La scienza dei cuori : le vie del sufismo tra oriente e occidente. Il sufismo, nella sua accezione più generale, indica la dimensione esoterica dell’islam, o il misticismo islamico, che, attraverso molteplici “vie”, mira a raggiungere l’unione mistica tra il credente e Dio. Il termine sufismo è un adattamento della parola araba tasawwuf, più che una sua traduzione letterale, il cui significato indica il processo di diventare sufi. L'origine etimologica più accreditata risale agli indumenti di lana, suf, che indossavano i primi mistici. Altre origini e interpretazioni richiamano l'idea di purezza, espressa dal termine safa', la parola greca sophia, o l’idea di saggezza divina [T. Burckhardt 1979], per le assonanze riscontrabili col sufismo. Così si dice anche che il sufismo sia preesistente all’islam, comune ad ogni spiritualità, composto da idee e elementi religiosi diversi. Se ciò non è del tutto falso, va sottolineato però il ruolo del lungo processo di espansione dell'Islam, che a partire dalle prime conquiste arabe è arrivato in Africa, in Spagna, nelle coste mediterranee dell'Europa; i Turchi lo hanno portato dal sud-est europeo al continente asiatico, si è diffuso in India e in molti altri paesi, incontrando necessariamente altri pensieri e culture. Il sufismo stesso è stato a capo del processo di islamizzazione di intere aree del mondo islamico, specialmente quelle più lontane dal medio oriente. Autori greci come persiani e indiani sono stati tradotti in arabo particolarmente dai sufi, ciò che rende più che probabile la contaminazione di idee e pratiche di varia origine e che ha dato vita a forme di ibridazione religiosa e culturale. Nonostante le possibili influenze pre o extra-islamiche, il sufismo nasce e cresce nell'Islam, si nutre del simbolismo coranico e dell'esempio del Profeta Muhammad. Infatti il commento esoterico del Corano è compito fondamentale nel sufismo, il Profeta stesso disse che "Non è stato rivelato un versetto coranico che non abbia un aspetto esteriore e un aspetto interiore". Un tale hadith rappresenta per i sufi un’esortazione all’approfondimento del messaggio coranico. Il sufismo risale dunque ai tempi del Profeta, quando i suoi compagni e successori, generalmente dei letterati, iniziarono ad interrogarsi sulla vita quotidiana, sugli obblighi e le leggi religiose ed i relativi valori. Inizialmente scelsero un modo di vita ascetico, umile, favorevole alla realizzazione della comunione mistica con Dio, che ritenevano di poter ottenere in prima persona. In un secondo periodo, il sufismo si organizzerà nel mondo tramite delle “vie iniziatiche” (turûq, plur. arabo di tarîqa), chiamate confraternite o ordini mistici dal vocabolario occidentale. Dal primo sufismo, fenomeno prettamente individuale e spesso ascetico, derivò una base teorica e pratica che vedeva la conoscenza esoterica, interiore, opporsi a quella exoterica, esteriore, concernente la tradizione e la giurisprudenza codificate. Un’opposizione che rifletteva la tensione tra l'esperienza immediata dell'amore divino e l'islam fatto di leggi e norme morali e sociali. Ben presto emersero sospetti e ostilità verso un sapere religioso considerato autonomo e perciò stesso innovativo, situazione che vide da subito il sufismo costretto a giustificare la sua “islamicità” e ortodossia, a legittimarsi attraverso di esse. L'idea centrale del sufismo classico divenne quella dell'Unicità di Dio (tawhîd) come creatore di ogni cosa, solo agente dal quale tutto emana ed al quale tutto rinvia. Si affermava così una certa corrispondenza tra l'essenza divina e umana, appartenendo l'Esistenza interamente a Dio, il Creatore di tutte le esistenze possibili. Il "patto mistico", il cammino spirituale che porta alla conoscenza della Realtà divina, a tal fine venne codificato, come vedremo, secondo diverse tappe di conoscenza e di ascesa verso Dio. Progressivamente, la sistematizzazione dottrinale, la diffusione di opere e biografie dei sufi e l'apporto di elementi aristotelici e neo-platonici andavano a confluire verso una metafisica combinante un'immagine dell'esistenza di Dio al contempo trascendente e immanente, che ha suscitato importanti dibattiti e riflessioni tra i mistici e i filosofi dell’islam. 1 Il rapporto tra maestro e discepolo e la trasmissione spirituale Il sentiero che congiunge l'uomo a Dio non è mai percorso senza la guida di un maestro spirituale (shaykh in arabo, pir in persiano), rappresentante del Profeta e della sua funzione iniziatica. I maestri sono congiunti a Muhammad tramite una catena di successione spirituale e/o genealogica (silsila) che li rende eredi e trasmettitori della “baraka”, la benedizione spirituale, in virtù della quale essi possono iniziare i discepoli alla via mistica, e contemporaneamente, trasmettere tale influsso divino. Lo shaykh deve possedere i requisiti atti a condurre il discepolo alla comunione con Dio, deve aver attraversato tutte le stazioni dell'ascesa mistica ed essere perciò un sufi perfetto. Il ruolo della guida spirituale è indispensabile e fondante della tarîqa, la “Via” verso il divino. La tarîqa indica sia il percorso spirituale fatto di metodi e dottrine, sia l’organizzazione materiale e sociale, concreto supporto all’insegnamento orale e dunque alla trasmissione delle conoscenze e pratiche spirituali. Ma anche la religione codificata indica la via, infatti etimologicamente tarîqa e shari’a significano entrambe “via”. La shari’a indica la via più larga, la Legge islamica