sostenibilità sobrietà solidarietà

annuncio pubblicitario
1
sostenibilità
sobrietà
solidarietà
Nuovi traguardi per la comunicazione
COLLANA COMUNICAZIONE SOCIALE
VOLUME 3
fondazione per la
comunicazione sociale
Edito da
In partnership con
Con il sostegno di
fondazione per la
comunicazione sociale
© 2015 Fondazione Pubblicità Progresso
www.pubblicitaprogresso.org
A cura di
Rossella Sobrero
Introduzione
Alberto Contri, Presidente Fondazione Pubblicità Progresso
Contributi
Lorenzo Bandera, Maurizio Corte, Guendalina Graffigna, Alessandro Lanteri, Luisa
Leonini, Chiara Lodi Rizzini, Edda Cecilia Orlandi, Paola Costanza Papakristo,
Mariaeugenia Parito, Carlo Petrini, Andrea Segrè, Rossella Sobrero
Progetto grafico e impaginazione
Serena Izzo
ISBN 9788894030518
3
INDICE
INTRODUZIONE5
La Fondazione Pubblicità Progresso
7
La collaborazione con l’università e il network Athena
10
Docenti del network Athena
11
PRIMA PARTE
Spreco alimentare: il contributo degli esperti
12
Educazione e spreco alimentare
di Andrea Segré
13
Lotta allo spreco, un obiettivo comune
di Carlo Petrini
16
Povertà e spreco alimentare: quali risposte dal secondo welfare?
di Chiara Lodi Rizzini e Lorenzo Bandera
19
SECONDA PARTE
Strumenti, iniziative e campagne 22
Strumenti
23
Iniziative territoriali
25
Iniziative istituzionali
28
Campagne internazionali
32
TERZA PARTE
Riflessioni dei docenti del network Athena
34
4
Cibo e mezzi di comunicazione
di Maurizio Corte
35
Lo spreco alimentare: tra valore pubblico e valore privato
di Guendalina Graffigna
37
Spreco alimentare: l’ottica della filiera corta
di Alessandro Lanteri
39
L’altra parte del consumo
di Edda Cecilia Orlandi e Luisa Leonini
43
Cibo e pubblicità in Italia
di Paola Costanza Papakristo
45
La linea sottile tra consumare e sprecare
di Mariaeugenia Parito
51
Prevenire è meglio che riciclare
di Rossella Sobrero
53
CONCLUSIONI56
BIBLIOGRAFIA57
5
INTRODUZIONE
di Alberto Contri
Presidente Fondazione Pubblicità Progresso
Una domanda che molti si pongono di questi tempi è come garantire cibo e
acqua alla popolazione mondiale che aumenta a ritmi vertiginosi. Ma a questa
domanda se ne aggiungono molte altre: per esempio, come fare per tutelare la
biodiversità del pianeta, come salvaguardare la sicurezza alimentare… Argomenti
fondamentali per il nostro futuro che sono al centro anche della prossima
edizione dell’esposizione universale che si aprirà a Milano il prossimo 1° maggio.
Come è noto, infatti, il titolo di EXPO 2015 è Nutrire il pianeta, energia per la vita.
Anche per questi motivi abbiamo voluto dedicare la terza pubblicazione della
nostra collana alla lotta allo spreco alimentare, un tema considerato a parole
strategico ma che non vede ancora sufficiente impegno da parte dei diversi
attori sociali.
Eppure i dati sono inquietanti: secondo la FAO - Food and Agriculture
Organization - nel mondo si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo all’anno,
equivalenti a circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo
umano. Un quantitativo che, se recuperato, sarebbe sufficiente a sfamare tre
volte le persone denutrite (circa 900 milioni nel mondo).
Anche a casa nostra il problema ha dimensioni significative: in Italia infatti lo
spreco alimentare è pari allo 0,5% del PIL, un valore pari a circa 40 miliardi di
euro. Lo spreco è presente in ogni passaggio della filiera: produzione agricola,
industria agroalimentare, distribuzione all’ingrosso e al dettaglio, ristorazione,
consumo domestico. Alcune ricerche ci dicono che nel nostro Paese ogni anno
una famiglia butta via in media 49 chili di cibo, per disattenzione o negligenza
nella gestione della spesa. La conseguenza di questo atteggiamento poco
responsabile è che vengono inutilmente tolti alla vegetazione spontanea ettari
di suolo, utilizzati metri cubi di acqua, prodotte tonnellate di anidride carbonica.
6
Problemi a cui si deve dare urgentemente risposta. Anche se negli ultimi anni
alcune campagne hanno invitato a modificare stili di vita e di consumo, l’impegno
su questo fronte non è ancora sufficiente.
In questa pubblicazione presentiamo alcune riflessioni di esperti dell’argomento
e segnaliamo alcuni interessanti strumenti, iniziative e campagne di soggetti
pubblici e privati. Come nelle altre pubblicazioni della collana Comunicazione
sociale abbiamo coinvolto i docenti del network Athena che hanno partecipato
con un loro contributo.
Siamo consapevoli delle dimensioni del problema ma anche convinti che una
corretta comunicazione, attenta ai valori e realizzata in modo professionale, può
avere un ruolo importante nella lotta allo spreco.
Buona lettura!
7
La Fondazione Pubblicità Progresso
Per molte persone Pubblicità Progresso è sinonimo di pubblicità sociale e viene
identificata con le campagne che ha realizzato in oltre 40 anni di attività. Anche
se oggi sviluppa progetti di comunicazione integrata e realizza, oltre a campagne
sociali, molte altre attività, Pubblicità Progresso non ha voluto modificare il
proprio nome perché rappresenta un riferimento importante nella cultura italiana.
Attiva dal 1971, prima come Associazione e dal 2005 come Fondazione,
Pubblicità Progresso ha promosso e promuove la comunicazione sociale di
qualità dimostrando l’utilità di un intervento professionale in questo ambito.
Con la sua attività contribuisce a valorizzare la comunicazione italiana e i suoi
operatori.
Da anni, inoltre, la Fondazione cura la Mediateca, una raccolta selezionata di
migliaia di campagne sociali di tutto il mondo, un patrimonio a disposizione di
tutti coloro che per ragioni professionali o di studio desiderano approfondire la
conoscenza della comunicazione sociale.
Pubblicità Progresso può contare sulla collaborazione di alcune tra le principali
associazioni del mondo della comunicazione. Sono soci promotori:
AAPI - Fondata nel 1949, è l’associazione di categoria delle principali società
operanti nel settore della pubblicità esterna, realizzata mediante affissioni.
ASSIRM - È l’associazione, nata nel 1991 a Milano, che riunisce i maggiori istituti
italiani di ricerche di mercato, sondaggi di opinione e ricerca sociale.
ASSOCOM - È l’associazione delle più importanti imprese di comunicazione
nazionali e internazionali operanti in Italia.
8
FIEG - Vi aderiscono le aziende editrici di giornali quotidiani e periodici, le agenzie
nazionali di stampa, l’Associazione Stampatori Italiana Giornali, la Federazione
delle Concessionarie di Pubblicità e l’Associazione Distributori Nazionali.
IAP - L’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria è stato fondato nel 1966 dai
principali Enti e Associazioni di utenti, professionisti e mezzi pubblicitari per dare
al sistema pubblicitario italiano un’organizzazione di autocontrollo, che assicuri
che la pubblicità sia onesta, veritiera e corretta.
PUBLITALIA ’80 - Concessionaria di pubblicità del gruppo Fininvest. È la
concessionaria di pubblicità in esclusiva delle reti televisive del Gruppo Mediaset.
RAI - È la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. Rappresenta da
oltre 50 anni l’evoluzione della vita civile, sociale ed economica del Paese.
UNICOM - L’Unione Nazionale Imprese di Comunicazione è l’associazione che
raccoglie il maggior numero di imprese di comunicazione a capitale italiano.
UPA - Utenti Pubblicità Associati è l’organismo associativo che riunisce le
più importanti e prestigiose aziende industriali, commerciali e di servizi che
investono in pubblicità.
A questi si sono aggiunti più recentemente i seguenti nuovi soci promotori.
Discovery Italia - In Italia, Discovery è presente dal 1997. Oggi è il terzo editore
televisivo italiano per share complessiva (6%) con un portfolio di 13 canali
distribuiti su diverse piattaforme: digitale terrestre free (Real Time, DMAX, Giallo,
Focus, e i canali per bambini K2 e Frisbee); SKY (Discovery Channel/+1 e in HD,
Discovery Science, Discovery Travel&Living, Animal Planet, Real Time/+1 e in
HD, DMAX/+1, Giallo, Focus, K2, Frisbee, Eurosport ed Eurosport 2), Mediaset
Premium (Discovery World, Eurosport ed Eurosport 2) e TivùSat (Real Time,
DMAX). Grazie al coraggio di osare, al desiderio di ricercare e produrre contenuti
innovativi, Discovery Italia sta attivamente contribuendo allo sviluppo di una
nuova cultura televisiva nel nostro Paese, scardinando gli stereotipi e creando
un ecosistema unico e sinergico con canali che sono veri e propri love brand per
gli spettatori e un benchmark di eccellenza e innovazione nel mercato dei media.
Facebook - Fondata nel febbraio 2004 da Mark Zuckerberg, la mission di
Facebook è di rendere il mondo più aperto e connesso, offrendo alle persone il
potere di condividere informazioni e contenuti in un ambiente sicuro e protetto.
9
A dieci anni dalla sua nascita, Facebook è una delle piattaforme più diffuse a
livello globale: oltre 1,32 miliardi di persone si collegano a Facebook ogni mese
– di queste 1,07 miliardi accedono da mobile. Facebook è presente in Italia da
ottobre 2009 con 25 milioni di persone attive mensilmente sulla piattaforma, di
cui 20 milioni attraverso dispositivi mobili e 15 milioni che ritornano ogni giorno
sull’applicazione da smartphone e tablet.
GOOGLE Italia - Leader tecnologico a livello mondiale, impegnato a migliorare
le modalità di connessione tra persone e informazioni. L’innovazione di Google
nella ricerca e nella pubblicità sul web hanno reso il suo sito una delle principali
Internet property e il suo brand uno dei marchi più riconosciuti al mondo.
San Marino RTV - È la concessionaria pubblica del servizio radiotelevisivo della
Repubblica di San Marino, costituita nell’agosto del 1991 con un capitale sociale
sottoscritto al 50% da ERAS (Ente per la radiodiffusione sammarinese) e Rai.
SKY Italia - Sky Italia è la pay tv italiana controllata al 100% da News Corporation.
Nata nel 2003, offre attualmente più di 190 canali tematici con una ricca offerta
di cinema, sport, news, intrattenimento e programmi per bambini.
L’Advisory Board
Dal 2011 la Fondazione Pubblicità Progresso ha un Advisory Board: alcune
personalità di settori diversi sono state invitate a partecipare alla riflessione sul
futuro della coesione sociale e sul ruolo della comunicazione per migliorare la
qualità della vita delle persone e della comunità.
Hanno aderito alla proposta numerose personalità del mondo della cultura, della
formazione, dell’arte, delle istituzioni e del giornalismo:
Aldo Bonomi, Mario Boselli, Ferruccio De Bortoli, Michele De Lucchi, Domenico De
Masi, Giuseppe De Rita, Ezio Mauro, Cesare Mirabelli, Davide Rondoni, Andrea Segrè,
Marco Tarquinio, Salvatore Veca, Stefano Zamagni.
10
La collaborazione con l’università e il network Athena
L’impegno di Pubblicità Progresso per lo sviluppo della cultura della
comunicazione sociale richiede un’attività continuativa rivolta in particolare
ai giovani. Per questo, da anni Pubblicità Progresso collabora con il mondo
universitario e mantiene un canale aperto con docenti e studenti finalizzato alla
collaborazione e allo scambio. Negli anni ha dato vita a On The Move, un insieme
di iniziative per i giovani, e al network Athena.
On The Move è un contest destinato agli studenti che affronta ogni anno un tema
differente ma è anche un road show che prevede una serie di incontri in atenei
di diverse città. Grazie a queste iniziative Pubblicità Progresso si confronta
con studenti e docenti, approfondisce temi, strumenti, tecniche, linguaggi della
comunicazione sociale, raccoglie idee per progetti futuri. Dal 2007 ad oggi
Pubblicità Progresso è stata presente in decine di atenei e ha incontrato migliaia
di giovani.
