1 sostenibilità sobrietà solidarietà Nuovi traguardi per la comunicazione COLLANA COMUNICAZIONE SOCIALE VOLUME 3 fondazione per la comunicazione sociale Edito da In partnership con Con il sostegno di fondazione per la comunicazione sociale © 2015 Fondazione Pubblicità Progresso www.pubblicitaprogresso.org A cura di Rossella Sobrero Introduzione Alberto Contri, Presidente Fondazione Pubblicità Progresso Contributi Lorenzo Bandera, Maurizio Corte, Guendalina Graffigna, Alessandro Lanteri, Luisa Leonini, Chiara Lodi Rizzini, Edda Cecilia Orlandi, Paola Costanza Papakristo, Mariaeugenia Parito, Carlo Petrini, Andrea Segrè, Rossella Sobrero Progetto grafico e impaginazione Serena Izzo ISBN 9788894030518 3 INDICE INTRODUZIONE5 La Fondazione Pubblicità Progresso 7 La collaborazione con l’università e il network Athena 10 Docenti del network Athena 11 PRIMA PARTE Spreco alimentare: il contributo degli esperti 12 Educazione e spreco alimentare di Andrea Segré 13 Lotta allo spreco, un obiettivo comune di Carlo Petrini 16 Povertà e spreco alimentare: quali risposte dal secondo welfare? di Chiara Lodi Rizzini e Lorenzo Bandera 19 SECONDA PARTE Strumenti, iniziative e campagne 22 Strumenti 23 Iniziative territoriali 25 Iniziative istituzionali 28 Campagne internazionali 32 TERZA PARTE Riflessioni dei docenti del network Athena 34 4 Cibo e mezzi di comunicazione di Maurizio Corte 35 Lo spreco alimentare: tra valore pubblico e valore privato di Guendalina Graffigna 37 Spreco alimentare: l’ottica della filiera corta di Alessandro Lanteri 39 L’altra parte del consumo di Edda Cecilia Orlandi e Luisa Leonini 43 Cibo e pubblicità in Italia di Paola Costanza Papakristo 45 La linea sottile tra consumare e sprecare di Mariaeugenia Parito 51 Prevenire è meglio che riciclare di Rossella Sobrero 53 CONCLUSIONI56 BIBLIOGRAFIA57 5 INTRODUZIONE di Alberto Contri Presidente Fondazione Pubblicità Progresso Una domanda che molti si pongono di questi tempi è come garantire cibo e acqua alla popolazione mondiale che aumenta a ritmi vertiginosi. Ma a questa domanda se ne aggiungono molte altre: per esempio, come fare per tutelare la biodiversità del pianeta, come salvaguardare la sicurezza alimentare… Argomenti fondamentali per il nostro futuro che sono al centro anche della prossima edizione dell’esposizione universale che si aprirà a Milano il prossimo 1° maggio. Come è noto, infatti, il titolo di EXPO 2015 è Nutrire il pianeta, energia per la vita. Anche per questi motivi abbiamo voluto dedicare la terza pubblicazione della nostra collana alla lotta allo spreco alimentare, un tema considerato a parole strategico ma che non vede ancora sufficiente impegno da parte dei diversi attori sociali. Eppure i dati sono inquietanti: secondo la FAO - Food and Agriculture Organization - nel mondo si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo all’anno, equivalenti a circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano. Un quantitativo che, se recuperato, sarebbe sufficiente a sfamare tre volte le persone denutrite (circa 900 milioni nel mondo). Anche a casa nostra il problema ha dimensioni significative: in Italia infatti lo spreco alimentare è pari allo 0,5% del PIL, un valore pari a circa 40 miliardi di euro. Lo spreco è presente in ogni passaggio della filiera: produzione agricola, industria agroalimentare, distribuzione all’ingrosso e al dettaglio, ristorazione, consumo domestico. Alcune ricerche ci dicono che nel nostro Paese ogni anno una famiglia butta via in media 49 chili di cibo, per disattenzione o negligenza nella gestione della spesa. La conseguenza di questo atteggiamento poco responsabile è che vengono inutilmente tolti alla vegetazione spontanea ettari di suolo, utilizzati metri cubi di acqua, prodotte tonnellate di anidride carbonica. 6 Problemi a cui si deve dare urgentemente risposta. Anche se negli ultimi anni alcune campagne hanno invitato a modificare stili di vita e di consumo, l’impegno su questo fronte non è ancora sufficiente. In questa pubblicazione presentiamo alcune riflessioni di esperti dell’argomento e segnaliamo alcuni interessanti strumenti, iniziative e campagne di soggetti pubblici e privati. Come nelle altre pubblicazioni della collana Comunicazione sociale abbiamo coinvolto i docenti del network Athena che hanno partecipato con un loro contributo. Siamo consapevoli delle dimensioni del problema ma anche convinti che una corretta comunicazione, attenta ai valori e realizzata in modo professionale, può avere un ruolo importante nella lotta allo spreco. Buona lettura! 7 La Fondazione Pubblicità Progresso Per molte persone Pubblicità Progresso è sinonimo di pubblicità sociale e viene identificata con le campagne che ha realizzato in oltre 40 anni di attività. Anche se oggi sviluppa progetti di comunicazione integrata e realizza, oltre a campagne sociali, molte altre attività, Pubblicità Progresso non ha voluto modificare il proprio nome perché rappresenta un riferimento importante nella cultura italiana. Attiva dal 1971, prima come Associazione e dal 2005 come Fondazione, Pubblicità Progresso ha promosso e promuove la comunicazione sociale di qualità dimostrando l’utilità di un intervento professionale in questo ambito. Con la sua attività contribuisce a valorizzare la comunicazione italiana e i suoi operatori. Da anni, inoltre, la Fondazione cura la Mediateca, una raccolta selezionata di migliaia di campagne sociali di tutto il mondo, un patrimonio a disposizione di tutti coloro che per ragioni professionali o di studio desiderano approfondire la conoscenza della comunicazione sociale. Pubblicità Progresso può contare sulla collaborazione di alcune tra le principali associazioni del mondo della comunicazione. Sono soci promotori: AAPI - Fondata nel 1949, è l’associazione di categoria delle principali società operanti nel settore della pubblicità esterna, realizzata mediante affissioni. ASSIRM - È l’associazione, nata nel 1991 a Milano, che riunisce i maggiori istituti italiani di ricerche di mercato, sondaggi di opinione e ricerca sociale. ASSOCOM - È l’associazione delle più importanti imprese di comunicazione nazionali e internazionali operanti in Italia. 8 FIEG - Vi aderiscono le aziende editrici di giornali quotidiani e periodici, le agenzie nazionali di stampa, l’Associazione Stampatori Italiana Giornali, la Federazione delle Concessionarie di Pubblicità e l’Associazione Distributori Nazionali. IAP - L’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria è stato fondato nel 1966 dai principali Enti e Associazioni di utenti, professionisti e mezzi pubblicitari per dare al sistema pubblicitario italiano un’organizzazione di autocontrollo, che assicuri che la pubblicità sia onesta, veritiera e corretta. PUBLITALIA ’80 - Concessionaria di pubblicità del gruppo Fininvest. È la concessionaria di pubblicità in esclusiva delle reti televisive del Gruppo Mediaset. RAI - È la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. Rappresenta da oltre 50 anni l’evoluzione della vita civile, sociale ed economica del Paese. UNICOM - L’Unione Nazionale Imprese di Comunicazione è l’associazione che raccoglie il maggior numero di imprese di comunicazione a capitale italiano. UPA - Utenti Pubblicità Associati è l’organismo associativo che riunisce le più importanti e prestigiose aziende industriali, commerciali e di servizi che investono in pubblicità. A questi si sono aggiunti più recentemente i seguenti nuovi soci promotori. Discovery Italia - In Italia, Discovery è presente dal 1997. Oggi è il terzo editore televisivo italiano per share complessiva (6%) con un portfolio di 13 canali distribuiti su diverse piattaforme: digitale terrestre free (Real Time, DMAX, Giallo, Focus, e i canali per bambini K2 e Frisbee); SKY (Discovery Channel/+1 e in HD, Discovery Science, Discovery Travel&Living, Animal Planet, Real Time/+1 e in HD, DMAX/+1, Giallo, Focus, K2, Frisbee, Eurosport ed Eurosport 2), Mediaset Premium (Discovery World, Eurosport ed Eurosport 2) e TivùSat (Real Time, DMAX). Grazie al coraggio di osare, al desiderio di ricercare e produrre contenuti innovativi, Discovery Italia sta attivamente contribuendo allo sviluppo di una nuova cultura televisiva nel nostro Paese, scardinando gli stereotipi e creando un ecosistema unico e sinergico con canali che sono veri e propri love brand per gli spettatori e un benchmark di eccellenza e innovazione nel mercato dei media. Facebook - Fondata nel febbraio 2004 da Mark Zuckerberg, la mission di Facebook è di rendere il mondo più aperto e connesso, offrendo alle persone il potere di condividere informazioni e contenuti in un ambiente sicuro e protetto. 9 A dieci anni dalla sua nascita, Facebook è una delle piattaforme più diffuse a livello globale: oltre 1,32 miliardi di persone si collegano a Facebook ogni mese – di queste 1,07 miliardi accedono da mobile. Facebook è presente in Italia da ottobre 2009 con 25 milioni di persone attive mensilmente sulla piattaforma, di cui 20 milioni attraverso dispositivi mobili e 15 milioni che ritornano ogni giorno sull’applicazione da smartphone e tablet. GOOGLE Italia - Leader tecnologico a livello mondiale, impegnato a migliorare le modalità di connessione tra persone e informazioni. L’innovazione di Google nella ricerca e nella pubblicità sul web hanno reso il suo sito una delle principali Internet property e il suo brand uno dei marchi più riconosciuti al mondo. San Marino RTV - È la concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo della Repubblica di San Marino, costituita nell’agosto del 1991 con un capitale sociale sottoscritto al 50% da ERAS (Ente per la radiodiffusione sammarinese) e Rai. SKY Italia - Sky Italia è la pay tv italiana controllata al 100% da News Corporation. Nata nel 2003, offre attualmente più di 190 canali tematici con una ricca offerta di cinema, sport, news, intrattenimento e programmi per bambini. L’Advisory Board Dal 2011 la Fondazione Pubblicità Progresso ha un Advisory Board: alcune personalità di settori diversi sono state invitate a partecipare alla riflessione sul futuro della coesione sociale e sul ruolo della comunicazione per migliorare la qualità della vita delle persone e della comunità. Hanno aderito alla proposta numerose personalità del mondo della cultura, della formazione, dell’arte, delle istituzioni e del giornalismo: Aldo Bonomi, Mario Boselli, Ferruccio De Bortoli, Michele De Lucchi, Domenico De Masi, Giuseppe De Rita, Ezio Mauro, Cesare Mirabelli, Davide Rondoni, Andrea Segrè, Marco Tarquinio, Salvatore Veca, Stefano Zamagni. 10 La collaborazione con l’università e il network Athena L’impegno di Pubblicità Progresso per lo sviluppo della cultura della comunicazione sociale richiede un’attività continuativa rivolta in particolare ai giovani. Per questo, da anni Pubblicità Progresso collabora con il mondo universitario e mantiene un canale aperto con docenti e studenti finalizzato alla collaborazione e allo scambio. Negli anni ha dato vita a On The Move, un insieme di iniziative per i giovani, e al network Athena. On The Move è un contest destinato agli studenti che affronta ogni anno un tema differente ma è anche un road show che prevede una serie di incontri in atenei di diverse città. Grazie a queste iniziative Pubblicità Progresso si confronta con studenti e docenti, approfondisce temi, strumenti, tecniche, linguaggi della comunicazione sociale, raccoglie idee per progetti futuri. Dal 2007 ad oggi Pubblicità Progresso è stata presente in decine di atenei e ha incontrato migliaia di giovani. Athena è un network nato nel 2011 che oggi vede la collaborazione di oltre 70 docenti che insegnano in tante università italiane. I membri del network contribuiscono con idee, suggerimenti e stimoli alla crescita di una comunicazione sempre più consapevole e responsabile. Inoltre partecipano a incontri in cui vengono discusse le attività da realizzare e approfonditi argomenti legati al futuro della formazione e della comunicazione sociale. 