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CAP.1 IL MOBBING ED IL BOSSING IN ITALIA:
Il primo ad utilizzare il termine mobbing è stato Lorenz[1963] nell’ambito
dell’etologia per indicare il comportamento di alcuni animali, quando si
coalizzano tra loro per escludere un animale indesiderato dal gruppo.
Heinemann[1972] è stato però il primo ad introdurre il termine
mobbing(deriva da: to mob, ovvero accerchiare qualcuno) nell’ambito del
comportamento umano. Leymann[1984] ha definito il mobbing come
forma di comunicazione ostile e prolungata di uno o più lavoratori nei
confronti di un altro lavoratore, che non può difendersi. Lo stesso
fenomeno viene però chiamato in diversi nomi : nei paesi scandinavi esiste
il termine mobbing, in America emotional abuse o workpalce harassment ,
in Australia victmisation at work, in Inghilterra bullying at work, in Francia
harcèlement professional, in Olanda pesten, infine in Italia terrore
psicologico sul posto di lavoro. Esistono inoltre altri termini nei paesi di
lingua
inglese
che
descrivono
alcune
azioni
mobbizzanti
come
whistleblowing(screditare una persona), stalking( telefonate anonime,
lettere
di
minaccia,
volantini
diffamatori,
aggressioni
fisiche).
Neurberger[1994] ha definito il mobbing come un gioco sporco nelle
organizzazioni ai danni di un lavoratore che è impossibilitato a difendersi.
Ma come sottolinea Crawford[1998] il concetto di mobbing comprende
un’ampia gamma di comportamenti.
Per Hadjiifotiu[1983] il mobbing
consiste in un insieme di azioni sistematiche che dirette ad una vittima
involontaria, producono in questa distress e umiliazione. Bjorkqvist,
Osterman[1994] considerano il mobbing come una aggressione protratta
nel tempo nei confronti di un lavoratore che non è nelle condizioni di
1
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difendersi dagli attacchi. Per Keashly, Trutt, Mac Lean[1994] il mobbing è
fondamentalmente un abuso psicologico nei confronti di un lavoratore da
parte di uno o più lavoratori. Secondo Robinson e Bennett[1995] è un
comportamento
deviante
e
controproduttivo.
Per
Giacalone
e
Greenberg[1997] un comportamento antisociale sul luogo di lavoro.
Einarsen[1994] lo definisce come un processo graduale in continua
evoluzione. Walter[1993] definisce il mobbing come un conflitto a lungo
termine in cui tutti i partecipanti si fanno prendere dall’emotività e la cui
conseguenza porta ad uno stato di inferiorità di un partecipante. Per Andrea
Adams il mobbing è un abuso di potere o una condizione di criticismo
prolungato nei confronti di un lavoratore. Per DeLongis, Kessler[1989] il
mobbing è il passaggio dal potere disciplinare del datore di lavoro all’
abuso di potere. Per Olweus[1990] il mobbing è caratterizzato da uno
squilibrio di potere tra carnefice e vittima. Spector[1987] e Zapf[1999]
descrivono il mobbing come una forma di stress psicosociale sul luogo di
lavoro. Niedl[1995] , Einarsen, Raknes[1997] e Arnetz[1998] sottolineano
l’estrema rarità di aggressioni fisiche nel mobbing e la sottigliezza delle
azioni mobbizzanti. Brodsky[1976] distingue tra molestia soggettiva e
molestia oggettiva: tra ciò che effettivamente è stato fatto ai danni della
vittima e la percezione soggettiva dell’evento da parte della vittima.
Olweus invece opera una distinzione tra mobbing diretto ed indiretto: ad
esempio tattiche indirette sono l’esclusione sociale della vittima dal gruppo
di lavoro oppure la mancanza di informazioni necessarie a svolgere il
lavoro. Namie[2000] considera il mobbing come risultante sia di azioni
mobbizzanti che di atti di omissione(mancanza di aiuto e di
2
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collaborazione). Per definire il concetto di mobbing è necessario comunque
fare delle distinzioni. Innanzitutto bisogna fare la distinzione tra azioni
mobbizzanti e mobbing. Leymann nel suo questionario LIPT classifica
cinque tipi di azioni mobbizzanti: contatti umani negativi o insufficienti,
isolamento sociale, cambiamenti di mansioni, attacchi contro la
reputazione, violenza o minacce di violenza.
Secondo Leymann[1993] sia il trasferimento che gli spostamenti continui
da un reparto all’altro sono da considerarsi azioni mobbizzanti.
Successivamente Knorz e Zapf[1995] hanno aggiunto altri 39 tipi di azioni
mobbizzanti al questionario Lipt, tra cui ad esempio: l’esclusione dalle
cene aziendali, dare informazioni sbagliate, negare il diritto alla
formazione, togliere la scrivania, far lavorare parallelamente il successore
della vitttima. Il mobbing non consiste in un singolo atto episodico, ma in
una serie continua di azioni mobbizzanti, caratterizzata dalla durata di
almeno 6 mesi e dalla frequenza di almeno una vessazione a settimana. La
differenza tra azione mobbizzante e mobbing è determinata quindi sia dalla
frequenza che dalla durata delle azioni negative verso una personabersaglio[Leymann, 1996]. Nella maggior parte dei casi di mobbing gli
attori sono il mobber(il persecutore), il mobbizzato(la vittima), il sidemobber o co-mobber(il complice o i complici del mobber), gli spettatori
neutrali(bystanders). Per Huber[1994] una persona può diventare
mobbizzata se all’interno del gruppo di lavoro è sola, strana, nuova, o ha
successo rispetto agli altri colleghi. E’ un fatto ormai accertato che in ogni
caso di mobbing vi siano dei colleghi di lavoro della persona presa di mira,
che sono spettatori di quello che accade. Huber[1993] distingue gli
3
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spettatori in side-mobbers e bystanders. Ege nelle sue opere scrive
ripetutamente che nel mobbing “chi tace acconsente”, per cui secondo lui
nessuno sarebbe spettatore neutrale. Il comportamento del side-mobber è
subdolo.
Quando il conflitto è ormai manifesto si dichiara totalmente
estraneo alla vicenda ed ignaro della situazione critica[Walter,1993]:
eppure ha spalleggiato e parteggiato per il mobber, in alcuni casi lo ha
istigato ed aizzato contro la vittima. Altra caratteristica del side-mobber è
l’omertà a riguardo dell’intera vicenda. Spesso il side-mobber diventa tale
per cause razionali, come la carriera. Non è da escludere però il piacere di
assistere ad uno spettacolo emozionante, come un conflitto lavorativo. Si
pensi solo al piacere di molte persone di assistere ad uno spettacolo cruento
come la corrida, descritto magistralmente da Hemingway in “La morte nel
pomeriggio”. Si pensi a tutti gli spettacoli tuttora in voga come la lotta
greco-romana, il pugilato, il wrestling, il rally, le lotte tra cani, i
combattimenti tra galli, oppure agli spettacoli in voga nell’antichità come le
arene, i duelli, le impiccagioni in pubblico. Sia chiaro: nel mobbing lo
spettacolo porta spesso alla morte psicosociale della vittima e non
all’eliminazione fisica. Secondo l’associazione Health and safety authority
il mobbing causa aumento di assenteismo, aumento di turnover, deficit di
motivazione
nel
mobbizzato,
calo
di
produttività
nell’azienda.
Wilson[1991] ha stimato che i costi dovuti al mobbing ogni anno negli Usa
variano da 5 a 6 bilioni di dollari. La Camera di Commercio di Londra ha
invece stimato che il costo del mobbing è di 2 bilioni all’anno in
Inghilterra. Secondo la Camera di Commercio di Londra circa 19 milioni di
giornate lavorative sono perse a causa del mobbing. In Germania il
4
5
sindacato Dag ha stimato che il 50% dei lavoratori mobbizzati sta in
malattia per 6 settimane l’anno. Ege scrive che in Italia una vittima di
mobbing, costretta alla pensione a soli 40 anni costa 1 miliardo e 200
milioni di lire in più rispetto ad un pensionato all’età prevista. Queste cifre
sono da considerare con il beneficio del dubbio. Certo è che la comunità si
accolla tre tipi di costi ingenti a causa del mobbing: costi sanitari, costi
previdenziali, costi aziendali. I costi sanitari e previdenziali contribuiscono
ad aumentare il debito pubblico, mentre i costi aziendali determinano una
diminuzione del prodotto interno lordo. Il mobbing può essere verticale(il
datore di lavoro o il dirigente perseguita il sottoposto), orizzontale(spesso si
tratta di una molestia collettiva dei colleghi contro la vittima),
ascendente(dal basso verso l’alto). A sua volta si può distinguere tra
mobbing emotivo e mobbing strategico, sempre verticale. Quest’ultimo
viene definito bossing[Ege, 1999] o mobbing pianificato ed è compiuto da
parte del datore di lavoro per eliminare un lavoratore scomodo o addirittura
un gruppo ragguardevole di lavoratori(che spesso vengono trasferiti in
reparti-confino). Il mobbing dovuto ad anomalia dei rapporti interpersonali
è sempre esistito. Ma il mobbing strategico verticale(o bossing) è un
fenomeno assai recente, dovuto alle ristrutturazioni aziendali ed alle fusioni
di società[Cassitto,2000]. Nell’ambito del futuribile è possibile che con la
diffusione del telelavoro, della posta elettronica, delle videoconferenze ( in
definitiva di quello che Negroponte[1995] definisce il passaggio dagli
atomi ai bit) il mobbing diminuisca fino addirittura a scomparire:
prenderanno comunque il suo posto la pirateria del software, il flaming, il
computer crime, i virus degli hacker. A differenza del bullismo e del
5
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nonnismo il mobbing raramente comprende episodi di violenza fisica.
Inoltre il nonnismo è la negazione della gerarchia ufficiale e della catena di
comando dell’esercito, secondo cui le prove e le esercitazioni dovrebbero
essere ordinate da ufficiali e non da soldati semplici inesperti e prossimi al
congedo illimitato. Nel bullismo invece esiste la violenza fisica e la
minaccia di rappresaglia, ma le cause di questo fenomeno sono ravvisabili
in cause disposizionali e non situali. Il mobbing invece comprende delle
azioni sofisticate atte a distruggere l’identità sociale della personabersaglio. Inoltre- come vedremo- nel mobbing spesso avviene il passaggio
dal potere legittimo del superiore gerarchico all’abuso di potere. E’ raro
che si verifichino casi di mobbing estremo, ovvero di omicidi e suicidi
dovuti all’inasprimento di un conflitto lavorativo. Secondo Leymann[1990]
in Svezia ogni anno il 10-15% dei suicidi sarebbe dovuto al mobbing. Ma è
problematico classificare un suicidio in base alla causa che lo ha
determinato[Neumann, 2000]: per questa ragione non si ritengono credibili
le cifre e le stime riguardo ai suicidi dovuti al mobbing. Come è possibile –
viene da chiedersi – essere certi che un suicidio sia dovuto al mobbing e
non ad una depressione endogena mascherata, protratta per diversi anni ?
Queste stime possono solo portare acqua al mulino di
professionisti
dell’ultima ora che cercano in ogni modo di speculare sul problema
mobbing. Viene definito invece mobbing sessuale la persecuzione sul posto
di lavoro di un superiore gerarchico o di un datore di lavoro nei confronti di
una dipendente, che ha rifiutato le avances sessuali del capo. Per quanto
riguarda le fasi del mobbing, secondo Leymann[1993] esistono 4 fasi:
6
7
conflitto
quotidiano,
inizio
del
mobbing,
errori
ed
abusi
dell’amministrazione del personale, esclusione del mondo del lavoro.
Secondo Ege[1998] invece in Italia si verificherebbe in 6 fasi: conflitto
mirato, inizio del mobbing, primi sintomi psico-somatici, errori ed abusi
dell’amministrazione del personale, serio aggravamento della salute psicofisica della vittima, esclusione dal mondo del lavoro. In realtà Ege
aggiunge 2 fasi al modello di Leymann(primi sintomi psico-somatici e
serio aggravamento della salute della vittima), che riguardano il disagio
psichico del lavoratore mobbizzato, ma che niente hanno a che vedere con
l’iter del mobbing all’interno dell’organizzazione. Molto più interessante
invece è la scoperta del doppio mobbing in Italia, fatta da Ege[1998].
Secondo Ege la famiglia riveste un ruolo primario nella società italiana. In
Italia la famiglia riesce a dare un elevato sostegno morale al lavoratore
vessato ed umiliato, in modo che questo possa sfogarsi in casa e trovare
comprensione da parte dei propri familiari. Anche se la capacità di
resistenza della famiglia è più elevata rispetto a quella del singolo, anche
essa è limitata: accade quindi che una volta che la famiglia ha esaurito le
risorse cessa di sostenere la persona mobbizzata. Una volta avvenuta questa
saturazione della famiglia tutto il nucleo familiare, ormai stanco di
ascoltare di continuo lamentele e sfoghi, per istinto di conservazione inizia
a difendersi dal lavoratore mobbizzato, inizia a pensare e a dire che la colpa
di quel che accade in ufficio è solo sua. Il lavoratore vessato quindi si trova
sempre più solo: non ha oramai contro solo il mobber sul luogo di lavoro,
ma la sua stessa famiglia diventa mobber. Il primo a svolgere una ricerca
sul mobbing in Italia è stato Ege. Ha somministrato il questionario Lipt a
7
8
301 vittime di mobbing. Non si tratta certo di una ricerca compiuta su un
campione rappresentativo della popolazione lavorativa italiana e proprio
per questo motivo i dati della ricerca di Ege non sono da considerarsi
attendibili(come si può intuire dalla tabella della pagina successiva). Ad
esempio salta subito all’occhio che l’Emilia Romagna(26,9% dei casi di
mobbing) e la Lombardia(20,3%) siano sovrarappresentate, mentre Valle
d’Aosta,
Abruso,
Molise,
Basilicata
addirittura
non
sono
rappresentate(0%). Considerando la distribuzione in percentuale delle
vittime di mobbing nelle 4 zone statistiche d’Italia abbiamo invece: il 65%
mobbizzati provenienti dal nord, il 24% dal centro, il 6% dal sud, il 5%
dalle isole. Per quanto riguarda il settore lavorativo di provenienza delle
vittime il 22% lavorava nella amministrazione pubblica, il 38%
nell’industria, l’8% nella sanità, il 12% nella scuola, il 3% nella
magistratura, il 2% nell’agricoltura, il 15% in altri settori. Per quanto
concerne le fasce di età il 48% dei mobbizzati ha tra i 41 ed i 50 anni, il
32% tra i 31 ed i 40, il 15% tra i 51 ed i 60, il 5% tra i 21 ed i 30.
Regione di provenienza
della vittima
Valle d’Aosta
Piemonte
Lombardia
Trentino/Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Marche
Umbria
Numero
-19
61
2
19
8
6
81
17
10
1
Percentuale
0%
6,3%
20,3%
0,7%
6,3%
2,7%
2,0%
26,9%
5,6%
3,3%
0,3%
8
9
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Basilicata
Puglia
43
--13
-2
14,3%
0%
0%
4,3%
0%
0,7%
Calabria
Sardegna
Sicilia
4
6
9
1,3%
2,0%
3.0%
Zona statistica
Nord
Percentuale delle vittime intervistate
65%
Centro
Sud
Isole
24%
6%
5%
Numero dei dipendenti
<11
11-30
31-50
51-100
101-500
>501
Numero dei mobber
Una persona
Da 2 a 4 persone
Oltre 4 persone
Tutto il reparto
gruppo di lavoro
Percentuali
2%
9%
9%
13%
28%
39%
Risultati di Ege in Italia Risultati di Leymann in
Svezia
19,9%
33%
45,5%
40%
26,3%
27%
o 8,3%
Leymann non riporta
questo dato. Scrive che
è molto raro che si
verifichi.
9
10
numero dei dipendenti nelle aziende delle vittime di mobbing
S1
Serie1
<11 da 11 31-50 51- 101- >501
a 30
100 500
Secondo le conclusioni di Ege in Italia a differenza che in Svezia(dove ha
condotto le sue ricerche Leymann) esisterebbe una CONDIZIONE ZERO,
ovvero una pre-fase del mobbing sul luogo di lavoro. Questo
significherebbe che nel nostro paese a differenza degli altri paesi europei la
conflittualità nelle aziende e nelle istituzioni è quotidiana. Non solo, ma
viene anche tollerata molto di più che negli altri paesi. In Italia è più
probabile che un capoufficio faccia una sfuriata. In altre nazioni questo
comportamento sarebbe considerato un comportamento da mobber. Questa
fase che Ege ha definito condizione zero probabilmente è determinata da un
particolare pregiudizio culturale, che nel nostro paese risente ancora della
concezione biblica della sofferenza sul lavoro. Il luogo di lavoro secondo
questa concezione assai retrograda non può essere luogo di benessere, ma
solo luogo di sofferenze per avere la busta paga a fine mese.
10
11
mobbing e fasce di età
48%
50%
40%
32%
30%
5%
10%
0%
Serie1
15%
20%
21-30anni
31-40
41-50
51-60
settore di provenienza delle vittime di mobbing
altri sett.
agricolt.
magistrat.
industria
sanità
scuola
amm.pubb
Settore di provenienza delle vittime
Industria e servizi
Amministrazione pubblica
Scuola ed università
Sanità ed ospedali
Magistratura
Agricoltura
Altri settori
Percentuale
38%
22%
12%
8%
3%
2%
15%
11
12
I dati sia delle tabelle che dei grafici sono tratti da “I numeri del mobbing”
di Ege.
Viene da chiedersi: possibile che al sud ci sia solo il 6% di mobbing e
nelle isole solo il 5% ? Le ipotesi sono due: 1) il sud è meno
industrializzato. Nell’11% sono compresi tutti i casi di mobbing di mafia.
Ma questa ipotesi è poco credibile, poco realistica. 2) nel sud il tasso di
mobbing è molto maggiore rispetto ai dati di Ege. Le statistiche di Ege
risentono sia del fatto che la sede della sua associazione è a Bologna e non
nel sud, sia del fatto che i mobbizzati nelle imprese mafiose hanno paura
per la propria incolumità e per quella dei propri familiari. Eppure anche
Ege nel suo libro “mobbing estremo” intitola un capitolo “la mafia come
mobber”, in cui scrive di essere venuto a conoscenza di lavoratori, che
avevano ricevuto intimidazioni da dipendenti e dirigenti dell’azienda di
“copertura mafiosa”, in cui lavoravano. Ege scrive di aver ricevuto
richieste di aiuto tramite lettere e telefonate anonime: molto raramente è
venuto a conoscenza di queste storie tramite un colloquio diretto con gli
intervistati. Si ricorda che il mobbing all’interno di un azienda mafiosa può
avvenire principalmente per tre motivi: 1) perché il lavoratore fa la spia e
perciò viene ucciso. Si tratta quindi di mobbing estremo. 2) perché
l’azienda mafiosa ha delle scadenze pressanti ed allora costringe i
dipendenti a lavorare senza sosta e a lavorare per alcune ore senza essere
retribuiti. 3) perché l’impresa mafiosa vuole licenziare il dipendente onesto
per poi sostituirlo con un uomo del clan. Come vedremo inoltre le stime
12
13
riguardo al mobbing in Italia non sono attendibili, perché il nostro paese ha
uno dei più elevati tassi di lavoro nero in Europa. Di conseguenza è
impossibile allo stato attuale quantificare il mobbing sommerso in Italia.
Altri aspetti che non sono stati presi in esame nella ricerca di Ege sono i
nuovi settori occupazionali in Italia: la new economy e il non profit. Per
quanto riguarda la new economy esiste la possibilità che una quota parte di
questo nuovo settore sia dominato dal liberismo selvaggio. In Italia
attualmente non sono state fatte ricerche che indagano l’incidenza delle
vessazioni nell’ambito della new economy. In America si parla già di net
slaves, cioè dei lavoratori della new economy sottopagati e sfruttati. La
legge sulle Onlus(organizzazioni non lucrative di utilità sociale) è stata
varata nel 1997 con il decreto 460. Le associazioni non profit si stanno
diffondendo a dismisura nel nostro paese perché hanno sia la possibilità di
richiedere l’esenzione Iva che di ricevere donazioni che possono essere
scaricate dalle tasse. Possono inoltre ricevere crediti agevolati. Nonostante
questi vantaggi ci sono anche dei problemi come il fund rising, ovvero
ricercare fondi ed attuare una strategia di approvvigionamento finanziario.
Per ottenere dei finanziamenti i responsabili dell’associazione devono
quindi riuscire a padroneggiare le leggi di finanziamento regionali ed
europee. Un altro problema è quello dell’elevato turnover di queste
associazioni: volontari, collaboratori part-time, obiettori, pensionati che si
avvicendano all’interno dell’associazione. Proprio questo elevato tasso di
turnover potrebbe essere una causa di mobbing, ma allo stato attuale delle
conoscenze non esistono dati né a favore né contro questa ipotesi: il settore
è ancora inesplorato da questo punto di vista. Ci sono poi categorie di
13
14
lavoratori che non sono state ancora prese in esame, come ad esempio i
lavoratori immigrati o le lavoratrici domestiche. Quanti sono i lavoratori
immigrati mobbizzati ? Quante sono le lavoratrici domestiche sottoposte a
mobbing sessuale ? L’European Foundation for the Improvement of Living
and Working Conditions ha svolto una ricerca tra il Novembre 1996 ed il
Gennaio 1997 sulle molestie morali sul luogo di lavoro in 15 paesi europei.
Secondo i risultati di questa ricerca in Italia il mobbing avrebbe
un’incidenza del 4% sui lavoratori. i Inoltre questa cifra non è attendibile
per l’esiguo numero di persone intervistate(solo 1032 lavoratori in Italia).
Gilioli[2000] considera questa cifra come un dato approssimato per difetto.
16%
14%
12%
10%
8%
6%
4%
2%
0%
Nazione
Inghilterra
Germania
Svezia
Francia
Finlandia
1
Inghilterra
Germania
Svezia
Francia
Finlandia
Irlanda
Olanda
Spagna
Grecia
Italia
Percentuale di lavoratori sottoposti
ad intimidazioni e bullying sul
lavoro
16%
14%
10%
9%
9%
14
15
Irlanda
Lussemburgo
Austria
Olanda
Danimarca
Spagna
Portogallo
Grecia
Belgio
Italia
8%
7%
7%
7%
6%
5%
5%
5%
4%
4%
Fonte: European Foundation for the improvement of Living and Working
Conditions,1997, pag.312. Dati tratti da “Violence at work” di Chappell e
Di Martino[ILO].
In paesi come la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, l’inghilterra, gli Usa,
l’Australia, la Germania il mobbing è da anni oggetto di studio per i
ricercatori sociali[Chappell, Di Martino, 2000].
Per Cassitto[2000] in
Italia, Francia, Olanda, Svizzera, Spagna siamo ancora agli inizi, solo ora si
sta iniziando a considerare la problematica mobbing. Nel frattempo alla
Wolkswagen i sindacati tedeschi nel contratto collettivo hanno inserito un
capitolo sul mobbing; all’Ibm è stato inaugurato un dipartimento benessere
che si occupa anche di mobbing. Dopo l’aumento di mobbing nelle
companies giapponesi[Coleman, 1996] la Tokyo Manager’s Union ha
creato una “Bullying hoy-line”. Nei paesi scandinavi oltre ad una
normativa vigente anti-mobbing in molte azienda sono diffusi codici di
comportamento contro le molestie morali, vengono fatti corsi di
formazione per i dirigenti e iniziative seminariali per i dipendenti per
sensibilizzare tutti riguardo al mobbing. Nei paesi scandinavi ed in
America sono inoltre più diffuse le strutture di gestione del personale, che
15
16
possono prevenire il mobbing o fare counselling, cioè fornire supporto nei
momenti peggiori ed aiutare la persona a mobilitare le proprie risorse
interiori nell’affrontare il problema. Secondo una ricerca di Baron[1986] il
40% delle grandi imprese americane disponeva di direzioni del personale
già dal 1935. Nel nostro paese la presenza di direzioni del personale sono
sempre state una rarità e quando sono presenti nella realtà aziendale sono
prevalentemente orientate nei compiti amministrativi e disciplinari[Vanni,
1970]: non certo nella selezione, nella valutazione, nella ricompensa, nello
sviluppo ed infine nell’ascolto delle problematiche dei lavoratori. In Italia
esiste ancora molta disinformazione a riguardo del mobbing. Alcuni
giornalisti hanno descritto il mobbing come la sindrome di Fantozzi, come
scrive Gilioli[2000].
Francesco Merlo in Sette n°47 del 26/11/’98,
supplemento del “Corriere della Sera” ha scritto: “..e senza mobbing Dino
Buzzati non avrebbe neppure immaginato “Il deserto dei tartari”, quel
romanzo sul “mobbing” praticato (a quei tempi) al “Corriere della Sera”.
Una storia che è un omaggio straordinario alla maldicenza, alla calunnia, al
dolore e alla miseria, insomma alla vita della gentaglia d’ufficio.” Prendere
sul serio la posizione di Merlo significherebbe però fare confusione tra
mobbing(presente sul luogo di lavoro) ed ostracismo(presente nel settore
artistico). Poeti come Dino Campana, attori di teatro come Dario Fo,
cantautori come Piero Ciampi, interpreti come Mia Martini sono stati
emarginati per anni nel loro ambito. Ma non si può paragonare i casi di
ostracismo artistico con i casi di mobbing: infatti a differenza dei
mobbizzati gli artisti ostracizzati godono di un’ampia rete di supporto
sociale, costituita da decine se non centinaia di loro estimatori, sempre
16
17
pronti ad aiutarli finanziariamente o a dare loro lavoro. Gli artisti
ostracizzati hanno sempre una remota possibilità di trovare un mecenate, i
mobbizzati no. Il mobbing comunque secondo alcuni giornalisti sarebbe un
male immaginario, se non addirittura una necessità. Nel frattempo nel
nostro paese per la Confindustria il mobbing non esiste. I sindacati invece
iniziano a promuovere conferenze sul mobbing e ad aprire sportelli antimobbing. La Uil ad esempio ha aperto il primo sportello anti-mobbing a
Perugia. A Torino è stato fatto un corso anti-mobbing a cui hanno
partecipato 300 dipendenti comunali. Secondo Ege comunque i sindacati
italiani non possono intervenire efficacemente a riguardo, perché spesso il
mobber, mobbizzato e side-mobber sono iscritti entrambi allo stesso
sindacato.
I
sindacati
italiani
secondo
Ege
possono
intervenire
efficacemente nella contrattazione collettiva, ma difficilmente possono
difendere il singolo lavoratore contro altri lavoratori. Può anche accadere
che rispetto ad un caso di mobbing il delegato sindacale si schieri con i
mobber e l’avvocato del sindacato si schieri invece con il presunto
mobbizzato. In pratica quindi anche i sindacati rispetto al problema
mobbing non hanno ancora attuato tecniche di intervento efficaci per
attuare mediazioni e gestire conflitti tra lavoratori. Sia chiaro: i sindacati
attualmente hanno svolto un ruolo preponderante in Italia nella
sensibilizzazione riguardo al mobbing. Attualmente un mobbizzato per
curarsi e per far valere i propri diritti lavorativi deve rivolgersi non ai
sindacati, ma a strutture specializzate come la Clinica del Lavoro “Luigi
Devoto” di Milano, la Mima(Movimento Italiano Mobbizzati Associati) di
Roma,
la
Prima(Associazione
Italiana
contro
mobbing
e
stress
17
18
psicosociale) di Bologna, l’ISPESL(Istituto Superiore per la Prevenzione e
la Sicurezza del Lavoro) di Roma.
i
Non è stato possibile venire a conoscenza del tipo di campionamento effettuato per pervenire a questi
dati. Il tipo di campionamento non è menzionato né nel volume “Violence at work” di Chappell e Di
Martino, né negli abstract in lingua inglese. Uno dei problemi riguardo al mobbing è proprio
l’insufficienza di dati statistici attendibili, ossia reperiti tramite criteri considerati scientifici. Nella
stragrande maggioranza delle ricerche sul mobbing non sono infatti menzionati i tipi di campionamento
adottati, oppure i campioni non sono rappresentativi della popolazione lavorativa del paese in cui è stata
svolta l’indagine. E’ da ritenersi inoltre che in ogni indagine avente oggetto di studio un fenomeno assai
recente e di cui conosciamo ancora poco(il mobbing) la ricerca qualitativa(ad esempio le interviste
semistrutturate) dovrebbe precedere ed affiancare la ricerca quantitativa, per non incorrere in alte
percentuali di falsi negativi e falsi positivi: purtroppo nell’ambito del mobbing gli studiosi svolgono solo
ricerca qualitativa o solo ricerca quantitativa. Un altro problema riguardo alle ricerche sul mobbing è
l’enorme difficoltà di avere un campione rappresentativo della popolazione lavorativa del paese in cui si
svolgono le ricerche. Gli psicologi clinici, gli psicologi del lavoro, gli psichiatri che si occupano di
mobbing non hanno l’opportunità di scegliersi i lavoratori mobbizzati in base al loro settore lavorativo,
bensì sono i lavoratori mobbizzati, spesso casualmente, a scegliere loro. D’altronde vige un ordine di
priorità: si occupano sopratutto della sofferenza psichica e della rilevazione dei sintomi fisici e psichici
dovuti al mobbing.
18
19
2.
DINAMICHE DI GRUPPO E MOBBING:
Per considerare un insieme di persone come un gruppo sono
innanzitutto necessarie queste premesse di base: interdipendenza tra gli
individui, perseguimento di uno stesso obiettivo, bisogno di
appartenenza.
Lewin[1951]
analizzò
il
gruppo
come
entità
superindividuale e prese a prestito il concetto di campo dalla fisica:
come un campo magnetico esercita una certa forza su un ago, così
l’individuo all’interno del gruppo è influenzato da forze psicologiche
che lo trascendono. Il gruppo per Lewin è quindi “una totalità
dinamica”, cioè è diverso dalla somma dei singoli individui che ne
fanno parte. Per Stone[1992] esistono tre tipi di fenomeni all’interno del
gruppo: i fenomeni relativi al gruppo come totalità, le dinamiche
interpersonali, i processi intrapsichici. Che il gruppo sia diverso dalla
somma dei singoli membri del gruppo non è necessariamente un fatto
positivo. A riprova esiste in letteratura la tradizione del pensiero anticollettivo di Le Bon[1897] e Mc Dougall[1920]. Anche per quanto
riguarda la performance Steiner[1971] ha scoperto che la produttività
effettiva di un gruppo è uguale alla produttività potenziale meno le
perdite di processi imperfetti. Uno di questi processi imperfetti è
“l’effetto Ringelmann”[1913], dovuto ad un deficit di motivazione. Per
Ingham[1974] e successivamente per Stroebe e Frey[1982] esistono due
perdite di processo nel gruppo: le perdite dovute alla motivazione, le
perdite dovute alla mancanza di coordinamento.
