1 I TRIBUNALE TRENTO, 6 settembre 1996. - Solinas Giudice del Registro - Grisotto s.n.c. Ricorrente. Decreto. Società - Società di persone - Società a responsabilità limitata - Quota - Natura Costituzione di usufrutto - Ammissibilità. (Codice civile artt. 812, 2352) E’ inammissibile la costituzione del diritto di usufrutto su quote di società di persone, dal momento che queste afferiscono a posizioni contrattuali ed a posizioni giuridiche non riconducibili ai beni patrimoniali materiali ed immateriali che possono formare oggetto del diritto di proprietà. Significativa, in questo senso, è la mancanza di un titolo cartaceo e la previsione della possibilità della costituzione di usufrutto solo in materia di società per azioni, previsione specifica ed eccezionale e, quindi, non estensibile analogicamente ad altri tipi di società. II TRIBUNALE TRENTO, 14 gennaio 1997. - Palestra Presidente - Giuliani Relatore Grisotto s.n.c. Ricorrente. Decreto; riforma Tribunale Trento, Giudice del registro delle imprese, 6 settembre 1996. Società - Società di persone - Società a responsabilità limitata - Quota - Natura Costituzione di usufrutto - Ammissibilità. (Codice civile artt. 812, 2352) Non vi sono ragioni di ordine sistematico assolutamente ostative alla ammissibilità della costituzione di un diritto di usufrutto su quote di società di persone, dal momento che queste, a prescindere dalla esistenza o meno di un titolo di natura cartolare, possono formare oggetto di un diritto di proprietà. Il diritto vivente, infatti, mancando il titolo cartaceo che contraddistingue l’azione, riconosce alla quota sociale della s.r.l. la natura di res immaterialis, equiparata al bene mobile materiale ex art. 812 c.c., con la conseguenza che non sussistono ostacoli ad ammettere la costituzione del diritto di usufrutto su tale quota, a nulla rilevando la natura cartolare del titolo azionario e l’accentuazione dell’elemento personale nella s.r.l. Le stesse considerazioni possono farsi, sotto il profilo in esame, anche per le partecipazioni a società di persone. 1 2 L’USUFRUTTO SULLE QUOTE DI SOCIETA’ DI PERSONE 1.- La possibilità di costituire usufrutto sulle quote di partecipazione di una società di persone è stata oggetto di una lunga discussione dottrinale e giurisprudenziale, discussione che è tuttora lontana dalla propria conclusione. Così, se pure è vero che l’attuale orientamento prevalente è favorevole alla ammissibilità della costituzione, è altresì vero che non sembra si sia giunti ad una conclusione definitiva della questione, causa anche il silenzio del Codice su molti degli aspetti fondamentali della stessa, nonché la diversa qualificazione giuridica che in dottrina e giurisprudenza viene data della quota tout court, cioè come concetto generale e, quindi, sia come partecipazione in società di persone che in società a responsabilità limitata. In questo senso appare indicativo l’avvicendarsi dei due provvedimenti del Tribunale di Trento. Il primo decreto, emesso dal Giudice del Registro delle imprese di detto Tribunale in data 6 settembre 1996, definisce inammissibile la costituzione del diritto di usufrutto su quote di società di persone: il diritto di usufrutto è un diritto reale limitato, caratterizzato dal requisito di tipicità ed avente ad oggetto ogni bene patrimoniale, materiale ed immateriale, che possa formare oggetto del diritto di proprietà, non dunque le quote di società di persone, che non sono rappresentate da titoli e riguardano posizioni giuridiche che non possono essere qualificate nell’ambito della nozione giuridica della proprietà. Tale convinzione trova riscontro nel fatto che la possibilità di costituzione di usufrutto sia disciplinata dal Codice solo nell’ambito delle società per azioni (art. 2352 c.c.), materialmente rappresentate da un titolo cartaceo che, in quanto tale, può essere fatto rientrare nell’ambito giuridico del bene mobile con maggior facilità. E’ dunque sul brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit e sulla mancata possibilità di definizione della quota come bene che si fonda il provvedimento del Giudice del Registro; questo, inoltre, afferma che gli stessi istituti dell’intuitus personae e della illimitata responsabilità patrimoniale dei soci, caratteristici delle società di persone, mal si coniugano con la possibilità di costituzione e cessione di diritti reali di usufrutto sulle quote di queste. Di diverso avviso si è mostrato, però, il Tribunale di Trento, adito con ricorso ex art. 2192 c.c., nel suo provvedimento del 14 gennaio 1997. Il Tribunale, difatti, si è pronunciato per la ammissibilità della costituzione del diritto di usufrutto su quote di società di persone, sulla base della natura attribuita alle quote, qui intese in senso ampio, ossia come partecipazioni in società (di persone o a responsabilità limitata) non rappresentate da titolo cartolare; quote, cioè, in senso di partecipazioni non azionarie: la condizione per la quale l’oggetto dell’usufrutto sia una res sottoponibile, come tale, al diritto di proprietà, sarebbe, infatti, soddisfatta 2 3 dalla natura di res immaterialis delle quote (e, dunque, sia di società di persone che a responsabilità limitata); nel fare ciò si prescinde dalla sussistenza di un titolo di natura cartolare in cui la partecipazione alla società sia incorporata. Il Tribunale si ricollega ad pronunciamento, in tema di quote di s.r.l., della Corte di Cassazione (n. 7409 del 12 dicembre 1986, De Malgazzi c. Soc. Imm. Euros1, pronunciamento noto, come anche il n. 7614 del 19 agosto 1996, di cui si dice più sotto, al Giudice del Registro, che, però, li ha ritenuti entrambi “non convincenti né decisivi” dal momento che “solo incidentalmente affrontano le tematiche in oggetto”), che ha definito la quota di una s.r.l. come bene immateriale, equiparato, come tale, ad un bene mobile ex art. 812 c.3° c.c.; le stesse considerazioni sono ritenute valide dal Giudice, sotto il profilo in esame, anche per le società di persone. Ancora la giurisprudenza più recente della Suprema Corte (Cass. n. 7614 del 19 agosto 1996, Grecchi c. Società Romana Fruges2) “riconosce apertamente la possibilità di usufrutto di quota di s.r.l., sostenendo tra l’altro che la disciplina circa l’esercizio del diritto di voto è la stessa prevista dall’art. 2352 c.c., uguali essendo le ragioni sottese alle due fattispecie, a nulla rilevando la natura cartolare del titolo azionario e l’accentuazione dell’elemento personale”; dal momento che, a parere del Tribunale di Trento, queste sono le medesime considerazioni che possono farsi per la partecipazione alle società di persone, viene meno il presupposto su cui il Giudice del Registro ha fondato il rigetto del ricorso, che viene così accolto. Occorre rilevare che mentre il Tribunale ritiene doveroso estendere alle società di persone quanto stabilito dalla Suprema Corte in materia di s.r.l., il Giudice del Registro non considera ammissibile nemmeno questo, causa la mancanza del titolo cartolare e di espresse norme di legge. Come si può notare, con riferimento all’usufrutto di quote di società di persone, la diversa conclusione cui addivengono il Giudice del Registro delle imprese ed il Tribunale deriva dalla natura che si attribuisce a monte alle quote intese in senso generale, giacchè la obiezione più rilevante alla costituzione di usufrutto, deriva dalla loro mancanza di cartolarità, che impedirebbe di qualificarle come beni e, quindi, di costituire l’oggetto del diritto reale in questione3. La trattazione della disciplina delle quote sociali, d’altra parte, è oggetto di controversie anche in dottrina, non sempre concorde nel ritenere che la natura delle quote di una società personale e quella di una s.r.l. siano assimilabili, causa schema societario, finalità e principi di natura sostanzialmente diversa, il che porterebbe ad escludere una applicazione analogica delle rispettive discipline4, come, invece, è stato 1 In Mass. Foro it., 1986, c. 1247. In Mass. Foro it., 1996, c. 688. 