exoterica, il cerchio esterno che simbolizza la più generale adesione esteriore alla religione. La tarîqa è la via più stretta, il raggio che congiunge al centro del cerchio, verso la (haqîqa), la Verità, il senso reale, profondo e superiore. Evidentemente possono esserci molteplici raggi, o vie, che conducono al centro, ma la meta resta unica, secondo un detto caro alla tradizione sufi. Progredire su tale cammino richiede al discepolo l’avanzamento per “stazioni iniziatiche” (maqamat), frutto di una disciplina spirituale, perciò raggiungibili soggettivamente, e - in modo complementare - per “stati spirituali” (ahwal), che sono invece dei “favori divini”, dal carattere più fluttuante. In generale si riconosce una somiglianza di fondo nella progressione spirituale delle diverse vie, come il pentimento, le pratiche ascetiche, il timore e l’appagamento in Dio, l’amore e la conoscenza, sino all’Unità in Dio. Il maestro sufi dunque, per aver attraversato stati e stazioni, è più prossimo al modello del Profeta, di conseguenza a Dio, e pertanto può guidare il discepolo, il murid, lungo il difficile percorso spirituale. Il rapporto che si crea tra maestro e discepolo è per certi aspetti controverso, poiché, essendo più prossimo a Dio, il maestro gode normalmente di grande venerazione e di un'autorità, potenziale e di fatto, senza pari agli occhi del suo adepto. Un'autorità eventualmente da controllare perché capace di sfidare quella dei più rigidi e “ortodossi” dottori della legge islamica, gli ulama, nonché dei governanti, dei leaders dei nuovi movimenti islamisti, dello Stato. Ma va ribadito come una tale opposizione non è universale né sempre tale, poiché esistono relazioni molto più articolate tra sufi, ulama, e leaders religiosi e politici di diverse correnti, non sempre rivali ma anche collaboratori, talvolta le loro figure coincidono, anche se possiamo affermare che generalmente le correnti islamiche fondamentaliste non riconoscono legittimità al sufismo (specialmente alle sue manifestazioni di religiosità come il culto dei santi). Basti pensare che il sufismo fu chiamato da subito “la scienza dei cuori” o “degli stati spirituali”, così distinguendosi dalle altre discipline formali, come il diritto per esempio. La dottrina e la terminologia propri al tasawwuf si delineano intorno al IX secolo, epoca della codificazione (tadwîn) della più ampia dottrina islamica e delle sue scienze. Alla fine del X secolo il sufismo iniziava a consolidarsi non solo come credo ma anche come scienza che univa dottrina, pratiche religiose e metodi di contemplazione mistica. Il periodo classico trova una certa conclusione con la figura di Muhammad al-Ghazali (m. 1111), teologo convertitosi al misticismo dopo una profonda crisi esistenziale. Il merito da sempre riconosciutogli resta quello di aver integrato sufismo, teologia e legge rivelata (shari'a), contribuendo al riconoscimento del tasawwuf all’interno della religione islamica. Tra i mistici più noti di questo periodo, ricordiamo anche il persiano Yahya b. al-Suhrawardi (m. 1191), continuatore delle idee metafisiche sulla struttura del cosmo di Ibn Sina, a noi noto come Avicenna (m. 1037), o il mistico andaluso Muhiddin ibn al-‘Arabi (m. 1240) con la nota dottrina dell'Unicità dell'essere 2 (tawhîd al-wujud). Anch'egli credeva in un mondo di esistenze spirituali oltre che umane e tutte create da Dio come suo riflesso. Dio sarebbe lo specchio in cui l'uomo contempla la sua realtà, e viceversa, l'uomo lo specchio in cui Dio conosce la propria essenza: l'uomo ha bisogno dell'esistenza di Dio e Dio ha bisogno del mondo affinché Lo conosca. La ricchezza e la complessità del pensiero akbariano (dall’appellativo di shaykh al-akbar, il grande maestro, con cui Ibn Arabi è conosciuto) continuano tutt’oggi ad avere profonda influenza in seno al sufismo ed al di fuori di esso. Un altro concetto fondamentale nel sufismo è quello del jihâd, ormai noto all’Occidente secondo l’impropria traduzione di guerra santa, comune all’interpretazione più integralista dell’islam. Precisiamo che esiste una distinzione ben codificata nell’islam tra un jihâd interiore, spirituale (il grande jihâd, jihâd al-akbar) ed uno esteriore, solo eventualmente armato, considerato minore rispetto allo sforzo spirituale, ben più profondo e duro da compiere. Letteralmente infatti jihâd significa sforzo, e si intende proprio quello sforzo che l’individuo deve compiere contro le sue debolezze interiori. Ma in certe spiegazioni scientifiche e soprattutto nei dibattiti dei media, la distinzione tra le due forme di jihâd, grande e piccolo viene meno per lasciare ampio spazio al jihâd guerreggiato (così nell’ideologia islamista), ormai non più “minore”, avendo assunto maggior rilevanza e visibilità per la violenza indiscriminata di certi attori islamisti, nonostante costituiscano una minoranza in seno al mondo islamico1. Il sufismo propone all’iniziato di impegnarsi anzitutto nel grande jihâd, perché la più grande battaglia consiste nel combattere il proprio ego e le insidie che ci tende quotidianamente, attraverso un “lavoro spirituale”, una pedagogia iniziatica volta a curare l’anima e predisporre il cuore all’unione mistica. Il fine del jihâd interiore, è la conoscenza reciproca tra Dio e il suo fedele. L’iniziato cerca di combattere le proprie nafs, termine indicante l’anima carnale, l’ego, il luogo delle passioni, in sintesi il peggior nemico del vero credente perché può incitare al male. Le diverse nafs