All’interno di un
grupppo possono verificarsi casi di free-rider o di social loafing[Latane,
1979]. Nel primo caso un membro di un gruppo sceglie deliberatamente
20
di disimpegnarsi, consapevole che difficilmente qualcuno se ne
accorgerà. Nel secondo caso tutti i membri del gruppo vengono
influenzati da una sorta di inerzia sociale non intenzionale: il fatto stesso
di essere in gruppo quindi deteriora il loro livello di prestazione. E’
ipotizzabile che in determinati casi la persona mobbizzata sia un freerider, oppure sia più efficiente rispetto alla media del gruppo, affetto da
social loafing. Per perdite di coordinamento invece bisogna intendere i
tempi lunghi per giungere al consenso nella presa di decisioni, la
difficoltà di condivisione delle informazioni, l’organizzazione logistica
del gruppo nello svolgimento di compiti[Zappalà, 1998]. Un paradosso
riscontrabile nell’analisi dei gruppi è che un insieme di persone normali
può formare un gruppo patologico e violento, mentre un gruppo
strutturato può svolgere funzione terapeutica nei confronti del singolo
individuo con disturbi psichici( ne sono esempi lo psicodramma di
Moreno, la terapia cognitivo-comportamentale di Ellis, i gruppi
bioenergetici di Lowen, etc). Il gruppo svolge funzioni psicologiche
fondamentali per l’equilibrio dell’individuo come mantenimento
dell’autostima, sostegno morale, comprensione dei problemi. Durante il
quarto congresso internazionale di psicoterapia di gruppo, svoltosi a
Vienna nel 1968, il gruppo venne concepito come “difesa contro
l’ansietà che ci viene dal pensiero dei miliardi di individui che vivono
sul nostro pianeta”. Allo stesso tempo l’individuo per essere parte
integrante di un gruppo deve ridefinire il concetto di se stesso[ Kuhn e
Mc Partland, 1954; Brown, 1978; Moreland e Levine, 1982]. E’ quindi
pacifico ritenere che una persona emarginata dal gruppo di lavoro sia
21
fortemente demoralizzata, demotivata ed a lungo termine si senta
sempre più indifesa. E’ invece argomento più controverso stabilire quali
possano essere i fattori che possono essere causa dell’emarginazione di
una persona dal gruppo. Il motivo più facilmente rintracciabile è la
diversità dell’individuo emarginato dal resto della comunità. Una
rassegna di studi ha rilevato infatti la contiguità tra somiglianza,
credenze simili ed amicizia[Byrne, 1971]. L’ambiente di lavoro infatti è
costituito da un piccolo gruppo e spesso nel piccolo gruppo si crea una
cricca, uno zoccolo duro, che tende ad escludere “i diversi”. Questa
differenza che lo contraddistingue negativamente dal resto del gruppo
può essere volontaria o involontaria. Nel primo caso il soggetto
emarginato è un deviante, che non si conforma alle regole adottate dal
gruppo.
Il
gruppo
di
lavoro
è
ufficialmente
un
gruppo
secondario[Cooley,1902], ma all’interno si creano dei sottogruppi
informali, che stabiliscono regole di comportamento e livelli di
prestazione[Brown, 1961]. Il gruppo informale può fornire sostegno,
solidarietà, rimozione dell’ansietà individuale soprattutto in lavori
rischiosi come quello del minatore[Trist e Bamforth, 1951]. Una
maggiore coesione del gruppo di lavoro aumenta il livello di sicurezza
ambientale dei lavoratori[Ancelin-Schutzenberger, 1961]. Ma in
determinate circostanze il gruppo informale può emarginare chi ha
divergenze
di
vedute
rispetto
alla
posizione
prioritaria
della
maggioranza o atteggiamenti e comportamenti diversi, che la
maggioranza disapprova. Inizialmente i membri del gruppo rivolgono
maggiore attenzione al deviante per convincerlo a cambiare idea, ma se
22
questi tentativi hanno esito negativo
allora vengono evitati, non
considerati ed ostracizzati[Festinger, 1950; Schachter, 1951]. Nel caso
della diversità involontaria la persona appartiene ad una minoranza
all’interno del gruppo. E’ nero in un gruppo di bianchi, gay in un gruppo
di eterosessuali, moralista in un gruppo di libertini, di destra in un
gruppo di sinistra o viceversa. E’ possibile individuare il lavoratore
scomodo con la scala LPC(Least Preferred Co-Worker) di Fiedler[1978]
oppure con il metodo sociometrico di Moreno[1934]. In questa
circostanza il fenomeno della CATEGORIZZAZIONE SOCIALE può
accentuare le differenze esistenti. La categorizzazione è la tendenza a
considerare gli elementi del mondo esterno come raggruppati in insiemi
omogenei. Di conseguenza gli elementi classificati in una stessa
categoria vengono stimati come più simili tra loro di quanto in effetti
siano, mentre vengono accentuate oltre misura le differenze tra le
diverse categorie, enfatizzando i tratti che possono considerarsi
distintivi. Come dimostrò Tajfel[1957, 1959] il fenomeno di
categorizzazione è presente anche nella percezione di oggetti e figure.
Altri fenomeni e dinamiche di gruppo possono facilitare la violenza
psicosociale,
quali:
la
deindividuazione,
la
polarizzazione,
la
normalizzazione, l’obbedienza acritica all’autorità, una leadership
autoritaria, la relazione tra frustrazione ed aggressività, il fenomeno del
bystander, il disimpegno morale.
E’ altamente improbabile ad esempio che un razzista da solo se la prenda
con una persona di colore, mentre ciò potrebbe accadere quando si trova in
un gruppo di persone con gli stessi pregiudizi. Questa differenza di
23
comportamento si può spiegare con il fenomeno intragruppo di
deindividuazione[Zimbardo,
1969].
La
DEINDIVIDUAZIONE
è
l’attenuazione della propria identità personale, caratterizzata da sensazione
di anonimato, responsabilità diffusa, sottovalutazione e trasgressione delle
norme istituzionali.
La POLARIZZAZIONE è uno spostamento nella posizione verso cui la
maggioranza del gruppo è orientata. Una rassegna di studi[ Wallach, 1962;
Moscovici e Zavolloni, 1969; Fraser, 1973;Stephenson et al. , 1975;
Laughin, 1980] ha documentato questo fenomeno del gruppo nell’ambito
della presa di decisioni, del decision making, ma è plausibile che ciò
avvenga anche nella valutazione delle persone. Alcune ricerche hanno
infatti dimostrato che la polarizzazione non è un effetto del gruppo presente
solo nella scelte di decisioni strategiche sulle cose, come nelle scelte
rischiose nel gioco di azzardo, ma perfino sulle persone: ad esempio nei
verdetti delle giurie. L’iniziatore di questo filone di ricerca fu
Stoner[1961], che somministrò un questionario di 12 item, che misurava la
propensione al rischio. Successivamente Janis nel 1972 ha descrittto
numerosi esempi di prese di decisioni politiche, causate dal fenomeno di
polarizzazione, come ad esempio l’invasione della Baia dei Porci nel 1961,
in cui il presidente Kennedy ed un gruppo di consiglieri vollero appoggiare
con l’aviazione americana una squadriglia di esuli cubani, che invasero le
coste di Cuba. L’epilogo fu tragico: alcuni esuli vennero uccisi, altri fatti
prigionieri. Anche Myers e Bishop[1970] con le loro ricerche su un gruppo
di studenti con pregiudizi razziali hanno confermato il movimento verso
l’estremo di membri del gruppo con atteggiamenti simili.
24
Un altro processo che può rafforzare l’ostilità di un gruppo nei confronti di
un individuo è la NORMALIZZAZIONE, ovvero il fenomeno di
convergenza spontaneo dei punti di vista. Come ha scritto Allport[1954]:
“c’è nell’uomo una tendenza fondamentale a moderare le proprie opinioni e
la propria condotta in rapporto alle opinioni e alle condotte degli altri”. Fu
Sherif[1935] il primo a dimostrarlo con il suo celebre esperimento
sull’effetto autocinetico, ripetuto successivamente da altri studiosi con i
medesimi risultati. Con questo esperimento Sherif dimostrò che gli
individui quando si imbattono in uno stimolo ambiguo e di non chiara
interpretazione si adeguano acriticamente alla posizione assunta dal
gruppo, abbandonando la propria valutazione iniziale. Asch[1952]
sottopose degli studenti ad un esperimento sulla discriminazione visiva in
gruppo. I soggetti avrebbero dovuto stabilire per ben diciotto volte quale tra
tre linee di confronto era di lunghezza uguale ad una linea di
riferimento(linea standard). Il compito era così facile che in un gruppo di
controllo formato da 37 persone, che risposero da sole, 35 non fecero alcun
errore. Nella situazione sperimentale invece i soggetti, seduti a
semicerchio, dovevano dare il loro parere ad alta voce, di fronte al gruppo
composto da altre 6 persone. Gli altri componenti del gruppo erano
complici dello sperimentatore e davano le risposte che questo aveva
predeterminato. Nelle 12 prove critiche, in cui i complici volutamente
sceglievano la linea sbagliata, la percentuale di errori fu del 37%. Questi
risultati testimoniano quindi l’effetto prorompente che la pressione di una
maggioranza “sbagliata” ma unanime può esercitare sui giudizi
inizialmente corretti di un singolo individuo. Crutchfield[1955] escogitò
25
una diversa tecnica di pressione di gruppo, adattata per ricerche su larga
scala: esaminò infatti circa 600 persone.
Crutchfield concluse che la
pressione di gruppo provoca notevole quantità di cedimento, anche quando
il giudizio è errato. Dal punto di vista cognitivo una persona potrebbe
perciò aderire al parere negativo che ha la maggioranza sul deviante o sul
diverso.
Un altro processo sociale all’interno del gruppo che può condurre
all’emarginazione
di
un
soggetto
è
L’OBBEDIENZA
CIECA
ALL’AUTORITA’. A questo riguardo è celebre l’esperimento di
Milgram[1969], in cui ogni soggetto esaminato doveva somministrare
scariche elettriche ad un’altra persona, ogni qual volta questa rispondeva
erroneamente a dei quesiti. L’intensità della scarica veniva aumentata al
progredire degli errori. In realtà la vittima era un complice dello
sperimentatore, che non riceveva nessuna scarica elettrica, ma fingeva di
provare dolore, naturalmente all’insaputa del soggetto esaminato. I risultati
furono sbalorditivi: il 62% dei soggetti, istigati dallo sperimentatore
aumentava l’intensità della scarica, fino a quando lo sperimentatore non gli
diceva di smettere. Poiché tutti i soggetti erano adulti e capaci di intendere
e di volere, risultò stupefacente il fatto che obbedissero ciecamente
all’autorità, pur essendo consapevoli che questo comportava dolore ad un
altro essere umano. Questo potrebbe succedere anche nel caso in cui un
datore di lavoro istigasse i dipendenti verso un lavoratore-bersaglio.
Per quanto ci siano molte divergenze tra le varie teorie sulla leadership, i
loro autori concordano sul fatto che l’autoritarismo del leader in un gruppo
di lavoro può causare abbassamento di prestazione, come aveva già messo
26
in luce il lavoro pioneristico di Lewin, Lippit, White[1939], ed un pessimo
clima organizzativo. Inoltre Hogan, Curphy, Hogan[1994] hanno messo in
rilievo la relazione tra leadership ed esiti negativi nel gruppo di
lavoro(incidenti, infortuni, perdite economiche).
Un altro fattore che potrebbe portare alla rappresaglia di un gruppo nei
confronti di un individuo è l’ipotesi formulata da Dollard[1939] che la
frustrazione dia luogo alla formazione di una certa energia psichica negli
individui. Sempre secondo Dollard “la presenza del comportamento
aggressivo presuppone sempre l’esistenza della FRUSTRAZIONE e,
viceversa l’esistenza della frustrazione conduce sempre a qualche forma di
aggressività”. Se questa energia non può essere utilizzata immediatamente
allora può essere canalizzata in due modi:
a) tramite catarsi: la persona sfoga la propria insoddisfazione dedicandosi
ad attività sportive. In questo caso la quantità di energia aggressiva
viene canalizzata in una partita di calcio, in una corsa a piedi o in
bicicletta.
b) tramite spostamento: accade spesso che non si possa riversare la propria
rabbia nei confronti della persona che è fonte della nostra frustrazione.
Sarebbe ad esempio controproducente se un lavoratore si arrabbiasse
con il proprio superiore gerarchico, che non gli ha dato la promozione
tanto desiderata. Ecco allora che sposta la sua aggressività scaturita da
quell’evento sulla moglie o sui suoi sottoposti, su una persona con cui è
più conveniente prendersela.
Infine un altro fenomeno è quello del BYSTANDER. Che esistano gli
spettatori passivi nel corso del mobbing è un fatto accertato. In una ricerca
27
svolta da Work, Stress and Health nel 1999 vennero intervistate 200
persone, di cui 154 vittime di mobbing e 53 testimoni di mobbing. Anche
se questa deve essere considerata un’indagine preliminare senza alcun
criterio scientifico può senz’altro fornirci alcuni elementi indicativi, tra cui
il fatto che esistano dei colleghi di lavoro delle vittime che assistono
passivamente al mobbing. Si iniziò a parlare di bystanding con l’omicidio
di Kitty Genovese nel 1964, una donna uccisa a coltellate nonostante
chiedesse aiuto. 38 persone affacciate alla finestra assistessero al delitto,
ma vennero chiamate le forze dell’ordine quando ormai era troppo tardi.
Un fattore determinante nel comportamento di aiuto è il numero delle
persone presenti, come hanno dimostrato Latanè e Dabbs[1975]. In un loro
esperimento facevano compilare ai soggetti un questionario, quindi
accendevano un registratore nella stanza attigua in cui era registrata la voce
di una donna che chiedeva aiuto. Le persone che erano da sole nella stanza
accorsero a prestare l’ipotetico aiuto nel 70% dei casi. Mentre quando
erano in due persone nella stessa stanza si accingevano a prestare soccorso
solo il 40% dei soggetti[Latanè e Rodin, 1969]. Secondo Latanè e Darley i
fattori sociali che possono determinare il mancato intervento sono:
l’ignoranza pluralistica, la diffusione di responsabilità, l’inibizione in
pubblico. L’ignoranza pluralistica è causata dal fatto che spesso l’evento
può essere ambiguo ed il soggetto interpreta la situazione nello stesso modo
in cui la interpreta la maggioranza. Quindi se la maggioranza non interpreta
il fumo come campanello di allarme di un incendio ma come uno scherzo
di alcuni colleghi di lavoro bontemponi anche il singolo individuo segue e
si associa alla maggioranza. Piliavin e Piliavin’s[1972] hanno invece
28
concluso che l’intervento o il mancato intervento siano dovuti ad un’analisi
razionale
costi/benefici.
La
persona
quindi
valuterebbe
i
costi
dell’intervento(eventuali danni personali, perdita di tempo, impegno,
imbarazzo di fronte ad altri) ed allo stesso tempo i costi del mancato
intervento( costo di empatia: sensazione spiacevole nel veder soffrire la
vittima; costo personale: senso di colpa successivo all’evento e
disapprovazione pubblica). Per Cialdini[1991] il comportamento prosociale
non
scaturisce
dall’altruismo,
piuttosto
dall’evitare
sensazioni
psicologicamente spiacevoli che scaturiscono da un mancato intervento di
aiuto.
Per quanto riguarda invece I SIDE-MOBBER O CO-MOBBER la
spiegazione più plausibile del loro comportamento è il fenomeno di
IDENTIFICAZIONE[Freud, 1921], ossia di un legame emozionale con il
mobber, che porta sia all’investimento oggettuale nei confronti del mobber
che all’imitazione dei suoi atteggiamenti e comportamenti nei confronti
della vittima. Il side-mobber o co-mobber può essere non solo seguace del
leader del gruppo informale( che diventa mobber), ma anche una persona
succube, che ha subito comportamenti vessatori da parte del leader in
passato e successivamente si è identificata con il suo oppressore. A
riguardo bisogna infatti ricordare che esistono anche casi di identificazione
estrema come quelli documentati da Bettelheim[1943] dei prigionieri ebrei
in campi di concentramento nei confronti dei loro aguzzini e come quelli
documentati da Milner[1975] dei bambini di colore nei confronti dei
bambini bianchi.
29
Infine per quanto concerne I MOBBER nell’ambito della psicologia sociale
una spiegazione possibile del loro comportamento è IL DISIMPEGNO
MORALE, una autoassoluzione collettiva: una scissione tra pensiero ed
azione che permette al soggetto di compiere azioni eticamente riprovevoli
senza avere rimorsi di coscienza né sensi di colpa[Bandura, 1999]. Secondo
Caprara[2000] il disimpegno morale è determinato dai seguenti
meccanismi
psicologici:
giustificazione
morale,
etichettamento
eufemistico, confronto vantaggioso, spostamento e diffusione delle
responsabilità,
sottovalutazione
colpevolizzazione della vittima.
e
distorsione
delle
conseguenze,
30
3.
CONFLITTO E MOBBING:
Le definizioni di conflitto sono molteplici. Per Brenner[1976] il conflitto è
uno stato di tensione scaturito da desideri repressi in contrasto con le
relazioni interpersonali. Coombs e Avrunin[1988] analizzano il conflitto
come un tentativo di effettuare una scelta tra svariate opzioni. Per
French[1941] il conflitto principale è la risultante tra le proposte innovative
del singolo e la paura di cambiamento del gruppo. Secondo Edwards[1957]
il conflitto scaturisce dalla frattura tra individuo e piccolo gruppo: dalla
lotta tra desiderio individuale e desiderio sociale. Dahrendorf[1958] invece
considera il conflitto come una situazione in cui gli obiettivi sono
incompatibili. Esiste una scuola di pensiero in sociologia(Dahrendorf,
Niebhur) che ha teorizzato l’inevitabilità del conflitto. Altri sociologi come
Callaway [1993]invece hanno messo in dubbio l’inevitabilità del conflitto.
Per Spaltro[1990] “il conflitto non è una patologia relazionale, ma è la
relazione in se stessa”. Un compito della psicologia del lavoro è quello di
gestire e controllare i conflitti all’interno delle organizzazioni di lavoro,
considerando comunque il conflitto anche come risorsa relazionale.
CONFLITTO INTERPERSONALE SUL LUOGO DI LAVORO:
I motivi per cui due persone possono entrare in conflitto sono diversi:
divergenza
di
idee,
competizione,
istinto
a
padroneggiare,
gap
generazionale, linguaggi diversi, interessi conflittuali, antipatia , possibilità
di carriera. Spesso il luogo di lavoro non permette allo stesso tempo il
perseguimento di obiettivi comuni e l’autorealizzazione dell’individuo.
Perché ciò avvenisse il gruppo di lavoro dovrebbe essere “una comunità
31
morale” ed ogni lavoratore “un individualista democratico” per dirla alla
Dewey([1939].
In realtà invece può accadere che il superiore sia un
maniaco del controllo, abbia “una personalità autoritaria”[Adorno] o sia
affetto da carattereopatia. I danni del conflitto interpersonale possono
essere elevati. A questo riguardo basta ricordare il caso citato da
Goleman[1995] ne “L’intelligenza emotiva”, in cui i copiloti non dissero
nulla al loro capo irrascibile del livello di carburante dell’aereo, per paura
di una sua esplosione di rabbia. L’aereo precipitò e morirono dieci persone.
Nel “Nuovo dizionario di Sociologia” il conflitto viene distinto in : latente,
manifesto, diretto, indiretto, non violento e violento. Rapaport[1960]
distingue tra tre tipi di conflitto: lotta, gioco, dibattito. Nei casi di mobbing
è da escludersi la violenza fisica, che caratterizza invece altri fenomeni
psicosociali come il bullismo ed il nonnismo. Per Coombs[1988] esistono
tre tipi di conflitto: intrapersonali; interpersonali in cui gli individui devono
scegliere tra diverse opzioni; interpersonali in cui due o più individui
ambiscono allo stesso obiettivo, ma le risorse sono limitate. E’ bene
intendersi: un conflitto non è un episodio isolato, ma un rapporto con una
sua storia, un suo motivo, una sua dinamica, un suo contesto. Il problema
principale è che il conflitto possa inasprirsi, giungere ad una escalation e
diventare insanabile. Questo può avvenire quando il conflitto interpersonale
tra due persone si allarga e tramite un gioco di schieramenti e di alleanze
diventa un conflitto intragruppo che coinvolge l’intero reparto. Il conflitto
interpersonale è stato analizzato da Lewin con l’introduzione del concetto
di allontanamento(avoidance)/ avvicinamento(approach). Con l’analisi
transazionale di Berne è possibile invece analizzarlo considerando sia gli
32
stati dell’io (Genitore, Adulto, Bambino) che le posizioni esistenziali dei
contendenti( io sono ok, tu sei ok – io non sono ok, tu sei ok – io sono ok,
tu non sei ok- io non sono ok, tu non sei ok). Il problema principale è
distinguere tra conflitto positivo e conflitto negativo. Il conflitto positivo
può condurre ad una crescita e al superamento di ostacoli: al pluralismo e al
decentramento cognitivo dei partecipanti. Il conflitto negativo invece può
portare all’anarchismo globale, alla cessazione dei rapporti, a tutta una
serie di blocchi emozionali. E’ significativa a proposito la distinzione di
Walton[1969] tra “disaccordi interpersonali obiettivi” ed “antagonismi
interpersonali emotivi”: il conflitto da positivo diventa negativo quando
avviene il passaggio dalle divergenze di idee agli antagonismi emotivi. Si
passa quindi dal criticare le idee dell’altro ad attaccare la sfera privata
dell’altro: l’avversario diventa perciò nemico. Il conflitto positivo è quindi
un tentativo di relazione autentica senza prescindere dal rispetto reciproco
delle persone. Il conflitto interpersonale negativo invece può condurre a
delle relazioni patologiche tra i contendenti come ad esempio “il doppio
legame” di Bateson, “la posizione insostenibile” di Laing, “il legame
disperante” di Cigoli, “la disattenzione selettiva” di Sullivan, “la
sottomissione involontaria” di Gilbert. Il doppio legame presuppone un
rapporto intenso tra gli individui e l’impossibilità di scelta ed è
caratterizzato da messaggi ambivalenti ed ambigui: ad esempio
l’atteggiamento corporeo ed il tono della voce “disconfermano” il
significato letterale delle parole. La posizione insostenibile di Laing invece
è la situazione di chi si sente in trappola, per l’appunto intrappolato in una
dipendenza ostile, che causa risentimento inespresso ed un continuo
33
rimuginare. Il legame disperante di Cigoli
significa una relazione
esasperata in cui ognuno dei partner aspetta soltanto il cambiamento
dell’altro. La disattenzione selettiva di Sullivan è la conseguenza di una
relazione conflittuale perché il soggetto conservi la propria identità e la
propria sicurezza personale. Per quanto riguarda la sottomissione
involontaria di Gilbert invece questa non è altro che la necessità di
adeguarsi all’altro per paura di ritorsioni o di aggressioni. Per Fromm
talvolta gli individui in relazioni conflittuali utilizzano come meccanismo
di difesa la regressione a comportamenti infantili con le figure parentali:
ecco allora che il capo autoritario può diventare una sorta di padre padrone.
Un altro meccanismo difensivo è utilizzare quello che Winnicott definì il
“falso sé”, il cui scopo è di nascondere il vero sé con un’accettazione
acritica nei confronti delle richieste esterne. Secondo Hartmann perché
l’ambiente sia “mediamente prevedibile” per l’individuo le modalità sono
tre: cambiare se stessi in funzione dell’ambiente(autoplastica), cercare di
cambiare gli altri(alloplastica), cercare un altro ambiente in cui inserirsi.
Quando il conflitto raggiunge il punto di non ritorno invece entrambi
cercano di cambiare l’altro, ma mai se stessi. Nell’ambito del conflitto
negativo in definitiva da espressioni come “hai torto” si passa ad
espressioni come “non conti e non vali niente”: il dominatore assume
quindi
una
posizione
destabilizzante
nei
confronti
dell’autostima
dell’identità dell’altro: dalla divergenza di opinioni si giunge a continui
attacchi personali. Come ha evidenziato Brenner l’elemento principale del
conflitto è l’ambivalenza emotiva. Infatti è caratterizzato da esplosioni di
rabbia intervallate da periodi di stasi e di calma apparente. Un altro
34
elemento è la mobilitazione di energia psichica, il dispendio di forze che
contraddistingue ogni conflitto negativo. Per Mortensen gli aspetti
caratteristici del conflitto sono tre: intensità, emozioni, orientamento. Ogni
qual volta si verifica un litigio aumenta notevolmente l’intensità della
comunicazione, l’emotività dei contendenti e l’orientamento di ognuno è
polarizzato e separatista. Il litigio quindi produce un effetto a valanga.
Entrambi i partecipanti passano all’acting out ed immediatamente
provocano o rispondono alle provocazioni. Lazzari[1997] nell’ambito del
litigio aziendale distingue tra comunicazioni pressive e comunicazioni
depressive. Le comunicazioni pressive vanno dall’alto verso il basso della
scala gerarchica e sono caratterizzate dal fatto che più alto è il grado
gerarchico più scarsa è la preoccupazione a misurare le parole nei confronti
dei propri sottoposti. Le comunicazioni depressive vanno invece dal basso
verso l’alto e sono caratterizzate dall’atteggiamento difensivo del
dipendente nei confronti del superiore. Da ricerche empiriche sulle
relazioni interpersonale Barkham, Hardy, Startup[1994] hanno confermato
i 5 ruoli sociali di Gilbert[1992]: attaccamento, accudimento, cooperazione,
competizione, relazione sessuale. Nell’ambito dell’esacerbarsi del conflitto
la vittima potrebbe essere incapace di inviare segnali di sofferenza e
richieste di aiuto ad altri, mentre invece l’aggressore potrebbe rivestire il
ruolo continuo di competizione, senza mai manifestare sentimento di
attaccamento nei confronti della persona bersaglio. Il conflitto quindi
dipende anche dalla strategia dei contendenti. Se compariamo il
comportamento
umano
con
il
comportamento
animale,
studiato
dall’etologia ci accorgiamo che nella maggior parte dei casi nel regno
35
animale la lotta intraspecifica è fatta di tornei informali e di aggressività
ritualizzata, come ci ricorda K.Lorenz nella sua opera “sull’aggressività”.
La teoria dei giochi, nata con “The theory of Games and Economic
Behaviour” di Von Neumann e Morgenstern[1944], analizza le strategie
degli attori nell’ambito soprattutto economico. I problemi principali
dell’applicazione della teoria dei giochi al conflitto aziendale è che il
lavoro non necessariamente è un gioco a somma zero reiterato, che le
alternative degli attori sono qualificabili ma non quantificabili e
ponderabili, che l’assunto di base di questa nuova disciplina di studiovvero il postulato che l’uomo sia prevalentemente razionale e calcolatore
– è discutibile. L’uomo spesso si lascia sopraffare dall’emotività e alla
presa di decisioni non utilizza il teorema di Bayes o il modello walrasiano
di equilibrio concorrenziale, in cui l’ottimo individuale deriva da un’analisi
di costi/benefici di fattori come la tecnologia, i prezzi, il sistema legale.
Nonostante ciò anche per un esperto di questo ambito di studi come
Axerold la migliore strategia a lungo termine nell’interazione sociale è
quella indulgente. Del resto anche il biologo Dawkins nel suo libro "Il gene
egoista” a tale proposito intitola un suo capitolo “i buoni arrivano primi”.
Axerold infatti organizzò una gara tra esperti di teoria dei giochi e chiese
loro di creare una strategia, intesa come piano completo di azione.
Successivamente simulò una gara al computer tra quindici strategie.
La competizione fu vinta dalla strategia indulgente Tit for Tat, che utilizza
la defezione subito dopo che la strategia avversaria ha utilizzato la
defezione, ma dimentica facilmente i torti subiti. Tit for Tat oltre a non
essere vendicativa non è nemmeno invidiosa: non cerca a tutti i costi di
36
guadagnare più della controparte. In fondo niente di nuovo. Infatti come
osserva Dawkins esistono quattro tipi di strategie da combattimento: il
falco, la colomba, la rappresaglia, il bullo. Il falco cerca in tutti i modi il
predominio assoluto e nell’eventualità in cui trova un altro falco più feroce
soccombe. La colomba se trova un falco si dà alla fuga o rimane vittima del
predatore. Il bullo inizia come falco, ma se trova un vero falco finisce come
la colomba. La rappresaglia invece inizia come colomba e può finire come
falco se la controparte cerca di attaccarla. La strategia Tit for Tat era quindi
una sorta di variante più complessa della rappresaglia. Il conflitto
interpersonale sul luogo di lavoro quindi dipende da una molteplicità di
fattori: la strategia degli attori, la loro personalità, la loro mentalità, il
livello di istituzionalizzazione del conflitto nel contesto aziendale ed infine
la cultura organizzativa.
IL CONFLITTO ORGANIZZATIVO:
Come osserva Einarsen[1994] le macrocause del mobbing sono quattro: il
mobber, la vittima, la dinamica del gruppo, l’organizzazione del lavoro. Più
specificatamente a riguardo del fattore organizzativo Leymann[1993] trovò
una correlazione significativa tra mobbing e scarso standard morale nel
reparto, leadership autoritaria, deficit di job design, esposizione sociale
della vittima.
Sempre Leymann e Gustafson[1994] dedussero una
correlazione tra la violazione del principio organizzativo dell’unità di
comando e la propensione al mobbing, in un ospedale in cui le infermiere
sottostavano a due tipologie gerarchiche: i medici e le capogruppo delle
infermiere. Cummins[1989] trovò riscontri empirici tra bullying sul luogo
37
di lavoro ed altri fattori organizzativi come sovraccarico di lavoro,
scadenze pressanti, conflitto di ruolo, mancanza di partecipazione.
Einarsen[1994] svolgendo delle ricerche in Norvegia e successivamente
Grover[1996] hanno confermato come causa rilevante di mobbing il
conflitto di ruolo. Seigne[1993] mise in luce altri fattori come una
leadership autoritaria, la competizione esasperata, lo stress occupazionale
accumulato. L’ipotesi della competizione come antecedente di mobbing è
stata corroborata anche da Bjorkqvist[1994] con una ricerca in
un’università finlandese. Un ulteriore fattore organizzativo coinvolto è lo
scarso livello di controllo da parte dei lavoratori nelle loro mansioni[Vartia,
1996]. Honell[1996] ha evidenziato ulteriori fattori di comportamento
organizzativo da parte dei superiori come abuso di potere, arroganza, senso
di superiorità. Problemi organizzativi di ogni genere a lungo termine
possono perciò essere considerati degli stressors che portano al terrorismo
psicologico sul posto di lavoro, come prevede la relazione frustrazioneaggressività di Berkowitz[1989]. Maggiore è il numero di situazioni
conflittuali, maggiore è la possibilità di un conflitto interpersonale
insanabile[Zapf, 1998]. A questo punto però è necessario riflettere come
osserva Brodsky[1976] sulla cultura organizzativa: infatti le angherie in un
gruppo di lavoro esistono solo se la direzione le consente e le tollera.
