(usufrutto di quote di società di persone)

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I
TRIBUNALE TRENTO, 6 settembre 1996. - Solinas Giudice del Registro - Grisotto
s.n.c. Ricorrente.
Decreto.
Società - Società di persone - Società a responsabilità limitata - Quota - Natura Costituzione di usufrutto - Ammissibilità.
(Codice civile artt. 812, 2352)
E’ inammissibile la costituzione del diritto di usufrutto su quote di società di persone,
dal momento che queste afferiscono a posizioni contrattuali ed a posizioni giuridiche
non riconducibili ai beni patrimoniali materiali ed immateriali che possono formare
oggetto del diritto di proprietà.
Significativa, in questo senso, è la mancanza di un titolo cartaceo e la previsione
della possibilità della costituzione di usufrutto solo in materia di società per azioni,
previsione specifica ed eccezionale e, quindi, non estensibile analogicamente ad altri
tipi di società.
II
TRIBUNALE TRENTO, 14 gennaio 1997. - Palestra Presidente - Giuliani Relatore Grisotto s.n.c. Ricorrente.
Decreto; riforma Tribunale Trento, Giudice del registro delle imprese, 6 settembre
1996.
Società - Società di persone - Società a responsabilità limitata - Quota - Natura Costituzione di usufrutto - Ammissibilità.
(Codice civile artt. 812, 2352)
Non vi sono ragioni di ordine sistematico assolutamente ostative alla ammissibilità
della costituzione di un diritto di usufrutto su quote di società di persone, dal
momento che queste, a prescindere dalla esistenza o meno di un titolo di natura
cartolare, possono formare oggetto di un diritto di proprietà.
Il diritto vivente, infatti, mancando il titolo cartaceo che contraddistingue l’azione,
riconosce alla quota sociale della s.r.l. la natura di res immaterialis, equiparata al
bene mobile materiale ex art. 812 c.c., con la conseguenza che non sussistono
ostacoli ad ammettere la costituzione del diritto di usufrutto su tale quota, a nulla
rilevando la natura cartolare del titolo azionario e l’accentuazione dell’elemento
personale nella s.r.l.
Le stesse considerazioni possono farsi, sotto il profilo in esame, anche per le
partecipazioni a società di persone.
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L’USUFRUTTO SULLE QUOTE DI SOCIETA’ DI PERSONE
1.- La possibilità di costituire usufrutto sulle quote di partecipazione di una società di
persone è stata oggetto di una lunga discussione dottrinale e giurisprudenziale,
discussione che è tuttora lontana dalla propria conclusione.
Così, se pure è vero che l’attuale orientamento prevalente è favorevole alla
ammissibilità della costituzione, è altresì vero che non sembra si sia giunti ad una
conclusione definitiva della questione, causa anche il silenzio del Codice su molti
degli aspetti fondamentali della stessa, nonché la diversa qualificazione giuridica che
in dottrina e giurisprudenza viene data della quota tout court, cioè come concetto
generale e, quindi, sia come partecipazione in società di persone che in società a
responsabilità limitata.
In questo senso appare indicativo l’avvicendarsi dei due provvedimenti del Tribunale
di Trento.
Il primo decreto, emesso dal Giudice del Registro delle imprese di detto Tribunale in
data 6 settembre 1996, definisce inammissibile la costituzione del diritto di usufrutto
su quote di società di persone: il diritto di usufrutto è un diritto reale limitato,
caratterizzato dal requisito di tipicità ed avente ad oggetto ogni bene patrimoniale,
materiale ed immateriale, che possa formare oggetto del diritto di proprietà, non
dunque le quote di società di persone, che non sono rappresentate da titoli e
riguardano posizioni giuridiche che non possono essere qualificate nell’ambito della
nozione giuridica della proprietà.
Tale convinzione trova riscontro nel fatto che la possibilità di costituzione di
usufrutto sia disciplinata dal Codice solo nell’ambito delle società per azioni (art.
2352 c.c.), materialmente rappresentate da un titolo cartaceo che, in quanto tale, può
essere fatto rientrare nell’ambito giuridico del bene mobile con maggior facilità.
E’ dunque sul brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit e sulla mancata
possibilità di definizione della quota come bene che si fonda il provvedimento del
Giudice del Registro; questo, inoltre, afferma che gli stessi istituti dell’intuitus
personae e della illimitata responsabilità patrimoniale dei soci, caratteristici delle
società di persone, mal si coniugano con la possibilità di costituzione e cessione di
diritti reali di usufrutto sulle quote di queste.
Di diverso avviso si è mostrato, però, il Tribunale di Trento, adito con ricorso ex art.
2192 c.c., nel suo provvedimento del 14 gennaio 1997.
Il Tribunale, difatti, si è pronunciato per la ammissibilità della costituzione del diritto
di usufrutto su quote di società di persone, sulla base della natura attribuita alle quote,
qui intese in senso ampio, ossia come partecipazioni in società (di persone o a
responsabilità limitata) non rappresentate da titolo cartolare; quote, cioè, in senso di
partecipazioni non azionarie: la condizione per la quale l’oggetto dell’usufrutto sia
una res sottoponibile, come tale, al diritto di proprietà, sarebbe, infatti, soddisfatta
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dalla natura di res immaterialis delle quote (e, dunque, sia di società di persone che a
responsabilità limitata); nel fare ciò si prescinde dalla sussistenza di un titolo di
natura cartolare in cui la partecipazione alla società sia incorporata.
Il Tribunale si ricollega ad pronunciamento, in tema di quote di s.r.l., della Corte di
Cassazione (n. 7409 del 12 dicembre 1986, De Malgazzi c. Soc. Imm. Euros1,
pronunciamento noto, come anche il n. 7614 del 19 agosto 1996, di cui si dice più
sotto, al Giudice del Registro, che, però, li ha ritenuti entrambi “non convincenti né
decisivi” dal momento che “solo incidentalmente affrontano le tematiche in
oggetto”), che ha definito la quota di una s.r.l. come bene immateriale, equiparato,
come tale, ad un bene mobile ex art. 812 c.3° c.c.; le stesse considerazioni sono
ritenute valide dal Giudice, sotto il profilo in esame, anche per le società di persone.
Ancora la giurisprudenza più recente della Suprema Corte (Cass. n. 7614 del 19
agosto 1996, Grecchi c. Società Romana Fruges2) “riconosce apertamente la
possibilità di usufrutto di quota di s.r.l., sostenendo tra l’altro che la disciplina circa
l’esercizio del diritto di voto è la stessa prevista dall’art. 2352 c.c., uguali essendo le
ragioni sottese alle due fattispecie, a nulla rilevando la natura cartolare del titolo
azionario e l’accentuazione dell’elemento personale”; dal momento che, a parere del
Tribunale di Trento, queste sono le medesime considerazioni che possono farsi per la
partecipazione alle società di persone, viene meno il presupposto su cui il Giudice del
Registro ha fondato il rigetto del ricorso, che viene così accolto.
Occorre rilevare che mentre il Tribunale ritiene doveroso estendere alle società di
persone quanto stabilito dalla Suprema Corte in materia di s.r.l., il Giudice del
Registro non considera ammissibile nemmeno questo, causa la mancanza del titolo
cartolare e di espresse norme di legge.
