L'ORDINE "NON-LOCALE" DI BOHM, L'INCONSCIO, LA PSI C'è un principio fondamentale che occorre applicare alla realtà affinché la facoltà paranormale sia credibile: l'esistenza nell'universo di un meccanismo di annullamento di ogni forma di separazione sia spaziale che temporale. E' chiaro che, se un individuo percepisce telepaticamente il pensiero di un suo simile, oppure se prevede un evento che avverrà, qualcosa in quel momento ha eliminato radicalmente ogni barriera, ogni distanza nello spazio o nel tempo che lo separa dall'altra persona o da quell'evento futuro. Ora l'assunzione di tale processo di annullamento è molto impegnativa perché la natura ci pone costantemente sotto gli occhi una legge elementare secondo cui ciascun oggetto é ben separato dagli altri oggetti, ciascun organismo dagli altri organismi, ciascuna mente dalle altre menti. Possiamo accettare che l'azione dell'ipotetico processo unificatore sia sporadica e frammentaria quanto si vuole, ma é necessario che il processo stesso esista se vogliamo concedere alla psi una base di ragionevole attendibilità. C'è anche un altro concetto egualmente importante per assumere tale motivo di credibilità: che il menzionato fattore di unione, paradossalmente, contenga in sé una qualche forma di ordine, una sistema organizzato di elementi – in qualche modo – distinti, che impediscano alla sua logica fusionale di far precipitare la realtà in uno stato di uniformità magmatica in cui nessun oggetto, nessun fenomeno può demarcarsi dai suoi contigui. C'è da notare che il carattere evidentemente molto impegnativo del principio non ci consente di sviluppare l'argomento su un solo piano disciplinare. Se la realtà permette, in condizioni molto particolari, un così radicale processo di annullamento, la sua verifica richiederà un esame multiplo condotto da vari punti di vista, relativo a diverse categorie di fenomeni. Richiederà inoltre un confronto reciproco di tali diverse valutazioni nell'obbiettivo anche di individuare, se esiste, una struttura, uno schema di comportamento comune e ricorrente del fenomeno. Il criterio é del resto implicito nello stesso assetto della ricerca parapsicologica che richiede, forse come nessun altra area di ricerca, un impegno radicalmente interdisciplinare. Ciascun fenomeno deve esser visto e confrontato nei suoi aspetti psicologici, fisici, biologici, comunicativi e le diverse ottiche devono essere ancora integrate in una valutazione organica del fenomeno o del problema. Nell'obbiettivo, ovviamente limitato, di questo intervento ci proponiamo di analizzare la teoria di Bohm confrontando quattro temi scientifici assai ricorrenti nella parapsicologia: il concetto appena accennato della "nonlocalità" quantistica su cui si basa la teoria stessa, l'inconscio, certi processi simbolici della magia primitiva come analizzati dall'antropologia. Come quarto elemento del confronto propongo un riferimento al problema teorico della parapsicologia che è sempre stato un tema di fondo dei miei articoli pubblicati sui “Quaderni”. Nello sviluppo generale della mia ricerca questo intervento riprende l'argomento di un mio precedente articolo sulla possibile base quantistica dei processi mentali, approfondendone alcuni aspetti, riducendone o sintetizzandone altri. 1) LA NON-LOCALITA' E' divenuta nozione di dominio abbastanza comune il fatto che la fisica moderna ha una visione della microrealtà caratterizzata da ricorrenti fenomeni di annullamento dello spazio, del tempo, della causalità. Senza entrare in dettagli (per l’auditore interessato rimando al mio precedente articolo sui "Quaderni" dell’ottobre 2003) ricordo che gli aspetti più vistosi di questo processo sono strani effetti di bilocazione per cui una microparticella sembra poter essere presente in due luoghi contemporaneamente ed altrettanto strane interdipendenze per cui la realtà - secondo un principio più radicale, la stessa esistenza - di ciascuna microparticella sembra dipendere dall'intervento di un "osservatore" che ne fa oggetto della propria registrazione strumentale. In particolare tutte le osservazioni sperimentali ci danno motivo per ritenere che tra due particelle che abbiano precedentemente interagito permanga un incomprensibile legame che fa sì che alcune proprietà misurabili dell'una 1 restino indissolubilmente legate alle analoghe proprietà dell'altra, come se le due particelle non si fossero mai separate. I fisici chiamano "non-località" o "non-separabilità" questo fenomeno e mettono in evidenza la portata universale degli effetti che comporta l'accettazione del principio. Dato, infatti, che non esiste praticamente particella che non abbia interagito con almeno un'altra particella, il principio stesso prospetta un processo di amplificazione a cascata implicante un universo in cui finisce per non esistere più oggetto o evento che sia realmente separato dagli altri. Per quanto siano diversi i fisici - anche famosi come alcuni padri della meccanica quantistica - che hanno visto una relazione tra i principi della teoria dei quanti e la natura della facoltà psi, nella presente relazione dedichiamo un'attenzione particolare alla tesi di David Bohm, docente all'università di Londra recentemente scomparso, per specifici problemi di pertinenza con quello che sappiamo sul modo di essere e di manifestarsi dell'ipotetica facoltà. Entrando un po' più in dettaglio diciamo che Bohm ha elaborato una concezione radicalmente unitaria della realtà in cui ciascuna particella, ciascun evento microfisico grazie al processo di connessione (a-causale) quantica con ogni altra particella é una sorta di unità speculare che riflette l'intero universo. E' una visione della realtà che implica un concetto fondamentale per il nostro argomento legato alla credibilità della facoltà psi, concetto su cui intendo invitare a riflettere proprio in rapporto al tema parapsicologico. Si tratta del concetto di "ordine implicato" (implicate order), o ordine nascosto, ovvero della presupposizione di un ordine più profondo della realtà che in qualche modo dà origine a tutti gli eventi fisici e mentali della realtà stessa. Si tratta di un ordine che, é bene metterlo in evidenza, non é assolutamente percepibile con i sensi, né accessibile strumentalmente. Il modello cui Bohm ricorre per spiegare l'esistenza di tale ordine é quello degli ologrammi, la nota tecnica di fotografia tridimensionale che si avvale del laser e di un particolare tipo di registrazione in base alla quale ciascun punto della pellicola racchiude in sé l'immagine dell'intero oggetto da riprodurre (nella normale fotografia a ciascun punto della pellicola corrisponde invece, secondo un rapporto biunivoco, un punto dell'oggetto da registrare). Sul piano fisico ciò che rende possibile il processo é la singolare proprietà delle onde luminose di interferire tra loro creando configurazioni stabili in cui possono incapsularsi informazioni sulle immagini provenienti dall'oggetto o gli oggetti illuminati. Sul piano matematico il processo é reso possibile da un'elaborazione alquanto complessa nota come integrale di Fourier. Ora, per avere un'idea, in base al modello degli ologrammi, dell'irreperibilità dell'ordine implicato, possiamo proporre l'osservazione che la pellicola di un ologramma presenta una superficie ruvida e frastagliata che non mostra alcunché di assimilabile al concetto di ordine. In particolare non vi si individua minimamente l'immagine dell'oggetto riprodotto nonostante l'immagine vi sia ben registrata e con una perfezione di particolari e con una possibilità di ricognizioni visive che la normale fotografia non consente minimamente. Per valutare meglio, tuttavia, quale possibile relazione presenti con la facoltà psi tale meccanismo di incapsulamento del tutto nella parte - legato integrativamente alla natura olografica e al carattere non-locale della concezione di Bohm - dobbiamo cercare di capire qualcosa in più dello strano ordine ipotizzato dal fisico americano. Di quale ineffabile condizione dell'esistenza si tratta? Com'e possibile che vi si colleghino tanto i processi fisici che quelli mentali? E, in particolare, qual'è il rapporto con questi ultimi? Ed é possibile individuare nella mente, nel pensiero qualcosa che, parallelamente a come avviene nel mondo fisico, rinvii ad un analogo ordine nascosto? Quest'ultimo interrogativo é per noi particolarmente importante perché gli spazi di credibilità della facoltà paranormale si individuano molto dai meccanismi di interazione tra mondo fisico e realtà mentale, tra esteriorità e interiorità. Ciò che interessa la parapsicologia sono proprio le convergenze