11 Docenti del network Athena Ruben Abbattista, IED Torino - Giovanna Abbiati, Pontificia Università Regina Apostulorum Tindara Addabbo, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia - Gianna Angelini, Università degli Studi di Macerata - Paolo Anselmi, Università Cattolica di Milano - Alessandro Antonietti, Università Cattolica di Milano - Stefania Antonioni, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo Sabrina Benenati, Università degli Studi di Siena - Roberto Bernocchi, NABA, Università IULM Milano - Carla Bertolo, Università degli Studi di Padova - Marco Binotto, Università La Sapienza di Roma - Nicoletta Bosco, Università degli Studi di Torino - Andrea Calamusa, Università degli Studi di Pisa - Saveria Capecchi, Università Alma Mater Studiorum di Bologna - Anna Laura Carducci, Università degli Studi di Pisa - Patrizia Catellani, Università Cattolica di Milano - Tiziana Cavallo, Università degli Studi di Verona - Marco Centorrino, Università degli Studi di Messina -Christian Chizzoli, Università Bocconi - Stefano Cianciotta, Università degli Studi di Teramo - Emilio Conti, Università IULM, Milano - Alberto Contri, Università IULM, Milano Christian Corsi, Università degli Studi di Teramo - Maurizio Corte, Università degli Studi di Verona - Stefano Del Frate, Politecnico di Milano - Maddalena della Volpe, Università S.O. Benincasa, Napoli - Marco Deriu, Università Cattolica di Milano - Piero Dominici, Università degli Studi di Perugia - Gea Ducci, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo - Franca Faccioli, Università La Sapienza di Roma - Damiano Felini, Università degli Studi di Parma - Francesca Forno, Università degli Studi di Bergamo - Giovanna Gadotti, Università degli Studi di Trento - Andrea Gaggioli, Università Cattolica di Milano - Marisa Galbiati, Politecnico di Milano - Guendalina Graffigna, Università Cattolica di Milano - Marco Gui, Università degli Studi Milano Bicocca Renata Kodilja, Università degli Studi di Udine, sede di Gorizia - Mariapaola La Caria, Università degli Studi di Padova - Pina Lalli, Università Alma Mater Studiorum di Bologna - Alessandro Lanteri, Università degli Studi di Trento - Guido Legnante, Università degli Studi di Pavia - Luisa Leonini, Università degli Studi di Milano - Marco Livi, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo - Mario Magagnino, Università degli Studi di Verona - Valerio Melandri, Università di Bologna, sede di Forlì - Vittorio Montieri, Università degli Studi di Padova - Pierluigi Musarò, Università Alma Mater Studiorum di Bologna - Lucia Musselli, Università degli Studi di Milano - Nando Pagnoncelli, Università Cattolica di Milano - Francesca Giorgia Paleari, Università degli Studi di Bergamo - Paola Panarese, Università La Sapienza di Roma - Paolo Paoletti, Università degli Studi di Macerata - Paola Papakristo, Università degli Studi di Macerata - Alessandro Papini, Università IULM di Milano - Mariaeugenia Parito, Università degli Studi di Messina - Paola Parmiggiani, Università Alma Mater Studiorum di Bologna - Simonetta Pattuglia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata - Carlo Pennisi, Università degli Studi di Catania - Francesco Pira, Università degli Studi di Messina - Barbara Pojaghi, Università degli Studi di Macerata Francesca Romana Puggelli, Università Cattolica di Milano - Massimo Ragnedda, Newcastle University (UK) - Roberto Randazzo, Università Bocconi di Milano - Paolo Ricci, Università degli Studi del Sannio - Stefano Rolando, Università IULM, Milano - Laura Rolle, Università degli Studi di Torino - Vincenzo Russo, Università IULM, Milano - Rossella Sobrero, Università degli Studi di Milano - Amanda Jane Succi, Università degli Studi di Catania - Sergio Tonfi, Università Carlo Cattaneo LIUC, Castellanza - Stefano Traini, Università degli Studi di Teramo - Giampietro Vecchiato, Università degli Studi di Padova - Francesca Zajczyk, Università degli Studi Milano Bicocca - Roberto Zaccaria, Università degli Studi di Firenze - Stefano Zamagni, Università Alma Mater Studiorum di Bologna PRIMA PARTE Spreco alimentare: il contributo degli esperti 13 Educazione e spreco alimentare di Andrea Segrè Fondatore Last Minute Market I dati mondiali su fame e obesità da una parte, perdite e sprechi alimentari dall’altra sono inquietanti. Quasi un miliardo di sottonutriti, oltre un miliardo di ipernutriti, un miliardo e trecento milioni di tonnellate alimentari perdute lungo le filiere che potrebbero sfamare due miliardi di esseri umani secondo le stime della FAO. Non solo in termini assoluti, ma anche se misurati in termini di impatti: spesa sanitaria, lavoro, varie impronte o tracce sull’ambiente (ecologica, carbonica, idrica). Solo per citare un dato, lo spreco di alimenti è il terzo produttore mondiale di anidride carbonica. È come se il valore del cibo si fosse ribaltato, non solo lungo la catena agroalimentare. Non è più positivo, ma negativo. Del resto il valore del cibo sprecato a livello mondiale vale quanto il prodotto interno lordo della (ricca) Svizzera: 750 miliardi di dollari. Allora potremmo anche chiederci se ha un senso aumentare la produzione di cibo per una popolazione mondiale in forte crescita demografica (più 60/70% di produzione per sfamare i 9 miliardi di stomaci previsti per il 2050) se poi una parte rilevante della produzione stessa – un terzo sempre secondo le stime FAO – non raggiunge mai le tavole? Siamo ciò che mangiamo, lo ripetiamo pedissequamente dai tempi di Feuerbach (pare), ma sappiamo cosa mangiamo, cosa gettiamo via di ancora buono e soprattutto perché? È vero, inutile negarlo. Noi consumatori, etimologicamente dei distruttori, non sappiamo più bene cosa mangiamo, e a monte cosa comperiamo, e perché (a valle) buttiamo via tanto cibo ancora buono, sprechiamo. Per questo ho proposto altrove con riferimento a questo atto che include la distruzione di tutti i beni, non solo quelli alimentari, una parola assai più appropriata. Il consumatore deve essere, considerarsi, chiamarsi ed essere chiamato “fruitore”. Fruire un bene è ben diverso dal consumarlo, portandolo a termine (altro significato di consumare). Fruire vuol dire godere, soprattutto nel senso di avere, giovarsi di qualcosa o averne la disponibilità. Perfetto per il cibo – peraltro si accosta 14 al latino fructus, frutto – perché la fruizione si lega alla disponibilità e anche, in definitiva, a un diritto: fruire vuol dire infatti trarre giovamento da qualcosa avendone diritto. Il diritto al cibo, come ho cercato di spiegare altrove, “buono e giusto”, deve essere non solo riconosciuto – come è di fatto nella Carta dei diritti umani – ma anche garantito. Tuttavia il passaggio dal consumare al fruire implica un “salto” culturale importante, che non può prescindere dall’educazione, un’educazione con almeno tre aggettivazioni: alimentare e ambientale e civica. Mi fermerò, qui, ad accennare alla prima. Dobbiamo educare, dal latino ex-ducere “tirare fuori”, invece di “mettere dentro” la pancia cibi cattivi o “inculcare” nutrienti dannosi. Dobbiamo appunto tirare fuori il meglio del cibo, il suo valore. Ecco perché lo spreco rappresenta una prospettiva importante: se sprechi il cibo vuol dire che non gli dai valore. Del resto, gli alimenti devono soddisfare un bisogno fondamentale dell’uomo, non un desiderio. Alimentarsi bene, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo – è la classica distinzione anglosassone fra food security e food safety – è un diritto. Compito dell’educazione alimentare è di “tirare fuori” questo diritto che è anche un dovere e un valore, per evitare che venga invece sommerso da un’onda di disvalori o controvalori imposti dall’esterno, dalla pubblicità, dal marketing, dalle influenze sociali, dalle mode. E poi, ovviamente, dalla povertà economica e da quella alimentare. Sono i più poveri ad essere i più grassi, perché malnutriti. Sembra un paradosso ma è così. La malnutrizione non è soltanto sotto o denutrizione. È mangiare male, anche troppo. Allora la domanda che ci possiamo porre è: mangiamo per vivere o viviamo per mangiare? Un bel dilemma rispondere a questa domanda. Così come basta cambiare una vocale fra sei (essere) e sai (sapere) che il famoso detto attribuito al filosofo Ludwig Feuerbach, “sei ciò che mangi”, si trasforma nell’interrogativo “sai cosa mangi”? E, per estensione, sai cosa sprechi? A queste e ad altre domande risponde appunto l’educazione alimentare. Dobbiamo (ri)scoprire e (ri)valorizzare la nostra cultura alimentare, la consapevolezza del rapporto cibo-salute, cibo-ambiente, cibo-relazione. Adottare comportamenti alimentari sani, lavorare sulla qualità degli alimenti, far conoscere il funzionamento del sistema agroalimentare, promuovere forme di prevenzione contro lo spreco di cibo. Sono, questi, soltanto alcuni disordinati paragrafi di un più vasto libro di educazione alimentare (poi ambientale e civica). Non basta dire: “mangiate più frutta e verdura”, occorre rendere partecipi e responsabili gli individui, tutti quanti, della ricchezza del cibo e del suo valore multiplo. Anche perché il rapporto con il cibo (non patologico) e l’alimentazione sono comportamenti che hanno una funzione identitaria. Le pratiche alimentari manifestano infatti l’adesione individuale ad un preciso stile di vita, e quindi più 15 che mai oggi, occorre lavorare sul tema dell’educazione al cibo per prevenire usi e abusi di junk food, snack, diete ipercaloriche e così via. L’informazione è la premessa dell’educazione e un insieme di conoscenze corrette può sicuramente chiarire perché certe diete o stili alimentari sono nocivi. Ma come si può procedere? Conoscendo per esempio il ruolo che le influenze esterne hanno, soprattutto sui bambini e gli adolescenti, nella costruzione di repertori alimentari individuali, ovvero quell’insieme di preferenze, avversioni, atteggiamenti e credenze verso il cibo, qualità e stili di consumo alimentare. L’influenza dei genitori sui figli è una di quelle maggiormente studiate dalla psicologia sociale. Essi assumono il ruolo di “guardiani” dei canali di accesso al cibo (per esempio l’acquisto), secondo il cosiddetto “effetto stampino”. Si tratta di un controllo diretto sulla disponibilità e accessibilità di cibi in casa e questo effetto, secondo le ricerche, influenza significativamente in positivo il consumo di frutta e verdura da parte di pre-adolescenti. D’altra parte, la funzione di gatekeeper dei genitori può risultare essenziale per evitare di tenere in casa cibo spazzatura e snack poco sani. È proprio vero che l’educazione alimentare comincia in famiglia. Questo è solo un esempio per capire come il tema dell’alimentazione e della promozione di stili di vita sani sia fondamentale. Inoltre, tutto ciò può avere, anzi ha, delle ricadute applicative importanti in termini di progettazione di percorsi educativi alla salute e di prevenzione: attraverso i sensi, per valorizzare le caratteristiche sensoriali dei cibi, e le conoscenze, per diffondere i principi fondamentali della nutrizione, del cibo, delle etichette... Allora educhiamo e impariamo, sin da piccoli e attraverso i più piccoli, a gustare e nutrirci in maniera semplice: in un’ottica applicativa e di prevenzione, ne vale comunque la pena. Non sprecare è dunque un’azione preliminare, la prima: primo, non sprecare. Le altre devono seguire diventando, per analogia, dei veri e propri “comandamenti”. Andrea Segrè dirige il Dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna dove insegna politica agraria internazionale e comparata. È fondatore dello spin off accademico Last Minute Market e presidente del Centro AgroAlimentare di Bologna dove ha ideato il parco tematico agroalimentare (Fabbrica Italiana Contadina). Nel luglio 2014 è stato nominato dal Ministro dell’Ambiente presidente del Comitato tecnico-scientifico del programma nazionale di prevenzione rifiuti e spreco alimentare. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Economia a colori per Einaudi (2012), Vivere a spreco zero per Marsilio (2013), Spreco per Rosenberg & Sellier (2014), Primo non sprecare per Corsivi del Corriere della Sera (2014), L’oro nel piatto con Simone Arminio per Einaudi (2015). www.andreasegre.it 16 Lotta allo spreco, un obiettivo comune di Carlo Petrini Presidente Slow Food Esiste un’assuefazione alle dichiarazioni epocali? Temo di sì, e credo che si accompagni ad una assuefazione ai grandi numeri. Un passo indietro: chi ha il compito di informare e sensibilizzare il cittadino a proposito dei grandi problemi planetari, come lo spreco alimentare? Qui c’è una prima questione: perché quello che io in questo momento chiamo Cittadino, solitamente viene chiamato Consumatore, ed è il destinatario di un tipo di comunicazione, molto più frequente e parimenti autorevole, che presenta lo stesso livello di legalità e lo stesso grado di cittadinanza di quella che chiamiamo “pubblicità sociale”. Ancora un passo indietro: spesso vengono identificati i messaggi di carattere sociale o etico con il nome di Pubblicità Progresso, ci siamo chiesti come mai? Appare un logo, in coda ad uno spot, una P bianca su fondo azzurro e ci spieghiamo la ragione di quel messaggio che non aveva cercato di venderci nulla. Ci aveva esortato alle buone maniere, o a considerare il pagamento delle tasse come un dovere civile, ma non ci aveva spinto all’acquisto di nessun oggetto. Ah, ecco, è una campagna sociale, adesso è tutto chiaro, passiamo al prossimo spot. Non sarà che, tra chi fa o tra chi guarda la pubblicità sociale, si trova ben radicata – sebbene non esplicitata – l’idea che invece quell’altra, la pubblicità tout-court, non ha molto a che fare con il “progresso”? L’inciviltà del vendere e comprare – sempre e comunque – fa parte delle nostre vite quotidiane e non ce l’abbiamo nemmeno più la soglia per percepirla. Se le campagne sociali di Pubblicità Progresso (ma non solo) sono passate senza inciampare in querele da parte di chi fa pubblicità e basta, è perché c’è un substrato culturale comune nel quale si dà per assodato che dall’altra parte progresso non ce n’è. E questo è bene, perché possiamo provare ad esplicitare questo 17 sentimento, e a metterlo a frutto. Dello spreco alimentare non si è parlato per molto tempo. Un po’ perché non c’erano dati a illustrare le tonnellate di cibo edibile perso dalla produzione alle case (estremi inclusi), un po’ perché c’è voluto tempo – e l’aiuto della globalizzazione, che serve anche a capire fenomeni non solo a spostare merci e persone – prima che ci rendessimo conto che quelle che, con un sentito quanto generico scandalo, ci parevano “assurdità” erano invece elementi legati da un nesso di causa ed effetto. I bambini obesi e quelli che morivano di fame. L’abbondanza di risorse naturali in paesi immersi nella miseria. L’infelicità di fondo delle società ricche. L’impiego di denaro pubblico e privato per malattie causate dal benessere. La mancanza di denaro pubblico e privato per portare benessere dove non ce n’è. Il cambiamento climatico causato dai ricchi che crea vittime prevalentemente tra i poveri. E si potrebbe continuare. Oggi però se ne parla molto e il rischio, ritorno da dove sono partito, è che diventi un rumore di sottofondo per le nostre coscienze, che ci si abitui, in qualche modo, a quell’idea insopportabile. Come ci siamo, in qualche modo abituati, all’idea delle persone che muoiono per fame o che vivono avendo costantemente fame, come ci siamo abituati all’idea che si muoia – qui, a casa nostra, tra i nostri amici – per ragioni connesse con la qualità dell’aria che respiriamo o del costosissimo (in termini diretti e indiretti) cibo che mangiamo. Allora, torniamo alle nostre domande: a chi tocca comunicare sul tema degli sprechi? Sarà sensato, ed efficace, e saggio, e opportuno, e “degno di una civiltà moderna” mantenere divisi i campi di chi comunica per il progresso e di chi – “invece”? – comunica per vendere? Tra chi costantemente ci esorta all’acquisto di cibo e bevande che il nostro organismo – così come il nostro pianeta – non è programmato per smaltire e chi ci esorta a riflettere sul fatto che un terzo di quel che viene prodotto non tocca mai il piatto di nessuno e finisce – prima o poi – ancora “buono da mangiare”, in una discarica? Non dovrebbero, tutti coloro che ritengono di produrre cibo, assicurarsi che il loro prodotto non vada sprecato e a sua volta non sprechi risorse, energia, denaro, tempo, futuro, salute pubblica e pubblica bellezza? Non dovremmo, noi cittadini, considerare inammissibile che da tutto quello spreco di beni comuni, da tutto quel danno, qualcuno tragga profitto? Non dovremmo finalmente mettere a fuoco la nostra sotterranea convinzione che quella sia esattamente la negazione dell’idea di progresso? Il progresso dell’umanità non può essere compito solo di qualcuno; la lotta allo 18 spreco deve essere un obiettivo comune, e devono farsene carico, per primi, quelli che dallo spreco alimentare, da decenni, traggono profitto. Ben vengano le campagne sociali, dunque, ma mobilitiamoci innanzitutto per individuare, nella cosiddetta comunicazione commerciale, gli affascinanti e ripetuti inviti a sprecare, quanto più possibile, in nome di un malinteso benessere che, lo sappiamo perfettamente, è il contrario dell’idea di progresso. Carlo Petrini, nato nel 1949, è Presidente di Slow Food, associazione internazionale originatasi nel 1989 dalla preesistente Arcigola. Dalle sue idee sono nate la prima Università di Scienze Gastronomiche e la rete di Terra Madre. Nel 2004 la rivista “Time Magazine” gli attribuisce il titolo di “Eroe Europeo”, mentre nel gennaio 2008 compare, unico italiano, tra le “50 persone che potrebbero salvare il mondo” nell’elenco redatto dal quotidiano “The Guardian”. Nel settembre 2013 viene insignito del Premio “Campioni della Terra”, per la categoria “Creatività e Intraprendenza”, la più alta onorificenza al merito ambientale delle Nazioni Unite. Editorialista di “La Repubblica” e collaboratore de “L’Espresso”, ha pubblicato l’Atlante delle vigne di Langa (Slow Food Editore 1990), Le ragioni del gusto (Laterza 2001), Buono, Pulito e Giusto, Principi di nuova gastronomia (Einaudi 2005), Terra Madre, Come non farci mangiare dal cibo (Giunti 2009), Gente di Piemonte (Espresso 2010) e Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione (2013). www.slowfood.it 19 Povertà e spreco alimentare: quali risposte dal secondo welfare1? di Chiara Lodi Rizzini e Lorenzo Bandera Ricercatori progetto Percorsi di secondo welfare Nonostante se ne parli poco, la povertà alimentare rappresenta attualmente uno dei problemi più gravi per il nostro Paese. Le ultime rilevazioni dell’Istat indicano come circa 6 milioni di persone in Italia si trovino oggi nello stato di povertà assoluta, incapaci cioè di acquistare beni e servizi necessari al mantenimento di uno standard di vita considerato minimamente accettabile. Tale situazione sta mettendo duramente alla prova le organizzazioni che operano a sostegno dei più deboli, chiamate a rispondere a richieste di aiuto sempre più pressanti. Il numero di coloro che si sono dovuti rivolgere a enti caritativi per far fronte alle proprie esigenze alimentari, ad esempio, tra il 2010 e il 2012 è aumentato del 33.4% arrivando a toccare quota 3.686.942 persone (Agea 2013). Al contempo, il volume di cibo sprecato resta paradossalmente molto alto: secondo il Rapporto 2014 Waste Watcher - Knowledge for Expo, ogni anno più di 8 miliardi di euro di cibo vengono gettati nella spazzatura. Di fronte a questo problema, e in vista di Expo 2015, il laboratorio Percorsi di secondo welfare ha scelto di lanciare un focus speciale dedicato al tema della povertà alimentare e agli strumenti atti a contrastarla 2. Quali risultati emergono? L’aumento e la diversificazione di rischi e bisogni legati alla povertà alimentare sta determinando significativi cambiamenti nelle modalità di risposta da parte delle organizzazioni impegnate su questo fronte. In particolare, si registra la nascita di esperienze di secondo welfare – sottoforma di supermercati solidali, o empori sociali – che si vanno affiancando a quelle più tradizionali. Si tratta di progetti che introducono una serie di novità relativamente alle forme di aiuto (passaggio dal pacco spesa/mensa all’acquisto diretto dei prodotti da parte del beneficiario attraverso un sistema a punti; offerta di servizi socio-sanitari, 1 Il “secondo welfare” raggruppa tutte quelle forme di welfare privato, delle associazioni etc. che non si sostituisce a quello pubblico ma ne integra i servizi. 2 Disponibile al link http://secondowelfare.it/poverta-alimentare/focus-poverta-alimentare.html 20 sportello lavoro etc.) e che vedono una collaborazione virtuosa tra pubblico, privato e terzo settore. Per quanto riguarda la gestione dei progetti resta infatti centrale il ruolo delle organizzazioni di volontariato, mentre gli enti locali sempre più spesso collaborano in maniera più o meno diretta co-partecipando alla gestione o mettendo a disposizione locali o risorse. Molti privati, appartenenti principalmente al settore della distribuzione alimentare e della ristorazione, dal canto loro provvedono all’approvvigionamento dei prodotti donando ciò che non è più commerciabile per difetti di confezionamento, eccedenze o scadenza immediata. In questo modo tali prodotti non vengono buttati, ma convertiti in una risorsa per chi ha più bisogno. I cibi invenduti, insieme all’eccesso di acquisti, costituiscono la principale fonte di spreco in Italia. Per questo motivo si stanno sviluppando sperimentazioni atte a favorire il recupero dei prodotti invenduti che coinvolgano non soltanto le grandi aziende ma anche i piccoli esercenti. Molti imprenditori del commercio alimentare e della ristorazione si dichiarano infatti disponibili a offrire la merce non venduta o non consumata, ma si scontrano con difficoltà logistiche e burocratiche. Sia ben chiaro, non parliamo di scarti ma di eccedenze, ovvero cibi freschi o cucinati non serviti che conservano ancora tutta la loro qualità da un punto di vista igienico e nutrizionale, e che pertanto possono essere ancora consumati. Il contrasto allo spreco e alla povertà alimentare si sta inoltre allargando a una fetta crescente di privati cittadini, in primo luogo attraverso la ricerca di nuove modalità di approvvigionamento. Pensiamo all’espansione dell’agricoltura urbana, fenomeno che sta trasformando una pratica individuale in una strategia di urban policy destinata a co-determinare – insieme alle politiche relative ai trasporti e all’ambiente – la sostenibilità delle città future. O al boom dei GAS, gruppi di persone che decidono di unirsi per acquistare prodotti alimentari individualmente troppo costosi e per ricercare un consumo sostenibile non soltanto economicamente ma anche dal punto di vista sociale e ambientale. All’adozione di comportamenti e iniziative che come detto limitino gli sprechi, o meglio, li trasformino in risorse, un aiuto importante può arrivare dall’uso delle nuove tecnologie, come dimostra il recente sviluppo di app e piattaforme online finalizzate a contrastare lo spreco alimentare da parte di cittadini e di esercizi commerciali. Tentativi ancora in fase di rodaggio che difficilmente da soli potranno risolvere 21 la questione della povertà, ma che possono però facilitarne il contrasto, in particolare offrendo l’opportunità di generare (o rigenerare) rapporti e relazioni che favoriscano sia la condivisione del cibo tra vicini, sia la connessione con realtà che sostengono i più poveri, in un periodo storico in cui le relazioni, soprattutto se di vicinanza, sono sempre più deboli. Chiara Lodi Rizzini, laureata in Amministrazione e Politiche Pubbliche presso l’Università degli Studi di Milano, entra a far parte del Laboratorio di Percorsi di secondo welfare nel dicembre 2012. Dopo essersi occupata principalmente di innovazione del welfare locale e social housing (di cui ha curato i rispettivi capitoli del “Primo Rapporto sul secondo welfare in Italia”), ha esteso la propria area di ricerca ai temi dell’equilibrio e dell’inclusione sociale, con particolare attenzione alle politiche giovanili e alle politiche di contrasto alla povertà alimentare. Lorenzo Bandera, laureato in Scienze Politiche e di Governo delle Autonomie Locali presso l’Università degli Studi di Milano, da marzo 2012 collabora con il Laboratorio Percorsi di secondo welfare, per cui cura la comunicazione e svolge diverse attività di ricerca. Si occupa in particolare di terzo settore (con focus sul mondo delle Fondazioni), finanza sociale e welfare territoriale. Recentemente ha iniziato a occuparsi dei temi legati alla povertà alimentare. SECONDA PARTE Strumenti, iniziative e campagne Verdura, avanzi di cibi cotti, frutta e pane sono gli alimenti che più spesso finiscono nella spazzatura. Ridurre gli sprechi è la grande sfida a cui tutti sono inviatati a contribuire. Tante sono le iniziative per evitare lo spreco di cibo messe in atto dai diversi attori sociali anche se c’è ancora molto da fare. I cittadini sono chiamati a cambiare abitudini alimentari: non bastano buona volontà e progetti originali, ma sono necessarie anche tecnologia, innovazione e condivisione. In questa sezione vengono presentati alcuni strumenti (app, piattaforme web, video) progettati per facilitare la riduzione degli sprechi; alcune iniziative territoriali messe in atto da associazioni che si occupano di raccolta e ridistribuzione di cibo; alcune iniziative istituzionali realizzate da organizzazioni ed enti pubblici per sensibilizzare imprese e cittadini sull’importanza del tema. Infine vengono presentate alcune campagne internazionali per sensibilizzare i cittadini. 