Come si può notare, con riferimento all’usufrutto di quote di società di persone, la
diversa conclusione cui addivengono il Giudice del Registro delle imprese ed il
Tribunale deriva dalla natura che si attribuisce a monte alle quote intese in senso
generale, giacchè la obiezione più rilevante alla costituzione di usufrutto, deriva dalla
loro mancanza di cartolarità, che impedirebbe di qualificarle come beni e, quindi, di
costituire l’oggetto del diritto reale in questione3.
La trattazione della disciplina delle quote sociali, d’altra parte, è oggetto di
controversie anche in dottrina, non sempre concorde nel ritenere che la natura delle
quote di una società personale e quella di una s.r.l. siano assimilabili, causa schema
societario, finalità e principi di natura sostanzialmente diversa, il che porterebbe ad
escludere una applicazione analogica delle rispettive discipline4, come, invece, è stato
1
In Mass. Foro it., 1986, c. 1247.
In Mass. Foro it., 1996, c. 688.
3
Nel caso in esame, quello, cioè, di società di persone, il Giudice del Registro delle imprese ha manifestato perplessità
anche in relazione ai caratteri dell’ intuitus personae e della responsabilità patrimoniale illimitata dei soci, che “mal si
coniugano con la possibilità di costituzione e cessione di diritti reali di usufrutto su quote”; le argomentazioni , però,
sono incidentali e non assolute, in quanto dettate dalla preoccupazione che lo stesso Giudice manifesta poco oltre delle
“rilevanti problematiche interpretative” che scaturirebbero da una ammissione della costituzione del diritto di usufrutto.
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Cfr. A. PAGLIANI, Usufrutto su quota di società personale: contrasti di opinione, in Società, 1997, 8, p. 930; per una
soluzione affermativa: G. C. M. RIVOLTA, La partecipazione sociale, Milano, 1965, p.165 ss.; G. SANTINI, Le S.r.l.,
in Comm.del cod. civ. a cura di A.Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1984, n. 2,., p. 15 ss.; A. ASQUINI, Usufrutto
di quote sociali e di azioni, in Riv. Dir. comm., 1947, p. 13.
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riaffermato (giustamente, si ritiene) dal Tribunale di Trento5: quello che cambia,
semmai, sono le modalità di trasferimento (di cui ci occuperemo dopo aver analizzato
la comune natura delle quote sociali), che mutano in virtù del carattere più
marcatamente personale delle società omonime; la natura delle quote sociali è, però,
sostanzialmente la stessa ed è da questo punto comune che si intende prendere le
mosse in questa sede.
2.- Quello della quota sociale è, dunque, un concetto di non facile definizione, stante
la difficoltà di determinare un oggetto che il nostro ordinamento giuridico ha voluto
diverso dall’azione, senza, però, precisare di quanto.
Principio cardine del nostro ordinamento, pressoché da ognuno accettato, è che non si
possa avere la costituzione di un diritto sopra un altro diritto6, cosa che, nel caso
dell’usufrutto, porterebbe ad una cessione costitutiva7, poiché, essendo sempre
oggetto di un diritto, direttamente o indirettamente, un bene, il diritto che viene
costituito sopra un altro non potrà che avere per oggetto il medesimo bene.
Dunque, se si considera la quota come diritto (di partecipazione, di credito, ad uno
status o altro poco importa) e non come bene, causa la mancanza del titolo cartaceo,
sembra derivarne la inammissibilità dell’usufrutto.
Problemi si possono presentare, poi, anche qualora si faccia rientrare la quota tra i
beni, giacché la natura della quota è tale da non consentire quel possesso del bene che
pure è una delle caratteristiche primarie dell’usufrutto.
Queste considerazioni appaiono, però, ancorate ad una concezione arcaica del nostro
diritto civile, che non tiene conto del fatto che il Codice è stato elaborato in un
periodo economico decisamente diverso da quello attuale.
Rimanere fermi ad una visione “rurale” degli istituti in esso contenuti, significa
rinunciare a quell’opera di implicito adeguamento ai tempi che ogni sistema giuridico
dovrebbe svolgere: non si tratta di forzare lo spirito della legge, dando vita ad
interventi di c.d. ortopedia giuridica, ma di tentare di coglierlo nelle sue sfumature e
di applicarlo alla situazione attuale; ecco, allora, che le obiezioni sopra citate possono
essere riconsiderate, a partire dal concetto di possesso del bene (se tale si ritiene la
quota) oggetto dell’usufrutto, che in questo caso deve essere inteso in senso
esclusivamente economico.
5
L’usufrutto di quote nelle società personali (per il caso in cui queste siano di un socio a responsabilità illimitata) è stato
ritenuto possibile, ma difficile da verificarsi, da A. ASQUINI, op. cit., p. 17: da un lato i soci non vorranno l’intrusione
di un non socio nella gestione della società, dall’altro il socio nudo proprietario, che garantisce verso i terzi con l’intero
suo patrimonio (ma vedremo oltre se non si debba parlare di responsabilità illimitata anche per l’usufruttuario) per le
obbligazioni sociali ed ha verso la società particolari obblighi di non concorrenza, non sarà disposto a lasciare
all’usufruttuario i poteri di gestione relativi alla quota.
Nel caso in cui ciò dovesse verificarsi, prosegue l’autore, assumerà particolare importanza l’obbligo dell’usufruttuario
di prestare, per la gestione della quota, idonea garanzia (art. 1002 c.c.) e, in caso di abuso dell’usufruttuario nella
gestione della quota, si darà luogo alle misure cautelari previste dall’art. 1015 c.c.; questa fattispecie, però, non sembra
essere configurata da una eventuale concorrenza (purché non in mala fede) attuata dall’usufruttuario verso la società,
dal momento che egli non sembra essere sottoposto al divieto di cui all’art. 2301 c.c.; cfr. M. GHIDINI, Società
personali, Padova, 1972,., p. 680.
6
Ma si veda contra G. VENEZIAN, L’Usufrutto, Torino, 1913, p. 16 ss., che, partendo dalla ammissibilità della
categoria dei diritti su cose incorporali (tra le quali si comprendono i diritti) ammette il concetto di proprietà del diritto.
7
M. GIORGIANNI, Nuovo Digesto, voce “Usufrutto”, Torino, 1940, p. 782.
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5
Il corpus, elemento materiale del possesso, infatti, va inteso nel senso di un rapporto
di dominazione sulla cosa, dominazione che può essere fisica ma anche economica
(come accade, d’altronde, anche nel caso dell’azione: quale differenza implica sotto
questo punto di vista la presenza del titolo?), sub specie della utilizzazione concreta
della cosa8.
Tuttavia, la mancata incorporazione in “documenti aventi i caratteri e le funzioni
proprie dei titoli di credito9”, come nel caso delle azioni, ha contribuito ad alimentare
non poco le perplessità di dottrina e giurisprudenza sulla possibilità di circolazione
della quota; d’altra parte, la quota costituisce “un coacervo di diverse matrici,
obbligatorie, reali, corporative10”, esprime una posizione contrattuale obiettivata11,
esattamente come l’azione, la quale, è bene ricordarlo, non sempre in una società per
azioni rappresenta la quota di partecipazione (r.d.l. 29 marzo 1942 n. 239, art. 5, che
prevede la costituzione di vincoli reali in ipotesi di omessa distribuzione di titoli
azionari); dal punto di vista concettuale, dunque, l’esistenza del titolo non aggiunge
nulla: rende, questo sì, più agevole la circolazione e, conseguentemente, la
mobilitazione del credito.