vengono inoltre rinforzate dalle disposizioni umane, che vanno a costituire il mondo terreno, inferiore. A tal fine è fondamentale la pratica costante e intensiva dello dhikr (menzione, ricordo di Dio), il principale esercizio spirituale nel sufismo, necessario per far cadere quei veli che si frappongono tra l’uomo e la scoperta della Realtà (haqîqa)2. E il Corano che invita a ricordare costantemente Allah: “E Dio possiede i nomi più belli, invocatelo dunque con quei nomi” (sura 18:180). In tal modo, dottrina e metodo costituiscono un'unica esperienza per i sufi, nel senso che il sapere teorico va realizzato attraverso le pratiche, o esercizi spirituali, propri di ogni via tradizionale. Come si entra nella tarîqa? Generalmente viene stipulato un patto (‘ahl o bay’a), spesso una simbolica stretta di mano, tra l’aspirante discepolo e lo shaykh, o un suo rappresentante autorizzato (khalifa). Nel lessico coranico troviamo delle indicazioni del patto iniziatico (la sura 48 in particolare) e dei suoi significati possibili di realizzazione spirituale, di accrescimento della fede. Il patto prefigurerebbe il ritorno all’origine, all’alleanza primordiale tra Dio e le anime umane non ancora create. L'iniziazione consiste in una sorta di patto o voto di fedeltà che impegna l'aspirante nei confronti del maestro (se questi lo accetta), ma si tratta di un impegno reciproco e volontaristico in principio, dove anche lo shaykh deve rispondere ai bisogni del suo discepolo, che è libero di affiliarsi ad un'altra tarîqa se ritiene che l’insegnamento di un maestro sia più adatto alle sue esigenze spirituali. Lo dhikr è l’esercizio fondamentale per la vita di una confraternita mistica. I discepoli si riuniscono regolarmente per la sua esecuzione, accompagnata da canti, litanie e musica talvolta. Lo dhikr può essere Sulle diverse interpretazioni del jihâd nel corso della storia dell’islam, vedi Manduchi P. (a cura di), 2006, Dalla penna al mouse. Gli strumenti di diffusione del concetto di jihad, FrancoAngeli, Milano. 2 Cfr. D. Gril, “Doctrine et croyance”, in A. Popovic, G. Veinstein, Les Voies d’Allah, Fayard, Paris 1996, pp. 121138 ; Marchi A., 2006, « Jihad del corpo, jihad dell’anima », in Manduchi P. (a cura di), 2006, op.cit., pp.55-100. 3 1 recitato a voce alta o bassa, individualmente e collettivamente nelle sedute comuni. La concentrazione sul nome-simbolo di Dio parte dal cuore e lo purifica, tocca l'anima ed il corpo insieme, in modo da dilatare le percezioni extrasensoriali che consentono il raggiungimento della presenza divina. Lo stesso dicasi per il sama', o audizione mistica, praticato dai famosi dervisci rotanti, oggi più sotto forma di danza che di rituale spirituale. Inoltre, ogni ordine sufi ha le proprie formule (awrad; sing. wird) e modalità di preghiera che il discepolo riceve normalmente a seguito di alcune prove iniziatiche, come il ritiro, il digiuno, l'obbedienza al maestro, l'impegno sociale. I riti collettivi, identificandosi con l'ordine stesso, ci informano dell'importanza della socialità nel sufismo, che è messaggio universale e di linguaggi universali si avvale. Il ricorso alla musica, alla poesia, alla letteratura e alle varie forme d'arte – che oggi attira e affascina molti occidentali - è prerogativa di importanti figure sufi di tutti i tempi, che per questo sono state tanto ammirate quanto condannate dall'ortodossia ufficiale. Anche all'interno dello stesso sufismo si assiste da sempre all’opposizione nei confronti delle pratiche cosiddette “estatiche”, delle esibizioni considerate “popolari” (viste come innovazioni eterodosse), nonostante si tratti di pratiche basilari nel sufismo ortodosso sunnita. Tale sufismo popolare ha visto proliferare il culto dei santi e delle loro tombe, insieme ad una vasta letteratura dedicata ai temi delle ascensioni mistiche in paradiso e della santità, o ancora le odi all’amore, alla bellezza o al vino, temi e allegorie che hanno aperto la strada alla conoscenza del sufismo, anche se sempre più divulgativa e non di rado banalizzata. La poesia è ancora oggi uno dei canali privilegiati nella conoscenza del sufismo in Occidente, pensiamo a Rumi anzitutto, le cui traduzioni hanno entusiasmato il grande pubblico attraverso un linguaggio universale – simbolico, ma radicato nelle diverse lingue e tradizioni locali - e poco consono ad un’immagine classica e stereotipata dell’islam. Ma la divulgazione di questo tipo di letteratura ha ulteriormente incoraggiato (perlomeno in certi ambienti, inclusa gran parte del pubblico occidentale) una impropria separazione tra l’islam ed il sufismo, e perciò la misconoscenza del sufismo stesso. La formazione degli ordini sufi Il sufismo si è storicamente organizzato e radicato, anche capillarmente, in società estremamente differenti tra loro. Tra le prime figure che ispireranno la formazione degli ordini, citiamo Dhul-Nun alMisri (771-860), iniziato dalla mistica Fatima di Nishapur ; “il martire del sufismo” al-Hallaj (m.922), condannato a morte per le sue affermazioni “estatiche” di identificazione con Dio; al-Bistami (m.875), che considerava le regole tradizionali degli ostacoli al raggiungimento della Via; o ancora al-Junayd (m.910), di cui i numerosi seguaci diffonderanno l'insegnamento di un sufismo moderato unito al rispetto della Sunna. Tutti influiranno nello sviluppo del sufismo, tramite i loro discepoli soprattutto. Infatti sono generalmente i discepoli e successori di alcuni maestri a organizzare le confraternite