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.” Per quanto riguarda i diritti dei lavoratori sindacalisti basterà ricordare l’art.39 della Costituzione: “L’organizzazione sindacale è libera.” Per quanto concerne invece il rapporto tra iniziativa privata e nocumento di ordine sociale l’art.41 dice: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali.” Anche alcuni articoli del codice penale devono essere presi in considerazione per quanto riguarda il mobbing estremo ed il bossing. Si ricorda a proposito l’art.323 c.p(abuso di ufficio) l’art.590 c.p(lesioni personali colpose), l’art.594 c.p(ingiuria), l’art.595 c.p(diffamazione), l’art.610 c.p(violenza privata). Per quanto riguarda il codice civile invece è necessario citare riguardo al contratto di lavoro i doveri del datore di lavoro(art.2099 c.c, obbligo di retribuzione; art.2087 c.c , obbligo di sicurezza) ed i doveri del dipendente(art.2094 c.c, obbligo di prestazione del lavoro ; art.2086 c.c e art.2104 c.c , obbligo di subordinazione ; art.2104 c.c, obbligo di diligenza ; art.2105 c.c, obbligo di fedeltà). Entrambi inoltre devono comportarsi l’uno nei confronti dell’altro rispettando i principi di correttezza e di buona fede(rispettivamente l’art.1175 c.c e l’art.1375 c.c). In merito al mobbing è fondamentale ricordare l’art.2043 c.c(secondo cui il danno biologico è risarcibile in quanto danno ingiusto), l’art.2056 c.c( definizione di danno biologico come 93 lesione dell’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale), l’art.2059 c.c(danno morale), l’art.2103 c.c(caso illegittimo di dequalificazione, demansionamento, riduzione dell’attività), l’art.1226 c.c(il danno patrimoniale alla professionalità), l’art.2087 c.c(obbligo di sicurezza). Riguardo all’annullamento di dimissioni di un dipendente costretto a dare le dimissioni in quanto mobbizzato è da ricordarsi l’art.428 c.c(presupposti dell’incapacità naturale), l’art.1434 c.c(vizio della volontà morale), l’art.1438 c.c(danno recato a terzo per avere un vantaggio ingiusto). In materia di risarcimento del doppio mobbing da citare invece l’art.2043 c.c+ l’art.29 per essere risarciti da lesione della serenità familiare. Sempre sul doppio mobbing significative la sentenza n.1223 del 7/2/2000 del tribunale di Milano e la sentenza n.451 del 24/2/2000 sul danno edonistico ai congiunti delle vittime(è stato quindi considerato il danno riflesso alle vittime secondarie). Nelle norme sui licenziamenti individuali[Legge 15 Luglio 1966, n°604] all’art.1 si legge che il licenziamento del prestatore di lavoro assunto a tempo indeterminato non può che avvenire per giusta causa o per giustificato motivo. Per giusta causa si intende l’inadempienza estrema dei quattro obblighi del dipendente(prestazione di lavoro, subordinazione, diligenza, fedeltà). Nell’art.3 viene definito il licenziamento per giustificato motivo come licenziamento dovuto a motivi inerenti la produzione e l’organizzazione del lavoro. Nell’art.5 è specificato che l’onere probatorio della giusta causa o del giustificato motivo spetta al datore di lavoro. Negli articoli 2 e 6 vengono descritte le disposizioni che il datore deve osservare per rendere efficace il licenziamento. Infine l’art.8 precorre l’art.18 dello Statuto, in 94 quanto decreta la riassunzione del dipendente licenziato qualora non vengano accertati gli estremi del licenziamento. Lo Statuto dei lavoratori[legge 20 Maggio 1970, n°300] invece, rispetto al diritto di espressione del lavoratore, garantisce all’art.1 la libertà di opinione dei dipendenti(articolo che corrobora l’art.21 della Costituzione in ambito lavorativo). Rispetto alle discriminazioni sancisce nell’art.8 il divieto di indagini sulle opinioni politiche, religiose, sindacali per non incorrere in discriminazioni e nell’art.15(atti discriminatori) si vieta qualsiasi pregiudizio al lavoratore per motivi politici, religiosi, razziali, sessisti, sindacali. L’art.9 tratta della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori. L’art.18(reintegrazione nel posto di lavoro) permette al giudice di annullare il licenziamento senza giusta causa o senza giustificato motivo e ordina al datore di lavoro di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro. Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno patito per il licenziamento immotivato: retribuzione. risarcimento non L’art.35(campo inferiore di alle applicazione) cinque mensilità stabilisce che di la reintegrazione ed il risarcimento contenute nell’art.18 sono da applicare a ogni ditta, ufficio, filiale, reparto autonomo con più di 15 dipendenti. Analoghe disposizioni sono da applicare anche alle imprese agricole sopra i 5 dipendenti. L’art.28 garantisce invece la repressione della condotta antisindacale. Per quanto riguarda invece i diritti dei datori di lavoro da citare l’art.7(sanzioni disciplinari). Dagli articoli del codice civile e dagli articoli dello Statuto menzionati è possibile intuire l’incerta linea di demarcazione tra inadempimento contrattuale del datore di lavoro per abuso di potere e inadempimento del dipendente per insufficiente ed 95 intenzionato livello di rendimento lavorativo. Riguardo alla tipologia del danno subito dal mobbizzato esistono il danno biologico, il danno psichico, il danno esistenziale, il danno patrimoniale. Montuschi[1994] a proposito ritiene che negli ultimi anni nel diritto civile sia avvenuto un cambiamento radicale in materia di responsabilità civile. Questa rivoluzione comunque deve trovare ancora un assestamento ed un’unitarietà di definizioni e distinzioni tra i vari tipi di danno. Secondo l’art.2056 del nuovo codice di procedura civile abbiamo una nuova definizione di danno biologico inteso come lesione dell’integrità psico-fisica della persona”. La sentenza n°184 del 1986 aveva già considerato il danno psichico come parte integrante del danno biologico. Di conseguenza anche il danno psichico è ascrivibile al danno biologico. Per Puccini[2000] il danno biologico è da considerarsi come “squilibrio dell’omeostasi psico-fisica antecedente”. Tullini[2000] definisce il danno psichico come menomazione psichica o turbativa dell’equilibrio mentale per un fatto illecito subito da terzi. Ronchi e Grande[2000] definiscono il danno psichico come “alterazione delle funzioni psichiche in conseguenza di azioni violente non dotate di apprezzabile energia fisica, improvvise o reiterate”. In merito di danno psichico bisogna comunque ricordare che la sintomatologia è soggettiva: di conseguenza possono verificarsi casi di esagerazione se non di simulazione. Secondo la Cassazione il danno morale è “un patema d’animo transeunte” ed il danno psichico “una psicopatologia permanente”. Il danno morale sarebbe quindi espressione del dolore, dei patemi, delle sofferenze interiori conseguenti all’offesa subita. Per Monateri[2000] il danno biologico è un danno-evento, mentre il danno morale ed esistenziale 96 dei danni-conseguenza. Il risarcimento da danno morale sarebbe quindi il prezzo del dolore rispetto ad un determinato evento. Secondo Pera[1991] anche “lasciare senza lavoro il dipendente(…) ne mortifica ed umilia la personalità morale. In mancanza quindi di danno biologico o psichico un lavoratore dimenticato dalla dirigenza in un reparto-confino potrebbe quindi rivendicare il danno morale subito. Secondo l’interpretazione di Petti il danno psichico è una menomazione alla salute psichica ed il danno morale una lesione alla dignità umana. Per Oliva[2000] il danno esistenziale è “la somma di ripercussioni relazionali di segno negativo” e comprende quindi anche il risarcimento della dimensione umana. Il diritto esistenziale sempre per Oliva[2000] risponde all’inadeguatezza del danno morale e difende i nuovi diritti della personalità. Sempre per Oliva tra danno biologico e danno morale esisterebbero delle zone morte che la nuova categoria di danno esistenziale potrebbe risolvere. Il Tribunale di Milano recentemente ha risarcito la lesione del diritto alla pianificazione famigliare. Il danno esistenziale sarebbe un danno non patrimoniale ed il risarcimento verrebbe determinato in base a quello che una persona è e non in base alle sue condizioni socio-economiche: a questa nuova tipologia di danno sarebbero ascrivibili