La quota sociale, sia essa di società di persone o di s.r.l., ha, di conseguenza, la stessa
natura dell’azione, costituendo la misura della partecipazione del socio alla società; la
mancata incorporazione in un titolo di credito12 è solo la conseguenza di una natura
più personale del tipo di società, in virtù della quale il legislatore ha ritenuto di
rendere meno “libera” la circolazione delle quote.
Questa appare, dunque, essere la ratio alla base della quota sociale e, allo stesso
tempo, il suo motivo di differenza dall’azione: ma se è vero che il legislatore ha
voluto limitare (o meglio regolare in maniera più stringente) la circolazione della
quota (ed in questa sede il termine sta a significare non solo la cessione della quota
sociale, ma, appunto, la possibilità che essa costituisca oggetto di usufrutto), è
altrettanto vero che egli non l’ha di certo negata, cosa che, si ritiene, si porrebbe in
insanabile contrasto con il concetto, che permea tutto il Codice, di estremo favore per
la circolazione dei beni (sulla possibilità di definire la quota come bene si tornerà in
seguito).
E’ questa, a parere di chi scrive, la chiave di lettura del problema, né sembra si possa
obiettare, come fatto dal Giudice del Registro delle imprese del Tribunale di Trento,
che l’ammissibilità della costituzione dell’usufrutto è negata dalla presenza di tale
previsione solo in materia di società per azioni (art. 2352 c.c.).
8
Così M: GHIDINI, op. cit., p. 671; l’autore parla, però, anche di utilizzazione concreta del diritto oggetto
dell’usufrutto, tesi non condivisibile, come si vedrà nel proseguio dello scritto; si veda anche A. ASQUINI, op. cit., p.
19, secondo cui l’usufruttuario esercita il proprio possesso nei confronti della quota (art. 982 c.c.), sennonché,
mancando il corpus per un possesso di tipo “classico” (e cioè materiale) esso andrà inteso come rapporto di
dominazione (economica) sulla cosa, il che attribuisce all’usufruttuario il diritto alla consegna dei documenti probatori
del diritto di usufrutto sulla quota.
Così la Relazione al Codice Civile al n° 1005.
10
Così G. COTTINO nel suo Manuale, Padova, 1994, § 196, p. 696.
11
Idem, ivi.
12
L’eventuale certificato di quota rilasciato dalla società è un documento e non un titolo; è un mezzo di prova della
titolarità dei rapporti sociali, non uno strumento per la loro circolazione.
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5
6
Il brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, citato a questo proposito dal suddetto
giudice di Trento, mal sembra adattarsi alla situazione in esame, dal momento che
non tutto quello che non è espressamente richiamato nella disciplina della quota
sociale è da ritenersi ad essa inapplicabile.
Un esempio a riguardo è costituito dalla possibilità di costituire un pegno sulle quote
di una s.r.l.; ciò non è espressamente previsto dal Codice e, tuttavia, ammissibile alla
luce del richiamo indiretto effettuato dall’art. 2483 c.c. , che vieta di ricevere in
pegno le proprie quote: tale divieto non avrebbe ragione di esistere se la suddetta
costituzione fosse ritenuta inammissibile13.
Il pegno di quote è, perciò, ritenuto pressoché unanimemente ammissibile (ed a
questo punto sorge spontaneo chiedersi perché non dovrebbe esserlo l’usufrutto),
nonostante non vi siano norme espresse ma solo un richiamo incidentale: ecco, allora,
che anche in tema di usufrutto il mancato richiamo dell’art. 2352 c.c. assume, per la
dottrina prevalente, il valore di una involontaria omissione da parte del legislatore14,
quando non addirittura quello di una scelta ben precisa, causata dalla ovvietà
dell’applicabilità della disciplina in questione15; non corretta, allora, si ritiene la
affermazione secondo la quale si può configurare il diritto di usufrutto nelle s.p.a. in
virtù della cartolarità propria della partecipazione sociale, che integra un bene mobile
materiale: a rilevare “non è la cartolarità o meno del rapporto, ma la idoneità dei
diritti espressi dalla quota o dalla quota intesa come res ad essere assoggettati al
diritto di usufrutto”16.
3.- Le differenze tra quota ed azione, dunque, non sono tali da rendere verosimile
l’ipotesi di ammissibilità dell’usufrutto per la seconda e non per la prima, né sembra
possa bastare a supportare questa teoria la presenza di una espressa previsione riferita
alle sole azioni, come sostenuto dal Giudice del registro delle imprese; d’altra parte,
anche analizzando la natura della quota sociale (indipendentemente, giova ripeterlo,
dal tipo di società di cui rappresenta la partecipazione), punto focale della decisione
dei due provvedimenti, sembra si possa giungere a questa conclusione.
La quota rappresenta il grado di partecipazione sociale di un soggetto, esprimendo in
termini aritmetici la misura, la proporzione del conferimento nei confronti degli altri
soci; d’altro canto, essa esprime anche il valore, cioè l’entità di tale partecipazione nei
confronti dei soci e della società.
13
Cfr. D. TEDESCHI, In tema di pegno di quote di S.r.l., in Foro It., 1957, IV, p. 145.
In questo senso G. C. M. RIVOLTA, La Società a responsabilità limitata, Milano, 1982, p. 224, il quale ritiene
addirittura pacifico che anche le quote di quella società possano essere assoggettate ai diritti di cui all’art. 2352 c.c., dal
momento che pegno ed usufrutto non possono incidere sulla compagine sociale più di quanto non faccia il trasferimento
della quota sociale, che pure è consentito (art. 2479 c.c.).
Lo stesso autore, però, poco oltre trae dalla mancanza del richiamo dell’art. 2352 c.c. una conseguenza che non pare
condivisibile: il diritto di voto spetterebbe, cioè, al socio e non al creditore pignoratizio e all’usufruttuario, perché la
disciplina dell’art. 2352 c.c. presupporrebbe come essenziale l’emissione di azioni.
Le due conclusioni paiono in contraddizione: infatti, se si ritiene che le norme in materia di usufrutto e pegno di azioni
valgano anche in assenza di espresso richiamo, non si vede perché limitarne la portata adducendo questo come
motivazione.
15
In questo senso G. COTTINO, op. cit., p. 697, secondo il quale il legislatore ha lasciato “ai giuristi il compito di
fornire a posteriori le giustificazioni teoriche più acconce alle scelte compiute in sede economica operativa”.
16
A. PAGLIANI, op. cit., p. 930.
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Non solo: il concetto di quota richiama anche il complesso dei diritti, dei poteri, delle
facoltà e degli obblighi che la partecipazione alla società comporta per ciascun socio.
In virtù di questo è stato ritenuto17 che la quota sia una universitas iuris, consistente i
una pluralità di diritti ed obblighi unificati dall’ordinamento.
Questa tesi non sembra cogliere la reale essenza della quota, tanto più che parlare di
universitas iuris rispetto a diritti ed obblighi così diversi tra loro appare come una
forzatura.
Larga parte della dottrina, invece, ha definito la quota sociale come un diritto ora di
credito (da farsi valere nei confronti dei liquidatori secondo alcuni18, nei confronti
della società secondo altri19), ora reale di proprietà (che esprime la posizione del
socio come contitolare del patrimonio sociale)20; secondo altri21, la quota
costituirebbe il diritto a partecipare alla società come socio, cioè di rivestire lo status
di socio.