3 Nel caso in esame, quello, cioè, di società di persone, il Giudice del Registro delle imprese ha manifestato perplessità anche in relazione ai caratteri dell’ intuitus personae e della responsabilità patrimoniale illimitata dei soci, che “mal si coniugano con la possibilità di costituzione e cessione di diritti reali di usufrutto su quote”; le argomentazioni , però, sono incidentali e non assolute, in quanto dettate dalla preoccupazione che lo stesso Giudice manifesta poco oltre delle “rilevanti problematiche interpretative” che scaturirebbero da una ammissione della costituzione del diritto di usufrutto. 4 Cfr. A. PAGLIANI, Usufrutto su quota di società personale: contrasti di opinione, in Società, 1997, 8, p. 930; per una soluzione affermativa: G. C. M. RIVOLTA, La partecipazione sociale, Milano, 1965, p.165 ss.; G. SANTINI, Le S.r.l., in Comm.del cod. civ. a cura di A.Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1984, n. 2,., p. 15 ss.; A. ASQUINI, Usufrutto di quote sociali e di azioni, in Riv. Dir. comm., 1947, p. 13. 2 3 4 riaffermato (giustamente, si ritiene) dal Tribunale di Trento5: quello che cambia, semmai, sono le modalità di trasferimento (di cui ci occuperemo dopo aver analizzato la comune natura delle quote sociali), che mutano in virtù del carattere più marcatamente personale delle società omonime; la natura delle quote sociali è, però, sostanzialmente la stessa ed è da questo punto comune che si intende prendere le mosse in questa sede. 2.- Quello della quota sociale è, dunque, un concetto di non facile definizione, stante la difficoltà di determinare un oggetto che il nostro ordinamento giuridico ha voluto diverso dall’azione, senza, però, precisare di quanto. Principio cardine del nostro ordinamento, pressoché da ognuno accettato, è che non si possa avere la costituzione di un diritto sopra un altro diritto6, cosa che, nel caso dell’usufrutto, porterebbe ad una cessione costitutiva7, poiché, essendo sempre oggetto di un diritto, direttamente o indirettamente, un bene, il diritto che viene costituito sopra un altro non potrà che avere per oggetto il medesimo bene. Dunque, se si considera la quota come diritto (di partecipazione, di credito, ad uno status o altro poco importa) e non come bene, causa la mancanza del titolo cartaceo, sembra derivarne la inammissibilità dell’usufrutto. Problemi si possono presentare, poi, anche qualora si faccia rientrare la quota tra i beni, giacché la natura della quota è tale da non consentire quel possesso del bene che pure è una delle caratteristiche primarie dell’usufrutto. Queste considerazioni appaiono, però, ancorate ad una concezione arcaica del nostro diritto civile, che non tiene conto del fatto che il Codice è stato elaborato in un periodo economico decisamente diverso da quello attuale. Rimanere fermi ad una visione “rurale” degli istituti in esso contenuti, significa rinunciare a quell’opera di implicito adeguamento ai tempi che ogni sistema giuridico dovrebbe svolgere: non si tratta di forzare lo spirito della legge, dando vita ad interventi di c.d. ortopedia giuridica, ma di tentare di coglierlo nelle sue sfumature e di applicarlo alla situazione attuale; ecco, allora, che le obiezioni sopra citate possono essere riconsiderate, a partire dal concetto di possesso del bene (se tale si ritiene la quota) oggetto dell’usufrutto, che in questo caso deve essere inteso in senso esclusivamente economico. 5 L’usufrutto di quote nelle società personali (per il caso in cui queste siano di un socio a responsabilità illimitata) è stato ritenuto possibile, ma difficile da verificarsi, da A. ASQUINI, op. cit., p. 17: da un lato i soci non vorranno l’intrusione di un non socio nella gestione della società, dall’altro il socio nudo proprietario, che garantisce verso i terzi con l’intero suo patrimonio (ma vedremo oltre se non si debba parlare di responsabilità illimitata anche per l’usufruttuario) per le obbligazioni sociali ed ha verso la società particolari obblighi di non concorrenza, non sarà disposto a lasciare all’usufruttuario i poteri di gestione relativi alla quota. Nel caso in cui ciò dovesse verificarsi, prosegue l’autore, assumerà particolare importanza l’obbligo dell’usufruttuario di prestare, per la gestione della quota, idonea garanzia (art. 1002 c.c.) e, in caso di abuso dell’usufruttuario nella gestione della quota, si darà luogo alle misure cautelari previste dall’art. 1015 c.c.; questa fattispecie, però, non sembra essere configurata da una eventuale concorrenza (purché non in mala fede) attuata dall’usufruttuario verso la società, dal momento che egli non sembra essere sottoposto al divieto di cui all’art. 2301 c.c.; cfr. M. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972,., p. 680. 6 Ma si veda contra G. VENEZIAN, L’Usufrutto, Torino, 1913, p. 16 ss., che, partendo dalla ammissibilità della categoria dei diritti su cose incorporali (tra le quali si comprendono i diritti) ammette il concetto di proprietà del diritto. 7 M. GIORGIANNI, Nuovo Digesto, voce “Usufrutto”, Torino, 1940, p. 782. 4 5 Il corpus, elemento materiale del possesso, infatti, va inteso nel senso di un rapporto di dominazione sulla cosa, dominazione che può essere fisica ma anche economica (come accade, d’altronde, anche nel caso dell’azione: quale differenza implica sotto questo punto di vista la presenza del titolo?), sub specie della utilizzazione concreta della cosa8. Tuttavia, la mancata incorporazione in “documenti aventi i caratteri e le funzioni proprie dei titoli di credito9”, come nel caso delle azioni, ha contribuito ad alimentare non poco le perplessità di dottrina e giurisprudenza sulla possibilità di circolazione della quota; d’altra parte, la quota costituisce “un coacervo di diverse matrici, obbligatorie, reali, corporative10”, esprime una posizione contrattuale obiettivata11, esattamente come l’azione, la quale, è bene ricordarlo, non sempre in una società per azioni rappresenta la quota di partecipazione (r.d.l. 29 marzo 1942 n. 239, art. 5, che prevede la costituzione di vincoli reali in ipotesi di omessa distribuzione di titoli azionari); dal punto di vista concettuale, dunque, l’esistenza del titolo