tutti quegli eventi che causano un peggioramento della qualità della vita della persona. Anche il Decreto Legislativo n°38 del 23/2/2000 supporta questa nuova concezione della natura non patrimoniale e aredittuale del danno subito. Il danno non patrimoniale sarebbe quindi il danno recato da un pregiudizio ingiusto. Per quanto riguarda invece il danno patrimoniale alla professionalità esiste invece l’art.1226 del c.c. Riguardo al risarcimento del danno psichico 97 anche in questo ambito manca una unanimità di criteri tra gli esperti del settore, tant’è che esistono diverse scale di valutazione riguardo all’invalidità civile derivatane. Secondo le tabelle dell’invalidità civile la nevrosi ansiosa darebbe il 15% di invalidità, la sindrome depressiva endoreattiva lieve il 10%. Per Brondolo e Marigliano[2000] il danno psichico dovrebbe dare una invalidità del 10-15%. Per Espagnet, Ottaviani, Bonaccorso[2000] al disturbo post-traumatico spetterebbe dal 5 all’11% di invalidità. Nel volume “INAIL: tabelle di valutazione del danno neuropsichico in ambito infortunistico lavorativo” al disturbo posttraumatico dovrebbe conseguire un’incapacità lavorativa dal 5 all’11%. Nel decreto legislativo n°38/2000 all’art.13 il disturbo post-traumatico da stress può percepire fino al 6% di invalidità. Nel volume “Guida alla valutazione medico-legale” di Luvoni, Mangili, Bernardi non esiste alcun riferimento riguardo all’invalidità causata dai disturbi psichici. Questo è il contesto normativo del mobbing. Esiste però un vuoto legislativo da colmare: si riscontra la mancanza di una vera e propria legislazione ad hoc. Detto in parole povere: il tutto è sempre superiore alla somma delle parti. Prima sono stati citati gli articoli del c.c e del c.p che possono riguardare il mobbing: ma il mobbing non è solo questo. Non è solo la somma dei comportamenti perseguibili legalmente( e quindi fatti tipici per la legislazione), ma anche una serie di comportamenti non perseguibili e quindi atipici. Anche questi comportamenti atipici devono essere presi in seria considerazione per inquadrare il contesto entro cui avviene il mobbing. Se quindi i legislatori valutano sia i comportamenti tipici e quelli atipici la risultante è il quadro complessivo del mobbing. Per fatti 98 atipici(non perseguibili quindi legalmente) ad esempio possono essere citati: continue visite di controllo in malattia, l’isolamento sistematico da parte del gruppo di lavoro nei confronti di un lavoratore, continui trasferimenti da un ufficio all’altro, il rifiuto di comunicare da parte del mobber con il mobbizzato, l’insufficienza di informazioni necessarie allo svolgimento del lavoro, non invitare alle cene aziendali il lavoratore preso di mira, la disparità di trattamento del dipendente rispetto agli altri colleghi da parte del datore di lavoro, controllo ossessivo del datore solo e soltanto dei compiti svolti dal mobbizzato(e mancanza di controllo per altri dipendenti più simpatici o meno scomodi). Tutti questi comportamenti atipici, anche se non perseguibili, sono indicativi riguardo al clima aziendale che si cela nei confronti del mobbizzato. Manca quindi una legislazione ad hoc sul mobbing come quella emanata dall’Ente nazionale per la Salute e la Sicurezza svedese del 21 Settembre 1993 in conformità alla sezione 18 dell’Ordinanza sull’Ambiente di Lavoro del 1977. Nella sezione 1 del disegno di legge svedese vengono proibiti i seguenti comportamenti: la calunnia nei confronti del lavoratore, sabotare la sua esecuzione del suo lavoro, boicottarlo, intimidirlo, fargli critiche eccessive, negargli informazioni o dargli informazioni sbagliate. Nella sezione 2 il datore di lavoro viene ritenuto responsabile della persecuzione del lavoratore da parte di altri lavoratori: deve cioè prevenire il mobbing. Per prevenire il mobbing deve quindi fare in modo che quadri e dirigenti ricevano una formazione adeguata riguardo alle persecuzioni ed ai conflitti che possono scaturire sul luogo di lavoro. Nella sezione 3 viene proibito al datore di lavoro di abusare del proprio potere. In particolare lo si invita ad 99 essere democratico e a stabilire una comunicazione reciproca con i dipendenti in modo da ispirare loro fiducia. Nella sezione 4 si obbliga il datore di lavoro ad un piano di intervento di prevenzione per agire in modo tempestivo nei confronti di un conflitto interpersonale tra lavoratori. Nella sezione 5 è stabilito invece che il datore di lavoro debba ascoltare tutte le persone coinvolte nell’inizio del conflitto per cercare di porre fine al contenzioso e raggiungere una soluzione di unanime consenso. Nella sezione 6 si precisa infine che l’azienda dovrà dare sostegno morale e supportare i lavoratori vittime di persecuzioni. Per quanto riguarda gli altri paesi europei va ricordato che anche in Svizzera nel 1995 è stato approvata un’ordinanza che prevede la proibizione di surmenage e molestie psicologiche. In Norvegia nel 1994 è entrata in vigore una legge che vieta molestie morali e comportamenti vessatori sul luogo di lavoro. In Inghilterra è stato approvato nel 1997 l’Harassment Act. In Germania esiste invece nella stragrande maggioranza delle aziende il responsabile antimobbing. In Italia sono stati depositati sia alla Camera che al Senato alcuni disegni di legge: il disegno di legge Camera 6410, il disegno di legge Senato 4265, il disegno di legge Senato 4313, il disegno di legge Senato 4512. Nel nostro paese non si ritiene possibile fare solo un disegno di legge sul mobbing. Dovrebbero essere fatti contemporaneamente ad un disegno di legge sul mobbing, un disegno di legge sul bullismo, un disegno di legge sul nonnismo: su tutte le forme di violenza psicosociale. Dovrebbe anche avvenire un cambiamento radicale in molti contesti legislativi e di conseguenza pene più severe per i pedofili, per chi spaccia droga pesante, per chi compie atti terroristici, per chi è affiliato ad associazioni a 100 delinquere. Nei paesi prima citati non esiste un garantismo così elevato come in Italia, così come non esistono stragi di stato impunite o auto di scorta di giudici fatte saltare per aria. Il mobbing quindi dovrebbe costituire uno spunto di riflessione per una completa rivoluzione in ambito legislativo sia per quanto riguarda ogni forma di violenza psicosociale che ogni forma di violenza fisica. Ad esempio è da ritenersi eccessiva la pena da uno a tre anni per i mobber, proposta nel disegno di legge Camera 6410. Forse per prevenire il mobbing sarebbe utile una legge, che prevede necessariamente in ogni ditta un responsabile anti-mobbing, così come attualmente è previsto un responsabile della 626. Per quanto riguarda pene eccessive per i mobber- va detto che - è ravvisabile un ordine di priorità in base alla gravità degli eventi, perciò è da ritenere che prima dell’attuazione di un disegno di legge o almeno contemporaneamente a questo siano attuati altri disegni di legge, che prevedano pene più severe contro forme di violenza più letali e distruttive della vita umana di quanto lo sia il mobbing. Questa presa di posizione non è una provocazione, o una dichiarazione qualunquista ma una pura e semplice constatazione di fatto: basta leggere ogni giorno il quotidiano. 