Tutte queste teorie, però, risultano incomplete dal momento che definire la quota
come diritto di credito non tiene conto di tutta quella serie di diritti amministrativi che
essa racchiude (e che non si possono ritenere strumentali al diritto di credito come
alcuni hanno fatto)22: infatti, la definizione di quota come semplice diritto di proprietà
non considera lo status che con essa si acquista e, viceversa, la definizione di status
non prevede l’entità patrimoniale della stessa.
Dal momento che la quota esprime i diritti, i poteri, gli obblighi, la proporzione del
conferimento, il valore e l’entità della partecipazione, essa rappresenta la posizione
contrattuale (l’intera posizione contrattuale, non solo un diritto di credito o uno
status) facente capo al socio e derivante dal contratto di società ai sensi dell’art. 2247
c.c.
Cosi’, vi è stato chi23 ha affermato che la quota è “la titolarità nei diritti e negli
obblighi (del socio) tout court, sicché il trasferimento, la successione, la comunione,
l’espropriazione ed il pegno non sono altro che il trasferimento, la contitolarità,
17
G. ROMANO-PAVONI, In tema di azioni e quote di società: vendita di aliud pro alio?, in Banca, borsa tit. cred.,
1953, II, p. 153.
18
A. CANDIAN, in Dir. fall. , 1959, II, p. 339 ed ivi, 1961, I, p. 257 ss.
19
A. BRUNETTI, Trattato del Diritto delle Società, III, Milano, 1950; G. STOLFI, in Banca, borsa tit. cred., 1954, I,
p. 854; interessante è, inoltre, la posizione di G. VALERI, Manuale di diritto commerciale, Firenze, 1950, I, p. 222, che
considera accessori e strumentali rispetto al diritto di credito i diritti personali di partecipazione alla vita societaria.
20
G. FERRI, Delle Società di persone, in Comm. del cod. civ. a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1981,
n. 2.
In questo senso si pronunciata Cass., 28 Agosto 1952, Nironi c. Bonacchi, in Banca, borsa, tit. cred., II, 1953, p. 150,
in base alla quale “se nell’atto di vendita di quote o di azioni di società il venditore garantisce che esse si riferiscono ad
una determinata azienda o ad un impianto industriale di determinate caratteristiche, e poi si accerti che l’azienda è
diversa e l’impianto non idoneo ad utile funzionamento, o incapace di utilizzazione industriale, le quote o le azioni
trasferite costituiscono cosa diversa da quella voluta in contratto, onde è ammessa azione di annullamento, fondato su
errore essenziale del consenso”.
Certo, la funzione economico patrimoniale della quota è in stretto rapporto con i beni costituenti l’azienda della società,
ma questa è qualcosa di più e di diverso, che non può essere limitato ad una vendita di beni sociali, che, peraltro, e
questa ci sembra una eccezione decisiva, non si trasferiscono con la cessione della quota: non essendo, infatti, la quota
una frazione del patrimonio sociale, né certamente di un diritto sul patrimonio sociale, non si può affermare che il non
essere compresa nel patrimonio sociale una data azienda costituisca vendita di aliud pro alio.
21
V. BUONOCORE, Le situazioni soggettive dell’azionista, Napoli 1950, pp. 101, 102,179 ss.
22
Si veda alla nota 17.
23
G. SANTINI, op. cit., p. 16 ss.
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l’espropriazione, il pegno di quei diritti e di quei doveri”: il legame che tiene avvinti
quegli elementi è il contratto di società, dal quale scaturiscono i diritti sociali, gli
obblighi e gli stessi poteri del socio24.
Su queste basi, anche parlare di un diritto alla partecipazione al patrimonio sociale25
non sembra corretto, apparendo più efficace come classificazione semantica (cioè
come modo unitario di definire il complesso di diritti che scaturiscono dal contratto o
dal rapporto sociale) che giuridica: a riguardo è stato giustamente rilevato che un
diritto di partecipazione, configurandosi come patrimoniale, dovrebbe essere
rinunciabile, mentre di rinuncia alla quota non è possibile parlare26.
La fonte di ogni diritto ed obbligo è, dunque, quel contratto con comunione di scopo
che prende il nome di contratto di società e, conseguentemente, il rapporto che ne è
alla base non potrà che essere un rapporto di tipo contrattuale.
4.- Se fonte dello status di socio (inteso come summa della partecipazione sociale e,
quindi, svuotato di ogni riferimento a condizioni personali del soggetto) è il contratto
di società, sarà questo ad essere oggetto di qualsiasi tipo di modificazione; le vicende
della quota sono, cioè, le vicende del rapporto contrattuale da cui essa scaturisce, un
rapporto contrattuale che è, di conseguenza, suscettibile di una propria chiara e
precisa valutazione economica, un rapporto contrattuale che può formare oggetto di
diritti (art. 810 c.c.) e che in quanto tale è, dunque, un bene.
Quello di bene è un concetto di difficile inquadramento ed in costante mutamento (si
pensi ad es. alla multiproprietà); sono, tuttavia, beni “le cose che possono formare
oggetto di diritti” (art. 810 c.c.), purché siano suscettibili di una valutazione
economica, essendoci l’interesse a farle oggetto di un proprio diritto.
Tutto ciò sembra attagliarsi al suddetto rapporto contrattuale, benché la definizione di
cosa, da autorevole dottrina27 considerata come “entità corporale”, non lo faccia
apparire come bene in senso propriamente tecnico.
Comunque, è in questa ottica (mutando, cioè, la definizione di quota con quella di
rapporto contrattuale), a parere di chi scrive, che si può ritenere convincente la
sentenza della Suprema Corte n. 7409 del 12 dicembre 1986, che ha definito la quota
di s.r.l. come bene immateriale, e come tale, bene mobile (art. 812 c. 3° c.c.)
disciplinato dalle relative norme (art. 813 c.c.).
Il Collegio equipara la quota (ma, come detto, meglio sarebbe parlare di rapporto
contrattuale) ad un bene mobile non iscritto in un pubblico registro, sottoponendolo
alla disciplina della relativa categoria di beni.
24
Fin qui la tesi dell’autore è pienamente condivisibile, sennonché egli non pare compiere il passo decisivo nella
soluzione della controversia: difatti, non ritiene applicabile a questo rapporto la qualificazione di bene.
Così, quando introduce l’argomento usufrutto, pur ritenendolo ammissibile, finisce col parlare di “usufrutto di diritti
(anche futuri) del socio”, affermando che i diritti dell’usufruttuario si pongono non sopra quelli del socio, ma accanto
ad essi, e definendo, così, l’usufrutto non come un diritto frazionario su cosa o diritto (?) altrui, bensì come un diritto
proprio, parallelo a quello del socio e di estensione più limitata.
A riguardo si veda op. cit., p. 124.
25
A. ASQUINI, Usufrutto di quote sociali e di azioni, in Riv. Dir. comm., 1947, p. 13 ss.
26
G. SANTINI, op. cit., p. 25 ss.: “si può rinunciare all’esercizio dei singoli diritti, si può rinunciare a crediti maturati,
rimanendo socio, ma -come è risaputo- l’unico modo previsto dalla legge di perdere la qualità di socio è quello di
recedere dalla società, ed il recesso è un modo di estinzione di rapporti contrattuali, non anche di diritti”.