tra i due piani di realtà perché i suoi fenomeni, se esistono, derivano sostanzialmente proprio da tale interazione e occorre pertanto capire come 2 queste stesse dimensioni possono influire l'una sull'altra. L'argomento che propongo quindi in queste osservazioni é l'individuazione di possibili meccanismi operanti così nella dimensione psichica come in quella della cultura che parallelamente conducano alla formulazione di quell'ordine celato la cui esistenza Bohm ritiene di dedurre dal comportamento e dalla logica operante del mondo microfisico. Più specificatamente ci interessa valutare la possibilità che tale ordine venga individuato con una catena di passaggi logici simmetrica a quella con cui viene individuato nei processi quantistici. Ci interessa inoltre valutare, sempre sul piano logico, se e quanto il possibile ordine nascosto esistente a livello psichico manifesti un isomorfismo di struttura e di operatività identici a quello individuato da Bohm nella realtà microfisica. Per rendere più concreta la valutazione della fondatezza di tale parallelismo restringerò l'oggetto del confronto con l'ordine non-locale di Bohm a due temi su cui ha sempre fatto leva l’elaborazione di una teoria della psi, temi rispettivamente dedotti dal campo della psicologia e da quello dell'antropologia culturale. Il primo, l'abbiamo accennato, é il vecchio argomento, infinitamente riproposto, dell'inconscio; l'altro, più specifico, é un concetto universale di "simpatia di tutte le cose" su cui si basa ogni forma di magia e di animismo. 2) ALCUNE CARATTERISTICHE STRUTTURALI SPECIFICHE DELL'ORDINE IMPLICATO Esaminiamo ora un po' più in dettaglio alcune caratteristiche proprie dell'ordine implicato. C'è innanzitutto da dire che la tecnica degli ologrammi é solo un modello approssimativo per descriverne la natura. La differenza più vistosa é che, mentre gli ologrammi hanno un carattere statico, i processi olografici (non-locali), supposti realmente operanti in natura, hanno, o avrebbero, un carattere dinamico. Il mutuo incapsulamento parte-tutto sarebbe, cioè, l'unità componente di un processo attivo verificantesi a molti livelli di una realtà che incessantemente si evolve nel tempo. Per tale intrinseca natura dinamica Bohm chiama il processo inerente al suo ordine implicato "olomovimento". C'é poi da tener conto della stretta interconnessione che esiste tra le due proprietà essenziali - l'incapsulamento olografico e la natura non-locale - di tale strano ordine. L'annullamento dello spazio e del tempo impliciti nel carattere non-locale dell'olomovimento sembra attuarsi in perfetta simmetria con il meccanismo di annidamento del tutto nella parte. Si direbbe, ancora in altri termini, che l'annullamento radicale dello spazio e del tempo instauri uno strano stato dell'essere in cui vige, tra microcosmo e macrocosmo, uno perfetto isomorfismo. Dobbiamo poi ricordare che la natura non-locale di questa singolare condizione della realtà comporta uno strano paradosso. Come abbiamo messo ben in evidenza nei due precedenti articoli, la non-località non implica in assoluto la comunione totale degli oggetti del mondo microfisico. Implica una aporistica compresenza di unione e separazione. C'è al riguardo un'osservazione di Penrose che non mi stanco mai di citare: "Questa correlazione quantistica é una cosa misteriosa che sta tra la comunicazione diretta e la separazione completa che non ha alcuna analogia con qualcosa di classico di qualunque tipo" (mio il corsivo)(1). Dunque l'universo fisico non collassa in un perfetto stato fusionale perché in sovrapposizione all'azione non-locale opera un elemento separatore, un meccanismo di scansione che impone una separazione "locale", determinante una distanza spaziale e temporale tra gli enti fisici. Se teniamo poi presente quell'altra caratteristica della connessione quantistica che é l'alta selettività dei suoi effetti (ciascuna particella é in relazione non-locale solo con un'altra particella con cui abbia precedentemente interagito), abbiamo un quadro dell'universo, tutto intimamente interconnesso sì, ma in cui é garantito il rilievo di una profondità dimensionale, una stereometria infinita di elementi - almeno in parte - distinti che giustifica il mantenimento di un certa forma di ordine. Naturalmente in tale universo é garantita - almeno in via di principio anche la possibilità che certe parti separate possano improvvisamente, magari sporadicamente, annullare la loro separazione (le cause ovviamente possono solo 3 essere oggetto di congettura), così che viene ad assumervi una fondatezza la possibilità della facoltà paranormale. 3) UNA BASE QUANTISTICA PER L'INCONSCIO Ovviamente l'ordine nascosto a livello mentale non può che essere l'oggetto di un vecchio tema della psicologia, quello dell'inconscio, nozionalmente l’idea di uno stato psichico inaccessibile alla coscienza, anzi di opposto ad essa, in cui tuttavia è in qualche modo registrata tutta l’esperienza complessa e articolata della coscienza stessa. E’ un concetto il cui impiego presenta nondimeno qualche problema. Nonostante i fiumi di inchiostro che sono corsi sull’inconscio (comprese notevoli critiche), il tema conserva un buona dose di oscurità ed occorre farne, per un uso appropriato al nostro confronto, l'oggetto di un’analisi che sia il più possibile collegabile a temi di indubbio significato scientifico. Soprattutto occorre che la nostra analisi metta in evidenza, come per il pensiero magico, alcune caratteristiche formali ben descrivibili delle sue funzioni e della sua operatività. Un primo passo in tale direzione, molto pertinente allo sviluppo del nostro discorso sulla psi é valutare la possibilità - per la verità alquanto temeraria - che se ne possa dedurre la realtà dagli stessi temi della meccanica quantistica. Ora, dato che proprio Bohm ci offre questa opportunità, accetteremo il rischio implicito in un'ipotesi apparentemente così bizzarra e considereremo, per iniziare, come il fisico americano arrivi, per tale insolita via, alla formulazione di una realtà inconscia. Sempre nell’ultimo articolo sui “Quaderni”. ho messo in evidenza come sia un vecchia ambizione della meccanica quantistica riuscire a spiegare con i suoi fenomeni i processi mentali. Già Bohr e Heisenberg vi accennarono durante una gita in barca negli anni '30. L'elemento della teoria interessante in tale prospettiva é l'indeterminazione di fondo dei microfenomeni, il loro carattere del tutto a-causale che fornirebbe un modello per una spiegazione del vecchio problema filosofico del libero arbitrio. La loro dipendenza, inoltre, da certe scelte dello sperimentatore inserisce nel cuore della materia un elemento soggettivo suscettibile di offrire un collegamento tra mondo fisico e realtà psichica, ossia una via per risolvere (almeno in via di ipotesi) quell'antico enigma della filosofia puntualizzato da Cartesio nell'antitesi tra res cogitans e res extensa. La via per arrivare ad una formulazione dell'inconscio tramite la meccanica quantistica passa, seguendo il pensiero di Bohm, attraverso questa associazione. Il modo in parte l'abbiamo accennato. L'ordine implicato é qualcosa che non ha in sé né una natura fisica, né una natura psichica e tuttavia é l'elemento cui si collegano entrambe le dimensioni: "Suggeriamo, cioè, che l'ordine implicato si applichi sia alla materia (vivente e non) sia alla coscienza e che permetta perciò di comprendere la relazione tra queste due cose e di formarci un'immagine del loro fondamento comune" (2). C'è qui da chiedersi: é un principio del tutto nuovo? In realtà sappiamo che già un matematico-filosofo come Bertrand Russel (quindi con un anticipo di almeno una trentina di anni) enunciò lo stesso concetto: "La sostanza di cui é composto il mondo della nostra esperienza non é, a mio avviso, né mente né materia, ma qualcosa di più primitivo delle due. Sia la mente, sia la materia sembrano essere composite, e la sostanza di cui sono composte si trova in un certo senso tra le due, e ancora sopra tutte e due, come un antenato comune" (miei i corsivi)(3). In N. Hartman, filosofo della corrente cosiddetta neokantiana, troviamo un concetto simile: "Il parallelismo dei fenomeni dell'anima e del corpo sarebbe (...) il necessario manifestarsi di una radice comune" e questo perché i processi unitari che esso implica "non cominciano o finiscono né nella realtà fisica né nella realtà psichica, ma in quella terza realtà di cui non si dà alcuna coscienza immediata” (mio il corsivo)(4). Se vogliamo passare poi a un contesto più psicologico non posiamo non ricordare il concetto Junghiano dello "stato psicoide", un livello in cui l'essere psichico - di grado molto primitivo strettamente connesso alle pulsioni e gli istinti - si confonde con la materia, o, viceversa, il livello in cui la materia comincia a mostrare una sua psichicità. 