101 8. MOBBING E FLESSIBILITA’ DEL LAVORO: Il FONDO MONETARIO EUROPEO indica come uno dei rimedi principali per ridurre il tasso di disoccupazione europea un più alto livello di flessibilitài, soprattutto contrattuale. Per evitare equivoci e fraintendimenti è bene subito fare delle distinzioni tra i vari tipi di flessibilità. Comunemente gli economisti classificano quattro tipologie di flessibilità: 1)LA FLESSIBILITA’ IN ENTRATA: ad esempio l’opportunità di assumere personale tramite vari tipi di contratti per favorire l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani alla ricerca del primo impiego o il rientro di persone che hanno perso il lavoro; 2)LA FLESSIBILITA’ IN USCITA: la possibilità di licenziare il personale; 3)LA FLESSIBILITA’ SALARIALE: ad esempio legare la busta paga alla produttività dell’azienda medesima; 4)LA FLESSIBILITA’ FUNZIONALE: significa la possibilità per l’impresa di far adeguare il personale alle esigenze produttive, sia in termini di orario che di spazio. Per quanto riguarda l’orario può utilizzare ad esempio il parttime. Per quanto riguarda la flessibilità spaziale può invece utilizzare il telelavoro. Globalizzazione, turbolenza dei mercati, innovazioni tecnologiche hanno decretato la fine del posto fisso[Quadrio,1998]. Al momento non è più possibile per le imprese assumere tutto il personale con un contratto a tempo indeterminato, in cui il prestatore d’opera deve dimostrarsi diligente, fedele, obbediente ed il datore di lavoro deve fornire sicurezza e reddito al lavoratore. A tale riguardo basta pensare all’andamento oscillatorio delle borse, alla instabilità dei prezzi delle materie prime, all’internalizzazione dell’economia, alle innovazioni tecnologiche. Le aziende perciò si 102 imbattono continuamente in cambiamenti tecnologici e frequenti variazioni della domanda[Halal,1986; Limerick,Cunnington, 1993; French,Bell, 1995]. La flessibilità è una risorsa indispensabile per far fronte all’incertezza del mercato[Pascale, 1990; Hilmer, Donaldson, 1996]. Per quanto riguarda il nostro paese, per diminuire la disoccupazione giovanile e la disoccupazione femminile, due fenomeni tipicamente italiani, le aziende dovrebbero sempre più utilizzare contratti a tempo determinato, che possano far aumentare la flessibilità in entrata. Dal RAPPORTO DELLA COMMISSIONE EUROPEA SULL’OCCUPAZIONE risulta che nel periodo che va dal 1986 al 1996 la quota di lavoratori temporanei in rapporto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato è inferiore alla media europea. La flessibilità per ragioni economiche, produttive è quindi la strada imboccata dall’Unione Europea. Bisogna però considerare che la flessibilità non è l’unico fenomeno economico dovuto alla globalizzazione, infatti la globalizzazione causa: 1) RIORGANIZZAZIONI: aumentano i reparti-confino, dato che le società si trovano di fronte ad esuberi di personale. Le società ritengono più economico fare in modo che i lavoratori siano costretti a licenziarsi, piuttosto che pianificare un progetto di formazione continua e di riqualificazione professionale. Il top management inoltre ritiene più economico per l’azienda utilizzare il bossing piuttosto che pagare gli oneri di buonuscita. I lavoratori le cui conoscenze sono diventate obsolete vengono “fatti fuori”. Questo accade non solo nelle industrie, ma anche nei giornali. Infatti l’editoria si sta proiettando sempre più verso portali e giornali on line: verso la New Economy. Ecco allora che 103 i giornalisti della vecchia carta stampata vengono fatti fuori strategicamente. Questa strategia di rottamazione dei lavoratori a tempo indeterminato ha come obiettivo principale la diminuzione del rapporto costi-produttività. Da notare inoltre che esiste una differenza sostanziale tra retorica della ristrutturazione prodotti[Cascio,1993; Mc e la Carthy,1995 realtà dei ; Hales, risultati da essa Tamangani,1996; Littler,1996; Hampson, Morgan,1997; Sheccan,1998]. Questo significa che spesso al DOWNSIZING non corrisponde il RIGHTSIZING. Per downsizing si intende il ridimensionamento e la riduzione del personale dovute alla ristrutturazione; per rightsizing invece si intende il ridimensionamento ottimale dell’organico aziendale, ovvero l’utilizzo durante la ristrutturazione di outsorcing(nel caso specifico delegare alcuni servizi interni ai manager licenziati che assumerebbero le veci di consulenti esterni), counselling, lista di mobilità, outplacement e comunicazioni aziendali che forniscano informazioni adeguate a tutti i lavoratori. Inoltre per una ristrutturazione ottimale la grande azienda dovrebbe assumersi la responsabilità di essere incubator(avendo quindi la missione di far nascere nuove imprese, fornendole almeno consulenza) nei confronti delle imprese start-up create da alcuni dirigenti licenziati. 2)MERGERMANIA: ovvero le fusioni, che se da un lato consentono una maggiore economia di scala, dall’altro creano doppioni ed inutili duplicati. Le aziende quindi per togliere personale in esubero iniziano a far circolare liste nere, a togliere status-symbols, a trasferire in edifici in disuso i dipendenti considerati di troppo. Il 1998 è stato un anno da primato per le fusioni, visto che sono aumentate del 50% rispetto al 1997. A proposito di fusioni e riduzione del 104 personale bisogna ricordare che l’accorpamento Exxon/Mobil causerà l’eliminazione di 12-20000 posti di lavoro su 122000 in totale. Invece l’acquisizione della Digital Equipment della Compaq produrrà la riduzione di 17000 posti su 84000 complessivi. Le cifre riguardo al valore in miliardi di dollari delle fusioni sono astronomiche. La fusione tra Exxon e Mobil è stata stimata del valore di 86,4 miliardi di dollari, quella tra Citycorp e Travelers del valore di 72,6 miliardi di dollari[Dinucci, 2000]. 3) DISLOCAZIONE DELLA PRODUZIONE: in paesi dove il costo del lavoro è nettamente inferiore rispetto a quello del paese di origine della società. 4) PREDOMINIO DEL CAPITALISMO FINANZIARIO SULL’ECONOMIA PRODUTTIVA: anche se l’impresa è in utile spesso il top management cerca di ridurre il personale, perché in borsa una riduzione del personale causa immediatamente un incremento del valore delle azioni. In Europa come hanno dimostrato Duriex e Jourdain ne “L’impresa barbara” sono i fondi di investimento inglesi che esercitano pressioni sul top management delle grandi società, affinchè riducano il personale per massimizzare i profitti in borsa. Ecco allora che per il manager della grande società quotata in borsa l’obiettivo prioritario è quello di creare valore per l’azionista e non più quello di soddisfare i clienti dei prodotti. Il manager poi è interessato a creare valore degli azionisti, anche perché riceve dei benefit in base al valore delle azioni[Bocca,2000]. E’ comprensibile che alcune grandi aziende in piena crisi attuino dei licenziamenti in massa per salvare il salvabile ed evitare il crack finanziario. Sono comprensibili ad esempio i licenziamenti della Lucent, ormai strangolata dalle banche[Rampini,2001], oppure quelli della Ericson, il cui gruppo ha perso 105 miliardi di dollari[Occorsio,2001]. Ma è illegittimo il fatto che la Procter & Gamble con 3,76 miliardi di dollari di utile nel 1999 preveda di tagliare 15000 posti entro il 2005 per aumentare il valore delle azioniii. Questa è speculazione finanziaria ai danni dei lavoratori. 5) MAGGIORE FLESSIBILITA’, dovuta alle incertezze del mercato globale. I primi 4 fenomeni sono dovuti alla deregolamentazione selvaggia del mercato globalizzato. Per quanto riguarda invece la flessibilità è bene intendersi: solo una eccessiva flessibilità in uscita ed una flessibilità salariale estesa a tutti i dipendenti potrebbero minacciare la tutela dei diritti dei lavoratori. La flessibilità in entrata e la flessibilità funzionale( part-time e telelavoro) possono risultare delle grandi opportunità per l’inserimento lavorativo di categorie svantaggiate attualmente, come le donne ed i giovani. LA FLESSIBILITA’ IN ENTRATA IN ITALIA: Secondo il Censis il nostro paese è ultimo in graduatoria per quanto riguarda la flessibilità in entrata. Se non è invidiabile e nemmeno esportabile l’eccessiva flessibilità in uscita degli Stati Uniti e quella attuale della Spagna, per adattarsi alle incertezze del mercato globale è necessaria per l’Italia una maggiore flessibilità in entrata. In vetta alla graduatoria l’Inghilterra, seguita dalla Germania . La Germania quindi è la dimostrazione di fatto che un’alta flessibilità in entrata non implica necessariamente una corrispondente flessibilità in uscita: infatti le norme di licenziamento del diritto di lavoro sono simili a quelle italiane. Una più alta flessibilità in entrata riuscirebbe a colmare un vuoto di offerta, che è una delle cause dell’alto tasso di disoccupazione giovanile nel nostro paese: molte imprese infatti richiedono molti lavoratori part-time e lavoratori 106 interinali. Le imprese italiane riuscirebbero così a reperire sul mercato del lavoro le forme contrattuali di cui hanno bisogno, nei periodi in cui ne hanno bisogno. Il nostro paese è indietro per quanto riguarda la flessibilità funzionale e la flessibilità in entrata[Merlino,2000]. Eppure le forme contrattuali a tempo determinato non mancano, infatti esistono le seguenti opportunità: contratto di formazione e lavoro, apprendistato, lavoro stagionale, contratto di solidarietà, contratto d’area, lavoro atipico o parasubordinato, lavoro interinale, part-time, job-sharing, telelavoroiii. FLESSIBILITA’ IN USCITA O TUTELA DEL POSTO DI LAVORO: Secondo la normativa vigente il datore di lavoro può motivare il licenziamento di un dipendente con la giusta causa o il giustificato motivo. Il licenziamento per giusta causa di un lavoratore è il licenziamento disciplinare: ha commesso una grave infrazione come ad esempio furto, assenze ingiustificate, guasti dovuti alla sua negligenza che possano comportare danni a cose o a persone. Si tratta invece di giustificato motivo quando ad esempio l’impresa fallisce, il reparto viene chiuso o il settore lavorativo viene completamente ristrutturato. In ognuno dei due casi comunque il lavoratore licenziato può fare ricorso al giudice, che stabilirà se il licenziamento è inefficace o meno. Secondo l’ART.18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI il giudice può annullare il licenziamento intimato e ordinare al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro( LA REINTEGRA). In molti altri paesi europei a questo punto invece il licenziato può scegliere se avere un indennizzo cospicuo e accettare il licenziamento oppure essere reintegrato nell’azienda. Un altro articolo dello Statuto che ha posto fine a molti licenziamenti ingiustificati è 107 l’art.28 per LA REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE: qui è scritto che qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso dei sindacati, il pretore entro due giorni convoca le parti e decreta la cessazione del comportamento illegittimo o l’inefficacia del licenziamento. L’art.35 dello Statuto stabilisce invece IL CAMPO DI APPLICAZIONE, attribuisce cioè rilievo alle dimensioni degli organi produttivi. Il reintegro del lavoratore licenziato è possibile solo nei confronti di reparto, sede o stabilimento che occupi più di 16 dipendenti( più di 6 per le imprese agricole). La normativa vigente quindi piuttosto che sulla flessibilità in uscita tutela il posto di lavoro, difendendo quindi l’esigenza di continuità economica e di sicurezza sociale dei lavoratori. Per agevolare il rientro nel mondo del lavoro della persona licenziata l’azienda può utilizzare: 1) LA MOBILITA’: ai licenziati spetta un’indennità mensile di minore appetibilità rispetto al salario minimo previsto dalla contrattazione collettiva. L’azienda paga una certa quota per mettere il lavoratore in mobilità e deve attenersi a 3 criteri( carichi di famiglia, anzianità di servizio, esigenze tecniche produttive), però qualora il licenziato trovi un nuovo lavoro l’onere per l’impresa si dimezza. La persona licenziata invece costa meno del dovuto in termini di contributi sociali all’azienda che l’assumerà. 2) L’OUTPLACEMENT: rende meno traumatica la cessazione del rapporto di lavoro e agevola la ricerca di una nuova collocazione professionale. Outplacement per il lavoratore licenziato significa 108 anzitutto riorientamento e reinserimento nel mercato del lavoro. Abbiamo un contratto a tre: l’azienda, il licenziato, la società di outplacement. L’azienda paga la società di outplacement affinchè questa si occupi del reinserimento in un’altra impresa del lavoratore licenziato. Analizziamo ora quali sono gli ipotetici impedimenti di una minore flessibilità del lavoro in entrata in Italia rispetto agli altri paesi europei industrializzati: 1) ritardo dell’entrata in vigore del pacchetto Treu: il pacchetto Treu prevede innovazioni fondamentali per il mercato del lavoro italiano, come la riforma dell’apprendistato, il rilancio dei lavori socialmente utili, il lavoro interinale, le sanzioni meno rigide per il contratto a tempo determinato. Prima del pacchetto Treu la continuazione del lavoro a termine, anche per un giorno dopo la scadenza del contratto, veniva punita con il passaggio a contratto a tempo indeterminato. Questo significa che se un’ispezione in un azienda agricola scopriva un lavoratore stagionale con un contratto scaduto di un giorno doveva essere obbligatoriamente assunto stabilmente. Questa sanzione era eccessiva, perché le aziende agricole non possono stabilire con esattezza la durata dei raccolti. Con la legge Treu invece la continuazione oltre il termine stabilito dal contratto causa solo un aumento di stipendio del lavoratore proporzionale al periodo che ha lavorato in più. Il problema non è quindi la legge Treu, di cui il mercato del lavoro italiano aveva bisogno, il problema è piuttosto il ritardo dell’entrata in vigore della legge: il lavoro temporaneo è stato concordato nel 1993 e solo nel 1997 è stato approvato il pacchetto Treu. Non solo, ma va anche detto che il 109 pacchetto Treu comprende la regolazione del lavoro temporaneo settore per settore. La contrattazione collettiva è stata lenta e farraginosa: il risultato è che solo nell’Aprile del ’98 è stato concluso l’accordo per l’industria e nel Luglio del’98 quello per il terziario. 2) l’alto costo del lavoro: secondo l’Ocde l’Italia risulta quarta nella graduatoria. 3)le restrizioni eccessive alle agenzie di fornitura di lavoro interinale: si pensi solo al vincolo di legge che impone di non utilizzare le qualifiche a basso contenuto professionale. Ebbene nella relazione del 1996 dell’Assointerim, associazione che rappresenta le agenzie di fornitura di lavoro interinale, proprio il personale non qualificato è quello più richiesto. Un’altra limitazione è l’ingente cifra di 200 milioni di capitale sociale per omologare un’agenzia di fornitura di lavoro in affitto. IL MOBBING SOMMERSO: Secondo le più recenti statistiche l’Italia sarebbe la nazione in Europa con il minor tasso di mobbing. Ma c’è un piccolo problema, oltre al fatto che la soglia di accettazione dei soprusi in Italia è più alta rispetto agli altri paesi: il mobbing sommerso, difficilmente quantificabile, subito dai lavoratori in nero. Nel lavoro in neroiv non esistono diritti sindacali e tutele, si deve quindi ritenere che in questo ambito selvaggio angherie e vessazioni siano superiori rispetto all’ambito dei lavoratori “ufficiali”. Non è forse anche l’alto tasso di lavoro nero quindi che fa diminuire la percentuale di lavoratori mobbizzati ? Quale sia la situazione riguardo al mobbing per quanto riguarda l’Inghilterra la conosciamo. Tutto al più dovremmo stimarla per difetto: considerando quindi il tasso di lavoro nero(13,1%). In 110 Inghilterra, in Svezia e negli altri paesi nordeuropei infatti il lavoro nero è meno rilevante ed esiste una maggiore sensibilizzazione verso il mobbing. Ma in Italia ed in Grecia ad esempio la percentuale di lavoro nero è alta e la sensibilizzazione al fenomeno del mobbing è scarsa: quant’è il mobbing sommerso ? Comparando proprio la tabella statistica sui casi di mobbing nei paesi europei e quella sul lavoro nero salta all’occhio un dato interessante: Grecia, Italia, Belgio, Spagna sono i paesi con minor tasso di lavoratori mobbizzati e tuttavia sono anche quelli con la più alta percentuale di lavoro nero !!! Viene da chiedersi quindi se le rilevazioni statistiche sui casi di mobbing sottostimino molto l’entità del mobbing nel lavoro nero. Non sarebbe allora meglio per l’Italia e per i lavoratori italiani una maggiore flessibilità in entrata ? CONCLUSIONI RIGUARDO ALLA FLESSIBILITA’ Una rigidità eccessiva dei contratti di lavoro comporterebbe un aumento vertiginoso di vessazioni per indurre i dipendenti considerati scomodi o inetti alle dimissioni. Un’eccessiva flessibilità in uscita, se da un lato eliminerebbe il mobbing verticale, dall’altro comporterebbe notevoli problemi per le aziende infatti causerebbe: a) un elevato turn-over ed una conseguente incapacità di creare una cultura organizzativa. b) un elevato disimpegno dei lavoratori, come accade in Usa. c) un aumento di spionaggio industriale e di insider trading dei dirigenti. d) serie difficoltà economiche, dovute a scarsa liquidità per pagare i TFR, nei casi in cui diversi lavoratori si licenzino nello stesso periodo. 