Università di Bologna – Dipartimento di Filosofia e comunicazione a.a. 2016/17
Corso del 1° e 2° semestre, 2° e 3° periodo
Paolo Leonardi Filosofia del linguaggio LM 12 cfu, primo modulo 6 cfu
WORDS
Be careful of words,
even the miraculous ones.
For the miraculous we do our best,
sometimes they swarm like insects
and leave not a sting but a kiss.
They can be as good as fingers.
They can be as trusty as the rock
you stick your bottom on.
But they can be both daisies and bruises.
Yet I am in love with words.
They are doves falling out of the ceiling.
They are six holy oranges sitting in my lap.
They are the trees, the legs of summer,
and the sun, its passionate face.
Yet often they fail me.
I have so much I want to say,
so many stories, images, proverbs, etc.
But the words aren't good enough,
the wrong ones kiss me.
Sometimes I fly like an eagle
but with the wings of a wren.
But I try to take care
and be gentle to them.
Words and eggs must be handled with care.
Once broken they are impossible
things to repair.
Anne Sexton
2
Il programma di quest’anno:
I testi indicati in blu saranno resi disponibili on line. Quelli con asterisco sono letture
obbligatorie, gli altri sono letture consigliate.
1 L’evoluzione del linguaggio
*Alcuni testi dall’Oxford handbook of language evolution a cura di M. Tallerman e K.R.
Gibson.
Francesco Ferretti La facoltà del linguaggio (Roma Carocci 2015).
2 Pensiero discorsivo
*Aristotele Sull’interpretazione (ne esistono molte edizioni, tutte abbastanza
insoddisfacenti).*
Franco Lo Piparo Aristotele e il linguaggio / Cosa fa di una lingua una lingua(Roma-Bari
Laterza 2003).
*Manfredo Massironi “La via più breve nel pensiero visivo” (Sistemi intelligenti7 1995: 223261).
Paolo Legrenzi, Costanza Papagno e Carlo Umiltà Psicologia generale (Bologna il Mulino
2012: capp 2, 3 e 5.
3 Il senso di un nome
*Gottlob Frege “Su senso e significato”.
*John Searle “Nomi propri” (in Atti linguistici Torino Bollati Boringhieri 1976: 212-25) .
*Ludwig Wittgenstein Tractatus logico-philosophicus (Torino Einaudi 1961): 3.142, 4.144,
3.3.
*Ludwig Wittgenstein Ricerche filosofiche (Torino Einaudi 1967: I,: §§1-69) .
4 Il riferimento di un nome
*Saul Kripke Nome e necessità I e II lezione (Milano Bollati Boringhieri 1999).
*Keith Donnellan “Riferimento e descrizioni definite” (in La struttura logica del linguaggio a
cura di Andrea Bonomi Milano Bompiani 1973: 225-248).
5 Una parentesi sui nomi fittizi
*Keith Donnellan “Speaking of nothing” (The Philosophical Review 83 1974: 3-31)
Kendall Walton Mimesi come far finta / Sui fondamenti delle arti rappresentazionali (Mimesis
2011).
6 Come fare cose con le parole
*John L. Austin Come fare cose con le parole (Casale Monferrato Marietti 1987).
(Parte di questo testo: frammento lezione 7, lezione 8 e lezione 12)
3
*P. Grice “Logica e conversazione” (in Gli atti linguistici a cura di Marina Sbisà Milano
Feltrinelli 1978: 199-219).
7 Esistere
*Bertrand Russell “Sul denotare” (in La struttura logica del linguaggio a cura di Andrea
Bonomi Milano Bompiani 1973: 179-195).
George E. Moore “L’esistenza è un predicato?” (in Saggi filosofici Milano Lampugnani Nigri
1970: 117-132)
*Willard van Orman Quine “Su ciò che vi è” (in Il problema del significato Roma Ubaldini
1966: 3-19)
8 Nomi e predicati
*Bertrand Russell “Sul denotare” (in La struttura logica del linguaggio a cura di Andrea
Bonomi Milano Bompiani 1973: 179-195).
*Willard van Orman Quine Parola e oggetto (Milano Il saggiatore 1970: § 38).
Delia Graff Fara “Names are predicates” (The Philosophical Review 124 2015: 59-117).
9 Significato e uso
*Ludwig Wittgenstein Ricerche filosofiche (Torino Einaudi 1967: I, §§1-69 e 138-139.