27
F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, Padova, 1993, I, § 76, p. 310.
8
9
La Cassazione compie, così, una oggettivazione28 della quota, “al fine della sua
trasferibilità ai terzi”, e “dell’unitaria situazione soggettiva del socio nella
organizzazione societaria, sintesi dei poteri e dei doveri attribuiti al socio” dalla
medesima.
La quota (la Suprema Corte si riferisce a quella di una s. r. l., ma il concetto pare il
medesimo anche per le società di persone, come precisato con la sentenza n.
7614/96), non incorporata in una azione, e quindi in un documento avente natura di
cosa materiale, è, dunque, un bene immateriale.
In questa ottica il bene in esame è suscettibile di “possesso” o meglio di una
“situazione di relazione diretta di fatto” che dipende dall’aver iscritto la titolarità
della quota nel libro dei soci, situazione che viene assimilata al possesso di un bene
materiale (ma si veda sopra anche per una concezione di possesso in chiave di
relazione economica)29.
5.- Per parlare della natura della quota e del principio della ammissibilità
dell’usufrutto siamo partiti da una base comune, estendendo alle società di persone
quanto la giurisprudenza ha affermato in tema di s.r.l.: occorre ora verificare più
specificamente quello che accade nelle società di persone in virtù delle caratteristiche
che sono loro proprie.
In materia di trasferimento della quota, contrariamente a quanto disposto per le
società di capitali (artt. 2355, 2479 c.c.), il principio generale è quello della
intrasmissibilità, per atto tra vivi o mortis causa, della stessa, causa l’intuitus
personae che presiede alla costituzione delle società di persone30.
In realtà, più che di intrasmissibilità si deve parlare di non libera trasferibilità della
quota, dal momento che questa è trasferibile, con efficacia verso la società e verso gli
altri soci, qualora vi sia il consenso unanime degli stessi: è, questo, l’esatto contrario
di quanto stabilito dall’art. 2479 c.c. in tema di s.r.l., laddove la trasferibilità può
essere limitata o esclusa dai soci.
E’ questo, come accennato, l’effetto dell’intuitus personae che è alla base del
contratto delle società personali.
In virtù di tale principio è consentito ai soci di decidere se ammettere o meno un terzo
tra loro, dato il carattere strettamente personale della partecipazione, carattere che ha
portato il legislatore a garantire de iure una maggior tutela dei soci, che, però, sono
28
Contra U. MORERA, Contributo allo studio del sequestro di azioni e di quote di società, in Banca, borsa, tit. cred.,
1986, p. 508, nota 46: “un conto è l’oggettivazione in un’ottica economica della cosa (oggettivazione legata ad esigenze
pratiche ed in quanto tali ammissibile), un conto è l’oggettivazione in un’ottica giuridica -unica rilevante ai fini del
discorso che occupa- la quale può, a nostro avviso, configurarsi solo in presenza del titolo”; si è però detto più sopra nel
testo che il titolo non costituisce differenza concettuale tra la quota di una s.p.a. e quella, ad es., di una s.r.l., ma facilita
solo la circolazione della quota in un tipo di società la cui impersonalità rende questo possibile.
29
Sempre di res con riferimento alla quota ha parlato Trib. Napoli, 18 Maggio 1981, Barella c. Ciccone, in Giur. comm.
1982, II, p. 366, con riferimento alla possibilità di sequestro giudiziario della quota (altro problema a lungo dibattuto);
il Tribunale ha risolto positivamente la questione, ritenendo che le quote (nel caso in questione di s.r.l.), “pur non
essendo cose individue e corporali, in quanto rappresentano soltanto la misura della partecipazione del socio alla
società, costituiscono, tuttavia, entità provviste di autonome qualificazioni e, perciò, assimilabili ai beni mobili
espressamente previsti dall’art. 670 n° 1 c.p.c.”; nello stesso senso App. Milano, 26/10/1979, Lorini c. Sabadini, in
Giur. Comm., 1980, II, p. 745; la dottrina sul punto é divisa: si veda G. C. M. RIVOLTA, Le S.r.l., p. 256 ss. per una
soluzione negativa del problema.
30
M. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, p. 648.
9
10
liberi di stabilire se e in quanta parte usufruirne: l’intuitus personae è, cioè, un
elemento “naturale” e non “essenziale” delle società di persone31.
Perché abbia effetto nei confronti della società, infatti, il consenso dei soci alla
cessione ad un terzo della quota può essere dato anche tacitamente, persino dopo che
il trasferimento tra le parti sia avvenuto; la dottrina prevalente32 ritiene addirittura che
siano valide le clausole che sanciscono il principio della libera trasferibilità o che
rimettono alla maggioranza dei soci la concessione del consenso.
E’ questo un orientamento che si ritiene pienamente condivisibile, dato che quello
della intrasferibilità è un principio base che deve andare a tutto vantaggio dei soci e
non costituire una “gabbia” per limitare l’autonomia degli stessi; ecco, allora, perché
si preferisce il termine di non libera trasferibilità: il trasferimento è, cioè, possibile,
ma solo se i soci decidano di volerlo (tacitamente, preventivamente, a maggioranza o
in altro modo poco importa).
A parere di chi scrive questa disciplina appare pienamente compatibile con l’idea
sopra esposta di quota come rapporto contrattuale (a sua volta definibile come bene).
Sembra, infatti, che la disciplina in questione altro non sia che la “proiezione” in
materia di società (meglio, di società di persone) delle norme che regolano la cessione
del contratto (artt. 1406 ss. c.c.): ai sensi dell’art. 1406 c.c. “ciascuna parte può
sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni
corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi
consenta”; la definizione ben si attaglia alla situazione sopra esposta; certo le
prestazioni dei soci, nel contratto in esame, non sono destinate a scambiarsi tra loro
secondo un rapporto di corrispettività, tutte, d’altro canto, sono finalizzate alla
realizzazione di uno scopo comune e tutte trovano il proprio “corrispettivo” nella
partecipazione ai risultati dell’attività comune o -se si preferisce- nell’acquisto della
partecipazione sociale33.
La trasmissibilità della quota sociale, dunque, è possibile e, in virtù di questo, si può
dire lo stesso anche per l’usufrutto: infatti, se è possibile l’alienazione integrale della
quota, deve ammettersi a maggior ragione questa forma più limitata di alienazione
che è l’usufrutto34 (una volta considerato che esso si costituisce sul bene rapporto
contrattuale e non su un diritto).
Perché l’usufrutto sia validamente costituito e, conseguentemente, produca i propri
effetti nei confronti degli altri soci e della società, dunque, occorrerà che esso sia
accettato dagli stessi; il consenso in questione deve considerarsi, per modalità ed
effetti, in tutto e per tutto identico a quello alla cessione della quota, di cui si è già
detto in precedenza: esso è dunque regolato dalle disposizioni dell’art. 2252 c.c.
(unanimità dei consensi, salvo che sia diversamente convenuto) per i casi di società
semplice, in nome collettivo e dei soci accomandatari, e dell’art. 2322 c. 2° c.c.
31
F. GRADASSI, Pegno, usufrutto, affitto, sequestro e pignoramento di quote di società in nome collettivo, in Contr. e
impr. 1992, p. 1127.