musulmane per diffondere la trasmissione dell'insegnamento dello shaykh (e santo) eponimo. Le turûq sono divenute il tipo di organizzazione principale, anche se non esclusivo, del sufismo. Dal maestro 'Abd al-Qadir al-Jilani (m.1166) nacque la Qadiriyya, che tramite alcuni shaykh si diffonderà ampiamente nei secoli successivi in molte zone del mondo islamico, dall’Africa all’Asia. La Rifa'iyya prese il nome da Ahmad al-Rifa'i (m.1183), e fu il primo ordine a strutturarsi tanto rapidamente e durante la vita del suo fondatore, a partire dall’Iraq. La sua fama deriva più dalle pratiche estatiche dei suoi membri, come il camminare sul fuoco, mordere serpenti, trafiggersi il corpo con delle lame, tutte pratiche atte a significare la vittoria dello spirito sulla carne, l'avvenuta comunione mistica col divino. Alcuni tra i "dervisci urlanti" (cosiddetti per il loro dhikr ad alta voce) fondarono poi turuq in Siria, Egitto, India, Anatolia e Iran, rendendolo l’ordine più diffuso sino al XV secolo. 4 La Suhrawardiyya ha come iniziatore Diya' al-Din Abu Nadjib al-Suhrawardi (m.1168). Il suo pensiero fu sviluppato dal nipote Shilab al-Din 'Umar al-Suhrawardi (m.1234), conosciuto per la sua spiritualità moderata, l'equilibrio tra legge e via mistica che proponeva. Il suo insegnamento si diffuse rapidamente in Asia centrale e nel sub-continente indiano. Nei territori iraniani le catene iniziatiche più comuni seguivano la tradizione di al-Bistami, maestro del IX secolo che predicava l'introspezione lontano dalle pratiche codificate, comprese quelle dei sufi. Sempre in quest'area si sviluppò la corrente malamatiana, da malama, indicante “quelli del biasimo” che si ponevano fuori dalla società, considerando ipocrisia e vanagloria ogni rituale religioso, ogni manifestazione esteriore della propria spiritualità, anche se benevola, poiché fare del bene non doveva provocare merito o soddisfazione alcuna. Alla stessa spiritualità si richiamavano paradossalmente i qalandari, che al contrario attiravano il biasimo attraverso azioni riprovevoli come il non rispetto dei precetti coranici, il consumo di hashish, un insolito aspetto fisico. Il movimento dei qalandari non si svilupperà significativamente, data la libertà da ogni ritualistica imposta ed il continuo viaggiare, ma la sua influenza si farà sentire nella spiritualità di altri gruppi. Ancora, i discepoli della Yasaviyya, divenuta una tarîqa di erranti, con poche sedi fisse tranne quelle associate alle tombe degli shaykh, si diffuse in tutta l'area turcofona. Nel XIII secolo l'uso di lingue locali nella letteratura sufi era un fatto recente e il persiano fu particolarmente prolifico nella poesia, rispetto alla quale vale la pena menzionare grandi poeti come 'Attar (m. 1220) e Jalal al-din Rumi (m. 1273), persiano emigrato in Anatolia a causa dell'avanzata mongola. Tra le opere di Rumi ricordiamo il Mathnawi, considerato come il Corano in persiano. Rumi continua ad esser letto ai nostri giorni anche in Occidente, sino a diventare un best seller negli Stati Uniti. Durante questo periodo formativo, un ordine molto importante in India – che si diffonderà, con non poche trasformazioni, anche in Occidente dall’inizio del 1900 - fu la Chishtiyya, nata da Mu'in ad-din Hasan Chishti (m. 1236), sufi errante iniziato dai maggiori shaykh del tempo. Il suo ordine si diffuse unitamente alla sua etica di tolleranza della cultura hindù e di rifiuto di ogni potere temporale. L'andaluso Abu 'l-Hasan 'Alì al-Shadhili fu a capo della tarîqa Shadhiliyya, che diventerà la principale Via di tutto il nord Africa. La Spagna musulmana è stata anche la patria di un altro mistico di fama universale quale Ibn al-Arabi (m. 1240), come abbiamo visto. L'organizzazione sociale del sufismo tra il XII ed il XIII secolo, benché ancora in erba, suscitò immediatamente (e ancora oggi in parte) in alcuni nostalgici di un passato ascetico ed elitario, la critica del declino spirituale conseguente da tanto ingresso nel mondo. Eppure i secoli successivi costituirono una fase di ulteriore consolidamento e sviluppo. L'appartenenza agli ordini sufi, come anche alle scuole giuridiche o alle sette sciite, diventava un fatto ormai generalizzato in tutto il Medio Oriente, che conferiva un'identità islamica a preesistenti collettività, etniche, di vicinato o occupazionali che fossero, trascendendole e integrandole entro unità più ampie. Imp processo di sviluppo storico e sociologico Le invasioni mongole poi provocarono esodi di massa e gli ordini sufi cresceranno grazie alla solidarietà e al rifugio che offrivano ai bisognosi, senza pretendere un'adesione fideistica in cambio, e ponendosi così in modo trasversale rispetto ad altri legami di appartenenza. È principalmente tra il XIII e il XIV secolo che si assiste all’organizzazione formale ed al consolidamento delle vie in confraternite. Ma allo stesso tempo nasceranno anche diverse e nuove polemiche, in particolare contro la devozione popolare ed il culto dei santi che già attiravano masse numerose. Proprio in questo periodo emerge la figura – oggi evocata da tanti integralisti – del teologo e giurista hanbalita ibn Taymiyya (m. 1328), che, nonostante fosse iniziato alla Qadiriyya, si scagliò contro tutte quelle innovazioni deplorevoli, bid‘a, come lo erano ai suoi occhi il culto dei santi, la devozione presso le tombe, le domande d’intercessione e altre pratiche religiose assai diffuse nel mondo islamico (e non solo). Il pensiero di Taymiyya tornerà alla ribalta