Athena è un network nato nel 2011 che oggi vede la collaborazione di
oltre 70 docenti che insegnano in tante università italiane. I membri del
network contribuiscono con idee, suggerimenti e stimoli alla crescita di una
comunicazione sempre più consapevole e responsabile. Inoltre partecipano a
incontri in cui vengono discusse le attività da realizzare e approfonditi argomenti
legati al futuro della formazione e della comunicazione sociale.
11
Docenti del network Athena
Ruben Abbattista, IED Torino - Giovanna Abbiati, Pontificia Università Regina Apostulorum Tindara Addabbo, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia - Gianna Angelini, Università
degli Studi di Macerata - Paolo Anselmi, Università Cattolica di Milano - Alessandro Antonietti,
Università Cattolica di Milano - Stefania Antonioni, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo Sabrina Benenati, Università degli Studi di Siena - Roberto Bernocchi, NABA, Università IULM
Milano - Carla Bertolo, Università degli Studi di Padova - Marco Binotto, Università La Sapienza
di Roma - Nicoletta Bosco, Università degli Studi di Torino - Andrea Calamusa, Università
degli Studi di Pisa - Saveria Capecchi, Università Alma Mater Studiorum di Bologna - Anna
Laura Carducci, Università degli Studi di Pisa - Patrizia Catellani, Università Cattolica di Milano
- Tiziana Cavallo, Università degli Studi di Verona - Marco Centorrino, Università degli Studi
di Messina -Christian Chizzoli, Università Bocconi - Stefano Cianciotta, Università degli Studi
di Teramo - Emilio Conti, Università IULM, Milano - Alberto Contri, Università IULM, Milano Christian Corsi, Università degli Studi di Teramo - Maurizio Corte, Università degli Studi di Verona
- Stefano Del Frate, Politecnico di Milano - Maddalena della Volpe, Università S.O. Benincasa,
Napoli - Marco Deriu, Università Cattolica di Milano - Piero Dominici, Università degli Studi
di Perugia - Gea Ducci, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo - Franca Faccioli, Università
La Sapienza di Roma - Damiano Felini, Università degli Studi di Parma - Francesca Forno,
Università degli Studi di Bergamo - Giovanna Gadotti, Università degli Studi di Trento - Andrea
Gaggioli, Università Cattolica di Milano - Marisa Galbiati, Politecnico di Milano - Guendalina
Graffigna, Università Cattolica di Milano - Marco Gui, Università degli Studi Milano Bicocca Renata Kodilja, Università degli Studi di Udine, sede di Gorizia - Mariapaola La Caria, Università
degli Studi di Padova - Pina Lalli, Università Alma Mater Studiorum di Bologna - Alessandro
Lanteri, Università degli Studi di Trento - Guido Legnante, Università degli Studi di Pavia - Luisa
Leonini, Università degli Studi di Milano - Marco Livi, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
- Mario Magagnino, Università degli Studi di Verona - Valerio Melandri, Università di Bologna,
sede di Forlì - Vittorio Montieri, Università degli Studi di Padova - Pierluigi Musarò, Università
Alma Mater Studiorum di Bologna - Lucia Musselli, Università degli Studi di Milano - Nando
Pagnoncelli, Università Cattolica di Milano - Francesca Giorgia Paleari, Università degli Studi di
Bergamo - Paola Panarese, Università La Sapienza di Roma - Paolo Paoletti, Università degli
Studi di Macerata - Paola Papakristo, Università degli Studi di Macerata - Alessandro Papini,
Università IULM di Milano - Mariaeugenia Parito, Università degli Studi di Messina - Paola
Parmiggiani, Università Alma Mater Studiorum di Bologna - Simonetta Pattuglia, Università
degli Studi di Roma Tor Vergata - Carlo Pennisi, Università degli Studi di Catania - Francesco
Pira, Università degli Studi di Messina - Barbara Pojaghi, Università degli Studi di Macerata Francesca Romana Puggelli, Università Cattolica di Milano - Massimo Ragnedda, Newcastle
University (UK) - Roberto Randazzo, Università Bocconi di Milano - Paolo Ricci, Università degli
Studi del Sannio - Stefano Rolando, Università IULM, Milano - Laura Rolle, Università degli
Studi di Torino - Vincenzo Russo, Università IULM, Milano - Rossella Sobrero, Università degli
Studi di Milano - Amanda Jane Succi, Università degli Studi di Catania - Sergio Tonfi, Università
Carlo Cattaneo LIUC, Castellanza - Stefano Traini, Università degli Studi di Teramo - Giampietro
Vecchiato, Università degli Studi di Padova - Francesca Zajczyk, Università degli Studi Milano
Bicocca - Roberto Zaccaria, Università degli Studi di Firenze - Stefano Zamagni, Università
Alma Mater Studiorum di Bologna
PRIMA PARTE
Spreco alimentare: il contributo degli esperti
13
Educazione e spreco alimentare
di Andrea Segrè
Fondatore Last Minute Market
I dati mondiali su fame e obesità da una parte, perdite e sprechi alimentari
dall’altra sono inquietanti. Quasi un miliardo di sottonutriti, oltre un miliardo di
ipernutriti, un miliardo e trecento milioni di tonnellate alimentari perdute lungo
le filiere che potrebbero sfamare due miliardi di esseri umani secondo le stime
della FAO. Non solo in termini assoluti, ma anche se misurati in termini di
impatti: spesa sanitaria, lavoro, varie impronte o tracce sull’ambiente (ecologica,
carbonica, idrica). Solo per citare un dato, lo spreco di alimenti è il terzo produttore
mondiale di anidride carbonica. È come se il valore del cibo si fosse ribaltato, non
solo lungo la catena agroalimentare. Non è più positivo, ma negativo. Del resto
il valore del cibo sprecato a livello mondiale vale quanto il prodotto interno lordo
della (ricca) Svizzera: 750 miliardi di dollari.
Allora potremmo anche chiederci se ha un senso aumentare la produzione di
cibo per una popolazione mondiale in forte crescita demografica (più 60/70%
di produzione per sfamare i 9 miliardi di stomaci previsti per il 2050) se poi una
parte rilevante della produzione stessa – un terzo sempre secondo le stime FAO
– non raggiunge mai le tavole?
Siamo ciò che mangiamo, lo ripetiamo pedissequamente dai tempi di Feuerbach
(pare), ma sappiamo cosa mangiamo, cosa gettiamo via di ancora buono e
soprattutto perché?
È vero, inutile negarlo. Noi consumatori, etimologicamente dei distruttori, non
sappiamo più bene cosa mangiamo, e a monte cosa comperiamo, e perché
(a valle) buttiamo via tanto cibo ancora buono, sprechiamo. Per questo ho
proposto altrove con riferimento a questo atto che include la distruzione di tutti i
beni, non solo quelli alimentari, una parola assai più appropriata. Il consumatore
deve essere, considerarsi, chiamarsi ed essere chiamato “fruitore”. Fruire un
bene è ben diverso dal consumarlo, portandolo a termine (altro significato di
consumare). Fruire vuol dire godere, soprattutto nel senso di avere, giovarsi
di qualcosa o averne la disponibilità. Perfetto per il cibo – peraltro si accosta
14
al latino fructus, frutto – perché la fruizione si lega alla disponibilità e anche,
in definitiva, a un diritto: fruire vuol dire infatti trarre giovamento da qualcosa
avendone diritto. Il diritto al cibo, come ho cercato di spiegare altrove, “buono e
giusto”, deve essere non solo riconosciuto – come è di fatto nella Carta dei diritti
umani – ma anche garantito.
Tuttavia il passaggio dal consumare al fruire implica un “salto” culturale
importante, che non può prescindere dall’educazione, un’educazione con
almeno tre aggettivazioni: alimentare e ambientale e civica. Mi fermerò, qui,
ad accennare alla prima. Dobbiamo educare, dal latino ex-ducere “tirare fuori”,
invece di “mettere dentro” la pancia cibi cattivi o “inculcare” nutrienti dannosi.
Dobbiamo appunto tirare fuori il meglio del cibo, il suo valore. Ecco perché lo
spreco rappresenta una prospettiva importante: se sprechi il cibo vuol dire che
non gli dai valore.
Del resto, gli alimenti devono soddisfare un bisogno fondamentale dell’uomo, non
un desiderio. Alimentarsi bene, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo
– è la classica distinzione anglosassone fra food security e food safety – è un
diritto. Compito dell’educazione alimentare è di “tirare fuori” questo diritto che è
anche un dovere e un valore, per evitare che venga invece sommerso da un’onda
di disvalori o controvalori imposti dall’esterno, dalla pubblicità, dal marketing,
dalle influenze sociali, dalle mode. E poi, ovviamente, dalla povertà economica e
da quella alimentare. Sono i più poveri ad essere i più grassi, perché malnutriti.
Sembra un paradosso ma è così. La malnutrizione non è soltanto sotto o
denutrizione. È mangiare male, anche troppo.
Allora la domanda che ci possiamo porre è: mangiamo per vivere o viviamo per
mangiare? Un bel dilemma rispondere a questa domanda. Così come basta
cambiare una vocale fra sei (essere) e sai (sapere) che il famoso detto attribuito
al filosofo Ludwig Feuerbach, “sei ciò che mangi”, si trasforma nell’interrogativo
“sai cosa mangi”? E, per estensione, sai cosa sprechi?
A queste e ad altre domande risponde appunto l’educazione alimentare.
Dobbiamo (ri)scoprire e (ri)valorizzare la nostra cultura alimentare, la
consapevolezza del rapporto cibo-salute, cibo-ambiente, cibo-relazione.
Adottare comportamenti alimentari sani, lavorare sulla qualità degli alimenti, far
conoscere il funzionamento del sistema agroalimentare, promuovere forme di
prevenzione contro lo spreco di cibo. Sono, questi, soltanto alcuni disordinati
paragrafi di un più vasto libro di educazione alimentare (poi ambientale e civica).
Non basta dire: “mangiate più frutta e verdura”, occorre rendere partecipi e
responsabili gli individui, tutti quanti, della ricchezza del cibo e del suo valore
multiplo. Anche perché il rapporto con il cibo (non patologico) e l’alimentazione
sono comportamenti che hanno una funzione identitaria. Le pratiche alimentari
manifestano infatti l’adesione individuale ad un preciso stile di vita, e quindi più
15
che mai oggi, occorre lavorare sul tema dell’educazione al cibo per prevenire
usi e abusi di junk food, snack, diete ipercaloriche e così via. L’informazione è la
premessa dell’educazione e un insieme di conoscenze corrette può sicuramente
chiarire perché certe diete o stili alimentari sono nocivi.
Ma come si può procedere? Conoscendo per esempio il ruolo che le influenze
esterne hanno, soprattutto sui bambini e gli adolescenti, nella costruzione di
repertori alimentari individuali, ovvero quell’insieme di preferenze, avversioni,
atteggiamenti e credenze verso il cibo, qualità e stili di consumo alimentare.
L’influenza dei genitori sui figli è una di quelle maggiormente studiate dalla
psicologia sociale. Essi assumono il ruolo di “guardiani” dei canali di accesso
al cibo (per esempio l’acquisto), secondo il cosiddetto “effetto stampino”. Si
tratta di un controllo diretto sulla disponibilità e accessibilità di cibi in casa e
questo effetto, secondo le ricerche, influenza significativamente in positivo il
consumo di frutta e verdura da parte di pre-adolescenti. D’altra parte, la funzione
di gatekeeper dei genitori può risultare essenziale per evitare di tenere in casa
cibo spazzatura e snack poco sani. È proprio vero che l’educazione alimentare
comincia in famiglia.
Questo è solo un esempio per capire come il tema dell’alimentazione e della
promozione di stili di vita sani sia fondamentale. Inoltre, tutto ciò può avere,
anzi ha, delle ricadute applicative importanti in termini di progettazione di
percorsi educativi alla salute e di prevenzione: attraverso i sensi, per valorizzare
le caratteristiche sensoriali dei cibi, e le conoscenze, per diffondere i principi
fondamentali della nutrizione, del cibo, delle etichette...
Allora educhiamo e impariamo, sin da piccoli e attraverso i più piccoli, a gustare
e nutrirci in maniera semplice: in un’ottica applicativa e di prevenzione, ne vale
comunque la pena.
Non sprecare è dunque un’azione preliminare, la prima: primo, non sprecare. Le
altre devono seguire diventando, per analogia, dei veri e propri “comandamenti”.
Andrea Segrè dirige il Dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari
dell’Università di Bologna dove insegna politica agraria internazionale e comparata.