Michael Dummett “What is a theory of meaning? (1) (in The seas of language Oxford
Clarendon Press 1993: 1-33).
*Paul Horwich Wittgenstein’s Metaphilosophy (Oxford Clarendon press 2012:105-143).
10 La sostanza del vero
*John L. Austin “La verità” (in Saggi filosofici Milano Guerini 1990).
*Paul Horwich Truth-Meaning-Reality (Oxford Clarendon Press 2010), i primi 3 capitoli.
Stefano Caputo Verità (Roma-Bari Laterza 2015) o Giorgio Volpe Verità (Roma Carocci
2012).* (Uno dei due, a scelta.)
Testi/Bibliografia
I testi obbligatori sono stati indicati sopra con un asterisco. La tesina deve essere fatta su due
dei dieci argomenti specifici, concordando il tema col docente e aggiungendo alla
bibliografia obbligatoria i testi specifici indicati per il tema prescelto.
Metodi didattici
Lezioni frontali e presentazioni in classe di studenti.
Mi aspetto che gli studenti frequentino e partecipino con presentazioni e discussioni.
Modalità di verifica dell'apprendimento
4
Una tesina scritta, che deve rispettare rigidamente quando indicato nell'Avvertenza per gli
esami scritti, che si legge all'indirizzo: http://web.dfc.unibo.it/paolo.leonardi/es-scritti.html
La tesina deve essere su due dei dieci temi del corso, e deve usare la bibliografia
indicata. La lunghezza della tesina deve essere fra i 17.500 e i 18.500 caratteri o fra le
3.000 e le 3.200 parole, tutto compreso. Scegliete il criterio che vi risulta più conveniente.
L'argomento va concordato un mese prima della presentazione della tesina stessa, quindi un
mese prima dell'appello d'esame. (Cfr. http://web.dfc.unibo.it/paolo.leonardi/es-scritti.html)
Strumenti a supporto della didattica
I materiali aggiunti settimanalmente si ricuperano, cliccando su "filosofia del linguaggio
LM", al seguente indirizzo:
http://web.dfc.unibo.it/paolo.leonardi/index.html
Il tema del corso: parole e tracce
Come è strutturato il corso.
Per lo più saranno lezioni, ma dalla quarta settimana faremo un seminario, il
martedì, ciascuno durerà 2 ore, in cui alcuni di voi faranno delle presentazioni
strutturate – indicherò sette temi e qualche testo e leggerò prima dei seminari gli
schemi delle presentazioni, incontrando poi chi farà le presentazioni prima della
presentazione stessa. Chi farà le presentazioni avrà un voto, e se lo accetta, avrà
fatto l’esame.
Perché studiare filosofia?
I filosofi si occupano di fondamenti e di articolazioni di idee. I più bravi offrono
anche un senso del tutto, un orizzonte. Le caratteristiche del lavoro del filosofo
sono almeno tre: il filosofo lavora senza strumenti propri, se non il linguaggio e
l’argomentazione. Il controllo di una tesi filosofica è fatto da un’argomentazione
alternativa o da una controargomentazione. Quindi, quando avete sviluppato
un’argomentazione per sapere se avete ragione dovete provare a sviluppare una
argomentazione alternativa o una controargomentazione. Il terzo punto
suggerisce questo principio: il filosofo trasforma le proprie soluzioni in un
problema.
Nello stesso tempo, il filosofo può servirsi della competenza di chiunque ritenga
potergli essere utile. Questo è il labile confine che c’è fra scienza e filosofia, ma
anche fra esperienza comune e filosofia.
La saggezza che i filosofi si sono attribuiti col nome che hanno scelto per la loro
attività è tutta in questi due aspetti: riconoscere le competenze altrui e non andare
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in ansia perché una soluzione si trasforma in un problema, perché non c’è un
termine alla ricerca.
Alcuni risultati filosofici, che come tutti gli altri si consumano col tempo, sono la
produzione di ragioni, cioè lo sviluppo di argomentazioni che forniscono motivi
per qualcosa. Gli uomini sono animali razionali perché producono ragioni.
Inoltre, il filosofo indaga alcune idee centrali nella nostra vita, come il vero, il
bene, il giusto, il bello.
Perché studiare filosofia del linguaggio?
Ricordate tutti la definizione aristotelica che la tradizione tramanda così: l’uomo
è un animale razionale. Ciò cui un filosofo del linguaggio vorrebbe dare un senso
complessivo è a quanto questa definizione tocca.
a.
b.
c.
d.
e.