nel XVIII secolo, quando Muhammad ibn ‘abd al5 Wahhab (m. 1792) lo integrerà tra le basi della dottrina wahhabita secondo un’attitudine più militante, sino a dichiarare legittima la guerra santa contro i sufi. I movimenti di stampo wahhabita si svilupperanno allora sino in Asia Centrale, in Indonesia e in India, dove fu forte la pressione per un sufismo “epurato” da quelle pratiche considerate eterodosse rispetto al puro insegnamento del Profeta3. Tra il XIV e il XVII secolo il sufismo continuò la sua espansione, conquistando nuovi territori sulle radici delle catene genealogiche precedenti, i nuovi shaykh infatti crearono ramificazioni delle vecchie vie in modi più autonomi e creativi. Uno degli ordini più importanti che si diffonderà enormemente a partire dall’Asia Centrale, fu la Naqshbandiyya, erede della spiritualità malamatiana, improntata dunque all'interiorità ed al rifiuto di ogni comportamento ostentato. Ma il principio cardine della tarîqa resta l'equilibrio tra la Via e la legge, che ne garantì l'ampia adesione in tutta l'Asia centrale e nelle terre ottomane. L’equilibrio tra la corte e i religiosi fu possibile per questo ordine, tra i più diffusi ancora oggi, e per altri come la Mevleviyya, la tarîqa dei dervisci seguaci di Rumi, che otterrà i favori dell’impero ottomano. Un altro ordine molto importante nell’area turca e balcanica è la Bektashiyya, dal santo Hajji Bektash (m. 1337), iniziato alla Yasaviyya, che come tanti allora, emigrò in Anatolia a causa delle invasioni mongole. Un acceso sincretismo caratterizzava questa tarîqa: elementi cristiani e islamici, in particolare sciiti, vi coesistevano. I bektashi furono attivi nel corpo di milizia dei Giannizzeri (nato intorno al 1360), di cui diventarono confraternita specifica, e contribuirono all'islamizzazione dell'Asia minore e in particolare dei Balcani, terra d’elezione dell'ordine. Con la soppressione dei Giannizzeri, i bektashi furono accusati di eresia e perseguitati, ma sopravvivono proprio grazie al loro spirito eterodosso. La Bektashiyya è considerata come un ordine sciita o dalle forti connotazioni sciite, ma altre confraternite sono state molto importanti per il mondo sciita, così la Safawiyya, fondata da Safiyy al-Din (m. 1334). Inizialmente sunnita, la via fu improntata allo sciismo verso il XV secolo, con Shah Ismail (m. 1524), che fondò nel 1501 la dinastia Safavide e impose il duodecimanesimo (corrente allora minoritaria in Iran) come religione di Stato, ma reprimendo gli ordini sufi. Di origini sciite fu anche la Khalwatiyya, dal termine khalwa ("ritiro spirituale") e dal nome del maestro Umar al-Khalwati (m.1397) diffusa nel Caucaso e nel mondo musulmano occidentale. La Ni'matullahiyya, nata da Shah Ni'matullah Wali (m.1431), si diffuse pressoché esclusivamente nell’area iraniana, dove però il sufismo non ha vita facile, e oggi è molto attiva in emigrazione. Il radicamento dell’islam e degli ordini mistici in paesi molto diversi dal mondo arabo, dove l’islam è nato, ha permesso spesso la convivenza e lo scambio tra fedi e culture diverse. Nel subcontinente indiano, pratiche come l'ascetismo, il celibato, il vegetarianesimo, erano condivise da yogi, hindù e sufi, che godettero del clima di tolleranza instaurato dalla Chishtiyya e mantenuto sotto l'imperatore moghul Mahmud Akbar (1542-1605), il quale ospitava alla sua corte i maestri e consiglieri sufi, promulgò una legge sulla tolleranza universale, abolì la tassa per i non musulmani e per i pellegrinaggi hindù e limitò il potere degli ulama in campo religioso-legale. Aldilà delle varie forme e coloriture locali assunte dal sufismo, possiamo rintracciare degli elementi comuni e costanti tra loro, come il culto di personalità carismatiche, l'ormai diffusa ereditàrietà della loro carica, la partecipazione nel campo del potere grazie anche alla “gestione della propria baraqa”. Facile constatare come il culto eccessivo della personalità degli shaykh abbia attirato le critiche di degenerazione della dimensione più profonda e interiore della religiosità sufi, e di conseguenza le previsioni del suo inevitabile declino a vantaggio di una dimensione esteriore e materiale. 3 Vedi Gaborieau M., Grandin N., 1996, « Le renouveau confrérique (fin XVIII-XIX siècle) », in Popovic A., Veinstein G. (a cura di), Les Voies d’Allah, Fayard, Paris. 6 Il rinnovamento Dalla fine del XVIII secolo l'Arabia divenne il luogo centrale di incontri, scambi culturali e diffusione delle idee religiose. Il miglioramento dei mezzi di comunicazione e trasporto facilitò i pellegrinaggi nella regione e la formazione di circoli di studio intorno ai maestri, dando vita ad una società religiosa cosmopolita e mobile, nonché ad un rifiorito sufismo una volta rientrati in patria. Anche lo studio degli hadith riprese vigore, stavolta in un senso “fondamentalista” di rifiuto delle tradizioni particolari, ed una rinnovata enfasi sulla figura esemplare del Profeta si registrò ovunque nel mondo musulmano, con la costituzione di ordini direttamente richiamanti il suo nome, tarîqaMuhammadiyya appunto. Ma la principale espressione politica del nuovo trend riformista nella penisola arabica fu il movimento wahhabita, decisamente ostile al sufismo ed alle sue pratiche popolari. Intanto, in tutto il Maghreb l'influenza degli shaykh diventava enorme, non solo sul piano spirituale ma anche su quello politico e sociale, come dimostra la devozione popolare verso i “marabutti”. Questo fenomeno suscitava perplessità e