LA STORIA: TRA MARKETING, ECONOMIA, SOCIETA'
Il punto di partenza risale al 1836, quando l’inventore statunitense Charles Goodyear
ottenne il brevetto per la vulcanizzazione della gomma; molto presto negli U.S.A., in
Inghilterra, Cecoslovacchia, Germania e, più recentemente, in Giappone sorsero le prime
fabbriche di “sneak”, (scarpe di tela con suole di gomma), indossate dalla gente comune e, a
volte, da atleti nelle grandi competizioni sportive.
Oggi è difficile immaginare che fino a una trentina di anni fa i marchi delle industrie sportive
non fossero presenti ovunque; d’altra parte allora sarebbe stato impensabile che un
giocatore per pubblicizzare un modello di scarpe potesse guadagnare più della somma degli
stipendi annuali degli operai che le producono; le scarpe “da tennis”, in Italia erano anche
indossate dai poveri nella vita di tutti i giorni.
La diffusione delle sneaker è parallela all’aumento esponenziale degli investimenti in
pubblicità. All’inizio si pubblicizzavano anche i centri di riparazione specializzati in scarpe
sportive. Oggi è scontato che queste non si riparano: si suggerisce semplicemente di
buttarle. Vengono pianificati con cura l’obsolescenza e il lancio dei nuovi modelli .
Negli anni cinquanta gli americani acquistavano meno di quaranta milioni di sneaker
all’anno. Nel 1997 ne hanno acquistate trecentocinquanta milioni, circa un paio e mezzo per
ogni individuo, corrispondenti ad un quinto del totale mondiale; proprio a partire dagli anni
cinquanta le sneaker diventano le scarpe preferite dai giovani americani anche
nell’abbigliamento quotidiano: con i blue jeans ed il rock and roll, costituiscono un’icona della
moda giovanile.
Negli anni sessanta le vendite aumentano notevolmente e con esse la produttività e
l’innovazione tecnologica ma è soprattutto negli anni settanta che le marche rinnovano
modelli e materiali insistendo nella pubblicità su due aspetti: rendimento atletico e moda. Le
Olimpiadi di Città del Messico costituiscono l’occasione per il lancio spettacolare delle
Adidas; nello stesso periodo le indossano attori famosi nel tempo libero e nei film.
E’ però negli anni ottanta che le sneaker da capriccio della moda divengono le calzature di
buona parte degli americani e non solo, nei contesti più diversi, con un messaggio molto
accattivante, creato attraverso affascinanti e costosissime campagne pubblicitarie.
Nel 1984 la Nike recluta Michel Jordan con un contratto da 5 milioni di dollari.
Le vendite sono tali che la sola linea Air Jordan potrebbe essere la quinta azienda
produttrice d’America.
Le aziende aumentano i loro sforzi promozionali anche nei college, sponsorizzando campi
estivi di pallacanestro, offrendo occasioni per giocare, attrezzature, equipaggiamento.
Indipendentemente dal contesto sportivo, le sneaker si diffondono fra le culture e
sottoculture della moda: il trio rap Run D.M.C. compone la canzone “my adidas”, presentata
in un famoso concerto che dà inizio alla moda di indossarle senza lacci; sempre più spesso,
le scarpe da pallacanestro fasciano i piedi di artisti famosi e anche di ragazzini dei quartieri
poveri, per i quali l’abbigliamento sportivo diventa essenziale nella costruzione della propria
identità.
Negli anni novanta le marche sportive diventano giganti della moda e tali rimangono tuttora.
Alle immagini degli atleti famosi si uniscono le continue innovazioni tecnologiche, prive di
una reale utilità per la maggior parte degli acquirenti ma essenziali per aumentare il volume
di vendita, inserite in un percorso di marketing che prevede design, sponsorizzazioni,
brochure, video, centri di “intrattenimento”: milioni di dollari sono spesi per “educare il
consumatore” allo stile di vita appropriato.
Il design comprende colori, modelli, studio dei nomi e delle tendenze della moda giovanile di
strada. La spesa in marketing si aggira intorno al 10-12% delle vendite e serve per
potenziare il mondo che avvolge un paio di scarpe, convincere la gente che esiste una
correlazione innata fra marca e atteggiamenti individuali. Le sneaker coniugano moda e
funzionalità, atletica e spettacolo, tecnologia in continua evoluzione e obsolescenza
pianificata... In fin dei conti, quel che le aziende producono davvero sono i consumatori; per
produrre consumatori creano immagine, spettacolo, moda e stile di vita.
Nella storia degli spot troviamo accanto a testimonial come Michael Jordan, il regista Spike
Lee e varie superstar del rock.
Nel 2003 James Le Bron, un atleta di pallacanestro neanche diciottenne, ha firmato un
contratto di sette anni che lo obbliga a indossare maglie e scarpe col marchio Nike ben in
vista. In cambio riceve 90 milioni di dollari.
Alla fine del 2005 il valore dell’abbigliamento e delle calzature sportive è stato valutato in 74
miliardi di dollari americani. Il mercato delle calzature, pur avendo dimensioni più ridotte di
quello dell’abbigliamento, sta crescendo ad una velocità più che doppia rispetto a
quest’ultimo. Quasi il 60% del mercato delle calzature è dominato da due società, Nike e
adidas, le quali controllano anche il 18% del mercato dell’abbigliamento. Puma, a sua volta,
controlla circa il 7% del mercato delle calzature.
I marchi che dominano l’industria internazionale dell’abbigliamento sportivo continuano a
macinare profitti: dalle Olimpiadi di Atene del 2004 hanno notevolmente aumentato i loro
utili, in alcuni casi più del 200%.
Vedi tabella
Fonte: Play Fair Compaign 2008 Rapporto “abiti puliti” pubblicato in
http://www.abitipuliti.org