4 L'attenzione di Bohm parte tuttavia dalla parte più evoluta della psiche, dalla coscienza. Proprio la coscienza infatti é, secondo Bohm, una realtà che, alla lunga, si collega alla grande connessione quantica che permea l'insieme della materia e che costituisce la natura dell'ordine implicato. La formulazione di una realtà inconscia collegata a tale background quantico passa attraverso questa associazione. Il modo é interessante perché avviene in perfetto parallelismo al modo in cui dall'ordine implicato si staglia e si determina la materia. In base ad esso gli oggetti e gli eventi della natura inanimata hanno un'emersione simmetrica alla modalità in cui dallo stesso ordine emergono i pensieri, le percezioni, i ricordi della coscienza. Per Bohm, infatti, mente e materia costituiscono due grandi "sub-totalità" (sub-wholes, matrici di altre sub-totalità più piccole), forme diverse di un "ordine esplicato" (realtà manifeste e determinate) che si demarcano da uno sfondo molto più ampio. Per la materia questo sfondo é il grande mare di energia di cui pullula il vuoto (apparente) dello spazio fisico, realtà di per sé inaccessibile ad ogni indagine diretta. Per la coscienza é il grande vuoto in cui affondano e si perdono la consapevolezza e la memoria, in altre parole l'inconscio. "Benché questo fondamento possa non apparire alla coscienza ordinaria, esso é tuttavia presente in un certo modo. Proprio come percepiamo il vasto "mare" di energia nello spazio come un senso di vuoto, di nulla, così il vasto sfondo "inconscio" della coscienza esplicita é presente in modo analogo. Vale a dire, che esso può essere sentito come un grande vuoto, un nulla, rispetto al quale il contenuto manifesto della coscienza é solo un infinitesimo di sfaccettature" (mio il corsivo)(5). Dunque ambedue i tipi di ordine esplicato sono in stretto contatto con l'ordine implicato. Esiste tra i due piani di realtà (implicato/esplicato) una sorta di osmosi bidirezionale che Bohm chiama "inviluppo/sviluppo" (enfoldment/unfoldment). L'ordine implicato ha un ruolo generativo nei confronti dell'ordine (o degli ordini) esplicato, lo sviluppa, lo dischiude, lo esterna e questo (o questi), a sua volta, torna (o tornano) a invilupparsi nel primo, il tutto in base alla bidirezionalità di un processo praticamente infinito. Il carattere duale del rapporto potrebbe far pensare che una delle due realtà possa assumersi un ruolo prioritario, il privilegio filosofico di essere, in qualche modo, il vero fondamento dell'altra. Bohm a questo dà una risposta precisa: nessuno delle due può ascriversi tale priorità: sono antagoniste, eppure sono l'una in funzione dell'altra; nel divenire dell'universo hanno pari valore e pari dignità; sulla base della loro interazione paritaria si evolve la globalità dell'olomovimento. 4) L'OLOGRAFIA NEURALE DI PRIBRAM Prima di passare direttamente ai possibili equivalenti psichici della concezione olografica di Bohm, c'è un accenno che é importante fare, anche se molto brevemente. Esiste in ambito neuropsicologico una teoria delle funzioni cerebrali che é strutturalmente molto simile alla teoria con cui Bohm interpreta la realtà dell'intero universo. E' la teoria di Karl Pribram, neuropsicologo di fama mondiale. Il punto della somiglianza é proprio l'utilizzo della concezione olografica. Nel cervello deve esserci, secondo Pribram, un meccanismo che, come nell'ologramma, sfrutta certi processi di interferenza per costruire degli ologrammi interni per cui una certa unità funzionale (ad esempio un'interferenza tra micropotenziali elettrici del cervello) tiene incapsulata una totalità(ad esempio un insieme di unità di memoria) e sulla base di questa riflessione incrociata si svolge tutta l'attività della percezione e del pensiero (l'unica differenza é che Pribram non chiama in causa la non-località e i processi quantistici). In sostanza Pribram interpreta il funzionamento del cervello in base allo stesso principio con cui Bohm interpreta il divenire dell'intero universo. L'importanza del confronto deriva evidentemente dal fatto che non può non apparire significativo che, sulla base dello stesso modello, venga a crearsi un (sia pur potenziale) collegamento tra due poli disciplinari così distanti quale quello dei processi neurologici e quello dei processi fisici della materia. Non può inoltre non apparire altrettanto significativo il fatto che entrambi compissero lo stesso tipo di percorso concettuale, giungendo allo 5 stesso apprezzamento parapsicologia. del pensiero orientale e a un'ampia apertura alla 5) SPAZIO E TEMPO DELLA MENTE E LOGICA-ILLOGICA DELL’INCONSCIO Il tema tuttavia che ci consente di inserire organicamente l'inconscio nell'ipotetica realtà profonda che avrebbe dato origine tanto alla mente che alla materia é essenzialmente la constatazione della particolare simmetria strutturale esistente tra le due dimensioni, fisica e psichica. Perno di tale simmetria é ancora - anche questo trattammo nel precedente articolo - il fondamentale processo di annullamento dello spazio e del tempo. A livello fisico abbiamo appena visto qual'è il principio che ci consente di supporre che alla radice della materia operi un tale processo. Si tratta del principio quantistico della non-località che é anche il fondamento di tutta la concezione olografica della realtà elaborata da Bohm. Si tratta ora di vedere se e come alla radice dell'entità psichica possa operare un analogo principio. Sarà innanzitutto abbastanza condivisibile, suppongo, l'idea che l'io la parte apicale della psiche - strutturi la sua realtà in base a uno spazio e un tempo mentali. L'esistenza mentale di ciascuno di noi non é un caleidoscopio di sensazioni e vissuti, ma un struttura regolare di percezioni e di ricordi che sono ordinati in uno spazio e in un tempo mentali. Questi non saranno certamente la stessa cosa dello spazio e del tempo fisici; indubbiamente mostrano una natura più labile, più flessibile in rapporto alla tensione emotiva, all'attenzione, alla curiosità, etc.. Sono tuttavia ciò che consente all'esistenza mentale una regolarità di collegamenti e di interazioni del tutto analoga alla regolarità di interazioni che alla materia consentono lo spazio e il tempo fisici. Non appare neppure difficile dimostrare che man mano che ci spostiamo verso la radice generativa di questa regolarità strutturata, verso quell'entità oscura che chiamiamo inconscio, lo spazio e il tempo della mente divengono labili e incostanti, tendono a annullarsi. Questo lo notò già Freud all'inizio della sua attività di psicanalista ed é stato sempre più evidenziato con l'evolversi degli studi sulla mente. E' un concetto, anche questo, che ho messo più volte in evidenza nel precedente articolo e rimando ad esso per una più dettagliata esposizione. Mi limito qui adesso, per mettere ben in chiaro il problema, a enunciare di nuovo le linee generali che ci consentono di stabilire la simmetria strutturale tra mondo mentale e mondo fisico in rapporto all'alterarsi dello spazio e del tempo: quando scendiamo a livelli sempre più profondi della struttura della materia, ci troviamo di fronte a un progressivo annullamento dello spazio, del tempo, della causalità fisica; quando scendiamo a livelli sempre più profondi della psiche, alla radice dell'inconscio, ci troviamo di fronte a un simmetrico annullamento dello spazio e del tempo mentali, della causalità logica. 