critiche, in un periodo in cui gli eccessi del sufismo venivano puntualmente messi sotto accusa, spesso dagli stessi sufi. Una figura importante per il sufismo ortodosso e la sua vita nell'Hijaz, fu il maghrebino 'Ahmad ibn Idris al-Fasi (1750-1837). Tra i suoi tanti discepoli ricordiamo 'Uthman al-Mirghani, da cui nacque la Mirghaniyya (che fiorì in Sudan e in Egitto) e 'Ali al-Sanusi, da cui nacque la Sanusiyya, diffusa in Cirenaica e nota agli italiani per la sua resistenza durante la guerra in Libia. Le autorità coloniali – francesi in particolare - temevano che l'autorità degli shaykh sufi potesse essere usata dai loro rivali (ottomani o altre potenze coloniali) per indebolire il loro potere nell'Africa settentrionale e sub-sahariana. La relazione maestro-discepolo forniva un quadro di influenza e autorità interiorizzato dalle comunità, riuscendo non di rado a modificarne i confini politici. Durante il periodo coloniale, furono numerosi i sufi impegnati nella resistenza alle potenze imperialiste. Nel Caucaso e in Cina la Naqshbandiyya si attivò ripetutamente contro i nemici dell'islam, per esempio con l'Imam Mansur (m. 1794) e con l'Imam Shamil (1796-1871), che stabilì una sorta di regno della shari'a nello Yunnan dal 1856 al 1873. Dal Marocco all'Uzbekistan le turuq sono state spesso promotrici della resistenza armata contro gli imperi coloniali (così la Qadiriya contro Mosca in Cecenia). Non mancano però i casi di collaborazione o quantomeno approvazione dei governi, più o meno laici. Anche il regime Saudita, dagli anni '90, ha dovuto concedere un po’ di spazio ai maestri sufi per bilanciare lo strapotere dei teologi wahhabiti [Marc Yared, 1999]. In molti regimi comunisti la repressione e le campagne diffamatorie degli ordini (definiti parassiti o fanatici), non sono riuscite a determinarne l'estinzione o la debolezza. Oppure ciò li ha costretti a resistere, diventando quasi marginali al sistema, dunque incontrollabili, potenzialmente pericolosi. Nell'ex Unione sovietica sono stati dichiarati fuori legge perché contravvenivano a molte disposizioni del codice penale; altri ordini (nel Caucaso e in Asia centrale) sono stati classificati come “organizzazioni terroristiche”, dunque costretti alla clandestinità e segretezza. Tra il XVIII e il XIX secolo il panorama del mondo musulmano risultò modificato dal fiorire di turûq, riformate e originali, dinamiche come non mai nel convertire nuove popolazioni. Fiorirono anche le guerre, in risposta ai cambiamenti che avvenivano nelle società musulmane e successivamente per fronteggiare l'avanzata delle potenze occidentali, tanto da far parlare in merito di “movimenti di riforma premoderni”, ma senza grosse innovazioni dal punto di vista mistico speculativo. Il cosiddetto “neosufismo” – neologismo oggi contestato, che indicherebbe appunto il periodo di rinnovamento del sufismo - si poneva comunque in continuità per molti versi, rispetto al secolo precedente. Il XX secolo 7 Nella Turchia di Kemal Ataturk (1881-1938), nel 1925 tutti gli ordini, le pratiche pubbliche e le attività caritatevoli sufi furono aboliti e i loro beni confiscati. Molte turûq hanno cessato di esistere da allora e altre invece sono sopravvissute nella clandestinità: la Naqshbandiyya prima di tutte, avendo ripetutamente organizzato rivolte e agitazioni religiose per difendere l'islam, ma anche la Khalwatiyya (Halvetiye in turco) e molti altri ordini. Dagli anni cinquanta, il controllo sulla religione islamica ha cominciato ad affievolirsi, benché l'interdizione ufficiale degli ordini rimase, ma si giunse ad un tacito accordo con i governi che ne permetteva il funzionamento come associazioni di beneficenza. La Naqshbandiyya, uscita dalla clandestinità, ha attirato un numero sempre crescente di intellettuali, politici e uomini d'affari musulmani, anche perché è riuscita a mantenere uniti l'impegno socio-politico e l'insegnamento dottrinale. E stato notevole il suo ruolo nella re-islamizzazione della società turca; lo dimostrano il primo partito del paese (Partito del saluto nazionale), fondato dal naqshbandi Necmuddin Erbakan, e i molti naqshbandi del Partito della prosperità e di quello della madre patria fondato da Turgut Ozal. Negli ultimi vent'anni lo Stato ha ri-liberalizzato le pratiche mistiche pubbliche, come il sama' mevlevi per esempio, considerato ormai più un'attrazione turistica, aldilà del suo significato spirituale. La situazione delle ex repubbliche sovietiche non è stata da meno; qui le moschee, le tombe e le sedi sufi sono state generalmente confiscate dal regime “laico”, ma molti gruppi sono sopravvissuti in privato. Ancora, in Bosnia-Erzegovina gli ordini sono stati banditi, mentre in Kosovo e in Macedonia, ridotti alla semi-clandestinità, ma sopravvissuti sino alla creazione nel 1974 di una Unione degli Ordini Mistici, malvista da quell'islam ufficiale integrato nel regime. L'incontro con l'Occidente ha certo condizionato l'islam in tanti suoi aspetti, a cominciare dall'approdo del sufismo in Europa all'inizio del secolo, principalmente tramite gli immigrati. Le prime testimonianze riguardano delle riunioni nei café parigini negli anni '20; nel 1926 lo shaykh Ahmed al'Alawi (1869-1934) inaugurò la moschea di Parigi e Louis Massignon, noto studioso dell'islam, osservava come la Alawiyya si interessasse agli operai locali. Poi sino agli anni '70 non si sono avute notizie, probabilmente anche per l'offensiva contro gli ordini sufi lanciata dall'Associazione degli