È fondatore dello spin off accademico Last Minute Market e presidente del Centro
AgroAlimentare di Bologna dove ha ideato il parco tematico agroalimentare (Fabbrica
Italiana Contadina). Nel luglio 2014 è stato nominato dal Ministro dell’Ambiente
presidente del Comitato tecnico-scientifico del programma nazionale di prevenzione
rifiuti e spreco alimentare. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Economia a colori
per Einaudi (2012), Vivere a spreco zero per Marsilio (2013), Spreco per Rosenberg &
Sellier (2014), Primo non sprecare per Corsivi del Corriere della Sera (2014), L’oro nel
piatto con Simone Arminio per Einaudi (2015). www.andreasegre.it
16
Lotta allo spreco, un obiettivo comune
di Carlo Petrini
Presidente Slow Food
Esiste un’assuefazione alle dichiarazioni epocali? Temo di sì, e credo che si accompagni ad una assuefazione ai grandi numeri.
Un passo indietro: chi ha il compito di informare e sensibilizzare il cittadino a
proposito dei grandi problemi planetari, come lo spreco alimentare?
Qui c’è una prima questione: perché quello che io in questo momento chiamo
Cittadino, solitamente viene chiamato Consumatore, ed è il destinatario di un
tipo di comunicazione, molto più frequente e parimenti autorevole, che presenta
lo stesso livello di legalità e lo stesso grado di cittadinanza di quella che chiamiamo “pubblicità sociale”.
Ancora un passo indietro: spesso vengono identificati i messaggi di carattere sociale o etico con il nome di Pubblicità Progresso, ci siamo chiesti come mai? Appare un logo, in coda ad uno spot, una P bianca su fondo azzurro e ci spieghiamo
la ragione di quel messaggio che non aveva cercato di venderci nulla. Ci aveva
esortato alle buone maniere, o a considerare il pagamento delle tasse come un
dovere civile, ma non ci aveva spinto all’acquisto di nessun oggetto. Ah, ecco, è
una campagna sociale, adesso è tutto chiaro, passiamo al prossimo spot.
Non sarà che, tra chi fa o tra chi guarda la pubblicità sociale, si trova ben radicata
– sebbene non esplicitata – l’idea che invece quell’altra, la pubblicità tout-court,
non ha molto a che fare con il “progresso”?
L’inciviltà del vendere e comprare – sempre e comunque – fa parte delle nostre
vite quotidiane e non ce l’abbiamo nemmeno più la soglia per percepirla. Se le
campagne sociali di Pubblicità Progresso (ma non solo) sono passate senza
inciampare in querele da parte di chi fa pubblicità e basta, è perché c’è un substrato culturale comune nel quale si dà per assodato che dall’altra parte progresso non ce n’è. E questo è bene, perché possiamo provare ad esplicitare questo
17
sentimento, e a metterlo a frutto.
Dello spreco alimentare non si è parlato per molto tempo. Un po’ perché non c’erano dati a illustrare le tonnellate di cibo edibile perso dalla produzione alle case
(estremi inclusi), un po’ perché c’è voluto tempo – e l’aiuto della globalizzazione,
che serve anche a capire fenomeni non solo a spostare merci e persone – prima
che ci rendessimo conto che quelle che, con un sentito quanto generico scandalo, ci parevano “assurdità” erano invece elementi legati da un nesso di causa ed
effetto. I bambini obesi e quelli che morivano di fame. L’abbondanza di risorse
naturali in paesi immersi nella miseria. L’infelicità di fondo delle società ricche.
L’impiego di denaro pubblico e privato per malattie causate dal benessere. La
mancanza di denaro pubblico e privato per portare benessere dove non ce n’è. Il
cambiamento climatico causato dai ricchi che crea vittime prevalentemente tra
i poveri. E si potrebbe continuare.
Oggi però se ne parla molto e il rischio, ritorno da dove sono partito, è che diventi un rumore di sottofondo per le nostre coscienze, che ci si abitui, in qualche
modo, a quell’idea insopportabile. Come ci siamo, in qualche modo abituati, all’idea delle persone che muoiono per fame o che vivono avendo costantemente
fame, come ci siamo abituati all’idea che si muoia – qui, a casa nostra, tra i
nostri amici – per ragioni connesse con la qualità dell’aria che respiriamo o del
costosissimo (in termini diretti e indiretti) cibo che mangiamo.
Allora, torniamo alle nostre domande: a chi tocca comunicare sul tema degli
sprechi? Sarà sensato, ed efficace, e saggio, e opportuno, e “degno di una civiltà
moderna” mantenere divisi i campi di chi comunica per il progresso e di chi – “invece”? – comunica per vendere?
Tra chi costantemente ci esorta all’acquisto di cibo e bevande che il nostro organismo – così come il nostro pianeta – non è programmato per smaltire e chi
ci esorta a riflettere sul fatto che un terzo di quel che viene prodotto non tocca
mai il piatto di nessuno e finisce – prima o poi – ancora “buono da mangiare”, in
una discarica?
Non dovrebbero, tutti coloro che ritengono di produrre cibo, assicurarsi che il loro
prodotto non vada sprecato e a sua volta non sprechi risorse, energia, denaro,
tempo, futuro, salute pubblica e pubblica bellezza?
Non dovremmo, noi cittadini, considerare inammissibile che da tutto quello spreco di beni comuni, da tutto quel danno, qualcuno tragga profitto? Non dovremmo finalmente mettere a fuoco la nostra sotterranea convinzione che quella sia
esattamente la negazione dell’idea di progresso?
Il progresso dell’umanità non può essere compito solo di qualcuno; la lotta allo
18
spreco deve essere un obiettivo comune, e devono farsene carico, per primi,
quelli che dallo spreco alimentare, da decenni, traggono profitto. Ben vengano le
campagne sociali, dunque, ma mobilitiamoci innanzitutto per individuare, nella
cosiddetta comunicazione commerciale, gli affascinanti e ripetuti inviti a sprecare, quanto più possibile, in nome di un malinteso benessere che, lo sappiamo
perfettamente, è il contrario dell’idea di progresso.
Carlo Petrini, nato nel 1949, è Presidente di Slow Food, associazione internazionale
originatasi nel 1989 dalla preesistente Arcigola. Dalle sue idee sono nate la prima
Università di Scienze Gastronomiche e la rete di Terra Madre. Nel 2004 la rivista
“Time Magazine” gli attribuisce il titolo di “Eroe Europeo”, mentre nel gennaio
2008 compare, unico italiano, tra le “50 persone che potrebbero salvare il mondo”
nell’elenco redatto dal quotidiano “The Guardian”. Nel settembre 2013 viene insignito
del Premio “Campioni della Terra”, per la categoria “Creatività e Intraprendenza”, la
più alta onorificenza al merito ambientale delle Nazioni Unite. Editorialista di “La
Repubblica” e collaboratore de “L’Espresso”, ha pubblicato l’Atlante delle vigne di
Langa (Slow Food Editore 1990), Le ragioni del gusto (Laterza 2001), Buono, Pulito
e Giusto, Principi di nuova gastronomia (Einaudi 2005), Terra Madre, Come non farci
mangiare dal cibo (Giunti 2009), Gente di Piemonte (Espresso 2010) e Cibo e libertà.
Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione (2013). www.slowfood.it
19
Povertà e spreco alimentare: quali risposte dal
secondo welfare1?
di Chiara Lodi Rizzini e Lorenzo Bandera
Ricercatori progetto Percorsi di secondo welfare
Nonostante se ne parli poco, la povertà alimentare rappresenta attualmente uno
dei problemi più gravi per il nostro Paese. Le ultime rilevazioni dell’Istat indicano
come circa 6 milioni di persone in Italia si trovino oggi nello stato di povertà
assoluta, incapaci cioè di acquistare beni e servizi necessari al mantenimento
di uno standard di vita considerato minimamente accettabile. Tale situazione
sta mettendo duramente alla prova le organizzazioni che operano a sostegno
dei più deboli, chiamate a rispondere a richieste di aiuto sempre più pressanti.
Il numero di coloro che si sono dovuti rivolgere a enti caritativi per far fronte alle
proprie esigenze alimentari, ad esempio, tra il 2010 e il 2012 è aumentato del
33.4% arrivando a toccare quota 3.686.942 persone (Agea 2013). Al contempo, il
volume di cibo sprecato resta paradossalmente molto alto: secondo il Rapporto
2014 Waste Watcher - Knowledge for Expo, ogni anno più di 8 miliardi di euro di
cibo vengono gettati nella spazzatura. Di fronte a questo problema, e in vista
di Expo 2015, il laboratorio Percorsi di secondo welfare ha scelto di lanciare un
focus speciale dedicato al tema della povertà alimentare e agli strumenti atti a
contrastarla 2. Quali risultati emergono?
L’aumento e la diversificazione di rischi e bisogni legati alla povertà alimentare
sta determinando significativi cambiamenti nelle modalità di risposta da parte
delle organizzazioni impegnate su questo fronte. In particolare, si registra la
nascita di esperienze di secondo welfare – sottoforma di supermercati solidali,
o empori sociali – che si vanno affiancando a quelle più tradizionali. Si tratta di
progetti che introducono una serie di novità relativamente alle forme di aiuto
(passaggio dal pacco spesa/mensa all’acquisto diretto dei prodotti da parte
del beneficiario attraverso un sistema a punti; offerta di servizi socio-sanitari,
1 Il “secondo welfare” raggruppa tutte quelle forme di welfare privato, delle associazioni etc. che non
si sostituisce a quello pubblico ma ne integra i servizi.
2 Disponibile al link http://secondowelfare.it/poverta-alimentare/focus-poverta-alimentare.html
20
sportello lavoro etc.) e che vedono una collaborazione virtuosa tra pubblico,
privato e terzo settore.
Per quanto riguarda la gestione dei progetti resta infatti centrale il ruolo delle
organizzazioni di volontariato, mentre gli enti locali sempre più spesso collaborano
in maniera più o meno diretta co-partecipando alla gestione o mettendo a
disposizione locali o risorse. Molti privati, appartenenti principalmente al settore
della distribuzione alimentare e della ristorazione, dal canto loro provvedono
all’approvvigionamento dei prodotti donando ciò che non è più commerciabile
per difetti di confezionamento, eccedenze o scadenza immediata. In questo
modo tali prodotti non vengono buttati, ma convertiti in una risorsa per chi ha
più bisogno.
I cibi invenduti, insieme all’eccesso di acquisti, costituiscono la principale fonte
di spreco in Italia. Per questo motivo si stanno sviluppando sperimentazioni
atte a favorire il recupero dei prodotti invenduti che coinvolgano non soltanto le
grandi aziende ma anche i piccoli esercenti. Molti imprenditori del commercio
alimentare e della ristorazione si dichiarano infatti disponibili a offrire la merce
non venduta o non consumata, ma si scontrano con difficoltà logistiche e
burocratiche. Sia ben chiaro, non parliamo di scarti ma di eccedenze, ovvero
cibi freschi o cucinati non serviti che conservano ancora tutta la loro qualità da
un punto di vista igienico e nutrizionale, e che pertanto possono essere ancora
consumati.
Il contrasto allo spreco e alla povertà alimentare si sta inoltre allargando a una
fetta crescente di privati cittadini, in primo luogo attraverso la ricerca di nuove
modalità di approvvigionamento. Pensiamo all’espansione dell’agricoltura
urbana, fenomeno che sta trasformando una pratica individuale in una strategia
di urban policy destinata a co-determinare – insieme alle politiche relative ai
trasporti e all’ambiente – la sostenibilità delle città future. O al boom dei GAS,
gruppi di persone che decidono di unirsi per acquistare prodotti alimentari
individualmente troppo costosi e per ricercare un consumo sostenibile non
soltanto economicamente ma anche dal punto di vista sociale e ambientale.
All’adozione di comportamenti e iniziative che come detto limitino gli sprechi, o
meglio, li trasformino in risorse, un aiuto importante può arrivare dall’uso delle
nuove tecnologie, come dimostra il recente sviluppo di app e piattaforme online
finalizzate a contrastare lo spreco alimentare da parte di cittadini e di esercizi
commerciali.
Tentativi ancora in fase di rodaggio che difficilmente da soli potranno risolvere
21
la questione della povertà, ma che possono però facilitarne il contrasto, in
particolare offrendo l’opportunità di generare (o rigenerare) rapporti e relazioni
che favoriscano sia la condivisione del cibo tra vicini, sia la connessione con
realtà che sostengono i più poveri, in un periodo storico in cui le relazioni,
soprattutto se di vicinanza, sono sempre più deboli.