23 Strumenti Breading Breading è una app realizzata da una startup a vocazione sociale (Breading), nata dalla volontà di un gruppo di giovani under 30, mossi dal desiderio di contribuire al miglioramento del terzo settore in Italia. L’applicazione, distribuita gratuitamente, permette una maggiore e più semplice interazione tra panifici, bar, GDO e associazioni non profit. Il sistema si propone da un lato di ridurre l’avanzo alimentare di fine giornata, dall’altro di ridestinare tale avanzo alle associazioni del terzo settore che possono così distribuirlo ai loro beneficiati. L’app, attraverso un semplice sistema basato sui concetti di geolocalizzazione e prossimità, permette all’esercente di segnalare la quantità di avanzo a fine giornata. L’input viene quindi trasferito alla piattaforma che si occupa di smistare le segnalazioni ricevute inoltrandole per mezzo di alerts alle associazioni più vicine. Give your calories Anche in questo caso si tratta di una app per smartphone. È stata sviluppata dall’associazione internazionale Action Against Hunger e funziona in modo molto intuitivo: l’utente fotografa il cibo che sta mangiando, l’app lo identifica (e se non riesce a farlo, ciascun utente può provvedere ad aggiungere il nome dell’alimento) e lo converte in denaro che viene devoluto in beneficenza a organizzazioni umanitarie impegnate nella lotta contro la fame. Last minute sottocasa I negozianti, attraverso il sistema, possono mettere in vendita a prezzi convenienti la merce fresca che rischia di avanzare. Le persone iscritte possono approfittarne con vantaggi per le loro tasche e per il pianeta. Il meccanismo è semplice. Gli iscritti 24 indicano a quale distanza da casa loro (o dall’ufficio o dalla casa di vacanza) deve essere collocato il negozio e da quali tipologie di negozio (panetteria, gastronomia, pescheria, macelleria etc.) vogliono ricevere le proposte d’acquisto. Quando il negoziante mette in vendita la merce, gli utenti ricevono in tempo reale l’offerta per le categorie indicate e possono recarsi nei negozi più vicini per fare la spesa. I food share Si tratta di una piattaforma web inventata da quattro giovani siciliani di Caltagirone. Gli utenti registrati (privati, rivenditori e/o produttori) possono offrire liberamente e gratuitamente prodotti alimentari in eccedenza. Il sistema permette a donatori e beneficiari di mettersi in contatto tramite un sistema di messaggistica per concordare le modalità di consegna o ritiro. S-Cambiacibo Anche in questo caso si tratta di un sistema che consente agli iscritti di condividere ciò che altrimenti sarebbe buttato. L’utente fotografa il prodotto indicando la data di scadenza. Una mappa geolocalizza il prodotto e, via mail, mette in contatto chi offre con chi cerca. L’idea è nata da sette ragazzi di Bologna, tutti sotto i trent’anni, che aiutano così la realizzazione di un “frigorifero comune” per imparare a condividere, oltre alle biciclette o le automobili, anche il cibo. Don’t play with food La campagna, sviluppata nel 2014, si articola in cinque spot realizzati da studenti del terzo anno della Civica Scuola di Cinema di Milano. Alcuni di questi hanno visto la partecipazione di un ospite d’eccezione: Giobbe Covatta. Tre spot, che chiudono con alcuni dati sullo spreco alimentare in Italia e l’intervento dell’attore, sono fondati sul concetto: Le cose importanti non le sprecheresti mai. E allora perché sprechi il cibo? Per esempio, nel primo spot una ragazza si sta struccando, toglie gli orecchini e li butta distrattamente nel water, oppure nel secondo un ragazzo raccoglie la tovaglia su cui sono appoggiate delle banconote e la scuote dalla finestra. In un altro spot viene presentata una tavola imbandita ma racchiusa in una teca di vetro che la isola dal deserto: non tutti si possono sedere a quella tavola, perché molto cibo viene sprecato. 25 Iniziative territoriali Refood Il progetto nasce a Lisbona nel 2011, per iniziativa di un sessantenne rimasto improvvisamente senza lavoro. Il progetto ha come obiettivo quello di traghettare le quantità di cibo in eccesso da abitazioni, ristoranti, supermercati, verso soggetti non in grado di provvedere al proprio sostentamento. Hunter Halder, questo il nome dell’ideatore, ha iniziato a farlo di persona, raccogliendo porta a porta i prodotti alimentari e consegnandoli a domicilio con l’aiuto di una bicicletta: oggi il progetto sfama circa 300 persone al giorno e coinvolge una rete di altrettanti volontari, che raccoglie il cibo in eccesso da ristoranti, bar e panifici di quartiere. Pasto Buono Simile alla precedente è l’iniziativa italiana Pasto Buono, ossia un pasto garantito per chi non ha la possibilità di averlo ogni giorno. Nata a Genova nel 2007, è una risposta concreta agli sprechi alimentari promossa da Qui Foundation. Il progetto ha avuto grande successo: solo nel 2012 Pasto Buono ha consentito di donare circa 50.000 pasti e proprio grazie a questo risultato si sta diffondendo in tutta Italia. Pasto Buono ha una sua rete di punti di ristorazione aderenti e contrassegnati da una vetrofania che è anche un invito: “In questo esercizio doniamo ogni sera il cibo invenduto alle persone bisognose. È la cosa buona da fare”. Banco alimentare È una delle associazioni più conosciute in Italia, nata nel 1989 e che coinvolge circa 1.400 volontari. Il Banco recupera i prodotti alimentari attraverso quattro principali fonti di approvvigionamento 26 che donano le proprie eccedenze: l’Unione Europea, l’industria alimentare, la Grande Distribuzione Organizzata, la ristorazione collettiva. Nel 2013 sono state recuperate 62.826 tonnellate di alimenti, oltre a 790.912 piatti pronti. Tra le molte attività promosse dal Banco, SITICIBO ha lo scopo di recuperare il cibo cotto e fresco in eccedenza nella ristorazione organizzata (hotel, mense aziendali e ospedaliere, refettori scolastici, esercizi al dettaglio etc.) e le eccedenze alimentari dai punti vendita della Grande Distribuzione Organizzata. Ogni anno viene organizzata “La giornata della colletta alimentare”, a cui partecipano migliaia di persone con donazioni di cibo. Anche in questo caso i risultati sono importanti: nel 2014 sono state donate 9.201 tonnellate di alimenti. Buon Fine È un progetto di Coop Lombardia che parte dalla considerazione che tutti i giorni la grande distribuzione genera volumi ingenti di prodotti alimentari che vengono ritirati dagli scaffali ancora perfettamente integri e commestibili ma che, per scadenza ravvicinata o confezione esterna ammaccata, non possono essere messi in vendita. Il progetto dona questi prodotti ad associazioni non profit che operano in prossimità dei vari punti vendita e che, a loro volta, li utilizzano per realizzare pasti quotidiani per i loro assistiti. In questo modo si realizza una “filiera virtuosa” a km zero contro lo spreco alimentare, sostenendo direttamente le realtà associative, le cooperative sociali, le parrocchie e gli enti caritatevoli presenti nel territorio. Buon Fine significa quindi solidarietà e riduzione dello spreco di cibo, e contemporaneamente attenzione all’ambiente perché si riducono i rifiuti da smaltire. Un anno contro lo spreco È un’iniziativa del Gruppo Granarolo articolata su più fronti: “Pillole anti-spreco” e “Ricette antispreco”. Nel caso delle “Pillole” l’azienda, attraverso brevi messaggi sulle bottiglie di latte (lo standard sono i 140 caratteri di un tweet), invita i consumatori a riflettere su semplici gesti utili a ridurre lo spreco alimentare. I messaggi riportati sulle bottiglie sono riproposti anche su Facebook. Le “Ricette”, invece, sono inserite sulle confezioni dei formaggi per suggerire idee su come utilizzare i prodotti in scadenza. Granarolo ha poi promosso una importante campagna di “ricette anti-spreco” sul proprio sito www.granarolo.it, con il coinvolgimento di chef famosi e grandi pasticceri italiani. 27 La tua ricetta per salvare il pianeta L’ideazione e la diffusione di buone pratiche ecosostenibili anche in cucina è l’obiettivo dell’iniziativa La tua ricetta per salvare il pianeta, che vede unite Auchan e WWF. Attraverso un sito dedicato, gli appassionati di cucina amici dell’ambiente potevano inviare la propria ricetta realizzata con scarti e avanzi. Le ricette selezionate da Lisa Casali, eco-foodblogger ed esperta di cucina sostenibile, sono state raccolte in un Libro di ricette antispreco e presentate in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione. L’iniziativa s’inserisce nel progetto Insieme contro gli sprechi, avviato da Auchan per promuovere, sempre con il WWF, iniziative di sensibilizzazione del consumatore sui temi della riduzione dello spreco alimentare in ambito domestico. Sempre sullo stesso tema il Gruppo Auchan ha realizzato, nell’anno 2013-14, il concorso NON SPRECARE? MI PIACE!, promosso in collaborazione con SCUOLA CHANNEL, rivolto alle classi della scuola primaria e secondaria di I grado, che invitava i ragazzi a individuare momenti di spreco nella vita quotidiana e a “convertirli” in occasioni di buon utilizzo di tutte le risorse. Frutta urbana È il primo progetto italiano di mappatura, raccolta e distribuzione della frutta che cresce nei parchi e nei giardini di città. Creato dall’associazione non profit Linaria, prevede la distribuzione gratuita a banchi alimentari o a mense sociali, la realizzazione di nuovi frutteti per contribuire ad arricchire con nuove proposte e funzioni lo spazio pubblico urbano, insieme ad attività, eventi, corsi e laboratori. È un progetto complesso, in costante evoluzione, che offre alla collettività un servizio innovativo, ecologico e gratuito, ma anche un’opportunità di conoscenza e cura del nostro patrimonio botanico. #Sprecomenounquarto Flash mob di Acea e Nova Coop contro lo spreco alimentare. Protagonisti dell’iniziativa sono gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado di Pinerolo. Il Centro Commerciale “Le Due Valli” è il palcoscenico. Moltissimi prodotti alimentari appena acquistati scivolano dalla galleria del primo piano su lunghi teli bianchi, precipitando all’interno di cassonetti per i rifiuti. Tutti sono pronti a puntare il dito contro lo spreco, quando si materializza uno stuolo di ragazzi che raccolgono i prodotti dal cassonetto e imbandiscono una tavola, invitando tutti i presenti a consumare una merenda contro lo spreco. Il via al flash mob è stato assicurato da classi di bambini delle scuole primarie, che hanno fatto esplodere all’unisono un palloncino, richiamando così l’attenzione. 