ulama d'Algeria, attiva tra i lavoratori algerini in Francia, e per il generale processo di secolarizzazione in atto dal secondo dopo-guerra europeo. I Muridi senegalesi hanno fatto proseliti nei paesi europei, con la costituzione dell'Associazione degli studenti muridi d'Europa nel 1977, diventata nel 1983 Movimento islamico dei Muridi in Europa, presto installati anche a Perugia e successivamente in tutto il territorio italiano. La figura di René Guenon (1886-1951) è stata molto importante per la divulgazione del "tradizionalismo", corrente che privilegia l’unità trascendentale delle fedi religiose, benché lui stesso scelse di aderire all’islam e in particolare al sufismo. Altrettanto fece il suo discepolo Frithjof Schuon che aprì un centro 'alawi (dal nome del loro maestro al-'Alawi) a Losanna, al quale si affiliarono molti europei e diversi specialisti di sufismo. Schuon fondò una nuova branca della 'Alawiyya, detta Maryamiyya (dal nome di Maria, madre di Gesù), diffusa sopratutto negli Stati Uniti, ma non si tratta più di una tarîqa convenzionale, essendo le pratiche e gli insegnamenti schuoniani fortemente eclettici e sincretici. In Germania la forte presenza della comunità turca vede presenti diversi gruppi: la Naqshbandiyya è attiva tramite la branca dei Suleymanci, fondata da Suleyman Hilmi Tunahan (1888-1959) e organizzata attorno ai centri islamici ed alle moschee. Il suo legame col partito del movimento nazionale in Turchia e la sua rivendicazione quale primo tra i movimenti islamici in Germania ci informa della non rara trasformazione socio-giuridica e politico-religiosa degli ordini nell'età contemporanea4. Anche l'ordine “eterodosso” degli Alevi-Bektashi è presente in Germania prevalentemente presso i turchi, mentre in Italia si ha minor conoscenza di questi gruppi, essendo l’immigrazione turca poco presente. 4 Hamès C., « L'Europe occidentale contemporaine », in Les Voies d’Allah, op. cit. p. 445 8 Nel nostro paese sono comunque diffuse alcune confraternite sufi, alle quali anche un numero importante di italiani è ormai affiliato da anni5. Così per la tarîqa Halvetiyya-Jerraiyya guidata sino a pochi anni fa dal maestro Gabriel Mandel Khan a Milano; la Burhaniyya, di origine sudanese, è presente a Roma con una zawiya e in altre città italiane in modi più informali; la branca della Naqshbandiyya più diffusa in Occidente è guidata dallo shaykh Nazim, che vive tra Cipro e Londra e in Italia è presente in diverse città, come Rimini e Roma per esempio, e spesso un maestro tedesco, Burhanuddin, guida dei seminari intensivi sul sufismo. Ancora, la Muridiyya senegalese è la confraternita più numerosa, grazie agli immigrati presenti nel paese, quasi tutti affiliati alla tarîqa, all’eccezione dei discepoli della Tijaniyya, l’altra grande confraternita senegalese, che però conta anche alcuni italiani tra i suoi membri. Shaykh Pallavicini, più noto per la sua attività di dialogo istituzionale e interreligioso tramite la Coreis, è anche iniziato alla tarîqa Ahmadiyya-Idrissiyya, cui aderiscono diversi suoi seguaci. Altre vie iniziatiche sono presenti in Italia, ma il numero ridotto e la discrezione di molti discepoli rende difficile la ricerca. Il funzionamento di questi gruppi risponde alle modalità tradizionali della maggior parte degli ordini sufi. Almeno una volta alla settimana ci si riunisce per celebrare lo dhikr collettivo, per discutere insieme degli impegni della tarîqa, o sulla corretta pratica dell’islam. Alcuni gruppi sono impegnati in attività editoriali, altri organizzano delle lezioni sulla storia, i santi e le dottrine del sufismo (così la Burhaniyya), e spesso organizzano delle visite nel paese in cui risiede il loro shaykh, specialmente all’occasione delle festività islamiche o legate al proprio ordine. Ora, tutti questi gruppi in genere non hanno grandi rapporti tra loro, anzi spesso alcuni criticano il sufismo o l’islam degli altri quando lo considerano poco ortodosso. Bisogna osservare però come ancora la comunità islamica in Italia sia relativamente giovane e fragmentata, anzi possiamo meglio parlare di più comunità musulmane che si sono organizzate in emigrazione in modi diversi, incontrando anche i convertiti italiani che spesso scelgono il sufismo come via privilegiata di adesione all’islam. I legami tessuti dagli ordini sufi sono apprezzati perché basati su un piano orizzontale di solidarietà e fratellanza, e allo stesso tempo diventano compatibili con molteplici forme identitarie (regionali, nazionali, etniche), in virtù del messaggio universale dell'islam che loro stesse promuovono. Può forse sembrare paradossale che la vocazione universale della religione islamica, che aspira a riunire un'unica comunità di fedeli (la umma), venga promossa da comunità tanto diverse e anche conflittuali tra loro. Tale “pluralismo di fatto” si spiega anche con la mancanza di un'ortodossia ufficiale e univocamente proclamata (non esiste un sistema ecclesiastico simile alla Chiesa cattolica), così che diverse voci compongono l’islam, malgrado lo si dipinga spesso come indifferenziato. Negli anni '90 si parlava di circa 10.000 sufi convertiti nell'Europa occidentale6, oggi senz’altro il loro numero è aumentato significativamente, ma le stime sono davvero rare. Tanto più che in Occidente spesso, molti gruppi si ispirano al sufismo, sono variamente influenzati da esso, ma non sempre aderiscono alle pratiche islamiche. Altri enfatizzano l'unità di tutte le religioni, non richiedono