LA CULTURA ORGANIZZATIVA:
Nel
best-seller
intitolato
“L’one
minute
manager”
Blanchard
e
Spencer[1981] definiscono il manager efficiente come colui che “organizza
se stesso e i propri collaboratori in modo che sia l’azienda sia gli uomini
38
che dipendono da lui traggano giovamento dalla sua presenza”. Spesso però
ci sono alcuni elementi della cultura organizzativa la cui applicazione può
portare a dei rapporti disumanizzanti sul luogo di lavoro come: il principio
80/20 o legge di Pareto, il darwinismo socio-economico, il machiavellismo
dei manager, la concezione biblica della sofferenza del lavoro, i corsi
outdoor per manager( o corsi di sopravvivenza), la razionalità tecnologica
esasperata. Secondo la legge di Pareto l’80% dei risultati deriva dal 20%
delle cause, l’80% dell’energia mondiale è consumata dal 20% della
popolazione, l’80% della ricchezza mondiale è detenuta dal 20% della
popolazione. Questo principio è stato utilizzato efficacemente per ogni
sistema operativo informatico dall’Ibm, dall’Apple, dalla Lotus e più
recentemente dalla Microsoft. Il principio 80/20 sostiene che c’è uno
squilibrio tra cause ed effetti, tra input ed output[Koch,1997]. Il problema
principale è che la legge di Pareto dovrebbe essere applicata solo sui
sistemi informatici e sui macchinari. Spesso invece al management viene
in mente la malsana idea che l’80% degli utili aziendali sia determinato dal
20% dei dipendenti: ma l’applicazione della legge di Pareto sui lavoratori è
disumana e spesso porta a conseguenze drastiche. Un altro aspetto deteriore
che caratterizza spesso la cultura organizzativa è il machiavellismo
manageriale. Molti manager hanno assurto a modello di comportamento “Il
principe” del segretario fiorentino, come scrive Spagnol[2001] in
“Machiavelli per i manager”. Secondo il Machiavelli il principe doveva
saper usare la razionalità analitica, la logica strumentale(la volpe) e la forza
irrazionale(il leone). Ne “Il principe” il Machiavelli prende come modello
ideale di leader nientemeno che Cesare Borgia e nell’ottavo capitolo tratta
39
del delitto politico come estremo rimedio a male estremo. Si immagini
quali relazioni lavorative possano scaturire prendendo come modello di
comportamento l’opera dello scrittore fiorentino.
Per quanto concerne i corsi di sopravvivenza per manager è da ritenere che
siano dei training che possano rendere ancora più esasperato ed
ipercompetitivo un clima organizzativo, già di per sé stressante e
carrierista. Per quanto riguarda infine la razionalità tecnologica esasperata
basta citare un esempio tratto da “L’uomo come fine” di Moravia. Ci sono
due modi di tracciare una strada: il primo è quello di rispettare la natura e
gli abitanti(rispettando i limiti dei poderi e nel lasciare intatti cascinali e
case), il secondo è quello di non curarsi degli ostacoli e farli scomparire,
perseguendo solo l’obiettivo del profitto. Per Moravia spesso in questo
secolo l’uomo antiumanista ha scelto il secondo metodo, considerando
l’utile e la tecnologia come fini e l’essere umano come mezzo. Come ha
notato Galbraith[1978] in tutte le corporation prevale ormai la
tecnostruttura, ovvero un apparato di tecnici e specialistici, che dirige la
compagnia. Già Larner[1963] nel corso delle sue ricerche aveva constatato
che nelle 2000 corporation da lui analizzate nell’85% dei casi nessun
singolo azionista arrivava a detenere il 10% del capitale e la maggioranza
delle corporation erano già dirette da manager e non da proprietari ed
azionisti. Spesso però la tecnostruttura si preoccupa soltanto di benefit e
stock option e non dell’interesse dei lavoratori. Ecco allora che in diversi
casi la tecnostruttura si pone come obiettivi l’assistenza post-vendita dei
clienti, conquistare nuove quote di mercato, riduzione del time to market,
guadagnare in borsa, etc. Bill Gates[1999] nel suo libro “Business alla
40
velocità del pensiero” scrive: “il mantra di ogni azienda è arrivare primi”.
Spesso però il perseguimento di obiettivi economici eccezionali va a
discapito dei dipendenti stessi delle aziende. Accade infatti che per arrivare
primi gli yes men della tecnostruttura eliminino lungaggini organizzative
tramite il reengineering: una ristrutturazione organizzativa il cui risultato
per i dipendenti è una serie di licenziamenti e prepensionamenti. Accade
anche che per arrivare primi l’azienda utilizzi l’outsorcing: vengono cioè
esternalizzati quei servizi dell’azienda stessa che vengono considerati
troppo costosi o troppo inefficienti per arrivare primi sul mercato. Ma
spesso tra il dilemma make or buy scegliere di esternalizzare dei servizi
significa considerare dei rami secchi da tagliare certi settori aziendali con il
conseguente licenziamento e prepensionamento dei dipendenti che
lavoravano in quei reparti considerati inefficienti o troppo dispendiosi a
livello economico per raggiungere la leadership sul mercato. Altra tecnica
che porta direttamente al bossing è quella che il sindacalista Trentin definì
“politica aziendale del doppio binario”: ovvero repressione e negoziazione.
Durante l’autunno caldo questa strategia aziendale venne applicata dalla
dirigenza Fiat: da un lato fare la schedatura del personale(chiamata “servizi
generali”), una lista nera in cui erano descritte le opinioni politiche e
sindacali di ogni lavoratore sospettato di essere un attivista politico con
conseguenti licenziamenti e spostamenti interni, dall’altro lato invece
cercare accordi favorevoli con i sindacati. Certo erano anche altri tempi,
c’erano tensioni e sommosse, però non sono strategie così anacronistiche
come si può pensare di primo acchito. Non è da escludersi che certe tattiche
aziendali nelle grandi aziende vengano ancora attuate. Sicuramente i
41
reparti-confino esistono. Ma quale è il costo economico che si accolla la
comunità quando centinaia di lavoratori subiscono il bossing ? A quanto
ammontano le spese previdenziali e le spese sanitarie ? Non è che così
facendo le grandi imprese perdano di vista “l’utilità sociale”(secondo la
Costituzione Italiana) dell’azienda stessa ?
42
4. IL MOBBING COME STRESS PSICOSOCIALE IN AMBITO
LAVORATIVO:
Il primo a parlare di stress fu Seyle[1936] che analizzò le reazioni di
animali in laboratorio, precedentemente il termine stress indicava soltanto
in ingegneria la deformazione di un materiale sottoposto ad un carico.
Cannon[1908] precedentemente aveva studiato la reazione di allarme di
fronte ad un pericolo esterno parlando di “lotta o fuga”. Lo stesso Seyle
nelle sue opere ha dato diverse definizioni di stress: il sale della vita,
relazione organica di adattamento, spinta a reagire, sindrome generale di
adattamento. La sindrome generale di adattamento è composta da tre fasi:
la fase di allarme, la fase di resistenza, la fase di esaurimento. Lo stress è la
risposta biologica aspecifica di un organismo ad un agente esterno. Può
essere stress positivo(eustress) oppure negativo(distress). Per quanto
riguarda la durata bisogna distinguere tra stress acuto, emozionale, cronico.
Per quanto riguarda la struttura Lancioni[1999] distingue tra stress
biologico, psichico, sociale. Lazarus e Folkman[1984] hanno analizzato lo
stress considerandolo come transazione tra persona ed ambiente, come
processo e come percezione soggettiva(appraisal). Lazarus[1991] distingue
tra primary appraisal e secondary appraisal.
Quest’ultima viene intesa come una rielaborazione, una rivalutazione
cognitiva dell’evento stressante. Secondo Lazarus e Folkman esistono
quattro tipologie di appraisal: una persona può interpretare la situazione
come sfida, minaccia, danno, beneficio. Altro concetto basilare della teoria
di Lazarus è quello di coping, cioè il modo di affrontare le richieste
ambientali. Per Lazarus esistono due tipi di coping: “emotion-focused
43
strategies”, ovvero strategie emotive e “problem-focused strategies”, cioè
strategie centrate sulla risoluzione cognitiva del problema. Per fronteggiare
una situazione stressante l’individuo può avvalersi anche di risorse
personali(salute, energia, credenze, abilità), di risorse sociali( supporter
sociali) e di risorse utilitaristiche( soldi, status socioeconomico, servizi a
disposizione). Altro concetto fondamentale è quello di stressor, inteso come
“richiesta ambientale, sociale o interna all’individuo che rende necessaria
la modifica del proprio comportamento”. Lo stressor può essere esterno o
interno. Esistono diversi tipi di stimoli stressanti: fisici, sensoriali,
socioprofessionali, emozionali. In particolare gli stressors vengono distinti
in life events, stress cronico e daily hassles(fastidi giornalieri). Per
Grief[1989] la percezione soggettiva dello stress è composta dai seguenti
fattori: previsione, importanza attribuita all’evento, distanza nel tempo,
aspettativa di durata. Friedman e Rosenmané1974] distinsero tra due
tipologie di personalità: il tipo A ed il tipo B. Il tipo A al contrario del tipo
B è iperattivo, competitivo, esigente sia con se stesso che con gli altri.
Successivamente Henry e Stephens[1977] dimostrarono la correlazione tra
tipo A e predisposizione allo stress. Secondo il diagramma di Lennart Levi
il livello di stress dipende sia dal grado di libertà del soggetto che
dall’intensità degli stimoli. Rotter[1966] invece ritiene che il locus of
control interno(la credenza del soggetto di poter influenzare il corso degli
eventi) possa essere una risorsa personale fondamentale per la resistenza
allo stress. Kobasa[1979] invece riguardo alle risorse personali mette in
evidenza tre caratteristiche individuali: control(capacità di controllo sulle
circostanze esterne), committment(impegno nel conseguire i fini preoposti),
44
challange(la mancanza di resistenza al cambiamento). Antonovsky[1970]
dopo aver studiato un gruppo di sopravvissute ad un campo di
concentramento nazista conclude che sia il Sense of Coherence la qualità
personale essenziale per far fronte allo stress. Il Sense of Coherence a sua
volta è costituito da comprensibilità, gestibilità, ricchezza di significato.
RELAZIONE TRA STRESS E MALATTIA:
E’ bene intendersi: non tutte le persone sottoposte a stress intensi e
prolungati sviluppano conseguentemente malattie psicosomatiche. Il
rapporto tra stress e malattia non è di tipo causa-effetto, bensì di tipo
statistico-probabilistico: ovvero una persona stressata è maggiormente
predisposta ad ammalarsi. Molte ricerche scientifiche hanno dimostrato che
lo stress è implicato in patologie come ipertensione, infarto miocardico,
ulcere gastrointestinali, coliti. Per Rossel[1998] le patologie in rapporto
diretto con lo stress sono: l’ulcera gastroduodenale, l’amenorrea,
l’influenza, herpes, dermatiti, psoriasi, stitichezza, malattie coronariche.
Ma lo stress non è l’unico fattore: l’approccio è sempre multifattoriale. Ad
esempio per quanto riguarda i principali fattori in grado di influenzare i
valori pressori abbiamo: età, sesso, razza, ereditarietà, massa corporea,
consumo di alcolici, diabete, dieta, stress[Di Veroli, Pastorelli, 2000]. Per
diagnosticare l’ipertensione nella maggior parte dei casi i medici usano il
test di Holter, ma non esiste nessun strumento oggettivo attualmente che
possa rivelarci esattamente il ruolo dei diversi fattori. Che lo stress sia un
fattore determinante sia per l’insorgenza che per il decorso di alcune
patologie questo è un fatto ormai consolidato. Resta però da stabilire con
45
esattezza quali siano le patologie e quale sia il peso del fattore stress. Ad
esempio per quanto riguarda la colite ulcerosa, per anni considerata una
malattia psicosomatica, North[1990] ha smentito questa ipotesi. Sono stati
anche avanzati dei dubbi riguardo alla relazione tra ulcera peptica e stress[
Levenstein, Ackerman, Dubois, Kielcolt-Glaser, 1999]. Per ogni disturbo
intestinale esiste da tempo una disputa tra gastroenterologi e psicologi
clinici: i primi avanzano l’ipotesi di infezioni batteriologiche o di cause
organiche, i secondi invece parlano di malattie psicosomatiche e di stress.
Recentemente è stato dimostrato anche il ruolo, precedentemente
sottovalutato dello stress psicosociale, da Powell[1983] con la scoperta del
nanismo psicosociale, ovvero la stretta correlazione tra deficit di statura e
ambiente familiare stressante. Più recentemente si è tenuto a Rapallo il 13
Aprile 1999 un convegno su stress e problemi cardiovascolari, in cui è stato
evidenziato come lo stress psicosociale possa favorire l’insorgenza di
patologie
cardiovascolari.
Una
nuova
disciplina
di
studio,
la
psicoimmunologia ha sottolineato la relazione tra stress e soppressione
immunitaria[Goldberg,1981], la relazione tra elevati livelli di stress cronico
e deficit di linfociti T-suppressor[Mc kinnon, 1989]. La psicoimmunologia
è stata definita come “la disciplina che studia in modo sistematico il
sistema immunitario quale sistema in grado di reagire e modificare le sue
reattività anche sulla base delle interazioni tra individuo ed ambiente
mediate dal sistema nervoso”[Biondi, 1994]. Ma anche nell’ambito di
questo nuovo filone di studi ai ricercatori risulta ancora difficile
quantificare l’intensità della relazione tra psiche e sistema immunitario.
46
GLI ORMONI DELLO STRESS:
Subito
dopo
la
reazione
di
allarme
l’ipotalamo
secerne
la
corticotrofina(CRF), trasmettitore biochimico, che a sua volta fa scaturire
nell’ipofisi anteriore la secrezione di noradrenalina, adrenalina e
dell’
ormone adrenocorticotropo(ACTH), che a sua volta scatena la produzione
di cortisolo[Buck,1988; Cassini, Dell’Antonio,1982; Palomba, Stegagno,
1989] nelle ghiandole surrenali. Nel frattempo il lobo posteriore dell’ipofisi
secerne le endorfine e la vasopressina. La vasopressina ha un effetto
antidiuretico e consente un contenimento dei liquidi e quindi aumenta la
resistenza alla situazione di emergenza. Inoltre nella ipofisi viene rilasciato
l’ormone tireotropo(TSH), che mette in azione la tiroide. La ricerca di
Grinker e altri[1955] su un gruppo di paracadutisti durante la fase di
addestramento dimostrò che il giorno del primo salto c’è un aumento di
adrenalina, noradrenalina, cortisolo, ormone della crescita ed un
abbassamento di testosterone. Le misurazioni fisiologiche comprendevano
analisi del sangue ed analisi delle urine. Inoltre Frankenhauser ed
altri[1979] ha dimostrato che lo stress di un esame di dottorato scatena
l’aumento sia di adrenalina che di noradrenalina, lo stress di un elevato
ritmo di operazioni automatiche in fabbrica e
lo stress di un viaggio
affollato in treno comportano un innalzamento di adrenalina.
Ricerche compiute su giocatori di Hockey[ Elmadjan, Hope, Lamson,
1957] hanno ulteriormente dimostrato il diverso ruolo di adrenalina e
noradrenalina: lo sforzo fisico dei giocatori di hockey causa un
innalzamento di noradrenalina, mentre lo stress psicologico degli spettatori
causa una maggiore produzione di adrenalina. La produzione di adrenalina
47
sembra perciò in relazione con l’intensità dello stress psicologico, mentre
invece la secrezione di noradrenalina con l’intensità dello stress psicofisico.
LE LISTE PER MISURARE LO STRESS:
Le due liste più note sono quella di Holmes e Rahe[1967] e quella di
Paykel-Ferreri[rielaborata nel 1987]. La lista di Holmes e Rahe comprende
43 eventi, il punteggio massimo attribuito ad un evento è 100( la morte del
coniuge) e la persona che ottiene un punteggio oltre i 200 punti ha serie
probabilità di ammalarsi. La seconda lista di Paykel-Ferreri elenca 57
eventi e a differenza della lista di Holmes e Rahe considera come evento
più stressante la morte del figlio(19,3 punti), a cui attribuisce quindi il
punteggio più alto. Oltre il punteggio complessivo di 50 punti il soggetto è
in forte pericolo di contrarre malattie. Un’altra lista è quella denominata
LES, standardizzata da Sarason e Johnson. Il questionario Les è formato da
47 eventi. La valutazione però a differenza delle prime due liste citata
avviene su una scala a 7 punti. La lista è stata ideata per calcolare l’impatto
positivo o negativo di un evento sulla persona. Somministrare queste liste
ad una ipotetica persona mobbizzata non aiuta certo a capire l’entità dei
danni psichici conseguenti alle vessazioni subite. La lista di Holmes-Rahe
attribuisce al licenziamento 47 punti, al cambio di responsabilità sul lavoro
29, ai problemi sul lavoro con un superiore 23, al cambiamento dell’orario
o delle condizioni di lavoro 20. Se sommiamo questi punteggi attribuiti, ci
accorgiamo che con questa lista una persona che soffre di mobbing non
raggiungerà un punteggio superiore a 200. Lo stesso vale per la lista di
Paykel-Ferreri,
che
attribuisce
al
licenziamento
16,4
punti,
48
all’abbassamento dello status sociale 15,1 , ai litigi con il padrone 12,2 , ai
cambiamenti nelle condizioni di lavoro 9,2. Un altro difetto dei questionari
per la misurazione dello stress è che sono “self-report survey” e che quindi
può esserci una discrepanza tra strain effettivo e percezione soggettiva
dello stress. Ad esempio persone con disturbi psichici a cui vengono
somministrati questionari sullo stress raggiungono punteggi molto più
elevati rispetto al livello di stress effettivamente vissuto
LA RELAZIONE TRA STRESS E MOBBING SECONDO EGE:
Per H.Ege le persone stressate hanno maggiori probabilità di diventare
mobbers. Quindi lo stress è causa di mobbing per quello che Ege chiama
effetto “valvola”, ovvero la persona stressata perseguita un altro lavoratore
per il bisogno di sfogare su un bersaglio la rabbia accumulata nel tempo.
Sempre secondo Ege esiste anche lo stress da mobbing. Per quanto riguarda
l’effetto “valvola” questo è corroborato da altri autori[Thylefors, 1987;
Bjorkqvist, 1992; Brodsky,1976], anche Felson[1992] nelle sue ricerche ha
scoperto la relazione tra stress cronico violazione delle normi sociali. Per
quanto riguarda invece le varie distinzioni tra stress e mobbing di Ege
occorre fare delle precisazioni. Ege descrive le differenze tra stress fisico e
mobbing, ma se consideriamo il mobbing per quello che effettivamente è,
cioè una forma estrema di stress psicosociale sul lavoro[Zapf,1999] non si
può fare chiaramente una distinzione tra stress psicosociale e mobbing. Per
stress psicosociale intendiamo per l’appunto “quella situazione in cui la
richiesta ambientale viene posta dal contesto sociale dei rapporti umani”
[Sibilia,2000]. Nella vita umana è incontestabile la predominanza degli
49
stressors psicosociali sugli stress fisici[Pancheri, 2000].Mentre negli
animali
si
possono
osservare
di
fronte
ad
uno
stressor
due
comportamenti(lotta o fuga), nell’uomo l’attivazione emozionale può
essere mediata dal filtro della valutazione cognitiva: l’uomo moderno è
quindi un mediatore di stressors psicosociali.
LO STRESS OCCUPAZIONALE:
Secondo il modello di Yerkes e Dodson[1908] perché un lavoratore
raggiunga l’efficienza umana ottimale deve essere sollecitato da un livello
di arousal(livello di attivazione fisiologica) ponderato da un medio carico e
da una media domanda. Una situazione lavorativa ad alta domanda(ad
esempio un compito molto complesso cognitivamente) oppure una
mansione a basso carico(ad esempio un lavoro parcellizzato come quello di
una linea di assemblaggio) a lungo termine possono determinare una scarsa
produttività
lavorativa(turn-over,
assenteismo,
infortuni,
scarti
di
lavorazione, inefficienze) ed un’insoddisfazione psicologica del lavoratore.
Per Lancioni[2000] due situazioni lavorative anormali sono quelle della
sovra-attivazione e della sotto-attivazione. Per quanto riguarda la sovraattivazione il carico di lavoro è eccessivo rispetto alle forze del lavoratore
per cui si verifica uno sbilanciamento tra la richiesta ambientale e la
capacità di risposta. E’ quello che i francesi chiamano surmenage, gli
americani wok-overload. Nel caso in cui si verifichi una sotto-attivazione la
richiesta lavorativa è insufficiente rispetto alla capacità del soggetto.
Questa situazione ad esempio si verifica quando un gruppo di lavoratori
50
indesiderati vengono trasferiti in un reparto confino a non fare
assolutamente niente.
Lo stress occupazionale viene considerato come risultante dell’ambiente di
lavoro, dello spazio di lavoro e della mansione. Secondo il modello di
Karasek lo stress occupazionale è dato dalla relazione tra domanda e
controllo. La domanda o richiesta lavorativa è composta da 3 fattori: carico
di lavoro psicologico, carico di lavoro fisico, livello di insicurezza sul
lavoro. Per controllo si intende sia la capacità di svolgere un compito che la
discrezionalità e l’ampiezza decisionale nell’organizzarlo[Favretto,1994].
Per Karasek il controllo a sua volta è determinato da 3 componenti:
valutazione delle proprie capacità, potere decisionale sui compiti lavorativi,
progettualità intesa come macrodecisionalità.
Alcune ricerche hanno dimostrato la relazione tra stressors occupazionali e
mobbing: la monotonia del compito lavorativo causa maggior tasso di
conflitti interpersonali[Appelberg,1991], compiti routinari e sovrattivazione
determinano maggiori casi di mobbing rispetto alla media[Einarsen,
Raknes,
Matthiesen,
1994],
stress
organizzativo,
stile
autoritario
manageriale si sono rivelati antecedenti organizzativi in 30 casi di mobbing
in Irlanda[Seigne,1998]. Va sottolineato inoltre che non solo lo stress
occupazionale può determinare il mobbing, ma anche il mobbbing è fonte
di stress occupazionale e non solo nei mobbizzati, ma anche negli spettatori
passivi[bystander]. In una ricerca inglese Rayner[1997] ha scoperto che su
20 colleghi di mobbizzati, testimoni quindi di mobbing, il 20% decise di
cercare un altro lavoro. Si ritiene quindi che anche gli spettatori passivi
51
soffrono di distress psicologico: la loro maggiore paura è di essere vittime a
loro volte di questo meccanismo perverso.
Una ricerca di Zapf, svoltasi tra il 1995 ed il 1998, ha confrontato gli
stressors occupazionali a cui erano sottoposti i membri di un gruppo di
mobbizzati rispetto a quelli a cui erano sottoposti i partecipanti del gruppo
di controllo. Inizialmente il gruppo di mobbizzati( 96 persone) venne creato
reclutando persone da gruppi di autoaiuto, da annunci su quotidiani e da
un’organizzazione tedesca denominata “Società contro stress psicosociale e
mobbing”. Il gruppo di controllo(37 persone) venne formato invece tramite
un campionamento a valanga. Zapf e collaboratori cercarono di creare per
quanto possibile un gruppo di controllo simile per quanto riguarda il
genere, l’età, il livello di istruzione al gruppo di mobbizzati.
Successivamente venne formato un secondo campione di 118 persone,
facenti parte dell’associazione DAG. Nella fase successiva tramite
questionari e colloqui cercarono di distinguere tra mobbizzati reali e
presunti tali. I criteri di base per attuare questa distinzione furono quelli di
considerare come mobbing un periodo di angherie di 6 mesi e con almeno
una vessazione a settimana. Quindi venne creato un gruppo di 143 persone
mobbizzate ed un gruppo di controllo di 81 persone. Il gruppo di controllo
era formato dal 57% di donne, l’età media era di 42 anni, il 30% aveva
un’istruzione universitaria. Ad entrambi i gruppi venne somministrato
Instrument for stress oriented job-analysis[ISJA] di Semmer et al.[1995].
Le scale del questionario erano: complessità del lavoro, controllo della
mansione, incertezza, problemi organizzativi, necessità di concentrazione,
tempo necessario al controllo del compito, ritmi di lavoro pressanti e
52
cooperazione forzata. Vennero anche somministrati i seguenti questionari:
la scala di stressors sociali di Frese e Zapf[1987], riguardante il clima
organizzativo ed i conflitti all’interno del gruppo di lavoro; l’adattamento
in versione tedesca della scala di supporto sociale dei colleghi, sviluppata
da Caplan[1975] ed adattata da Frese[1989]; Employee Opinion Survey di
Lawthorn et al.[1992], una scala che rileva la qualità della comunicazione
nel gruppo di lavoro; il ROCI II[Rahim e Magner, 1995] riguardo al
conflitto organizzativo; il Lipt di Leymann[1990]; vari questionari ideati da
Mohr[1986] ed il Panas di Watson[1988] per rilevare le disfunzioni
psicologiche. Zapf constatò che il gruppo di mobbizzati differiva dal
gruppo di controllo riguardo alle caratteristiche del lavoro. Rilevò infatti
che per il gruppo di mobbizzati gli stressors organizzativi ed occupazionali
erano più elevati e che il livello di controllo dei compiti lavorativi era
invece era inadeguato e di gran lunga minore rispetto a quello del gruppo di
controllo. Le differenze più marcate tra i due gruppi riguardavano
l’incertezza, il tempo necessario al controllo dei compiti lavorativi ed i
problemi organizzativi. Chiaramente il gruppo di persone mobbizzate
aveva registrato valori più elevati riguardo a questi aspetti lavorativi.
L’unica scala di item che non fece rilevare differenze significativa(dal
punto di vista statistico) fu quella riguardante la complessità del lavoro.
53
5.
PSICODIAGNOSTICA DELMOBBING
La maggior parte dei casi di mobbing vengono diagnosticati: ptsd: disturbo
da stress post-traumatico[Leymann & Gustfasson; Field; Ellis; Einarsen;
Davenport, Elliott, Schwartz; Naime; Wilson; Pardini]; gad: disturbo
d’ansia generalizzato[ Leymann & Gustfasson]; pdsd: disturbo da stress
prolungato[ Field] ;sindrome di affaticamento cronico[ Ellis]; burn-out
[Leymann & Gustfasson] ;disturbo dell’adattamento[Pardini; Giglioli]. I
questionari standardizzati utilizzati per diagnosticare il mobbing sono: il
Lipt di Leyman, Brief Psychiatric Rating Scale di Overall e Gorham,
General Health Questionnaire di Goldberg, Beck Depression Inventory di
Beck, Impact of Event Scale di Horowitz et al., Post Traumatic Symptom
Scale di Malt, diagnosi di Ptsd accordata ai criteri del DSM e dell’IC.10.
Per quanto riguarda le diagnosi differenziali tra le varie sindromi è utile
considerare i seguenti criteri: durata, intensità, frequenza, contesto in cui
sono maturati i disturbi, la storia del paziente, il tempo di latenza. Per
quanto riguarda la diagnosi di mobbing non è possibile fare una diagnosi di
natura, come nella schizofrenia in cui è riscontrabile una produzione
eccessiva di dopamina nel sistema mesolimbico o come nella depressione
endogena in cui è riscontrabile invece un deficit di serotonina e di
noradrenalina nel lobo frontale[Sachar, 1985]. Si cercherà quindi di fare
delle distinzioni, anche se spesso non esiste una linea di demarcazione
oggettiva tra stress ed ansia. A riguardo basta ricordare che il DSM IV
classifica il disturbo acuto da stress ed il disturbo post-traumatico da stress
tra i disturbi d’ansia.
54
DISTINGUERE TRA PARANOIA ED IPERVIGILANZA:
Innanzitutto è bene descrivere le differenze psichiche tra la persona
paranoica e la persona che soffre di mobbing. Tim Field è stato il primo a
fare questa distinzione e a distinguere tra danno psichico e instabilità
mentale nell’ambito del mobbing. Per Field la paranoia è duratura,
l’ipervigilanza tende a diminuire gradualmente o addirittura a scomparire in
mancanza delle cause che l’hanno prodotta. Il paranoico non ammette di
essere paranoico, mentre invece la persona che soffre di mobbing molto
spesso esprime il timore di essere paranoica. Inoltre la persona paranoica
ha deliri di grandezza e le frustrazioni possono indurre ad un aggravamento
della situazione, mentre la persona mobbizzata ha uno scarso livello di
autostima. Il mobbizzato soffre di continui sensi di colpa e di vulnerabilità,
prova sensazioni di vergogna e di inadeguatezza, invece la persona
paranoica non ha questi sintomi. Infine il paranoico spesso sostiene che il
persecutore è sconosciuto, il mobbizzato invece spesso non è consapevole
di essere stato perseguitato. Comunque per riconoscere disturbi fittizi e non
incorrere erroneamente in falsi positivi e falsi negativi è necessario oltre
alla somministrazione di un questionario standardizzato sul mobbing anche
un colloquio clinico e/o la somministrazione di test proiettivi di personalità
come il test di Rorschach e il TAT(Thematic Apperception Test di
Murray), oppure di inventari standardizzati come il MMPI di Hataway e
McKinley, il Big Five Factors di Mc Crae e Costa, il 16 PF(Personality
Factors) di Cattell, l’Eysenk Personality Inventory appunto di Eysenk.
55
DISTINGUERE TRA SADOMASO E MOBBING:
Anche se statisticamente potrebbe rivelarsi un evento raro non è da
escludere a priori che si possa fraintendere una relazione sadomaso
degenerata in un caso di mobbing. Nell’ambito delle comunità sadomaso
esistono dei ruoli specifici: il master(dominatore e/o sadico) o la mistress,
la slave(sottomessa e/o masochista) o lo slave, oppure lo/a switch(persona
che cambia spesso ruolo). I termini sadico e masochista compaiono per la
prima volta nel libro “Psychopathia sexualis” di Kraft Ebing[1885]. Per
Kraft Ebing non esisteva una linea di demarcazione netta tra
sadomasochismo e normalità, dato che anche tra gli amanti normali
esistono dei “giochi pesanti”. H.Ellis coniò il termine agolagnia che indica
che
il sadismo ed il masochismo sono attività e stati emotivi
complementari nell’ambito di una relazione affettiva tra persone
consenzienti. L’antropologo P.Gebhard invece evidenziò il simbolismo
come aspetto caratterizzante delle relazioni sadomaso. Freud invece
considerò il masochismo sia come perversione sessuale che come
fenomeno regressivo incentrato su un bisogno inconscio di punizione.