6) MATTE BLANCO E L’INCONSCIO COME “INSIEMI INFINITI” Cerchiamo ora di individuare dell'inconscio caratteristiche strutturali più specifiche (ci servono sempre, lo ricordiamo, per un confronto generale con il concetto di ordine implicato elaborato Bohm). Diciamo subito che risulta particolarmente utile a tale scopo una celebre teoria psicanalitica dell'inconscio, quella di Matte Blanco, perché si basa su un modello interpretativo essenzialmente logico. Proprio tale criterio rigorosamente deduttivo-formale, che si avvale di alcuni concetti di base della logicamatematica come l'insiemistica e il concetto di infinito, garantisce al nostro tipo di confronto una coerenza e correttezza descrittiva che rendono la teoria dello psicanalista cileno ben più affidabile di altre valutazioni. Vediamo ora un po' in dettaglio la sua teoria anche se limitatamente agli aspetti che a noi interessano. C’è da premettere che le leggi dedotte da Matte Blanco (che probabilmente meraviglieranno il lettore per la loro apparente assurdità), come tutte le teorizzazioni della psicoanalisi, sono basate sull’osservazione clinica, ossia sull’osservazione dei tipici comportamenti del nevrotico e dello psicotico, in particolare delle loro tipiche sintomatologia 6 quali ossessioni, fobie, atteggiamenti coatti e ancora allucinazioni e deliri. Sono basate, inoltre, sulle manifestazioni non patologiche dell’inconscio quali i sogni, lapsus, motti di spirito. L’interpretazione in senso logico è ottenuta componendo tali vissuti –sintomatologici e non- in sequenze astratte di elementi formali. Dunque, secondo Matte Blanco la logica in base alla quale opera l'inconscio consta essenzialmente di due principi. In base al primo (che potremmo chiamare "principio di generalizzazione") “il sistema inconscio tratta una cosa individuale (persona, oggetto, concetto) come se fosse un membro o elemento di un insieme o classe che contiene altri membri; tratta questa classe come sottoclasse di una classe più generale e questa classe più generale come sottoclasse o sottoinsieme di una classe ancor più generale e così via" (6). In base al secondo (che potremmo chiamare "principio d simmetria") l'inconscio opera una simmetrizzazione di relazioni che per la coscienza sono invece del tutto asimmetriche. Per fare un semplice esempio: per la coscienza, se Antonio é padre di Giovanni é chiaro che Giovanni non può essere padre di Antonio. Per l'inconscio, invece, se Antonio é padre di Giovanni in qualche modo anche Giovanni é padre di Antonio. Il primo principio presenta un importanza minore per il nostro confronto, tuttavia assume anch'esso un suo ruolo preciso. Seguendo l'esposizione di Matte Blanco lo illustreremo con un solo esempio. "Giovanni é un elemento della classe degli uomini; Teresa, un elemento della classe delle donne. La classe degli uomini (maschi) é una sottoclasse della classe degli animali razionali e la classe delle donne é un'altra sottoclasse della stessa classe. La classe degli animali razionali é una sottoclasse della classe degli animali e questa é essa stessa una sottoclasse degli esseri viventi" (7). Ebbene l'inconscio tende, per così dire, a scegliere, di una cosa o elemento individuale, la funzione proposizionale (qualità o caratteristica) che esprime una generalità crescente. Si tratta evidentemente di una logica operativa “ad infinitum” che dissolve ogni determinazione, ogni carattere limitato degli oggetti percepiti. Su tale principio si innesta il secondo, quello della progressiva simmetrizzazione di relazioni che la coscienza considera del tutto asimmetriche. Abbiamo visto l'esempio dell'impossibile reversibilità della relazione di paternità tra Giovanni e Antonio. E' un meccanismo che, applicato a diversi altri tipi di relazioni, produce effetti incredibili. Un primo corollario al principio, deducibile automaticamente, afferma infatti secondo Matte Blanco che "quando si applica il principio di simmetria non può esserci alcuna successione" (8). Prendiamo, ad esempio, un'asimmetria temporale elementare come quella fulmine-tuono e applichiamo l'operazione. Avremo che, se il fulmine viene prima del tuono, anche il tuono viene prima del fulmine. O detto più astrattamente: se l'evento x precede l'evento y, anche l'evento y precede l'evento x. E' la liquidazione netta e totale del tempo. In base alla legge della simmetria non é più possibile alcuna forma sequenza cronologica. Applichiamo ora il principio alla relazione spaziale: se x sta a destra di y, anche y sta a destra di x (lo stesso ragionamento può evidentemente esser fatto per le relazioni avanti-dietro e sopra-sotto). E' la liquidazione netta e totale dello spazio e di ogni forma di contiguità locale. Impossibile non notare a questo punto che, con l'annullamento dello spazio e del tempo, si é attuato, a livello psichico, un perfetto equivalente delle condizioni di base della nonlocalità, la correlazione quantica che caratterizza l'ordine implicato di Bohm (naturalmente, lo ricordiamo, occorre tener presente che lo spazio e il tempo della mente non sono lo spazio e il tempo del mondo fisico). Ma le sorprese non sono finite. Inseriamo ora il principio in un elementare relazione di appartenenza, quella della parte con il tutto, ed esaminiamone una conseguenza immediata: se il braccio é parte del corpo anche il corpo é parte del braccio, o, espresso in forma più generale: "Quando si applica il principio di simmetria la parte (propria) é necessariamente identica al tutto" (9). Qui siamo all'elemento forse più interessante dell'insieme di deduzione logiche cui dà luogo il processo di simmetrizzazione. E' uno sviluppo deduttivo su cui influisce, per ammissione dello stesso Matte Blanco, un argomento specifico della logica formale. Si tratta di una caratteristica fondamentale dell'infinito formulata in un celebre teorema del Dedekind. Per quanto possa sembrare incredibile per il comune buon senso tale essenziale proprietà consiste in una 7 semplice definizione: "Un insieme é infinito quando e solo quando può essere messo in corrispondenza bi-univoca con una sua parte propria" (10). Il perché tale enunciato stravolga il senso comune é facile da evidenziare. A una domanda su quando qualcosa sia da considerare infinito verrebbe banalmente fatto di rispondere: quando non finisce mai. E invece la risposta corretta é inaspettatamente: quando ogni sua parte é identica al tutto. Ora l'elemento di interesse per il nostro confronto sarà evidente: la possibilità che la parte sia identica al tutto significa che la parte può in qualche modo rispecchiare, incapsulare il tutto. E' – lo ricordiamo - il principio di base dell'ologramma, sul cui modello, abbiamo visto, Bohm costruisce tutta la sua visione unitaria del cosmo. Ma la caratteristica attribuita da Matte Blanco all’inconscio è anche quella che ci fa cogliere il legame con l’altro importante concetto della teoria del fisico americano: la possibilità che, nell’apparente sfondo magmatico prodotto dall’annullamento dello spazio e del tempo, si conservi una particolare forma di ordine. Per la verità Matte Blanco non sviluppa in modo specifico l’argomento, tuttavia appare abbastanza facile, ritengo, dedurlo dagli elementi del suo sistema. Se la parte è identica al tutto in qualche modo anche il tutto rispecchia la parte, pur concesso che non si tratta di un rispecchiamento avvenente, lo ripetiamo, secondo le categorie familiari dello spazio e del tempo. Nella logica operativa ad infinitum dell’inconscio può conservarsi dunque, in una qualche ben diversa forma, la molteplicità degli oggetti e degli eventi del nostro mondo della determinazione e della separabilità. Il concetto può essere messo in evidenza prendendo in considerazione quella particolare caratteristica psichica che è l’emozione, che Matte Blanco considera la voce diretta dell’inconscio, il suo modo – sempre operante i base alla logica degli insiemi infiniti di farsi presente alla coscienza. Pur determinando – come pura esperienza, come puro “sentire” interno - la scomparsa dello spazio e del tempo mentali l’emozione ha un suo pensiero implicito – quindi un suo ordine -. “”Ma il “pensiero” dell’emozione (diversamente dal pensiero ordinario) contiene l’oggetto sentendolo” (mio il corsivo e la parentesi) (10 bis). Ad esempio un sentimentoemozione come l’amore può esser definito, seguendo un vecchio detto, “cieco” forse perché comporta l’annullamento fusionale con il suo oggetto. “Eppure non si può, in verità, dire – nota Matte Blanco - che l’amore non conosce il suo oggetto. La fusione tra soggetto ed oggetto è una fusione che è anche conoscenza: è la convergenza di fusione e conoscenza in una stessa cosa” (10 tris). Dunque, in quanto conoscenza, l’emozione (e quindi l’inconscio) implica, o può implicare – ancora -, un ordine, una qualche forma non percepibile di strutturazione. Tornando al confronto con la teoria di Bohm riassumiamo ora il senso, mi pare molto significativo, risultante dalla breve analisi della concezione psicanalitica di Matte Blanco: troviamo nella descrizione formale dell'attività simbolica dell'inconscio secondo lo psicanalista cileno gli stessi quattro elementi fondamentali dell'ordine non-locale di Bohm: 1) abolizione dello spazio; 2) abolizione del tempo; 3) incapsulamento del tutto nella parte; 3) conservazione di una qualche forma di ordine nonostante l’apparente caoticità della strana dimensione alternativa e inaccessibile alla coscienza. 