non aggiunge nulla: rende, questo sì, più agevole la circolazione e, conseguentemente, la mobilitazione del credito. La quota sociale, sia essa di società di persone o di s.r.l., ha, di conseguenza, la stessa natura dell’azione, costituendo la misura della partecipazione del socio alla società; la mancata incorporazione in un titolo di credito12 è solo la conseguenza di una natura più personale del tipo di società, in virtù della quale il legislatore ha ritenuto di rendere meno “libera” la circolazione delle quote. Questa appare, dunque, essere la ratio alla base della quota sociale e, allo stesso tempo, il suo motivo di differenza dall’azione: ma se è vero che il legislatore ha voluto limitare (o meglio regolare in maniera più stringente) la circolazione della quota (ed in questa sede il termine sta a significare non solo la cessione della quota sociale, ma, appunto, la possibilità che essa costituisca oggetto di usufrutto), è altrettanto vero che egli non l’ha di certo negata, cosa che, si ritiene, si porrebbe in insanabile contrasto con il concetto, che permea tutto il Codice, di estremo favore per la circolazione dei beni (sulla possibilità di definire la quota come bene si tornerà in seguito). E’ questa, a parere di chi scrive, la chiave di lettura del problema, né sembra si possa obiettare, come fatto dal Giudice del Registro delle imprese del Tribunale di Trento, che l’ammissibilità della costituzione dell’usufrutto è negata dalla presenza di tale previsione solo in materia di società per azioni (art. 2352 c.c.). 8 Così M: GHIDINI, op. cit., p. 671; l’autore parla, però, anche di utilizzazione concreta del diritto oggetto dell’usufrutto, tesi non condivisibile, come si vedrà nel proseguio dello scritto; si veda anche A. ASQUINI, op. cit., p. 19, secondo cui l’usufruttuario esercita il proprio possesso nei confronti della quota (art. 982 c.c.), sennonché, mancando il corpus per un possesso di tipo “classico” (e cioè materiale) esso andrà inteso come rapporto di dominazione (economica) sulla cosa, il che attribuisce all’usufruttuario il diritto alla consegna dei documenti probatori del diritto di usufrutto sulla quota. Così la Relazione al Codice Civile al n° 1005. 10 Così G. COTTINO nel suo Manuale, Padova, 1994, § 196, p. 696. 11 Idem, ivi. 12 L’eventuale certificato di quota rilasciato dalla società è un documento e non un titolo; è un mezzo di prova della titolarità dei rapporti sociali, non uno strumento per la loro circolazione. 9 5 6 Il brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, citato a questo proposito dal suddetto giudice di Trento, mal sembra adattarsi alla situazione in esame, dal momento che non tutto quello che non è espressamente richiamato nella disciplina della quota sociale è da ritenersi ad essa inapplicabile. Un esempio a riguardo è costituito dalla possibilità di costituire un pegno sulle quote di una s.r.l.; ciò non è espressamente previsto dal Codice e, tuttavia, ammissibile alla luce del richiamo indiretto effettuato dall’art. 2483 c.c. , che vieta di ricevere in pegno le proprie quote: tale divieto non avrebbe ragione di esistere se la suddetta costituzione fosse ritenuta inammissibile13. Il pegno di quote è, perciò, ritenuto pressoché unanimemente ammissibile (ed a questo punto sorge spontaneo chiedersi perché non dovrebbe esserlo l’usufrutto), nonostante non vi siano norme espresse ma solo un richiamo incidentale: ecco, allora, che anche in tema di usufrutto il mancato richiamo dell’art. 2352 c.c. assume, per la dottrina prevalente, il valore di una involontaria omissione da parte del legislatore14, quando non addirittura quello di una scelta ben precisa, causata dalla ovvietà dell’applicabilità della disciplina in questione15; non corretta, allora, si ritiene la affermazione secondo la quale si può configurare il diritto di usufrutto nelle s.p.a. in virtù della cartolarità propria della partecipazione sociale, che integra un bene mobile materiale: a rilevare “non è la cartolarità o meno del rapporto, ma la idoneità dei diritti espressi dalla quota o dalla quota intesa come res ad essere assoggettati al diritto di usufrutto”16. 3.- Le differenze tra quota ed azione, dunque, non sono tali da rendere verosimile l’ipotesi di ammissibilità dell’usufrutto per la seconda e non per la prima, né sembra possa bastare a supportare questa teoria la presenza di una espressa previsione riferita alle sole azioni, come sostenuto dal Giudice del registro delle imprese; d’altra parte, anche analizzando la natura della quota sociale (indipendentemente, giova ripeterlo, dal tipo di società di cui rappresenta la partecipazione), punto focale della decisione dei due provvedimenti, sembra si possa giungere a questa conclusione. La quota rappresenta il grado di partecipazione sociale di un soggetto, esprimendo in termini aritmetici la misura, la proporzione del conferimento nei confronti degli altri soci; d’altro canto, essa esprime anche il valore, cioè l’entità di tale partecipazione nei confronti dei soci e della società. 13 Cfr. D. TEDESCHI, In tema di pegno di quote di S.r.l., in Foro It., 1957, IV, p. 145. In questo senso G. C. M. RIVOLTA, La Società a responsabilità limitata, Milano, 1982, p. 224, il quale ritiene addirittura pacifico che anche le quote di quella società possano essere assoggettate ai diritti di cui all’art. 2352 c.c., dal momento che pegno ed usufrutto non possono incidere sulla compagine sociale più di quanto non faccia il trasferimento della quota sociale, che pure è consentito (art. 2479 c.c.). Lo stesso autore, però, poco oltre trae dalla mancanza del richiamo dell’art. 2352 c.c. una conseguenza che non pare condivisibile: il diritto di voto spetterebbe, cioè, al socio e non al creditore pignoratizio e all’usufruttuario, perché la disciplina dell’art. 2352 c.c. presupporrebbe come essenziale l’emissione di azioni. Le due conclusioni paiono in contraddizione: infatti, se si ritiene che le norme in materia di usufrutto e pegno di azioni valgano anche in assenza di espresso richiamo, non si vede perché limitarne la portata adducendo questo come motivazione. 15 In questo senso G. COTTINO, op. cit., p. 697, secondo il quale il legislatore ha lasciato “ai giuristi il compito di fornire a posteriori le giustificazioni teoriche più acconce alle scelte compiute in sede economica operativa”. 16 A. PAGLIANI, op. cit., p. 930. 