32
Si vedano tra gli altri, A. GRAZIANI, Società, p. 164 e M. GHIDINI, Società personali, p. 651; contra G. FERRI,
loc. cit., che, nel commentare l’art. 2322 c.c., ritiene che per costituire usufrutto o pegno con effetto rispetto alla società
occorra l’unanimità dei consensi dei soci.
33
Così G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, Torino 1995, II, p. 4.
34
Così anche A. GRAZIANI, Usufrutto di quota di società in nome collettivo, in Dir. e giur, 1945, p. 106.
10
11
(maggioranza dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale sociale) per le
quote dei soci accomandanti35.
Alla luce di quanto esposto, dunque, si ritiene corretta la decisione del Tribunale di
Trento in favore della ammissibilità della costituzione di usufrutto sulle quote di
società di persone.
Dottrina e giurisprudenza dominanti sono concordi nel ritenere possibile l’estensione
analogica dell’art. 2352 c.c. alle quote di s.r.l., ma, come osservato in precedenza, tale
estensione non può essere limitata solo a questo tipo di quote, stante la medesima
natura (quella di rapporto contrattuale) che si deve attribuire alle quote di società di
persone, le quali, in virtù di ciò, sono trasferibili, seppure non liberamente come le
prime, bensì previo consenso dei soci (artt. 2252 e 2322 c. 2° c.c. e, con riferimento
alla natura di rapporto contrattuale della quota, art. 1406 c.c.).
6.- Ma, ammessa la costituzione, sul piano pratico cosa ne consegue?
Questo interrogativo emerge anche dalla decisione del Giudice del Registro, che
rileva come “ammissione della costituzione e trasferimento dei diritti reali di
usufrutto comporterebbero ulteriori, rilevanti problematiche interpretative dai
significativi ed immediati risvolti”, in virtù di quella più volte citata mancanza di
regolamentazione dell’usufrutto di quote nell’ambito delle società di persone (e delle
s.r.l.).
Se si ammette la possibilità di costituzione dell’usufrutto su una quota sociale, si deve
ritenere36 che l’usufruttuario abbia un diritto opponibile non unicamente nei confronti
del titolare della quota, ma anche nei confronti della società, essendo elemento
caratteristico dell’usufrutto, in quanto diritto reale, la esperibilità erga omnes37.
Con l’usufrutto, dunque, la quota viene ad “appartenere” contemporaneamente a
soggetti diversi: dei diritti inerenti alla posizione di socio quelli relativi al godimento
della quota vengono, fino a che dura l’usufrutto, trasferiti all’usufruttuario38.
E’ questo il diritto dell’usufruttuario a percepire i frutti civili (art. 820 c.c.)39.
35
M. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972, p. 671, con riferimento alla forma da adottarsi per la costituzione
dell’usufrutto è la stessa che è richiesta per il trasferimento della quota; questa vicenda, integrando una modificazione
del contratto sociale, deve essere iscritta nel registro delle imprese, non essendo presente, a differenza delle azioni, un
titolo per mezzo del quale farla risultare: A. ASQUINI, op. cit., p. 18.
36
A. GRAZIANI, op. cit., p. 106.
37
Certo, perché l’usufrutto possa essere considerato valido esso dovrà essere reale e non già fittizio: non dovrà
costituire, cioè, un semplice espediente per acquisire determinati benefici (es. il diritto di voto), problema, questo,
sentito anche in altri ordinamenti, come testimoniato da una sentenza della Corte di Appello di Parigi del 1965, Cadais
c. Behar e Soc. Lum. Lux, in Foro It., 1966, IV, p. 29, che ha sancito la nullità, per violazione dell’ordine pubblico,
della cessione, a prezzo simbolico, dell’usufrutto di quote di società a responsabilità limitata, con il patto che
l’usufruttuario avesse solo il diritto di voto mentre le altre prerogative di carattere economico venivano riservate al
nudo proprietario.
38
A. ASQUINI, op. cit., p. 21, sottolinea che in materia di accertamento e distribuzione di utili può sorgere un contrasto
di interessi tra socio nudo proprietario ed usufruttuario, avendo il primo interesse a che gli utili distribuiti durante il
periodo dell’usufrutto siano al livello più basso, per favorire un aumento del patrimonio sociale (tramite
l’accantonamento degli utili non corrisposti) che si riverbera sul valore della quota e che gli frutterà in sede di una
eventuale liquidazione della società, mentre l’usufruttuario ha l’interesse contrario.
Per l’autore, in materia solo l’assemblea è sovrana e l’usufruttuario può solo difendersi col diritto di voto.
39
Occorre ricordare che il patrimonio oggetto dell’usufrutto è, per il caso del patrimonio di società di persone (e,
dunque, non personificate), un patrimonio inteso in senso dinamico: anche la variazione e gli incrementi del patrimonio
sociale, che dipendano dalla normale gestione, si riflettono sull’usufrutto, quando normalmente il patrimonio rimane
11
12
Resta da vedere quale sia la posizione ed il tipo di responsabilità cui è sottoposto
l’usufruttuario.
La dottrina è unanime nel riconoscere che la qualità di socio40 rimane al nudo
proprietario, l’usufruttuario, però, qualora la costituzione dell’usufrutto sia stata
accettata dagli altri soci, ha un diritto opponibile non solo nei confronti del socio, ma
anche verso la società.
Se, però, il problema della definizione dei diritti (e dei poteri) dell’usufruttuario in
campo patrimoniale non crea particolari problemi (è pacifica l’attribuzione del diritto
agli utili ex artt. 981 e 984 c.c.), è la definizione dei suoi diritti amministrativi, il voto
su tutti, ad essere oggetto di viva discussione; d’altra parte, mentre nell’usufrutto di
azioni le modalità d’esercizio dei rispettivi diritti da parte del nudo proprietario e del
titolare del diritto d’usufrutto sono normativamente disciplinate dall’art. 2352 c.c.,
nell’ambito della società di persone (e della s.r.l.) il legislatore ha omesso qualunque
tipo di regolamentazione.
Anche qui, dunque, assume una fondamentale rilevanza l’interpretazione che si dà
della presenza di una espressa norma del Codice (l’art. 2352 c.c., appunto) con
riferimento alle sole azioni.
Come è già stato rilevato in precedenza, però, la dottrina maggioritaria e la
giurisprudenza (Corte di Appello di Bologna del 15 settembre 199341, confermata
dalla sentenza della Corte di Cassazione 19 agosto 1996, n. 7614) concordano nel
ritenere che la mancanza di un espresso richiamo a tali norme nel caso delle s.r.l. sia
da attribuirsi ad un difetto di coordinamento legislativo.
Secondo la sopracitata giurisprudenza, infatti, il diritto di voto nell’assemblea della
società a responsabilità limitata compete, per le quote date in usufrutto, unicamente
all’usufruttuario il quale esercita al riguardo un diritto suo proprio e perciò non è
obbligato ad attenersi alle eventuali istruzioni di voto che gli abbia impartito il nudo
proprietario; è altresì vero che nell’esercizio di tale diritto l’usufruttuario deve
astenersi da comportamenti che possano recare ingiusto danno al nudo proprietario ed
in particolare da modi di esercizio del predetto diritto che possano compromettere la
conservazione del valore economico della partecipazione in società: l’eventuale
violazione di tale obbligo, tuttavia, non si riflette sulla validità del voto espresso in
assemblea, ma espone il responsabile al rischio di estinzione dell’usufrutto, nonché
alla azione risarcitoria da parte del proprietario danneggiato.