28 Iniziative istituzionali Il cibo che vogliamo La fame ai tempi dell’abbondanza: la campagna FoodWeWant promuove l’agricoltura familiare e i sistemi agroalimentari sostenibili come soluzione per sconfiggere la fame, combattere la povertà, contrastare il cambiamento climatico. Ma soprattutto per condividere idee, promuovere soluzioni comuni, incoraggiare un dibattito pubblico sul futuro del cibo. La campagna, finanziata dall’Unione Europea, si svolge in otto paesi: Italia, Polonia, Portogallo, Spagna, Gran Bretagna, Kenia, Mozambico, Tanzania. L’iniziativa per superare un modello che condanna un miliardo di persone alla fame vede la partecipazione attiva di alcune organizzazioni: Fundación IBO, Spagna; IGO Institute of Global Responsibility, Polonia; OikosCooperação e Desenvolvimento, Portogallo; PENHA Pastoral and Environmental Network in the Horn of Africa, Gran Bretagna; Università degli Studi di Milano, Facoltà di Agraria, Italia; Muindi, Italia; Fundação IBO, Mozambico; Oikos East Africa; MPIDO Mainyoito Pastoralist Integrated Development Organization, Kenia. Osservatorio Waste Watcher Waste Watcher è il primo osservatorio permanente sugli sprechi alimentari, attivo per iniziativa dell’Università di Bologna (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari e Dipartimento di Statistica) e di LastMinuteMarket: uno strumento scientifico e al tempo stesso un veicolo di approfondimento, informazione e comunicazione sulle cause dello spreco e sulla concreta controproposta di “policy” di comportamento efficaci per prevenire e ridurre lo spreco, dal cibo all’acqua all’energia, passando per farmaci, abbigliamento e molti altri beni di consumo. Waste Watcher realizza studi e ricerche presentate in occasioni di dibattito pubblico o diffuse con pubblicazioni periodiche o approfondimenti tematici ad hoc. 29 Piano Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare Il Piano Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare (PINPAS) è promosso nell’ambito del Piano nazionale di prevenzione dei rifiuti. Fanno parte del board, coordinato da Andrea Segrè, lo scienziato Vincenzo Balzani, la regista Maite Carpio, l’attore Giobbe Covatta e la scrittrice Susanna Tamaro. Il comitato ha definito il Piano insieme a una Consulta costituita da enti, associazioni, organizzazioni e imprese i cui “Stati generali” si sono riuniti il 5 febbraio 2014. Il PINPAS ha definito le misure volte a ridurre la quantità di prodotti alimentari destinati al consumo che finiscono tra i rifiuti, dove lo spreco alimentare arriva a toccare lo 0,5% del PIL. SprecoZero Spreco Zero è un marchio rilasciato da Last Minute Market, che certifica l’adozione di una serie di strumenti, procedure e sistemi di controllo i quali garantiscono un uso razionale ed efficiente delle risorse e una gestione dei rifiuti ispirata ai principi di prevenzione, riutilizzo e riciclo dei materiali. Spreco Zero è un obiettivo verso il quale tendere, uno stimolo per ridurre progressivamente il consumo di risorse e le emissioni nell’ambiente legate alle proprie attività. Qualsiasi tipo di attività (evento, negozio, bar, ristorante etc.), comporta il consumo di risorse sotto forma di prodotti, materiali, acqua ed energia e la produzione di scarti, rifiuti solidi, emissioni e scarichi. Progettare o ridefinire la propria attività secondo i principi di Spreco Zero richiede di prestare attenzione a questi aspetti, evidenziando le criticità e valutando possibili azioni che permettano di controllare e ridurre gli sprechi e di comunicare all’esterno le buone pratiche adottate. Con la carta SprecoZero i comuni firmatari si impegnano ad attivare il decalogo di buone pratiche contro lo spreco alimentare che rende operative le indicazioni della Risoluzione del Parlamento europeo contro lo spreco. La carta è stata sottoscritta da centinaia di Comuni, tra cui Roma, Milano, Firenze, Torino, Napoli, Bologna, Venezia e le 64 municipalità dei Comuni Virtuosi italiani, oltre che dai Governatori del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. Una Buona Occasione Si tratta di una campagna promossa da Regione Piemonte, Regione Valle d’Aosta e Ministero dello Sviluppo Economico che avvicina il tema della lotta allo spreco alimentare da una prospettiva diversa: incidere sulle cause che contribuiscono a creare eccedenza di cibo. Il principio è quello di diffondere la prassi commerciale di offrire in promozione alimenti in prossimità di scadenza, 30 scardinando la convinzione che si tratti di “merce di serie B” solo perché venduta a prezzi inferiori. Se la raccolta differenziata dei rifiuti è un’attività utile, ancor più incisive si rivelano tutte le iniziative finalizzate alla riduzione della quantità di rifiuti a monte. Tenga il resto La campagna Tenga il resto è promossa dal Comune di Monza, e realizzata in collaborazione con Confcommercio di Monza e il Consorzio nazionale per il recupero degli imballaggi in alluminio (CiAl), che ha fornito 100.000 vaschette recanti sul coperchio lo slogan della campagna e i loghi dei partner. Partita nell’ottobre 2014, la campagna ha l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini contro lo spreco alimentare e per il recupero dei pasti non completamente consumati. Nei ristoranti della città che espongono la locandina è possibile richiedere che il pasto non consumato venga confezionato in vaschette in alluminio da portare a casa senza alcuna spesa aggiuntiva. L’iniziativa, ideata per sensibilizzare la cittadinanza su importanti obiettivi come la riduzione del consumo di risorse naturali e di energia connessi con la produzione del cibo e delle relative materie prime e la diminuzione di rifiuto organico, è espressione dei diversi impegni che l’Amministrazione ha recentemente assunto in materia di lotta allo spreco alimentare e riduzione di rifiuti. Premio Non sprecare Il Premio “Non sprecare”, che vede la collaborazione della Luiss, nasce da un’idea di Antonio Galdo e promuove progetti e buone pratiche economiche e sociali che mettano in discussione il paradigma contemporaneo dello spreco. Il Premio si rivolge a diversi pubblici e si articola in quattro sezioni rivolte a persone, imprese, associazioni o scuole che abbiano realizzato, nel corso dell’anno originali e utili iniziative antispreco. La banca dei semi Anche se apparentemente non connessa allo spreco, ci sembra importante ricordare questa iniziativa finalizzata a custodire la più grande varietà possibile di sementi provenienti da ogni parte della Terra e a preservare la biodiversità agricola. Si chiama Svalbard Global SeedVault il deposito sotterraneo globale dei semi, che è stato creato nel 2008 sull’isola di Spitsbergenin, nell’arcipelago artico delle Svalbard, a circa mille chilometri a nord della Norvegia continentale (al quale appartiene politicamente). La struttura è composta da tre sale che possono ospitare fino a 1,5 milioni di campioni ciascuna ed è gestita dal governo 31 di Oslo insieme al Global CropDiversity Trust, una fondazione che si occupa di aumentare la sicurezza alimentare nel mondo. I semi vengono incasellati in depositi di roccia a 120 metri di profondità e vengono conservati in un ambiente secco, a una temperatura media di -18°C. L’area geografica è stabile dal punto di vista geologico; il permafrost, il terreno perennemente ghiacciato tipico delle regioni polari, funge da refrigerante naturale, aiutando il deposito a mantenere una temperatura rigida e costante, indispensabile per salvaguardare le sementi. Il più recente invio al deposito risale a febbraio 2014, in occasione del sesto anniversario dell’apertura ufficiale: si tratta di 20mila varietà di semi provenienti da Giappone, Brasile, Perù, Messico e Stati Uniti. La necessità di dar vita a un luogo simile è dovuta a diversi problemi che stanno minacciando la biodiversità agricola del pianeta, in un momento in cui c’è bisogno di incrementare la resa dei raccolti a fronte di una superficie limitata destinata alle coltivazioni. Le minacce principali alla biodiversità agricola sono la scarsità idrica, la perdita di habitat e il cambiamento climatico. E l’unica mossa per contrastarle è salvaguardare questa ricchezza. 32 Campagne internazionali Les fruits et legumes moches Intermarché, terza catena di supermercati in Francia, ha lanciato una campagna contro lo spreco proponendo la vendita di verdure imperfette – e prodotti a base di verdure imperfette (succhi, zuppe etc.) – a prezzo scontato. L’iniziativa ha avuto un grande successo di pubblico. Love Food, Don’t Waste Campagna realizzata dalla catena filippina HealthyOptions che comprende, oltre a consigli antispreco sul sito e all’interno dei punti vendita, una raccolta di articoli e una serie di video e spot sul tema. www.youtube.com/watch?v=5D9pXc_FgO8 www.youtube.com/watch?v=IIZaR0HwDsc www.youtube.com/watch?v=Z0BGa8zDFlI Love food, hate waste Campagna a cura dell’associazione inglese Wrap che si occupa di promuovere azioni per la riduzione degli sprechi alimentari, lo sviluppo e la crescita delle fonti di energia sostenibile, lo sviluppo di prodotti sostenibili, il riciclo e il riuso. Nel sito sono presenti consigli e ricette antispreco, un blog, guide sulle porzioni e sulla corretta costruzione dei pasti, una sezione dedicata al coinvolgimento degli utenti che comprende le partnership e le modalità per aderire al progetto come azienda o come ente pubblico, le indicazioni per organizzare un training aziendale sui temi dello spreco, le istruzioni sulla consultazione delle etichette, materiali di comunicazione. Fig. 1 Campagna Les fruits et legumes moches TERZA PARTE Riflessioni dei docenti del network Athena 35 Cibo e mezzi di comunicazione di Maurizio Corte Università degli Studi di Verona Scorrendo il catalogo online di un qualsiasi portale web che vende libri via internet è possibile verificare come sia sterminata la produzione di saggi, di testi, di guide sul cibo. Dal cibo come piacere dei sensi al cibo che cura, dal cibo come espressione di un territorio o di una cultura locale al cibo connesso a una certa filosofia di vita, fino al cibo come esperienza “erotica”, per non dire del rapporto tra cibo e arte, cibo e letteratura; per poi finire con il cibo che ha proprietà taumaturgiche: sono molti gli argomenti proposti ai lettori, capaci di coprire un ampio spettro di interessi. Leggendo invece i titoli dei dispacci dell’agenzia d’informazioni Ansa, nei primi venti giorni di gennaio 2015, è possibile cogliere altri aspetti del cibo: il cibo come elemento di un fatto di cronaca, il cibo come costo per le tasche degli italiani, il cibo e la sicurezza alimentare. E, infine, il “diritto al cibo”, grazie ai temi proposti da Expo 2015 e a un intervento video di Papa Francesco. Stupisce il notare che si contano sulle dita delle mani le notizie legate al cibo che compaiono fra i titoli della più importante agenzia italiana d’informazioni, l’Ansa. Il cibo che è al centro della nostra vita, che può essere declinato in decine di modi diversi – come dimostrano i libri pubblicati – mostra di “non fare notizia”. Come per altri temi, il mondo dei giornali si interessa al cibo solo se esso entra di prepotenza nella cronaca (un’intossicazione alimentare, una frode milionaria); oppure se è legato a qualche evento ufficiale. Eppure il ruolo dei media – sia dei media di massa che dei social media, grazie al passaparola e al grande mare dei blog sulla cucina – è importante per sensibilizzare la pubblica opinione sul tema del cibo nella sua declinazione più importante: quella del diritto per tutti a un’alimentazione sufficiente e sana. Tema che si lega in modo stretto a quello dello spreco alimentare, poiché quest’ultimo è proporzionale alla scarsità di cibo (e alla scarsità di qualità) di cui soffre una 36 parte importante dell’umanità. Il ruolo dei media è importante per due motivi. Innanzi tutto, i media, con il loro linguaggio, possono offrire una certa immagine del cibo, sensibilizzando i lettori al ruolo che l’alimentazione ha nella vita sociale e nelle relazioni fra i popoli e le persone: di quale ricchezza essa rappresenti; e di come sia fondamentale preservare quella ricchezza, nella gestione della produzione e delle risorse naturali. In secondo luogo, l’agenda dei media sul cibo porta la pubblica opinione a concentrare la propria attenzione su questo o quel tema: il cibo può essere pertanto considerato un privilegio, di cui godere nelle forme più raffinate ed esclusive (il “cibo delle élites”, potremmo chiamarlo), che non si preoccupano di quante risorse sono consumate e di quanto spreco venga prodotto; oppure può essere considerato come centrale nel più vasto ambito del rispetto della natura e della compatibilità fra produzione di risorse e loro consumo consapevole. Maurizio Corte è giornalista professionista al quotidiano L’Arena di Verona, studioso della comunicazione digitale, web marketing specialist e web copywriter. Docente di Giornalismo interculturale e multimedialità all’Università di Verona è membro del comitato scientifico e docente del Master in Intercultural Competence and Management del Centro Studi Interculturali (Csi) dell’Università di Verona. Coordinatore di ProsMedia, centro di analisi interculturale dei media del Csi. Tra gli interessi di ricerca: comunicazione interculturale, giornalismo interculturale, media crime and justice. Tra le pubblicazioni: “Stranieri e mass media” (Cedam editore,2002); “Comunicazione e giornalismo interculturale” (Cedam editore,2006); “Il giornalismo interculturale” (Cedam editore, 2014). 