7) L'UNIVERSO COMPARTECIPATORIO DELLA MAGIA Come secondo elemento di confronto con la concezione di Bohm avevamo previsto un tema antropologico che, per ovvii motivi, non può vertere che su quello generale della magia, sulla struttura del suo modo di simbolizzare (con questo ci avviciniamo al discorso sulla parapsicologia). Data questa connessione pressoché diretta con l'inconscio (il linguaggio dell'inconscio - meglio ancora dell'es - é sostanzialmente un linguaggio magico, fatto di onnipotenza, di rifiuto di ogni limite) e la conseguente facilità di dedurne la realtà dalla modalità operativa dell'inconscio stesso, non ci dilungheremo sull'argomento. Lo esamineremo, sempre in rapporto alle caratteristiche che ci interessano, nelle citazioni di alcuni autori più importanti. Un riferimento particolarmente pertinente, sia per il suo valore storico, sia perché la teoria di fondo verte proprio sul simbolismo unificatore della 8 magia, é l'opera di James Frazer. Secondo il celebre antropologo tale simbolismo relativo alla visione animistica della realtà può operare in due modi: c'è una magia di "contagio", secondo cui qualcosa che é stato in contatto con una certa persona o cosa mantiene con essa un occulto, stretto legame in base al quale può essere un veicolo per influire sulla persona o cosa stessa. C'è poi una magia "omeopatica" per cui "il simile agisce sul simile", qualcosa che ricalchi in qualche modo l'immagine di una persona o cosa può analogamente essere un veicolo per influenzare tali entità. Un esempio banale é che lo stesso ruolo di elemento di contatto può essere costituito da una fotografia o da un ritratto della persona o oggetto su cui occorre agire magicamente. In realtà entrambe le modalità di influenzamento presuppongono un concetto essenziale di collegamento, di unione per cui appare abbastanza secondario se sia un collegamento di oggetti o un collegamento di immagini. Nella magia omeopatica non é solo la somiglianza reale che stabilisce l'unione con l'oggetto su cui si vuol agire magicamente, ma anche l'idea stessa, la volontà, espressa nel rituale, del riferimento all'oggetto o alla persona. E tale riferimento può tradursi in un'azione reale se esiste già in natura una rete potenziale di contatti, di influenzamenti reciprochi tra tutti gli esseri e le cose. Ancora per Frazer "entrambi i rami della magia, quella omeopatica e quella contagiosa possono essere convenientemente compresi sotto il nome generale di Magia per Simpatia, poiché assumono entrambi che le cose agiscono a distanza l'una sull'altra per mezzo di una simpatia segreta". E tuttavia, data l'universalità del riferimento, ha una sua importanza considerare anche questa teoresi primitiva del gioco al rispecchiamento reciproco tra le cose. All'interno della ritualità magica, nota M. Mauss "tutto si somiglia e tutto si tocca" (11). Ora, proprio questo "somigliarsi" ci interessa soprattutto se non ne facciamo un mero processo di rispecchiamento ottico. L'immagine infatti, da quanto possiamo dedurre dalle descrizioni dei rituali e delle credenze, sta all'oggetto non tanto nel rapporto del segno alla cosa rappresentata, quanto in quello dell'essere parte integrante della cosa stessa, del possederne, per così dire, l'essenza. Se l'immagine costruita magicamente (si pensi alla tipica, macabra scenetta del bambolotto traforato con gli spilli) rappresenta - sempre sul piano magico - l'oggetto, non é tanto per il puro ricalco figurale quanto per il fatto che, in qualche modo, é consustanziata all'oggetto stesso, lo include in sé come elemento proprio per una occulta affinità di natura. Di nuovo dunque siamo di fronte al concetto di base dell'olografia dell'incapsulamento del tutto nella parte, e si tratta, ci teniamo a sottolinearlo, di un incapsulamento che avviene proprio con la stessa procedura in cui David Bohm lo vede applicato al suo olomovimento, cioè in stretto parallelismo con il processo di annullamento dello spazio e del tempo. Si tratta di un annullamento che avviene in uno strano modo, facendo sì che ogni singola parte dello spazio divenga specchio della totalità dello spazio, ne elimini ogni processo di distanziamento; facendo altresì, in modo che ogni atomo del tempo, ogni suo istante nucleare, divenga una riflessione della totalità del tempo, ne elimini ogni processo di successione cronologica. Nota Ernst Cassirer, anch'egli filosofo neokantiano, particolarmente interessato ai processi simbolici: "Così la magia si distingue soprattutto per il fatto che il suo principio generale, quello della "pars pro toto" viene esteso dallo spazio al tempo. Il rapporto causale magico trascura ogni differenza e ogni demarcazione temporale, così come per il pensiero magico ogni parte dello spazio non solo rappresenta il tutto ma é il tutto. Il magico "ora" non é affatto un mero ora, né un semplice differenziato momento del presente, ma (...) contiene in sé il passato ed é pregno di futuro". Questa caratteristica del "possesso", dell'inclusione reciproca tra l'immagine e l'oggetto, questa consustanzialità incrociata tra la parte e il tutto propria della magia ci lascia intravedere anche la quarta caratteristica assimilabile all'ordine implicato di Bohm: la conservazione di una qualche forma di ordine che rispecchi in qualche modo il nostro ordine di realtà, la complessità dei suoi oggetti e dei suoi eventi. Se infatti la parte ha in sé il tutto (e viceversa) é chiaro che ogni ente particolare e determinato dell'ordine esplicato (per usare la stessa terminologia di Bohm) viene a conservarsi del tutto nel processo di "inviluppo" (unfoldment) nell'ordine implicato, non 9 locale. Per sintetizzare di nuovo: anche analizzando il complesso teorico essenziale della magia ci troviamo di fronte i quattro elementi fondamentali dell'ordine non-locale di Bohm: annullamento dello spazio, annullamento del tempo, inclusione del tutto nella parte, conservazione di tutta la frammentazione e di tutta l'articolazione del mondo sensibile nel particolare ordine proprio della dimensione occulta che pare fargli da sfondo. 8) TEORIA E CASISTICA DELLA PSI C'è ora da chiedersi: analizzando il complesso della casistica paranormale, nonché le giustificazioni teoriche che si é tentato di darle, si possono ritrovare tali quattro elementi? Riguardo ai primi due la risposta é ovvia: li abbiamo considerati, allineandoci ad una valutazione - credo - ampiamente condivisa, presupposti operativi essenziali della facoltà. Possiamo anche accettare il dubbio se la psi esista realmente, ma é impossibile, ci pare, ignorare che quando parliamo di paranormalità intendiamo essenzialmente quel fenomeno: un particolare processo di annullamento della spazio, del tempo e - di conseguenza - della causalità fisica. Possiamo magari porre la tesi aggiuntiva che tale particolarità consista essenzialmente nel fatto che all'origine dei fenomeni ci sia la presenza umana. Alquanto più difficile é individuare nei fenomeni gli altri due principi. Se prendiamo delle serie sperimentali come quelle di Rhine o di Honorton, o anche un episodio spontaneo come la manifestazione di un poltergeist, non si capisce come ci si possa individuare qualcosa che faccia pensare al principio esoterico del microcosmo che riflette il macrocosmo o alla manifestazione di un particolare ordine nascosto strutturato in modo olografico. Per valutare adeguatamente il possibile rapporto occorre partire da una teoria specifica che non può essere che quella junghiana della sincronicità, specificatamente basata su dei processi a-causali, operanti fuori dallo spazio e dal tempo. Naturalmente sarebbe importante vedere come possa essere interpretabile, in base a tale modello, una certa episodica psi di ragionevole ampiezza e, ancora, valutare, per giustificare la nostra preferenza, quale valore e quale possibile preminenza si possa attribuire alla sincronicità nel generale panorama teorico della psi. Ma sono problemi su cui torneremo sucessivamente. Possiamo qui ricordare uno degli esempi celebri di sincronicità che Jung stesso riferisce relativamente a una sua esperienza di psicanalista. Una sua paziente sogna uno scarabeo d'oro e, proprio mentre descrive, in seduta, l'esperienza, una cetonia aurata, l'unico scarabeide esistente alle latitudini svizzere in cui i due vivono, viene a sbattere ai vetri dello studio. Il fenomeno avviene, in base alla tesi della sincronicità perché lo scarabeo non é solo e soltanto il piccolo insetto dorato che tutti conosciamo, ma perché é anche il simbolo di un'antica divinità egizia per millenni adorata e evocata la quale, a sua volta, é la trasposizione simbolica di un fattore psichico ancor più profondo, un elemento dell'inconscio collettivo appartenente a tutta la specie umana. Cerchiamo ora di