Chiara Lodi Rizzini, laureata in Amministrazione e Politiche Pubbliche presso
l’Università degli Studi di Milano, entra a far parte del Laboratorio di Percorsi di
secondo welfare nel dicembre 2012. Dopo essersi occupata principalmente di
innovazione del welfare locale e social housing (di cui ha curato i rispettivi capitoli
del “Primo Rapporto sul secondo welfare in Italia”), ha esteso la propria area di ricerca ai
temi dell’equilibrio e dell’inclusione sociale, con particolare attenzione alle politiche
giovanili e alle politiche di contrasto alla povertà alimentare.
Lorenzo Bandera, laureato in Scienze Politiche e di Governo delle Autonomie Locali
presso l’Università degli Studi di Milano, da marzo 2012 collabora con il Laboratorio
Percorsi di secondo welfare, per cui cura la comunicazione e svolge diverse
attività di ricerca. Si occupa in particolare di terzo settore (con focus sul mondo
delle Fondazioni), finanza sociale e welfare territoriale. Recentemente ha iniziato a
occuparsi dei temi legati alla povertà alimentare.
SECONDA PARTE
Strumenti, iniziative e campagne
Verdura, avanzi di cibi cotti, frutta e pane sono gli alimenti che più spesso finiscono nella spazzatura. Ridurre gli sprechi è la grande sfida a cui tutti sono inviatati
a contribuire. Tante sono le iniziative per evitare lo spreco di cibo messe in atto
dai diversi attori sociali anche se c’è ancora molto da fare.
I cittadini sono chiamati a cambiare abitudini alimentari: non bastano buona volontà e progetti originali, ma sono necessarie anche tecnologia, innovazione e
condivisione.
In questa sezione vengono presentati alcuni strumenti (app, piattaforme web,
video) progettati per facilitare la riduzione degli sprechi; alcune iniziative territoriali messe in atto da associazioni che si occupano di raccolta e ridistribuzione
di cibo; alcune iniziative istituzionali realizzate da organizzazioni ed enti pubblici
per sensibilizzare imprese e cittadini sull’importanza del tema. Infine vengono
presentate alcune campagne internazionali per sensibilizzare i cittadini.
23
Strumenti
Breading
Breading è una app realizzata da una startup a vocazione
sociale (Breading), nata dalla volontà di un gruppo di giovani
under 30, mossi dal desiderio di contribuire al miglioramento del
terzo settore in Italia. L’applicazione, distribuita gratuitamente,
permette una maggiore e più semplice interazione tra panifici, bar,
GDO e associazioni non profit. Il sistema si propone da un lato di ridurre l’avanzo
alimentare di fine giornata, dall’altro di ridestinare tale avanzo alle associazioni
del terzo settore che possono così distribuirlo ai loro beneficiati. L’app, attraverso
un semplice sistema basato sui concetti di geolocalizzazione e prossimità,
permette all’esercente di segnalare la quantità di avanzo a fine giornata. L’input
viene quindi trasferito alla piattaforma che si occupa di smistare le segnalazioni
ricevute inoltrandole per mezzo di alerts alle associazioni più vicine.
Give your calories
Anche in questo caso si tratta di una app per smartphone. È stata
sviluppata dall’associazione internazionale Action Against Hunger
e funziona in modo molto intuitivo: l’utente fotografa il cibo che
sta mangiando, l’app lo identifica (e se non riesce a farlo, ciascun
utente può provvedere ad aggiungere il nome dell’alimento) e lo
converte in denaro che viene devoluto in beneficenza a organizzazioni umanitarie
impegnate nella lotta contro la fame.
Last minute sottocasa
I negozianti, attraverso il sistema, possono mettere in vendita
a prezzi convenienti la merce fresca che rischia di avanzare. Le
persone iscritte possono approfittarne con vantaggi per le loro
tasche e per il pianeta. Il meccanismo è semplice. Gli iscritti
24
indicano a quale distanza da casa loro (o dall’ufficio o dalla casa di vacanza)
deve essere collocato il negozio e da quali tipologie di negozio (panetteria,
gastronomia, pescheria, macelleria etc.) vogliono ricevere le proposte d’acquisto.
Quando il negoziante mette in vendita la merce, gli utenti ricevono in tempo reale
l’offerta per le categorie indicate e possono recarsi nei negozi più vicini per fare
la spesa.
I food share
Si tratta di una piattaforma web inventata da quattro giovani
siciliani di Caltagirone. Gli utenti registrati (privati, rivenditori e/o
produttori) possono offrire liberamente e gratuitamente prodotti
alimentari in eccedenza. Il sistema permette a donatori e beneficiari
di mettersi in contatto tramite un sistema di messaggistica per
concordare le modalità di consegna o ritiro.
S-Cambiacibo
Anche in questo caso si tratta di un sistema che consente agli
iscritti di condividere ciò che altrimenti sarebbe buttato. L’utente
fotografa il prodotto indicando la data di scadenza. Una mappa
geolocalizza il prodotto e, via mail, mette in contatto chi offre
con chi cerca. L’idea è nata da sette ragazzi di Bologna, tutti
sotto i trent’anni, che aiutano così la realizzazione di un “frigorifero comune” per
imparare a condividere, oltre alle biciclette o le automobili, anche il cibo.
Don’t play with food
La campagna, sviluppata nel 2014, si articola in cinque spot
realizzati da studenti del terzo anno della Civica Scuola di Cinema
di Milano. Alcuni di questi hanno visto la partecipazione di un ospite
d’eccezione: Giobbe Covatta. Tre spot, che chiudono con alcuni
dati sullo spreco alimentare in Italia e l’intervento dell’attore, sono
fondati sul concetto: Le cose importanti non le sprecheresti mai. E allora perché
sprechi il cibo? Per esempio, nel primo spot una ragazza si sta struccando, toglie
gli orecchini e li butta distrattamente nel water, oppure nel secondo un ragazzo
raccoglie la tovaglia su cui sono appoggiate delle banconote e la scuote dalla
finestra. In un altro spot viene presentata una tavola imbandita ma racchiusa
in una teca di vetro che la isola dal deserto: non tutti si possono sedere a quella
tavola, perché molto cibo viene sprecato.
25
Iniziative territoriali
Refood
Il progetto nasce a Lisbona nel 2011, per iniziativa di un
sessantenne rimasto improvvisamente senza lavoro. Il progetto
ha come obiettivo quello di traghettare le quantità di cibo in
eccesso da abitazioni, ristoranti, supermercati, verso soggetti
non in grado di provvedere al proprio sostentamento. Hunter
Halder, questo il nome dell’ideatore, ha iniziato a farlo di persona, raccogliendo
porta a porta i prodotti alimentari e consegnandoli a domicilio con l’aiuto di una
bicicletta: oggi il progetto sfama circa 300 persone al giorno e coinvolge una rete
di altrettanti volontari, che raccoglie il cibo in eccesso da ristoranti, bar e panifici
di quartiere.
Pasto Buono
Simile alla precedente è l’iniziativa italiana Pasto Buono, ossia un
pasto garantito per chi non ha la possibilità di averlo ogni giorno.
Nata a Genova nel 2007, è una risposta concreta agli sprechi
alimentari promossa da Qui Foundation. Il progetto ha avuto
grande successo: solo nel 2012 Pasto Buono ha consentito di
donare circa 50.000 pasti e proprio grazie a questo risultato si sta diffondendo
in tutta Italia. Pasto Buono ha una sua rete di punti di ristorazione aderenti e
contrassegnati da una vetrofania che è anche un invito: “In questo esercizio
doniamo ogni sera il cibo invenduto alle persone bisognose. È la cosa buona da
fare”.
Banco alimentare
È una delle associazioni più conosciute in Italia, nata nel 1989 e
che coinvolge circa 1.400 volontari. Il Banco recupera i prodotti
alimentari attraverso quattro principali fonti di approvvigionamento
26
che donano le proprie eccedenze: l’Unione Europea, l’industria alimentare, la
Grande Distribuzione Organizzata, la ristorazione collettiva. Nel 2013 sono state
recuperate 62.826 tonnellate di alimenti, oltre a 790.912 piatti pronti. Tra le molte
attività promosse dal Banco, SITICIBO ha lo scopo di recuperare il cibo cotto
e fresco in eccedenza nella ristorazione organizzata (hotel, mense aziendali
e ospedaliere, refettori scolastici, esercizi al dettaglio etc.) e le eccedenze
alimentari dai punti vendita della Grande Distribuzione Organizzata. Ogni anno
viene organizzata “La giornata della colletta alimentare”, a cui partecipano
migliaia di persone con donazioni di cibo. Anche in questo caso i risultati sono
importanti: nel 2014 sono state donate 9.201 tonnellate di alimenti.
Buon Fine
È un progetto di Coop Lombardia che parte dalla considerazione
che tutti i giorni la grande distribuzione genera volumi ingenti
di prodotti alimentari che vengono ritirati dagli scaffali ancora
perfettamente integri e commestibili ma che, per scadenza
ravvicinata o confezione esterna ammaccata, non possono
essere messi in vendita.
Il progetto dona questi prodotti ad associazioni non profit che operano in
prossimità dei vari punti vendita e che, a loro volta, li utilizzano per realizzare pasti
quotidiani per i loro assistiti. In questo modo si realizza una “filiera virtuosa” a km
zero contro lo spreco alimentare, sostenendo direttamente le realtà associative,
le cooperative sociali, le parrocchie e gli enti caritatevoli presenti nel territorio.
Buon Fine significa quindi solidarietà e riduzione dello spreco di cibo, e
contemporaneamente attenzione all’ambiente perché si riducono i rifiuti da
smaltire.
Un anno contro lo spreco
È un’iniziativa del Gruppo Granarolo articolata su più fronti: “Pillole
anti-spreco” e “Ricette antispreco”.
Nel caso delle “Pillole” l’azienda, attraverso brevi messaggi sulle
bottiglie di latte (lo standard sono i 140 caratteri di un tweet),
invita i consumatori a riflettere su semplici gesti utili a ridurre lo
spreco alimentare. I messaggi riportati sulle bottiglie sono riproposti anche su
Facebook.
Le “Ricette”, invece, sono inserite sulle confezioni dei formaggi per suggerire
idee su come utilizzare i prodotti in scadenza. Granarolo ha poi promosso una
importante campagna di “ricette anti-spreco” sul proprio sito www.granarolo.it,
con il coinvolgimento di chef famosi e grandi pasticceri italiani.
27
La tua ricetta per salvare il pianeta
L’ideazione e la diffusione di buone pratiche ecosostenibili anche in
cucina è l’obiettivo dell’iniziativa La tua ricetta per salvare il pianeta,
che vede unite Auchan e WWF. Attraverso un sito dedicato, gli
appassionati di cucina amici dell’ambiente potevano inviare la
propria ricetta realizzata con scarti e avanzi. Le ricette selezionate
da Lisa Casali, eco-foodblogger ed esperta di cucina sostenibile, sono state
raccolte in un Libro di ricette antispreco e presentate in occasione della Giornata
Mondiale dell’Alimentazione. L’iniziativa s’inserisce nel progetto Insieme contro
gli sprechi, avviato da Auchan per promuovere, sempre con il WWF, iniziative di
sensibilizzazione del consumatore sui temi della riduzione dello spreco alimentare
in ambito domestico. Sempre sullo stesso tema il Gruppo Auchan ha realizzato,
nell’anno 2013-14, il concorso NON SPRECARE? MI PIACE!, promosso in
collaborazione con SCUOLA CHANNEL, rivolto alle classi della scuola primaria e
secondaria di I grado, che invitava i ragazzi a individuare momenti di spreco nella
vita quotidiana e a “convertirli” in occasioni di buon utilizzo di tutte le risorse.
Frutta urbana
È il primo progetto italiano di mappatura, raccolta e distribuzione
della frutta che cresce nei parchi e nei giardini di città. Creato
dall’associazione non profit Linaria, prevede la distribuzione
gratuita a banchi alimentari o a mense sociali, la realizzazione di
nuovi frutteti per contribuire ad arricchire con nuove proposte e
funzioni lo spazio pubblico urbano, insieme ad attività, eventi, corsi e laboratori.
È un progetto complesso, in costante evoluzione, che offre alla collettività un
servizio innovativo, ecologico e gratuito, ma anche un’opportunità di conoscenza
e cura del nostro patrimonio botanico.
#Sprecomenounquarto
Flash mob di Acea e Nova Coop contro lo spreco alimentare.