14 6 7 Non solo: il concetto di quota richiama anche il complesso dei diritti, dei poteri, delle facoltà e degli obblighi che la partecipazione alla società comporta per ciascun socio. In virtù di questo è stato ritenuto17 che la quota sia una universitas iuris, consistente i una pluralità di diritti ed obblighi unificati dall’ordinamento. Questa tesi non sembra cogliere la reale essenza della quota, tanto più che parlare di universitas iuris rispetto a diritti ed obblighi così diversi tra loro appare come una forzatura. Larga parte della dottrina, invece, ha definito la quota sociale come un diritto ora di credito (da farsi valere nei confronti dei liquidatori secondo alcuni18, nei confronti della società secondo altri19), ora reale di proprietà (che esprime la posizione del socio come contitolare del patrimonio sociale)20; secondo altri21, la quota costituirebbe il diritto a partecipare alla società come socio, cioè di rivestire lo status di socio. Tutte queste teorie, però, risultano incomplete dal momento che definire la quota come diritto di credito non tiene conto di tutta quella serie di diritti amministrativi che essa racchiude (e che non si possono ritenere strumentali al diritto di credito come alcuni hanno fatto)22: infatti, la definizione di quota come semplice diritto di proprietà non considera lo status che con essa si acquista e, viceversa, la definizione di status non prevede l’entità patrimoniale della stessa. Dal momento che la quota esprime i diritti, i poteri, gli obblighi, la proporzione del conferimento, il valore e l’entità della partecipazione, essa rappresenta la posizione contrattuale (l’intera posizione contrattuale, non solo un diritto di credito o uno status) facente capo al socio e derivante dal contratto di società ai sensi dell’art. 2247 c.c. Cosi’, vi è stato chi23 ha affermato che la quota è “la titolarità nei diritti e negli obblighi (del socio) tout court, sicché il trasferimento, la successione, la comunione, l’espropriazione ed il pegno non sono altro che il trasferimento, la contitolarità, 17 G. ROMANO-PAVONI, In tema di azioni e quote di società: vendita di aliud pro alio?, in Banca, borsa tit. cred., 1953, II, p. 153. 18 A. CANDIAN, in Dir. fall. , 1959, II, p. 339 ed ivi, 1961, I, p. 257 ss. 19 A. BRUNETTI, Trattato del Diritto delle Società, III, Milano, 1950; G. STOLFI, in Banca, borsa tit. cred., 1954, I, p. 854; interessante è, inoltre, la posizione di G. VALERI, Manuale di diritto commerciale, Firenze, 1950, I, p. 222, che considera accessori e strumentali rispetto al diritto di credito i diritti personali di partecipazione alla vita societaria. 20 G. FERRI, Delle Società di persone, in Comm. del cod. civ. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1981, n. 2. In questo senso si pronunciata Cass., 28 Agosto 1952, Nironi c. Bonacchi, in Banca, borsa, tit. cred., II, 1953, p. 150, in base alla quale “se nell’atto di vendita di quote o di azioni di società il venditore garantisce che esse si riferiscono ad una determinata azienda o ad un impianto industriale di determinate caratteristiche, e poi si accerti che l’azienda è diversa e l’impianto non idoneo ad utile funzionamento, o incapace di utilizzazione industriale, le quote o le azioni trasferite costituiscono cosa diversa da quella voluta in contratto, onde è ammessa azione di annullamento, fondato su errore essenziale del consenso”. Certo, la funzione economico patrimoniale della quota è in stretto rapporto con i beni costituenti l’azienda della società, ma questa è qualcosa di più e di diverso, che non può essere limitato ad una vendita di beni sociali, che, peraltro, e questa ci sembra una eccezione decisiva, non si trasferiscono con la cessione della quota: non essendo, infatti, la quota una frazione del patrimonio sociale, né certamente di un diritto sul patrimonio sociale, non si può affermare che il non essere compresa nel patrimonio sociale una data azienda costituisca vendita di aliud pro alio. 21 V. BUONOCORE, Le situazioni soggettive dell’azionista, Napoli 1950, pp. 101, 102,179 ss. 22 Si veda alla nota 17. 23 G. SANTINI, op. cit., p. 16 ss. 7 8 l’espropriazione, il pegno di quei diritti e di quei doveri”: il legame che tiene avvinti quegli elementi è il contratto di società, dal quale scaturiscono i diritti sociali, gli obblighi e gli stessi poteri del socio24. Su queste basi, anche parlare di un diritto alla partecipazione al patrimonio sociale25 non sembra corretto, apparendo più efficace come classificazione semantica (cioè come modo unitario di definire il complesso di diritti che scaturiscono dal contratto o dal rapporto sociale) che giuridica: a riguardo è stato giustamente rilevato che un diritto di partecipazione, configurandosi come patrimoniale, dovrebbe essere rinunciabile, mentre di rinuncia alla quota non è possibile parlare26. La fonte di ogni diritto ed obbligo è, dunque, quel contratto con comunione di scopo che prende il nome di contratto di società e, conseguentemente, il rapporto che ne è alla base non potrà che essere un rapporto di tipo contrattuale. 4.- Se fonte dello status di socio (inteso come summa della partecipazione sociale e, quindi, svuotato di ogni riferimento a condizioni personali del soggetto) è il contratto di società, sarà questo ad essere oggetto di qualsiasi tipo di modificazione; le vicende della quota sono, cioè, le vicende del rapporto contrattuale da cui essa scaturisce, un rapporto contrattuale che è, di conseguenza, suscettibile di una propria chiara e precisa valutazione economica, un rapporto contrattuale che può formare oggetto di diritti (art. 810 c.c.) e che in quanto tale è, dunque, un bene. Quello di bene è un concetto di difficile inquadramento ed in costante mutamento (si pensi ad es. alla multiproprietà); sono, tuttavia, beni “le cose che possono formare oggetto di diritti” (art. 810 c.c.), purché siano suscettibili di una valutazione economica, essendoci l’interesse a farle oggetto di un proprio diritto. Tutto ciò sembra attagliarsi al suddetto rapporto contrattuale, benché la definizione di cosa, da autorevole dottrina27 considerata come “entità corporale”, non lo faccia apparire come bene in senso propriamente tecnico. Comunque, è in questa ottica (mutando, cioè, la definizione di quota con quella di rapporto contrattuale), a parere di chi scrive, che si può ritenere convincente la sentenza della Suprema Corte n. 7409 del 12 dicembre 1986, che ha definito la quota di s.r.l. come bene immateriale, e come tale, bene mobile (art. 812 c. 3° c.c.) disciplinato dalle relative norme (art. 813 c.c.). Il Collegio equipara la quota (ma, come detto, meglio sarebbe parlare di rapporto contrattuale) ad un bene mobile non iscritto in un pubblico registro, sottoponendolo alla disciplina della relativa categoria di beni. 24 Fin qui la tesi dell’autore è pienamente condivisibile, sennonché egli non pare compiere il passo decisivo nella soluzione della controversia: difatti, non ritiene applicabile a questo rapporto la qualificazione di bene. Così, quando introduce l’argomento usufrutto, pur ritenendolo ammissibile, finisce col parlare di “usufrutto di diritti (anche futuri) del socio”, affermando che i diritti dell’usufruttuario si pongono non sopra quelli del socio, ma accanto ad essi, e definendo, così, l’usufrutto non come un diritto frazionario su cosa o diritto (?) altrui, bensì come un diritto proprio, parallelo a quello del socio e di estensione più limitata. A riguardo si veda op. cit., p. 124. 25 A. ASQUINI, Usufrutto di quote sociali e di azioni, in Riv. Dir. comm., 1947, p. 13 ss. 26 G. SANTINI, op. cit., p. 25 ss.: “si può rinunciare all’esercizio dei singoli diritti, si può rinunciare a crediti maturati, rimanendo socio, ma -come è risaputo- l’unico modo previsto dalla legge di perdere la qualità di socio è quello di recedere dalla società, ed il recesso è un modo di estinzione di rapporti contrattuali, non anche di diritti”. 