necessariamente la conversione all’islam, così vi è chi diventa musulmano, praticante o no, e chi sceglie solamente di essere iniziato ad una via sufi, o ne è simpatizzante. Il sufismo sembra offrire un approccio, morbido e graduale, all'islam, ciò che meglio si confà alle esigenze spirituali emerse negli ultimi decenni. Il sufismo sembra rispondervi tanto sul piano della dimensione individuale che collettiva, incorporandole entrambe, e in modi plurali. Gli esempi citati non bastano a dare un quadro esaustivo della e delle realtà del sufismo, su cui anche le scienze sociali si interrogano con crescente interesse. Ciò che si intende sottolineare è appunto il pluralismo che lo contraddistingue, e che è una caratteristica dell’islam tutto, benché questo sia concepito Cf Marchi A., 2001, “Le vie del sufismo. Panorama degli ordini mistici in Italia”, in Gritti R., Allam M. (éds), 2001, pp. 135-150 6 Duran K., 1991, «Muslim Diaspora: the Sufis in Western Europe», in Islamic Studies, vol. 30, n. 4, p. 465 9 5 troppo spesso e a torto come una religione totalizzante e monolitica, la cui essenza si imporrebbe fatalmente al destino dei suoi seguaci. Integrare la misconoscenza dell’islam diventa un compito urgente e importante. Riferimenti bibliografici BURKHARDT Titus, 1979, Introduzione alle dottrine esoteriche dell'Islam, ed. Mediterranea, Milano ERNST Carl W., 2000, Il grande libro della sapienza sufi, Mondadori, Milano GEOFFROY Eric, 2003, Initiation au soufisme, Fayard, Paris GRITTI Roberto, ALLAM Magdi (éd), 2001, Islam, Italia. Chi sono, cosa pensano i musulmani in Italia, Guerini e Associati, Milano MALIK Jamal, HINNELLS John (éds), 2006, Sufism in the West, Routledge, London, New York PACE Enzo, 2004, L’islam in Europa: modelli di integrazione, Carocci, Roma POPOVIC Alexandre, VEINSTEIN Gilles (a cura di), 1986, Les ordres mystiques dans l'Islam. Cheminements et situation actuelle, EHESS, Paris SEDGWICK Marc, 2004, Against the Modern World. Traditionalism and the Secret Intellectual History of the Twentieth Century, Oxford University Press, Oxford New York SPEZIALE Fabrizio, 2000, “I sentieri di Allah: aspetti della diffusione dell’Islam delle confraternite in Italia”, in La critica sociologica, Roma TRIMINGHAM Spencer, 1971, The sufi orders in Islam, Clarendon Press, Oxford Appendice Egitto Circa 12/15 millioni di musulmani sarebbero affiliati a delle confraternite sufi : 68 ufficiali poste sotto la direzione del Consiglio superiore degli ordini sufi (Al-Majlis Al-A‘lâ li-l-Turûq Al-Sûfiyya), più scarse stime su confraternite non riconosciute. Da Nasser in poi gli ordini sufi non sembrano essere direttamente coinvolti in politica, non ufficialmente nei partiti, ma hanno cmq accordato il sostegno ai governi che in cambio li hanno lasciati liberi di organizzarsi e riunirsi e li ha protetti dagli attacchi islamisti. Eppure esistono correnti interne alla galassia sufi anche in disaccordo tra loro e rispetto al Consiglio, già dal 2008. Durante la rivoluzione sit-in di protesta di diverse confraternite x chiedere le dimissioni dello shaykh a capo del Consiglio (membro PND + altre cariche) e di altri suoi membri PND + costituzione di alcuni partiti hizb Al-Tahrîr Al-Masrî, di piccole confraternite e lo hizb Sawt Al-Hurriya. Nel 2010 Mubarak era intervenuto nella nomina dello shaykh a capo del Consiglio, generando ricorsi e tensioni interne con chi denunciava tale ingerenza. In particolare lo fece lo shaykh Azayim 10 e nel 2011, durante la rivoluzione, denuncia pubblicamente la corruzione del regime e annuncia la creazione del partito Tahrir al-Masri, che avrà cmq posizione moderate e conservatrici. Il partito della Liberazione si diceva riformista e civile, non-islamista, liberista, ma non specifica il senso da attribuire allo Stato civile. Nel frattempo la frattura interna al Consiglio prosegue e si richiede la riabilitazione intellettuale e scientifica degli shaykh, ed il Consiglio è contrario alla formazione di partiti e condanna anche la partecipazione dei sufi alla manifestazione di marzo 2011 in piazza. Interessante l’evoluzione post-rivoluzionaria: oltre al Consiglio ci sono almeno 3 organizzazioni e tre partiti. La « Coalizione dei sufi egiziani », fondata da Mustafa Zayed, segretario della Rifâʻiyya, con altri giovani responsabili sufi, che richiede una riforma del sufismo egiziano e una ristrutturazione del Consiglio superiore degli ordini sufi, pur rispettandone l’autorità. Questo movimento denuncia i fattori del declino del sufismo egiziano, cioé la struttura organizzativa, il basso livello culturale dei loro adepti e dei loro shaykh, e l’etica religiosa e sociale. Ma anche rivendicano una democratizzazione della trasmissione della funzione di shaykh al posto della trasmissione ereditaria. Gli altri movimenti sono la « Coalizione dei giovani sufi », che si ispira ad altre coalizioni di giovani e che sembra conservare la propria autonomia rispetto agli altri gruppi sufi, e l’« Associazione dei giovani sufi », che si presenta nei gruppi Facebook. Queste ultime hanno successivamente appoggiato alle elezioni una coalizione di sinistra, Al-Thawra Mustamirra. Pessimi risultati alle elezioni per i partiti sufi, ma altre candidature indipendenti in seno a coalizioni. Hanno più in comune con liberali e laici che con gli islamisti, ma la divisione e la mancanza d’esperienza è stata pagata in una fase di confusione politica generalizzata. Ampio potenziale e bacino di voti ma poca strategia di reclutamento 11