Protagonisti dell’iniziativa sono gli studenti delle scuole secondarie
di secondo grado di Pinerolo. Il Centro Commerciale “Le Due Valli”
è il palcoscenico. Moltissimi prodotti alimentari appena acquistati
scivolano dalla galleria del primo piano su lunghi teli bianchi,
precipitando all’interno di cassonetti per i rifiuti. Tutti sono pronti a puntare il dito
contro lo spreco, quando si materializza uno stuolo di ragazzi che raccolgono i
prodotti dal cassonetto e imbandiscono una tavola, invitando tutti i presenti a
consumare una merenda contro lo spreco. Il via al flash mob è stato assicurato
da classi di bambini delle scuole primarie, che hanno fatto esplodere all’unisono
un palloncino, richiamando così l’attenzione.
28
Iniziative istituzionali
Il cibo che vogliamo
La fame ai tempi dell’abbondanza: la campagna FoodWeWant
promuove l’agricoltura familiare e i sistemi agroalimentari sostenibili
come soluzione per sconfiggere la fame, combattere la povertà,
contrastare il cambiamento climatico. Ma soprattutto per condividere
idee, promuovere soluzioni comuni, incoraggiare un dibattito
pubblico sul futuro del cibo. La campagna, finanziata dall’Unione Europea, si svolge
in otto paesi: Italia, Polonia, Portogallo, Spagna, Gran Bretagna, Kenia, Mozambico,
Tanzania. L’iniziativa per superare un modello che condanna un miliardo di persone
alla fame vede la partecipazione attiva di alcune organizzazioni: Fundación
IBO, Spagna; IGO Institute of Global Responsibility, Polonia; OikosCooperação e
Desenvolvimento, Portogallo; PENHA Pastoral and Environmental Network in the
Horn of Africa, Gran Bretagna; Università degli Studi di Milano, Facoltà di Agraria,
Italia; Muindi, Italia; Fundação IBO, Mozambico; Oikos East Africa; MPIDO Mainyoito
Pastoralist Integrated Development Organization, Kenia.
Osservatorio Waste Watcher
Waste Watcher è il primo osservatorio permanente sugli
sprechi alimentari, attivo per iniziativa dell’Università di Bologna
(Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari e
Dipartimento di Statistica) e di LastMinuteMarket: uno strumento
scientifico e al tempo stesso un veicolo di approfondimento,
informazione e comunicazione sulle cause dello spreco e sulla concreta
controproposta di “policy” di comportamento efficaci per prevenire e ridurre lo
spreco, dal cibo all’acqua all’energia, passando per farmaci, abbigliamento e
molti altri beni di consumo. Waste Watcher realizza studi e ricerche presentate
in occasioni di dibattito pubblico o diffuse con pubblicazioni periodiche o
approfondimenti tematici ad hoc.
29
Piano Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare
Il Piano Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare (PINPAS)
è promosso nell’ambito del Piano nazionale di prevenzione dei
rifiuti. Fanno parte del board, coordinato da Andrea Segrè, lo
scienziato Vincenzo Balzani, la regista Maite Carpio, l’attore Giobbe
Covatta e la scrittrice Susanna Tamaro. Il comitato ha definito il
Piano insieme a una Consulta costituita da enti, associazioni, organizzazioni
e imprese i cui “Stati generali” si sono riuniti il 5 febbraio 2014. Il PINPAS ha
definito le misure volte a ridurre la quantità di prodotti alimentari destinati al
consumo che finiscono tra i rifiuti, dove lo spreco alimentare arriva a toccare lo
0,5% del PIL.
SprecoZero
Spreco Zero è un marchio rilasciato da Last Minute Market, che
certifica l’adozione di una serie di strumenti, procedure e sistemi
di controllo i quali garantiscono un uso razionale ed efficiente delle
risorse e una gestione dei rifiuti ispirata ai principi di prevenzione,
riutilizzo e riciclo dei materiali. Spreco Zero è un obiettivo verso il
quale tendere, uno stimolo per ridurre progressivamente il consumo di risorse
e le emissioni nell’ambiente legate alle proprie attività. Qualsiasi tipo di attività
(evento, negozio, bar, ristorante etc.), comporta il consumo di risorse sotto forma
di prodotti, materiali, acqua ed energia e la produzione di scarti, rifiuti solidi,
emissioni e scarichi. Progettare o ridefinire la propria attività secondo i principi
di Spreco Zero richiede di prestare attenzione a questi aspetti, evidenziando le
criticità e valutando possibili azioni che permettano di controllare e ridurre gli
sprechi e di comunicare all’esterno le buone pratiche adottate.
Con la carta SprecoZero i comuni firmatari si impegnano ad attivare il decalogo
di buone pratiche contro lo spreco alimentare che rende operative le indicazioni
della Risoluzione del Parlamento europeo contro lo spreco. La carta è stata
sottoscritta da centinaia di Comuni, tra cui Roma, Milano, Firenze, Torino, Napoli,
Bologna, Venezia e le 64 municipalità dei Comuni Virtuosi italiani, oltre che dai
Governatori del Veneto e del Friuli Venezia Giulia.
Una Buona Occasione
Si tratta di una campagna promossa da Regione Piemonte,
Regione Valle d’Aosta e Ministero dello Sviluppo Economico
che avvicina il tema della lotta allo spreco alimentare da una
prospettiva diversa: incidere sulle cause che contribuiscono
a creare eccedenza di cibo. Il principio è quello di diffondere la
prassi commerciale di offrire in promozione alimenti in prossimità di scadenza,
30
scardinando la convinzione che si tratti di “merce di serie B” solo perché venduta
a prezzi inferiori. Se la raccolta differenziata dei rifiuti è un’attività utile, ancor
più incisive si rivelano tutte le iniziative finalizzate alla riduzione della quantità di
rifiuti a monte.
Tenga il resto
La campagna Tenga il resto è promossa dal Comune di Monza,
e realizzata in collaborazione con Confcommercio di Monza e il
Consorzio nazionale per il recupero degli imballaggi in alluminio
(CiAl), che ha fornito 100.000 vaschette recanti sul coperchio lo
slogan della campagna e i loghi dei partner. Partita nell’ottobre
2014, la campagna ha l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini contro lo spreco
alimentare e per il recupero dei pasti non completamente consumati. Nei
ristoranti della città che espongono la locandina è possibile richiedere che il
pasto non consumato venga confezionato in vaschette in alluminio da portare
a casa senza alcuna spesa aggiuntiva. L’iniziativa, ideata per sensibilizzare la
cittadinanza su importanti obiettivi come la riduzione del consumo di risorse
naturali e di energia connessi con la produzione del cibo e delle relative materie
prime e la diminuzione di rifiuto organico, è espressione dei diversi impegni
che l’Amministrazione ha recentemente assunto in materia di lotta allo spreco
alimentare e riduzione di rifiuti.
Premio Non sprecare
Il Premio “Non sprecare”, che vede la collaborazione della Luiss,
nasce da un’idea di Antonio Galdo e promuove progetti e buone
pratiche economiche e sociali che mettano in discussione il
paradigma contemporaneo dello spreco. Il Premio si rivolge a
diversi pubblici e si articola in quattro sezioni rivolte a persone,
imprese, associazioni o scuole che abbiano realizzato, nel corso dell’anno
originali e utili iniziative antispreco.
La banca dei semi
Anche se apparentemente non connessa allo spreco, ci sembra importante
ricordare questa iniziativa finalizzata a custodire la più grande varietà possibile
di sementi provenienti da ogni parte della Terra e a preservare la biodiversità
agricola. Si chiama Svalbard Global SeedVault il deposito sotterraneo globale
dei semi, che è stato creato nel 2008 sull’isola di Spitsbergenin, nell’arcipelago
artico delle Svalbard, a circa mille chilometri a nord della Norvegia continentale
(al quale appartiene politicamente). La struttura è composta da tre sale che
possono ospitare fino a 1,5 milioni di campioni ciascuna ed è gestita dal governo
31
di Oslo insieme al Global CropDiversity Trust, una fondazione che si occupa di
aumentare la sicurezza alimentare nel mondo. I semi vengono incasellati in
depositi di roccia a 120 metri di profondità e vengono conservati in un ambiente
secco, a una temperatura media di -18°C. L’area geografica è stabile dal punto
di vista geologico; il permafrost, il terreno perennemente ghiacciato tipico delle
regioni polari, funge da refrigerante naturale, aiutando il deposito a mantenere
una temperatura rigida e costante, indispensabile per salvaguardare le sementi.
Il più recente invio al deposito risale a febbraio 2014, in occasione del sesto
anniversario dell’apertura ufficiale: si tratta di 20mila varietà di semi provenienti
da Giappone, Brasile, Perù, Messico e Stati Uniti. La necessità di dar vita a un
luogo simile è dovuta a diversi problemi che stanno minacciando la biodiversità
agricola del pianeta, in un momento in cui c’è bisogno di incrementare la resa dei
raccolti a fronte di una superficie limitata destinata alle coltivazioni. Le minacce
principali alla biodiversità agricola sono la scarsità idrica, la perdita di habitat
e il cambiamento climatico. E l’unica mossa per contrastarle è salvaguardare
questa ricchezza.
32
Campagne internazionali
Les fruits et legumes moches
Intermarché, terza catena di supermercati in Francia, ha lanciato una campagna
contro lo spreco proponendo la vendita di verdure imperfette – e prodotti a base
di verdure imperfette (succhi, zuppe etc.) – a prezzo scontato. L’iniziativa ha
avuto un grande successo di pubblico.
Love Food, Don’t Waste
Campagna realizzata dalla catena filippina HealthyOptions che comprende, oltre
a consigli antispreco sul sito e all’interno dei punti vendita, una raccolta di articoli
e una serie di video e spot sul tema.
www.youtube.com/watch?v=5D9pXc_FgO8
www.youtube.com/watch?v=IIZaR0HwDsc
www.youtube.com/watch?v=Z0BGa8zDFlI
Love food, hate waste
Campagna a cura dell’associazione inglese Wrap che si occupa di promuovere
azioni per la riduzione degli sprechi alimentari, lo sviluppo e la crescita delle fonti
di energia sostenibile, lo sviluppo di prodotti sostenibili, il riciclo e il riuso.
Nel sito sono presenti consigli e ricette antispreco, un blog, guide sulle porzioni
e sulla corretta costruzione dei pasti, una sezione dedicata al coinvolgimento
degli utenti che comprende le partnership e le modalità per aderire al progetto
come azienda o come ente pubblico, le indicazioni per organizzare un training
aziendale sui temi dello spreco, le istruzioni sulla consultazione delle etichette,
materiali di comunicazione.
Fig. 1
Campagna Les fruits et legumes moches
TERZA PARTE
Riflessioni dei docenti del network Athena
35
Cibo e mezzi di comunicazione
di Maurizio Corte
Università degli Studi di Verona
Scorrendo il catalogo online di un qualsiasi portale web che vende libri via internet è possibile verificare come sia sterminata la produzione di saggi, di testi, di
guide sul cibo. Dal cibo come piacere dei sensi al cibo che cura, dal cibo come
espressione di un territorio o di una cultura locale al cibo connesso a una certa
filosofia di vita, fino al cibo come esperienza “erotica”, per non dire del rapporto
tra cibo e arte, cibo e letteratura; per poi finire con il cibo che ha proprietà taumaturgiche: sono molti gli argomenti proposti ai lettori, capaci di coprire un ampio
spettro di interessi.
Leggendo invece i titoli dei dispacci dell’agenzia d’informazioni Ansa, nei primi
venti giorni di gennaio 2015, è possibile cogliere altri aspetti del cibo: il cibo come
elemento di un fatto di cronaca, il cibo come costo per le tasche degli italiani, il
cibo e la sicurezza alimentare. E, infine, il “diritto al cibo”, grazie ai temi proposti
da Expo 2015 e a un intervento video di Papa Francesco.
Stupisce il notare che si contano sulle dita delle mani le notizie legate al cibo che
compaiono fra i titoli della più importante agenzia italiana d’informazioni, l’Ansa.
Il cibo che è al centro della nostra vita, che può essere declinato in decine di
modi diversi – come dimostrano i libri pubblicati – mostra di “non fare notizia”.
Come per altri temi, il mondo dei giornali si interessa al cibo solo se esso entra
di prepotenza nella cronaca (un’intossicazione alimentare, una frode milionaria);
oppure se è legato a qualche evento ufficiale.
Eppure il ruolo dei media – sia dei media di massa che dei social media, grazie
al passaparola e al grande mare dei blog sulla cucina – è importante per sensibilizzare la pubblica opinione sul tema del cibo nella sua declinazione più importante: quella del diritto per tutti a un’alimentazione sufficiente e sana. Tema
che si lega in modo stretto a quello dello spreco alimentare, poiché quest’ultimo
è proporzionale alla scarsità di cibo (e alla scarsità di qualità) di cui soffre una
36
parte importante dell’umanità.