Permangono, però, i dubbi sulla posizione dell’usufruttuario nelle società di persone,
dubbi generati dalla possibilità di una estensione analogica alle medesime delle
norme di cui all’art. 2352 c.c. e dalla diversa valenza che si può dare alla applicazione
delle stesse.
cristallizzato nello stato in cui si trova in quel momento e le successive alienazioni, così come gli acquisti, rimangono
irrilevanti per l’usufruttuario: cfr. G. PUGLIESE, Usufrutto, uso, abitazione, in Trattato di dir. civ. a cura di G.
VASSALLI, Torino, 1972, p. 782.
40
Sulla erronea qualificazione dell’usufruttuario quale socio si veda la nota 63.
41
In Vita not., 1994, p. 295 ss.
12
13
Contrario a tale estensione (addirittura nel caso delle s.r.l.) si è detto un autore42, il
quale ha ritenuto voluto il mancato richiamo dell’art. 2352 c.c., perché, a suo dire, la
disciplina delle società per azioni contenuta nel Codice civile presuppone come
essenziale l’emissione delle azioni.
Abbiamo già detto di come sia errato e fuorviante (nonché limitante della disciplina
delle società) considerare le azioni sotto questo profilo legittimante; in più, si rileva
che lo stesso autore in precedenza, nel corso del proprio scritto, aveva affermato che
il mancato richiamo dell’art. 2352 c.c. non era preclusivo della ammissibilità di
usufrutto e pegno su quote, cadendo così in evidente contraddizione.
Ancora: schierandosi contro l’applicazione analogica dell’art. 2352 c.c., vi è stato chi
ha sostenuto che il potere amministrativo spetterebbe congiuntamente al socio ed
all’usufruttuario, poiché le due posizioni unite integrano la posizione di socio e
legittimano all’esercizio dei poteri sociali43.
Tale previsione contrasta, però, con la normativa propria della società personale, in
cui la legittimazione alle modifiche del contratto sociale è riservata solo a chi rivesta
la qualifica di socio, che, come detto, non spetta all’usufruttuario44.
Una autorevole dottrina45, viceversa, estendendo alle società personali la disciplina
dettata dall’art. 2352 c.c., ritiene che, salvo patto contrario, spetti all’usufruttuario il
diritto di voto in tutte le deliberazioni, comprese quelle modificative del contratto
sociale: certo, afferma l’autore, si potrebbe essere tentati di criticare la legge per non
aver distinto tra assemblee ordinarie e straordinarie, ma si è preferita una disposizione
univoca ad una casistica.
Altri46 ancora hanno ritenuto valida l’estensione dell’art. 2352 c.c. (sottolineando
come questo determini la non inscindibilità del diritto di voto dalla condizione di
socio), ma hanno considerato che il limite dell’applicazione analogica debba
considerarsi nella responsabilità illimitata: conseguentemente, in quelle deliberazioni
nelle quali la responsabilità illimitata può essere più gravemente coinvolta, il diritto
di voto deve essere riservato al socio, mentre per tutte le altre l’applicabilità analogica
non può soffrire limitazioni; in esse l’usufruttuario deve ispirarsi unicamente al
proprio interesse, fatto salvo l’obbligo di rispettare la destinazione economica della
cosa.
Sempre partendo dalla possibilità di estensione analogica delle norme stabilite per le
società di capitali, è stato sostenuto47 che la posizione dell’usufruttuario di una quota
di società personale è simile, concettualmente, a quella che si viene a creare in caso di
usufrutto di azienda ex art. 2561 c.c.48: in quel caso l’usufruttuario ha il potere di
42
G C. M. RIVOLTA, op. cit., p. 234 ss.
G. FERRI, op. cit., sub art. 2322 c.c., p. 384.
44
A. PAGLIANI, op. cit., p. 931.
45
A. ASQUINI, op. cit., p. 24.
46
A. GRAZIANI, Diritto delle società, Napoli, 1963, p. 114; questa considerazione dell’autore è il frutto del
ripensamento di una precedente posizione assunta nel 1945, in base alla quale era il diritto di amministrazione tout
court ad essere precluso all’usufruttuario, non già quelle particolari deliberazioni per le quali sia richiesta la
responsabilità illimitata.
47
M. GHIDINI, op. cit., p. 676 ss.
48
Diversa, come fa notare A. PAVONE-LA ROSA in op. cit., p. 335, è, ad es., la posizione del nudo proprietario, che,
nel caso della società, è illimitatamente responsabile.
43
13
14
gestione (amministrazione) della azienda, ma non può in alcun modo modificarne la
destinazione, essendo il suo potere simile a quello dell’institore; allo stesso modo,
nell’usufrutto di quota, il potere di amministrazione spetta all’usufruttuario, mentre
quello di modificazione dell’atto costitutivo è riservato al socio, che è il solo ad avere
la qualifica indispensabile (quella di socio, appunto) per potervi dare luogo; oltretutto
è bene ricordare che la dottrina è unanimemente concorde nell’affermare che non è
essenziale e legato necessariamente alla natura dell’usufrutto l’esercizio di ogni
diritto amministrativo da parte dell’usufruttuario49.
Connesso con il diritto di voto è, poi, il diritto di impugnativa (azione di
annullamento) delle deliberazioni dell’assemblea contrarie alla legge ed all’atto
costitutivo: esso spetterà al soggetto che abbia espresso il voto.
Anche questa soluzione di esercizio disgiunto dei diritti di amministrazione, dunque,
nasce dall’orientamento favorevole all’applicazione analogica dell’art. 2352 c.c., il
quale, infatti, prevede tale possibilità, confermando che non é incompatibile con
l’usufrutto l’attribuzione al nudo proprietario del diritto di voto; certo, essendo le
modificazioni del contratto sociale idonee a mutare la destinazione economica si
potrebbe concludere che il consenso debba essere prestato congiuntamente dal socio e
dall’usufruttuario50, ma, come detto, nelle società personali la legittimazione a
modificare il contratto sociale è riconosciuta soltanto a chi ne faccia parte, il che non
si può dire dell’usufruttuario: il nudo proprietario, però, sarà obbligato (nei confronti
dell’usufruttuario) a non aderire alle proposte modificative dell’atto costitutivo che
abbiano portata innovativa del bene azienda sociale, ma questo obbligo avrà una
esclusiva rilevanza interna, autorizzando solamente l’usufruttuario in caso di
violazione a richiedere la risoluzione del contratto ed il relativo risarcimento dei
danni al nudo proprietario51.
E’ questa, a parere di chi scrive, la migliore soluzione del problema: quella, cioè, che
prevede una ripartizione (ma subito dopo si vedrà che è più corretto parlare di
“tripartizione”) dei diritti tra i due soggetti: orientamento che si giustifica solo se si
ritiene ammissibile, come fatto dalla dottrina maggioritaria52, che il potere di
amministrazione in una società personale spetti anche al terzo non socio (ma sul tipo
di responsabilità del terzo che tale soluzione comporta si tornerà tra breve).