La prima cosa notevole della definizione è classificarci assieme agli animali.
Gli uomini hanno sempre enfatizzato la razionalità e sminuito l’animalità, dire
a qualcuno che è un animale, è insultarlo. La definizione invece enfatizza
entrambi gli aspetti. Certamente ci sono salti evolutivi, ma ciò che siamo è il
frutto di un’evoluzione interna al mondo animale. Molte delle cose che
sappiamo fare le sanno fare anche gli animali, e ci sono cose che loro sanno
fare meglio di noi. Soprattutto, però, dobbiamo capire come dalle capacità dei
primati superiori si è arrivati alle nostre capacità. I primati superiori hanno
molte abilità in comune con noi e capacità senso-motorie assai vicine alle
nostre. Capire cosa ci differenzia, cos’è la razionalità, mostra questa come
un’evoluzione dal complesso di quelle.
La seconda cosa importante e difficile è capire la nostra differenza specifica –
siamo animali razionali. Qui una complicazione che incontreremo diverse
volte è la traduzione. Aristotele scrive zõon lógon èchon. Letteralmente,
animale lógon avente. Un po’ meglio, animale che ha il lógon.
Davvero gli altri animali non pensano? Non sono razionali? Gli animali sono
capaci di pensare. Non lo fanno servendosi di parole, se non delle poche che
posseggono. Come pensano? Di cosa si servono per pensare? Come pensa,
per esempio, un gatto? I gatti sanno fare diverse cose: farsi aprire una porta o
una finestra – alcuni gatti sanno aprirsi alcune porte – distinguere ciò che
possono mangiare da tutto il resto, sanno chiedere di prenderli in braccio.
Chissà quante altre cose sanno immaginare, volere, fare. Pensano, insomma.
Non pensano però servendosi di una lingua.
Aristotele, nella Politica, definisce l’uomo come animale politico, zõon
politikón. Questa definizione è diversa dalla prima.
Eppure, le due definizioni sono legate. Se ci si chiede qual è la funzione
specifica del linguaggio, nella tradizione si incontra chi gli dà una funzione
legata al pensiero – solo gli esseri capaci di linguaggio sono esseri capaci di
pensare? come abbiamo appena visto, la mia risposta è: no – o se la funzione
del linguaggio sia quella di comunicare. (Chomsky distingue il linguaggio
interno e quello esterno, legandoli rispettivamente a queste due funzioni
classiche del linguaggio. Ora, apoditticamente, il linguaggio serve a entrambe
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le cose, fra l’altro consentendoci di mettere in comune i nostri pensieri. Siamo
qui che parliamo di Aristotele, perché Aristotele ha tenuto lezioni, perché ha
scritto – i suoi scritti sono perduti – perché abbiamo appunti delle sue lezioni.
Possiamo cominciare a discutere dai suoi risultati, e il nostro pensare può
cominciare da lì, non da zero. Se gli animali riescono a mettere in comune
qualche pensiero locale, non possono sapere cosa hanno pensato i loro
antenati.
Studiare filosofia del linguaggio, significa studiare questa differenza, studiarne
tutti gli aspetti come funziona, che effetti ha, ecc. Senza esagerare né la
differenza né gli effetti.
Ludwig Wittgenstein, nelle Ricerche filosofiche apparse postume nel 1953,
scrive:
Talvolta si dice: gli animali non parlano perché mancano loro le facoltà spirituali.
E questo vuol dire: «non pensano, e pertanto non parlano». Ma appunto: non
parlano. O meglio: non impiegano il linguaggio – se si eccettuano le forme
linguistiche più primitive. Il comandare, l’interrogare, il raccontare, il
chiacchierare, fanno parte della nostra storia naturale come il camminare, il
mangiare, il bere, il giocare. (I, 25)
Fermiamoci a non parlano. Quando sosteniamo che gli animali non pensano,
lo facciamo perché non parlano, perché non hanno quella forma particolare di
pensiero che è il pensiero discorsivo. Se un gatto parlasse, non sapremmo che
dire.
Di passaggio, vorrei aggiungere qualcosa su ciò che segue non parlano.