comprendere come nell'archetipo, l'elemento simbolico che sta alla base degli episodi sincronici, possano condensarsi le stesse caratteristiche dell'ordine non-locale di Bohm, soprattutto la caratteristica che stiamo trattando: l'inclusione olografico-simile del macrocosmo nel microcosmo, ovvero l'isomorfismo tra la parte e il tutto. A tale scopo dobbiamo innanzitutto osservare che la sincronicità presuppone che tale caratteristica sia essenzialmente qualcosa di insito nella natura umana, soprattutto ai suoi livelli più profondi. Citando vari autori dell’antichità, Jung sottolinea un concetto essenziale - molto ricorrente in un certo tipo di filosofia - secondo cui, ad esempio, per Filone Alessandrino "il grande principio (...), o inizio dei cieli, cioè il firmamento é infuso nell'uomo in quanto microcosmo, poiché questo contiene le immagini delle nature stellari, e quindi, come piccolissima parte e fine dell'opera creatrice, contiene una volta ancora il tutto" (12). Si tratta di un concetto che Jung ritiene ancora di individuare nel misticismo cinese del Tao, nell'empatia cosmica di Plotino, nella visione unitaria del creato di Pico della Mirandola, nella quintessenza del Paracelso, soprattutto nella monadologia di Leibniz, tutte concezioni della realtà che Jung 10 considera veri e propri precursori della sincronicità. Un'osservazione molto importante riguarda il Tao, del quale considera particolarmente rivelativa una traduzione che del termine dà un celebre sinologo, Richard Wilhelm. Questi lo interpreta, secondo Jung genialmente - superando felicemente certe difficoltà semantiche in cui sono più o meno incappati tutti i traduttori - come "senso". Ciò che pervade il mondo non é Dio o lo spirito ma semplicemente il senso, la tendenza delle cose, degli eventi a significare. Ossia - ancora - il Tao é la matrice stessa di quel meccanismo fondamentale del mondo comunicativo - che non é solo dell'uomo ma anche della natura - il quale, in qualche modo, implica significazione, pertinenza simbolica ed é un meccanismo che di per sé comporta un collegamento con la totalità. Si capisce quindi come questa radice ultima del senso possa, nella sua intrinseca vacuità, contenere l'ordine manifesto della realtà: "La rete del cielo é così grande, così grande, A maglie larghe, eppure non perde niente" (mio il corsivo)(13) Si tratta proprio della considerazione che ci consente la conclusione cui eravamo al momento interessati: anche l'archetipo é un'entità speculare che riflette l'universo. Nota la Progroff: "Nella struttura della concezione microcosmica/macrocosmica junghiana della psiche umana (...) la psiche dell'individuo contiene i riflessi dell'universo più vasto. Questi riflessi sono immagini che rappresentano simbolicamente alcuni riflessi del macrocosmo. Le immagini esistenti all'interno della psiche individuale sono pertanto riflessi dell'universo in miniatura" (14). Tali immagini sono manifestazioni visive di archetipi, o almeno modi della mente per rappresentare a sé stessa forze e pulsioni primordiali le quali di per sé sono qualcosa di più che fattori puramente psichici. Sono propaggini della parte più profonda dell'inconscio che si prolungano per una via del tutto introvertita verso ciò che sta oltre la pura dimensione psichica, la realtà materiale. Per questo possono assumere la stessa facoltà speculare di riflessione della totalità della psiche e della realtà in generale. Dunque l'archetipo, come elemento attivo dello stato inconscio in cui si crea, racchiude ancora le quattro caratteristiche essenziali dell'ordine implicato di Bohm. Ma ora siamo al punto critico: com'è che tali caratteristiche integrate in una unità operativa della psiche danno, o possono dare, luogo a fenomeni paranormali? Jung dà una risposta precisa e di notevole interesse anche se, nel contesto della scienza tradizionale, può avere un valore limitato. Citando il “De occulta philosophia” di Agrippa, egli nota che le “cose” in cui questo spirito di collegamento alla totalità è particolarmente possente (cioè ancora gli archetipi) hanno una naturale tendenza “a generare qualcosa di simile a sé (stesse)” (15). Questa essenziale capacità creativa dà luogo a processi acausali perché essenzialmente è un’operazione operante su pure relazioni di significato. Tali processi "”...se (...) esistono, dobbiamo definirli "atti creativi"” nel senso che sono oggetto “di una creatio continua, di un coordinamento che in parte si ripete da sempre, in parte sporadicamente, che non può venire dedotto da nessun antecedente constatabile" (16) (non si può non confrontare il concetto ancora con il principio di fondo della magia del "simile che produce il simile"). Ma attenzione: la capacità creatrice degli archetipi non adombra minimamente la creazione di qualcosa di materiale o di puramente immaginifico. Abbiamo detto, è una forza creativa vertente su soli significati, la quale abbraccia cioè una molteplicità di manifestazioni che possono essere del tutto eterogenee tra loro; l'unico fattore di collegamento é, appunto quello del comporre, o ricomporre, un senso. L'archetipo, per questa sua essenziale natura di simbolo, tende, per così dire, ad ampliare sé stesso e a rifrangersi come puro significato - come riflesso di quella particolare configurazione di senso - in una molteplicità di eventi che incomprensibilmente finiscono per apparire connessi tra loro. Sono eventi che possono essere tanto psichici, come sogni o visioni, che fisici, come accadimenti del mondo esterno, o ancora combinazioni dei due: a sogni e visioni possono succedersi avvenimenti reali. In questa azione l’archetipo sembra attivare qualcosa di causale, intervenire dinamicamente a creare i suoi accordi, eppure il suo intervento non determina 11 alcuna implicazione di moto così come non implica alcuna forma di causalità fisica. Questo é forse ciò che dell'archetipo é più difficile da capire: come possa porre in essere una così complessa e improbabile azione di coordinamento e che il tutto avvenga senza alcun tipo di spesa energetica. Per la verità, si può giustificare il fenomeno con una formula molto semplice, almeno sul piano del puro enunciato: basta non dimenticare la sua esistenza - e di conseguenza la sua azione - totalmente fuori dal tempo. Se riusciamo a immaginare una simile realtà ci rendiamo subito conto che in tal modo é messa fuori gioco ogni forma di causalità fisica. Indubbiamente si tratta di una eventualità difficilissima da rappresentarsi mentalmente perché, ripeto, noi strutturiamo automaticamente ogni pensiero e immagine in termini di spazio, di tempo, di contiguità causale. Può servire, credo, a capire il problema tornare all'esempio celebre dello scarabeo d'oro. A qualcuno potrebbe venir fatto di pensare che se la paziente di Jung non avesse riferito il sogno - se, per fare un'ipotesi, avesse cambiato idea all'ultimo momento preferendo parlare di altro -, allora nessuna cetonia aurata sarebbe venuta a sbattere ai vetri dello studio. Attribuiremmo così alle parole o ai pensieri della paziente una qualche forma di causalità. Ma sarebbe un criterio sbagliato. Un modo corretto per inquadrare il fenomeno é che le parole della paziente, il sogno, lo scarabeo, la paziente e Jung stessi, e ancora il contesto della seduta erano tutte emanazioni di una realtà simbolica più profonda operante atemporalmente, in quella contingenza, attraverso l'archetipo di una divinità. Possiamo immaginare tale realtà come inconscio collettivo, nel senso junghiano, oppure come ordine implicato, nel senso di Bohm, tra le due interpretazioni non ci sono differenze di sostanza. A voler, comunque, cercare nella filosofia o nella scienza l'idea di un processo simile - di qualcosa che agisce dinamicamente nella realtà pur non implicando alcuna idea di movimento o di causa viene fatto di pensare ai "motori celesti" di Aristotele facenti capo al suo ultimo "motore immobile", l'origine di ogni movimento che tuttavia, paradossalmente, é in sé perfettamente privo di ogni forma di moto. Oppure si può pensare - ancora - all'armonia prestabilita di Leibniz, in cui la generazione di tutti gli accordi transcausali é dovuta a una programmazione a priori, anch'essa antecedente il tempo e la causalità. Esiste tuttavia anche un argomento più scientifico cui viene fatto di confrontare l'immagine junghiana dell'archetipo che riproduce continuamente qualcosa di simile (lo ricordiamo, sul piano del puro significato) a sé. E' il concetto di "frattale" riferentesi ad uno strano ed essenziale oggetto della moderna teoria del caos, il quale descrive, almeno potenzialmente, un'infinita quantità