Il ruolo dei media è importante per due motivi. Innanzi tutto, i media, con il loro
linguaggio, possono offrire una certa immagine del cibo, sensibilizzando i lettori
al ruolo che l’alimentazione ha nella vita sociale e nelle relazioni fra i popoli e le
persone: di quale ricchezza essa rappresenti; e di come sia fondamentale preservare quella ricchezza, nella gestione della produzione e delle risorse naturali.
In secondo luogo, l’agenda dei media sul cibo porta la pubblica opinione a concentrare la propria attenzione su questo o quel tema: il cibo può essere pertanto
considerato un privilegio, di cui godere nelle forme più raffinate ed esclusive (il
“cibo delle élites”, potremmo chiamarlo), che non si preoccupano di quante risorse sono consumate e di quanto spreco venga prodotto; oppure può essere
considerato come centrale nel più vasto ambito del rispetto della natura e della
compatibilità fra produzione di risorse e loro consumo consapevole.
Maurizio Corte è giornalista professionista al quotidiano L’Arena di Verona,
studioso della comunicazione digitale, web marketing specialist e web copywriter.
Docente di Giornalismo interculturale e multimedialità all’Università di Verona è
membro del comitato scientifico e docente del Master in Intercultural Competence
and Management del Centro Studi Interculturali (Csi) dell’Università di Verona.
Coordinatore di ProsMedia, centro di analisi interculturale dei media del Csi. Tra gli
interessi di ricerca: comunicazione interculturale, giornalismo interculturale, media
crime and justice. Tra le pubblicazioni: “Stranieri e mass media” (Cedam editore,2002);
“Comunicazione e giornalismo interculturale” (Cedam editore,2006); “Il giornalismo
interculturale” (Cedam editore, 2014).
37
Lo spreco alimentare:
tra valore pubblico e valore privato
di Guendalina Graffigna
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Le attuali sfide sociali ed economiche stanno confrontando i cittadini (italiani
ma non solo…) con scelte di consumo sempre più complesse e dalle molteplici
implicazioni. In altri termini, il gusto del “consumare per consumare” non è oggi
più condiviso (e condivisibile) dai consumatori, maggiormente attenti e critici
nell’approcciarsi alle offerte presenti sul mercato (Bosio, 2006).
Quali sono dunque i drivers che guidano oggi le scelte dei consumatori? E come si
declinano nello specifico contesto del consumo alimentare?
Il coinvolgimento del consumatore nelle decisioni pre e post fruizione di prodotti
alimentari assume una peculiare complessità. Il contesto privato, infatti, delle
motivazioni che orientano decisioni e pratiche di consumo (siano esse legate
alla salute, “scelgo quel prodotto perché mi fa stare meglio”; all’utilità, “scelgo quel
prodotto perché mi conviene”, all’identità “consumo quel prodotto perché mi ci identifico”); si interseca con (e spesso prevale su) considerazioni legate al contesto
pubblico, e cioè alla valutazione delle potenziali ricadute sociali e ambientali che
le proprie scelte di consumo possono implicare (si pensi ai temi dell’inquinamento, dello sfruttamento delle risorse energetiche, delle implicazioni sul mercato
del lavoro etc.). In particolare, quando riflettiamo sul problema dello spreco alimentare, l’innesto tra considerazioni di ordine privato e considerazioni di ordine
pubblico nelle decisioni e pratiche di consumo risulta più che mai intrigante.
Come spostare considerazioni “egoistiche” e autocentrate a considerazioni di più ampio e lungo respiro? Come rendere “l’interesse per la cosa pubblica” un driver primario
delle scelte e delle pratiche di consumo alimentare?
Sono queste domande del tutto aperte, a cui è difficile rispondere. Dalla nostra
prospettiva, la teoria della co-creazione del valore (Vargo & Lush, 2004) oggi
largamente adottata nelle riflessioni di marketing legate al comportamento dei
consumatori di beni e di servizi, sembra offrire una promettente chiave interpretativa per orientare interventi comunicativi volti ad arginare lo spreco alimentare.
38
Per dirla con Vargo e Lush, infatti, il valore di una scelta di consumo è co-costruito nella relazione di scambio tra domanda e offerta, cioè tra azienda produttrice e consumatore finale. Si tratta però di un valore che si declina non solo
in termini di “uso” del prodotto/servizio e di soddisfazione post fruizione, ma
anche nei termini del “legame” con gli altri consumatori, con i propri pari, con la
propria comunità che il possesso e l’utilizzo del prodotto permette di alimentare.
Un valore, cioè, di coinvolgimento (engagement), che ha inizio già nelle prime
fasi esplorative del decision making e che prosegue anche nel post fruizione del
prodotto servizio. Consumer engagement che parte da dimensioni esperienziali
individuali e psicologiche, ma che si alimenta ed esplicita nella dimensione sociale e collettiva delle relazioni tra consumatori e con gli operatori del mercato,
siano esse aziende o istituzioni (Graffigna & Gambetti, 2015).
Lavorare alla modifica delle radici rappresentazionali ed emotive dell’engagement, nel suo spettro allargato di legame comunitario e pubblico, può quindi essere la chiave per promuovere un consumo alimentare più responsabile e ridurre
lo spreco. Questo, nella pratica, significherebbe non far esclusivamente leva sul
valore d’uso (e quindi sul tema della perdita nel caso del non uso) dei prodotti
alimentari per quel che riguarda la sfera privata dei consumi; bensì puntare sul
valore di appartenenza e di scambio co-creativo che “il non sprecare” può costituire. In concreto si tratterebbe, ad esempio, di promuovere occasioni di incontro tra i consumatori per la co-costruzione di pratiche sociali esemplari nell’area
del “non spreco alimentare”. Favorire, cioè, situazioni capaci di costituirsi come
laboratorio educativo ed identitario per i consumatori e di porsi come scenario protetto per far sperimentare un più bilanciato intreccio tra considerazioni
utilitaristiche autocentrate (legate alla sfera privata del consumo alimentare) e
considerazioni etiche e comunitarie (legate alla “sfera pubblica” del consumo
alimentare) in favore di una società più sostenibile, oggi e domani.
Guendalina Graffigna ha ottenuto un PhD in Psicologia sociale all’Università Cattolica
di Milano, dove attualmente insegna Metodologia quantitativa ed è coordinatrice
del Master in Ricerca Psicosociale applicata al Marketing e alle organizzazioni.
È direttore editoriale di “Micro&MacroMarketing” e collabora con l’International
Institute for Qualitative Methodology dell’Università di Alberta. Oltre all’attività
accademica, lavora presso GfK-Eurisko e coordina il Centro Studi di Assirm.
39
Spreco alimentare: l’ottica della filiera corta
di Alessandro Lanteri
Università degli Studi di Trento
Spreco alimentare sembra sinonimo di produzione eccessiva e distruzione
per mantenere i prezzi alti o prodotti scaduti e non utilizzati nel loro periodo di
validità. Ma il tema è ben più complesso e inizia dal continuo allungamento delle
filiere di produzione.
Allontanare sempre più il luogo di produzione da quello di consumo induce costi
nascosti sempre crescenti e porta ad una progressiva distruzione della cultura
alimentare che costituisce l’essenza del nostro essere. Non solo quindi danni
per l’inquinamento, ma anche alimentazioni non adatte alle diverse tipologie di
organismi, creando i presupporti per sempre nuove intolleranze.
I paesi cosiddetti ricchi, grazie ai capitali a loro disposizione, portano nei paesi
poveri modelli di sviluppo che hanno già dato risultati negativi nelle loro zone
ed eliminano ogni traccia di cultura locale che, partendo dall’alimentazione,
costituisce l’elemento caratterizzante dello stile di vita di quei paesi.
La concentrazione dell’attenzione sul prodotto e la concorrenza esasperata sul
prezzo portano tensioni e conflitti a livello mondiale senza considerare i danni
che la scarsa qualità alimentare porta alla salute. Sembrano pure, ormai maturi,
il tempo e le tecnologie per disporre di produzioni sufficienti a sfamare il mondo.
EXPO2015 a Milano si è posto questo obiettivo e i Laboratori dell’Università di
Trento hanno analizzato in questi ultimi anni vari modelli di sviluppo sostenibile.
La loro scelta è caduta su un territorio sviluppato sulla Filiera Corta e su un
modello di organizzazione della produzione a base cooperativa.
Un territorio caratteristico, sviluppato sulla Filiera Corta, è quello della pianura
veronese attorno a Isola della Scala dove viene prodotto il 5% del riso italiano ma
dove si è anche realizzato un amplissimo indotto.
La stessa impostazione potrebbe essere applicata a qualsiasi altra produzione,
40
caratteristica di un territorio (esempi sono stati fatti con il radicchio di Treviso o
l’asparago di Bassano del Grappa).
L’unione del riso a filiera corta e del modello cooperativo sembra un mix valido
da proporre a livello mondiale ai paesi che vogliano portare i loro cittadini a un
percorso progressivo di crescita e di valorizzazione del loro carattere identitario.
Nel territorio a filiera corta i coltivatori non conferiscono il loro prodotto ai grandi
acquirenti ma lo lavorano direttamente (pila) e lo trasformano per portarlo
direttamente verso il consumatore (ristorazione, aggregazione con altri prodotti,
produzione di biscotti e gallette etc.). Inoltre, le proposte di collaborazione tra
imprenditori trovano terreno fertile perché c’è un interesse diretto del produttore
a rendere il suo terreno sempre più attrattivo (turismo locale e internazionale
etc.).
A Isola della Scala sono state attivate alcune importanti iniziative:
• Consorzio del Riso: ha realizzato l’IGP e ha ottenuto finanziamenti sia
regionali che nazionali per la promozione del prodotto
• Fiera del Riso: è diventata il più importante promotore del risotto e dei
prodotti collegati. Ha inoltre avviato nuove fiere (bollito etc.); attua un forte
coinvolgimento della popolazione e permette alle associazioni di volontariato
di svolgere funzioni remunerate (1000 persone)
• Sistema Pianura: prepara la promozione a livello internazionale (risotterie
e cooperazione internazionale per esportare questo interessante modello di
sviluppo)
• Gruppo di Azione Locale - GAL della Pianura: diffonde le opportunità che
derivano dalla progettualità europea.
Superata la fase critica iniziale, gli imprenditori aderiscono ben volentieri alle
iniziative perché la spesa viene ripagata con migliori risultati. Inoltre, è obiettivo
del territorio del riso formare i giovani nella conoscenza sempre più approfondita
di questo modello di sviluppo che permetterà loro di andare all’estero, esportando
non un prodotto ma un sistema di sviluppo sostenibile.
EXPO2015 sarà un trampolino di lancio ma anche ogni altra occasione di
contatto internazionale sarà ben utilizzata.
Nel progetto troveranno spazio tutti i corsi di studio: dall’economia alla sociologia,
dall’architettura alla giurisprudenza, dalla medicina all’agricoltura etc.
In Italia esistono anche aree a filiera lunga, come Vercelli, centro che produce
il 90% della produzione italiana. La filiera lunga porta i coltivatori a conferire il
prodotto ai grandi marchi che si occupano della trasformazione del prodotto e
della sua promozione e commercializzazione.
41
Il coltivatore è nelle mani dei grandi acquirenti internazionali e può facilmente
entrare in crisi ad ogni oscillazione del prezzo del prodotto. Il produttore di
qualunque prodotto, se lo conferisce a grandi acquirenti, non è interessato ad
essere coinvolto in azioni di promozione del territorio.
I vantaggi della filiera corta vengono enfatizzati dal sistema cooperativo che,
aumentando le garanzie per il piccolo coltivatore, permette di meglio contrastare
la concorrenza.
Il modello della cooperazione trentina, ricco di sistemi di secondo livello, ci
sembra di conseguenza il più adatto ad una diffusione a livello internazionale.
Nel Trentino, su una popolazione di mezzo milione di abitanti, abbiamo circa
270 mila soci nelle 539 cooperative. In 2 famiglie su 3 entra la cooperazione.
La cooperativa di primo livello aiuta il piccolo coltivatore nel difendere la sua
“piccola coltivazione” ma, attraverso la cooperazione di secondo livello, lo rende
partecipe anche di successi a livello internazionale (Melinda, Cavit etc.).
Perché ci siamo concentrati sul territorio e sui meccanismi di produzione e di
lavorazione dei prodotti agricoli?