37 Lo spreco alimentare: tra valore pubblico e valore privato di Guendalina Graffigna Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Le attuali sfide sociali ed economiche stanno confrontando i cittadini (italiani ma non solo…) con scelte di consumo sempre più complesse e dalle molteplici implicazioni. In altri termini, il gusto del “consumare per consumare” non è oggi più condiviso (e condivisibile) dai consumatori, maggiormente attenti e critici nell’approcciarsi alle offerte presenti sul mercato (Bosio, 2006). Quali sono dunque i drivers che guidano oggi le scelte dei consumatori? E come si declinano nello specifico contesto del consumo alimentare? Il coinvolgimento del consumatore nelle decisioni pre e post fruizione di prodotti alimentari assume una peculiare complessità. Il contesto privato, infatti, delle motivazioni che orientano decisioni e pratiche di consumo (siano esse legate alla salute, “scelgo quel prodotto perché mi fa stare meglio”; all’utilità, “scelgo quel prodotto perché mi conviene”, all’identità “consumo quel prodotto perché mi ci identifico”); si interseca con (e spesso prevale su) considerazioni legate al contesto pubblico, e cioè alla valutazione delle potenziali ricadute sociali e ambientali che le proprie scelte di consumo possono implicare (si pensi ai temi dell’inquinamento, dello sfruttamento delle risorse energetiche, delle implicazioni sul mercato del lavoro etc.). In particolare, quando riflettiamo sul problema dello spreco alimentare, l’innesto tra considerazioni di ordine privato e considerazioni di ordine pubblico nelle decisioni e pratiche di consumo risulta più che mai intrigante. Come spostare considerazioni “egoistiche” e autocentrate a considerazioni di più ampio e lungo respiro? Come rendere “l’interesse per la cosa pubblica” un driver primario delle scelte e delle pratiche di consumo alimentare? Sono queste domande del tutto aperte, a cui è difficile rispondere. Dalla nostra prospettiva, la teoria della co-creazione del valore (Vargo & Lush, 2004) oggi largamente adottata nelle riflessioni di marketing legate al comportamento dei consumatori di beni e di servizi, sembra offrire una promettente chiave interpretativa per orientare interventi comunicativi volti ad arginare lo spreco alimentare. 38 Per dirla con Vargo e Lush, infatti, il valore di una scelta di consumo è co-costruito nella relazione di scambio tra domanda e offerta, cioè tra azienda produttrice e consumatore finale. Si tratta però di un valore che si declina non solo in termini di “uso” del prodotto/servizio e di soddisfazione post fruizione, ma anche nei termini del “legame” con gli altri consumatori, con i propri pari, con la propria comunità che il possesso e l’utilizzo del prodotto permette di alimentare. Un valore, cioè, di coinvolgimento (engagement), che ha inizio già nelle prime fasi esplorative del decision making e che prosegue anche nel post fruizione del prodotto servizio. Consumer engagement che parte da dimensioni esperienziali individuali e psicologiche, ma che si alimenta ed esplicita nella dimensione sociale e collettiva delle relazioni tra consumatori e con gli operatori del mercato, siano esse aziende o istituzioni (Graffigna & Gambetti, 2015). Lavorare alla modifica delle radici rappresentazionali ed emotive dell’engagement, nel suo spettro allargato di legame comunitario e pubblico, può quindi essere la chiave per promuovere un consumo alimentare più responsabile e ridurre lo spreco. Questo, nella pratica, significherebbe non far esclusivamente leva sul valore d’uso (e quindi sul tema della perdita nel caso del non uso) dei prodotti alimentari per quel che riguarda la sfera privata dei consumi; bensì puntare sul valore di appartenenza e di scambio co-creativo che “il non sprecare” può costituire. In concreto si tratterebbe, ad esempio, di promuovere occasioni di incontro tra i consumatori per la co-costruzione di pratiche sociali esemplari nell’area del “non spreco alimentare”. Favorire, cioè, situazioni capaci di costituirsi come laboratorio educativo ed identitario per i consumatori e di porsi come scenario protetto per far sperimentare un più bilanciato intreccio tra considerazioni utilitaristiche autocentrate (legate alla sfera privata del consumo alimentare) e considerazioni etiche e comunitarie (legate alla “sfera pubblica” del consumo alimentare) in favore di una società più sostenibile, oggi e domani. Guendalina Graffigna ha ottenuto un PhD in Psicologia sociale all’Università Cattolica di Milano, dove attualmente insegna Metodologia quantitativa ed è coordinatrice del Master in Ricerca Psicosociale applicata al Marketing e alle organizzazioni. È direttore editoriale di “Micro&MacroMarketing” e collabora con l’International Institute for Qualitative Methodology dell’Università di Alberta. Oltre all’attività accademica, lavora presso GfK-Eurisko e coordina il Centro Studi di Assirm. 39 Spreco alimentare: l’ottica della filiera corta di Alessandro Lanteri Università degli Studi di Trento Spreco alimentare sembra sinonimo di produzione eccessiva e distruzione per mantenere i prezzi alti o prodotti scaduti e non utilizzati nel loro periodo di validità. Ma il tema è ben più complesso e inizia dal continuo allungamento delle filiere di produzione. Allontanare sempre più il luogo di produzione da quello di consumo induce costi nascosti sempre crescenti e porta ad una progressiva distruzione della cultura alimentare che costituisce l’essenza del nostro essere. Non solo quindi danni per l’inquinamento, ma anche alimentazioni non adatte alle diverse tipologie di organismi, creando i presupporti per sempre nuove intolleranze. I paesi cosiddetti ricchi, grazie ai capitali a loro disposizione, portano nei paesi poveri modelli di sviluppo che hanno già dato risultati negativi nelle loro zone ed eliminano ogni traccia di cultura locale che, partendo dall’alimentazione, costituisce l’elemento caratterizzante dello stile di vita di quei paesi. La concentrazione dell’attenzione sul prodotto e la concorrenza esasperata sul prezzo portano tensioni e conflitti a livello mondiale senza considerare i danni che la scarsa qualità alimentare porta alla salute. Sembrano pure, ormai maturi, il tempo e le tecnologie per disporre di produzioni sufficienti a sfamare il mondo. EXPO2015 a Milano si è posto questo obiettivo e i Laboratori dell’Università di Trento hanno analizzato in questi ultimi anni vari modelli di sviluppo sostenibile. La loro scelta è caduta su un territorio sviluppato sulla Filiera Corta e su un modello di organizzazione della produzione a base cooperativa. Un territorio caratteristico, sviluppato sulla Filiera Corta, è quello della pianura veronese attorno a Isola della Scala dove viene prodotto il 5% del riso italiano ma dove si è anche realizzato un amplissimo indotto. La stessa impostazione potrebbe essere applicata a qualsiasi altra produzione, 40 caratteristica di un territorio (esempi sono stati fatti con il radicchio di Treviso o l’asparago di Bassano del Grappa). L’unione del riso a filiera corta e del modello cooperativo sembra un mix valido da proporre a livello mondiale ai paesi che vogliano portare i loro cittadini a un percorso progressivo di crescita e di valorizzazione del loro carattere identitario. Nel territorio a filiera corta i coltivatori non conferiscono il loro prodotto ai grandi acquirenti ma lo lavorano direttamente (pila) e lo trasformano per portarlo direttamente verso il consumatore (ristorazione, aggregazione con altri prodotti, produzione di biscotti e gallette etc.). Inoltre, le proposte di collaborazione tra imprenditori trovano terreno fertile perché c’è un interesse diretto del produttore a rendere il suo terreno sempre più attrattivo (turismo locale e internazionale etc.). A Isola della Scala sono state attivate alcune importanti iniziative: • Consorzio del Riso: ha realizzato l’IGP e ha ottenuto finanziamenti sia regionali che nazionali per la promozione del prodotto • Fiera del Riso: è diventata il più importante promotore del risotto e dei prodotti collegati. Ha inoltre avviato nuove fiere (bollito etc.); attua un forte coinvolgimento della popolazione e permette alle associazioni di volontariato di svolgere funzioni remunerate (1000 persone) • Sistema Pianura: prepara la promozione a livello internazionale (risotterie e cooperazione internazionale per esportare questo interessante modello di sviluppo) • Gruppo di Azione Locale - GAL della Pianura: diffonde le opportunità che derivano dalla progettualità europea. Superata la fase critica iniziale, gli imprenditori aderiscono ben volentieri alle iniziative perché la spesa viene ripagata con migliori risultati. Inoltre, è obiettivo del territorio del riso formare i giovani nella conoscenza sempre più approfondita di questo modello di sviluppo che permetterà loro di andare all’estero, esportando non un prodotto ma un sistema di sviluppo sostenibile. EXPO2015 sarà un trampolino di lancio ma anche ogni altra occasione di contatto internazionale sarà ben utilizzata. Nel progetto troveranno spazio tutti i corsi di studio: dall’economia alla sociologia, dall’architettura alla giurisprudenza, dalla medicina all’agricoltura etc. In Italia esistono anche aree a filiera lunga, come Vercelli, centro che produce il 90% della produzione italiana. La filiera lunga porta i coltivatori a conferire il prodotto ai grandi marchi che si occupano della trasformazione del prodotto e della sua promozione e commercializzazione. 