111 Il direttore del personale della Zanussi ha sostenuto in un dossier televisivo sul mobbing che in Italia Il mobbing sarebbe provocato da una mancanza di flessibilità del lavoro. Secondo il direttore del personale le aziende non potendo licenziare per troppe tutele i dipendenti li costringerebbero alle dimissioni. Per mancanza di flessibilità intendeva quindi la mancanza di flessibilità in uscita, che in Italia è simile a quella di molti altri paesi europei. A mio avviso invece in Italia, per ritardi e formalismi giuridici, manca ancora un’adeguata flessibilità in entrata e questo comporta un aumento del lavoro nero. Un aumento del lavoro nero a sua volta causa un aumento dei casi di mobbing, anche se non rilevabili e difficilmente quantificabili. Va ricordato però che la flessibilità in entrata non eliminerebbe tutto il lavoro nero, che infatti è utilizzato anche da aziende che riciclano il denaro sporco ed appartengono di fatto alle varie associazioni della criminalità organizzata. Per eliminare questo tipo di lavoro nero ci vuole l’Antimafia. Esistono tuttavia molte altre aziende, i cui proprietari non sottostanno alle regole della malavita, che utilizzano il lavoro nero per i problemi dovuti alla mancanza di flessibilità in entrata. Queste aziende, di fronte ad opportunità migliori, probabilmente abbandonerebbero il lavoro nero. In conclusione attualmente non ci sono dati significativi che dimostrino che l’attuale flessibilità del lavoro europea sia una causa macroeconomica del mobbing. Nemmeno possiamo affermare che la supposta mancanza di flessibilità in uscita in Italia sia una causa macroeconomica di mobbing. A nostro avviso l’unica causa macroconomica di mobbing sia nel nostro paese che nel resto d’Europa è 112 proprio la globalizzazione, intesa come internazionalizzazione selvaggia delle merci e dei capitali. i Per flessibilità in questo caso si intende la capacità delle imprese di far fronte ai mutamenti del mercato. Non esiste purtroppo nessuna legge che vieti al top management delle società quotate in borsa riduzioni del personale anche se l’azienda è in utile. iii Il lavoro interinale è la novità principale del pacchetto Treu. Consente alle imprese di affittare i lavoratori da società di fornitura di lavoro temporaneo. Per il lavoro interinale è necessario stipulare due contratti: uno tra lavoratore e società di fornitura, uno tra società di fornitura ed impresa. La società di fornitura per svolgere tale funzione deve essere in possesso di autorizzazione amministrativa. Deve cioè essere iscritta all’albo medesimo, istituito con due decreti dal Ministero del Lavoro nel 1997. Le agenzie di fornitura percepiscono un compenso per ogni lavoratore affittato, però allo stesso tempo devono farsi carico di tutti gli oneri contributivi e previdenziali. Il lavoro interinale è vietato per figure di basso livello professionale, per sostituire lavoratori in sciopero, per sostituire lavoratori licenziati. Il part-time è stato introdotto con la legge n°863/1984. L’art.5 della medesima legge definisce il part-time come lavoro ad orario inferiore all’orario ordinario previsto dai contratti collettivi. Fondamentalmente ci sono due tipi di part-time: il part-time orizzontale, in cui la persona lavora tutti i giorni ma con orario ridotto; il part-time verticale, in cui la persona alterna periodi di lavoro a periodi di inattività(viene anche chiamato ciclico per questo motivo). Il lavoratore assunto part-time viene retribuito in modo proporzionale alle ore lavorate. Il lavoro atipico o parasubordinato è collocato in una situazione intermedia tra il lavoratore autonomo ed il lavoratore dipendente. Più specificatamente si chiama collaborazione coordinata e continuativa. Diciamo che il lavoro atipico è simile(attualmente, salvo ulteriori modifiche) al lavoro autonomo, ma non è riconosciuto né tutelato da nessun ordine. Gad Lerner ha definito i lavoratori parasubordinati “il popolo della partita Iva”, perché i lavoratori assunti con questo tipo di contratto devono versare all’INPS il 12 %sui redditi di lavoro. Per telelavoro si intende invece il lavoro a distanza grazie alle nuove tecnologie di comunicazione. Uno dei problemi principali del telelavoro è la regolamentazione. In Italia è già stata approvata la legge Bassanini 191/1998 per la Pubblica Amministrazione, mentre per la regolamentazione nelle aziende private ci sono 4 proposte di legge. Per quanto riguarda il job-sharing la circolare n°43/1998 del Ministero del Lavoro ha fornito le indicazioni di base per il contratto di lavoro ripartito. Tramite questo tipo di contratto di lavoro due o più lavoratori possono gestire l’orario complessivo in base alle proprie disponibilità. L’orario di lavoro è perciò condiviso da due o più lavoratori, che si possono avvicendare a seconda delle loro esigenze. L’importante è che uno dei lavoratori sia sempre in ufficio o in officina. Ogni lavoratore deve indicare le ore di lavoro che farà. Alla fine del contratto di lavoro ogni lavoratore è retribuito in base alle ore lavorate personalmente. iv Serie storica completa dei dati Istat sul lavoro in nero: anni: 1970 1980 1990 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Italia 10.7% 16.7% 23.4% 25.8% 26.2% 27% 27.3% 27.8% 28.2% 28.5% ii ALCUNE CIFRE SUL MOBBING: SVEZIA: IL 10,2% DEI LAVORATORI SONO MOBBIZZATI EUROPA: SECONDO IL RAPPORTO ILO IL NUMERO DI MOBBIZZATI E’ 12 MILIONI(8,1% DELLA POPOLAZIONE LAVORATIVA). INGHILTERRA: TRE MILIONI DI INGLESI VITTIME DI MOBBING NEGLI ULTIMI TRE ANNI. CIFRE INCREDIBILI: SARANNO VERE O NO ? MOLTI DUBBI IN PROPOSITO. UNA RICERCA DELLA EUROPEAN FOUNDATION FOR THE IMPROVEMENT OF LIVING AND WORKING CONDITIONS(1997) HA RILEVATO CHE IL 64% DEI LAVORATORI AVEVANO SUBITO O ERANO STATI TESTIMONI DI MOBBING. L’UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO, CON SEDE A GINEVRA, HA RILEVATO INVECE CHE NEL 1998 IL 53% DEI LAVORATORI INGLESI HA SUBITO ANGHERIE SUL LAVORO. IN SUD AFRICA IL 77% DEI LAVORATORI HA DICHIARATO DI ESSERE VITTIMA O DI ESSERE STATO VITTIMA DI VESSAZIONI. ALCUNE DEFINIZIONI DI MOBBING: “IL MOBBING E’ UN SISTEMA DI ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA DELL’ATTIVITA’ UMANA, CONSISTENTE IN UNA SUCCESSIONE DI EPISODI TRAUMATICI CORRELATI L’UNO CON L’ALTRO E AVENTI COME SCOPO L’INDEBOLIMENTO DELLE RESISTENZA PSICOLOGICHE E LA MANIPOLAZIONE DELLA VOLONTA’ DEL SOGGETTO MOBBIZZATO.” – A.CASILLI. 2000 “IL MOBBING E’ UNA SITUAZIONE COMUNICATIVA PRIVA DI ETICA CARATTERIZZATA DA COMPORTAMENTI SISTEMATICI OSTILI CONTRO UN INDIVIDUO CHE SVILUPPA COME REAZIONE GRAVI PROBLEMI PSICOLOGICI O FISICI.” – BROCHURE SU MOBBING – ASSESSORATO PER LE PARI OPPORTUNITA’ DEL COMUNE DI LOSANNA. “IL MOBBING VIENE ALIMENTATO DALLA NEGAZIONE AD AMMETTERE LA RESPONSABILITA’( I CARNEFICI SPESSO SI ATTEGGIANO A VITTIME) E PERPETUATO DA UN ATMOSFERA DI PAURA, OMERTA’, OCCULTAMENTO.” – T.FIELD ASPETTI ORGANIZZATIVI E MOBBING: ALCUNE RICERCHE HANNO GIA’ DIMOSTRATO IL RAPPORTO TRA: 1) AMBIGUITA’ DI RUOLO E MOBBING 2) CONFLITTO TRA LE EMISSIONI(CONFLITTO TIPICO DEL CAPO INTERMEDIO, AD ESEMPIO DEL QUADRO, CHE SI TROVA SPESSO A DOVER SODDISFARE LE RICHIESTE SIA DEI SUBORDINATI CHE DEI SUPERIORI, TROVANDOSI SPESSO TRA INCUDINE E MARTELLO) 3) MONOTONIA DEI COMPITI PER CERCARE DI RISOLVERE LA MONOTONIA DEI COMPITI ESISTE IL JOB DESIGN, CHE COMPRENDE QUESTE TRE TECNICHE: 1) JOB-ROTATION O ROTAZIONE DEI COMPITI: I LAVORATORI SI SPOSTANO A INTERVALLI PRESTABILITI DA UN COMPITO ALL’ALTRO. I COMPITI RICHIEDONO LO STESSO LIVELLO DI PROFESSIONALITA’. 2) JOB-ENLARGMENT O ALLARGAMENTO DEI COMPITI: A OGNI OPERATORE VENGONO ASSEGNATI PIU’ COMPITI DELLO STESSO LIVELLO. IL LAVORATORE COMPIE UN CICLO DI LAVORO PIU’ LUNGO, SVOLGENDO PIU’ MANSIONI ALL’INTERNO DELL’INTERO PROCESSO PRODUTTIVO. VIENE ANCHE CHIAMATO ALLARGAMENTO ORIZZONTALE, PERCHE’ IL LAVORATORE SVOLGE PIU’ MANSIONI, A MONTE E A VALLE, DELL’INTERO PROCESSO PRODUTTIVO, MA NON SONO RICHIESTE MAGGIORI COMPETENZE TECNICHE. 