Sempre Freud[1924] distinse tra masochismo erogeno( provare piacere
tramite il dolore), femminile( provare piacere essendo passivi ed inattivi) e
morale(compiacimento della propria sofferenza ). La sociologa americana
L.S.Chancer[1992] nel suo libro “Sadomasochism in everyday life” aveva
già evidenziato alcuni aspetti in comune tra la vita in ufficio ed in fabbrica
ed il sadomaso: in particolare aveva messo in luce che il datore di lavoro
spesso cerca il controllo assoluto dei dipendenti, i quali accettano la
sottomissione e sottostanno ai rituali di sottomissione ed ai codici di
autorità. Anche Casilli[1997] in “La fabbrica libertina” considera il
56
“sadomasochismo da ufficio”. Al di là delle analogie di Chancer e Casilli
bisogna però dire ad onor del vero che una distinzione fondamentale tra
mobbing e sadomaso esiste: la relazione sadomaso, per quanto perversa o
anomala, si esplica tra persone consenzienti. E’ da considerarsi quindi
come una sorta di gioco di ruolo. Nel mobbing invece non esiste il
consenso della vittima. Bisogna però anche considerare il filone di studi
della vittimologia, iniziato con “The criminal and his victim”[1949] di von
Hentig e proseguito con la fondazione dell’associazione da parte di
B.Mendelsohn. Secondo l’ottica della vittimologia potrebbe anche essere
che
la
vittima
abbia
iniziato
una
sequenza
di
comportamenti
provocatori(azione) atti a scatenare il mobbing(reazione). Ad esempio “un
masochista morale”, come lo intendeva Freud, potrebbe essere più esposto
al rischio di mobbing. Non esistono questionari da somministrare per
accertare se una persona è masochista, in questo caso l’unico modo è
accertarsi che la presunta vittima di mobbing non abbia intessuto con il
presunto mobber un legame sadomaso con conseguente rottura della
relazione, né che faccia parte di una comunità sadomaso. Per quanto
riguarda il mobbing sessuale dobbiamo invece considerare la concezione di
Freud, esposta nei “Tre saggi sulla teoria della sessualità”[1903], secondo
cui il sadismo corrisponde alla componente aggressiva dell’istinto sessuale
ormai diventata indipendente dalla stessa sessualità fino a prenderne
totalmente il posto. Più recentemente A. Maslow[1973] ha teorizzato la
relazione tra comportamento sessuale, dominanza e status socioeconomico. Nel mobbing sessuale quindi il rifiuto sessuale della donna di
grado gerarchico inferiore rispetto al molestatore viene considerato da
57
questo un atto di insubordinazione. L’unico obiettivo allora per ripristinare
il dominio nei confronti della sottoposta diventa quindi un comportamento
sadico per generare “la morte psicosociale” della donna.
LA DIAGNOSI DI MOBBING DI LEYMANN:
Nel 1992 Leymann somministrò il questionario LIPT a 2428 lavoratori, di
cui 350 risultarono soffrire di mobbing. Per rilevare la frequenza dei
sintomi sofferto durante gli ultimi dodici mesi i soggetti avevano a
disposizione 4 modalità di risposta: costantemente, spesso, raramente, mai.
Successivamente a queste 350 persone vennero somministrati questionari
neurologici per individuare i sintomi più frequenti. Venne fatta un’analisi
fattoriale delle componenti principali dei sintomi. I sintomi vennero quindi
suddivisi in 7 raggruppamenti. A fianco di ogni sintomo è riportato il
relativo peso fattoriale.
GRUPPO1: sensazione di ricaduta(0,8); stato di agitazione generale(0,7);
facile irritabilità(0,7); perdita di iniziativa, apatia(0,6); sensazione di
insicurezza(0,6);
aggressività(0,6); umore depresso(0,5); difficoltà di
concentrazione(0,5); disturbi di memoria(0,5).
GRUPPO 2: sensazione di nausea(0,8); vomito(0,7); diarrea(0,7);
incubi(0,6); dolori di stomaco o dolori addominali(0,6); senso di solitudine,
isolamento(0,6); perdita di appetito(0,6); groppo alla gola(0,5); pianto(0,5).
GRUPPO 3:capogiri(0,8); respiro affannoso(0,7); dolori al petto(0,6);
sudorazione(0,6); palpitazioni(0,6); secchezza della bocca.
GRUPPO 4: dolori di schiena(0,7); torcicollo(0,7); dolori muscolari(0,6).
GRUPPO 5: interruzioni di sonno(0,7); risvegli precoci(0,7); difficoltà di
addormentarsi(0,6).
58
GRUPPO 6: senso di stanchezza alle gambe(0,6); senso generale di
stanchezza(0,6).
GRUPPO 7: debolezza(0,8); tremori(0,6).
Successivamente Leymann comparò i sintomi rilevati più frequentemente
con i criteri diagnostici sia del DSM che dell’ICD-10, giungendo a questi
raggruppamenti di sintomi per quanto riguarda il Ptsd:
GRUPPO A: 1) presenza di un evento traumatico
GRUPPO B:1) l’evento viene rivissuto tramite immagini 2) tramite incubi
3) tramite flashback 4) sensazione di sconforto rispetto alla presenza di
qualcosa o qualcuno che simboleggia l’evento o ne è associato
GRUPPO C: 1) sforzo di evitare pensieri o sensazioni associati all’evento
traumatico 2) evitamento di attività o situazioni associate al trauma 3)
inabilità a ricordare aspetti importanti del trauma(amnesia psicologica) 4)
riduzione di interessi in attività importanti
GRUPPO D: difficoltà a prendere sonno; irritabilità; difficoltà di
concentrazione; ipervigilanza; reazione esagerata rispetto a stimoli esterni
inaspettati; reazioni psicologiche in presenza di eventi associati al trauma.
GRUPPO E: i disturbi devono durare almeno un mese
Questi criteri diagnostici permisero a Leymann di distinguere tra GAD,
PTSD e BURN-OUT. Leymann trovò che i valori per diagnosticare il
PTSD erano così elevati( alcuni raggiunsero il punteggio pieno) che ritenne
necessario l’utilizzo di THE GAD CRITERIA GROUP D, che
permettevano una distinzione dei sintomi di stress psicosomatico in tre
gruppi: tensione muscolare, iperattività del sistema nervoso, ipervigilanza.
Complessivamente si trattava di 18 sintomi, di cui la presenza di almeno 6
59
indicava il disturbo d’ansia. Questi sintomi non sono in alcun modo in
relazione ai sintomi di chi soffre di attacchi di panico. Per quanto riguarda
il burn-out i risultati furono più controversi. In una successiva ricerca nella
sua clinica analizzò 64 persone mobbizzate( 3 soggetti drop-out), di cui a
59 venne diagnosticato il Ptsd e alle rimanenti 5 il burn-out. I pazienti a cui
venne diagnosticato il burn-out avevano gli stessi punteggi degli altri nelle
catregorie B, C, D, E, ma solo tramite un’anamnesi lavorativa riuscì ad
identificare in questi soggetti una forte perdita di motivazione nella
professione
svolta.
Inoltre
questo
gruppo
di
pazienti
non
era
rappresentativo della popolazione attiva svedese. Ad esempio il gruppo era
costituito dal 69% di donne e dal 31% di uomini. Per quanto riguarda i
settori lavorativi l’industria privata era sottorappresentata del 13,4%, i
trasporti
sottorappresentati
del
10%;
l’amministrazione
pubblica
sovrarappresentata del 10,9%, la sanità del 13,1%, le istituzioni
religiose del 5,7%.
IL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS(PTSD):
Spesso è causato da un grave trauma come una calamità naturale, un
incidente automobilistico, rapine, sparatorie, stupro. Questa sindrome nella
maggior parte dei casi si manifesta quindi in seguito al coinvolgimento di
un evento terrificante e devastante. Davis[1992] ha analizzato ad esempio i
disturbi post-traumatici di reduci del Vietnam. Anche un infortunio sul
lavoro può causare il Ptsd, tant’è che Dejours[1987] a tale proposito scrive
di “psicopatologia della paura del lavoro”. Subito dopo la persona che ne è
stata coinvolta non sembra manifestare nessuna anomalia[Luborsky e CritsChristoph,1990]. Spesso infatti c’è un periodo di latenza: di solito dopo 4-6
60
settimane la persona inizia a provare un senso di vulnerabilità psicologica e
sia i suoi sentimenti che i suoi pensieri iniziano a ruotare attorno all’evento
traumatico[Herman,1992]. Il soggetto rivive l’evento tramite ricordi
angosciosi, incubi, flashback dissociativi. Il disturbo post-traumatico da
stress secondo il DSM IV può essere acuto( con sintomi che durano meno
di tre mesi), cronico( con una durata superiore ai tre mesi), oppure può
essere ad esordio ritardato( se i sintomi si manifestano almeno 6 mesi dopo
l’evento stressante). Spesso il disturbo post-traumatico da stress è la
conseguenza diretta di un disturbo da stress acuto non curato. Il disturbo da
stress acuto insorge per un evento traumatico ed è caratterizzato da una
sensazione di stordimento, da derealizzazione, da depersonalizzazione e da
amnesia dissociativa. Le alterazioni delle strutture del sistema limbico in
persone
sofferenti
di
Ptsd
riguardano
l’amigdala
ed
il
locus
ceruleus[Charney,1993], la ghiandola pituitaria[Numeroff,1990], la cui
modificazione causa un’ipersecrezione di Crf. Per quanto riguarda la
diagnosi di mobbing viene da chiedersi come mai un mobbizzato presenti
dei sintomi simili ad una persona che è sopravvissuta ad un incidente
automobilistico
ad
esempio.
Per
quanto
riguarda
l’incidente
automobilistico si tratta di un evento con una intensità enorme, ma di breve
durata. Nei casi di mobbing invece abbiamo quel che gli psichiatri
americani chiamano KINDLING( bruciare lento, prendere fuoco a poco a
poco): ovvero una sommatoria continua di microtraumi che può portare ad
una patologia di funzioni psichiche. Per Tim Field il PDSD si distingue dal
PTSD principalmente per il fatto che il disturbo da stress prolungato
causato da mobbing prevede la perdita del lavoro e la comparsa di problemi
61
coniugali e familiari( quello che Ege in Italia ha definito doppio mobbing).
Inoltre sempre secondo Field il PDSD prevede la comparsa di attacchi di
panico e palpitazioni. Il PDSD quindi sarebbe diagnosticabile a lavoratori
che sono stati sottoposti al mobbing per un periodo di tempo maggiore.
DISTURBO D’ANSIA GENERALIZZATA( GAD):
Il disturbo d’ansia generalizzata prevede una preoccupazione eccessiva e
costante. I soggetti vivono in uno stato continuo di ipervigilanza e di
inquietudine. Tra i sintomi anche uno stato elevato di tensione fisica,
caratterizzato da vari dolori muscolari. Il GAD quindi causa sia sintomi
fisici che psicologici. I soggetti possono infatti soffrire di vertigini,
formicolii, secchezza delle fauci, cefalea. La caratteristica principale di
questa sindrome è che l’intensità, la durata, la frequenza dell’ansia e
dell’apprensione sono eccessive rispetto al reale impatto degli eventi[Mc
Glynn e Metcalf, 1989]. Il disturbo d’ansia generalizzata non presenta
attacchi di panico isolati, piuttosto un livello costante di presentazione della
durata di almeno 6 mesi[Marshall,1994]. Per quanto riguardo un confronto
tra PTSD e GAD bisogna considerare cinque elementi essenziali:
l’intensità, la durata, il tempo di latenza, i dolori fisici e muscolari, i
flashback. Intensità e durata dei sintomi sono maggiori nel GAD rispetto al
PTSD. Il periodo di latenza ed i flashback sono riscontrabili solo nel PTSD.
I dolori fisici e muscolari solo nel GAD.
SINDROME DA AFFATICAMENTO CRONICO(SAC):
Si tratta di un affaticamento cronico legato ad una caduta provvisoria delle
difese immunitarie. I sintomi sono simili ad una forma di mononucleosi
infettiva[Breton,1996]. Su questa sindrome non è stata ancora detta l’ultima
62
parola: alcuni ricercatori stanno cercando di analizzare gli aspetti depressivi
di questo disturbo. C’è il dubbio perfino che sia “una depressione
mascherata”, perché esistono delle analogie tra la sindrome da
affaticamento cronico e la depressione grave[Dowling,1998]. Sembra che
non sia causata solo dal surmenage lavorativo, ma anche da uno squilibrio
del ritmo circadiano[Rossel,1998]. Per quanto riguarda una diagnosi
differenziale tra SAC e PTSD bisogna quindi considerare l’intensità, la
durata, il tempo di latenza. Per quanto riguarda i primi due aspetti nel caso
di SAC è riscontrabile un livello minore rispetto al PTSD. Il tempo di
latenza invece è verificabile soltanto nel PTSD.
BURN-OUT:
Per burn-out si intende una sindrome psicologica che colpisce soprattutto i
lavoratori che svolgono attività assistenziali e socio-sanitarie, come
infermieri, assistenti sociali, operatori psichiatrici: quelle che vengono
definite “le professioni d’aiuto”[Handy,1988]. E’ un esaurimento
caratterizzato in particolar modo da apatia, stanchezza, indifferenza nei
confronti degli altri, mancanza di motivazione e perdita di coinvolgimento
nel proprio lavoro[Pines,1981]. Cherniss[1980] ad esempio considera
questa sindrome uno stato psicologico di un professionista che prima
riversava le sue forze interamente nel proprio lavoro, e a seguito di stress e
di difficoltà organizzative poi si disimpegna. Per la Maslach[1982] il burnout è un tipo di stress dell’operatore, il cui stressor è l’interazione tra
operatore ed utente. Il burn-out si distingue dal disturbo post-traumatico per
il contesto in cui è maturato il disturbo, per i fattori scatenanti, per il fatto
che nel burn-out esistono delle fasi mentre nel disturbo post-traumatico
63
esiste un tempo di latenza ma non delle fasi una volta che si è verificata
l’insorgenza. Le fasi del burn-out per Edelwich e Brodsky[1980] sono
quattro: periodo di entusiasmo( “luna di miele”), periodo di stagnazione(
“carenza di carburante), periodo di frustrazione( fatica, ansietà), periodo di
indifferenza ed apatia( fase depressiva). Infine per quanto riguarda il burnout[Rossel,1998] esiste un tratto di personalità che è correlato alla
sindrome( il tipo A: ambizioso, competitivo, esigente sia con se stesso che
con gli altri, puntuale, frettoloso, aggressivo ), mentre invece nessuna
caratteristica di personalità è correlata con il PTSD.
I DISTURBI DELL’ADATTAMENTO:
Secondo il Dott. Pardini i casi di mobbing in Italia vengono diagnosticati
per la maggior parte con il disturbo post-traumatico o con un altro disturbo
di adattamento. Va ricordato che i disturbi dell’adattamento si distinguono
principalmente in base alla durata: il disturbo è acuto se dura da meno di 6
mesi, è cronico invece se ha una durata maggiore ai 6 mesi. Un elemento
fondamentale nei disturbi dell’adattamento è la presenza di un agente
stressante o traumatico avvenuto nei tre mesi precedenti. I sintomi
psicologici inoltre tendono poi a scomparire dopo 6 mesi dall’assenza del
fattore stressante. La classificazione dei disturbi dell’adattamento conferma
quanto scritto precedentemente: non esiste una distinzione netta ed
oggettiva in alcuni casi tra depressione, ansia, stress. Ulteriore riprova di
questo fatto è che ad esempio il disturbo post-traumatico da alcuni
psichiatri è considerato come un tipo di depressione reattiva, mentre da altri
un particolare tipo di stress[Hales,1995]. Secondo la classificazione dei
disturbi dell’adattamento abbiamo: disturbo dell’adattamento con umore
64
depresso; dda con umore ansioso; dda con umore ansioso e depresso; dda
con disturbo della condotta ;dda con turbe emotive e disturbo della
condotta; dda non specificato. Nella clinica del Lavoro di Milano, diretta
da Gilioli, a 2/3 dei
mobbizzati viene diagnosticato un disturbo
dell’adattamento con sintomi depressivo ansiosi, mentre ai rimanenti un
disturbo post-traumatico. Secondo la dottoressa Cassitto(intervenuta al
convegno “Mobbing” UIL a Milano, il 31 Gennaio 2000) i disturbi psichici
conseguenti al mobbing sono : Dda in situazione occupazionale vissuta
come avversativa, dda compatibile con situazione anamnesticamente
avversativa, dda in situazione occupazionale stressogena, dda in situazione
occupazionale con aspetti avversativi, dpts con prevalente componente
occupazionale, dpts occupazionale. Va ricordato comunque che spesso
molte distinzioni terminologiche per lo stesso disturbo psichico sono
dovute sia a differenze culturali del paese d’origine dei terapeuti che
all’appartenenza di diverse scuole di psicoterapia. Ad esempio per gli
analisti americani nel corso degli anni’80 era rara la diagnosi di “disturbi
schizoidi di personalità”, mentre per gli analisti inglesi era altrettanto rara
la diagnosi di “narcisismo”[Greenberg, 1983]. Allo stesso modo in Italia è
molto più rara la diagnosi di psicosi maniaco-depressiva rispetto
all’Inghilterra, probabilmente per la maggiore tolleranza che noi italiani
abbiamo nei confronti dei comportamenti maniacali[Andreoli, 1999]. Per
una perizia medico-legale di un caso di mobbing secondo Chieregatti e
d’Orsi[2000], collaboratori di Ege, occorrono una anamnesi fisiologica, una
anamnesi lavorativa ed un esame psichico. Per quanto riguarda l’anamnesi
fisiologica, che comprende anche la storia del paziente, è necessario
65
valutare se la persona abbia avuto disturbi psichici antecedenti oppure se
esista comorbidità familiare riguardo a disturbi depressivi o di ansia, per
valutare se esista una predisposizione ereditaria alla vulnerabilità
psicologica. L’interrogativo che si pone a questo punto è il seguente: il
mobbing può colpire chiunque oppure solo alcune persone con specifici
tratti di personalità ? Alcuni ricercatori[Adams, 1992; Brodsky,1976;
Zapf,1999] avevano avanzato ipotesi disposizionali e cercato di descrivere
il profilo delle vittime. Ma successivamente Leymann e Hirigoyen hanno
escluso la tesi disposizionale e considerato solo l’aspetto situale.
Attualmente è stata esclusa la correlazione tra i tratti di personalità del
mobbizzato e l’insorgenza di mobbing. Tuttavia è pacifico ritenere che
esistano delle differenze individuali e che alcune persone possano
possedere degli anticorpi psicologici più resistenti alle vessazioni.
Cassano[1993] a proposito del disturbo post-traumatico si pone
l’interrogativo riguardo alla costituzione più o meno fragile delle persone
affette dal disturbo psichico e a tale proposito considera il trauma come un
effetto “SLATENTIZZANTE”(pag.169- “E liberaci dal male oscuro”Longanesi), che cioè favorisce l’insorgenza di un disturbo a cui erano già
predisposti. Ritengo che questa ipotesi sia la più idonea al momento anche
per i casi di mobbing, come di ogni disturbo psichico del resto.
IL PROFILO PSICOLOGICO DEL MOBBER:
Secondo una stima approssimativa di Einarsen[2000] i sociopatici
rappresenterebbero soltanto il 2-4% dei mobber. Field a proposito dei
disturbi di personalità dei mobber ha avanzato l’ipotesi che siano persone
con un disturbo antisociale, ma il cui elevato livello intellettivo li
porterebbe a compiere azioni non perseguibili legalmente. Per la psichiatra
66
Hirigoyen l’aggressore nelle molestie morali è “un narcisista perverso”, che
ha come caratteristiche fondamentali: la megalomania, la mancanza di
empatia, l’irresponsabilità, la paranoia, la vampirizzazione. Per quanto
riguarda proprio la vampirizzazione la Hirigoyen sostiene che il perverso
narcisista gode della sofferenza altrui e che per affermare se stesso deve
distruggere e umiliare gli altri. Per quanto riguarda i tratti di personalità del
mobber Field invece elenca 4 tipologie:
1) DISTURBO
DI
PERSONALITA’
ANTISOCIALE:
mancata
accettazione delle norme sociali, disonestà, impulsività, mancanza di
empatia per gli altri, irresponsabilità, mancanza di rimorso. Spesso il
disturbo antisociale è la conseguenza di un disturbo della condotta
iniziato prima dei quindi anni.
2) PERSONALITA’ PARANOICA: sospetto infondato che gli altri
vogliano procurare danni o sfruttare, riluttanza a confidarsi, diffidenza
verso la lealtà delle persone vicine, travisamento della realtà, mancanza
di perdono per dubbie offese ricevute.
3) DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITA’: sentimento di
superiorità rispetto agli altri, desiderio costante di ammirazione, scarsa
empatia, fantasie sconfinate di successo, esagerazione delle proprie
qualità.
4) DISTURBO BORDERLINE: relazioni instabili, sensazione di vuoto,
senso di abbandono, incapacità di controllare la collera, comportamenti
autolesionisti, mutamenti ricorrenti di umore, spese impulsive di denaro,
comportamenti rischiosi.i
i è necessario sottolineare che allo stato attuale delle conoscenze si tratta solo di ipotesi.
67
6.
MOBBING E COMUNICAZIONE INTERPERSONALE:
Nel questionario LIPT di Leymann vengono considerati gli aspetti
comunicativi per valutare se il lavoratore sia soggetto a mobbing. Ad
esempio per quanto riguarda l’aspetto dei contatti umani viene esaminata la
possibilità o meno di esprimersi, la presenza di critiche incessanti e
rimproveri subiti; per quanto riguarda l’isolamento sistematico viene
invece chiesto se i colleghi di lavoro parlino o meno con l’interessato;
infine vengono presi in esame anche gli attacchi alla reputazione e le
minacce verbali di violenza. Lo stesso Leymann[1993] ha definito il
mobbing come una serie sistematica di comunicazioni negative rivolte ad
un lavoratore da uno o più persone del suo gruppo di lavoro. Einarse,
Matthiesen, Raknes[1994] ha descritto il mobbing come un maltrattamento
continuo dovuto ad insulti, rimproveri eccessivi, battute mordaci,
isolamento. In Germania l’Associazione contro lo stress psicosociale ed il
mobbing, fondata nel 1993, considera il mobbing come una comunicazione
conflittuale sul posto di lavoro, in cui la vittima viene aggredita
direttamente o indirettamente, spesso con attacchi verbali, da una o più
persone. Il rapporto ILO del 1998 riporta a riguardo i risultati di
un’indagine[1994] sui rapporti interpersonali sul lavoro, svolta da Canadian
Union of Pubblic Employes, secondo cui per il 70% dei lavoratori
intervistati la principale forma di violenza sul luogo di lavoro è dovuta ad
aggressioni verbali. Ellis[1996] in Inghilterra esaminando 22 casi di
mobbing ha trovato che i comportamenti verbali mobbizzanti più frequenti
erano: umiliazione pubblica, insulti, telefonate anonime o intimidatorie,
maldicenze, esclusione deliberata dalle conversazioni nei confronti della
68
vittima. Se si pensa al principio di cooperazione di Grice[1977] ed alle sue
4 prescrizioni conversazionali( massima verità, massima informazione,
massima rilevanza, massima chiarezza) ci accorgiamo che questi principi
comunicativi vengono totalmente disattesi nei casi di mobbing. Infatti Tim
Field, esperto di mobbing, ha descritto il comportamento verbale dei
mobber come non sincero, ipocrita, aggressivo, manipolativo, oscurantista
ed accentratore di informazioni necessarie, infine
contraddistinto da
risposte evasive alle richieste di aiuto. Cassitto[2000] mette in risalto nei
casi di mobbing la strategia dei mobber di isolare la vittima dal flusso di
informazioni necessarie allo svolgimento delle sue mansioni lavorative. Sia
in Inghilterra che in America vi sono leggi ad hoc, volte a perseguire
azioni, commenti, comportamenti, contatti fisici, lesivi della dignità umana.
In particolar modo queste leggi tutelano le minoranze: esiste infatti la Sex
Discrimination Act, la Race Relation Act, la Disability Discrimination.
Come è possibile constatare nell’ambito di studio del mobbing la rassegna
di testimonianze di mobbizzati è in abbondanza. Da un’analisi di questi
racconti di mobbing, reperibili tramite libri , articoli di giornale, siti
internet, chiunque può constatare l’importanza cruciale che assume la
comunicazione nei casi di mobbing. Di conseguenza si ritiene interessante
fare alcune premesse sull’analisi della comunicazione e successivamente
un’analisi della comunicazione mobbizzante puramente qualitativa.
ANALISI DELLA COMUNICAZIONE:
La struttura della comunicazione verbale è costituita da: i comunicanti, il
canale, il segno, il codice, il messaggio, il referente. Il canale è il veicolo
fisico tramite cui viene realizzato il messaggio: ad esempio in una
69
conversazione il canale è la propagazione di onde sonore. Il segno è il
mezzo verbale che permette di comunicare informazioni ed idee. Per
adibire a questa funzione il segno a sua volta è composto essenzialmente da
un significato ed un significante. Richiede obbligatoriamente un referente
ed uno schema concettuale già definito. Il codice in un dialogo è formato
principalmente dalle regole e le convenzioni della fonetica. Il referente
infine è la cosa o l’argomento a cui ci si riferisce. Oltre a questi elementi è
da considerare il contesto comunicativo, concetto fondamentale sia per “La
pragmatica della comunicazione umana” di Watzlavick[1967] che per la
terapia relazionale e l’approccio sistemico. Cavazza e Kettlitz[1999]
sostengono che a causa di interferenze, rumori, incomprensioni quello che
un parlante dice all’altro è minore di quello che vorrebbe dire, mentre
quello che l’ascoltatore comprende è
minore di quello che sente: ad
esempio su 100 cose che il parlante vorrebbe dire l’ascoltatore ne capisce
quindi 40. La comunicazione paraverbale invece è costituita da:
intonazione(modulazione della voce, melodia che accompagna il parlato:
può essere conclusiva, interrogativa o sospensiva), accento(pronuncia più
marcata di una vocale in una parola), tono di voce, timbro di voce. La
comunicazione non verbale è a sua volta formata da aspetti statici ed aspetti
dinamici. Per Cook[1971] gli aspetti statici sono volto, conformazione
fisica, voce, abiti; gli aspetti dinamici invece orientazione, distanza,
postura, espressione del volto, direzione dello sguardo, tono della voce,
velocità di eloquio. Per Argyle[1972] gli aspetti statici della comunicazione
non verbale sono contatto fisico, vicinanza, orientazione, aspetto esteriore;
gli aspetti dinamici sono postura, cenni del capo, espressioni del volto,
70
gesti, sguardo, altri aspetti non linguistici. Ad esempio per quanto riguarda
la distanza interpersonale Hall[1969] ha descritto quattro diverse modalità
di interazione sociale: intima, personale, sociale, pubblica. La distanza
pubblica è di circa un metro tra persona e persona, mentre invece la
distanza personale è di circa mezzo metro. Questo si può constatare
quotidianamente: due estranei che aspettano l’autobus staranno almeno alla
distanza di un metro, due amici invece a distanza di mezzo metro.
L’importanza della comunicazione non verbale è stata dimostrata in teatro
da Dario Fo, che dal 1973 ha utilizzato spesso il grammelot, un vero e
proprio linguaggio onomatopeico e gestuale, capace di fare a meno della
parola comprensibile, inventato dai comici del’400 per aggirare la censura
del potere. La comunicazione è stata analizzata principalmente secondo
questi tre aspetti: 1) cognitivo, come pura trasmissione di informazioni. E’
il
punto
di
vista
di
Gode[1964]
che
dà
la
seguente
definizione:“comunicazione è il processo che rende noto a due o più
persone ciò che è monopolio di uno od alcuni”. Per Popper ed Eccles[1977]
la comunicazione umana è suddivisibile in funzione descrittiva e funzione
argomentativa. Per Camaioni[1980] esiste anche l’uso del linguaggio non
referenziale, in cui grazie alla capacità simbolica umana si può fare
riferimento a cose assenti, irreali o non legate a limiti spazio-temporali.
2)emotivo,
affettivo,
comunicazione
espressivo.
l’espressione
di
Fraser[1978]
stati
d’animo,
evidenzia
l’espressione
nella
di
atteggiamenti e relazioni sociali e quella di identità sociale e personale.
Secondo C.Lazzari “ per comunicazione si intende non solo il libero flusso
di informazioni ma anche la possibilità che una persona ha di aprirsi e
71
rendere manifesti i propri sentimenti agli altri”. 3)Strategico. Viene cioè
presa in esame l’influenza del messaggio per cambiare l’atteggiamento
dell’altro. Secondo Miller[1966] “la comunicazione ha come interesse
principale quelle situazioni comportamentali nelle quali una sorgente
trasmette un messaggio ad uno o più destinatari con l’intenzione di
modificare
il
comportamento
di
questi
ultimi”.
Per
Rita
Levi
Montalcini[1999] “il sistema di comunicazione umano tende ad influenzare
la conoscenza, le convinzioni, gli stati d’animo: lo stato mentale altrui.
Perelman ed Olbrechts-Tyteca[1958] nel “Trattato dell’argomentazione: la
nuova retorica” mettono in evidenza la logica delle prove non dimostrative,
che argomenta pro o contro l’opinabile. Gli autori sostengono che in
prediche, arringhe, comizi l’oratore cerca di influire sull’uditorio partendo
dalle premesse condivise dei suoi uditori. Ma esistono molte sfaccettature
dell’analisi del linguaggio e della comunicazione. Tullio De Mauro[1977]
nel volume “La natura della comunicazione” a tale proposito descrive la
priorità di studio di ogni corrente di pensiero nella filosofia del linguaggio
antica e moderna e nella linguistica: oralità(Democrito), l’articolazione del
linguaggio(Aristotele, Humboldt), l’arbitrarietà del segno(Sausurre), la sua
creatività e la sua produzione illimitata(Chomsky), l’indeterminatezza
semantica(Port-Royal, Pagliato, Wittgenstein), la convenzionalità(Whitney,
Aristotele), la possibilità di essere metalingua di se stesso(DucrotTodorou), la sua capacità simbolica(Cassirer), la sua rete di dipendenze e di
relazioni interne(Hjelmslev, Sausurre, Chomsky) . Si pensi solo al fatto che
un filosofo dei filosofi come Wittgenstein nel corso della sua vita a
riguardo del linguaggio ha cambiato radicalmente idea: da un’iniziale
72
accezione del linguaggio come raffigurazione proiettiva della realtà( quindi
come modello in miniatura della realtà) è passato ai giochi di lingua,
concezione per cui il linguaggio è un gioco le cui regole si imparano
giocando. Se poi si esamina la conversazione ci si accorge che è un
intreccio tra soggettività dei dialoganti, linguaggio e comunicazione[Biasi,
1999]. Anche per Sini e Vattimo[1990] è impensabile stabilire una linea di
demarcazione tra linguaggio del parlante e personalità dello stesso. Plebe
ed Emanuele[1992] sostengono che ogni linguaggio parlato è unico ed
irripetibile in alcuni aspetti come l’individuo che ne fa uso.