di forme, sia puramente geometriche, sia legate a fenomeni naturali, come le venature di una foglia o la frastagliatura di una linea di costa. Senza entrare in dettagli (per chi lo volesse fare rimando al mio precedente articolo sui "Quaderni" – n° 1, 2002 - ed alla bibliografia allegatavi) dirò che si tratta di una singolare struttura detta "autosomigliante" in cui la forma, l'immagine, un certo schema morfologico dell'intero oggetto risulta incapsulato in ogni suo elemento componente (significativamente, mi pare, ci troviamo ancora di fronte al tema della parte che rispecchia il tutto) a diversi livelli di grandezza scalare. L'elemento che - molto intuitivamente - ce lo fa associare alla capacità autogenerativa dell'archetipo é il fatto che il meccanismo dell'infinita proliferazione della propria stessa forma (per l'archetipo é la proliferazione del suo stesso significato) é già tutto contenuto nel progetto intrinseco - chiamiamolo così - del frattale e avviene automaticamente senza implicare alcun moto. Per la verità, col chiamare in causa i frattali in rapporto specifico al nostro argomento dell’a-causaltà, è necessaria una precisazione. Ci riferiamo quì, si badi bene, ai frattali di tipo puramente geometrico come la curva di Koch (*), in cui l’accrescimento della struttura di base è un processo strettamente formale. E' la logica stessa con cui é programmato il frattale che provoca l'istantanea, infinita autoreplicazione della struttura di base. Il principio è in fondo comprensibile anche con il ricorso a concetti geometrici abbastanza elementari. Nel momento in cui costruisco mentalmente il triangolo rettangolo, automaticamente determino le regole del teorema di Pitagora. Non è un processo che implica durata temporale, quelle regole non derivano dalla figura in un istante successivo per una qualche forma di causalità fisica. Le 12 sue regole sono intrinsecamente contenute in essa. Se mi occorre del tempo per arrivare alla loro formulazione è per la limitatezza dei miei mezzi deduttivi che mi richiede un certo tempo di elaborazione. Così lo schema grafico del frattale (sempre di tipo strettamente geometrico) non richiede durata temporale, né alcuna forma di causalità fisica per il carattere strettamente formale della costruzione. Abbiamo accennato che alla base della sincronicità, come alla base della psi secondo Bohm – differentemente dal processo autogenerativo dei frattali -, anziché essere in gioco un’immagine, una struttura visiva, è in gioco un significato, la natura di un simbolo. Ritengo che questo sia il punto più importante che evidenzia tutta la differenza tra i due processi. Nella proliferazione dei frattali il meccanismo generativo di figure lo vediamo, è lì davanti ai nostri occhi, proprio perché basato su immagini. Simboli e significati sono qualcosa di ben più sfuggente. Come i teoremi geometrici sono qualcosa di molto più astratto e impalpabile; non sono nello spazio e nel tempo, hanno una certa indipendenza dalla nostra realtà di individui. Alcuni di essi, operanti a livello della coscienza, sono verosimilmente sottoposti al nostro controllo, ce n’è concessa una certa capacità di elaborazione. Ma altri, più profondi, probabilmente si rapportano a noi in una relazione inversa. Sono alle nostre spalle, ci agiscono e ci precedono nell’azione. Se innescano un meccanismo di autoreplicazione in qualche modo simile a quello dei frattali, noi siamo dentro quel meccanismo, siamo in tutto e per tutto “presi” nel loro spazio operativo. La psi è verosimilmente l’effetto più diretto del carattere pervasivo e sovraindividuale dei simboli (o, almeno, di certi simboli) e molto probabilmente è anche il processo che è alla base di tutte le difficoltà della sua indagine. 9) LA PSI SECONDO BOHM Le considerazioni appena svolte sulla funzione dei simboli ci consentono un ultimo sguardo sulle opinioni parapsicologiche di Bohm. Debbo però, al proposito, premettere un’osservazione riguardo al mio precedente articolo, "La mente, i quanti, la psi". In riferimento ad esso il Dr. Bruno Severi mi faceva notare che il discorso conclusivo sulla possibile spiegazione della psi mediante i processi non-locali della meccanica quantistica era tutto limitato alla telepatia. Parlavo infatti allora di elementi psichici appartenenti a individui diversi che riscoprivano - o potevano riscoprire - un'antica identità, ricompattando e riattualizzando così una comunione psichica profonda in grado di mettere in gioco la facoltà ESP. Ma la casistica paranormale presenta testimonianze di fenomeni ben più complessi. Quando un soggetto presagisce un evento futuro o muove (anche inconsciamente) un oggetto, dov'è l'elemento psichico, il contenuto simbolico - dell'oggetto o dell'evento - che entra in comunione con l'individuo? Dobbiamo supporre che un sasso, o un tavolo, o la caduta di una frana abbiano una loro "psichicità", che costituiscano di per sé un "significato", anche senza che ci sia qualcuno a percepirli? Debbo dire che, a parte la giustezza dell'osservazione di Severi, io stesso mentre scrivevo l'articolo avvertivo il disagio della limitatezza della spiegazione. Avevo evidentemente un motivo per non affrontare in quell'articolo il problema del come interpretare tale casistica più ampia ed era l'enorme complessità dell'argomento che avrebbe richiesto un notevole spazio supplementare da dedicare alla natura e alla funzione dei simboli. C'era da fare un discorso sull’argomento abbastanza complesso che avrebbe richiesto un lungo esame di teorie e di autori integrate in un lavoro specificatamente dedicato al problema. Posso adesso dire che prevedo di affrontare tale argomento nel prossimo articolo, con cui conto anche di concludere questa serie più o meno direttamente collegata alla meccanica quantistica, serie che mi ha un po' preso la mano anche oltre le intenzioni iniziali. Nel contesto della presente analisi possiamo tuttavia osservare che, sia Jung che Bohm ci offrono, pur da punti di vista così lontani, una via per risolvere, almeno sul piano della teoria, tale difficoltà ed un ultimo confronto tra i due può aiutarci a intravedere un inquadramento coerente del problema. Si tratta purtroppo di una soluzione di cui possiamo qui per adesso solo accennare per il solito motivo della complessità dell'argomento. 13 Per un'introduzione a tale confronto occorre partire dal concetto bohmiano dell'onnipresenza di un fattore cosciente (che paradossalmente è, o può essere, una "coscienza inconscia", non accessibile alle coscienze individuali) nella realtà per cui ogni ente, ogni individuo, ogni oggetto anche solo materiale ha, o avrebbe, un suo barlume di coscienza: "It is implied that, in some sense, a rudimentally consciousness is present even at the level of particle physics. It would be reasonable to suppose an indefinitely greater kind of consciousness that is universal and that pervades the entire process" (17). Conseguentemente si giunge al carattere onnipresente della funzione attiva del "significato" perché la coscienza é sostanzialmente strutturazione e elaborazione di significati (J. of Am. 131): "The content of our own consciousness is then some part of this process of the overall activity of meaning" (18) Ora, se vogliamo fare questo confronto con la base concettuale della sincronicità, non possiamo non pensare al carattere omnipervasivo che in essa ha la natura dei simboli e dei significati. Si pensi al concetto cinese della totalità, al Tao, che Jung, ricordiamo, considerava un precursore della sincronicità, e la cui traduzione sempre Jung apprezzava particolarmente nella formula escogitata dal sinologo Richard Wilhelm con il termine di "senso", di tendenza, cioè, a "significare". Ricordiamo che nella sincronicità gli oggetti e gli eventi, per essere partecipi di un piano di realtà psicoide, implicano sempre una psichicità, un significato e tramite tale natura simbolica - che è relativamente indipendente dalla presenza dell'uomo - hanno un potere evocativo di ricollegarsi a unità di significato via via più profonde e alfine alla radice stessa di ogni emanazione simbolica. Tale radice ultima è, come abbiamo visto, l'inconscio collettivo. Qui, al referente ultimo in grado di coordinare atemporali eventi sia fisici che psichici, si originano in sostanza i fenomeni psi che comportano sempre l'evocazione di un archetipo. Nel poltergeist, ad esempio, per Jung esiste sempre un processo evocativo dell'archetipo dell'Ombra, in sostanza della parte più oscura e pulsionale dell'uomo. Per quanto riguarda le ricerche sperimentali, Jung è, per la verità un po’ più generico. Parla di un