Aristotele nega che gli animali parlino. I suoni che emettono – per il gatto,
miao se italiano, miew se inglese, ecc – non sono, per lui, espressioni
linguistiche, perché una lingua richiede articolazione. Wittgenstein, invece,
dice che hanno solo forme linguistiche primitive. I gatti hanno toni diversi nei
loro miao. Altre specie hanno richiami diversi e non solo toni diversi per lo
stesso richiamo, cioè non un solo tipo di catena fonica. Gli animali hanno
anche gesti, molti più di un gesto, e potremmo trattare i gesti come una lingua
segnata primitiva (le lingue segnate sono quelle dei sordomuti). Wittgenstein
però questa dimensione non la considera, e in ogni modo il farlo renderebbe
solo appena un po’ meno primitiva la lingua degli animali.
Un esempio di preistoria delle origini del linguaggio è il passaggio della Genesi
2, in cui leggiamo:
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli
uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in
qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello
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doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi … a tutti gli uccelli del
cielo e a tutti gli animali selvatici …
La Genesi non dice come Adamo fosse arrivato a parlare, ma dice che Dio
l’aveva creato, prima degli animali, nello stesso modo in cui racconta in questo
passo come crea animali e uccelli. Quindi, un’ipotesi più che plausibile è che
Dio abbia creato l’uomo capace di parlare. Qui esamineremo l’ipotesi opposta, e
cioè che Dio non si sia curato di noi fino a questo punto, e che la nostra capacità
di parlare sia emersa evolutivamente. Questo non nega affatto un’origine divina
del mondo. Dio potrebbe aver creato il mondo e lasciato che questo evolvesse
liberamente, per conto suo. (Lo stesso Darwin nell’Origine dell’uomo si occupa
di mostrare la compatibilità della sua congettura con la religione.)
Un altro passo della Genesi, riguarda la lingua e meriterebbe una discussione
approfondita. In Genesi 11 si dice:
Il Signore disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola;
questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non
sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché
non comprendano più l’uno la lingua dell’altro.» Il Signore li disperse di là su
tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò
Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li
disperse su tutta la terra.
Il mito di Babele ha alcuni aspetti interessanti e secondari. Gli uomini, secondo il
mito, parlavano tutti una stessa lingua, o parlavano ciascuno la propria lingua e
tutti comprendevano tutti, prima della punizione divina? Ha poi aspetti primari di
cui non vorrei discutere. La lingua è un’astrazione. L’italiano è un intorno di
milioni di varianti, ed esiste come astrazione finché c’è una comunità che si
identifica con la lingua (e anche questa è un’astrazione) ed è in contatto continuo,
perché a scuola, nei tribunali, negli ospedali, in borsa, ecc, si parla quella lingua,
perché a casa e al mercato si parla italiano. Appena ci si allontana un po’ la
lingua cambia. Così ci sono varianti dell’italiano, che in una suddivisione molto
ottimistica comprende l’italiano del nordovest, quello del nordest, quello del
centro, quello del sud, quello della Sicilia e quello della Sardegna. Se fate
attenzione, però, scoprirete che già a casa di vostra cugina l’italiano che parlano
è qua e là diverso da quello di casa vostra. Il mito di Babele è un mito di
semplificazione. Una lingua franca, come il latino in Europa e nell’area
mediterranea, per secoli, e l’inglese oggi, sono complessi di pidgin, cioè lingue
con più lessici e più grammatiche, che “imbastardiscono” la lingua originale.
Se affrontiamo la questione dell’evoluzione della lingua in termini generalissimi
ci sono due punti che emergono: quando gli uomini hanno cominciato a parlare,
e perché. Non ci sono risposte vere a nessuna delle due domande, e la seconda
sembra ancor più ardua della prima. Gli uomini hanno cominciato a parlare una
lingua nell’accezione in cui usiamo oggi questo termine fra 50 e 200maf. Ma ci
sono state protolingue? Lingue dei segni (cioè lingue che si sono materializzate in
gesti manuali) o lingue vocali simili a pidgin prima di allora? Il punto, ancor oggi,
8
seppure un po’ meno che nel 1868 o nel 1872 quando la Società linguistica
francese e poi quella filologica inglese esclusero di accettare qualsiasi lavoro
sull’origine della lingua, ancora oggi la questione è largamente indecidibile. Ci
sono stati importanti ritrovamenti paleontologici, grandi progressi nello studio
delle molecole, come in biologia – come le mappe del DNA, e quindi l’analisi del
genoma, ossia del materiale genetico di un individuo di qualunque specie. Ma
tutti gli indizi o le prove della formazione di abilità linguistiche sono indirette.
L’evoluzione del linguaggio
Mostrare Kanzi. (Sue Savage-Rumbaugh, Matata) You tube.