Le fasi della comunicazione verbale sono le seguenti:
Per l’interlocutore: 1) codifica del messaggio: un sistema interdipendente di
operazioni mentali ed emotive che pianifica la modalità più appropriata per
trasmettere il messaggio. Secondo Giles[1979] un elemento cognitivo
essenziale nella fase di codifica è il self-monitoring, ovvero il controllo del
proprio linguaggio. L’emittente si configura i possibili effetti che il suo
modo di comunicare può avere sull’altro. Possibili errori di codifica sono
determinati dal filtro, cioè dalla distorsione dell’interlocutore che non
esplicita all’ascoltatore alcuni suoi valori e alcuni suoi schemi mentali,
dandoli per scontati. 2)emissione del messaggio.
Per l’ascoltatore: 1)decodifica del messaggio: è la fase di interpretazione
del messaggio. Come scrive R.Barthes: “udire è un fenomeno fisiologico;
ascoltare è un atto psicologico”. La decodifica è quindi l’ascolto del
messaggio. Possibili errori di decodifica sono dati dall’alone semantico,
ovvero dalle zone d’ombra della parola. Ci sono infatti parole astratte come
giustizia che hanno accezioni diverse a seconda della persona. Sono
73
concetti che non hanno un’interpretazione univoca, a cui ognuno può dare
razionalmente significati diversi. Ci sono invece sostantivi ed aggettivi, che
hanno sfumatura soggettive. A tale proposito basta ricordarsi che la crisi
dello strutturalismo è dovuta proprio a questa ragione. Gli strutturalisti
infatti ebbero notorietà per lo smontaggio analitico che avevano operato sul
linguaggio. Ma una volta riusciti a tradurre le strutture della Lingua in
modelli, altrettanto non poterono fare con la Parola, che comprende in sé
non solo la denotazione, l’estensione(categoria di oggetti a cui si riferisce),
intensione(proprietà che una cosa deve avere per essere inclusa nella
categoria di oggetti), ma anche la connotazione, una coloritura emotiva
irreprensibile per lo schema concettuale di ogni linguista. Va anche
ricordato che una parola talvolta non contiene solo questo elemento
variabile da persona a persona, ma perfino dei sottocodici, familiari solo ad
una ristretta cerchia di persone(ad esempio nel caso delle allusioni e dei
doppi sensi). Per quanto riguarda questo aspetto Braitenberg[1989] ne “Il
cervello e le idee” sottolinea due aspetti preponderanti del linguaggio: la
comunicazione e la delimitazione. Delimitazione significa quindi la
creazione spontanea in un gruppo di un gergo(ovvero linguaggio per
iniziati), non comprensibile alle persone esterne. Inoltre decodificare un
messaggio significa non solo comprenderne il contenuto oggettivo, ma
anche interpretare e come ci insegna Gadamer, esponente principale
dell’ermeneutica, interpretare significa proiettare sul messaggio ricevuto i
propri
pregiudizi,
le
proprie
aspettative,
i
propri
preconcetti.
L’interpretazione è quindi viziata da una pre-comprensione squisitamente
personale. In fondo questo concetto è analogo a quello de “la mappa non è
74
il territorio” di Korzypsky, espresso in “Semantica Generale” e divenuto
poi principio fondamentale della programmazione neuro-linguistica:
ovvero qualsiasi contenuto di qualsiasi atto comunicativo viene trasformato
da dei filtri personali. Una via di uscita comunque esiste: tramite feedback
l’emittente può evitare malintesi, spiegandosi meglio ed il ricevente avere
delucidazioni su messaggi ritenuti ambigui. Tramite la retrocomunicazione
perciò entrambi i partecipanti possono ricorrere ai correttivi necessari ad
una migliore qualità di comunicazione. E’ mediante feedback che la
comunicazione umana diventa continua e circolare e non lineare e
segmentata.
Altri aspetti essenziali della comunicazione interpersonale sono: il turntaking[Duncan, 1972], ovvero la consapevolezza dell’alternanza dei turni
del dialogo; il role-taking[Mead, 1934], cioè la
capacità di capire la
prospettiva dell’altro, le sue caratteristiche e le sue conoscenze ; la
metacomunicazione[Watzlawick, Beavin, Jackson, 1967], cioè l’analisi
della comunicazione per chiarire messaggi apparentemente contraddittori o
complessi( ad esempio domande dell’emittente come “mi segui ?” o
dell’ascoltatore come “cosa vorresti dire ?” appartengono all’ambito della
metacomunicazione);
la metainterazione, intesa come
processo di
dislocamento che permette ad un partecipante del dialogo di estraniarsi per
riflettere sul significato ed il contesto dell’incontro, per fare il punto della
situazione e valutare che cosa sta accadendo. Ad esempio uno
psicoterapeuta durante un colloquio con un paziente tramite la
metainterazione può analizzare il transfert e le resistenze del paziente.
75
Secondo Austin[1962] vi sono tre livelli di atti linguistici: l’atto locutorio,
cioè il contenuto della proposizione; l’atto illocutorio, ovvero l’azione
linguistica della frase: ordine, promessa, supplica; l’atto perlocutorio, cioè
la conseguenza che ha nell’ascoltatore la frase detta. L’atto illocutorio è
chiaro, esplicito. E’ trasparente e viene espresso senza inganni.
Invece
l’atto perlocutorio consiste nel far fare o nel far credere qualcosa a
qualcuno in modo che non ne sia consapevole. Tramite l’atto perlocutorio
la frase può diventare strumento di inganno. Tramite continue critiche
sull’operato di un lavoratore si può far diminuire l’autostima della persona
in questione. Il fine ultimo è quello di sminuire l’altro: dominare l’altro per
affermarsi. Apparentemente le critiche sembrano oggettive e non personali,
in realtà possono essere concepite ad arte allo scopo di far credere al
lavoratore di non essere sufficientemente idoneo per le mansioni che
svolge. In questo caso si dice qualcosa semplicemente perché abbia un
effetto negativo sull’interlocutore. Le lodi eccessive ed acritiche ad un
superiore o ad un collega di pari grado possono essere invece strumentali
affinchè la persona che le riceve faccia dei favori: l’altro in questa
circostanza diventa così un mezzo per obiettivi, come la scalata al vertice,
la carriera. Perché l’atto linguistico perlocutorio sia veramente strumentale
l’emittente deve utilizzare la dissimulazione. Deve cioè parlare mascherato.
Deve adottare un linguaggio reticente che mascheri le sue vere intenzioni.
Colui che ascolta per smascherare il vero intento, può usare invece
l’ermeneutica, intesa nell’accezione più ampia del termine. Può interpretare
i messaggi dell’interlocutore e considerarla in base al contesto e alla natura
della loro relazione, nello stesso modo in cui uno filologo utilizza l’arte di
76
interpretare ed interrogare un testo antico sulla base delle conoscenze sia
dell’epoca che dell’autore del documento esaminato. Per Habermas[1973]
l’agire comunicativo è caratterizzato dagli atti illocutori, mentre l’agire
strategico dagli atti perlocutori. L’agire strategico è contrassegnato dal
monopolio del quadro di riferimento: il rapporto è eteroregolamentato da
una solo persona. L’altro deve essere docile, assimilare gli schemi di
riferimento già decisi, adattarsi alle istanze del dominatore.
Mentre
nell’ambito dell’agire comunicativo gli interlocutori sono spontanei ed
immediati, perché immersi nel mondo della vita, nell’agire strategico ogni
atto linguistico è sempre calcolato, predeterminato per secondi fini.
LA COMUNICAZIONE
DISCORSO MORENTE:
INTERNA
CARATTERIZZATA
DAL
La comunicazione all’interno di un’azienda non è solo la trasmissione di
informazioni riguardanti gli orari, i turni, i prodotti, cicli di lavoro: non è
solo passaggio di informazioni per l’efficienza organizzativa, ma ha anche
una dimensione umana, determinata dagli stili di relazione. In un azienda
sono presenti tre tipi di comunicazione: quella interna, quella interorganizzazionale, quella esterna(con fornitori e clienti). Per quanto
concerne la comunicazione interna viene distinta in comunicazione
orizzontali(tra colleghi) e comunicazione verticale(capo-sottoposto). Per
quanto riguarda gli scambi comunicativi si distingue tra comunicazione ad
una
via(ad
una
sola
direzione)
e
comunicazioni
a
due
vie(reciprocità)[Harrell,1963]. Per G. Klein[1999] nell’ambito della
comunicazione interna esistono 4 tipi di direzionalità: interazione
unidirezionale(ordine da eseguire), bidirezionale(colloquio tra pari grado),
77
multidirezionale(conferenza;
rapporto
uno-a-molti),
pluridirezionale(riunione di lavoro; rapporto molti-a-molti). Secondo
l’etnometodologia[Garfinkel, 1967; Giglioli, Dal Lago, 1983; Heritage,
1984] le caratteristiche stabili di un’organizzazione sono determinate
proprio da pratiche comunicative. Infatti la comunicazione è un prerequisito essenziale per rilevare i bisogni specifici e raggiungere gli
obiettivi prefissati dell’azienda[Tichy, Charan, 1989]. French e Bell[1976]
avevano già intuito la stretta relazione tra comunicazione interna efficace e
produttività aziendale. Secondo Peters[1988] le aziende leader nella loro
nicchia di mercato utilizzano comunicazioni interne più informali e volte al
pluralismo. Lo stesso Bill Gates[1999] scrive: “Per avere successo nei
mercati dinamici di oggi, una azienda ha bisogno di un elevato quoziente
intellettivo. Per quoziente intellettivo dell’azienda non intendo tanto il
semplice fatto di avere un certo numero di persone intelligenti che vi
lavorano, anche se questo non guasta, quanto piuttosto la misura in cui
coloro che lavorano insieme sanno condividere le informazioni in modo
semplice ed esteso…”. Se pensiamo alla comunicazione interna come un
network[Leavitt, 1988] ci rendiamo conto che in casi di mobbing il
mobbizzato viene escluso dalla rete comunicazionale: questo comporta
inefficienza comunicativa, che a sua volta causa disfunzioni organizzative.
Tra due interlocutori –secondo la scuola di Palo Alto- possono realizzarsi
tre tipi di stili di relazione:
1) simmetrico: è il caso in cui la risposta ha lo stesso identico stile della
comunicazione iniziale. Le due comunicazioni sono dello stesso segno:
sono dello stesso segno negativo quando ad offesa si risponde con offesa
78
, sono dello stesso segno positivo quando ad un apprezzamento si
risponde con un altro apprezzamento. Questo stile di relazione di
conseguenza può portare nel primo caso ad un circolo vizioso,
nell’ultimo ad un circolo virtuoso. Nel caso di stile di relazione
simmetrico negativo si verificherà progressivamente un aumento di
intensità del conflitto. L’escalation è dovuta al fatto che nessuno dei due
vuole essere nella posizione one-down, cioè in stato di inferiorità
rispetto all’altro. Entrambi vogliono invece giungere alla posizione oneup, vogliono cioè avere la supremazia sull’avversario. Ecco allora che si
genera una gara, magari dissimulata, in cui ognuno dei due vuole avere
la meglio: l’ultima parola.
2) Complementare: è ad esempio il caso di un dipendente che si sottomette
ad un capo durante una sfuriata. Anche l’irrigidimento di uno stile
complementare può causare notevoli problemi. Essere sempre
sottomessi ad un lestofante può rivelarsi nocivo per la propria salute.
3) Parallelo: una delle due persone comprende che in quella data
circostanza deve utilizzare uno stile inverso rispetto all’altro. La persona
adotta così una strategia comunicativa flessibile, interrompendo
l’inerzia di una sequenza di atti linguistici, continuamente simmetrici o
complementari. Lo stile parallelo è quindi quello più appropriato per
porre fine ad un diverbio. Se nessuno dei due contendenti assume questa
posizione, se nessuno cede, si giunge nel migliore dei casi ad uno stallo,
nel peggiore all’acutizzarsi di un conflitto.
Secondo Bateson invece esistono due modalità di comunicazione verbale
all’interno di una organizzazione: il discorso vivente ed il discorso
79
morente. Il discorso vivente è caratterizzato da relazioni sociali autentiche,
spontaneità, partecipazione attiva, reciproca comprensione. Nel discorso
morente invece il linguaggio è imposto, ogni partecipante è controllato e
controllante. Un discorso vivente porta inevitabilmente ad agevolare la
collaborazione e la cooperazione in un gruppo. Un discorso morente al
contrario crea un clima ostile, conflittuale, ricattatorio tra i membri del
gruppo. Per Bateson il linguaggio imposto del discorso morente è quello
della civiltà dei consumi. E’ “l’affarese”, fatto di parole come produzione,
prestazione, efficienza, soddisfazione del cliente, profitto, arricchimento,
carriera. E’ il linguaggio della mercificazione, che considera ogni
interazione umana centrata sul rapporto venditore-cliente. Gli altri
diventano così “macchinette” e l’uso delle persone diventa quindi abuso,
dato che il dipendente è considerato da un datore di lavoro, nientemeno che
“uno schiavo della busta paga”…..oppure un potenziale cliente diventa un
possibile “recipiente passivo” di campagne pubblicitarie, che lo
inebetiscono a tal punto da indurlo a comprare proprio quella marca….. o
infine un numero ogni qualvolta metta piede nel mondo della burocrazia o
in un reparto ospedaliero. Per Bateson le caratteristiche delle reti sociali del
discorso morente sono potere, controllo, obbedienza, prevenzione. Le
forme linguistiche del discorso morente sono invece fatte di manipolazioni,
ricatti, abusi. Il discorso morente è contraddistinto da un alto grado di
formalismo nella comunicazione. Il formalismo può causare disfunzioni
comunicative. Le disfunzioni comunicative causano sempre lavori inutili,
errori, difficoltà organizzative e crisi nei rapporti interpersonali. In America
negli ultimi due decenni è stata presa seriamente in considerazione
80
l’importanza che ha la comunicazione interna sulla performance del gruppo
di lavoro. La strategia più applicata è quella dell’open door, ideata da
Watson, quando era presidente all’Ibm. L’open door è la consuetudine del
capo di stare in ufficio con la porta aperta. Un segnale esplicito per indicare
la disponibilità verso i sottoposti ad avere scambi reciproci di informazioni.
Più recentemente in America si sta diffondendo la tecnica del MBWA(
management by walking around): dirigere cioè andando in giro a chiedere
informazioni ai dipendenti di tutti i reparti ed interessarsi delle loro
problematiche. Sempre a riguardo del recupero di una comunicazione più
informale si pensi anche alla diffusione dei breakfast meetings o alle
riunioni al club di golf. L’obiettivo di questi incontri è quello di portare gli
individui fuori dal contesto lavorativo abituale per creare un’atmosfera più
rilassata.
PERDITA DI FACCIA E DERISIONE:
Secondo Goffman[1971] ogni persona in un gruppo sociale ha una faccia,
cioè una certa immagine di sé. Per il sociologo ognuno cerca di dare la
migliore immagine di se stesso e per questa ragione ognuno è “carceriere di
se stesso”. Il gruppo avrà delle aspettative conformi alla faccia che ha una
persona e di conseguenza questa dovrà agire secondo una linea di condotta
coerente. Ad esempio un individuo considerato cortese dovrà fare certe
concessioni per non ferire i sentimenti altrui. Con l’espressione “gioco di
faccia” Goffman intende “tutto ciò che si fa per rendere le proprie azioni
coerenti con la faccia.” Il gioco di faccia è di volta in volta caratterizzato
dal tatto, dalla compostezza, dall’autocontrollo. Se la faccia di un uomo
viene offesa, questo la considera come una sfida. Le mosse seguenti del
81
comportamento rituale possono essere l’offerta di riparare all’offesa ,
l’accettazione da parte dell’offensore ed il ringraziamento per essere stato
perdonato. Se un gruppo di persone cerca di far “perdere la faccia” ad una
persona ritenuta scomoda o antipatica nella maggior parte dei casi cercherà
di farla sentire in imbarazzo, di deriderla e sminuirla al cospetto degli altri
perché provi vergogna. Il bersaglio diventerà quindi possibile oggetto di
derisione. Per Bergson, filosofo dello slancio vitale, per far scaturire il riso
si deve tenere presenti di queste peculiarità: 1) il nemico principale del riso
sono emozioni, come compassione o sentimento di pietà. Per far ridere
bisogna rendere lo spettatore impartecipe insensibile. 2) Il riso è sempre il
riso di un gruppo. Bergson fa l’esempio di una individuo da solo che
ascolta le barzellette del gruppo presente nel suo scompartimento. Al
massimo potranno strappargli un sorriso, mentre i componenti del gruppo
rideranno a crepapelle. Il riso presuppone quindi intesa e complicità di
persone facenti parte di un gruppo. Di conseguenza il riso è “un gesto
sociale”. 3)Gli ideatori di scherzi e battute devono fare in modo che il
soggetto bersagliato sia indotto in uno stato di “automatismo e di rigidità.
Nel caso in cui non funzioni allora i goliardici potranno imitarlo, cioè
“sprigionare la parte di automatismo che egli ha lasciato introdurre nella
sua persona”. 4)Alcuni lapsus volontari o giochi di parole possono far
scaturire il riso. Secondo Bergson “le distrazioni del linguaggio” creano il
comico. 5)L’ironia e l’umorismo hanno l’intenzione di umiliare la persona
che viene fatta oggetto di scherno. 6) Enfatizzare dei piccoli difetti può far
ridere. 7) Per il filosofo francese “il riso è veramente una specie di castigo
sociale”.
82
Ecco allora che un insieme di persone che voglia deridere un singolo può
agire tramite sottintesi, allusioni, che diventano vere e proprie stoccate per
lo stato d’animo del soggetto bersagliato. Una sola battuta lascia il tempo
che trova, ma immaginiamoci per un attimo cosa significa essere oggetto di
derisione per quaranta ore alla settimana e per almeno la durata di 6 mesi.
Le strategie verbali di mobbing sono quindi sofisticate. Tramite doppi sensi
o allusioni , di cui solo pochi intimi conoscono le premesse, i mobber
possono ferire senza offendere la persona che stanno mobbizzando. Se
queste strategie verbali si svolgessero di fronte ad una persona estranea a
quel contesto, non sospetterebbe certo che quelle frasi possano essere un
modo per distruggere l’altro. Queste strategie verbali presuppongono
spesso la creazione di un gergo, di ciò che gli inglesi chiamano private talk.
Il mobber, quando utilizza una strategia verbale parla senza dire niente di
offensivo per una persona esterna, ferisce senza offendere per la vittima.
Riesce così a perseguire il suo scopo, facendo in modo, che nessuno si
accorga di niente e lo accusi di niente. La logica conseguenza è che in
questo modo la vittima è isolata, incompresa. Se lo racconta ad altri
penseranno che è permalosa o la scambieranno per paranoica. Accade così
che dopo essere stata stuzzicata continuamente per mesi la vittima, superato
il limite, oltrepassata la soglia di sopportazione, risponde alla provocazione
ed a questo punto inizia un botta e risposta, un alternarsi di accuse
reciproche: il conflitto manifesto. Altre strategie comunicative dei mobber
sono: le pause di silenzio, ogni volta che la vittima prescelta entra in ufficio
o si presenta al loro cospetto; l’uso di minacce; rimproveri eccessivi;
83
critiche che attaccano i punti deboli e vulnerabili di una persona e non
l’operato del lavoratore; scherzi pesanti ;calunnie.
PETTEGOLEZZO, CALUNNIA E VERITA’ SCOMODE:
Nei paesi, dove tutti si conoscono, possono essere oggetti di pettegolezzo
la sposina procace del piano di sopra o il parrucchiere effeminato. In questi
casi la maggior parte delle volte ad ordire queste chiacchere sono state
delle comari, sempre anziane, spesso zittelle. Come ci ricorda
Kapferer[1987] “private della vita pubblica, le comari rendono pubblica la
vita privata”. E’ significativo il romanzo “gli occhiali d’oro” di Bassani, in
cui il protagonista, il dottor Fadigati, si suicida affogando nel Po, dopo che
la sua reputazione era stata infangata da voci insistenti sulla sua presunta
omosessualità. Per Eissler[1993] ci sono due costanti della calunnia: 1)la
calunnia per essere creduta deve essere audace. L’importante non è certa la
veridicità delle affermazioni. Heidegger in "Essere e tempo” scrisse “ la
totale infondatezza della chiacchera non è un impedimento per la sua
diffusione pubblica ma un fattore determinante.” 2)qualcosa resta pur
sempre addosso: la calunnia provoca comunque effetti negativi sia per la
caduta d’immagine sociale sia per l’identità della persona infamata.
Pettegolezzi e dicerie sono delle costanti antropologiche. Primo Levi nella
sua opera “Del pettegolezzo” lo aveva intuito, quando scriveva: “il
pettegolezzo è una forza della natura umana. Chi ha obbedito alla natura
trasmettendo un pettegolezzo, prova il sollievo esplosivo che accompagna
il soddisfacimento di un bisogno primario”. L’antropologo Levi-Strauss lo
ha successivamente dimostrato, analizzando la comunità degli indiani
Nambikwara del Brasile.
Levi-Strauss osservò che anche in una
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comunità primitiva anziani e bambini commentavano particolari piccanti
sulle coppie adolescenti, che di notte si appartavano furtivamente nella
boscaglia circostante. Secondo Allport e Postman, che condussero ricerche
dal 1945 al 1947, la diceria riguardo ad organizzazioni, gruppi sociali,
singoli individui non è altro che una deformazione grossolana
dell’informazione iniziale, dovuta a tre processi: 1)Appiattimento: la
circolazione della diceria fa perdere i dettagli iniziali per arrivare alla fine
ad essere breve e concisa. Non è raro che dopo essere stata propagata
diventi uno slogan. 2)Accentuazione: su alcuni aspetti, quelli più curiosi,
più scabrosi vengono create delle iperboli. Gli aspetti più interessanti per il
senso comune vengono quindi enfatizzati ed esagerati oltremodo. Agiscono
da rinforzo positivo per alcune aspettative ed alcuni pregiudizi insiti nella
mentalità comune. 3)Assimilazione: è un modalità per rendere più
accattivante la narrazione della storiella.
Come ci ricorda Mantovani[1985] ne “l’elogio del pettegolezzo”: il
pettegolezzo propone degli interrogativi morali, dei dubbi sulla validità di
certe norme sociali. Come scisse Pasolini in “Affabulazione” : “io interrogo
solo per sapere, non per giudicare”. Questa frase riassume l’assunzione di
ruolo di colui che fa pettegolezzo. Non solo ma il pettegolezzo è anche una
modalità di controllo sociale, perché le persone evitino oscenità o gesti che
possano creare imbarazzo negli altri o offendere il comune senso del
pudore. E’ fondamentale però fare una distinzione tra pettegolezzo
benevolo e pettegolezzo malevolo: tra diceria fatta per passare il tempo e
calunnia , intesa anche come trama e complotto contro qualcuno. Un
esempio di pettegolezzo benevolo potrebbe essere spargere la voce che un
85
dirigente in vista, pur essendo sposato, è un donnaiolo impenitente, che ha
delle giovani amanti. In questo caso nessun giudice almeno in Italia
istruirebbe un processo per calunnia. E’ vero che la costituzione italiana dà
a priori “la buona fama” a tutti i cittadini. Però in questo caso specifico la
reputazione non verrebbe affatto scalfita in alcun modo, anzi la sua
considerazione sociale aumenterebbe. Il dirigente in questione chiaramente
potrebbe reagire in due modi: sorridere bonariamente se è un marito
irreprensibile e se ha la coscienza a posto, oppure arrabbiarsi fuor di misura
se quel che dicono è vero, perché quelle voci fondate gli hanno rovinato il
giro di belle amanti scellerate.
Altra cosa invece è la vera calunnia:
diffondere la voce che l’interessato abbia contratto una malattia infettiva,
che sia omosessuale o pedofiIo. La calunnia si può distinguere dal
pettegolezzo benevolo proprio per il danno sociale recato alla persona. La
calunnia si rivela persecutoria e distruttiva: la curiosità morbosa invade la
privacy dell’interessato e contemporaneamente getta discredito sulla sua
immagine sociale per un periodo prolungato. Esistono vocefondai e
calunniatori patologici in ogni ambito: al bar dello sport, nel negozio del
barbiere o in ufficio. Talvolta i mobbers usano proprio il venticello della
calunnia per affossare un collega a loro antipatico. Ma può anche accadere
al contrario che una persona rifiuti autentici malaffari , si lamenti di veri
comportamenti scorretti all’interno del proprio ambiente di lavoro e per
questo motivo venga accusata di calunnia o venga mobbizzata per questo
motivo. Un lavoratore onesto che dice una verità troppo scomoda può
quindi essere soggetto di ritorsioni.
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Riassumendo quindi nei casi di mobbing abbiamo spesso una
comunicazione interna dalle seguenti caratteristiche:
contesto comunicativo:
discorso morente
Strategie comunicative:
reticenza e dissimulazione
Stile di relazione del mobber:
one-up
Atti linguistici del mobber:
perlocutori(agire strategico)
Metacomunicazione:
insufficiente
Retrocomunicazione:
insufficiente
Role-taking del mobber:
insufficiente; mancanza di empatia
Figure retoriche
mobber:
utilizzate
dal litote, perifrasi, allusione, iperbole
Strategie verbali di gruppo:
deridere la persona presa di mira,
calunniarla.
Uso del silenzio:
il silenzio viene utilizzato per fare
sentire inadeguata la persona. E’
utilizzato come rifiuto volontario di
comunicazione.
Strategia globale:
ferire senza offendere. Mettere il dito
nella piaga sistematicamente. Essere
sarcastici su difetti e debolezze della
vittima.
Uso
frequente
di
apparentemente obiettive;:
critiche, in realtà sono fatte ad arte per far
perdere fiducia alla vittima.
Obiettivo a breve termine:
far perdere la faccia alla persona
dinanzi agli altri.
Obiettivo a lungo termine:
distruggere l’identità di una persona.
Farle perdere la propria autostima.
87
7.
GLI ASPETTI LEGALI DEL MOBBING:
In questo capitolo si cercherà di fare una breve rassegna sugli articoli di
legge che consentono ai lavoratori che hanno subito mobbing di essere
risarciti per il danno subito. Per considerare il mobbing nel contesto legale
italiano è bene riportare la concezione del mobbing in Italia, accettata dalla
maggioranza di giudici ed avvocati, secondo cui “si identifica il mobbing
come molestie morali, violenze morali, persecuzioni psicologiche, percosse
psichiche, violenza o molestia psicologica, tortura psicologica, pressioni
psicologiche, accerchiamento aziendale.”[Caccamo e Mobiglia, 2000]. Ma
la definizione legale di mobbing più idonea è comunque quella estrapolata
dalle sentenze della Corte di Cassazione, che emette il terzo grado, quindi
definitivo, di giudizio. Nella sentenza n°475 del 19 Gennaio 1999 della
Corte di Cassazione viene decretato che anche un comportamento
“astrattamente illecito” da parte del datore di lavoro diventa illegale se si
cela un’intenzione persecutoria. Nel caso suddetto il datore di lavoro
chiamava il medico fiscale perché facesse continuamente visita di controllo
alla dipendente. Richiedere una visita di controllo è legittimo da parte del
datore di lavoro in questo caso, ma la Corte ha condannato la sistematicità
illecita e vessatoria delle visite di controllo: il datore di lavoro ha quindi
abusato di un suo diritto. Nella sentenza n°3970/1999 è stato convenuto che
i turni di lavoro estenuanti possano compromettere seriamente le condizioni
psico-fisiche del lavoratore e
metterlo in condizioni ,per riduzione di
vigilanza e di attenzione, di avere incidenti al di fuori del lavoro. Il
lavoratore in questo caso aveva avuto un incidente automobilistico di
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ritorno dal luogo di lavoro, dove svolgeva da tempo ritmi lavorativi
massacranti. Nella sentenza n°3147/1999 la Corte ha stabilito che il
licenziamento ingiurioso ed immotivato patito da un lavoratore dovesse
non solo essere annullato ed il lavoratore reintegrato ma che dovesse anche
essere risarcito per danno alla reputazione. Nella sentenza della Cassazione,
sezione Lavoro, n°12339 del 5 Novembre 1999, è stato invece deciso il
risarcimento del danno per infarto miocardico causato da vessazioni e
dequalificazione professionale. Secondo la sentenza n°143 dell’8 Gennaio
2000 della Corte di Cassazione al dipendente spetta l’onere probatorio:
volendo significare che le accuse non provate di molestie sessuali di una
lavoratrice al datore di lavoro determinano la comminazione di un
licenziamento per giusta causa, in quanto la lavoratrice in questione ha
violato il rapporto di fiducia. La lavoratrice in questione aveva chiesto il
risarcimento del danno biologico causatole dalle molestie sessuali. La
sentenza n°5491 del 2 Maggio 2000 della Cassazione sezione Lavoro ha
respinto il risarcimento da danno biologico di un lavoratore e sindacalista
autonomo. Il lavoratore in questione aveva richiesto un risarcimento per
l’insorgenza di disturbi nervosi con somatizzazioni(dolori epigastrici,
nausea, vomito), derivati secondo lui dai comportamenti vessatori subiti
dall’Ansaldo. La richiesta è stata respinta per la regola dell’onere
probatorio: ovverosia deve esserci una dimostrazione del “nesso causale”
tra vessazioni subite e lesione alla propria salute. Secondo la Corte di
Cassazione l’insorgenza di disturbi nervosi non è derivata dall’attività
persecutoria dell’azienda ma piuttosto dal sovraccarico di lavoro e dal
grande impegno che il soggetto riversava nella sua attività di sindacalista.
89
Anche la perdita prima della moglie e poi della nuova compagna e la
perdita graduale di relazioni sociali è dovuta secondo la Corte ad una serie
di scelte personali e non al mobbing. Alcune sentenze della Corte di
Cassazione hanno quindi condannato i mobber, ma in queste ultime due
sentenze è stata ricordata la differenza tra mobbing e mobbismo(accuse non
provate di mobbing). L’ordinamento giuridico per risarcire un danno
richiede infatti la presenza di tre elementi: la condotta illecita, il rapporto di
causa-effetto tra condotta illecita e lesione, l’elemento soggettivo.
L’elemento soggettivo contempla se la condotta illecita sia intenzionale o
meno. Inoltre ricordiamo- anche se è una sentenza di primo grado- la
sentenza del 16 Novembre del 1999 in cui è stato sanzionato il
comportamento persecutorio del datore di lavoro che maltrattava,
offendeva e costringeva la dipendente a lavorare in un luogo angusto.