27 F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, Padova, 1993, I, § 76, p. 310. 8 9 La Cassazione compie, così, una oggettivazione28 della quota, “al fine della sua trasferibilità ai terzi”, e “dell’unitaria situazione soggettiva del socio nella organizzazione societaria, sintesi dei poteri e dei doveri attribuiti al socio” dalla medesima. La quota (la Suprema Corte si riferisce a quella di una s. r. l., ma il concetto pare il medesimo anche per le società di persone, come precisato con la sentenza n. 7614/96), non incorporata in una azione, e quindi in un documento avente natura di cosa materiale, è, dunque, un bene immateriale. In questa ottica il bene in esame è suscettibile di “possesso” o meglio di una “situazione di relazione diretta di fatto” che dipende dall’aver iscritto la titolarità della quota nel libro dei soci, situazione che viene assimilata al possesso di un bene materiale (ma si veda sopra anche per una concezione di possesso in chiave di relazione economica)29. 5.- Per parlare della natura della quota e del principio della ammissibilità dell’usufrutto siamo partiti da una base comune, estendendo alle società di persone quanto la giurisprudenza ha affermato in tema di s.r.l.: occorre ora verificare più specificamente quello che accade nelle società di persone in virtù delle caratteristiche che sono loro proprie. In materia di trasferimento della quota, contrariamente a quanto disposto per le società di capitali (artt. 2355, 2479 c.c.), il principio generale è quello della intrasmissibilità, per atto tra vivi o mortis causa, della stessa, causa l’intuitus personae che presiede alla costituzione delle società di persone30. In realtà, più che di intrasmissibilità si deve parlare di non libera trasferibilità della quota, dal momento che questa è trasferibile, con efficacia verso la società e verso gli altri soci, qualora vi sia il consenso unanime degli stessi: è, questo, l’esatto contrario di quanto stabilito dall’art. 2479 c.c. in tema di s.r.l., laddove la trasferibilità può essere limitata o esclusa dai soci. E’ questo, come accennato, l’effetto dell’intuitus personae che è alla base del contratto delle società personali. In virtù di tale principio è consentito ai soci di decidere se ammettere o meno un terzo tra loro, dato il carattere strettamente personale della partecipazione, carattere che ha portato il legislatore a garantire de iure una maggior tutela dei soci, che, però, sono 28 Contra U. MORERA, Contributo allo studio del sequestro di azioni e di quote di società, in Banca, borsa, tit. cred., 1986, p. 508, nota 46: “un conto è l’oggettivazione in un’ottica economica della cosa (oggettivazione legata ad esigenze pratiche ed in quanto tali ammissibile), un conto è l’oggettivazione in un’ottica giuridica -unica rilevante ai fini del discorso che occupa- la quale può, a nostro avviso, configurarsi solo in presenza del titolo”; si è però detto più sopra nel testo che il titolo non costituisce differenza concettuale tra la quota di una s.p.a. e quella, ad es., di una s.r.l., ma facilita solo la circolazione della quota in un tipo di società la cui impersonalità rende questo possibile. 29 Sempre di res con riferimento alla quota ha parlato Trib. Napoli, 18 Maggio 1981, Barella c. Ciccone, in Giur. comm. 1982, II, p. 366, con riferimento alla possibilità di sequestro giudiziario della quota (altro problema a lungo dibattuto); il Tribunale ha risolto positivamente la questione, ritenendo che le quote (nel caso in questione di s.r.l.), “pur non essendo cose individue e corporali, in quanto rappresentano soltanto la misura della partecipazione del socio alla società, costituiscono, tuttavia, entità provviste di autonome qualificazioni e, perciò, assimilabili ai beni mobili espressamente previsti dall’art. 670 n° 1 c.p.c.”; nello stesso senso App. Milano, 26/10/1979, Lorini c. Sabadini, in Giur. Comm., 1980, II, p. 745; la dottrina sul punto é divisa: si veda G. C. M. RIVOLTA, Le S.r.l., p. 256 ss. per una soluzione negativa del problema. 30 M. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, p. 648. 9 10 liberi di stabilire se e in quanta parte usufruirne: l’intuitus personae è, cioè, un elemento “naturale” e non “essenziale” delle società di persone31. Perché abbia effetto nei confronti della società, infatti, il consenso dei soci alla cessione ad un terzo della quota può essere dato anche tacitamente, persino dopo che il trasferimento tra le parti sia avvenuto; la dottrina prevalente32 ritiene addirittura che siano valide le clausole che sanciscono il principio della libera trasferibilità o che rimettono alla maggioranza dei soci la concessione del consenso. E’ questo un orientamento che si ritiene pienamente condivisibile, dato che quello della intrasferibilità è un principio base che deve andare a tutto vantaggio dei soci e non costituire una “gabbia” per limitare l’autonomia degli stessi; ecco, allora, perché si preferisce il termine di non libera trasferibilità: il trasferimento è, cioè, possibile, ma solo se i soci decidano di volerlo (tacitamente, preventivamente, a maggioranza o in altro modo poco importa). A parere di chi scrive questa disciplina appare pienamente compatibile con l’idea sopra esposta di quota come rapporto contrattuale (a sua volta definibile come bene). Sembra, infatti, che la disciplina in questione altro non sia che la “proiezione” in materia di società (meglio, di società di persone) delle norme che regolano la cessione del contratto (artt. 1406 ss. c.c.): ai sensi dell’art. 1406 c.c. “ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta”; la definizione ben si attaglia alla situazione sopra esposta; certo le prestazioni dei soci, nel contratto in esame, non sono destinate a scambiarsi tra loro secondo un rapporto di corrispettività, tutte, d’altro canto, sono finalizzate alla realizzazione di uno scopo comune e tutte trovano il proprio “corrispettivo” nella partecipazione ai risultati dell’attività comune o -se si preferisce- nell’acquisto della partecipazione sociale33. La trasmissibilità della quota sociale, dunque, è possibile e, in virtù di questo, si può dire lo stesso anche per l’usufrutto: infatti, se è possibile l’alienazione integrale della quota, deve ammettersi a maggior ragione questa forma più limitata di alienazione che è l’usufrutto34 (una volta considerato che esso si costituisce sul bene rapporto contrattuale e non su un diritto). Perché l’usufrutto sia validamente costituito e, conseguentemente, produca i propri effetti nei confronti degli altri soci e della società, dunque, occorrerà che esso sia accettato dagli stessi; il consenso in questione deve considerarsi, per modalità ed effetti, in tutto e per tutto identico a quello alla cessione della quota, di cui si è già detto in precedenza: esso è dunque regolato dalle disposizioni dell’art. 2252 c.c. (unanimità dei consensi, salvo che sia diversamente convenuto) per i casi di società semplice, in nome collettivo e dei soci accomandatari, e dell’art. 2322 c. 2° c.c. 31 F. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome collettivo, in Contr. e impr. 1992, p. 1127. 32 Si vedano tra gli altri, A. GRAZIANI, Società, p. 164 e M. GHIDINI, Società personali, p. 651; contra G. FERRI, loc. cit., che, nel commentare l’art. 2322 c.c., ritiene che per costituire usufrutto o pegno con effetto rispetto alla società occorra l’unanimità dei consensi dei soci. 33 Così G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Torino 1995, II, p. 4. 34 Così anche A. GRAZIANI, Usufrutto di quota di società in nome collettivo, in Dir. e giur, 1945, p. 106. 10 11 (maggioranza dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale sociale) per le quote dei soci accomandanti35. Alla luce di quanto esposto, dunque, si ritiene corretta la decisione del Tribunale di Trento in favore della ammissibilità della costituzione di usufrutto sulle quote di società di persone. Dottrina e giurisprudenza dominanti sono concordi nel ritenere possibile l’estensione analogica dell’art. 2352 c.c. alle quote di s.r.l., ma, come osservato in precedenza, tale estensione non può essere limitata solo a questo tipo di quote, stante la medesima natura (quella di rapporto contrattuale) che si deve attribuire alle quote di società di persone, le quali, in virtù di ciò, sono trasferibili, seppure non liberamente come le prime, bensì previo consenso dei soci (artt. 2252 e 2322 c. 2° c.c. e, con riferimento alla natura di rapporto contrattuale della quota, art. 1406 c.c.). 6.- Ma, ammessa la costituzione, sul piano pratico cosa ne consegue? Questo interrogativo emerge anche dalla decisione del Giudice del Registro, che rileva come “ammissione della costituzione e trasferimento dei diritti reali di usufrutto comporterebbero ulteriori, rilevanti problematiche interpretative dai significativi ed immediati risvolti”, in virtù di quella più volte citata mancanza di regolamentazione dell’usufrutto di quote nell’ambito delle società di persone (e delle s.r.l.). Se si ammette la possibilità di costituzione dell’usufrutto su una quota sociale, si deve ritenere36 che l’usufruttuario abbia un diritto opponibile non unicamente nei confronti del titolare della quota, ma anche nei confronti della società, essendo elemento caratteristico dell’usufrutto, in quanto diritto reale, la esperibilità erga omnes37. Con l’usufrutto, dunque, la quota viene ad “appartenere” contemporaneamente a soggetti diversi: dei diritti inerenti alla posizione di socio quelli relativi al godimento della quota vengono, fino a che dura l’usufrutto, trasferiti all’usufruttuario38. E’ questo il diritto dell’usufruttuario a percepire i frutti civili (art. 820 c.c.)39. 35 M. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, p. 671, con riferimento alla forma da adottarsi per la costituzione dell’usufrutto è la stessa che è richiesta per il trasferimento della quota; questa vicenda, integrando una modificazione del contratto sociale, deve essere iscritta nel registro delle imprese, non essendo presente, a differenza delle azioni, un titolo per mezzo del quale farla risultare: A. ASQUINI, op. cit., p. 18. 36 A. GRAZIANI, op. cit., p. 106. 37 Certo, perché l’usufrutto possa essere considerato valido esso dovrà essere reale e non già fittizio: non dovrà costituire, cioè, un semplice espediente per acquisire determinati benefici (es. il diritto di voto), problema, questo, sentito anche in altri ordinamenti, come testimoniato da una sentenza della Corte di Appello di Parigi del 1965, Cadais c. Behar e Soc. Lum. Lux, in Foro It., 1966, IV, p. 29, che ha sancito la nullità, per violazione dell’ordine pubblico, della cessione, a prezzo simbolico, dell’usufrutto di quote di società a responsabilità limitata, con il patto che l’usufruttuario avesse solo il diritto di voto mentre le altre prerogative di carattere economico venivano riservate al nudo proprietario. 38 A. ASQUINI, op. cit., p. 21, sottolinea che in materia di accertamento e distribuzione di utili può sorgere un contrasto di interessi tra socio nudo proprietario ed usufruttuario, avendo il primo interesse a che gli utili distribuiti durante il periodo dell’usufrutto siano al livello più basso, per favorire un aumento del patrimonio sociale (tramite l’accantonamento degli utili non corrisposti) che si riverbera sul valore della quota e che gli frutterà in sede di una eventuale liquidazione della società, mentre l’usufruttuario ha l’interesse contrario. Per l’autore, in materia solo l’assemblea è sovrana e l’usufruttuario può solo difendersi col diritto di voto. 39 Occorre ricordare che il patrimonio oggetto dell’usufrutto è, per il caso del patrimonio di società di persone (e, dunque, non personificate), un patrimonio inteso in senso dinamico: anche la variazione e gli incrementi del patrimonio sociale, che dipendano dalla normale gestione, si riflettono sull’usufrutto, quando normalmente il patrimonio rimane 11 12 Resta da vedere quale sia la posizione ed il tipo di responsabilità cui è sottoposto l’usufruttuario. La dottrina è unanime nel riconoscere che la qualità di socio40 rimane al nudo proprietario, l’usufruttuario, però, qualora la costituzione dell’usufrutto sia stata accettata dagli altri soci, ha un diritto opponibile non solo nei confronti del socio, ma anche verso la società. Se, però, il problema della definizione dei diritti (e dei poteri) dell’usufruttuario in campo patrimoniale non crea particolari problemi (è pacifica l’attribuzione del diritto agli utili ex artt. 981 e 984 c.c.), è la definizione dei suoi diritti amministrativi, il voto su tutti, ad essere oggetto di viva discussione; d’altra parte, mentre nell’usufrutto di azioni le modalità d’esercizio dei rispettivi diritti da parte del nudo proprietario e del titolare del diritto d’usufrutto sono normativamente disciplinate dall’art. 2352 c.c., nell’ambito della società di persone (e della s.r.l.) il legislatore ha omesso qualunque tipo di regolamentazione. Anche qui, dunque, assume una fondamentale rilevanza l’interpretazione che si dà della presenza di una espressa norma del Codice (l’art. 2352 c.c., appunto) con riferimento alle sole azioni. Come è già stato rilevato in precedenza, però, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza (Corte di Appello di Bologna del 15 settembre 199341, confermata dalla sentenza della Corte di Cassazione 19 agosto 1996, n. 7614) concordano nel ritenere che la mancanza di un espresso richiamo a tali norme nel caso delle s.r.l. sia da attribuirsi ad un difetto di coordinamento legislativo. Secondo la sopracitata giurisprudenza, infatti, il diritto di voto nell’assemblea della società a responsabilità limitata compete, per le quote date in usufrutto, unicamente all’usufruttuario il quale esercita al riguardo un diritto suo proprio e perciò non è obbligato ad attenersi alle eventuali istruzioni di voto che gli abbia impartito il nudo proprietario; è altresì vero che nell’esercizio di tale diritto l’usufruttuario deve astenersi da comportamenti che possano recare ingiusto danno al nudo proprietario ed in particolare da modi di esercizio del predetto diritto che possano compromettere la conservazione del valore economico della partecipazione in società: l’eventuale violazione di tale obbligo, tuttavia, non si riflette sulla validità del voto espresso in assemblea, ma espone il responsabile al rischio di estinzione dell’usufrutto, nonché alla azione risarcitoria da parte del proprietario danneggiato. Permangono, però, i dubbi sulla posizione dell’usufruttuario nelle società di persone, dubbi generati dalla possibilità di una estensione analogica alle medesime delle norme di cui all’art. 2352 c.c. e dalla diversa valenza che si può dare alla applicazione delle stesse. cristallizzato nello stato in cui si trova in quel momento e le successive alienazioni, così come gli acquisti, rimangono irrilevanti per l’usufruttuario: cfr. G. PUGLIESE, Usufrutto, uso, abitazione, in Trattato di dir. civ. a cura di G. VASSALLI, Torino, 1972, p. 782. 