Perché allora affrontare questo argomento? La prima risposta che mi viene è:
perché siamo curiosi. La seconda è: perché la lingua è da sempre stata indicata
come la nostra differenza specifica, assieme all’opposizione di indice e pollice.
La terza è: perché questo ci obbliga a chiarire meglio cosa sia la lingua. La quarta
è: perché questo ci obbliga a chiarire altre cose, come cosa sia il pensiero, o cosa
sia la comunicazione. La quinta è: per fare un po’ d’ordine, e cercare di disfarci
di qualche argomento che mi pare debole o fuorviante.
Ho messo in rete due lavori di Maggie Tallerman e ho aggiunto anche un Lavoro
di Derek Bickerton – che trattano di cos’è la sintassi, della protolingua (cioè della
lunga fase intermedia fra una scimmia ominine che non parla e un homo sapiens
sapiens che padroneggia una lingua completamente articolata, dell’origine della
sintassi. Non ho aggiunto molto nell’esposizione in classe. Ho però sostenuto
che la grammatica generativa ci offre un potente strumento di descrizione delle
lingue, ma ha scarsa capacità predittiva, e dunque esplicativa, circa la dinamica
delle lingue. Ho svalutato i tentativi di trasformare alcuni primati superiori in
parlanti, perché si tratta di esperimenti che non possono, di principio, riprodurre
il lento lavoro dell’evoluzione. Ci possono mostrare forse qualcosa sul fatto che
da un bonobo in milioni di anni potrebbe svilupparsi un animale parlante.
Attenzione, però: se riportassimo l’orologio indietro a 8 milioni di anni fa e poi
andassimo a vedere il mondo fra otto milioni di anni, nulla garantisce che
troveremmo l’homo sapiens sapiens, o altri animali che parlano, o solo un
animale che parla. L’evoluzione seleziona sul caso, e i casi non si riproducono
uguali. Ho, inoltre, cercato di argomentare contro l’idea che le lingue verbali si
sviluppino da lingue gestuali o che all’origine della lingua ci siano musica o
canto. Ho sottolineato co eoa sintassi sia uno sviluppo della semantica. Ho
anticipato che ci sono due snodi essenziali nella costruzione di una lingua.
Parlare indirizza e sintonizza l’attenzione. Cioè forse non è che gli uomini
parlino perché sono capaci di joint attention, ma la loro capacità di parlare e di
impegnarsi in compiti di sintonizzazione attentiva vanno assieme. Ci sono alcuni
sintagmi specifici, gli enunciati assertivi, che sono veri o falsi. Qui ho parlatp di
lingua piuttosto che di linguaggio. Il linguaggio è una capacità che esercitiamo
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padroneggiando una lingua. Ora, non è questa capacità che produce la lingua,
ma probabilmente il contrario, (ri)costruendo una lingua arriviamo ad avere
quella capacità.
Tallerman e Bickerton ci offrono una grammatica generativa, nella versione
minimalista, che ha al centro il merging, la capacità di costruire sintagmi
proiettando una testa su una coda che è un sintagma essa stessa. A differenza di
Chomsky, però, entrambi credono in una lenta evoluzione della capacità
linguistica, che comincia con singoli lessemi, sviluppa una protolingua con niente
o poca sintassi, e ha alla fine una lingua come la conosciamo noi. Ci si propone
una sttoria che comincia tra 6 e 7 milioni di anni fa quando gli ominini si sono
staccati dagli altri pan, cioè da scimpanzé-bonobo, che vede circa 2,6-2 milioni
di anni fa il comparire di una protolingua e tra 200mila e 55mila anni fa la
comparsa di una lingua vera e propria. I motivi delle ultime datazioni sono
collegati allo spargersi per il mondo degli ominini, al loro uscire dall’Africa e al
momento in cui raggiungono l’ultimo continente, l’Oceania. L’idea è che la
grammatica universale dipenda dall’essere tutte le lingue discendenti di una stessa
lingua. Non sono sicuro che, se la grammatica universale è come dicono molti
generativisti, per esempio Andrea Moro, dello IUSS di Pavia, la descrizione di
qualunque lingua possibile, allora questi vincoli di datazione abbiano un
fondamento.
Chi fosse curioso di saperne di più, si legga l’intero volume curato da M.
Tallerman e K. Gibson The Oxford handbook of the evolution of language (Oxford
Oxford University Press 2012).