3) JOB-ENRICHMENT O ARRICCHIMENTO DEI COMPITI: PREVEDE L’INCORPORAZIONE DI ALCUNI COMPITI SVOLTI DAI SUPERIORI(AD ESEMPIO CAPISQUADRA ED ISPETTORI). PER QUESTO MOTIVO VIENE ANCHE CHIAMATO VERTICAL ENLARGMENT O ACCRESCIMENTO VERTICALE. INCONTRA SPESSO LE RESISTENZE DEI SINDACATI PER IL FATTO CHE AL LAVORATORE SI RICHIEDE MAGGIORE COMPETENZA E RESPONSABILITA’ SENZA AUMENTO DI STIPENDIO. UNA RICERCA DI LEYMANN IN UN OSPEDALE HA DIMOSTRATO CHE LA VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO ORGANIZZATIVO DELL’UNITA’ DI COMANDO ERA UN ANTECEDENTE ORGANIZZATIVO CORRELATO AL MOBBING. SECONDO IL PRINCIPIO DELL’UNITA’ DI COMANDO: OGNI DIPENDENTE DEVE AVERE UN SOLO CAPO ED DI QUESTO DEVONO RISPETTARE LE DIRETTIVE, OGNI DIPENDENTE DEVE SAPERE CHI E’ IL SUO CAPO( CIOE’ LA PERSONA A CUI FARE RIFERIMENTO), IL CAPO DEVE SAPERE ESATTAMENTE CHI SONO I SUOI SUBORDINATI[ NOVAGA, 1997; SPALTRO, 1990]. IPOTETICAMENTE LA VIOLAZIONE DI OGNI PRINCIPIO ORGANIZZATIVO PUO’ CAUSARE STRESS IN UN GRUPPO DI LAVORO, IL GRUPPO DI LAVORO PUO’ INCATTIVIRSI E SFOGARSI CON UN SINGOLO LAVORATORE PRESO DI MIRA, IL QUALE DIVENTERA’ CAPRO ESPIATORIO E VERRA’ MOBBIZZATO. ECCO ALTRI PRINCIPI ORGANIZZATIVI, LA CUI VIOLAZIONE PUO’ CAUSARE MOBBING(ANCHE SE AL MOMENTO NON ANCORA DIMOSTRATO EMPIRICAMENTE): 1) IL PRINCIPIO DELLA RIPARTIZIONE DEI COMPITI. SPESSO PUO’ AVVENIRE INFATTI CHE LA RIPARTIZIONE ESISTE, MA E’ PESSIMA. IL LAVORO VIENE INFATTI DISTRUBUITO SENZA ALCUN CRITERIO: SENZA TENER CONTO DELLE CAPACITA’, DELL’ESPERIENZA LAVORATIVA, DELLE COMPETENZE DI OGNUNO. 2) IL PRINCIPIO DI OMOGENEITA’ DEGLI INCARICHI, SECONDO CUI: I COMPITI DEL LAVORATORE NON DEVONO INTERFERIRE TRA LORO, DEVONO ESSERE CHIARI E DEFINITI ED OGNI LAVORATORE DEVE ASSOLVERE AD UNA SOLA FUNZIONE. 3) IL PRINCIPIO DELL’AMPIEZZA DI CONTROLLO: NESSUN SUPERIORE DEVE AVERE PIU’ SUBORDINATI DI QUANTI NON NE POSSA CONTROLLARE CON EFFICACIA. IL SUPERVISORE DEL GRUPPO DI LAVORO DEVE CONTROLLARE TUTTI I SUBORDINATI INDISTINTAMENTE, NELLO STESSO MODO. PER QUANTO RIGUARDA IL CONTROLLO DEL LAVORO ESISTE UN LIMITE PSICOFISICO SIA DEL SUPERVISORE CHE DEL SUBORDINATO: IL SUPERVISORE AVRA’ MAGGIORE AFFATICAMENTO MENTALE E PSICOLOGICO MAN MANO CHE IL NUMERO DI SUBORDINATI AUMENTA, IL SUBORDINATO INVECE AVRA’ MAGGIORE AFFATICAMENTO MENTALE E PSICOLOGICO SE IL SUO OPERATO VERRA’ CONTROLLATO IN MODO OSSESSIVO, MENTRE INVECE L’OPERATO DI ALTRI COLLEGHI VERRA’ CONTROLLATO MOLTO MENO. DA RICORDARE INFATTI CHE IL DIPENDENTE PIU’ VICINO NEL GRUPPO DI LAVORO AL CAPO E’ MOLTO PIU’ SOGGETTO AD ESSERE CONTROLLATO SISTEMATICAMENTE. I COSTI AZIENDALI DI UN’AZIENDA CHE PERMETTE IL MOBBING: -ALTO TURNOVER(NON SONO SOLO I MOBBIZZATI CHE VENGONO LICENZIATI O DANNO LE DIMISSIONI CHE SE NE VANNO VIA, MA ANCHE UNA DISCRETA PERCENTUALE DI LAVORATORI CHE HANNO ASSISTITO AL CASO DI MOBBING E CHE PER PAURA NON SONO INTERVENUTI A DIFESA DELLA VITTIMA. QUESTI SPETTATORI HANNO PAURA DI DIVENTARE A LORO VOLTA CAPRI ESPIATORI, CERCANO NUOVE OPPORTUNITA’ DI LAVORO E UNA VOLTA TROVATO UN NUOVO POSTO DANNO LE DIMISSIONI). -ASSENTEISMO E CONGEDI MALATTIA -DIMINUZIONE DEL TEMPO DI LAVORO NETTO(I MOBBER PASSANO LA MAGGIOR PARTE DELL’ORARIO DI LAVORO A PERSEGUITARE LA VITTIMA ED A PIANIFICARE COME PERSEGUITARLA IN FUTURO ): SECONDO CASILLI(2001) IL MOBBER PERDE IL 15% DEL PROPRIO TEMPO AL LAVORO IN VESSAZIONI. -CALO DI PRODUTTIVITA’ A LUNGO TERMINE DELLA VITTIMA(QUANDO NON E’ MALATA) -DEFICIT PRODUTTIVO(AUMENTO DEGLI SCARTI DI LAVORAZIONE, MAGGIOR NUMERO DI ERRORI) -SPESE LEGALI PER CAUSE CIVILI E/O PENALI(A SECONDA DELLA GRAVITA’ DEL MOBBING) -DANNO D’IMMAGINE ALL’AZIENDA(IL LAVORATORE CHE HA SUBITO MOBBING PUO’ INFORMARE LA STAMPA DEL SUO CASO) -COSTI PER LA LIQUIDAZIONE O LA BUONAUSCITA, OPPURE PER LA MESSA IN LISTA DI MOBILITA’(RARA NEI CASI DI MOBBING). -COSTI PER RIMPIAZZARE I MOBBIZZATI. PER QUANTO RIGUARDA I COSTI PER SOSTITUIRE UN LAVORATORE LICENZIATO RICORDIAMO: -COSTI DI RECLUTAMENTO(INSERZIONI SUI QUOTIDIANI DI OFFERTA LAVORO) -SCREENING: VALUTAZIONE DEI CURRICULUM E DELLE REFERENZE -COSTI DI SELEZIONE DEL PERSONALE(TEST, COLLOQUI) -TRAINING DEL NEOASSUNTO [ IL COSTO DI SELEZIONE E FORMAZIONE DI UN NEOASSUNTO E’ IN TOTALE DI CIRCA 15 MILIONI DI LIRE ] IL CASO DI MOBBING DI SANDRA CARRETTIN: SANDRA CARRETTIN E’ UNA INVALIDA. A 42 ANNI RISULTA ESSERE TROPPO GIOVANE PER AVERE LA PENSIONE E TROPPO IN LA’ CON L’ETA’ PER ENTRARE NELLO STATO. E’ ISCRITTA ALLE LISTE DI COLLOCAMENTO DA 7 ANNI E COME INVALIDA CIVILE DA TRE ANNI E MEZZO. E’ L’UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO, ORGANO ADIBITO A CHI APPARTIENE ALLE CATEGORIE PROTETTE, A TROVARLE UN’OCCUPAZIONE. LA SOCIETA’ A CUI E’ STATA DESTINATA PERO’ LA RIFIUTA SENZA AVERLA VISTA. A QUESTA SOCIETA’ VIENE IMPOSTA DOPO UNA LETTERA DI MANCATO AVVIAMENTO CON L’INTERVENTO DEL MINISTERO DEL LAVORO E DEL MINISTERO DELLA PREVIDENZA SOCIALE. ALL’INZIO GLI VIENE ASSEGNATA LA MANSIONE DI ADDETTA ALL’INSERIMENTO DATI. LEI PERO’ DEVE IMPARARE LA MANSIONE E PER QUESTA RAGIONE GLI VIENE ASSEGNATA UNA PERSONA, CHE NON NE SA NIENTE. SUCCESSIVAMENTE GLI VENGONO AFFIDATI LAVORI RIPETITIVI. DOPO QUALCHE TEMPO UNA COLLEGA GLI CONFESSA CHE GIRANO STRANE VOCI SUL SUO CONTO: DICONO CHE HA DEI PROBLEMI MENTALI, PERCHE’ APPARTIENE ALLE CATEGORIE PROTETTE. IN REALTA’ SONO SOLO CALUNNIE SENZA FONDAMENTO, PERCHE’ SANDRA CARRETTIN NON E’ MAI STATA PSICOLABILE, PIUTTOSTO FA PARTE DELLE CATEGORIE PROTETTE PERCHE’ HA AVUTO UNA PATOLOGIA FISICA, CHE LE HA RESO DIFFICILE CAMMINARE. LA CARRETTIN INDIVIDUA POI L’AUTORE DI QUELLE VOCI NEL CASELLI, AFFIANCATO DA UN GIOVANE RESPONSABILE ALLA PRODUZIONE. I RESPONSABILI SOCI DELLA SOCIETA’ NON MANCANO DI UMILIARLA ED AGGREDIRLA VERBALMENTE IN PUBBLICO DAVANTI AD ALTRI COLLEGHI IN PIU’ DI UN’OCCASIONE, DANDOLE SPESSO DELL’IDIOTA E CRITICANDO DAVANTI A TUTTI IL SUO OPERATO. INOLTRE INIZIANO A DARLE DEI LAVORI PER POI TOGLIERLI APPENA INIZIATI E DARLI AD ALTRI COLLEGHI. LA CARRETTIN ACCETTA DI ESSERE DELEGATA SINDACALE. NEL FRATTEMPO NELL’AZIENDA IN CUI LAVORA INIZANO LE STRATEGIE ELIMINATORIE: VENGONO COSTRETTI AL LICENZIAMENTO I DIPENDENTI SCOMODI, MENTRE I LAVORATORI DI FIDUCIA, CONSIDERATI POSITIVAMENTE DAI SOCI, SI AUTOLICENZIANO PER FARE PARTE POI DEL POPOLO DELLA PARTITA IVA. PER COSTRINGERLI AL LICENZIAMENTO USANO FONDAMENTALMENTE TRE TATTICHE: L’UMILIAZIONE E L’AGGRESSIONE VERBALE IN PUBBLICO, CONTINUI CAMBI DI MANSIONE, TRASFERIMENTI IN ALTRE SEDI. NON DI RADO LICENZIAVANO I DIPENDENTI, SENZA ASPETTARE LE LORO DIMISSIONI. TRA LE COLLEGHE ESISTONO ANCHE DELLE INFILTRATE, DELLE DOPPIOGIOCHISTE, CHE VANNO A SPIFFERARE TUTTE LE CONFIDENZE AI RESPONSABILI SOCI, IN CAMBIO DI PROMOZIONI E SALTI DI CARRIERA. A QUESTO PUNTO DELLA VICENDA LA CARRETTIN VIENE TRASFERITA A FERRARA, NONOSTANTE SIA MOLTO DIFFICOLTOSO PER LA SUA INABILITA’ FISICA FARE DA PENDOLARE. LA LAVORATRICE IN QUESTIONE UTILIZZA ALLORA LA LEGGE 300, CHE TUTELA I DELEGATI SINDACALI TRASFERITI NON PER ESIGENZE ORGANIZZATIVE, MA PER ALTRI FINI. NEL FRATTEMPO VIENE SUBISSATA DI CONTINUE VISITE DA PARTE DEL MEDICO FISCALE. IL MEDICO FISCALE CONFERMA LO STATO DI MALATTIA E LE FA UN REFERTO MEDICO. LO STESSO MEDICO FISCALE SI DICE DISPIACIUTO, MA DICHIARA CHE NON PUO’ FARE ALTRO: E’ L’AZIENDA CHE INSISTE A FARLE DELLE VISITE MEDICHE RIPETUTE. RIMESSASI VIENE RICONFERMATA DELEGATO SINDACALE E RITORNA ALLA VECCHIA SEDE DI MESTRE, DOVE PERO’ SONO RIMASTE POCHE PERSONE. I SOCI RESPONSABILI CONTINUANO LA TRATTANO COME UNA RITARDATA. AL MATTINO DEVE ATTENDERE DELLE MEZZE ORE PRIMA CHE ARRIVI QUALCUNO AD APRIRE IL SUO UFFICIO. UNA VOLTA ENTRATA LA CONTROLLANO CONTINUAMENTE. NON PUO’ PIU’ USCIRE. NON GLI RIVOLGONO LA PAROLA. LE PROIBISCONO DI RISPONDERE AL TELEFONO. LE PROIBISCONO DI USARE IL COMPUTER. UNA VOLTA HA UN VIOLENTO ALTERCO CON IL PRESIDENTE DELLA SOCIETA’ PER LA SUA SITUAZIONE. DURANTE QUESTA DISCUSSIONE ACCESA FA IL NUMERO DEL CELLULARE DI UN AMICO E LO LASCIA APERTO, IN MODO CHE POSSA ESSERE TESTIMONE DEGLI INSULTI CHE LE SONO RIVOLTI CONTRO. RIMANE UN ANNO DI LAVORO IN UN UFFICIO DA SOLA, MA CONTROLLATA DA COLLEGHI E SOCI RESPONSABILI IN MODO CHE NON ESCA DURANTE L’ORARIO LAVORATIVO. PASSA UN ANNO IN UN UFFICIO SPORCO E CON BRANDELLI DI PC SPARSI PER TUTTA LA STANZA. L’UNICO STRUMENTO FUNZIONANTE IN QUELL’UFFICIO E’ UN FAX. UN GIORNO NON RIESCE PIU’ A PROFERIRE PAROLA. LA DIAGNOSI FU DISARTRIA: DIFFICOLTA’ AD ARTICOLARE LA PAROLA. PER 7 MESI LA LAVORATRICE NON E’ CAPACE DI PRONUNCIARE UNA FRASE. DOPO 7 MESI DI RIABILITAZIONE CON UN LOGOPEDISTA I PROBLEMI SONO PARZIALMENTE RISOLTI. UNA VOLTA RISOLTA LA DISARTRIA VIENE PERO’ LICENZIATA. SANDRA CARRETTIN HA DENUNCIATO PER MOBBING I RESPONSABILI SOCI