40 Sulla erronea qualificazione dell’usufruttuario quale socio si veda la nota 63. 41 In Vita not., 1994, p. 295 ss. 12 13 Contrario a tale estensione (addirittura nel caso delle s.r.l.) si è detto un autore42, il quale ha ritenuto voluto il mancato richiamo dell’art. 2352 c.c., perché, a suo dire, la disciplina delle società per azioni contenuta nel Codice civile presuppone come essenziale l’emissione delle azioni. Abbiamo già detto di come sia errato e fuorviante (nonché limitante della disciplina delle società) considerare le azioni sotto questo profilo legittimante; in più, si rileva che lo stesso autore in precedenza, nel corso del proprio scritto, aveva affermato che il mancato richiamo dell’art. 2352 c.c. non era preclusivo della ammissibilità di usufrutto e pegno su quote, cadendo così in evidente contraddizione. Ancora: schierandosi contro l’applicazione analogica dell’art. 2352 c.c., vi è stato chi ha sostenuto che il potere amministrativo spetterebbe congiuntamente al socio ed all’usufruttuario, poiché le due posizioni unite integrano la posizione di socio e legittimano all’esercizio dei poteri sociali43. Tale previsione contrasta, però, con la normativa propria della società personale, in cui la legittimazione alle modifiche del contratto sociale è riservata solo a chi rivesta la qualifica di socio, che, come detto, non spetta all’usufruttuario44. Una autorevole dottrina45, viceversa, estendendo alle società personali la disciplina dettata dall’art. 2352 c.c., ritiene che, salvo patto contrario, spetti all’usufruttuario il diritto di voto in tutte le deliberazioni, comprese quelle modificative del contratto sociale: certo, afferma l’autore, si potrebbe essere tentati di criticare la legge per non aver distinto tra assemblee ordinarie e straordinarie, ma si è preferita una disposizione univoca ad una casistica. Altri46 ancora hanno ritenuto valida l’estensione dell’art. 2352 c.c. (sottolineando come questo determini la non inscindibilità del diritto di voto dalla condizione di socio), ma hanno considerato che il limite dell’applicazione analogica debba considerarsi nella responsabilità illimitata: conseguentemente, in quelle deliberazioni nelle quali la responsabilità illimitata può essere più gravemente coinvolta, il diritto di voto deve essere riservato al socio, mentre per tutte le altre l’applicabilità analogica non può soffrire limitazioni; in esse l’usufruttuario deve ispirarsi unicamente al proprio interesse, fatto salvo l’obbligo di rispettare la destinazione economica della cosa. Sempre partendo dalla possibilità di estensione analogica delle norme stabilite per le società di capitali, è stato sostenuto47 che la posizione dell’usufruttuario di una quota di società personale è simile, concettualmente, a quella che si viene a creare in caso di usufrutto di azienda ex art. 2561 c.c.48: in quel caso l’usufruttuario ha il potere di 42 G C. M. RIVOLTA, op. cit., p. 234 ss. G. FERRI, op. cit., sub art. 2322 c.c., p. 384. 44 A. PAGLIANI, op. cit., p. 931. 45 A. ASQUINI, op. cit., p. 24. 46 A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1963, p. 114; questa considerazione dell’autore è il frutto del ripensamento di una precedente posizione assunta nel 1945, in base alla quale era il diritto di amministrazione tout court ad essere precluso all’usufruttuario, non già quelle particolari deliberazioni per le quali sia richiesta la responsabilità illimitata. 47 M. GHIDINI, op. cit., p. 676 ss. 48 Diversa, come fa notare A. PAVONE-LA ROSA in op. cit., p. 335, è, ad es., la posizione del nudo proprietario, che, nel caso della società, è illimitatamente responsabile. 43 13 14 gestione (amministrazione) della azienda, ma non può in alcun modo modificarne la destinazione, essendo il suo potere simile a quello dell’institore; allo stesso modo, nell’usufrutto di quota, il potere di amministrazione spetta all’usufruttuario, mentre quello di modificazione dell’atto costitutivo è riservato al socio, che è il solo ad avere la qualifica indispensabile (quella di socio, appunto) per potervi dare luogo; oltretutto è bene ricordare che la dottrina è unanimemente concorde nell’affermare che non è essenziale e legato necessariamente alla natura dell’usufrutto l’esercizio di ogni diritto amministrativo da parte dell’usufruttuario49. Connesso con il diritto di voto è, poi, il diritto di impugnativa (azione di annullamento) delle deliberazioni dell’assemblea contrarie alla legge ed all’atto costitutivo: esso spetterà al soggetto che abbia espresso il voto. Anche questa soluzione di esercizio disgiunto dei diritti di amministrazione, dunque, nasce dall’orientamento favorevole all’applicazione analogica dell’art. 2352 c.c., il quale, infatti, prevede tale possibilità, confermando che non é incompatibile con l’usufrutto l’attribuzione al nudo proprietario del diritto di voto; certo, essendo le modificazioni del contratto sociale idonee a mutare la destinazione economica si potrebbe concludere che il consenso debba essere prestato congiuntamente dal socio e dall’usufruttuario50, ma, come detto, nelle società personali la legittimazione a modificare il contratto sociale è riconosciuta soltanto a chi ne faccia parte, il che non si può dire dell’usufruttuario: il nudo proprietario, però, sarà obbligato (nei confronti dell’usufruttuario) a non aderire alle proposte modificative dell’atto costitutivo che abbiano portata innovativa del bene azienda sociale, ma questo obbligo avrà una esclusiva rilevanza interna, autorizzando solamente l’usufruttuario in caso di violazione a richiedere la risoluzione del contratto ed il relativo risarcimento dei danni al nudo proprietario51. E’ questa, a parere di chi scrive, la migliore soluzione del problema: quella, cioè, che prevede una ripartizione (ma subito dopo si vedrà che è più corretto parlare di “tripartizione”) dei diritti tra i due soggetti: orientamento che si giustifica solo se si ritiene ammissibile, come fatto dalla dottrina maggioritaria52, che il potere di amministrazione in una società personale spetti anche al terzo non socio (ma sul tipo di responsabilità del terzo che tale soluzione comporta si tornerà tra breve). I diritti in caso di usufrutto, dunque, si possono suddividere in tre categorie distinte53: a) quelli il cui esercizio resta al socio, tra i quali si debbono includere il diritto di recesso (che è un atto di disposizione, non di godimento) e quello di voto in merito alle modifiche dell’atto costitutivo di cui sopra, entrambi perché esercitabili solo da un socio; b) quelli il cui esercizio passa all’usufruttuario, tra cui va sicuramente 49 R. COSTI-G. DI CHIO, Società in generale. Società di persone, in Giur. sist. dir. comm., 1991, p. 269. Così A. PAVONE-LA ROSA, op. cit. p. 336. 