Un’altra sentenza del tribunale di Torino del 30 Dicembre del 1999 ha
risarcito la dipendente dal danno psichico temporaneo, derivatole dalle
pressioni del suo datore di lavoro perché desse le dimissioni. La lavoratrice
aveva rifiutato di dare le dimissioni e per questo motivo era stata trasferita
dall’ufficio al magazzino, e quindi demansionata. In queste due sentenze il
Tribunale ha contemplato per la prima volta il termine mobbing. In merito
invece ai cosiddetti reparti-confino il caso più noto è quello della Palazzina
Laf di Taranto. La vicenda ha avuto inizio nel Maggio del 1997 col
trasferimento di 70 impiegati scomodi negli uffici fantasma del laminatoio
a freddo. Gli impiegati sono stati trasferiti per non aver accettato la
richiesta dell’azienda di “novazione” del loro contratto di lavoro: da
impiegati sarebbero stati quindi diventati operai a parità di salario [Meucci,
90
2000]. La psichiatra Marisa Lieti nel 1998 ha avviato un centro di ascolto
per i mobbizzati presso il C.S.M, da lei diretto. Si sono rivolti a lei 180
lavoratori mobbizzati, di cui il 33% dipendenti Ilva. Dei dipendenti Ilva
sottoposti all’inoperosità nella palazzina Laf ha riscontrato numerosi casi di
disagio psichico ed alcuni tentativi di suicidio[Convegno Nazionale Uil Ca
–16 Giugno 2000].Nel Novembre del 1998 il procuratore Sebastio ha
sequestrato la palazzina come corpo di reato ed ha permesso ai 79
lavoratori presenti di uscire dagli uffici fatiscenti. Il 15 Dicembre 1999 è
iniziato un processo contro i due imprenditori e 10 dirigenti dell’Ilva: sono
stati tutti imputati di tentata violenza privata e di frode processuale. Il 22
Dicembre del 1999 la Pretura di Taranto, nelle veci del dott.Chiarelli, ha
accolto la domanda della Uil della Puglia e della Uil provinciale di Taranto
a costituirsi parte civile contro l’azienda. Ma per i reparti-confino in Italia
non esistono ancora sentenze di terzo grado. Per quanto riguarda le
garanzie costituzionali innanzitutto è necessario ricordare l’evoluzione del
diritto alla salute. L’art.32 recita: “La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.” Fino agli
anni’60 però si riconosceva nell’art.32 della Costituzione la tutela della
salute pubblica da parte dello Stato, senza prendere in considerazione i
rapporti tra soggetti privati[Balduini, 1998]. Un cambiamento radicale
avviene con la decisione del tribunale di Milano(ord. Del 2/10/72) che
considera l’aborto terapeutico un aborto praticato in stato di necessità e
quindi non perseguibile per legge. Detto in altro modo nessuna donna nel
caso in cui la gravidanza costituisca pericolo per la sua salute può essere
perseguita legalmente. Questa ordinanza del tribunale di Milano verrà
91
successivamente accolta con la sentenza n°27 del 1975 da parte della Corte
costituzionale. In seguito a sostegno dell’evoluzione della salute da
ricordare la legge del 1982(n°164) sulla possibilità data ai transessuali di
cambiare sesso tramite operazione chirurgica per migliorare il loro
equilibrio psichico, la sentenza n°669 del 21/4/’92 della Corte di
Cassazione che stabilisce la condanna per omicidio preterintenzionale di un
chirurgo che aveva effettuato un intervento chirurgico letale senza il
consenso della paziente. Tutto ciò ha fatto sì che la salute venga considerata
non solo in base a parametri fisici, ma contemplando anche l’equilibrio
psichico ed il benessere della persona inteso a tutto tondo. Di conseguenza
anche il danno psichico è lesivo della salute. Greco[2000] a proposito
scrive: “danno psichico e mobbing viaggiano e si sviluppano di pari passo e
il loro rapporto è pari a quello che intercorre tra rumore e ipoacusia,(…)tra
il piombo ed il saturnismo, e così via come per tante altre patologie
connesse alle malattie professionali o tecnopatie.” Questo non significa che
sia facile distinguere tra i vari tipi di danno in sede legale. Matto[1999]
sottolinea come spesso nel mobbing vi sia un intreccio tra danno
professionale e danno alla persona. E’ necessario inoltre considerare le altre
garanzie costituzionali. Nell’art.3 della Costituzione italiana si legge: “ E’
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e
sociale del Paese.” Riguardo ai diritti delle donne lavoratrici l’art.37 recita:
“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse
92
retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono
consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e
assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.” Per
quanto riguarda i diritti dei lavoratori sindacalisti basterà ricordare l’art.39
della Costituzione: “L’organizzazione sindacale è libera.” Per quanto
concerne invece il rapporto tra iniziativa privata e nocumento di ordine
sociale l’art.41 dice: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi
e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa
essere indirizzata e coordinata ai fini sociali.” Anche alcuni articoli del
codice penale devono essere presi in considerazione per quanto riguarda il
mobbing estremo ed il bossing. Si ricorda a proposito l’art.323 c.p(abuso
di ufficio) l’art.590 c.p(lesioni personali colpose), l’art.594 c.p(ingiuria),
l’art.595 c.p(diffamazione), l’art.610 c.p(violenza privata). Per quanto
riguarda il codice civile invece è necessario citare riguardo al contratto di
lavoro i doveri del datore di lavoro(art.2099 c.c, obbligo di retribuzione;
art.2087 c.c , obbligo di sicurezza) ed i doveri del dipendente(art.2094 c.c,
obbligo di prestazione del lavoro ; art.2086 c.c e art.2104 c.c , obbligo di
subordinazione ; art.2104 c.c, obbligo di diligenza ; art.2105 c.c, obbligo di
fedeltà). Entrambi inoltre devono comportarsi l’uno nei confronti dell’altro
rispettando i principi di correttezza e di buona fede(rispettivamente
l’art.1175 c.c e l’art.1375 c.c). In merito al
mobbing è fondamentale
ricordare l’art.2043 c.c(secondo cui il danno biologico è risarcibile in
quanto danno ingiusto), l’art.2056 c.c( definizione di danno biologico come
93
lesione dell’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento
medico-legale), l’art.2059 c.c(danno morale), l’art.2103 c.c(caso illegittimo
di dequalificazione, demansionamento, riduzione dell’attività), l’art.1226
c.c(il danno patrimoniale alla professionalità), l’art.2087 c.c(obbligo di
sicurezza). Riguardo all’annullamento di dimissioni di un dipendente
costretto a dare le dimissioni in quanto mobbizzato è da ricordarsi l’art.428
c.c(presupposti dell’incapacità naturale), l’art.1434 c.c(vizio della volontà
morale), l’art.1438 c.c(danno recato a terzo per avere un vantaggio
ingiusto). In materia di risarcimento del doppio mobbing da citare invece
l’art.2043 c.c+ l’art.29 per essere risarciti da lesione della serenità
familiare. Sempre sul doppio mobbing significative la sentenza n.1223 del
7/2/2000 del tribunale di Milano e la sentenza n.451 del 24/2/2000 sul
danno edonistico ai congiunti delle vittime(è stato quindi considerato il
danno riflesso alle vittime secondarie). Nelle norme sui licenziamenti
individuali[Legge 15 Luglio 1966, n°604] all’art.1 si legge che il
licenziamento del prestatore di lavoro assunto a tempo indeterminato non
può che avvenire per giusta causa o per giustificato motivo. Per giusta
causa si intende l’inadempienza estrema dei quattro obblighi del
dipendente(prestazione di lavoro, subordinazione, diligenza, fedeltà).
Nell’art.3 viene definito il licenziamento per giustificato motivo come
licenziamento dovuto a motivi inerenti la produzione e l’organizzazione del
lavoro. Nell’art.5 è specificato che l’onere probatorio della giusta causa o
del giustificato motivo spetta al datore di lavoro. Negli articoli 2 e 6
vengono descritte le disposizioni che il datore deve osservare per rendere
efficace il licenziamento. Infine l’art.8 precorre l’art.18 dello Statuto, in
94
quanto decreta la riassunzione del dipendente licenziato qualora non
vengano accertati gli estremi del licenziamento.
Lo Statuto dei
lavoratori[legge 20 Maggio 1970, n°300] invece, rispetto al diritto di
espressione del lavoratore, garantisce all’art.1 la libertà di opinione dei
dipendenti(articolo che corrobora l’art.21 della Costituzione in ambito
lavorativo). Rispetto alle discriminazioni sancisce nell’art.8 il divieto di
indagini sulle opinioni politiche, religiose, sindacali per non incorrere in
discriminazioni e nell’art.15(atti discriminatori) si vieta qualsiasi
pregiudizio al lavoratore per motivi politici, religiosi, razziali, sessisti,
sindacali. L’art.9 tratta della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori.
L’art.18(reintegrazione nel posto di lavoro) permette al giudice di annullare
il licenziamento senza giusta causa o senza giustificato motivo e ordina al
datore di lavoro di reintegrare il dipendente nel posto di lavoro. Il
lavoratore ha diritto al risarcimento del danno patito per il licenziamento
immotivato:
retribuzione.
risarcimento
non
L’art.35(campo
inferiore
di
alle
applicazione)
cinque
mensilità
stabilisce
che
di
la
reintegrazione ed il risarcimento contenute nell’art.18 sono da applicare a
ogni ditta, ufficio, filiale, reparto autonomo con più di 15 dipendenti.
Analoghe disposizioni sono da applicare anche alle imprese agricole sopra i
5 dipendenti. L’art.28 garantisce invece la repressione della condotta
antisindacale. Per quanto riguarda invece i diritti dei datori di lavoro da
citare l’art.7(sanzioni disciplinari). Dagli articoli del codice civile e dagli
articoli dello Statuto menzionati è possibile intuire l’incerta linea di
demarcazione tra inadempimento contrattuale del datore di lavoro per
abuso di potere e inadempimento del dipendente per insufficiente ed
95
intenzionato livello di rendimento lavorativo. Riguardo alla tipologia del
danno subito dal mobbizzato esistono il danno biologico, il danno psichico,
il danno esistenziale, il danno patrimoniale. Montuschi[1994] a proposito
ritiene che negli ultimi anni nel diritto civile sia avvenuto un cambiamento
radicale in materia di responsabilità civile. Questa rivoluzione comunque
deve trovare ancora un assestamento ed un’unitarietà di definizioni e
distinzioni tra i vari tipi di danno. Secondo l’art.2056 del nuovo codice di
procedura civile abbiamo una nuova definizione di danno biologico inteso
come lesione dell’integrità psico-fisica della persona”. La sentenza n°184
del 1986 aveva già considerato il danno psichico come parte integrante del
danno biologico. Di conseguenza anche il danno psichico è ascrivibile al
danno biologico. Per Puccini[2000] il danno biologico è da considerarsi
come “squilibrio dell’omeostasi psico-fisica antecedente”. Tullini[2000]
definisce il danno psichico come menomazione psichica o turbativa
dell’equilibrio mentale per un fatto illecito subito da terzi. Ronchi e
Grande[2000] definiscono il danno psichico come “alterazione delle
funzioni psichiche in conseguenza di azioni violente non dotate di
apprezzabile energia fisica, improvvise o reiterate”. In merito di danno
psichico bisogna comunque ricordare che la sintomatologia è soggettiva: di
conseguenza possono verificarsi casi di esagerazione se non di
simulazione.
Secondo la Cassazione il danno morale è “un patema
d’animo transeunte” ed il danno psichico “una psicopatologia permanente”.
Il danno morale sarebbe quindi espressione del dolore, dei patemi, delle
sofferenze interiori conseguenti all’offesa subita. Per Monateri[2000] il
danno biologico è un danno-evento, mentre il danno morale ed esistenziale
96
dei danni-conseguenza. Il risarcimento da danno morale sarebbe quindi il
prezzo del dolore rispetto ad un determinato evento. Secondo Pera[1991]
anche “lasciare senza lavoro il dipendente(…) ne mortifica ed umilia la
personalità morale. In mancanza quindi di danno biologico o psichico un
lavoratore dimenticato dalla dirigenza in un reparto-confino potrebbe
quindi rivendicare il danno morale subito. Secondo l’interpretazione di
Petti il danno psichico è una menomazione alla salute psichica ed il danno
morale una lesione alla dignità umana. Per Oliva[2000] il danno
esistenziale è “la somma di ripercussioni relazionali di segno negativo” e
comprende quindi anche il risarcimento della dimensione umana. Il diritto
esistenziale sempre per Oliva[2000] risponde all’inadeguatezza del danno
morale e difende i nuovi diritti della personalità. Sempre per Oliva tra
danno biologico e danno morale esisterebbero delle zone morte che la
nuova categoria di danno esistenziale potrebbe risolvere. Il Tribunale di
Milano recentemente ha risarcito la lesione del diritto alla pianificazione
famigliare. Il danno esistenziale sarebbe un danno non patrimoniale ed il
risarcimento verrebbe determinato in base a quello che una persona è e non
in base alle sue condizioni socio-economiche: a questa nuova tipologia di
danno sarebbero ascrivibili tutti quegli eventi che causano un
peggioramento della qualità della vita della persona. Anche il Decreto
Legislativo n°38 del 23/2/2000 supporta questa nuova concezione della
natura non patrimoniale e aredittuale del danno subito. Il danno non
patrimoniale sarebbe quindi il danno recato da un pregiudizio ingiusto. Per
quanto riguarda invece il danno patrimoniale alla professionalità esiste
invece l’art.1226 del c.c. Riguardo al risarcimento del danno psichico
97
anche in questo ambito manca una unanimità di criteri tra gli esperti del
settore, tant’è che esistono diverse scale di valutazione riguardo
all’invalidità civile derivatane. Secondo le tabelle dell’invalidità civile la
nevrosi ansiosa darebbe il 15% di invalidità, la sindrome depressiva
endoreattiva lieve il 10%. Per Brondolo e Marigliano[2000] il danno
psichico dovrebbe dare una invalidità del 10-15%. Per Espagnet, Ottaviani,
Bonaccorso[2000] al disturbo post-traumatico spetterebbe dal 5 all’11% di
invalidità. Nel volume “INAIL: tabelle di valutazione del danno
neuropsichico in ambito infortunistico lavorativo” al disturbo posttraumatico dovrebbe conseguire un’incapacità lavorativa dal 5 all’11%. Nel
decreto legislativo n°38/2000 all’art.13 il disturbo post-traumatico da stress
può percepire fino al 6% di invalidità. Nel volume “Guida alla valutazione
medico-legale” di Luvoni, Mangili, Bernardi non esiste alcun riferimento
riguardo all’invalidità causata dai disturbi psichici. Questo è il contesto
normativo del mobbing. Esiste però un vuoto legislativo da colmare: si
riscontra la mancanza di una vera e propria legislazione ad hoc. Detto in
parole povere: il tutto è sempre superiore alla somma delle parti. Prima
sono stati citati gli articoli del c.c e del c.p che possono riguardare il
mobbing: ma il mobbing non è solo questo. Non è solo la somma dei
comportamenti perseguibili legalmente( e quindi fatti tipici per la
legislazione), ma anche una serie di comportamenti non perseguibili e
quindi atipici. Anche questi comportamenti atipici devono essere presi in
seria considerazione per inquadrare il contesto entro cui avviene il
mobbing. Se quindi i legislatori valutano sia i comportamenti tipici e quelli
atipici la risultante è il quadro complessivo del mobbing. Per fatti
98
atipici(non perseguibili quindi legalmente) ad esempio possono essere
citati: continue visite di controllo in malattia, l’isolamento sistematico da
parte del gruppo di lavoro nei confronti di un lavoratore, continui
trasferimenti da un ufficio all’altro, il rifiuto di comunicare da parte del
mobber con il mobbizzato, l’insufficienza di informazioni necessarie allo
svolgimento del lavoro, non invitare alle cene aziendali il lavoratore preso
di mira, la disparità di trattamento del dipendente rispetto agli altri colleghi
da parte del datore di lavoro, controllo ossessivo del datore solo e soltanto
dei compiti svolti dal mobbizzato(e mancanza di controllo per altri
dipendenti più simpatici o meno scomodi). Tutti questi comportamenti
atipici, anche se non perseguibili, sono indicativi riguardo al clima
aziendale che si cela nei confronti del mobbizzato. Manca quindi una
legislazione ad hoc sul mobbing come quella emanata dall’Ente nazionale
per la Salute e la Sicurezza svedese del 21 Settembre 1993 in conformità
alla sezione 18 dell’Ordinanza sull’Ambiente di Lavoro del 1977. Nella
sezione 1 del disegno di legge svedese vengono proibiti i seguenti
comportamenti: la calunnia nei confronti del lavoratore, sabotare la sua
esecuzione del suo lavoro, boicottarlo, intimidirlo, fargli critiche eccessive,
negargli informazioni o dargli informazioni sbagliate. Nella sezione 2 il
datore di lavoro viene ritenuto responsabile della persecuzione del
lavoratore da parte di altri lavoratori: deve cioè prevenire il mobbing. Per
prevenire il mobbing deve quindi fare in modo che quadri e dirigenti
ricevano una formazione adeguata riguardo alle persecuzioni ed ai conflitti
che possono scaturire sul luogo di lavoro. Nella sezione 3 viene proibito al
datore di lavoro di abusare del proprio potere. In particolare lo si invita ad
99
essere democratico e a stabilire una comunicazione reciproca con i
dipendenti in modo da ispirare loro fiducia. Nella sezione 4 si obbliga il
datore di lavoro ad un piano di intervento di prevenzione per agire in modo
tempestivo nei confronti di un conflitto interpersonale tra lavoratori. Nella
sezione 5 è stabilito invece che il datore di lavoro debba ascoltare tutte le
persone coinvolte nell’inizio del conflitto per cercare di porre fine al
contenzioso e raggiungere una soluzione di unanime consenso. Nella
sezione 6 si precisa infine che l’azienda dovrà dare sostegno morale e
supportare i lavoratori vittime di persecuzioni.
Per quanto riguarda gli
altri paesi europei va ricordato che anche in Svizzera nel 1995 è stato
approvata un’ordinanza che prevede la proibizione di surmenage e molestie
psicologiche. In Norvegia nel 1994 è entrata in vigore una legge che vieta
molestie morali e comportamenti vessatori sul luogo di lavoro. In
Inghilterra è stato approvato nel 1997 l’Harassment Act. In Germania esiste
invece nella stragrande maggioranza delle aziende il responsabile antimobbing. In Italia sono stati depositati sia alla Camera che al Senato alcuni
disegni di legge: il disegno di legge Camera 6410, il disegno di legge
Senato 4265, il disegno di legge Senato 4313, il disegno di legge Senato
4512. Nel nostro paese non si ritiene possibile fare solo un disegno di legge
sul mobbing. Dovrebbero essere fatti contemporaneamente ad un disegno
di legge sul mobbing, un disegno di legge sul bullismo, un disegno di legge
sul nonnismo: su tutte le forme di violenza psicosociale. Dovrebbe anche
avvenire un cambiamento radicale in molti contesti legislativi e di
conseguenza pene più severe per i pedofili, per chi spaccia droga pesante,
per chi compie atti terroristici, per chi è affiliato ad associazioni a
100
delinquere. Nei paesi prima citati non esiste un garantismo così elevato
come in Italia, così come non esistono stragi di stato impunite o auto di
scorta di giudici fatte saltare per aria. Il mobbing quindi dovrebbe costituire
uno spunto di riflessione per una completa rivoluzione in ambito legislativo
sia per quanto riguarda ogni forma di violenza psicosociale che ogni forma
di violenza fisica. Ad esempio è da ritenersi eccessiva la pena da uno a tre
anni per i mobber, proposta nel disegno di legge Camera 6410. Forse per
prevenire il mobbing sarebbe utile una legge, che prevede necessariamente
in ogni ditta un responsabile anti-mobbing, così come attualmente è
previsto un responsabile della 626. Per quanto riguarda pene eccessive per i
mobber- va detto che - è ravvisabile un ordine di priorità in base alla
gravità degli eventi, perciò è da ritenere che prima dell’attuazione di un
disegno di legge o almeno contemporaneamente a questo siano attuati altri
disegni di legge, che prevedano pene più severe contro forme di violenza
più letali e distruttive della vita umana di quanto lo sia il mobbing. Questa
presa di posizione non è una provocazione, o una dichiarazione
qualunquista ma una pura e semplice constatazione di fatto: basta leggere
ogni giorno il quotidiano.
101
8.
MOBBING E FLESSIBILITA’ DEL LAVORO:
Il FONDO MONETARIO EUROPEO indica come uno dei rimedi
principali per ridurre il tasso di disoccupazione europea un più alto livello
di
flessibilitài,
soprattutto
contrattuale.
Per
evitare
equivoci
e
fraintendimenti è bene subito fare delle distinzioni tra i vari tipi di
flessibilità. Comunemente gli economisti classificano quattro tipologie di
flessibilità: 1)LA FLESSIBILITA’ IN ENTRATA: ad esempio l’opportunità
di assumere personale tramite vari tipi di contratti per favorire l’ingresso
nel mondo del lavoro dei giovani alla ricerca del primo impiego o il rientro
di persone che hanno perso il lavoro; 2)LA FLESSIBILITA’ IN USCITA: la
possibilità di licenziare il personale; 3)LA FLESSIBILITA’ SALARIALE:
ad esempio legare la busta paga alla produttività dell’azienda medesima;
4)LA FLESSIBILITA’ FUNZIONALE: significa la possibilità per l’impresa
di far adeguare il personale alle esigenze produttive, sia in termini di orario
che di spazio. Per quanto riguarda l’orario può utilizzare ad esempio il parttime. Per quanto riguarda la flessibilità spaziale può invece utilizzare il
telelavoro.
Globalizzazione, turbolenza dei mercati, innovazioni tecnologiche hanno
decretato la fine del posto fisso[Quadrio,1998]. Al momento non è più
possibile per le imprese assumere tutto il personale con un contratto a
tempo indeterminato, in cui il prestatore d’opera deve dimostrarsi diligente,
fedele, obbediente ed il datore di lavoro deve fornire sicurezza e reddito al
lavoratore. A tale riguardo basta pensare all’andamento oscillatorio delle
borse, alla instabilità dei prezzi delle materie prime, all’internalizzazione
dell’economia, alle innovazioni tecnologiche. Le aziende perciò si
102
imbattono continuamente in cambiamenti tecnologici e frequenti variazioni
della domanda[Halal,1986; Limerick,Cunnington, 1993; French,Bell,
1995]. La flessibilità è una risorsa indispensabile
per far fronte
all’incertezza del mercato[Pascale, 1990; Hilmer, Donaldson, 1996]. Per
quanto riguarda il nostro paese, per diminuire la disoccupazione giovanile e
la disoccupazione femminile, due fenomeni tipicamente italiani, le aziende
dovrebbero sempre più utilizzare contratti a tempo determinato, che
possano far aumentare la flessibilità in entrata. Dal RAPPORTO DELLA
COMMISSIONE EUROPEA SULL’OCCUPAZIONE risulta che nel
periodo che va dal 1986 al 1996 la quota di lavoratori temporanei in
rapporto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato è inferiore alla media
europea.
La flessibilità per ragioni economiche, produttive è quindi la strada
imboccata dall’Unione Europea. Bisogna però considerare che la
flessibilità non è l’unico fenomeno economico dovuto alla globalizzazione,
infatti la globalizzazione causa: 1) RIORGANIZZAZIONI: aumentano i
reparti-confino, dato che le società si trovano di fronte ad esuberi di
personale. Le società ritengono più economico fare in modo che i lavoratori
siano costretti a licenziarsi, piuttosto che pianificare un progetto di
formazione continua e di riqualificazione professionale. Il top management
inoltre ritiene più economico per l’azienda utilizzare il bossing piuttosto
che pagare gli oneri di buonuscita. I lavoratori le cui conoscenze sono
diventate obsolete vengono “fatti fuori”. Questo accade non solo nelle
industrie, ma anche nei giornali. Infatti l’editoria si sta proiettando sempre
più verso portali e giornali on line: verso la New Economy. Ecco allora che
103
i
giornalisti
della
vecchia
carta
stampata
vengono
fatti
fuori
strategicamente. Questa strategia di rottamazione dei lavoratori a tempo
indeterminato ha come obiettivo principale la diminuzione del rapporto
costi-produttività. Da notare inoltre che esiste una differenza sostanziale tra
retorica
della
ristrutturazione
prodotti[Cascio,1993;
Mc
e
la
Carthy,1995
realtà
dei
;
Hales,
risultati
da
essa
Tamangani,1996;
Littler,1996; Hampson, Morgan,1997; Sheccan,1998]. Questo significa che
spesso al DOWNSIZING non corrisponde il RIGHTSIZING. Per
downsizing si intende il ridimensionamento e la riduzione del personale
dovute alla ristrutturazione; per rightsizing invece si intende il
ridimensionamento ottimale dell’organico aziendale, ovvero l’utilizzo
durante la ristrutturazione di outsorcing(nel caso specifico delegare alcuni
servizi interni ai manager licenziati che assumerebbero le veci di consulenti
esterni), counselling, lista di mobilità, outplacement e comunicazioni
aziendali che forniscano informazioni adeguate a tutti i lavoratori. Inoltre
per una ristrutturazione ottimale la grande azienda dovrebbe assumersi la
responsabilità di essere incubator(avendo quindi la missione di far nascere
nuove imprese, fornendole almeno consulenza) nei confronti delle imprese
start-up create da alcuni dirigenti licenziati. 2)MERGERMANIA: ovvero le
fusioni, che se da un lato consentono una maggiore economia di scala,
dall’altro creano doppioni ed inutili duplicati. Le aziende quindi per
togliere personale in esubero iniziano a far circolare liste nere, a togliere
status-symbols, a trasferire in edifici in disuso i dipendenti considerati di
troppo. Il 1998 è stato un anno da primato per le fusioni, visto che sono
aumentate del 50% rispetto al 1997. A proposito di fusioni e riduzione del
104
personale bisogna ricordare che l’accorpamento Exxon/Mobil causerà
l’eliminazione di 12-20000 posti di lavoro su 122000 in totale. Invece
l’acquisizione della Digital Equipment della Compaq produrrà la riduzione
di 17000 posti su 84000 complessivi. Le cifre riguardo al valore in miliardi
di dollari delle fusioni sono astronomiche. La fusione tra Exxon e Mobil è
stata stimata del valore di 86,4 miliardi di dollari, quella tra Citycorp e
Travelers del valore di 72,6 miliardi di dollari[Dinucci, 2000].
3) DISLOCAZIONE DELLA PRODUZIONE: in paesi dove il costo del
lavoro è nettamente inferiore rispetto a quello del paese di origine della
società.
4)
PREDOMINIO
DEL
CAPITALISMO
FINANZIARIO
SULL’ECONOMIA PRODUTTIVA: anche se l’impresa è in utile spesso il
top management cerca di ridurre il personale, perché in borsa una riduzione
del personale causa immediatamente un incremento del valore delle azioni.
In Europa come hanno dimostrato Duriex e Jourdain ne “L’impresa
barbara” sono i fondi di investimento inglesi che esercitano pressioni sul
top management delle grandi società, affinchè riducano il personale per
massimizzare i profitti in borsa. Ecco allora che per il manager della grande
società quotata in borsa l’obiettivo prioritario è quello di creare valore per
l’azionista e non più quello di soddisfare i clienti dei prodotti. Il manager
poi è interessato a creare valore degli azionisti, anche perché riceve dei
benefit in base al valore delle azioni[Bocca,2000]. E’ comprensibile che
alcune grandi aziende in piena crisi attuino dei licenziamenti in massa per
salvare il salvabile ed evitare il crack finanziario. Sono comprensibili ad
esempio
i
licenziamenti
della
Lucent,
ormai
strangolata
dalle
banche[Rampini,2001], oppure quelli della Ericson, il cui gruppo ha perso
105
miliardi di dollari[Occorsio,2001]. Ma è illegittimo il fatto che la Procter &
Gamble con 3,76 miliardi di dollari di utile nel 1999 preveda di tagliare
15000 posti entro il 2005 per aumentare il valore delle azioniii. Questa è
speculazione finanziaria ai danni dei lavoratori. 5) MAGGIORE
FLESSIBILITA’, dovuta alle incertezze del mercato globale.
I primi 4 fenomeni sono dovuti alla deregolamentazione selvaggia del
mercato globalizzato. Per quanto riguarda invece la flessibilità è bene
intendersi: solo una eccessiva flessibilità in uscita ed una flessibilità
salariale estesa a tutti i dipendenti potrebbero minacciare la tutela dei diritti
dei lavoratori. La flessibilità in entrata e la flessibilità funzionale( part-time
e telelavoro) possono risultare delle grandi opportunità per l’inserimento
lavorativo di categorie svantaggiate attualmente, come le donne ed i
giovani.
LA FLESSIBILITA’ IN ENTRATA IN ITALIA:
Secondo il Censis il nostro paese è ultimo in graduatoria per quanto
riguarda la flessibilità in entrata. Se non è invidiabile e nemmeno
esportabile l’eccessiva flessibilità in uscita degli Stati Uniti e quella attuale
della Spagna, per adattarsi alle incertezze del mercato globale è necessaria
per l’Italia una maggiore flessibilità in entrata. In vetta alla graduatoria
l’Inghilterra, seguita dalla Germania . La Germania quindi è la
dimostrazione di fatto che un’alta flessibilità in entrata non implica
necessariamente una corrispondente flessibilità in uscita: infatti le norme di
licenziamento del diritto di lavoro sono simili a quelle italiane. Una più alta
flessibilità in entrata riuscirebbe a colmare un vuoto di offerta, che è una
delle cause dell’alto tasso di disoccupazione giovanile nel nostro paese:
molte imprese infatti richiedono molti lavoratori part-time e lavoratori
106
interinali. Le imprese italiane riuscirebbero così a reperire sul mercato del
lavoro le forme contrattuali di cui hanno bisogno, nei periodi in cui ne
hanno bisogno. Il nostro paese è indietro per quanto riguarda la flessibilità
funzionale e la flessibilità in entrata[Merlino,2000]. Eppure le forme
contrattuali a tempo determinato non mancano, infatti esistono le seguenti
opportunità: contratto di formazione e lavoro, apprendistato, lavoro
stagionale, contratto di solidarietà, contratto d’area, lavoro atipico o
parasubordinato, lavoro interinale, part-time, job-sharing, telelavoroiii.
FLESSIBILITA’ IN USCITA O TUTELA DEL POSTO DI LAVORO:
Secondo la normativa vigente il datore di lavoro può motivare il
licenziamento di un dipendente con la giusta causa o il giustificato motivo.