Perché lo spreco non parte dal consumatore ma da logiche perverse di
produzione.
Quanto abbiamo esposto fa ben comprendere come lo sviluppo sostenibile
sia un processo lento e graduale di progresso dove la produzione agricola e
la popolazione di utilizzatori siano perfettamente integrate e si sviluppino nel
tempo senza scollamenti.
In un ambiente diverso, dove cioè la produzione è slegata dal consumatore del
proprio territorio, possono manifestarsi con molta facilità fenomeni di spreco
alimentare: prodotti a basso costo vengono acquistati e poi scartati perché
sovrabbondanti rispetto alle necessità del consumatore; paesi con bassi costi
di manodopera invadono i mercati di altri paesi che non possono più raccogliere
i prodotti maturi in quanto il costo della raccolta supera quello del prezzo al
mercato etc.
Inoltre la concentrazione solo sulla quantità della produzione favorisce la
nascita di prassi non corrette (uso eccessivo della chimica, di OGM, di catene di
sfruttamento degli agricoltori sulle sementi etc.) e induce a trascurare la qualità
e la salubrità del prodotto.
Gli studi in corso con Sierra Leone, per EXPO2015, confermano come il progresso
sia un processo lento e soprattutto di maturazione della popolazione e quindi
che la proposta non possa che essere quella di un grande sforzo formativo
42
sia verso i giovani che verso gli agricoltori e di una gradualità di sviluppo che,
partendo dal modello proposto, possa – confrontandosi con diverse culture –
trovare metodologie sempre più rispettose della persona.
Alessandro Lanteri insegna alla Facoltà di Economia dell’Università di Trento e
collabora con l’Università di Verona sui temi dell’alimentazione salutistica. È socio
della cooperativa sociale Galileo dal 1999. Per oltre 30 anni ha lavorato nel settore
bancario. I suoi ambiti di interesse sono principalmente legati all’economia e al
lavoro, ai distretti produttivi, alla cooperazione internazionale (Sierra Leone, Guinea
Bissau, Afganistan etc.), al marketing territoriale etc. Si occupa anche di mercati
globalizzati, ricerca scientifica, creazione di cluster per aggregare le PMI su grandi
temi (internazionalizzazione, innovazione, comunicazione etc.).
43
L’altra parte del consumo
di Edda Cecilia Orlandi e Luisa Leonini
Università degli Studi di Milano
Ci sono tre elementi che caratterizzano il nostro modo di guardare ai rifiuti su cui
credo sia importante soffermarsi nel discutere di spreco alimentare, per ripensare al cibo e agli scarti come oggetti sociali che costituiscono “l’altra parte”, la
parte nascosta, del consumo.
Innanzitutto, la tendenza a ricondurre lo spreco ad una questione meramente
individuale, come risultato delle scelte e della scarsa consapevolezza dei singoli
consumatori. Le stime FAO sullo spreco di cibo da parte dei consumatori europei
indicano che questo costituisce circa un terzo del totale, mentre la parte restante
è dispersa tra produzione e distribuzione. Un’attenzione alla dimensione sociale
dello spreco alimentare deve tenere conto anche di questi due terzi scartati da
produttori e distributori, oltre che, naturalmente, delle modalità in cui il cibo è
distribuito, che possono incentivare comportamenti virtuosi o, al contrario, lo
sprecare da parte dei consumatori.
In secondo luogo, nella nostra società i rifiuti sono guardati, gestiti e organizzati
come cose che devono essere incanalate in appositi spazi e canali di gestione in
modo tale che non creino problemi. Una volta collocati come scarti, i rifiuti spariscono così dal nostro orizzonte e ce ne dimentichiamo. Uno sforzo per spostarci
da questa dimensione spaziale del pensare ai rifiuti ad una dimensione temporale, che tenga conto di come ogni nostro scarto sia stato prima (e probabilmente
potrebbe tornare ad essere) qualcos’altro, è indispensabile per ridurre lo spreco
alimentare e permette di immaginare che ciò che in questo momento consideriamo una parte da scartare potrebbe in realtà essere riciclata e riutilizzata, da
parte nostra, o da parte di altre persone.
Infine, un paradosso dei rifiuti è che si tratta di cose che, per definizione, sono
ciò che non interessa, di cui ci si vuole liberare senza preoccuparsene più. Il re-
44
cuperare, gestire e riutilizzare gli scarti però richiede impegno e lavoro da fare.
Dobbiamo riconoscere che, spesso, gettare via è la soluzione più semplice e, in
un’ottica strettamente quantitativa, la più economica. Questo è particolarmente
vero nel caso degli scarti alimentari, per la loro natura deperibile e per la percezione del loro scarso valore. Ripensare al valore del cibo in modo che questo
non sia ricondotto solo al prezzo cui viene venduto è dunque indispensabile per
contrastare lo spreco alimentare.
I tre modi di pensare allo spreco alimentare cui ho brevemente accennato qui
sopra – il vederlo come il risultato di scarti di organizzazioni oltre che individuali,
l’attenzione alla dimensione temporale e alla potenziale ciclicità dei processi di
consumo, il ricollocare il valore del cibo in una dimensione più ampia di quella
riconducibile al suo prezzo – invitano a comunicare sul cibo ponendo in primo
piano le dimensioni sociali della sua distribuzione e circolazione.
Edda Cecilia Orlandi è assegnista di ricerca in Sociologia presso il Dipartimento di
Scienze Sociali e Politiche dell’Università di Milano. Si è occupata di consumi e sta
attualmente collaborando ad una ricerca sulle conseguenze della crisi sui giovani.
Luisa Leonini è professore ordinario di Sociologia dei Processi Culturali e
Comunicativi presso l’Università degli Studi di Milano e Coordinatrice del corso di
laurea Magistrale in Comunicazione pubblica e d’impresa, tra gli interessi di ricerca:
sociologia della famiglia, genere, sessualità e consumi, sociologia dei fenomeni
migratori, giovani, rapporti intergenerazionali e famiglie. Tra le pubblicazioni: Legami
di nuova generazione (Il Mulino, 2010, con P. Rebughini); Il consumo critico (Laterza,
2008, con R. Sassatelli and P. Rebughini); Nuovi media e pornografia, come Internet ha
modificato il sexbusiness, in: Gender e Media, A. Tota (ed) (Meltemi, 2008).
45
Cibo e pubblicità in Italia
di Paola Costanza Papakristo
Università degli Studi di Macerata
In quanto italiani, siamo passati in pochi anni dall’idea di non avere cibo a
sufficienza per sfamarci, a quella di doverne limitare prima il consumo e poi lo
spreco. Quando la pubblicità moderna muove i primi passi, con i manifesti di
fine Ottocento, i consumatori sono un pubblico ristretto. I prodotti industriali
pubblicizzati sono prevalentemente bevande alcoliche (dagli spumanti ai liquori,
dal vino al vermouth), caffè e acqua minerale, cui si affiancheranno pasta, pelati,
carne in scatola e conserve.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le condizioni di vita mutano radicalmente,
cambia il loro rapporto con il cibo e di conseguenza si modifica il modo di
comunicarlo. L’Italia, da Paese prevalentemente agricolo, si trasforma in pochi
anni in una delle nazioni più industrializzate del mondo. Mentre durante la guerra
si vive meglio in campagna (lì è più facile procurarsi il cibo), il dopoguerra vede
una sostanziale migrazione verso le città. La meccanizzazione dell’agricoltura e
l’uso di concimi, antiparassitari e diserbanti aumentano la produttività e riducono
contemporaneamente il bisogno di manodopera nei campi.
Il trasferimento in città modifica lo stile di vita, anche da un punto di vista
alimentare, unitamente all’industrializzazione e all’avvio dei consumi di massa.
Gli elettrodomestici entrano in casa, semplificando alcune incombenze e, in
particolare, il frigorifero cambia il modo di fare la spesa e di pensare al cibo.
Negli anni Cinquanta fanno la loro comparsa i primi supermercati, insieme ad
alimenti confezionati, surgelati, dadi, gelatine e tanti nuovi prodotti industriali.
Solo nel 1955, l’anno in cui la Fiat presenta la 600, il consumo di carne ritorna ai
livelli del 1939. Carosello, attraverso simpatici siparietti televisivi e personaggi di
animazione, dice agli italiani cosa acquistare e come usare i prodotti dal 1957 al
1977. Ma presto la società industriale comincia a mostrare le sue contraddizioni.
46
Negli anni Settanta i consumatori si pongono in modo critico nei confronti dei
prodotti industriali, degli eccessi del consumismo, perdendo fiducia nel modello
del benessere individuale che aumenta con i consumi.
Gli anni Ottanta sono poi quelli del falso boom economico, in cui il benessere da
raggiungere è individuale, non più collettivo.
Fig. 2
Annuncio stampa del 1914: la cura per ingrassare.
47
Si diffonde la cucina internazionale, o meglio globale, come le catene di fast
food. All’appiattimento di abitudini e consumi si cerca di reagire in vari modi, per
salvaguardare le differenze e i prodotti tipici.
Fig. 3
Annuncio stampa del 1954: la carne in gelatina compare tra i nuovi prodotti alimentari del dopoguerra.
Fig. 4
Annuncio stampa del 1971: la trippa verso l’omologazione dei consumi alimentari.
Fig. 5
Annuncio stampa 1980: emerge il bisogno di prodotti leggeri.
50
La pubblicità del settore alimentare occupa ancora uno spazio importante nel
panorama della comunicazione commerciale. Negli spot il cibo è descritto in
termini lusinghieri, oppure ne vengono indicate le occasioni e le modalità di
consumo. Ma il cibo è anche piacere, un peccato di gola che la pubblicità traduce
in un messaggio schizofrenico: l’esaltazione della magrezza e della forma fisica
unita alla continua sollecitazione a consumare cibo spazzatura.
Oggi i consumatori prestano attenzione alla qualità e alla provenienza degli
alimenti, che non devono essere soltanto buoni ma anche sani e prodotti
in modo responsabile. La comunicazione pubblicitaria può contribuire a far
passare questi messaggi positivi, ponendo particolare attenzione al rispetto dei
propri pubblici.
Paola Costanza Papakristo, sociologa, si occupa dalla fine degli anni Novanta
di comunicazione pubblicitaria. Insegna Comunicazione Pubblicitaria presso
l’Università degli Studi di Macerata e Storia della Comunicazione presso l’Istituto
Poliarte di Ancona. Tra le sue pubblicazioni: Il volto delle sirene (Aras, 2013),
Comunicare l’università (Eum, 2010), Archeologie della pubblicità (con Daniele Pittèri,
Liguori, 2003).
51
La linea sottile tra consumare e sprecare
di Mariaeugenia Parito
Università degli Studi di Messina
La promozione del tema dello spreco alimentare verso un pubblico vasto e dell’esigenza di comportamenti responsabili da parte dei cittadini si scontra con differenti ordini di difficoltà. La molteplicità delle cause dello spreco, le conseguenze
per l’ambiente e per le popolazioni del mondo oltre che per gli individui, la necessità di soluzioni coordinate tra attori pubblici e privati collocati su diverse scale
territoriali tra il locale e il globale compongono un quadro articolato che richiede
un notevole sforzo per essere veicolato alla generalità dei cittadini con semplicità ed immediatezza. Potrebbe risultare impegnativo, più che per altre questioni,
riuscire a far percepire la connessione tra azioni individuali e conseguenze collettive, in modo da stimolare un cambiamento delle abitudini che inneschi risultati
virtuosi.
Le resistenze più insidiose potrebbero riguardare il piano della cultura di riferimento e della rappresentazione della realtà proposta dai media. Benché si stia
diffondendo l’attenzione verso modelli di sviluppo sostenibile e la consapevolezza dell’importanza di forme di consumo responsabile, la cultura dominante è
comunque quella della società dei consumi. Si tratta di un «contesto esistenziale» che ridefinisce le relazioni umane sul modello e a somiglianza delle relazioni
tra consumatori ed oggetti di consumo e in cui anche l’identità degli individui
si costruisce attraverso pratiche di consumo. Inoltre, con l’affermazione della
globalizzazione economica ultraliberista si accentua un modello di sviluppo della società e di considerazione del benessere individuale focalizzati intorno alla
prospettiva economica, in cui la prosperità viene misurata anche in termini di
espansione dei consumi. In definitiva le persone sono immerse in un contesto in
cui il consumo ha una connotazione largamente positiva.