DELL’AZIENDA IN CUI LAVORAVA. QUESTA E’ UNA BREVE SINTESI DEL CASO. CHI LO VOLESSE APPROFONDIRE PUO’ LEGGERE: “IL MOBBING IN ITALIA”. CARRETTIN-RECUPERO. EDIZIONI DEDALO(2001) IL FENOMENO DEL MOBBING IN ITALIA. FONTI: DATI DELL’ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL LAVORO, DML, LABORATORIO DI PSICOLOGIA E SOCIOLOGIA DEL LAVORO, GRUPPO STUDIO E RICERCA SUL MOBBING. N.B: TRATTO DA “MOBBING, I COSTI UMANI DELL’IMPRESA” DI PAOLO SAOLINI. TUTTAVIA I DATI COME SONO RIPORTATI NEL LIBRO DI SAOLINI SONO GENERICI. IO QUI LE RIPORTO, PERO’ CON IL BENEFICIO DEL DUBBIO(NON ESSENDO STATE RESE NOTE LE DIMENSIONI DEL CAMPIONE, ETC). LE MOLESTIE SUL POSTO DI LAVORO IN ITALIA DEGENERANO PRINCIPALMENTE IN(VALORI PERCENTUALI): MOBBING 60 DISAGIO LAVORATIVO 31 VARIE 9 TUTTE LE REGIONI NE SONO INTERESSATE, E IN PARTICOLARE MODO IL LAZIO PER IL 43% DEI CASI. CARATTERISTICHE DEI SOGGETTI COLPITI(VALORI PERCENTUALI): SESSO UOMINI 52 DONNE 48 FASCE DI ETA’: DAI 51 AI 60 ANNI DAI 41 AI 50 DAI 31 AI 40 62 31 7 STATO CIVILE: CONIUGATI SEPARATI/DIVORZIATI 82 11 SCOLARITA’ MEDIA SUPERIORE DIPLOMA DI LAUREA MEDIA INFERIORE MASTER 71 17 9 3 QUALIFICA IMPIEGATI/QUADRI 81 CATEGORIE DIRETTIVE/DIRIGENTI 19 CARATTERISTICHE DELL’IMPRESA PUBBLICA 71 PRIVATA 29 SETTORE PRODUTTIVO SERVIZI INDUSTRIA 79 21 Evento/Difficoltà Valutazione primaria (percezione evento) Evento irrilevante Evento positivo Danno, minaccia o sfida Risorse di coping Socioecologiche: 1)utilitaristiche 2) reti sociali Valutazione secondaria: processo di considerazione di una risposta alla minaccia(rielaborazione) Risorse di coping Personali: 1)salute 2)energia 3)credenze 4)abilità di problem solving STILI DI COPING: CENTRATO SULLE EMOZIONI O CENTRATO SUL PROBLEMA Esito finale IL MODELLO DELLO STRESS E DEL COPING DI LAZARUS E FOLKMAN[1984] LA TECNOLOGIA ATTUALE E LA RESISTENZA AL CAMBIAMENTO: MACCHINE A CONTROLLO NUMERICO ROBOT CAD: IMPIEGO DELL’INFORMATICA PER LA CREAZIONE E CORREZIONE DI UN PROGETTO. CAE: SIMULAZIONE AL COMPUTER DI UN PROGETTO CIM: TECNOLOGIE INFORMATICHE INTEGRATE NELLA FABBRICA CAD/CAM: PROGETTAZIONE E PRODUZIONE INFORMATIZZATA DI UN PROGETTO INTERNET SOFTWARE: WORD, EXCEL, ACCESS, C++, VISUAL BASIC, OUTLOOK EXPRESS……. L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA COMPORTA UN CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO. LA RISTRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA COMPORTA NUOVE MANSIONI PER I DIPENDENTI. MA SPESSO DI FRONTE ALL’APPRENDIMENTO DELLE NUOVE MANSIONI I DIPENDENTI DI VECCHIA DATA OPPONGONO LA RESISTENZA AL CAMBIAMENTO. ALLORA DIRIGENTI ED IMPRENDITORI LI LICENZIANO O LI COSTRINGONO ALLE DIMISSIONI PER ASSUMERE PERSONALE PIU’ GIOVANE. INVECE SPESSO NON CONSIDERANO CHE OGNI CAMBIAMENTO IMPOSTO DALL’ALTO SENZ ALCUNA SPIEGAZIONE LOGICA PORTA ALLA RESISTENZA AL CAMBIAMENTO. LA RESISTENZA AL CAMBIAMENTO SAREBBE MINORE SE DIRIGENTI ED IMPRENDITORI TRAMITE CONFERENZE E DISCUSSIONI INTERNE CON I DIPENDENTI SPIEGASSERO LA SITUAZIONE AZIENDALE AI DIPENDENTI……SE RISPONDESSERO SUCCESSIVAMENTE ALLE OBBIEZIONI DEI DIPENDENTI……SE TRAMITE CORSI DI FORMAZIONE ADEGUATI I DIPENDENTI VENISSERO AIUTATI AD APPRENDERE DA FORMATORI COMPETENTI. A PROPOSITO DEGLI ATTUALI CORSI DI FORMAZIONE E RIQUALIFICAZIONE PROFESSIONAEL PAOLO CORNAGLIA-FERRARIS NEL SUO LIBRO CAMICI E PIGIAMI SCRIVE A PROPOSITO DELLA SANITA’ ITALIANA: “……SI TRATTA DI EX AUSILIARI O EX GENERICI RECLUTATI ATTRAVERSO UN SISTEMA CHE VA AVANTI DA ANNI CON PROMOZIONI DI MASSA E ATTRIBUZIONI PER QUALIFICHE FUNZIONALI CHE SONO IL PRODOTTO DI ACCORDI SINDACALI. QUASI SEMPRE L’ATTRIBUZIONE DELLE MANSIONI SUPERIORI E SPECIALISTICHE E’ FATTA DOPO TRAGICOMICI CORSI DI RIQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE CHE DOVREBBERO METTERE IN GRADO I PORTANTINI DI FARE TERAPIE ENDOVENOSE, GLI AUSILIARI DI ESEGUIRE TEST DIAGNOSTICI IN LABORATORIO, LE INFERMIERE DI ESEGUIRE E CONTROLLARE UNA DIETA PER DIABERTICI E COSI’ VIA.” [PAG.5- EDITORE LATERZA] ED ANCORA A PAG.24: “MINISTERO E REGIONE PARLANO SOLO DI TAGLI. MA PER TAGLIARE DAVVERO BISOGNA RIORGANIZZARE E PER RIORGANIZZARE BISOGNA INVESTIRE. PER INVESTIRE CI VOGLIONO I SOLDI, MA I SOLDI NON CI SONO PERCHE’ SONO STATI TAGLIATI. E’ IL GATTO CHE SI MORDE LA CODA” INNOVAZIONE TECNOLOGICA FORMAZIONE PERMANENTE: MAGGIORI FINANZIAMENTI ALLA FORMAZIONE. ATTUAZIONE DI UNA NUOVA LEGGE QUADRO SUI CORSI DI FORMAZIONE. CORSI IDONEI DI RIQUALIFICAZIONE. RISTRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA APPRENDIMENTO DI NUOVE MANSIONI INFORMAZIONE PERMANENTE: MAGGIORE COMUNICAZIONE AZIENDALE. DISCUSSIONI, ATTUAZIONE DELLA RICERCAINTERVENTO DI LEWIN. NUOVI TERMINI DELLA GLOBALIZZAZIONE DAL VOLTO DISUMANO: NET SLAVES: SCHIAVI DELLA RETE. ESPRESSIONE CONIATA DA LESSARD E BALDWIN. LA MAGGIOR PARTE DEI GIORNALI SPESSO SCRIVE DI GIOVANISSIMI IMPRENDITORI MILIARDARI DELLA NET ECONOMY, MA NESSUNO PARLA MAI DEI MILIONI DI LAVORATORI SFRUTTATI DALLA NEW ECONOMY. DIGITAL DIVIDE: DIVISIONE TRA LAVORATORI AGGIORNATI NELL’AMBITO INFORMATICO E LAVORATORI CHE NON HANNO MAI MESSO MANO AD UN PC. FREE-AGENT: “DONNE E UOMINI IL CUI REDDITO PUO’ CRESCERE O DECRESCERE SECONDO UN INFINITA QUANTITA’ DI VARIABILI, CHE VANNO DALLA SALUTE FISICA PERSONALE ALLA CONTINGENZA ECONOMICA MONDIALE, DALL’ANDAMENTO DELL’INDICE NIKKEI AL TRAFFICO IN TANGENZIALE LA MATTINA.” [GILIOLI, 2001] AGEISMO: CONCEZIONE SECONDO CUI I CINQUANTENNI SONO CONSIDERATI OBSOLETI. WORKOHOLISM: CONCEZIONE SECONDO CUI CHI NON LAVORA PER ALMENO 14-15 ORE AL GIORNO NON E’ UN BUON LAVORATORE HELP DESK: OPERAI SPECIALIZZATI IN PC, SPESSO LAVORATORI INTERINALI. SPESSO MOLTI LAVORATORI INTERINALI LAVORANO PER 10 ANNI NELLA STESSA AZIENDA. TUTTAVIA NON GODONO NE’ DEGLI STESSI DIRITTI SINDACALI DEI DIPENDENTI ASSUNTI A TEMPO INDETERMINATO, NE’ POSSONO AVERE I CONTRIBUTI. SE UNA MAGGIORE FLESSIBILITA’ IN ENTRATA PUO’ ESSERE AUSPICABILE PER L’ESIGENZA DELLE IMPRESE, IN MOLTI PAESI TUTTAVIA MANCANO ANCORA DELLE REGOLE CHE IMPEDISCANO LA TRASFORMAZIONE DELLA FLESSIBILITA’ IN ENTRATA IN NUOVO SFRUTTAMENTO ED IN PRECARIETA’ LAVORATIVA A LUNGO TERMINE. OLTRE UN CERTO NUMERO DI ANNI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO LE AZIENDE DOVREBBERO ESSERE OBBLIGATE AD ASSUMERE IL LAVORATORE A TEMPO INDETERMINATO: ALTRIMENTI E’ INUTILE PARLARE DI MAGGIORE FLESSIBILITA’ IN ENTRATA. BREVE TERMINISMO: FILOSOFIA AZIENDALE DEI RISULTATI E DEI PROFITTI A BREVE TERMINE. FA PARTE DI QUESTA FILOSOFIA AZIENDALE LA RISTRUTTURAZIONE SELVAGGIA. SENNET SCRIVE: “LE QUOTAZIONI AZIONARIE DELLE AZIENDE CHE SI SOTTOPONGONO A DOWNSIZING(RISTRUTTURAZIONE SELVAGGIA) SALGONO AUTOMATICAMENTE, COME SE QUALUNQUE CAMBIAMENTO FOSSE PREFERIBILE ALLA CONTINUITA’ “ RSI GENERATION: RSI E’ L’ACRONIMO DI REPETITIVE STRESS INJURY( SINDROME DOVUTA AL LAVORO AL VIDEOTERMINALE). SINTOMI: CERVICALE, DOLORE A POLSI E BRACCI, DOLORI ALLA SCHIENA. BOBOS: TERMINE INVENTATO DA DAVID BROOKS. E’ L’ACRONIMO DI BOURGEOIS BOHEMIEN. INDICA GLI ALTOBORGHESI DELLA NEW ECONOMY. LAVORANO CON INTERNET E NEL TEMPO LIBERO CREDONO ALLA NEW AGE. MCJOBBERS: LAVORATORI DELLA NEW ECONOMY A BASSO REDDITO. TRA I MCJOBBERS SONO COMPRESI AD ESEMPIO I CREWS DELLA MC DONALD. FRIGGONO, PULISCONO, O STANNO ALLA CASSA. ESSENDO ASSUNTI A PART-TIME E PER QUESTO NON GODENDO DI DIRITTI SINDACALI SONO FACILMENTE RICATTABILI. SLEEP CAMEL: LAVORATORI DELLA NEW ECONOMY TALMENTE SOVRACCARICATI DI LAVORO, CHE DORMONO LA STRAGRANDE PARTE DEL LORO TEMPO LIBERO. HOMELESS DELLA NEW ECONOMY: NELLA SILICON VALLEY LAVORATORI DELLA NEW ECONOMY DORMONO SULL’AUTOBUS 22, CHIAMATO PER QUESTO “HOTEL 22”. HANNO UN LAVORO ED UNO STIPENDIO, MA QUESTO NON GLI PERMETTE DI AFFITTARE UNA CASA. COST KILLER: DIRIGENTE CHE PIANIFICA LA RISTRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA, CHE TAGLIERA’ CENTINAIA O MIGLIAIA DI POSTI DI LAVORO. BLACK-TIES: BECCAMORTI. DIRIGENTI CHE HANNO IL COMPITO DI LICENZIARE INTERI GRUPPI DI LAVORATORI PER FARE LA RISTRUTTURAZIONE. COCOCO: ACRONIMO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA. UNA PICCOLA NOTA: IL 13% DEI PARASUBORDINATI-SECONDO L’IRES- PROVIENE DALLA STESSA SOCIETA’ DI CUI PRIMA ERANO DIPENDENTI A TEMPO INDETERMINATO. JOB ON CALL: LAVORO A CHIAMATA. IL DATORE DI LAVORO CHIAMA IL DIPENDENTE A LAVORARE