I diritti in caso di usufrutto, dunque, si possono suddividere in tre categorie distinte53:
a) quelli il cui esercizio resta al socio, tra i quali si debbono includere il diritto di
recesso (che è un atto di disposizione, non di godimento) e quello di voto in merito
alle modifiche dell’atto costitutivo di cui sopra, entrambi perché esercitabili solo da
un socio; b) quelli il cui esercizio passa all’usufruttuario, tra cui va sicuramente
49
R. COSTI-G. DI CHIO, Società in generale. Società di persone, in Giur. sist. dir. comm., 1991, p. 269.
Così A. PAVONE-LA ROSA, op. cit. p. 336.
51
M. GHIDINI, op. cit., p. 677.
52
Si vedano per tutti G. F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 97 ss. e A.. PAVONE-LA ROSA, op. cit., p. 334; contra G.
AULETTA, Appunti di diritto commerciale. Imprenditori e società, Napoli 1946, p. 146 ss.
53
V. BUONOCORE, op. cit., p. 209 e lo stesso autore con G. CASTELLANO e R. COSTI, Società di persone, Milano
1978, p. 487.
50
14
15
inquadrato il diritto agli utili54 con la precisazione che, salvo patto contrario,
l’usufruttuario deve imputare gli utili prima alle spese ed agli interessi e poi al
capitale e, naturalmente a condizione che si ritengano ammissibili gli amministratori
estranei, il diritto di voto in virtù della applicazione analogica dell’art. 2352 c.c. (ma
abbiamo visto in quale misura); c) quelli che possono essere esercitati da entrambi,
come il diritto alla quota di liquidazione, sia in ipotesi di scioglimento particolare del
vincolo sociale, sia in ipotesi di scioglimento della società, perché esso è un diritto di
credito e, come tale, la somma relativa non può non riscuotersi con il concorso del
nudo proprietario e dell’usufruttuario55, nonché il diritto di controllo che spetta ai soci
non amministratori ex art. 2261 c.c.56.
7.- Una volta accettata la possibilità che all’usufruttuario spetti un potere di
amministrazione57 si deve considerare il tipo di responsabilità della quale egli sia
investito.
Non si ritiene giusta la tesi di chi58, pur attribuendo all’usufruttuario il diritto di voto,
afferma che questi non è sottoposto a responsabilità illimitata: sembra, infatti,
cogliere nel segno l’opinione di chi sostiene l’ammissibilità in società personali di un
amministratore estraneo a patto che questi sia sottoposto a responsabilità illimitata59.
E’, infatti, questa una caratteristica basilare nelle società di persone (pur con le
dovute eccezioni, come la possibilità, prevista dall’art. 2267 c.c., che i soci della
società semplice siano amministratori pur essendo esonerati dalla responsabilità
illimitata60, esonero che, in questo caso, perdono solo se agiscono in qualità di
rappresentanti) che porta dunque l’usufruttuario (così come il socio) ad essere
sottoposto a responsabilità personale61, la quale, peraltro, costituisce per il nudo
proprietario una base di garanzia ben più solida degli altri mezzi di difesa concessigli
dalla legge, quali il richiedere ed ottenere idonea garanzia (art. 1002 c.c.), il far
cessare l’usufrutto per abusi (art. 1015 c.c.) ed in generale l’esigere dall’usufruttuario
l’osservanza della diligenza media (art. 1001 c.c.)62.
54
A. ASQUINI, op. cit., p. 28, afferma che se la legge non ha parlato del godimento dei nuovi titoli assegnati o dei
vecchi titoli rivalutati né all’art. 2352 c.c., né all’art. 1998 c.c., relativo all’estensione dell’usufrutto sui premi e sulle
altre utilità aleatorie inerenti al titolo, “è solo perché non è compito della legge enunciare principi ovvi”.
55
V. BUONOCORE-G. CASTELLANO-R. COSTI, op. cit., p. 488 e A. GRAZIANI, Diritto delle società, p. 115.
56
L’esercizio di quest’ultimo diritto é stato inizialmente attribuito da A. GRAZIANI, in Usufrutto di quota di società in
nome collettivo, p. 109 (si veda, però, il ripensamento dello stesso autore del 1963, op. cit., p. 114) al solo usufruttuario,
ma è convinzione della dottrina dominante che esso spetti ad entrambi; proprio perché è rivolto al controllo sulla
gestione deve essere oggetto di esercizio disgiuntivo da parte di entrambi i soggetti; A. ASQUINI, op. cit., p. 25.
57
Contra G. FERRI, op. cit., sub art. 2284 c.c., p. 281, secondo cui l’usufruttuario non avrebbe rapporti con la società,
ma solo col nudo proprietario nella veste, da questi unicamente detenuta, di socio.
58
A. GRAZIANI, si veda alla nota 56.
59
G. F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 97 ss.
60
M. GHIDINI, op. cit., p. 679, parte da questo spunto e dalla considerazione che nella società semplice si è soci a
responsabilità illimitata indipendentemente dalla propria posizione di amministratori o meno per concludere che non vi
è correlazione inscindibile tra potere amministrativo e responsabilità illimitata, il che è solo in parte condivisibile: se è
vero, infatti, che il legame non è assoluto in base all’eccezione dell’art. 2267 c.c., è anche vero che nelle s.n.c. gli
amministratori sono sempre illimitatamente responsabili (né rileva ai fini del nostro discorso che lo siano anche gli altri
soci), così come i soci amministratori di s.a.s.
61
A. PAVONE-LA ROSA, op. cit., p. 334.
62
R. COSTI-G. DI CHIO, op. cit., p. 24.
15
16
Il socio nudo proprietario, dunque, risponde illimitatamente e personalmente per le
obbligazioni sociali in dipendenza della sua qualità di socio, sia con riferimento alle
obbligazioni precedenti, che a quelle successive la costituzione dell’usufrutto sulla
quota sociale; l’usufruttuario, da parte sua, risponde illimitatamente verso i terzi per
le obbligazioni sociali sorte durante l’esercizio del diritto di usufrutto, non
estendendosi la sua responsabilità a quelle sorte precedentemente la sua costituzione63
63
C’è stato, in verità, chi ha parlato di applicabilità a questa situazione dell’art. 2269 c.c., con conseguente estensione
della responsabilità di chi entra a far parte della società anche alle obbligazioni sociali anteriori, sulla base di una
presunta comunione di godimento sulla medesima quota e del fatto che non può tornare a danno dei creditori la
eventuale difficoltà di individuare le obbligazioni societarie sorte prima e/o dopo l’ingresso in società
dell’usufruttuario: in virtù di ciò l’usufruttuario sarebbe sottoposto a fallimento ex art. 147 l.f.; cfr. F. GRADASSI, op.
cit., p. 1139 ss.
L’intero discorso non sembra condivisibile: innanzitutto sembra dettato da una eccessiva volontà di semplificazione
della questione (e l’art. 2269 c.c. si riferisce solo al nuovo socio, che, come già più volte ripetuto, è altra cosa rispetto
all’usufruttuario), inoltre, non si ritiene corretto parlare di comunione del godimento della quota, dal momento che
questo spetta all’usufruttuario e solo ad esso; altrimenti che senso avrebbe parlare di nuda proprietà?
Infine il fallimento: non è ammissibile nel caso in questione perché la legge collega il fallimento della società con
quello dei soggetti che rivestono la qualifica di soci con responsabilità illimitata e tale qualifica, come già detto in
precedenza, non compete all’usufruttuario: così M. GHIDINI, op. cit. p. 680.
16
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