particolare stato psichico di allentamento delle funzioni di adeguamento alla realtà e di apertura all’accadimento dell’impossibile, stato psichico che, in ultima analisi è ancora simbolicamente riconducibile all’azione di un archetipo, sempre lo Scarabeo d’oro come simbolo della rinascita. Non approfondiamo l'argomento che richiederebbe qui considerazioni troppo complesse. Vediamo ora l'attivazione della psi secondo Bohm. Essa consta principalmente di un'attivazione di significati che entrano in una sorta di risonanza o riarmonizzazione reciproca che Bohm chiama "psicocinesi" (usa proprio questo termine, forse impropriamente) e questo sia che tali significati appartengano a due individui diversi (telepatia) o a un individuo e a un oggetto o un evento (chiaroveggenza, precognizione, psicocinesi): "Quando l'armonia o la risonanza di significati é fondata, l'azione funziona in entrambi i sensi, cosicché i "significati" del sistema distante possono agire sullo spettatore per produrre una sorta di psicocinesi inversa, che gli trasmetterebbe effettivamente un'immagine di quel sistema" (19). E' ora importante confrontare tale bidirezionalità funzionale del significato su cui si basa il sistema di Bohm con la flessibilità evocativa dei simboli della sincronicità. Abbiamo detto che per Bohm oggetti ed eventi possiedono un significato intrinseco che in ultima analisi é legato al substrato quantico della materia di cui sono composti o che entra in azione nell'evento. E' un substrato che comporta effetti non-locali i quali implicano un ordine, abbiamo visto, più profondo che è alla radice sia della mente che della materia, ovviamente fatto anch'esso di simboli e significati. Per tale natura non-locale, oggetti ed eventi della realtà sono sub-totalità, in possesso, sì, di un certo grado di autonomia, ma che si ricollegano sempre a quella più vasta totalità che é l'ordine implicato. Dunque, l'elemento motore della psi risiede in questo collegamento con l'interezza cosmica esistente alla radice di tutta la molteplicità fenomenica delle realtà fisica e psichica. E' difficile, per le affinità anzidette, non cedere alla tentazione di confrontare in tale processo - pur consapevoli di tutte le differenze di riferimenti e di piani disciplinari tra i due sistemi - il ruolo dell'ordine implicato di Bohm con quello dell'inconscio collettivo di Jung, così com'é 14 difficile non confrontare il processo reciprocamente evocativo tra simboli della sincronicità con quello di risonanza e di armonizzazione tra significati della psi secondo Bohm. Tenendo conto dell’osservazione, appare anche significativo che Jung cercasse un dialogo con un fisico teorico della quantistica come Wolfgang Pauli. Purtroppo, quest’ultimo non aveva da offrire allora una visione unitaria di tipo olografico dell'universo quale solo una trentina di anni più tardi poteva offrire Bohm. Probabilmente, se questo per assurdo fosse accaduto, Jung avrebbe trovato molti elementi di pertinenza in più con la sua teoria. 10) VALUTAZIONI CRITICHE Per correttezza, prima di concludere, dobbiamo considerare quale livello di attendibilità presenta tuttora il sistema di Bohm nel contesto della fisica teorica attuale. Non dimentichiamo che la sua interpretazione della meccanica quantistica é un'interpretazione alternativa e che quella ufficiale, riconosciuta dalla scienza, resta sempre quella di Bohr e Heisenberg. Diciamo che a tutt'oggi, pur nel generale riconoscimento del valore teorico della sua tesi, pesa su di essa un dubbio. Per essere considerata valida a tutti gli effetti dovrebbe possedere una particolare proprietà detta "invariabilità relativistica". La sua applicabilità dovrebbe cioè risultare possibile anche per sistemi fisici a elevata energia, oppure soggetti a campi gravitazionali molto intensi, o ancora dotati di velocità prossime a quella della luce. E' una dimostrazione che (per quanto mi risulta) non é stata ancora ottenuta e resta il problema che, qualora ciò non fosse possibile, la teoria dovrebbe essere abbandonata. Si può tuttavia contrapporre a tale prospettiva un facile obbiezione. C'é da dire che almeno la parte di nostro interesse, che é la profonda unità del cosmo e l'ordine implicato, si basa essenzialmente sulla non-località e questa é una tesi che é accettata in pieno anche dai sostenitori dell'interpretazione ortodossa di Bohr e di Heisenberg. Abbiamo dunque motivo di credere che gran parte del suo sistema (se non tutto) relativo al concetto dell'olomovimento resterebbe perfettamente in piedi indipendentemente da una possibile smentita della concezione deterministica della meccanica quantistica su cui si basa l'interpretazione di Bohm. Quello che ritengo possibile comunque dedurre é che appare significativa la convergenza tra criteri di indagine così lontani disciplinarmente. Ritengo in particolare probabile che Bohm e Jung, pur in base a riferimenti e modelli diversi, abbiamo individuato qualcosa di molto importante relativamente alla natura della psi. Verosimilmente tale convergenza è in grado di determinare una circoscrizione del problema teorico. Personalmente ritengo – spero di non annoiare l’uditorio se lo ripeto un ultima volta - che ciò che oggi resta da esaminare, allo stadio attuale delle conoscenze parapsicologiche, é quella vasta e complessa realtà che coinvolge tutto ciò che chiamiamo senso, significato, significazione, pertinenza simbolica (ovviamente in modo limitato all’attinenza con il nostro argomento). Probabilmente é nella corretta comprensione di tale realtà che si annida l'individuazione di un meccanismo fondamentale per l'attivazione della psi. N O T E B I B L I O G R A F I C H E 1) Roger PENROSE: "Ombre sulla mente" Rizzoli, Milano 1992, pag. 362 2) David BOHM: "Universo, mente, materia" pag. 259 3) Bertrand RUSSEL: "L'analisi della mente" F.lli Melita 1981 pag.16 4) Cit. in Ernst CASSIRER: "Filosofia delle forme simboliche" La Nuova Italia Vol. III 1984 pag. 130 5) D. Bohm, op. cit. pag. 275-6 6) Ignacio MATTE BLANCO: "Inconscio come insiemi infiniti" Einaudi, Torino 1981, pag. 43 15 7) Ibidem, pag. 43 8) Ibidem, pag. 44 9) Ibidem, pag. 45 10) Ibidem, pag. 39 10 bis) Ibidem, pag. 317 10 tris) Ibidem, pag. 318 11) Marcel MAUSS: “Teoria generale della magia” Newton Compton 1975, pag. 74 12) Carl Gustav JUNG: “La sincronicità” Boringhieri 1983, pag. 85 13) Ibidem, pag. 83 14) Ira PROGROFF: “Le dimensioni non causali dell’esperienza umana” Astrolabio 1975, pag. 53 15) C. G. JUNG, op. cit. pag. 89 16) Ibidem pag. 115 17) David BOHM: “A new theory of the relationship of mind and matter” dal Journ. Of the Am. Soc. for Psych. Res.”, n° 2, April 1986, pag. 131 18) Ibidem, pag.131 19) Michael TALBOT: “Tutto è uno” Urra ed. 1997, pag. 178 S U M M A R Y BOHM’S NON-LOCAL ORDER, UNCOSCIOUS, AND PSI-FACULTY The subject of the present paper is the comparison of four themes: the Bohm’s theory of the “implicate order”, the psychological concept of uncoscious, the language of magic, the psi-faculty. The aim of the comparison is to identify, if possible, a common operating logic by which to interpret the functioning of the last type of phenomena: the psi-faculty. The most useful aspect of the comparison, we suppose, is the same hetereogeneity of the disciplinary planes on which is founded. Such hetereogeneity allows to hope that, if common elements will be found, we may suppose they are truly deep elements in the knowledge of the reality, able to solve some important problems related to the psi-functioning. With this aim, references are taken from quantum mechanics, psychoanalysis, anthropology of primitive symbolism, and theory of psi. At first the principal features of Bohm’s concept of the implicate (quantistic) order are presented. It is then analysed the logical conception of unconscious elaborated by Matte Blanco, and furthermore the antropological theories about the magic conceptions of space and time. Finally, the theoretical problem of parapsychology is considered with particular reference to Jung’s sincronicity. The most interesting result of the comparison is that the analysis of the four mentioned themes brings us to the identification of a strange alternative reality (both physical and psychical) governed by an equally strange logic. The logic of such reality is based on four principal concepts 1) annulment of space, 2) annulment of time, 3) inclusion of the whole in the part 4) presence of the reality order also in the strange implicated order of the Bohm’s theory. Considerations are made about the relationship between this alternative reality and the functioning of the psi-faculty. 16