Il passaggio a comportamenti che siano responsabili e quindi non si trasformino
in spreco richiede un cambiamento di prospettiva. La crisi economica, da questo
52
punto di vista, potrebbe rappresentare un’opportunità: forzare la ricerca di una
razionalizzazione delle risorse obbliga a definire o ridefinire i criteri che separano
il consumo dallo spreco. In ogni caso, una riorganizzazione dei comportamenti
quotidiani che qualifichi con valori positivi la riduzione dei consumi virando verso
la consapevolezza dello spreco significa scalfire un presupposto cruciale della
società liquido-moderna. Che Bauman descrive facendo riferimento alla necessità di «scartare e sostituire», cioè alla propensione al consumo immediato e
alla immediata eliminazione degli oggetti consumati, risultato dell’instabilità dei
desideri e dell’insaziabilità dei bisogni. In definitiva, la ricerca della felicità diventa
obiettivo da perseguire spostando l’attenzione dal «fare le cose, o appropriarsene, o accumularle, al disfarsene», tanto che la società consumistica si fonda
«sull’eccesso e sullo spreco».
Il tema dello spreco alimentare, toccando un nodo centrale della società contemporanea, implica una ridefinizione profonda dei modelli culturali prima ancora
che comportamentali. Si tratta di una sfida complessa, non più rinviabile, sulla
quale si gioca l’idea di sviluppo da perseguire nel futuro, anche immediato, dopo
che la crisi economico-finanziaria ha evidenziato l’insostenibilità del modello finora dominante.
Mariaeugenia Parito è ricercatrice in Sociologia dei Processi Culturali e comunicativi
presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università di Messina, dove
insegna Comunicazione pubblica, Comunicazione Politica e Nuove tecnologie
dell’informazione. Ha svolto attività di docenza in numerosi corsi di formazione
indirizzati a personale delle pubbliche amministrazioni e a docenti di scuole
secondarie. Tra i suoi interessi di ricerca si segnalano di tematiche relative ai media
(tradizionali e nuovi) con particolare riguardo alle relazioni con i sistemi politici e
istituzionali. Tra le sue pubblicazioni: Comunicare l’Unione Europea. La costruzione
della visibilità sociale di un progetto in divenire (Franco Angeli, 2012), Comunicare
l’Europa nello scenario cosmopolita (Bonanno, 2007), Comunicazione pubblica e nuovi
media (Ed.it, 2007).
53
Prevenire è meglio che riciclare
di Rossella Sobrero
Università degli Studi di Milano
Il tema dello spreco inizia ad appassionare anche il mondo della comunicazione
e quello delle imprese: dopo decenni passati a studiare campagne per stimolare
l’acquisto di prodotti più o meno necessari, oggi ci si interroga su come promuovere il loro corretto uso e su come ridurre gli sprechi.
Per introdurre la mia riflessione voglio citare alcuni dati particolarmente significativi. Un recente studio del Politecnico di Milano mette in luce che il 58,1% degli
sprechi alimentari viene generato dagli attori economici della filiera e il 41,9%
prodotto dai consumatori. Un’altra ricerca evidenzia che in Italia lo spreco domestico è stato quantificato in 8,7 miliardi di euro, pari allo 0,5 % del PIL, con
un costo per le famiglie di 7,06 euro la settimana. Inoltre lo spreco alimentare è
responsabile di circa il 5% delle emissioni che causano il riscaldamento globale
e del 20% della pressione sulla biodiversità. Infine un dato che da solo dovrebbe
far riflettere: nel mondo, ogni anno, si sprecano circa 1,3 miliardi di tonnellate di
alimenti, nella sola Europa 90 milioni pari a circa 180 kg pro capite.
La lotta allo spreco deve rivestire dunque carattere di urgenza, coinvolgere i diversi attori, utilizzare tutti gli strumenti di comunicazione a disposizione: non
solo campagne sui media ma anche interventi di sensibilizzazione sul web, progetti educativi nelle scuole, iniziative non convenzionali.
Il ruolo di chi produce e distribuisce
Per ridurre gli sprechi produttori e distributori possono mettere in gioco strategie
utili, oltre che a valorizzare il proprio impegno sociale e ambientale, anche a contenere i costi. Ecco alcuni esempi.
1 – Ridurre la produzione
Oltre ad essere un problema sociale, lo spreco porta con se una forte pressione
54
sulle risorse naturali, sulla terra e sul clima. Produrre troppo significa usare più
energia e materie prime del necessario: lo spreco di risorse viene amplificato
durante la distribuzione, nelle case delle persone, nella fase di smaltimento dei
rifiuti.
2 – Educare il consumatore
Per contribuire alla lotta allo spreco le imprese possono inserire suggerimenti sul
packaging oppure proporre ricette per utilizzare un prodotto in scadenza. Recentemente alcune importanti aziende alimentari hanno adottato questa politica.
3 – Modificare le confezioni
L’introduzione sul mercato di confezioni monoporzione che rispondono meglio
alle esigenze dei single, in crescita anche nel nostro Paese, è un altro modo per
ridurre gli sprechi.
4 – Non buttare i prodotti danneggiati
Nella GDO si tende a buttare via prodotti freschi che durante il processo di confezionamento possono essersi danneggiati. In presenza di piccoli difetti il prodotto
può essere messo in vendita a prezzi scontati anziché essere scartato.
5 – Recuperare il cibo avanzato
Il recupero e l’immediata redistribuzione delle eccedenze di cibo cotto e non
servito nelle mense aziendali rappresenta un intervento relativamente semplice
che può vedere anche il coinvolgimento dei dipendenti in progetti di volontariato
d’impresa.
Il ruolo di chi acquista
Per ridurre gli sprechi i consumatori sono chiamati a modificare in tempi rapidi
stili di vita e di consumo. Ecco alcuni esempi.
1 – Cucinare solo il necessario
Il fenomeno dell’overcooking si collega al mancato riutilizzo del cibo avanzato.
Non solo si cucina troppo ma non si adoperano gli avanzi. Un fenomeno che può
essere modificato proponendo la rielaborazione del cibo avanzato come scelta
non solo consapevole ma anche trendy.
2 – Comprare solo ciò che serve e quanto serve
Prima della spesa, controllare cosa c’è nel frigorifero preparando un elenco dei
prodotti che mancano. Per esempio, scegliere la frutta e la verdura non imballate
permette di acquistare solamente la quantità necessaria.
3 – Cucinare prima gli alimenti più vecchi
Ricordarsi di mettere in evidenza nella dispensa e nel frigorifero i prodotti acquistati prima.
4 – Documentarsi
Leggere attentamente suggerimenti, regole, decaloghi per non sprecare ascol-
55
tando in particolare chi fornisce esempi semplici, chiari, concreti.
5 – Condividere le esperienze
La lotta allo spreco si inserisce in un cambiamento culturale che è già in corso.
Se è vero che ci stiamo avvicinando sempre più ad una cultura sharing, dove
prevale l’uso rispetto al possesso, in futuro sarà più facile anche condividere
esperienze positive per combattere lo spreco.
Come per tante altre cose, l’importante è creare un nuova cultura partendo dai
bambini: saranno loro a indicare ai genitori gli errori che a volte vengono fatti. La
sobrietà va insegnata facendo capire che non si chiedono rinunce ma bisogna
imparare a rifiutare l’eccesso.
Per concludere, l’obiettivo strategico è prevenire lo spreco di cibo non solo recuperarlo: per farlo sono necessarie azioni congiunte e coordinate lungo tutta la
filiera alimentare, dai produttori ai consumatori e ai policy makers.
Perché prevenire oggi è meglio che riciclare domani.
Rossella Sobrero si occupa da anni di comunicazione sociale, CSR e sostenibilità.
È Presidente e cofondatore di Koinètica, docente di Comunicazione Sociale
all’Università degli Studi di Milano e di Marketing non convenzionale all’Università
Cattolica. Progetta e gestisce campagne di comunicazione e corsi di alta formazione
per organizzazioni pubbliche e private. Membro del Consiglio di Amministrazione
della Fondazione Pubblicità Progresso e del Consiglio Direttivo Nazionale di FERPI.
Collabora con alcune testate giornalistiche e ha pubblicato diversi volumi sulla CSR
e sulla comunicazione sociale.
www.rossellasobrero.it
56
CONCLUSIONI
Il tema della lotta allo spreco alimentare è strategico per il futuro del pianeta.
Troppi alimenti finiscono tra i rifiuti e tutti hanno una cosa in comune: hanno
richiesto energia, acqua, terra, tempo, risorse naturali per essere prodotti,
trasportati, trasformati, confezionati. Possono essere definiti eccedenze, surplus,
invenduti, scarti ma il problema non cambia.
Come osserva Andrea Segrè, lo spreco alimentare ha un valore che va oltre le
stime economiche, ambientali e sociali. Un valore che deve essere insegnato
nelle scuole ma che devono imparare anche gli adulti. Per esempio, ponendosi
un interrogativo fondamentale: cosa significa mangiare rispetto a sprecare?
Sprecare significa buttare il cibo nella spazzatura ma anche mangiare cibo
spazzatura ovvero mangiare male.
Se è vero che siamo ciò che mangiamo, ma anche ciò che non mangiamo, è
necessario affrontare l’argomento a tutto tondo ponendosi anche il problema
dello spreco.
Per attivare comportamenti virtuosi finalizzati a ridurre lo spreco sono necessarie
campagne di comunicazione integrata in grado di raggiungere con strumenti
diversi tutti i cittadini: dai bambini agli anziani. Solo così sarà possibile attivare
percorsi condivisi che possono contribuire alla soluzione del problema.
57
BIBLIOGRAFIA
Per approfondire i contenuti dei diversi interventi della pubblicazione vengono indicati alcuni articoli
e pubblicazioni di riferimento.
Baber B.R., Consumati. Da cittadini a clienti, Einaudi (2010)
Baudrillard J., La società dei consumi, Il Mulino (1970)
Bauman Z., Consumo dunque sono, Laterza (2008)
Bosio A.C., Quando l’emergenza diventa normalità. Verso un consumatore neo-concreto, in Micro
&MacroMarketing, XV, 1 (2006)
Featherstone M., Cultura del consumo e postmodernismo, Seam (1994)
Graffigna G., Gambetti R.C., Grounding consumer-brand engagement: a field-driven
conceptualization, in International Journal of Market Research (2015)
Petrini C., Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione, Giunti (2013)
Petrini C., Terra Madre, Come non farci mangiare dal cibo, Giunti (2009)
Petrini C., Buono, Pulito e Giusto, Principi di nuova gastronomia, Einaudi (2005)
Petrini C., Le ragioni del gusto,Laterza (2001)
Segrè A., Simone A., L’oro nel piatto, Einaudi (2015)
Segrè A., Spreco, Rosenberg & Sellier (2014)
Segrè A., Primo non sprecare, Corsivi del Corriere della Sera (2014)
Segrè A., Vivere a spreco zero, Marsilio (2013)
Segrè A., Economia a colori, Einaudi (2012)
Siri G., La psiche del consumo.Consumatori, desiderio e identità, Franco Angeli (2001)
Vargo S.L., Lusch R.F., Evolving to a New Dominant Logic for Marketing, in Journal of Marketing
68(1) (2004)
fondazione per la
comunicazione sociale
Sostenibilità, sobrietà, solidarietà
Nuovi traguardi per la comunicazione
Collana Comunicazione Sociale Volume III
A cura di
Rossella Sobrero
Introduzione
Alberto Contri, Presidente Fondazione Pubblicità Progresso
Contributi di
Lorenzo Bandera, Maurizio Corte, Guendalina Graffigna, Alessandro Lanteri, Luisa Leonini,
Chiara Lodi Rizzini, Edda Cecilia Orlandi, Paola Costanza Papakristo, Mariaeugenia Parito,
Carlo Petrini, Andrea Segrè, Rossella Sobrero
Pubblicità Progresso attiva dal 1971 (prima come Associazione e poi, dal 2005, come
Fondazione), è entrata nel vocabolario quotidiano degli italiani, diventando sinonimo di
“pubblicità sociale”. Con la sua attività e grazie al contributo di chi ne fa parte, Pubblicità
Progresso ha promosso e promuove l’impiego della comunicazione sociale di qualità
tra gli strumenti operativi di enti, istituzioni, pubblica amministrazione e organizzazioni
non profit. Ha contribuito a valorizzare la pubblicità italiana e i suoi operatori. In virtù di
tutto questo la Fondazione Pubblicità Progresso è oggi una delle espressioni più alte e
rappresentative delle organizzazioni del mondo della comunicazione e dei professionisti
che ne fanno parte.
ISBN 9788894030518
Sono soci di Pubblicità Progresso:
Scarica