51 M. GHIDINI, op. cit., p. 677. 52 Si vedano per tutti G. F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 97 ss. e A.. PAVONE-LA ROSA, op. cit., p. 334; contra G. AULETTA, Appunti di diritto commerciale. Imprenditori e società, Napoli 1946, p. 146 ss. 53 V. BUONOCORE, op. cit., p. 209 e lo stesso autore con G. CASTELLANO e R. COSTI, Società di persone, Milano 1978, p. 487. 50 14 15 inquadrato il diritto agli utili54 con la precisazione che, salvo patto contrario, l’usufruttuario deve imputare gli utili prima alle spese ed agli interessi e poi al capitale e, naturalmente a condizione che si ritengano ammissibili gli amministratori estranei, il diritto di voto in virtù della applicazione analogica dell’art. 2352 c.c. (ma abbiamo visto in quale misura); c) quelli che possono essere esercitati da entrambi, come il diritto alla quota di liquidazione, sia in ipotesi di scioglimento particolare del vincolo sociale, sia in ipotesi di scioglimento della società, perché esso è un diritto di credito e, come tale, la somma relativa non può non riscuotersi con il concorso del nudo proprietario e dell’usufruttuario55, nonché il diritto di controllo che spetta ai soci non amministratori ex art. 2261 c.c.56. 7.- Una volta accettata la possibilità che all’usufruttuario spetti un potere di amministrazione57 si deve considerare il tipo di responsabilità della quale egli sia investito. Non si ritiene giusta la tesi di chi58, pur attribuendo all’usufruttuario il diritto di voto, afferma che questi non è sottoposto a responsabilità illimitata: sembra, infatti, cogliere nel segno l’opinione di chi sostiene l’ammissibilità in società personali di un amministratore estraneo a patto che questi sia sottoposto a responsabilità illimitata59. E’, infatti, questa una caratteristica basilare nelle società di persone (pur con le dovute eccezioni, come la possibilità, prevista dall’art. 2267 c.c., che i soci della società semplice siano amministratori pur essendo esonerati dalla responsabilità illimitata60, esonero che, in questo caso, perdono solo se agiscono in qualità di rappresentanti) che porta dunque l’usufruttuario (così come il socio) ad essere sottoposto a responsabilità personale61, la quale, peraltro, costituisce per il nudo proprietario una base di garanzia ben più solida degli altri mezzi di difesa concessigli dalla legge, quali il richiedere ed ottenere idonea garanzia (art. 1002 c.c.), il far cessare l’usufrutto per abusi (art. 1015 c.c.) ed in generale l’esigere dall’usufruttuario l’osservanza della diligenza media (art. 1001 c.c.)62. 54 A. ASQUINI, op. cit., p. 28, afferma che se la legge non ha parlato del godimento dei nuovi titoli assegnati o dei vecchi titoli rivalutati né all’art. 2352 c.c., né all’art. 1998 c.c., relativo all’estensione dell’usufrutto sui premi e sulle altre utilità aleatorie inerenti al titolo, “è solo perché non è compito della legge enunciare principi ovvi”. 55 V. BUONOCORE-G. CASTELLANO-R. COSTI, op. cit., p. 488 e A. GRAZIANI, Diritto delle società, p. 115. 56 L’esercizio di quest’ultimo diritto é stato inizialmente attribuito da A. GRAZIANI, in Usufrutto di quota di società in nome collettivo, p. 109 (si veda, però, il ripensamento dello stesso autore del 1963, op. cit., p. 114) al solo usufruttuario, ma è convinzione della dottrina dominante che esso spetti ad entrambi; proprio perché è rivolto al controllo sulla gestione deve essere oggetto di esercizio disgiuntivo da parte di entrambi i soggetti; A. ASQUINI, op. cit., p. 25. 57 Contra G. FERRI, op. cit., sub art. 2284 c.c., p. 281, secondo cui l’usufruttuario non avrebbe rapporti con la società, ma solo col nudo proprietario nella veste, da questi unicamente detenuta, di socio. 58 A. GRAZIANI, si veda alla nota 56. 59 G. F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 97 ss. 60 M. GHIDINI, op. cit., p. 679, parte da questo spunto e dalla considerazione che nella società semplice si è soci a responsabilità illimitata indipendentemente dalla propria posizione di amministratori o meno per concludere che non vi è correlazione inscindibile tra potere amministrativo e responsabilità illimitata, il che è solo in parte condivisibile: se è vero, infatti, che il legame non è assoluto in base all’eccezione dell’art. 2267 c.c., è anche vero che nelle s.n.c. gli amministratori sono sempre illimitatamente responsabili (né rileva ai fini del nostro discorso che lo siano anche gli altri soci), così come i soci amministratori di s.a.s. 61 A. PAVONE-LA ROSA, op. cit., p. 334. 62 R. COSTI-G. DI CHIO, op. cit., p. 24. 15 16 Il socio nudo proprietario, dunque, risponde illimitatamente e personalmente per le obbligazioni sociali in dipendenza della sua qualità di socio, sia con riferimento alle obbligazioni precedenti, che a quelle successive la costituzione dell’usufrutto sulla quota sociale; l’usufruttuario, da parte sua, risponde illimitatamente verso i terzi per le obbligazioni sociali sorte durante l’esercizio del diritto di usufrutto, non estendendosi la sua responsabilità a quelle sorte precedentemente la sua costituzione63 63 C’è stato, in verità, chi ha parlato di applicabilità a questa situazione dell’art. 2269 c.c., con conseguente estensione della responsabilità di chi entra a far parte della società anche alle obbligazioni sociali anteriori, sulla base di una presunta comunione di godimento sulla medesima quota e del fatto che non può tornare a danno dei creditori la eventuale difficoltà di individuare le obbligazioni societarie sorte prima e/o dopo l’ingresso in società dell’usufruttuario: in virtù di ciò l’usufruttuario sarebbe sottoposto a fallimento ex art. 147 l.f.; cfr. F. GRADASSI, op. cit., p. 1139 ss. L’intero discorso non sembra condivisibile: innanzitutto sembra dettato da una eccessiva volontà di semplificazione della questione (e l’art. 2269 c.c. si riferisce solo al nuovo socio, che, come già più volte ripetuto, è altra cosa rispetto all’usufruttuario), inoltre, non si ritiene corretto parlare di comunione del godimento della quota, dal momento che questo spetta all’usufruttuario e solo ad esso; altrimenti che senso avrebbe parlare di nuda proprietà? Infine il fallimento: non è ammissibile nel caso in questione perché la legge collega il fallimento della società con quello dei soggetti che rivestono la qualifica di soci con responsabilità illimitata e tale qualifica, come già detto in precedenza, non compete all’usufruttuario: così M. GHIDINI, op. cit. p. 680. 16