41 Il coltivatore è nelle mani dei grandi acquirenti internazionali e può facilmente entrare in crisi ad ogni oscillazione del prezzo del prodotto. Il produttore di qualunque prodotto, se lo conferisce a grandi acquirenti, non è interessato ad essere coinvolto in azioni di promozione del territorio. I vantaggi della filiera corta vengono enfatizzati dal sistema cooperativo che, aumentando le garanzie per il piccolo coltivatore, permette di meglio contrastare la concorrenza. Il modello della cooperazione trentina, ricco di sistemi di secondo livello, ci sembra di conseguenza il più adatto ad una diffusione a livello internazionale. Nel Trentino, su una popolazione di mezzo milione di abitanti, abbiamo circa 270 mila soci nelle 539 cooperative. In 2 famiglie su 3 entra la cooperazione. La cooperativa di primo livello aiuta il piccolo coltivatore nel difendere la sua “piccola coltivazione” ma, attraverso la cooperazione di secondo livello, lo rende partecipe anche di successi a livello internazionale (Melinda, Cavit etc.). Perché ci siamo concentrati sul territorio e sui meccanismi di produzione e di lavorazione dei prodotti agricoli? Perché lo spreco non parte dal consumatore ma da logiche perverse di produzione. Quanto abbiamo esposto fa ben comprendere come lo sviluppo sostenibile sia un processo lento e graduale di progresso dove la produzione agricola e la popolazione di utilizzatori siano perfettamente integrate e si sviluppino nel tempo senza scollamenti. In un ambiente diverso, dove cioè la produzione è slegata dal consumatore del proprio territorio, possono manifestarsi con molta facilità fenomeni di spreco alimentare: prodotti a basso costo vengono acquistati e poi scartati perché sovrabbondanti rispetto alle necessità del consumatore; paesi con bassi costi di manodopera invadono i mercati di altri paesi che non possono più raccogliere i prodotti maturi in quanto il costo della raccolta supera quello del prezzo al mercato etc. Inoltre la concentrazione solo sulla quantità della produzione favorisce la nascita di prassi non corrette (uso eccessivo della chimica, di OGM, di catene di sfruttamento degli agricoltori sulle sementi etc.) e induce a trascurare la qualità e la salubrità del prodotto. Gli studi in corso con Sierra Leone, per EXPO2015, confermano come il progresso sia un processo lento e soprattutto di maturazione della popolazione e quindi che la proposta non possa che essere quella di un grande sforzo formativo 42 sia verso i giovani che verso gli agricoltori e di una gradualità di sviluppo che, partendo dal modello proposto, possa – confrontandosi con diverse culture – trovare metodologie sempre più rispettose della persona. Alessandro Lanteri insegna alla Facoltà di Economia dell’Università di Trento e collabora con l’Università di Verona sui temi dell’alimentazione salutistica. È socio della cooperativa sociale Galileo dal 1999. Per oltre 30 anni ha lavorato nel settore bancario. I suoi ambiti di interesse sono principalmente legati all’economia e al lavoro, ai distretti produttivi, alla cooperazione internazionale (Sierra Leone, Guinea Bissau, Afganistan etc.), al marketing territoriale etc. Si occupa anche di mercati globalizzati, ricerca scientifica, creazione di cluster per aggregare le PMI su grandi temi (internazionalizzazione, innovazione, comunicazione etc.). 43 L’altra parte del consumo di Edda Cecilia Orlandi e Luisa Leonini Università degli Studi di Milano Ci sono tre elementi che caratterizzano il nostro modo di guardare ai rifiuti su cui credo sia importante soffermarsi nel discutere di spreco alimentare, per ripensare al cibo e agli scarti come oggetti sociali che costituiscono “l’altra parte”, la parte nascosta, del consumo. Innanzitutto, la tendenza a ricondurre lo spreco ad una questione meramente individuale, come risultato delle scelte e della scarsa consapevolezza dei singoli consumatori. Le stime FAO sullo spreco di cibo da parte dei consumatori europei indicano che questo costituisce circa un terzo del totale, mentre la parte restante è dispersa tra produzione e distribuzione. Un’attenzione alla dimensione sociale dello spreco alimentare deve tenere conto anche di questi due terzi scartati da produttori e distributori, oltre che, naturalmente, delle modalità in cui il cibo è distribuito, che possono incentivare comportamenti virtuosi o, al contrario, lo sprecare da parte dei consumatori. In secondo luogo, nella nostra società i rifiuti sono guardati, gestiti e organizzati come cose che devono essere incanalate in appositi spazi e canali di gestione in modo tale che non creino problemi. Una volta collocati come scarti, i rifiuti spariscono così dal nostro orizzonte e ce ne dimentichiamo. Uno sforzo per spostarci da questa dimensione spaziale del pensare ai rifiuti ad una dimensione temporale, che tenga conto di come ogni nostro scarto sia stato prima (e probabilmente potrebbe tornare ad essere) qualcos’altro, è indispensabile per ridurre lo spreco alimentare e permette di immaginare che ciò che in questo momento consideriamo una parte da scartare potrebbe in realtà essere riciclata e riutilizzata, da parte nostra, o da parte di altre persone. Infine, un paradosso dei rifiuti è che si tratta di cose che, per definizione, sono ciò che non interessa, di cui ci si vuole liberare senza preoccuparsene più. Il re- 44 cuperare, gestire e riutilizzare gli scarti però richiede impegno e lavoro da fare. Dobbiamo riconoscere che, spesso, gettare via è la soluzione più semplice e, in un’ottica strettamente quantitativa, la più economica. Questo è particolarmente vero nel caso degli scarti alimentari, per la loro natura deperibile e per la percezione del loro scarso valore. Ripensare al valore del cibo in modo che questo non sia ricondotto solo al prezzo cui viene venduto è dunque indispensabile per contrastare lo spreco alimentare. I tre modi di pensare allo spreco alimentare cui ho brevemente accennato qui sopra – il vederlo come il risultato di scarti di organizzazioni oltre che individuali, l’attenzione alla dimensione temporale e alla potenziale ciclicità dei processi di consumo, il ricollocare il valore del cibo in una dimensione più ampia di quella riconducibile al suo prezzo – invitano a comunicare sul cibo ponendo in primo piano le dimensioni sociali della sua distribuzione e circolazione. Edda Cecilia Orlandi è assegnista di ricerca in Sociologia presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università di Milano. Si è occupata di consumi e sta attualmente collaborando ad una ricerca sulle conseguenze della crisi sui giovani. Luisa Leonini è professore ordinario di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l’Università degli Studi di Milano e Coordinatrice del corso di laurea Magistrale in Comunicazione pubblica e d’impresa, tra gli interessi di ricerca: sociologia della famiglia, genere, sessualità e consumi, sociologia dei fenomeni migratori, giovani, rapporti intergenerazionali e famiglie. Tra le pubblicazioni: Legami di nuova generazione (Il Mulino, 2010, con P. Rebughini); Il consumo critico (Laterza, 2008, con R. Sassatelli and P. Rebughini); Nuovi media e pornografia, come Internet ha modificato il sexbusiness, in: Gender e Media, A. Tota (ed) (Meltemi, 2008). 45 Cibo e pubblicità in Italia di Paola Costanza Papakristo Università degli Studi di Macerata In quanto italiani, siamo passati in pochi anni dall’idea di non avere cibo a sufficienza per sfamarci, a quella di doverne limitare prima il consumo e poi lo spreco. Quando la pubblicità moderna muove i primi passi, con i manifesti di fine Ottocento, i consumatori sono un pubblico ristretto. I prodotti industriali pubblicizzati sono prevalentemente bevande alcoliche (dagli spumanti ai liquori, dal vino al vermouth), caffè e acqua minerale, cui si affiancheranno pasta, pelati, carne in scatola e conserve. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le condizioni di vita mutano radicalmente, cambia il loro rapporto con il cibo e di conseguenza si modifica il modo di comunicarlo. L’Italia, da Paese prevalentemente agricolo, si trasforma in pochi anni in una delle nazioni più industrializzate del mondo. Mentre durante la guerra si vive meglio in campagna (lì è più facile procurarsi il cibo), il dopoguerra vede una sostanziale migrazione verso le città. La meccanizzazione dell’agricoltura e l’uso di concimi, antiparassitari e diserbanti aumentano la produttività e riducono contemporaneamente il bisogno di manodopera nei campi. Il trasferimento in città modifica lo stile di vita, anche da un punto di vista alimentare, unitamente all’industrializzazione e all’avvio dei consumi di massa. Gli elettrodomestici entrano in casa, semplificando alcune incombenze e, in particolare, il frigorifero cambia il modo di fare la spesa e di pensare al cibo. Negli anni Cinquanta fanno la loro comparsa i primi supermercati, insieme ad alimenti confezionati, surgelati, dadi, gelatine e tanti nuovi prodotti industriali. Solo nel 1955, l’anno in cui la Fiat presenta la 600, il consumo di carne ritorna ai livelli del 1939. Carosello, attraverso simpatici siparietti televisivi e personaggi di animazione, dice agli italiani cosa acquistare e come usare i prodotti dal 1957 al 1977. Ma presto la società industriale comincia a mostrare le sue contraddizioni. 46 Negli anni Settanta i consumatori si pongono in modo critico nei confronti dei prodotti industriali, degli eccessi del consumismo, perdendo fiducia nel modello del benessere individuale che aumenta con i consumi. Gli anni Ottanta sono poi quelli del falso boom economico, in cui il benessere da raggiungere è individuale, non più collettivo. Fig. 2 Annuncio stampa del 1914: la cura per ingrassare. 47 Si diffonde la cucina internazionale, o meglio globale, come le catene di fast food. All’appiattimento di abitudini e consumi si cerca di reagire in vari modi, per salvaguardare le differenze e i prodotti tipici. Fig. 3 Annuncio stampa del 1954: la carne in gelatina compare tra i nuovi prodotti alimentari del dopoguerra. Fig. 4 Annuncio stampa del 1971: la trippa verso l’omologazione dei consumi alimentari. Fig. 5 Annuncio stampa 1980: emerge il bisogno di prodotti leggeri. 50 La pubblicità del settore alimentare occupa ancora uno spazio importante nel panorama della comunicazione commerciale. Negli spot il cibo è descritto in termini lusinghieri, oppure ne vengono indicate le occasioni e le modalità di consumo. Ma il cibo è anche piacere, un peccato di gola che la pubblicità traduce in un messaggio schizofrenico: l’esaltazione della magrezza e della forma fisica unita alla continua sollecitazione a consumare cibo spazzatura. Oggi i consumatori prestano attenzione alla qualità e alla provenienza degli alimenti, che non devono essere soltanto buoni ma anche sani e prodotti in modo responsabile. La comunicazione pubblicitaria può contribuire a far passare questi messaggi positivi, ponendo particolare attenzione al rispetto dei propri pubblici. Paola Costanza Papakristo, sociologa, si occupa dalla fine degli anni Novanta di comunicazione pubblicitaria. Insegna Comunicazione Pubblicitaria presso l’Università degli Studi di Macerata e Storia della Comunicazione presso l’Istituto Poliarte di Ancona. Tra le sue pubblicazioni: Il volto delle sirene (Aras, 2013), Comunicare l’università (Eum, 2010), Archeologie della pubblicità (con Daniele Pittèri, Liguori, 2003). 51 La linea sottile tra consumare e sprecare di Mariaeugenia Parito Università degli Studi di Messina La promozione del tema dello spreco alimentare verso un pubblico vasto e dell’esigenza di comportamenti responsabili da parte dei cittadini si scontra con differenti ordini di difficoltà. La molteplicità delle cause dello spreco, le conseguenze per l’ambiente e per le popolazioni del mondo oltre che per gli individui, la necessità di soluzioni coordinate tra attori pubblici e privati collocati su diverse scale territoriali tra il locale e il globale compongono un quadro articolato che richiede un notevole sforzo per essere veicolato alla generalità dei cittadini con semplicità ed immediatezza. Potrebbe risultare impegnativo, più che per altre questioni, riuscire a far percepire la connessione tra azioni individuali e conseguenze collettive, in modo da stimolare un cambiamento delle abitudini che inneschi risultati virtuosi. Le resistenze più insidiose potrebbero riguardare il piano della cultura di riferimento e della rappresentazione della realtà proposta dai media. Benché si stia diffondendo l’attenzione verso modelli di sviluppo sostenibile e la consapevolezza dell’importanza di forme di consumo responsabile, la cultura dominante è comunque quella della società dei consumi. Si tratta di un «contesto esistenziale» che ridefinisce le relazioni umane sul modello e a somiglianza delle relazioni tra consumatori ed oggetti di consumo e in cui anche l’identità degli individui si costruisce attraverso pratiche di consumo. Inoltre, con l’affermazione della globalizzazione economica ultraliberista si accentua un modello di sviluppo della società e di considerazione del benessere individuale focalizzati intorno alla prospettiva economica, in cui la prosperità viene misurata anche in termini di espansione dei consumi. In