Il licenziamento per giusta causa di un lavoratore
è il licenziamento
disciplinare: ha commesso una grave infrazione come ad esempio furto,
assenze ingiustificate, guasti dovuti alla sua negligenza che possano
comportare danni a cose o a persone. Si tratta invece di giustificato motivo
quando ad esempio l’impresa fallisce, il reparto viene chiuso o il settore
lavorativo viene completamente ristrutturato. In ognuno dei due casi
comunque il lavoratore licenziato può fare ricorso al giudice, che stabilirà
se il licenziamento è inefficace o meno. Secondo l’ART.18 DELLO
STATUTO DEI LAVORATORI il giudice può annullare il licenziamento
intimato e ordinare al datore di lavoro di reintegrare il lavoratore nel posto
di lavoro( LA REINTEGRA). In molti altri paesi europei a questo punto
invece il licenziato può scegliere se avere un indennizzo cospicuo e
accettare il licenziamento oppure essere reintegrato nell’azienda. Un altro
articolo dello Statuto che ha posto fine a molti licenziamenti ingiustificati è
107
l’art.28
per
LA
REPRESSIONE
DELLA
CONDOTTA
ANTISINDACALE: qui è scritto che qualora il datore di lavoro ponga in
essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà
e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso dei
sindacati, il pretore entro due giorni convoca le parti e decreta la cessazione
del comportamento illegittimo o l’inefficacia del licenziamento. L’art.35
dello Statuto stabilisce invece IL CAMPO DI APPLICAZIONE, attribuisce
cioè rilievo alle dimensioni degli organi produttivi. Il reintegro del
lavoratore licenziato è possibile solo nei confronti di reparto, sede o
stabilimento che occupi più di 16 dipendenti( più di 6 per le imprese
agricole). La normativa vigente quindi piuttosto che sulla flessibilità in
uscita tutela il posto di lavoro, difendendo quindi l’esigenza di continuità
economica e di sicurezza sociale dei lavoratori. Per agevolare il rientro nel
mondo del lavoro della persona licenziata l’azienda può utilizzare:
1) LA MOBILITA’: ai licenziati spetta un’indennità mensile di minore
appetibilità rispetto al salario minimo previsto dalla contrattazione
collettiva. L’azienda paga una certa quota per mettere il lavoratore in
mobilità e deve attenersi a 3 criteri( carichi di famiglia, anzianità di
servizio, esigenze tecniche produttive), però qualora il licenziato trovi
un nuovo lavoro l’onere per l’impresa si dimezza. La persona licenziata
invece costa meno del dovuto in termini di contributi sociali all’azienda
che l’assumerà.
2) L’OUTPLACEMENT: rende meno traumatica la cessazione del
rapporto di lavoro e agevola la ricerca di una nuova collocazione
professionale. Outplacement per il lavoratore licenziato significa
108
anzitutto riorientamento e reinserimento nel mercato del lavoro.
Abbiamo un contratto a tre: l’azienda, il licenziato, la società di
outplacement. L’azienda paga la società di outplacement affinchè questa
si occupi del reinserimento in un’altra impresa del lavoratore licenziato.
Analizziamo ora quali sono gli ipotetici impedimenti di una minore
flessibilità del lavoro in entrata in Italia rispetto agli altri paesi europei
industrializzati:
1) ritardo dell’entrata in vigore del pacchetto Treu: il pacchetto Treu
prevede innovazioni fondamentali per il mercato del lavoro italiano,
come la riforma dell’apprendistato, il rilancio dei lavori socialmente
utili, il lavoro interinale, le sanzioni meno rigide per il contratto a tempo
determinato. Prima del pacchetto Treu la continuazione del lavoro a
termine, anche per un giorno dopo la scadenza del contratto, veniva
punita con il passaggio a contratto a tempo indeterminato. Questo
significa che se un’ispezione in un azienda agricola scopriva un
lavoratore stagionale con un contratto scaduto di un giorno doveva
essere obbligatoriamente assunto stabilmente. Questa sanzione era
eccessiva, perché le aziende agricole non possono stabilire con esattezza
la durata dei raccolti. Con la legge Treu invece la continuazione oltre il
termine stabilito dal contratto causa solo un aumento di stipendio del
lavoratore proporzionale al periodo che ha lavorato in più. Il problema
non è quindi la legge Treu, di cui il mercato del lavoro italiano aveva
bisogno, il problema è piuttosto il ritardo dell’entrata in vigore della
legge: il lavoro temporaneo è stato concordato nel 1993 e solo nel 1997
è stato approvato il pacchetto Treu. Non solo, ma va anche detto che il
109
pacchetto Treu comprende la regolazione del lavoro temporaneo settore
per settore. La contrattazione collettiva è stata lenta e farraginosa: il
risultato è che solo nell’Aprile del ’98 è stato concluso l’accordo per
l’industria e nel Luglio del’98 quello per il terziario.
2) l’alto costo del lavoro: secondo l’Ocde l’Italia risulta quarta nella
graduatoria.
3)le restrizioni eccessive alle agenzie di fornitura di lavoro interinale: si
pensi solo al vincolo di legge che impone di non utilizzare le qualifiche a
basso contenuto professionale. Ebbene nella relazione del 1996
dell’Assointerim, associazione che rappresenta le agenzie di fornitura di
lavoro interinale, proprio il personale non qualificato è quello più richiesto.
Un’altra limitazione è l’ingente cifra di 200 milioni di capitale sociale per
omologare un’agenzia di fornitura di lavoro in affitto.
IL MOBBING SOMMERSO:
Secondo le più recenti statistiche l’Italia sarebbe la nazione in Europa con
il minor tasso di mobbing. Ma c’è un piccolo problema, oltre al fatto che la
soglia di accettazione dei soprusi in Italia è più alta rispetto agli altri paesi:
il mobbing sommerso, difficilmente quantificabile, subito dai lavoratori in
nero. Nel lavoro in neroiv non esistono diritti sindacali e tutele, si deve
quindi ritenere che in questo ambito selvaggio angherie e vessazioni siano
superiori rispetto all’ambito dei lavoratori “ufficiali”. Non è forse anche
l’alto tasso di lavoro nero quindi che fa diminuire la percentuale di
lavoratori mobbizzati ? Quale sia la situazione riguardo al mobbing per
quanto riguarda l’Inghilterra la conosciamo. Tutto al più dovremmo
stimarla per difetto: considerando quindi il tasso di lavoro nero(13,1%). In
110
Inghilterra, in Svezia e negli altri paesi nordeuropei infatti il lavoro nero è
meno rilevante ed esiste una maggiore sensibilizzazione verso il mobbing.
Ma in Italia ed in Grecia ad esempio la percentuale di lavoro nero è alta e la
sensibilizzazione al fenomeno del mobbing è scarsa: quant’è il mobbing
sommerso ? Comparando proprio la tabella statistica sui casi di mobbing
nei paesi europei e quella sul lavoro nero salta all’occhio un dato
interessante: Grecia, Italia, Belgio, Spagna sono i paesi con minor tasso di
lavoratori mobbizzati e tuttavia sono anche quelli con la più alta
percentuale di lavoro nero !!! Viene da chiedersi quindi se le rilevazioni
statistiche sui casi di mobbing sottostimino molto l’entità del mobbing nel
lavoro nero. Non sarebbe allora meglio per l’Italia e per i lavoratori italiani
una maggiore flessibilità in entrata ?
CONCLUSIONI RIGUARDO ALLA FLESSIBILITA’
Una rigidità eccessiva dei contratti di lavoro comporterebbe un aumento
vertiginoso di vessazioni per indurre i dipendenti considerati scomodi o
inetti alle dimissioni. Un’eccessiva flessibilità in uscita, se da un lato
eliminerebbe il mobbing verticale, dall’altro comporterebbe notevoli
problemi per le aziende infatti causerebbe:
a) un elevato turn-over ed una conseguente incapacità di creare una cultura
organizzativa.
b) un elevato disimpegno dei lavoratori, come accade in Usa.
c) un aumento di spionaggio industriale e di insider trading dei dirigenti.
d) serie difficoltà economiche, dovute a scarsa liquidità per pagare i TFR,
nei casi in cui diversi lavoratori si licenzino nello stesso periodo.
111
Il direttore del personale della Zanussi ha sostenuto in un dossier televisivo
sul mobbing che in Italia Il mobbing sarebbe provocato da una mancanza di
flessibilità del lavoro. Secondo il direttore del personale le aziende non
potendo licenziare per troppe tutele i dipendenti li costringerebbero alle
dimissioni. Per mancanza di flessibilità intendeva quindi la mancanza di
flessibilità in uscita, che in Italia è simile a quella di molti altri paesi
europei. A mio avviso invece in Italia, per ritardi e formalismi giuridici,
manca ancora un’adeguata flessibilità in entrata e questo comporta un
aumento del lavoro nero. Un aumento del lavoro nero a sua volta causa un
aumento dei casi di mobbing, anche se non rilevabili e difficilmente
quantificabili. Va ricordato però che la flessibilità in entrata non
eliminerebbe tutto il lavoro nero, che infatti è utilizzato anche da aziende
che riciclano il denaro sporco ed appartengono di fatto alle varie
associazioni della criminalità organizzata. Per eliminare questo tipo di
lavoro nero ci vuole l’Antimafia. Esistono tuttavia molte altre aziende, i cui
proprietari non sottostanno alle regole della malavita, che utilizzano il
lavoro nero per i problemi dovuti alla mancanza di flessibilità in entrata.
Queste aziende, di fronte ad opportunità migliori, probabilmente
abbandonerebbero il lavoro nero. In conclusione attualmente non ci sono
dati significativi che dimostrino che l’attuale flessibilità del lavoro europea
sia una causa macroeconomica del mobbing. Nemmeno possiamo
affermare che la supposta mancanza di flessibilità in uscita in Italia sia una
causa macroeconomica di mobbing. A nostro avviso l’unica causa
macroconomica di mobbing sia nel nostro paese che nel resto d’Europa è
112
proprio la globalizzazione, intesa come internazionalizzazione selvaggia
delle merci e dei capitali.
i
Per flessibilità in questo caso si intende la capacità delle imprese di far fronte ai mutamenti del mercato.
Non esiste purtroppo nessuna legge che vieti al top management delle società quotate in borsa riduzioni
del personale anche se l’azienda è in utile.
iii
Il lavoro interinale è la novità principale del pacchetto Treu. Consente alle imprese di affittare i
lavoratori da società di fornitura di lavoro temporaneo. Per il lavoro interinale è necessario stipulare due
contratti: uno tra lavoratore e società di fornitura, uno tra società di fornitura ed impresa. La società di
fornitura per svolgere tale funzione deve essere in possesso di autorizzazione amministrativa. Deve cioè
essere iscritta all’albo medesimo, istituito con due decreti dal Ministero del Lavoro nel 1997. Le agenzie
di fornitura percepiscono un compenso per ogni lavoratore affittato, però allo stesso tempo devono farsi
carico di tutti gli oneri contributivi e previdenziali. Il lavoro interinale è vietato per figure di basso livello
professionale, per sostituire lavoratori in sciopero, per sostituire lavoratori licenziati. Il part-time è stato
introdotto con la legge n°863/1984. L’art.5 della medesima legge definisce il part-time come lavoro ad
orario inferiore all’orario ordinario previsto dai contratti collettivi. Fondamentalmente ci sono due tipi di
part-time: il part-time orizzontale, in cui la persona lavora tutti i giorni ma con orario ridotto; il part-time
verticale, in cui la persona alterna periodi di lavoro a periodi di inattività(viene anche chiamato ciclico per
questo motivo). Il lavoratore assunto part-time viene retribuito in modo proporzionale alle ore lavorate. Il
lavoro atipico o parasubordinato è collocato in una situazione intermedia tra il lavoratore autonomo ed il
lavoratore dipendente. Più specificatamente si chiama collaborazione coordinata e continuativa. Diciamo
che il lavoro atipico è simile(attualmente, salvo ulteriori modifiche) al lavoro autonomo, ma non è
riconosciuto né tutelato da nessun ordine. Gad Lerner ha definito i lavoratori parasubordinati “il popolo
della partita Iva”, perché i lavoratori assunti con questo tipo di contratto devono versare all’INPS il 12
%sui redditi di lavoro. Per telelavoro si intende invece il lavoro a distanza grazie alle nuove tecnologie di
comunicazione. Uno dei problemi principali del telelavoro è la regolamentazione. In Italia è già stata
approvata la legge Bassanini 191/1998 per la Pubblica Amministrazione, mentre per la regolamentazione
nelle aziende private ci sono 4 proposte di legge. Per quanto riguarda il job-sharing la circolare n°43/1998
del Ministero del Lavoro ha fornito le indicazioni di base per il contratto di lavoro ripartito. Tramite
questo tipo di contratto di lavoro due o più lavoratori possono gestire l’orario complessivo in base alle
proprie disponibilità. L’orario di lavoro è perciò condiviso da due o più lavoratori, che si possono
avvicendare a seconda delle loro esigenze. L’importante è che uno dei lavoratori sia sempre in ufficio o in
officina. Ogni lavoratore deve indicare le ore di lavoro che farà. Alla fine del contratto di lavoro ogni
lavoratore è retribuito in base alle ore lavorate personalmente.
iv
Serie storica completa dei dati Istat sul lavoro in nero:
anni:
1970
1980
1990
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
Italia
10.7% 16.7% 23.4% 25.8% 26.2% 27%
27.3% 27.8% 28.2% 28.5%
ii
ALCUNE CIFRE SUL MOBBING:
SVEZIA: IL 10,2% DEI LAVORATORI SONO MOBBIZZATI
EUROPA: SECONDO IL RAPPORTO ILO IL NUMERO DI MOBBIZZATI
E’ 12 MILIONI(8,1% DELLA POPOLAZIONE LAVORATIVA).
INGHILTERRA: TRE MILIONI DI INGLESI VITTIME DI MOBBING
NEGLI ULTIMI TRE ANNI.
CIFRE INCREDIBILI: SARANNO VERE O NO ? MOLTI DUBBI IN
PROPOSITO.
UNA RICERCA DELLA EUROPEAN FOUNDATION FOR THE
IMPROVEMENT OF LIVING AND WORKING CONDITIONS(1997) HA
RILEVATO CHE IL 64% DEI LAVORATORI AVEVANO SUBITO O
ERANO STATI TESTIMONI DI MOBBING.
L’UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO, CON SEDE A GINEVRA,
HA RILEVATO INVECE CHE NEL 1998 IL 53% DEI LAVORATORI
INGLESI HA SUBITO ANGHERIE SUL LAVORO.
IN SUD AFRICA IL 77% DEI LAVORATORI HA DICHIARATO DI
ESSERE VITTIMA O DI ESSERE STATO VITTIMA DI VESSAZIONI.
ALCUNE DEFINIZIONI DI MOBBING:
“IL MOBBING E’ UN SISTEMA DI ORGANIZZAZIONE PRODUTTIVA
DELL’ATTIVITA’ UMANA, CONSISTENTE IN UNA SUCCESSIONE DI
EPISODI TRAUMATICI CORRELATI L’UNO CON L’ALTRO E AVENTI
COME
SCOPO
L’INDEBOLIMENTO
DELLE
RESISTENZA
PSICOLOGICHE E LA MANIPOLAZIONE DELLA VOLONTA’ DEL
SOGGETTO MOBBIZZATO.” – A.CASILLI. 2000
“IL MOBBING E’ UNA SITUAZIONE COMUNICATIVA PRIVA DI ETICA
CARATTERIZZATA DA COMPORTAMENTI SISTEMATICI OSTILI
CONTRO UN INDIVIDUO CHE SVILUPPA COME REAZIONE GRAVI
PROBLEMI PSICOLOGICI O FISICI.” – BROCHURE SU MOBBING –
ASSESSORATO PER LE PARI OPPORTUNITA’ DEL COMUNE DI
LOSANNA.
“IL MOBBING VIENE ALIMENTATO DALLA NEGAZIONE AD
AMMETTERE LA RESPONSABILITA’( I CARNEFICI SPESSO SI
ATTEGGIANO A VITTIME) E PERPETUATO DA UN ATMOSFERA DI
PAURA, OMERTA’, OCCULTAMENTO.” – T.FIELD
ASPETTI ORGANIZZATIVI E MOBBING:
ALCUNE RICERCHE HANNO GIA’ DIMOSTRATO IL RAPPORTO TRA:
1) AMBIGUITA’ DI RUOLO E MOBBING
2) CONFLITTO TRA LE EMISSIONI(CONFLITTO TIPICO DEL CAPO
INTERMEDIO, AD ESEMPIO DEL QUADRO, CHE SI TROVA SPESSO A
DOVER SODDISFARE LE RICHIESTE SIA DEI SUBORDINATI CHE
DEI SUPERIORI, TROVANDOSI SPESSO TRA INCUDINE E
MARTELLO)
3) MONOTONIA DEI COMPITI
PER CERCARE DI RISOLVERE LA MONOTONIA DEI COMPITI ESISTE
IL JOB DESIGN, CHE COMPRENDE QUESTE TRE TECNICHE:
1) JOB-ROTATION O ROTAZIONE DEI COMPITI:
I LAVORATORI SI SPOSTANO A INTERVALLI PRESTABILITI DA UN
COMPITO ALL’ALTRO. I COMPITI RICHIEDONO LO STESSO LIVELLO
DI PROFESSIONALITA’.
2) JOB-ENLARGMENT O ALLARGAMENTO DEI COMPITI:
A OGNI OPERATORE VENGONO ASSEGNATI PIU’ COMPITI DELLO
STESSO LIVELLO. IL LAVORATORE COMPIE UN CICLO DI LAVORO
PIU’ LUNGO, SVOLGENDO PIU’ MANSIONI ALL’INTERNO
DELL’INTERO PROCESSO PRODUTTIVO. VIENE ANCHE CHIAMATO
ALLARGAMENTO ORIZZONTALE, PERCHE’ IL LAVORATORE SVOLGE
PIU’ MANSIONI, A MONTE E A VALLE, DELL’INTERO PROCESSO
PRODUTTIVO, MA NON SONO RICHIESTE MAGGIORI COMPETENZE
TECNICHE.
3) JOB-ENRICHMENT O ARRICCHIMENTO DEI COMPITI:
PREVEDE L’INCORPORAZIONE DI ALCUNI COMPITI SVOLTI DAI
SUPERIORI(AD ESEMPIO CAPISQUADRA ED ISPETTORI). PER
QUESTO
MOTIVO
VIENE
ANCHE
CHIAMATO
VERTICAL
ENLARGMENT O ACCRESCIMENTO VERTICALE. INCONTRA SPESSO
LE RESISTENZE DEI SINDACATI PER IL FATTO CHE AL
LAVORATORE SI RICHIEDE MAGGIORE COMPETENZA E
RESPONSABILITA’ SENZA AUMENTO DI STIPENDIO.
UNA RICERCA DI LEYMANN IN UN OSPEDALE HA DIMOSTRATO
CHE LA VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO ORGANIZZATIVO DELL’UNITA’
DI COMANDO ERA UN ANTECEDENTE ORGANIZZATIVO
CORRELATO AL MOBBING.
SECONDO IL PRINCIPIO DELL’UNITA’ DI COMANDO:
OGNI DIPENDENTE DEVE AVERE UN SOLO CAPO ED DI QUESTO
DEVONO RISPETTARE LE DIRETTIVE, OGNI DIPENDENTE DEVE
SAPERE CHI E’ IL SUO CAPO( CIOE’ LA PERSONA A CUI FARE
RIFERIMENTO), IL CAPO DEVE SAPERE ESATTAMENTE CHI SONO I
SUOI SUBORDINATI[ NOVAGA, 1997; SPALTRO, 1990].
IPOTETICAMENTE LA VIOLAZIONE DI OGNI PRINCIPIO
ORGANIZZATIVO PUO’ CAUSARE STRESS IN UN GRUPPO DI
LAVORO, IL GRUPPO DI LAVORO PUO’ INCATTIVIRSI E SFOGARSI
CON UN SINGOLO LAVORATORE PRESO DI MIRA, IL QUALE
DIVENTERA’ CAPRO ESPIATORIO E VERRA’ MOBBIZZATO.
ECCO ALTRI PRINCIPI ORGANIZZATIVI, LA CUI VIOLAZIONE PUO’
CAUSARE MOBBING(ANCHE SE AL MOMENTO NON ANCORA
DIMOSTRATO EMPIRICAMENTE):
1) IL PRINCIPIO DELLA RIPARTIZIONE DEI COMPITI. SPESSO PUO’
AVVENIRE INFATTI CHE LA RIPARTIZIONE ESISTE, MA E’
PESSIMA. IL LAVORO VIENE INFATTI DISTRUBUITO SENZA
ALCUN CRITERIO: SENZA TENER CONTO DELLE CAPACITA’,
DELL’ESPERIENZA LAVORATIVA, DELLE COMPETENZE DI
OGNUNO.
2) IL PRINCIPIO DI OMOGENEITA’ DEGLI INCARICHI, SECONDO
CUI: I COMPITI DEL LAVORATORE NON DEVONO INTERFERIRE
TRA LORO, DEVONO ESSERE CHIARI E DEFINITI ED OGNI
LAVORATORE DEVE ASSOLVERE AD UNA SOLA FUNZIONE.
3) IL PRINCIPIO DELL’AMPIEZZA DI CONTROLLO: NESSUN
SUPERIORE DEVE AVERE PIU’ SUBORDINATI DI QUANTI NON
NE POSSA CONTROLLARE CON EFFICACIA. IL SUPERVISORE DEL
GRUPPO DI LAVORO DEVE CONTROLLARE TUTTI I
SUBORDINATI INDISTINTAMENTE, NELLO STESSO MODO. PER
QUANTO RIGUARDA IL CONTROLLO DEL LAVORO ESISTE UN
LIMITE PSICOFISICO SIA DEL SUPERVISORE CHE DEL
SUBORDINATO:
IL
SUPERVISORE
AVRA’
MAGGIORE
AFFATICAMENTO MENTALE E PSICOLOGICO MAN MANO CHE IL
NUMERO DI SUBORDINATI AUMENTA, IL SUBORDINATO INVECE
AVRA’ MAGGIORE AFFATICAMENTO MENTALE E PSICOLOGICO
SE IL SUO OPERATO VERRA’ CONTROLLATO IN MODO
OSSESSIVO, MENTRE INVECE L’OPERATO DI ALTRI COLLEGHI
VERRA’ CONTROLLATO MOLTO MENO. DA RICORDARE INFATTI
CHE IL DIPENDENTE PIU’ VICINO NEL GRUPPO DI LAVORO AL
CAPO E’ MOLTO PIU’ SOGGETTO AD ESSERE CONTROLLATO
SISTEMATICAMENTE.
I COSTI AZIENDALI DI UN’AZIENDA CHE PERMETTE IL MOBBING:
-ALTO TURNOVER(NON SONO SOLO I MOBBIZZATI CHE VENGONO LICENZIATI O
DANNO LE DIMISSIONI CHE SE NE VANNO VIA, MA ANCHE UNA DISCRETA
PERCENTUALE DI LAVORATORI CHE HANNO ASSISTITO AL CASO DI MOBBING E CHE
PER PAURA NON SONO INTERVENUTI A DIFESA DELLA VITTIMA. QUESTI
SPETTATORI HANNO PAURA DI DIVENTARE A LORO VOLTA CAPRI ESPIATORI,
CERCANO NUOVE OPPORTUNITA’ DI LAVORO E UNA VOLTA TROVATO UN NUOVO
POSTO DANNO LE DIMISSIONI).
-ASSENTEISMO E CONGEDI MALATTIA
-DIMINUZIONE DEL TEMPO DI LAVORO NETTO(I MOBBER PASSANO LA MAGGIOR
PARTE DELL’ORARIO DI LAVORO A PERSEGUITARE LA VITTIMA ED A PIANIFICARE
COME PERSEGUITARLA IN FUTURO ): SECONDO CASILLI(2001) IL MOBBER PERDE IL
15% DEL PROPRIO TEMPO AL LAVORO IN VESSAZIONI.
-CALO DI PRODUTTIVITA’ A LUNGO TERMINE DELLA VITTIMA(QUANDO NON E’
MALATA)
-DEFICIT PRODUTTIVO(AUMENTO DEGLI SCARTI DI LAVORAZIONE, MAGGIOR
NUMERO DI ERRORI)
-SPESE LEGALI PER CAUSE CIVILI E/O PENALI(A SECONDA DELLA GRAVITA’ DEL
MOBBING)
-DANNO D’IMMAGINE ALL’AZIENDA(IL LAVORATORE CHE HA SUBITO MOBBING PUO’
INFORMARE LA STAMPA DEL SUO CASO)
-COSTI PER LA LIQUIDAZIONE O LA BUONAUSCITA, OPPURE PER LA MESSA IN LISTA
DI MOBILITA’(RARA NEI CASI DI MOBBING).
-COSTI PER RIMPIAZZARE I MOBBIZZATI.
PER QUANTO RIGUARDA I COSTI PER SOSTITUIRE UN LAVORATORE LICENZIATO
RICORDIAMO:
-COSTI DI RECLUTAMENTO(INSERZIONI SUI QUOTIDIANI DI OFFERTA LAVORO)
-SCREENING: VALUTAZIONE DEI CURRICULUM E DELLE REFERENZE
-COSTI DI SELEZIONE DEL PERSONALE(TEST, COLLOQUI)
-TRAINING DEL NEOASSUNTO
[ IL COSTO DI SELEZIONE E FORMAZIONE DI UN NEOASSUNTO E’ IN TOTALE DI
CIRCA 15 MILIONI DI LIRE ]
IL CASO DI MOBBING DI SANDRA CARRETTIN:
SANDRA CARRETTIN E’ UNA INVALIDA. A 42 ANNI RISULTA ESSERE TROPPO
GIOVANE PER AVERE LA PENSIONE E TROPPO IN LA’ CON L’ETA’ PER ENTRARE
NELLO STATO.
E’ ISCRITTA ALLE LISTE DI COLLOCAMENTO DA 7 ANNI E COME INVALIDA CIVILE DA
TRE ANNI E MEZZO. E’ L’UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO, ORGANO ADIBITO A
CHI APPARTIENE ALLE CATEGORIE PROTETTE, A TROVARLE UN’OCCUPAZIONE. LA
SOCIETA’ A CUI E’ STATA DESTINATA PERO’ LA RIFIUTA SENZA AVERLA VISTA. A
QUESTA SOCIETA’ VIENE IMPOSTA DOPO UNA LETTERA DI MANCATO AVVIAMENTO
CON L’INTERVENTO DEL MINISTERO DEL LAVORO E DEL MINISTERO DELLA
PREVIDENZA SOCIALE. ALL’INZIO GLI VIENE ASSEGNATA LA MANSIONE DI ADDETTA
ALL’INSERIMENTO DATI. LEI PERO’ DEVE IMPARARE LA MANSIONE E PER QUESTA
RAGIONE GLI VIENE ASSEGNATA UNA PERSONA, CHE NON NE SA NIENTE.
SUCCESSIVAMENTE GLI VENGONO AFFIDATI LAVORI RIPETITIVI. DOPO QUALCHE
TEMPO UNA COLLEGA GLI CONFESSA CHE GIRANO STRANE VOCI SUL SUO CONTO:
DICONO CHE HA DEI PROBLEMI MENTALI, PERCHE’ APPARTIENE ALLE CATEGORIE
PROTETTE. IN REALTA’ SONO SOLO CALUNNIE SENZA FONDAMENTO, PERCHE’
SANDRA CARRETTIN NON E’ MAI STATA PSICOLABILE, PIUTTOSTO FA PARTE DELLE
CATEGORIE PROTETTE PERCHE’ HA AVUTO UNA PATOLOGIA FISICA, CHE LE HA
RESO DIFFICILE CAMMINARE. LA CARRETTIN INDIVIDUA POI L’AUTORE DI QUELLE
VOCI NEL CASELLI, AFFIANCATO DA UN GIOVANE RESPONSABILE ALLA
PRODUZIONE. I RESPONSABILI SOCI DELLA SOCIETA’ NON MANCANO DI UMILIARLA
ED AGGREDIRLA VERBALMENTE IN PUBBLICO DAVANTI AD ALTRI COLLEGHI IN PIU’
DI UN’OCCASIONE, DANDOLE SPESSO DELL’IDIOTA E CRITICANDO DAVANTI A TUTTI
IL SUO OPERATO. INOLTRE INIZIANO A DARLE DEI LAVORI PER POI TOGLIERLI
APPENA INIZIATI E DARLI AD ALTRI COLLEGHI. LA CARRETTIN ACCETTA DI ESSERE
DELEGATA SINDACALE. NEL FRATTEMPO NELL’AZIENDA IN CUI LAVORA INIZANO LE
STRATEGIE ELIMINATORIE: VENGONO COSTRETTI AL LICENZIAMENTO I
DIPENDENTI SCOMODI, MENTRE I LAVORATORI DI FIDUCIA, CONSIDERATI
POSITIVAMENTE DAI SOCI, SI AUTOLICENZIANO PER FARE PARTE POI DEL POPOLO
DELLA PARTITA IVA. PER COSTRINGERLI AL LICENZIAMENTO USANO
FONDAMENTALMENTE TRE TATTICHE: L’UMILIAZIONE E L’AGGRESSIONE VERBALE IN
PUBBLICO, CONTINUI CAMBI DI MANSIONE, TRASFERIMENTI IN ALTRE SEDI. NON
DI RADO LICENZIAVANO I DIPENDENTI, SENZA ASPETTARE LE LORO DIMISSIONI.
TRA LE COLLEGHE ESISTONO ANCHE DELLE INFILTRATE, DELLE DOPPIOGIOCHISTE,
CHE VANNO A SPIFFERARE TUTTE LE CONFIDENZE AI RESPONSABILI SOCI, IN
CAMBIO DI PROMOZIONI E SALTI DI CARRIERA. A QUESTO PUNTO DELLA VICENDA
LA CARRETTIN VIENE TRASFERITA A FERRARA, NONOSTANTE SIA MOLTO
DIFFICOLTOSO PER LA SUA INABILITA’ FISICA
FARE DA PENDOLARE. LA
LAVORATRICE IN QUESTIONE UTILIZZA ALLORA LA LEGGE 300, CHE TUTELA I
DELEGATI SINDACALI TRASFERITI NON PER ESIGENZE ORGANIZZATIVE, MA PER
ALTRI FINI. NEL FRATTEMPO VIENE SUBISSATA DI CONTINUE VISITE DA PARTE DEL
MEDICO FISCALE. IL MEDICO FISCALE CONFERMA LO STATO DI MALATTIA E LE FA
UN REFERTO MEDICO. LO STESSO MEDICO FISCALE SI DICE DISPIACIUTO, MA
DICHIARA CHE NON PUO’ FARE ALTRO: E’ L’AZIENDA CHE INSISTE A FARLE DELLE
VISITE MEDICHE RIPETUTE. RIMESSASI VIENE RICONFERMATA DELEGATO
SINDACALE E RITORNA ALLA VECCHIA SEDE DI MESTRE, DOVE PERO’ SONO
RIMASTE POCHE PERSONE. I SOCI RESPONSABILI CONTINUANO LA TRATTANO
COME UNA RITARDATA. AL MATTINO DEVE ATTENDERE DELLE MEZZE ORE PRIMA
CHE ARRIVI QUALCUNO AD APRIRE IL SUO UFFICIO. UNA VOLTA ENTRATA LA
CONTROLLANO CONTINUAMENTE. NON PUO’ PIU’ USCIRE. NON GLI RIVOLGONO LA
PAROLA. LE PROIBISCONO DI RISPONDERE AL TELEFONO. LE PROIBISCONO DI
USARE IL COMPUTER. UNA VOLTA HA UN VIOLENTO ALTERCO CON IL PRESIDENTE
DELLA SOCIETA’ PER LA SUA SITUAZIONE. DURANTE QUESTA DISCUSSIONE ACCESA
FA IL NUMERO DEL CELLULARE DI UN AMICO E LO LASCIA APERTO, IN MODO CHE
POSSA ESSERE TESTIMONE DEGLI INSULTI CHE LE SONO RIVOLTI CONTRO. RIMANE
UN ANNO DI LAVORO IN UN UFFICIO DA SOLA, MA CONTROLLATA DA COLLEGHI E
SOCI RESPONSABILI IN MODO CHE NON ESCA DURANTE L’ORARIO LAVORATIVO.
PASSA UN ANNO IN UN UFFICIO SPORCO E CON BRANDELLI DI PC SPARSI PER
TUTTA LA STANZA. L’UNICO STRUMENTO FUNZIONANTE IN QUELL’UFFICIO E’ UN
FAX. UN GIORNO NON RIESCE PIU’ A PROFERIRE PAROLA. LA DIAGNOSI FU
DISARTRIA: DIFFICOLTA’ AD ARTICOLARE LA PAROLA. PER 7 MESI LA LAVORATRICE
NON E’ CAPACE DI PRONUNCIARE UNA FRASE. DOPO 7 MESI DI RIABILITAZIONE
CON UN LOGOPEDISTA I PROBLEMI SONO PARZIALMENTE RISOLTI. UNA VOLTA
RISOLTA LA DISARTRIA VIENE PERO’ LICENZIATA. SANDRA CARRETTIN HA
DENUNCIATO PER MOBBING I RESPONSABILI SOCI DELL’AZIENDA IN CUI LAVORAVA.
QUESTA E’ UNA BREVE SINTESI DEL CASO. CHI LO VOLESSE APPROFONDIRE PUO’
LEGGERE:
“IL MOBBING IN ITALIA”. CARRETTIN-RECUPERO. EDIZIONI DEDALO(2001)
IL FENOMENO DEL MOBBING IN ITALIA.
FONTI: DATI DELL’ISTITUTO SUPERIORE PER LA PREVENZIONE E LA SICUREZZA DEL
LAVORO, DML, LABORATORIO DI PSICOLOGIA E SOCIOLOGIA DEL LAVORO, GRUPPO
STUDIO E RICERCA SUL MOBBING. N.B: TRATTO DA “MOBBING, I COSTI UMANI
DELL’IMPRESA” DI PAOLO SAOLINI. TUTTAVIA I DATI COME SONO RIPORTATI NEL
LIBRO DI SAOLINI SONO GENERICI. IO QUI LE RIPORTO, PERO’ CON IL BENEFICIO
DEL DUBBIO(NON ESSENDO STATE RESE NOTE LE DIMENSIONI DEL CAMPIONE,
ETC).
LE MOLESTIE SUL POSTO DI LAVORO IN ITALIA DEGENERANO PRINCIPALMENTE
IN(VALORI PERCENTUALI):
MOBBING
60
DISAGIO LAVORATIVO
31
VARIE
9
TUTTE LE REGIONI NE SONO INTERESSATE, E IN PARTICOLARE MODO IL LAZIO PER
IL 43% DEI CASI.
CARATTERISTICHE DEI SOGGETTI COLPITI(VALORI PERCENTUALI):
SESSO
UOMINI
52
DONNE
48
FASCE DI ETA’:
DAI 51 AI 60 ANNI
DAI 41 AI 50
DAI 31 AI 40
62
31
7
STATO CIVILE:
CONIUGATI
SEPARATI/DIVORZIATI
82
11
SCOLARITA’
MEDIA SUPERIORE
DIPLOMA DI LAUREA
MEDIA INFERIORE
MASTER
71
17
9
3
QUALIFICA
IMPIEGATI/QUADRI
81
CATEGORIE DIRETTIVE/DIRIGENTI 19
CARATTERISTICHE DELL’IMPRESA
PUBBLICA
71
PRIVATA
29
SETTORE PRODUTTIVO
SERVIZI
INDUSTRIA
79
21
Evento/Difficoltà
Valutazione primaria
(percezione evento)
Evento irrilevante
Evento positivo
Danno, minaccia o
sfida
Risorse di coping
Socioecologiche:
1)utilitaristiche
2) reti sociali
Valutazione secondaria:
processo di considerazione
di una risposta alla
minaccia(rielaborazione)
Risorse di coping
Personali:
1)salute
2)energia
3)credenze
4)abilità di problem
solving
STILI DI COPING:
CENTRATO SULLE EMOZIONI
O CENTRATO SUL PROBLEMA
Esito finale
IL MODELLO DELLO STRESS E DEL COPING DI LAZARUS E FOLKMAN[1984]
LA TECNOLOGIA ATTUALE E LA RESISTENZA AL CAMBIAMENTO:
MACCHINE A CONTROLLO NUMERICO
ROBOT
CAD: IMPIEGO DELL’INFORMATICA PER LA CREAZIONE E CORREZIONE DI UN
PROGETTO.
CAE: SIMULAZIONE AL COMPUTER DI UN PROGETTO
CIM: TECNOLOGIE INFORMATICHE INTEGRATE NELLA FABBRICA
CAD/CAM: PROGETTAZIONE E PRODUZIONE INFORMATIZZATA DI UN PROGETTO
INTERNET
SOFTWARE: WORD, EXCEL, ACCESS, C++, VISUAL BASIC, OUTLOOK EXPRESS…….
L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA COMPORTA UN CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO. LA
RISTRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA COMPORTA NUOVE MANSIONI PER I
DIPENDENTI. MA SPESSO DI FRONTE ALL’APPRENDIMENTO DELLE NUOVE MANSIONI
I DIPENDENTI DI VECCHIA DATA OPPONGONO LA RESISTENZA AL CAMBIAMENTO.
ALLORA DIRIGENTI ED IMPRENDITORI LI LICENZIANO O LI COSTRINGONO ALLE
DIMISSIONI PER ASSUMERE PERSONALE PIU’ GIOVANE.
INVECE SPESSO NON CONSIDERANO CHE OGNI CAMBIAMENTO IMPOSTO DALL’ALTO
SENZ ALCUNA SPIEGAZIONE LOGICA PORTA ALLA RESISTENZA AL CAMBIAMENTO.
LA RESISTENZA AL CAMBIAMENTO SAREBBE MINORE SE DIRIGENTI ED
IMPRENDITORI TRAMITE CONFERENZE E DISCUSSIONI INTERNE CON I DIPENDENTI
SPIEGASSERO LA SITUAZIONE AZIENDALE AI DIPENDENTI……SE RISPONDESSERO
SUCCESSIVAMENTE ALLE OBBIEZIONI DEI DIPENDENTI……SE TRAMITE CORSI DI
FORMAZIONE ADEGUATI I DIPENDENTI VENISSERO AIUTATI AD APPRENDERE DA
FORMATORI COMPETENTI.
A PROPOSITO DEGLI ATTUALI CORSI DI FORMAZIONE E RIQUALIFICAZIONE
PROFESSIONAEL PAOLO CORNAGLIA-FERRARIS NEL SUO LIBRO CAMICI E PIGIAMI
SCRIVE A PROPOSITO DELLA SANITA’ ITALIANA:
“……SI TRATTA DI EX AUSILIARI O EX GENERICI RECLUTATI ATTRAVERSO UN
SISTEMA CHE VA AVANTI DA ANNI CON PROMOZIONI DI MASSA E ATTRIBUZIONI
PER QUALIFICHE FUNZIONALI CHE SONO IL PRODOTTO DI ACCORDI SINDACALI.
QUASI SEMPRE L’ATTRIBUZIONE DELLE MANSIONI SUPERIORI E SPECIALISTICHE E’
FATTA DOPO TRAGICOMICI CORSI DI RIQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE CHE
DOVREBBERO METTERE IN GRADO I PORTANTINI DI FARE TERAPIE ENDOVENOSE,
GLI AUSILIARI DI ESEGUIRE TEST DIAGNOSTICI IN LABORATORIO, LE INFERMIERE
DI ESEGUIRE E CONTROLLARE UNA DIETA PER DIABERTICI E COSI’ VIA.”
[PAG.5- EDITORE LATERZA]
ED ANCORA A PAG.24: “MINISTERO E REGIONE PARLANO SOLO DI TAGLI. MA PER
TAGLIARE DAVVERO BISOGNA RIORGANIZZARE E PER RIORGANIZZARE BISOGNA
INVESTIRE. PER INVESTIRE CI VOGLIONO I SOLDI, MA I SOLDI NON CI SONO
PERCHE’ SONO STATI TAGLIATI. E’ IL GATTO CHE SI MORDE LA CODA”
INNOVAZIONE
TECNOLOGICA
FORMAZIONE
PERMANENTE:
MAGGIORI
FINANZIAMENTI
ALLA FORMAZIONE.
ATTUAZIONE DI UNA
NUOVA LEGGE
QUADRO SUI CORSI DI
FORMAZIONE.
CORSI IDONEI DI
RIQUALIFICAZIONE.
RISTRUTTURAZIONE
ORGANIZZATIVA
APPRENDIMENTO DI
NUOVE MANSIONI
INFORMAZIONE
PERMANENTE:
MAGGIORE
COMUNICAZIONE
AZIENDALE.
DISCUSSIONI,
ATTUAZIONE DELLA
RICERCAINTERVENTO DI
LEWIN.
NUOVI TERMINI DELLA GLOBALIZZAZIONE DAL VOLTO DISUMANO:
NET SLAVES: SCHIAVI DELLA RETE. ESPRESSIONE CONIATA DA LESSARD E
BALDWIN. LA MAGGIOR PARTE DEI GIORNALI SPESSO SCRIVE DI GIOVANISSIMI
IMPRENDITORI MILIARDARI DELLA NET ECONOMY, MA NESSUNO PARLA MAI DEI
MILIONI DI LAVORATORI SFRUTTATI DALLA NEW ECONOMY.
DIGITAL DIVIDE: DIVISIONE TRA LAVORATORI AGGIORNATI NELL’AMBITO
INFORMATICO E LAVORATORI CHE NON HANNO MAI MESSO MANO AD UN PC.
FREE-AGENT: “DONNE E UOMINI IL CUI REDDITO PUO’ CRESCERE O DECRESCERE
SECONDO UN INFINITA QUANTITA’ DI VARIABILI, CHE VANNO DALLA SALUTE FISICA
PERSONALE ALLA CONTINGENZA ECONOMICA MONDIALE, DALL’ANDAMENTO
DELL’INDICE NIKKEI AL TRAFFICO IN TANGENZIALE LA MATTINA.” [GILIOLI, 2001]
AGEISMO: CONCEZIONE SECONDO CUI I CINQUANTENNI SONO CONSIDERATI
OBSOLETI.
WORKOHOLISM: CONCEZIONE SECONDO CUI CHI NON LAVORA PER ALMENO 14-15
ORE AL GIORNO NON E’ UN BUON LAVORATORE
HELP DESK: OPERAI SPECIALIZZATI IN PC, SPESSO LAVORATORI INTERINALI.
SPESSO MOLTI LAVORATORI INTERINALI LAVORANO PER 10 ANNI NELLA STESSA
AZIENDA. TUTTAVIA NON GODONO NE’ DEGLI STESSI DIRITTI SINDACALI DEI
DIPENDENTI ASSUNTI A TEMPO INDETERMINATO, NE’ POSSONO AVERE I
CONTRIBUTI. SE UNA MAGGIORE FLESSIBILITA’ IN ENTRATA PUO’ ESSERE
AUSPICABILE PER L’ESIGENZA DELLE IMPRESE, IN MOLTI PAESI TUTTAVIA
MANCANO ANCORA DELLE REGOLE CHE IMPEDISCANO LA TRASFORMAZIONE DELLA
FLESSIBILITA’ IN ENTRATA IN NUOVO SFRUTTAMENTO ED IN PRECARIETA’
LAVORATIVA A LUNGO TERMINE. OLTRE UN CERTO NUMERO DI ANNI DI LAVORO A
TEMPO DETERMINATO LE AZIENDE DOVREBBERO ESSERE OBBLIGATE AD ASSUMERE
IL LAVORATORE A TEMPO INDETERMINATO: ALTRIMENTI E’ INUTILE PARLARE DI
MAGGIORE FLESSIBILITA’ IN ENTRATA.
BREVE TERMINISMO: FILOSOFIA AZIENDALE DEI RISULTATI E DEI PROFITTI A
BREVE TERMINE. FA PARTE DI QUESTA FILOSOFIA AZIENDALE LA
RISTRUTTURAZIONE SELVAGGIA. SENNET SCRIVE: “LE QUOTAZIONI AZIONARIE
DELLE AZIENDE CHE SI SOTTOPONGONO A DOWNSIZING(RISTRUTTURAZIONE
SELVAGGIA) SALGONO AUTOMATICAMENTE, COME SE QUALUNQUE CAMBIAMENTO
FOSSE PREFERIBILE ALLA CONTINUITA’ “
RSI GENERATION: RSI E’ L’ACRONIMO DI REPETITIVE STRESS INJURY( SINDROME
DOVUTA AL LAVORO AL VIDEOTERMINALE). SINTOMI: CERVICALE, DOLORE A POLSI
E BRACCI, DOLORI ALLA SCHIENA.
BOBOS: TERMINE INVENTATO DA DAVID BROOKS. E’ L’ACRONIMO DI BOURGEOIS
BOHEMIEN. INDICA GLI ALTOBORGHESI DELLA NEW ECONOMY. LAVORANO CON
INTERNET E NEL TEMPO LIBERO CREDONO ALLA NEW AGE.
MCJOBBERS: LAVORATORI DELLA NEW ECONOMY A BASSO REDDITO. TRA I
MCJOBBERS SONO COMPRESI AD ESEMPIO I CREWS DELLA MC DONALD. FRIGGONO,
PULISCONO, O STANNO ALLA CASSA. ESSENDO ASSUNTI A PART-TIME E PER
QUESTO NON GODENDO DI DIRITTI SINDACALI SONO FACILMENTE RICATTABILI.
SLEEP CAMEL: LAVORATORI DELLA NEW ECONOMY TALMENTE SOVRACCARICATI DI
LAVORO, CHE DORMONO LA STRAGRANDE PARTE DEL LORO TEMPO LIBERO.
HOMELESS DELLA NEW ECONOMY: NELLA SILICON VALLEY LAVORATORI DELLA NEW
ECONOMY DORMONO SULL’AUTOBUS 22, CHIAMATO PER QUESTO “HOTEL 22”.
HANNO UN LAVORO ED UNO STIPENDIO, MA QUESTO NON GLI PERMETTE DI
AFFITTARE UNA CASA.
COST KILLER: DIRIGENTE CHE PIANIFICA LA RISTRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA,
CHE TAGLIERA’ CENTINAIA O MIGLIAIA DI POSTI DI LAVORO.
BLACK-TIES: BECCAMORTI. DIRIGENTI CHE HANNO IL COMPITO DI LICENZIARE
INTERI GRUPPI DI LAVORATORI PER FARE LA RISTRUTTURAZIONE.
COCOCO: ACRONIMO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA. UNA
PICCOLA NOTA: IL 13% DEI PARASUBORDINATI-SECONDO L’IRES- PROVIENE DALLA
STESSA SOCIETA’ DI CUI PRIMA ERANO DIPENDENTI A TEMPO INDETERMINATO.
JOB ON CALL: LAVORO A CHIAMATA. IL DATORE DI LAVORO CHIAMA IL DIPENDENTE
A LAVORARE PER UN DETERMINATO PERIODO, FINITO IL QUALE LO RIMANDA A
CASA.
RAGAZZI CALL-CENTER: CENTRALINISTI E CENTRALINISTE CHE FANNO
TELEMARKETING. LA STRAGRANDE MAGGIORANZA E’ ASSUNTA A TEMPO
DETERMINATO. NON GODENDO DI DIRITTI SINDACALI, SONO FACILMENTE
RICATTABILI DAI DATORI DI LAVORO.
NELLE RICERCHE SOCIALI QUANDO SI CERCA DI RILEVARE LE
CARATTERISTICHE DI UNA PROBLEMATICA, NON ESSENDO
POSSIBILE FARE UN’INDAGINE CHE COMPRENDA L’INTERA
POPOLAZIONE(PER IL DISPENDIO DI COSTI E DI TEMPO), VIENE
PRESA IN ESAME SOLO UNA PARTE DELLA POPOLAZIONE(IL
CAMPIONE, CHE DEVE ESSERE RAPPRESENTATIVO DELLA
POPOLAZIONE COMPLESSIVA, QUINDI UNA SORTA DI MODELLO
IN MINIATURA).
NEL CASO IN CUI VENGANO SOMMINISTRATI DEI QUESTIONARI
A DEI LAVORATORI
IN ALCUNE AZIENDE, BISOGNEREBBE
QUINDI PRIMA CAMPIONARE(POSSIBILMENTE CON PROCEDURE
DI CAMPIONAMENTO PROBABILISTICO) LE AZIENDE.
ESISTONO DIVERSI TIPI DI CAMPIONAMENTO PROBABILISTICO:
IL CAMPIONAMENTO CASUALE SEMPLICE
IL CAMPIONAMENTO STRATIFICATO
IL CAMPIONAMENTO PER GRAPPOLI
IL CAMPIONAMENTO A DUE FASI
IL CAMPIONAMENTO CON RIPETIZIONI
IL CAMPIONAMENTO A PIU’ STADI
IL CAMPIONAMENTO CON ROTAZIONE
IL CAMPIONAMENTO SISTEMATICO
IL CAMPIONAMENTO PER PANEL
AD ESEMPIO SE SI VOLESSE FARE UN CAMPIONAMENTO
STRATIFICATO IN BASE AL NUMERO DI DIPENDENTI DI
UN’AZIENDA, PER FARE UN’INDAGINE NELLE PIU’ GRANDI
AZIENDE IN UNA DETERMINATA AREA GEOGRAFICA,
BISOGNEREBBE DISPORRE DELLA LISTA COMPLETA DI TUTTE LE
AZIENDE CHE HANNO ALMENO IL NUMERO DI DIPENDENTI
STABILITO. SUCCESSIVAMENTE BISOGNEREBBE INVIARE UNA
LETTERA DI PRESENTAZIONE DELL’INDAGINE
A TUTTE LE
AZIENDE ED ASPETTARE CHE RISPONDANO E DIANO LA LORO
DISPONIBILITA’. QUINDI DOVREBBE ESSERE CALCOLATO IL TASSO
DI RISPOSTA(CIOE’ LA PERCENTUALE DELLE AZIENDE DISPOSTE
ALL’INDAGINE). DOPO SI POTREBBE SOMMINISTRARE I
QUESTIONARI
A TUTTI I LAVORATORI DELLE AZIENDE
DISPONIBILI. UNA VOLTA CHE E’ STATO SOMMINISTRATO IL
QUESTIONARIO
GIA’
STANDARDIZZATO
SI
DOVREBBE
ELABORARE I DATI CON TECNICHE STATISTICHE(AD ESEMPIO
L’ANALISI FATTORIALE). PER ELABORARE I DATI CON LA
TECNICA STATISTICA PIU’ EFFICIENTE(L’ANALISI FATTORIALE)
BISOGNEREBBE DISPORRE DI PROGRAMMI INFORMATICI E DI
PERSONE CHE SIANO ESPERTE DI QUESTO SOFTWARE.
BISOGNEREBBE DISPORRE DI QUESTI PROGRAMMI PERCHE’
SAREBBE ESTREMAMENTE ONEROSO (SIA PER QUANTO
RIGUARDA IL TEMPO IMPIEGATO SIA PER QUANTO RIGUARDA
LA DIFFICOLTA’ NEL REPERIRE PROFESSIONISTI CHE FACCIANO
CALCOLI COSI’ COMPLESSI A MANO).
INOLTRE SE ESISTE UNA PARTE DEL QUESTIONARIO CHE E’
AUTOVALUTATIVA( AD ESEMPIO PER RACCOGLIERE DATI SUI
SINTOMI DI UNA MALATTIA PROFESSIONALE, COME IL
MOBBING) BISOGNEREBBE FARE UNA COMPARAZIONE TRA
AUTOVALUTAZIONE(I SINTOMI DESCRITTI DAL LAVORATORE)
ED ETEROVALUTAZIONE( I SINTOMI DESCRITTI DA UNO
PSICOLOGO CLINICO O UNO PSICHIATRA) E CALCOLARE IL
COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE TRA L’AUTOVALUTAZIONE E
L’ETEROVALUTAZIONE. IN MANCANZA DI QUESTA PROCEDURE
BISOGNEREBBE
QUANTO
MENO
CHE
LA
PARTE
AUTOVALUTATIVA DEL QUESTIONARIO FOSSE INTEGRATA DAL
GIUDIZIO DI UNO PSICOLOGO CLINICO O DI UNO PSICHIATRA.
QUESTO E’ UN PRINCIPIO DELLA CLINIMETRIA, CHE FEINSTEIN
NEL 1982, HA DEFINITO COME “LA DISCIPLINA MEDICA
FINALIZZATA ALLO SVILUPPO E LA VALIDAZIONE DELLE
VALUTAZIONI CLINICHE”. QUESTO E’ NECESSARIO PER EVITARE
UN’ALTA PERCENTUALE DI FALSI POSITIVI, CIOE’ DI PERSONE CHE
SI DICHIARANO AMMALATE E NON LO SONO. AD ESEMPIO
BASANDOSI SOLTANTO SULLE SCALE SELF-REPORT PER QUANTO
RIGUARDA LO STRESS LAVORATIVO O IL MOBBING SI
RISCHIEREBBE DI CONSIDERARE COME LAVORATORE STRESSATO
O COME MOBBIZZATO UNA PERSONA CHE INVECE SOFFRE DI
ALTRI DISTURBI PSICHICI. L’IMPATTO STRESSOGENO DI UNO O
PIU’ EVENTI(ANCHE MARGINALI) NON SONO DETERMINATI
ESCLUSIVAMENTE DALLE CONDIZIONI OGGETTIVE, MA
DIPENDONO ANCHE DALLA VALUTAZIONE SOGGETTIVA DELLA
PERSONA IN QUESTIONE, DAL SUO STATO DI SALUTE MENTALE,
DALLE SUE PRECEDENTI ESPERIENZE, ETC.
UNA
VOLTA
EFFETTUATO
QUESTO
TIPO
DI
RICERCA(SOMMINISTRANDO I QUESTIONARI AI LAVORATORI DI
DIVERSE AZIENDE) NON SI RILEVEREBBE AFFATTO LA
PERCENTUALE DI LAVORATORI MOBBIZZATI, MA NELLA
PROSPETTIVA PIU’ ROSEA LA PERCENTUALE DI LAVORATORI CHE
DICHIARANO DI AVERE SUBITO VESSAZIONI, ANGHERIE,
MOLESTIE MORALI SUL LUOGO DI LAVORO.
ANCHE CON LE PROCEDURE DI CAMPIONAMENTO PIU’
SOFISTICATE, LE ANALISI DI ELABORAZIONE DI DATI PIU’ PRECISE
ED
UTILIZZANDO UN OTTIMO QUESTIONARIO(GIA’
STANDARDIZZATO)
LA
STIMA
DI
LAVORATORI
CHE
DICHIARANO DI AVER SUBITO VESSAZIONI DA COLLEGHI O
SUPERIORI POTREBBE ESSERE VIZIATA DA FENOMENI QUALI:
DESIDERABILITA’ SOCIALE, INSODDISFAZIONE LAVORATIVA
GENERALE, MANCANZA DI FIDUCIA NEI CONFRONTI DEL
QUESTIONARIO, MANCANZA DI FIDUCIA CHE ALLA FINE VENGA
RISOLTO IL PROBLEMA, GOLIARDIA, DISINTERESSE, ETC.
SI RISCHIEREBBE QUINDI DI SOPRAVVALUTARE LA STIMA DELLE
VESSAZIONI E DI SPARARE CIFRE ESORBITANTI A RIGUARDO DEL
PROBLEMA:
QUESTO
SAREBBE
CONTROPRODUCENTE
ALL’ANALISI DEL PROBLEMA MOBBING, DATO CHE SE TUTTO E’
MOBBING NIENTE E’ MOBBING. COSI’ FACENDO SI RISCHIEREBBE
DI SOTTOVALUTARE I DANNI PSICHICI E LA SOFFERENZA
INTERIORE DI UNA MALATTIA PROFESSIONALE, QUALE E’ IL
MOBBING. IN QUESTO MODO LA PERSONA VERAMENTE
MOBBIZZATA SOFFRIREBBE DOPPIAMENTE: DA UN LATO PERCHE’
MOBBIZZATA, DALL’ALTRO PERCHE’ SI TROVEREBBE A
SOPPORTARE UN CLIMA CHE TENDEREBBE A MINIMIZARE IL SUO
PROBLEMA( “ CHE VUOI CHE SIA? OGGI SONO TUTTI
MOBBIZZATI!!! CHE VUOI CHE SIA ? OGGI SOFFRIRE DI MOBBING
E’ DI MODA). UNA VOLTA HO LETTO I RISULTATI DI UNA
RICERCA DI UN SINDACATO DI UN PAESE STRANIERO: VI ERA
SCRITTO CHE IL 77% DEI LAVORATORI AVEVA
SUBITO VESSAZIONI ED ANGHERIE SUL LUOGO DI LAVORO !!!!!
DA CIO’ SI POTEVA CONCLUDERE CHE I LAVORATORI DI
QUELL’ORGANIZZAZIONE NON SOLO ERANO MOBBIZZATI MA
ANCHE MOBBER(TUTTI VITTIME E CARNEFICI), A MENO CHE
UNO SPARUTO 23% MOBBIZZASSE L’ALTRO 77%( UN
LAVORATORE CHE UMILIA TRE LAVORATORI): E’ TEORICAMENTE
E PRATICAMENTE IMPOSSIBILE UNA CIFRA DEL GENERE.
A MIO AVVISO SAREBBE INVECE MOLTO PIU’ PROFICUO:
1)SENSIBILIZZARE I SINDACALISTI DELLE AZIENDE CON
COLLOQUI E MATERIALE DIVULGATIVO SUL PROBLEMA
2) SENSIBILIZZARE I LAVORATORI CON OPUSCOLI E
CONFERENZE
3) ISTITUIRE UN NUMERO TELEFONICO PER AIUTARE I
LAVORATORI CHE SOFFRONO DI MOBBING, STRESS, O ANCHE DI
DISAGI PSICHICI(ASCOLTANDOLI TUTTI INDISTINTAMENTE,
INDIPENDENTEMENTE DAL TIPO DI PROBLEMA).
4) CERCARE DI PRENDERE APPUNTAMENTO CON I LAVORATORI
CHE TELEFONANO. FARE UN CHECK-UP COMPLETO AL
LAVORATORE: ANAMNESI OCCUPAZIONALE, STATO DI SALUTE
MENTALE, ETC. PER QUANTO RIGUARDA UN PRESUNTO CASO DI
MOBBING IL LAVORATORE DOVREBBE AVERE:
1)UN COLLOQUIO APPROFONDITO DELLA DURATA DI 2-3 ORE
CON UN SINDACALISTA O UNO PSICOLOGO DEL LAVORO CHE
RILEVA GLI ASPETTI ORGANIZZATIVI DEL SUO CASO.
2)UNO PSICOLOGO CLINICO O UNO PSICHIATRA CHE RILEVA IL
SUO STATO DI SALUTE MENTALE.
3)UN SINDACALISTA CHE CERCA DI TAMPONARE LA
SITUAZIONE SE E’ ALLE PRIME FASI DEL MOBBING.
4)UN AVVOCATO EVENTUALMENTE SE IL LAVORATORE SI
TROVA ALL’ULTIMA FASE DI MOBBING(L’ESCLUSIONE DAL
MONDO DEL LAVORO).
PER OGNI TESTIMONIANZA DOVREBBERO ESSERE RACCOLTI I
DATI. TRAMITE QUESTO CHECK-UP SI POTREBBE INIZIARE A
COGLIERE LE DIFFERENZE TRA UN LAVORATORE MOBBIZZATO
ED UN LAVORATORE PARTICOLARMENTE PREDISPOSTO ALLO
STRESS, TRA UN LAVORATORE SOFFERENTE DI DISTURBI MENTALI
ANTECEDENTI ALLA REALTA’ LAVORATIVA ED UN LAVORATORE
VESSATO, TRA UN LAVORATORE MOBBIZZATO ED UNO CHE
SOFFRE DI BURN-OUT, ETC. NON SOLO MA CON UN CHECK-UP
DI QUESTO TIPO SAREBBE PIU’ DIFFICILE INCORRERE IN FALSI
NEGATIVI(PERSONE MOBBIZZATE, CHE APPARENTEMENTE NON
SEMBRAVANO TALI) E FALSI POSITIVI(PERSONE PARANOICHE
CHE IN UN QUESTIONARIO SAREBBERO CONSIDERATE
MOBBIZZATE), IN QUANTO I COLLOQUI SAREBBERO
APPROFONDITI E ALLA FINE DEI COLLOQUI I VARI ESAMINATORI
AVREBBERO MODO DI SCAMBIARSI OPINIONI A RIGUARDO SUL
CASO SPECIFICO. UNA RICERCA DI QUESTO TIPO POTREBBE DIRE
QUALCOSA’ IN PIU’, A MIO AVVISO, RIGUARDO AL MOBBING.
Come fermare il mobbing:
COME FERMARE IL MOBBING:
CONFLITTO
QUOTIDIANO
INIZIATIVE SINDACALI
DI SENSIBILIZZAZIONE
AL PROBLEMA
INIZIO DEL
MOBBING
RESPONSABILE
ANTIMOBBING
SPORTELLO
ANTIMOBBING
ERRORI
ED ABUSI
DELL'AMMINISTRAZIONE
DEL PERSONALE
COMMISSIONE
SINDACALE
ANTIMOBBING
COUNSELLING
E GRUPPI
DI AUTOAIUTO
ESCLUSIONE
DAL
MONDO
DEL LAVORO
LEGISLAZIONE
ANTIMOBBING