PER UN DETERMINATO PERIODO, FINITO IL QUALE LO RIMANDA A CASA. RAGAZZI CALL-CENTER: CENTRALINISTI E CENTRALINISTE CHE FANNO TELEMARKETING. LA STRAGRANDE MAGGIORANZA E’ ASSUNTA A TEMPO DETERMINATO. NON GODENDO DI DIRITTI SINDACALI, SONO FACILMENTE RICATTABILI DAI DATORI DI LAVORO. NELLE RICERCHE SOCIALI QUANDO SI CERCA DI RILEVARE LE CARATTERISTICHE DI UNA PROBLEMATICA, NON ESSENDO POSSIBILE FARE UN’INDAGINE CHE COMPRENDA L’INTERA POPOLAZIONE(PER IL DISPENDIO DI COSTI E DI TEMPO), VIENE PRESA IN ESAME SOLO UNA PARTE DELLA POPOLAZIONE(IL CAMPIONE, CHE DEVE ESSERE RAPPRESENTATIVO DELLA POPOLAZIONE COMPLESSIVA, QUINDI UNA SORTA DI MODELLO IN MINIATURA). NEL CASO IN CUI VENGANO SOMMINISTRATI DEI QUESTIONARI A DEI LAVORATORI IN ALCUNE AZIENDE, BISOGNEREBBE QUINDI PRIMA CAMPIONARE(POSSIBILMENTE CON PROCEDURE DI CAMPIONAMENTO PROBABILISTICO) LE AZIENDE. ESISTONO DIVERSI TIPI DI CAMPIONAMENTO PROBABILISTICO: IL CAMPIONAMENTO CASUALE SEMPLICE IL CAMPIONAMENTO STRATIFICATO IL CAMPIONAMENTO PER GRAPPOLI IL CAMPIONAMENTO A DUE FASI IL CAMPIONAMENTO CON RIPETIZIONI IL CAMPIONAMENTO A PIU’ STADI IL CAMPIONAMENTO CON ROTAZIONE IL CAMPIONAMENTO SISTEMATICO IL CAMPIONAMENTO PER PANEL AD ESEMPIO SE SI VOLESSE FARE UN CAMPIONAMENTO STRATIFICATO IN BASE AL NUMERO DI DIPENDENTI DI UN’AZIENDA, PER FARE UN’INDAGINE NELLE PIU’ GRANDI AZIENDE IN UNA DETERMINATA AREA GEOGRAFICA, BISOGNEREBBE DISPORRE DELLA LISTA COMPLETA DI TUTTE LE AZIENDE CHE HANNO ALMENO IL NUMERO DI DIPENDENTI STABILITO. SUCCESSIVAMENTE BISOGNEREBBE INVIARE UNA LETTERA DI PRESENTAZIONE DELL’INDAGINE A TUTTE LE AZIENDE ED ASPETTARE CHE RISPONDANO E DIANO LA LORO DISPONIBILITA’. QUINDI DOVREBBE ESSERE CALCOLATO IL TASSO DI RISPOSTA(CIOE’ LA PERCENTUALE DELLE AZIENDE DISPOSTE ALL’INDAGINE). DOPO SI POTREBBE SOMMINISTRARE I QUESTIONARI A TUTTI I LAVORATORI DELLE AZIENDE DISPONIBILI. UNA VOLTA CHE E’ STATO SOMMINISTRATO IL QUESTIONARIO GIA’ STANDARDIZZATO SI DOVREBBE ELABORARE I DATI CON TECNICHE STATISTICHE(AD ESEMPIO L’ANALISI FATTORIALE). PER ELABORARE I DATI CON LA TECNICA STATISTICA PIU’ EFFICIENTE(L’ANALISI FATTORIALE) BISOGNEREBBE DISPORRE DI PROGRAMMI INFORMATICI E DI PERSONE CHE SIANO ESPERTE DI QUESTO SOFTWARE. BISOGNEREBBE DISPORRE DI QUESTI PROGRAMMI PERCHE’ SAREBBE ESTREMAMENTE ONEROSO (SIA PER QUANTO RIGUARDA IL TEMPO IMPIEGATO SIA PER QUANTO RIGUARDA LA DIFFICOLTA’ NEL REPERIRE PROFESSIONISTI CHE FACCIANO CALCOLI COSI’ COMPLESSI A MANO). INOLTRE SE ESISTE UNA PARTE DEL QUESTIONARIO CHE E’ AUTOVALUTATIVA( AD ESEMPIO PER RACCOGLIERE DATI SUI SINTOMI DI UNA MALATTIA PROFESSIONALE, COME IL MOBBING) BISOGNEREBBE FARE UNA COMPARAZIONE TRA AUTOVALUTAZIONE(I SINTOMI DESCRITTI DAL LAVORATORE) ED ETEROVALUTAZIONE( I SINTOMI DESCRITTI DA UNO PSICOLOGO CLINICO O UNO PSICHIATRA) E CALCOLARE IL COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE TRA L’AUTOVALUTAZIONE E L’ETEROVALUTAZIONE. IN MANCANZA DI QUESTA PROCEDURE BISOGNEREBBE QUANTO MENO CHE LA PARTE AUTOVALUTATIVA DEL QUESTIONARIO FOSSE INTEGRATA DAL GIUDIZIO DI UNO PSICOLOGO CLINICO O DI UNO PSICHIATRA. QUESTO E’ UN PRINCIPIO DELLA CLINIMETRIA, CHE FEINSTEIN NEL 1982, HA DEFINITO COME “LA DISCIPLINA MEDICA FINALIZZATA ALLO SVILUPPO E LA VALIDAZIONE DELLE VALUTAZIONI CLINICHE”. QUESTO E’ NECESSARIO PER EVITARE UN’ALTA PERCENTUALE DI FALSI POSITIVI, CIOE’ DI PERSONE CHE SI DICHIARANO AMMALATE E NON LO SONO. AD ESEMPIO BASANDOSI SOLTANTO SULLE SCALE SELF-REPORT PER QUANTO RIGUARDA LO STRESS LAVORATIVO O IL MOBBING SI RISCHIEREBBE DI CONSIDERARE COME LAVORATORE STRESSATO O COME MOBBIZZATO UNA PERSONA CHE INVECE SOFFRE DI ALTRI DISTURBI PSICHICI. L’IMPATTO STRESSOGENO DI UNO O PIU’ EVENTI(ANCHE MARGINALI) NON SONO DETERMINATI ESCLUSIVAMENTE DALLE CONDIZIONI OGGETTIVE, MA DIPENDONO ANCHE DALLA VALUTAZIONE SOGGETTIVA DELLA PERSONA IN QUESTIONE, DAL SUO STATO DI SALUTE MENTALE, DALLE SUE PRECEDENTI ESPERIENZE, ETC. UNA VOLTA EFFETTUATO QUESTO TIPO DI RICERCA(SOMMINISTRANDO I QUESTIONARI AI LAVORATORI DI DIVERSE AZIENDE) NON SI RILEVEREBBE AFFATTO LA PERCENTUALE DI LAVORATORI MOBBIZZATI, MA NELLA PROSPETTIVA PIU’ ROSEA LA PERCENTUALE DI LAVORATORI CHE DICHIARANO DI AVERE SUBITO VESSAZIONI, ANGHERIE, MOLESTIE MORALI SUL LUOGO DI LAVORO. ANCHE CON LE PROCEDURE DI CAMPIONAMENTO PIU’ SOFISTICATE, LE ANALISI DI ELABORAZIONE DI DATI PIU’ PRECISE ED UTILIZZANDO UN OTTIMO QUESTIONARIO(GIA’ STANDARDIZZATO) LA STIMA DI LAVORATORI CHE DICHIARANO DI AVER SUBITO VESSAZIONI DA COLLEGHI O SUPERIORI POTREBBE ESSERE VIZIATA DA FENOMENI QUALI: DESIDERABILITA’ SOCIALE, INSODDISFAZIONE LAVORATIVA GENERALE, MANCANZA DI FIDUCIA NEI CONFRONTI DEL QUESTIONARIO, MANCANZA DI FIDUCIA CHE ALLA FINE VENGA RISOLTO IL PROBLEMA, GOLIARDIA, DISINTERESSE, ETC. SI RISCHIEREBBE QUINDI DI SOPRAVVALUTARE LA STIMA DELLE VESSAZIONI E DI SPARARE CIFRE ESORBITANTI A RIGUARDO DEL PROBLEMA: QUESTO SAREBBE CONTROPRODUCENTE ALL’ANALISI DEL PROBLEMA MOBBING, DATO CHE SE TUTTO E’ MOBBING NIENTE E’ MOBBING. COSI’ FACENDO SI RISCHIEREBBE DI SOTTOVALUTARE I DANNI PSICHICI E LA SOFFERENZA INTERIORE DI UNA MALATTIA PROFESSIONALE, QUALE E’ IL MOBBING. IN QUESTO MODO LA PERSONA VERAMENTE MOBBIZZATA SOFFRIREBBE DOPPIAMENTE: DA UN LATO PERCHE’ MOBBIZZATA, DALL’ALTRO PERCHE’ SI TROVEREBBE A SOPPORTARE UN CLIMA CHE TENDEREBBE A MINIMIZARE IL SUO PROBLEMA( “ CHE VUOI CHE SIA? OGGI SONO TUTTI MOBBIZZATI!!! CHE VUOI CHE SIA ? OGGI SOFFRIRE DI MOBBING E’ DI MODA). UNA VOLTA HO LETTO I RISULTATI DI UNA RICERCA DI UN SINDACATO DI UN PAESE STRANIERO: VI ERA SCRITTO CHE IL 77% DEI LAVORATORI AVEVA SUBITO VESSAZIONI ED ANGHERIE SUL LUOGO DI LAVORO !!!!! DA CIO’ SI POTEVA CONCLUDERE CHE I LAVORATORI DI QUELL’ORGANIZZAZIONE NON SOLO ERANO MOBBIZZATI MA ANCHE MOBBER(TUTTI VITTIME E CARNEFICI), A MENO CHE UNO SPARUTO 23% MOBBIZZASSE L’ALTRO 77%( UN LAVORATORE CHE UMILIA TRE LAVORATORI): E’ TEORICAMENTE E PRATICAMENTE IMPOSSIBILE UNA CIFRA DEL GENERE. A MIO AVVISO SAREBBE INVECE MOLTO PIU’ PROFICUO: 1)SENSIBILIZZARE I SINDACALISTI DELLE AZIENDE CON COLLOQUI E MATERIALE DIVULGATIVO SUL PROBLEMA 2) SENSIBILIZZARE I LAVORATORI CON OPUSCOLI E CONFERENZE 3) ISTITUIRE UN NUMERO TELEFONICO PER AIUTARE I LAVORATORI CHE SOFFRONO DI MOBBING, STRESS, O ANCHE DI DISAGI PSICHICI(ASCOLTANDOLI TUTTI INDISTINTAMENTE, INDIPENDENTEMENTE DAL TIPO DI PROBLEMA). 4) CERCARE DI PRENDERE APPUNTAMENTO CON I LAVORATORI CHE TELEFONANO. FARE UN CHECK-UP COMPLETO AL LAVORATORE: ANAMNESI OCCUPAZIONALE, STATO DI SALUTE MENTALE, ETC. PER QUANTO RIGUARDA UN PRESUNTO CASO DI MOBBING IL LAVORATORE DOVREBBE AVERE: 1)UN COLLOQUIO APPROFONDITO DELLA DURATA DI 2-3 ORE CON UN SINDACALISTA O UNO PSICOLOGO DEL LAVORO CHE RILEVA GLI ASPETTI ORGANIZZATIVI DEL SUO CASO. 2)UNO PSICOLOGO CLINICO O UNO PSICHIATRA CHE RILEVA IL SUO STATO DI SALUTE MENTALE. 3)UN SINDACALISTA CHE CERCA DI TAMPONARE LA SITUAZIONE SE E’ ALLE PRIME FASI DEL MOBBING. 4)UN AVVOCATO EVENTUALMENTE SE IL LAVORATORE SI TROVA ALL’ULTIMA FASE DI MOBBING(L’ESCLUSIONE DAL MONDO DEL LAVORO). PER OGNI TESTIMONIANZA DOVREBBERO ESSERE RACCOLTI I DATI. TRAMITE QUESTO CHECK-UP SI POTREBBE INIZIARE A COGLIERE LE DIFFERENZE TRA UN LAVORATORE MOBBIZZATO ED UN LAVORATORE PARTICOLARMENTE PREDISPOSTO ALLO STRESS, TRA UN LAVORATORE SOFFERENTE DI DISTURBI MENTALI ANTECEDENTI ALLA REALTA’ LAVORATIVA ED UN LAVORATORE VESSATO, TRA UN LAVORATORE MOBBIZZATO ED UNO CHE SOFFRE DI BURN-OUT, ETC. NON SOLO MA CON UN CHECK-UP DI QUESTO TIPO SAREBBE PIU’ DIFFICILE INCORRERE IN FALSI NEGATIVI(PERSONE MOBBIZZATE, CHE APPARENTEMENTE NON SEMBRAVANO TALI) E FALSI POSITIVI(PERSONE PARANOICHE CHE IN UN QUESTIONARIO SAREBBERO CONSIDERATE MOBBIZZATE), IN QUANTO I COLLOQUI SAREBBERO APPROFONDITI E ALLA FINE DEI COLLOQUI I VARI ESAMINATORI AVREBBERO MODO DI SCAMBIARSI OPINIONI A RIGUARDO SUL CASO SPECIFICO. UNA RICERCA DI QUESTO TIPO POTREBBE DIRE QUALCOSA’ IN PIU’, A MIO AVVISO, RIGUARDO AL MOBBING. Come fermare il mobbing: COME FERMARE IL MOBBING: CONFLITTO QUOTIDIANO INIZIATIVE SINDACALI DI SENSIBILIZZAZIONE AL PROBLEMA INIZIO DEL MOBBING RESPONSABILE ANTIMOBBING SPORTELLO ANTIMOBBING ERRORI ED ABUSI DELL'AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE COMMISSIONE SINDACALE ANTIMOBBING COUNSELLING E GRUPPI DI AUTOAIUTO ESCLUSIONE DAL MONDO DEL LAVORO LEGISLAZIONE ANTIMOBBING