definitiva le persone sono immerse in un contesto in cui il consumo ha una connotazione largamente positiva. Il passaggio a comportamenti che siano responsabili e quindi non si trasformino in spreco richiede un cambiamento di prospettiva. La crisi economica, da questo 52 punto di vista, potrebbe rappresentare un’opportunità: forzare la ricerca di una razionalizzazione delle risorse obbliga a definire o ridefinire i criteri che separano il consumo dallo spreco. In ogni caso, una riorganizzazione dei comportamenti quotidiani che qualifichi con valori positivi la riduzione dei consumi virando verso la consapevolezza dello spreco significa scalfire un presupposto cruciale della società liquido-moderna. Che Bauman descrive facendo riferimento alla necessità di «scartare e sostituire», cioè alla propensione al consumo immediato e alla immediata eliminazione degli oggetti consumati, risultato dell’instabilità dei desideri e dell’insaziabilità dei bisogni. In definitiva, la ricerca della felicità diventa obiettivo da perseguire spostando l’attenzione dal «fare le cose, o appropriarsene, o accumularle, al disfarsene», tanto che la società consumistica si fonda «sull’eccesso e sullo spreco». Il tema dello spreco alimentare, toccando un nodo centrale della società contemporanea, implica una ridefinizione profonda dei modelli culturali prima ancora che comportamentali. Si tratta di una sfida complessa, non più rinviabile, sulla quale si gioca l’idea di sviluppo da perseguire nel futuro, anche immediato, dopo che la crisi economico-finanziaria ha evidenziato l’insostenibilità del modello finora dominante. Mariaeugenia Parito è ricercatrice in Sociologia dei Processi Culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina, dove insegna Comunicazione pubblica, Comunicazione Politica e Nuove tecnologie dell’informazione. Ha svolto attività di docenza in numerosi corsi di formazione indirizzati a personale delle pubbliche amministrazioni e a docenti di scuole secondarie. Tra i suoi interessi di ricerca si segnalano di tematiche relative ai media (tradizionali e nuovi) con particolare riguardo alle relazioni con i sistemi politici e istituzionali. Tra le sue pubblicazioni: Comunicare l’Unione Europea. La costruzione della visibilità sociale di un progetto in divenire (Franco Angeli, 2012), Comunicare l’Europa nello scenario cosmopolita (Bonanno, 2007), Comunicazione pubblica e nuovi media (Ed.it, 2007). 53 Prevenire è meglio che riciclare di Rossella Sobrero Università degli Studi di Milano Il tema dello spreco inizia ad appassionare anche il mondo della comunicazione e quello delle imprese: dopo decenni passati a studiare campagne per stimolare l’acquisto di prodotti più o meno necessari, oggi ci si interroga su come promuovere il loro corretto uso e su come ridurre gli sprechi. Per introdurre la mia riflessione voglio citare alcuni dati particolarmente significativi. Un recente studio del Politecnico di Milano mette in luce che il 58,1% degli sprechi alimentari viene generato dagli attori economici della filiera e il 41,9% prodotto dai consumatori. Un’altra ricerca evidenzia che in Italia lo spreco domestico è stato quantificato in 8,7 miliardi di euro, pari allo 0,5 % del PIL, con un costo per le famiglie di 7,06 euro la settimana. Inoltre lo spreco alimentare è responsabile di circa il 5% delle emissioni che causano il riscaldamento globale e del 20% della pressione sulla biodiversità. Infine un dato che da solo dovrebbe far riflettere: nel mondo, ogni anno, si sprecano circa 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti, nella sola Europa 90 milioni pari a circa 180 kg pro capite. La lotta allo spreco deve rivestire dunque carattere di urgenza, coinvolgere i diversi attori, utilizzare tutti gli strumenti di comunicazione a disposizione: non solo campagne sui media ma anche interventi di sensibilizzazione sul web, progetti educativi nelle scuole, iniziative non convenzionali. Il ruolo di chi produce e distribuisce Per ridurre gli sprechi produttori e distributori possono mettere in gioco strategie utili, oltre che a valorizzare il proprio impegno sociale e ambientale, anche a contenere i costi. Ecco alcuni esempi. 1 – Ridurre la produzione Oltre ad essere un problema sociale, lo spreco porta con se una forte pressione 54 sulle risorse naturali, sulla terra e sul clima. Produrre troppo significa usare più energia e materie prime del necessario: lo spreco di risorse viene amplificato durante la distribuzione, nelle case delle persone, nella fase di smaltimento dei rifiuti. 2 – Educare il consumatore Per contribuire alla lotta allo spreco le imprese possono inserire suggerimenti sul packaging oppure proporre ricette per utilizzare un prodotto in scadenza. Recentemente alcune importanti aziende alimentari hanno adottato questa politica. 3 – Modificare le confezioni L’introduzione sul mercato di confezioni monoporzione che rispondono meglio alle esigenze dei single, in crescita anche nel nostro Paese, è un altro modo per ridurre gli sprechi. 4 – Non buttare i prodotti danneggiati Nella GDO si tende a buttare via prodotti freschi che durante il processo di confezionamento possono essersi danneggiati. In presenza di piccoli difetti il prodotto può essere messo in vendita a prezzi scontati anziché essere scartato. 5 – Recuperare il cibo avanzato Il recupero e l’immediata redistribuzione delle eccedenze di cibo cotto e non servito nelle mense aziendali rappresenta un intervento relativamente semplice che può vedere anche il coinvolgimento dei dipendenti in progetti di volontariato d’impresa. Il ruolo di chi acquista Per ridurre gli sprechi i consumatori sono chiamati a modificare in tempi rapidi stili di vita e di consumo. Ecco alcuni esempi. 1 – Cucinare solo il necessario Il fenomeno dell’overcooking si collega al mancato riutilizzo del cibo avanzato. Non solo si cucina troppo ma non si adoperano gli avanzi. Un fenomeno che può essere modificato proponendo la rielaborazione del cibo avanzato come scelta non solo consapevole ma anche trendy. 2 – Comprare solo ciò che serve e quanto serve Prima della spesa, controllare cosa c’è nel frigorifero preparando un elenco dei prodotti che mancano. Per esempio, scegliere la frutta e la verdura non imballate permette di acquistare solamente la quantità necessaria. 3 – Cucinare prima gli alimenti più vecchi Ricordarsi di mettere in evidenza nella dispensa e nel frigorifero i prodotti acquistati prima. 4 – Documentarsi Leggere attentamente suggerimenti, regole, decaloghi per non sprecare ascol- 55 tando in particolare chi fornisce esempi semplici, chiari, concreti. 5 – Condividere le esperienze La lotta allo spreco si inserisce in un cambiamento culturale che è già in corso. Se è vero che ci stiamo avvicinando sempre più ad una cultura sharing, dove prevale l’uso rispetto al possesso, in futuro sarà più facile anche condividere esperienze positive per combattere lo spreco. Come per tante altre cose, l’importante è creare un nuova cultura partendo dai bambini: saranno loro a indicare ai genitori gli errori che a volte vengono fatti. La sobrietà va insegnata facendo capire che non si chiedono rinunce ma bisogna imparare a rifiutare l’eccesso. Per concludere, l’obiettivo strategico è prevenire lo spreco di cibo non solo recuperarlo: per farlo sono necessarie azioni congiunte e coordinate lungo tutta la filiera alimentare, dai produttori ai consumatori e ai policy makers. Perché prevenire oggi è meglio che riciclare domani. Rossella Sobrero si occupa da anni di comunicazione sociale, CSR e sostenibilità. È Presidente e cofondatore di Koinètica, docente di Comunicazione Sociale all’Università degli Studi di Milano e di Marketing non convenzionale all’Università Cattolica. Progetta e gestisce campagne di comunicazione e corsi di alta formazione per organizzazioni pubbliche e private. Membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Pubblicità Progresso e del Consiglio Direttivo Nazionale di FERPI. Collabora con alcune testate giornalistiche e ha pubblicato diversi volumi sulla CSR e sulla comunicazione sociale. www.rossellasobrero.it 56 CONCLUSIONI Il tema della lotta allo spreco alimentare è strategico per il futuro del pianeta. Troppi alimenti finiscono tra i rifiuti e tutti hanno una cosa in comune: hanno richiesto energia, acqua, terra, tempo, risorse naturali per essere prodotti, trasportati, trasformati, confezionati. Possono essere definiti eccedenze, surplus, invenduti, scarti ma il problema non cambia. Come osserva Andrea Segrè, lo spreco alimentare ha un valore che va oltre le stime economiche, ambientali e sociali. Un valore che deve essere insegnato nelle scuole ma che devono imparare anche gli adulti. Per esempio, ponendosi un interrogativo fondamentale: cosa significa mangiare rispetto a sprecare? Sprecare significa buttare il cibo nella spazzatura ma anche mangiare cibo spazzatura ovvero mangiare male. Se è vero che siamo ciò che mangiamo, ma anche ciò che non mangiamo, è necessario affrontare l’argomento a tutto tondo ponendosi anche il problema dello spreco. Per attivare comportamenti virtuosi finalizzati a ridurre lo spreco sono necessarie campagne di comunicazione integrata in grado di raggiungere con strumenti diversi tutti i cittadini: dai bambini agli anziani. Solo così sarà possibile attivare percorsi condivisi che possono contribuire alla soluzione del problema. 57 BIBLIOGRAFIA Per approfondire i contenuti dei diversi interventi della pubblicazione vengono indicati alcuni articoli e pubblicazioni di riferimento. Baber B.R., Consumati. Da cittadini a clienti, Einaudi (2010) Baudrillard J., La società dei consumi, Il Mulino (1970) Bauman Z., Consumo dunque sono, Laterza (2008) Bosio A.C., Quando l’emergenza diventa normalità. Verso un consumatore neo-concreto, in Micro &MacroMarketing, XV, 1 (2006) Featherstone M., Cultura del consumo e postmodernismo, Seam (1994) Graffigna G., Gambetti R.C., Grounding consumer-brand engagement: a field-driven conceptualization, in International Journal of Market Research (2015) Petrini C., Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione, Giunti (2013) Petrini C., Terra Madre, Come non farci mangiare dal cibo, Giunti (2009) Petrini C., Buono, Pulito e Giusto, Principi di nuova gastronomia, Einaudi (2005) Petrini C., Le ragioni del gusto,Laterza (2001) Segrè A., Simone A., L’oro nel piatto, Einaudi (2015) Segrè A., Spreco, Rosenberg & Sellier (2014) Segrè A., Primo non sprecare, Corsivi del Corriere della Sera (2014) Segrè A., Vivere a spreco zero, Marsilio (2013) Segrè A., Economia a colori, Einaudi (2012) Siri G., La psiche del consumo.Consumatori, desiderio e identità, Franco Angeli (2001) Vargo S.L., Lusch R.F., Evolving to a New Dominant Logic for Marketing, in Journal of Marketing 68(1) (2004) fondazione per la comunicazione sociale Sostenibilità, sobrietà, solidarietà Nuovi traguardi per la comunicazione Collana Comunicazione Sociale Volume III A cura di Rossella Sobrero Introduzione Alberto Contri, Presidente Fondazione Pubblicità Progresso Contributi di Lorenzo Bandera, Maurizio Corte, Guendalina Graffigna, Alessandro Lanteri, Luisa Leonini, Chiara Lodi Rizzini, Edda Cecilia Orlandi, Paola Costanza Papakristo, Mariaeugenia Parito, Carlo Petrini, Andrea Segrè, Rossella Sobrero Pubblicità Progresso attiva dal 1971 (prima come Associazione e poi, dal 2005, come Fondazione), è entrata nel vocabolario quotidiano degli italiani, diventando sinonimo di “pubblicità sociale”. Con la sua attività e grazie al contributo di chi ne fa parte, Pubblicità Progresso ha promosso e promuove l’impiego della comunicazione sociale di qualità tra gli strumenti operativi di enti, istituzioni, pubblica amministrazione e organizzazioni non profit. Ha contribuito a valorizzare la pubblicità italiana e i suoi operatori. In virtù di tutto questo la Fondazione Pubblicità Progresso è oggi una delle espressioni più alte e rappresentative delle organizzazioni del mondo della comunicazione e dei professionisti che ne fanno parte. ISBN 9788894030518 Sono soci di Pubblicità Progresso: