terza parte - Associazione Politrasfusi Italiani

EPATITI VIRALI CRONICHE E COINFEZIONE DA HIV
Le Dimensioni del Problema
Il virus dell'immunodeficienza umana (HIV) ed i virus HBV ed HCV condividono le stesse vie di
trasmissione: il sangue, i rapporti sessuali e la via materno-infantile [1]. Per questo motivo la
coinfezione da virus epatite è molto frequente nei soggetti con infezione da HIV. L’efficacia della
trasmissione dell’HCV per via sessuale e materno-infantile è inferiore a quella dell’HIV. Pertanto,
nei soggetti sieropositivi per HIV, mentre la prevalenza della coinfezione da HCV supera l’ 80% tra
gli emotrasfusi prima del 1991 ed i tossicodipendenti per via endovenosa, non supera il 10% negli
altri soggetti con comportamenti a rischio. La prevalenza della reattività per HBsAg è invece
sovrapponibile tra le varie popolazioni a rischio attestandosi intorno all'5-8% nei soggetti HIVpositivi . In un 5-6% dei casi si osserva anche una coinfezione da HDV. Si stima che in Italia vi
siano più di centomila soggetti con infezione da virus dell’immunodeficienza umana [1], di questi
almeno sessantamila presentano una co-infezione da HCV e diecimila una coinfezione da HBV.
Storia naturale ed interazioni delle confezioni da HIV e virusepatiti
Le epatiti croniche da HCV ed HBV evolvono in cirrosi epatica nel 20-30% dei soggetti entro 1040 anni dall’infezione [2]. L’infezione da HIV determina una progressiva insufficienza del sistema
immunitario, che trova il suo indice più manifesto nella progressiva deplezione del patrimonio dei
linfociti T CD4+ e
che
esita naturalmente nella Sindrome dell’Immunodeficienza Umana
Acquisita (Acquired Immune Deficiency Sindrome: AIDS) nella maggior parte dei soggetti entro 15
anni dall’infezione [1]. E’ chiaro quindi che in un soggetto coinfetto da virus epatite e HIV sia
prioritario il trattamento di quest’ultima infezione. Tuttavia in seguito al
rallentamento della
progressione dell’infezione da HIV indotto dall’impiego delle terapie di combinazione altamente
efficaci di farmaci antiretrovirali (HAART), la cirrosi scompensata sta diventando una rilevante
causa di mortalità e morbosità nei soggetti sieropositivi per HIV [3-4].
Sebbene il danno epatico nei pazienti HIV sia da considerarsi multi-fattoriale (abuso alcolico,
tossicità da farmaci, coinvolgimento epatico in corso di neoplasie e infezioni opportunistiche) , le
coinfezioni da virus epatotropi ne rappresentano la causa più frequente. Proprio per questa
multifattorialità del danno epatico nei pazienti HIV-positivi, la prevenzione ed il trattamento di
1
ulteriori cause potenziali di danno epatico gioca un ruolo fondamentale nella gestione del paziente
con coinfezione da HIV e da virus epatite.
L’esito della confezione dello stesso ospite da parte di due agenti virali in parte dipende dalle loro
interazioni.
Mentre l'impatto della coinfezione da HIV sulla storia naturale dell’epatite da HBV è ancora
controverso, è ormai dimostrato in maniera sufficientemente solida che l’infezione da HIV
determina un’accelerazione della progressione della fibrosi indotta dall’HCV e dall' HDV, anche
come variabile indipendente da altre cause di danno epatico, ed in correlazione diretta con il
decremento dei linfociti CD4 [5-6].
Sebbene siano state dimostrate interazioni “in vitro” tra HBV ed HIV che potrebbero giustificare un
ruolo sfavorevole della coinfezione da HBV sull'evoluzione della malattia da HIV, nessuno studio
ha confermato questa ipotesi in maniera convincente. In passato, diversi studi caso-controllo
retrospettivi, trasversali e prospettici non avevano potuto dimostrare un effetto peggiorativo sulla
evoluzione della malattia da HIV da parte dell’infezione da HCV [5]. In epoca di terapia
antiretrovirale i risultati di 2 studi indipendenti, hanno tuttavia dimostrato che l’infezione da HCV
può agire come un cofattore in grado di accelerare la progressione dell’infezione da HIV,
indipendentemente dalla morbosità e mortalità correlata all’epatopatia, presumibilmente
interferendo con l’efficacia della terapia antiretrovirale [7-8]. I risultati di questi studi non sono
stati confermati da un altro studio condotto negli USA [9] e meritano comunque ulteriori conferme
per il possibile "ruolo confondente" dell’associazione dell'infezione da HCV con variabili socioeconomiche e demografiche.
L’epatotossicità da farmaci antiretrovirali è un fenomeno significativamente più frequente nei
pazienti con epatite cronica virale: in 9 studi su 10 pubblicati [10-19] è stata osservata
un'associazione indipendente tra coinfezione da HCV ed insorgenza di citolisi severa (grado III-IV
nella scala WHO) in corso di terapia antiretrovirale di combinazione; lo stesso fenomeno è risultato
significativamente associato all'ipertransaminasemia pre-trattamento in 5 su 9 studi ed all'infezione
da HBV in 4 su 9. Questa più frequente epatotossicità è probabilmente, almeno in parte, correlabile
alla riaccensione del danno da epatite virale cronica indotta dal “recupero” dei linfociti CD4 e
dalla “restaurazione” di una deficiente risposta CD8, conseguenti alla soppressione della
replicazione HIV indotta dalla terapia antiretrovirale
L'implementazione di protocolli per la gestione delle coinfezioni da virus epatite nei pazienti
sieropositivi per HIV trova pertanto le sue motivazioni:
-
nell’incremento relativo della morbosità e mortalità per epatopatia osservato negli ultimi
anni nei soggetti sieropositivi per HIV;
2
-
nel ruolo giocato dalle coinfezioni da virus epatite, ed in particolare da HCV, come più
frequente determinante di danno epatico, nei pazienti HIV positivi con storia d’esposizione a
sangue e prodotti del sangue;
-
nell’accelerato decorso dell’infezione da HCV e HDV nei pazienti HIV positivi;
-
nel ruolo di cofattore di progressione dell’infezione da HIV attribuito recentemente
all’HCV;
-
nell’associazione tra infezione da HCV e epatotossicità da farmaci antiretrovirali, che
costituisce una possibile limitazione al loro impiego in pazienti con coinfezione.
Diagnosi e gestione delle epatiti croniche virali in pazienti HIV positivi
La presenza di una coinfezione da virus epatite dovrebbe essere identificata in tutti i pazienti con
infezione da HIV, che pertanto vanno sottoposti a screening con ricerca di reattività per HBsAg,
HBcAb ed HCVAb.
I soggetti risultati HBsAg+ dovranno essere indagati e gestiti in maniera analoga a quanto
prospettato per i pazienti HIV negativi.
Nei pazienti con danno epatico anti HbcAb+ e HBsAb- dovrebbe essere ricercata la reattività per
anticorpi anti HDV (totali ed IgM) anche in assenza di HBsAg. Qualora in questi pazienti si
riscontrasse importante immunodepressione potrebbe essere utile anche la ricerca di HDVRNA, test
finora tuttavia a disposizione solo di laboratori di ricerca.
In presenza di importante deplezione dei linfociti CD4+ e di danno epatico, l' HCVRNA dovrebbe
essere ricercato anche nei pazienti anti HCV negativi perché in questi potrebbe essersi verificata la
perdita degli anticorpi anti HCV.
I soggetti con anticorpi anti HCV vanno gestiti in maniera analoga a quanto prospettato nei pazienti
anti HIV negativi. Nei pazienti con marcatori negativi , questi andrebbero ripetuti periodicamente
(ogni 1-2 anni) o in presenza di segni clinici di danno epatico.
In tutti i pazienti HIV positivi, ma specialmente nei pazienti con coinfezione da HCV e/o da HDV,
occorre identificare e prevenire ulteriori cause di danno epatico:
-
quantificando in maniera sistematica il consumo di alcool e trattando l'abuso alcolico;
-
vaccinando per HBV i pazienti non protetti (HbsAB)
-
vaccinando per HAV i pazienti non protetti da immunità naturale (HAVAb totali)con
epatopatia cronica o con condizioni a rischio (viaggiatori che si recano in paesi ad alta
endemia, detenuti, addetti allo smaltimento dei rifiuti, tossicodipendenti, emofilici per i
3
quali non è possibile garantire trattamenti basati sull’esclusiva applicazione di prodotti
derivati da ricombinazione genica, soggetti con handicap mentali istituzionalizzati in
situazioni in cui non è possibile mantenere adeguati standard di norme igieniche)
-
controllando con attenzione lo stato clinico e gli indici di citolisi e di funzione epatica nel
corso di ogni terapia farmacologica potenzialmente epatolesiva, e soprattutto nei primi mesi
dopo l'inizio di ogni nuovo trattamento farmacologico, e segnatamente di ogni ciclo di
terapia antiretrovirale .
Le indicazioni alla biopsia epatica nel paziente anti HIV positivo sono le stesse del paziente
anti-HIV negativo, tenendo comunque presente il potenziale significato della diagnosi istologica
in termini di modificazione del management del paziente e del significato dell'epatopatia nella
sua prognosi quoad vitam ac valetudinem.
Trattamento della coinfezione da HCV
Obiettivi del trattamento dell’epatite da HCV
L’obiettivo principale del trattamento dell’epatite da HCV nel paziente con (o senza) coinfezione da
HIV è l’eradicazione dell’infezione da HCV, che nel paziente con coinfezione non solo
rallenterebbe od arresterebbe la progressione verso l’epatopatia in fase terminale, ma eliminerebbe
anche un cofattore di progressione dell’infezione da HIV. Vi sono inoltre altri obiettivi del
trattamento dell’infezione da HCV, che non passano per l’eradicazione dell’infezione, ma
semplicemente per una attenuazione della conseguente attività necro-infiammatoria:
-
il rallentamento della progressione della fibrosi e del conseguente disturbo architetturale
accelerati dalla coinfezione da HIV; questo risultato è stato ottenuto in pazienti senza
confezione da HIV sopprimendo l’attività replicativa dell’HCV pur in assenza di
eradicazione;
-
la remissione delle riacutizzazioni di epatite cronica C correlate all’immmunoricostituzione
indotta dalla terapia antiretrovirale, che consentirebbe la prosecuzione di una terapia
antiretrovirale “salvavita” senza pagare il prezzo dell’aggravamento dell’epatopatia.
Strumenti terapeutici e risultati conseguibili.
Dato che il controllo della progressione dell’infezione da HIV rimane prioritario nei pazienti
coinfetti,
gli schemi terapeutici impiegati per il trattamento dell’infezione da HCV, non solo
devono essere efficaci e ben tollerati, ma non devono accelerare la progressione dell’infezione da
HIV (aumentando la replicazione HIV e/o riducendo il pool di linfociti CD4+), né ridurre l’efficacia
4
o aumentare la tossicità dei farmaci antiretrovirali, né influenzare negativamente l’aderenza del
paziente agli schemi di terapia anti HIV. Queste caratteristiche costituiscono i parametri su cui
misurare il rapporto costo-beneficio di qualsiasi schema di terapia anti HCV nei pazienti infetti da
HIV.
La coinfezione da HIV è stata considerato un criterio di esclusione in tutti i trials controllati mirati
a valutare efficacia e tollerabilità della monoterapia con interferone anche peghilato
ed a
compararla con quelle della combinazione con ribavirina.
I dati disponibili dalla
letteratura sull'efficacia della terapia anti HCV nei soggetti HIVAb+
derivano da studi pilota non controllati e da studi comparativi, in cui i risultati ottenuti in pazienti
anti HIV positivi sono stati confrontati con quelli ottenuti in pazienti anti HIV negativi. Sono in
corso diversi studi controllati finalizzati a confrontare, in pazienti con coinfezione da HIV efficacia
e tollerabilità di:
-
diversi regimi di interferoni alfa ricombinanti in combinazione con ribavirina e/o con
amantadina
-
interferoni peghilati in monoterapia vs interferoni peghilati in combinazione con ribavirina
-
ribavirina in combinazione con: interferoni peghilati vs. interferoni non peghilati
I risultati degli studi fino ad ora disponibili indicano:
-
la scarsissima efficacia della monoterapia con interferoni non peghilati negli studi pubblicati
negli ultimi 5 anni che in nessuno studio ha indotto percentuali di risposta sostenuta
superiori al 12% (20-25)
-
che la combinazione di interferone standard non peghilato più ribavirina è nettamente meno
efficace nei pazienti con infezione da HIV rispetto a quanto lo sia nei pazienti anti HIV
sieronegativi (26). Infatti questa terapia è stata in grado di indurre risposta sostenuta solo nel
18% dei 251 pazienti trattati in 5 studi pilota non controllati, con ampie differenze a seconda
del genotipo HCV infettante (41% nei soggetti con infezione da genotipo 2 e 3 e 6% nei
soggetti con infezione da genotipo 1 o 4) (27 – 31)
-
che secondo i dati preliminari del primo studio pilota non controllato di trattamento con
interferone peghilato il 28% dei 68 pazienti arruolati ha mostrato una risposta sostenuta,con
importanti differenze tra:pazienti con infezione da genotipo favorevole che hanno mostrato
una risposta sostenuta nel 52% dei casi e pazienti con infezione da genotipo sfavorevole che
hanno mostrato rato una risposta nel 22% dei casi (32). In questo studio solo il 15% dei
pazienti ha sospeso il trattamento volontariamente o per effetti collaterali.
In due studi ancora in corso mirati a comparare efficacia e tollerabilità interferone peghilato
in combinazione con ribavirina vs., rispettivamente, interferone peghilato in monoterapia e
5
interferone standard a somministrazione trisettimanale in combinazione con ribavirina la
terapia con interferone peghilato e ribavirina è stata sospesa rispettivamente nel 41% e nel
30% dei pazienti per effetti collaterali o per volontà del paziente (33-34). Nell'ultimo studio
57 pazienti su 206 trattati con PEG IFN in combinazione con ribavirina hanno mostrato
eventi avversi gravi (33).
-
Non è stata osservata una perdita di efficacia della terapia antiretrovirale ed, in particolare di
stavudina e zidovudina, in corso di terapia con ribavirina (35-36)
-
Sono stati osservati alcuni decessi in pazienti arruolati in studi sulla tollerabilità ed efficacia
della terapia con interferone (peghilato e non ) e ribavirina. Alcuni di questi sono attribuibili
ad acidosi lattica e/o pancreatite insorte prevalentemente in pazienti che assumevano
didanosina (37). Sono in corso studi intesi a valutare la possibilità di ridurre la dose di
didanosina in pazienti che assumono ribavirina senza inficiare l’effetto antiretrovirale del
farmaco.
Indicazioni al trattamento dell'epatite da HCV nei pazienti anti HIV positivi
Il trattamento della coinfezione da HCV è indicato in pazienti con malattia epatica ben compensata
(classe A secondo Child Pugh) ed in assenza di pregressi episodi di scompenso anche risoltisi
spontaneamente, ipertransaminasemia da almeno 6 mesi, senza altre cause risolvibili di danno
epatico, con malattia da HIV stabile con CD4 > 200/mmc e HIVRNA < 10.000 cp/mL, senza
controindicazioni ad alfa interferone e/o ribavirina, che non presentano tossicodipendenza attiva o
abuso alcoolico.
Nei pazienti con infezione da genotipo favorevole (genotipi 2 e 3), date le buone percentuali di
risposta ottenute nei primi studi pubblicati, il trattamento può essere intrapreso in presenza di
fibrosi (F1 secondo i sistemi di classificazione Knodell e METAVIR)
ed attività
necroinfiammatoria significativa. Dato che nelle serie di biopsie pubblicate in pazienti con
infezione da HIV solo il 5-10% dei pazienti non presenta fibrosi, nei pazienti con infezione da
genotipo 2 e 3 che non presentano altre possibili cause di danno epatico la biopsia pre trattamento si
può ritenere non indispensabile. Nei pazienti con infezione da genotipo sfavorevole (genotipi 1 e 4),
date le basse probabilità di risposta e la scarsa tollerabilità della terapia anti HCV, il trattamento con
interferone può essere considerato in presenza di infezione da HCV recente e/o di importante
attività infiammatoria, nei pazienti in cui l’istologia bioetica dimostri assenza di setti fibrosi ed in
tutti i pazienti in cui l’istologia bioetica dimostri presenza di setti fibrosi.
6
Schedule terapeutiche
La terapia va condotta impiegando la combinazione di interferone e di ribavirina alla dose minima
di 10, 6 mg/kg/die nei soggetti con infezione da genotipo sfavorevole, mentre nei pazienti con
infezione da genotipo favorevole può anche essere considerata una dose fissa di 800 mg al giorno di
ribavirina in due somministrazioni. Nei pazienti con infezione da genotipo sfavorevole è da
preferirsi la terapia con interferoni peghilati alle dosi indicate in precedenza, mentre non vi sono
dati che dimostrino un rapporto costo beneficio sicuramente superiore di questa terapia rispetto alla
terapia standard nei pazienti con infezione da genotipo favorevole.
Nei soggetti in terapia con interferoni peghilati che non presentano negativizzazione dell' HCVRNA
o riduzione dei suoi livelli di almeno 2 logaritmi dopo 12 settimane di terapia le probabilità di
risposta sono estremamente ridotte, per cui se l'obiettivo del trattamento è quello di ottenere una
risposta virologica sostenuta la terapia può essere interrotta. La durata ottimale della terapia per i
soggetti con infezione da genotipo sfavorevole è di almeno 48 settimane Non vi sono ancora dati
certi se la durata ottimale della terapia nei pazienti con infezione da genotipo favorevole sia di 6 o
12 mesi.
In considerazione della mancanza di dati conclusivi dalla letteratura e dell'elevato numero di
questioni ancora aperte sulla tollerabilità ed efficacia del trattamento con interferone e ribavirina in
questa categoria di pazienti
e sulla potenziale interferenza con la terapia antiretrovirale e
l'evoluzione della malattia da HIV, si dovrebbe cercare di trattare i pazienti nell'ambito di studi
controllati in maniera tale da poter acquisire in breve tempo il massimo possibile di informazioni
per orientare le scelte terapeutiche.
Monitoraggio della tossicità e dell'efficacia della terapia
Durante il trattamento con ribavirina dei pazienti anti HIV positivi che assumono analoghi
nucleosidici (ed in particolare didanosina) occorre monitorare con attenzione i segni clinici e
laboratoristici di tossicità mitocondriale ed in particolar modo di tossicità pancreatica.
In tutti i casi nei pazienti anti HIV positivi che assumono farmaci con tossicità additiva, il
monitoraggio degli effetti collaterali di interferone e ribavirina deve essere estremamente attento.
7
Trattamento della coinfezione da HBV
Terapia con interferone
I dati sull’efficacia della terapia con interferone nei pazienti anti-HIV positivi derivano per lo più da
studi compiuti in era precedente l’impiego della terapia antiretrovirale di combinazione, nella
maggior parte dei quali i pazienti HIV positivi erano stati inclusi perché il test anticorpale non era
ancora disponibile (38-41). Tuttavia l’analisi di questi dati consente di affermare che la percentuale
di sieroconversioni HBeAganti-HBe in questi pazienti è risultata superiore a quella osservata nei
pazienti non trattati o trattati con placebo (pooled rate difference +0.08 95% CI 0.067-0.23) anche
se nettamente inferiore a quella osservata nei pazienti HIV negativi (OR 0.38 95% CI 0.06-0.7).
Molti dei pazienti anti-HIV positivi inclusi in questi protocolli presentavano transaminasi nella
norma e quindi non è possibile definire se tale riduzione di efficacia sia correlabile esclusivamente
all’infezione da HIV indipendentemente dallo stato del sistema immunitario e dall’attività
necroinfiammatoria. Pertanto si può concludere che, in un paziente con CD4 superiori a 500/mmc e
con transaminasi elevate, le indicazioni alla terapia con interferone rimangono le stesse poste in
precedenza per i pazienti HIV negativi, fatta salva una valutazione delle possibili tossicità derivanti
dall’eventuale combinazione dell’interferone con una terapia antiretrovirale. Naturalmente il
monitoraggio di alcuni parametri (conta dei neutrofili e piastrine, trigliceridi, indice di funzione
epatica) deve essere più attento nei pazienti che assumono HAART ed interferone. Il trattamento
con interferone è controindicato nei soggetti con riattivazione di epatite B secondaria ad
immunoricostituzione.
Terapia con lamivudina ed altri analoghi nucleosidici-nucleotidici
Per quanto riguarda la lamivudina occorre tenere presente il suo ruolo come antiretrovirale e
la possibile insorgenza di ceppi virali mutati resistenti non solo per HBV ma anche per HIV (42).
Per questo motivo la lamivudina va somministrata alla dose di 150 mg due volte al giorno e non in
monoterapia, ma nel contesto di una terapia antiretrovirale di combinazione seguendo le stesse
indicazioni riportate per i pazienti anti HIV negativi.
Presto sarà disponibile anche in Italia il tenofovir che inibisce la replicazione di HIV ed
HBV, sia
wild type che con mutazioni correlate a resistenza a lamivudina (43). Per queste
caratteristiche nel prossimo futuro potrebbe essere valutata anche l’indicazione a una terapia di
combinazione tra lamivudina e tenofovir nei pazienti HIV positivi con epatite cronica da HBV
clinicamente significativa, che necessitino di terapia antiretrovirale di combinazione. Nei pazienti
8
per i quali non è necessario prescrivere una terapia anti HIV, nel prossimo futuro sarà possibile
impiegare anche adefovir alle dosi indicate nel trattamento dell'infezione da HBV (44) ed entecavir,
da soli od in combinazione. Questi farmaci non hanno indotto o non sembrano in grado di indurre
mutazioni nel genoma di HIV correlabili a insorgenza di resistenza ad antiretrovirali (43).
Comparsa di resistenza alla lamivudina dell’ HBV in soggetti coinfetti da HBV e HIV
In corso di terapia con lamivudina, in caso di insorgenza di ceppi di HBV con mutazioni correlate a
resistenza accompagnata da incremento dei livelli di HBV DNA, il farmaco può essere continuato
se persiste beneficio sulla citolisi e sulla funzione epatica (42). L’aggiunta di un secondo antivirale
come l’adefovir (44) o il tenofovir o ancora l’interferone deve essere valutata come opzione nei
singoli casi, tenendo ben presente la necessità di monitorare accuratamente l’eventuale tossicità del
nuovo farmaco, le sue interazioni con altri farmaci e l’efficacia della concomitante terapia
antiretrovirale.
Comparsa di resistenza alla lamivudina dell’ HIV in soggetti HBsAg positivi
In un paziente HBsAg positivo HIV positivo che assume un regime di terapia antiretrovirale
comprendente la lamivudina e che abbia un buon controllo della malattia epatica può presentarsi
l’opportunità di sospendere la lamivudina in ragione della sua perdita di efficacia come farmaco
anti-HIV. Prima di sospendere la lamivudina occorre tuttavia valutare lo stadio dell’epatopatia
precedente l’inizio del trattamento antiretrovirale ed eventualmente mantenere la lamivudina in
aggiunta al nuovo regime di terapia antiretrovirale nei casi di malattia da HBV avanzata. Comunque
dopo la sospensione della lamivudina in tutti i pazienti HBsAg positivi occorre monitorare per
almeno 6 mesi l’andamento degli enzimi e della funzione epatica, per identificare e trattare
precocemente eventuali riattivazioni che potrebbero essere gravi (45)
Terapia delle coinfezioni da HDV e HBV
L'effica cia del trattamento con interferone è molto scarsa sovrapponibile a quella osservata in
pazienti senza coinfezione da HIV (46). L'indicazione al trattamento va pertanto valutata caso per
caso.
Prospettive di Ricerca
Diversi sono i problemi attualmente aperti nel campo della coinfezione che necessiterebbero di
studio; tra questi:
-
una valutazione di fattibilità ed efficacia di programmi per l'identificazione ed il trattamento
dell'abuso alcoolico nei pazienti anti HIV positivi con coinfezione da virus epatotropi;
9
-
una valutazione di fattibilità ed efficacia di programmi di vaccinazione anti HBVe anti HAV
in centri che seguono pazienti anti HIV+;
-
la definizione delle interazioni patogenetiche tra virus epatite e HIV;
-
la definizione dell'impatto della terapia anti HIV sulla storia naturale delle coinfezioni da
virus epatotropi;
-
la definizione dell'impatto dell'impiego di analoghi nucleosidici /nucleotidici ad attività anti
HBV come componenti della ART nella storia naturale della malattia da HBV;
-
la valutazione di tollerabilità ed efficacia della terapia di combinazione interferoneribavirina e l'identificazioni di parametri sui quali prospettare un tailoring del trattamento
basato sulle caratteristiche del singolo paziente;
-
la valutazione della tollerabilità ed efficacia di terapie di combinazione anti HBV con
analoghi nucleosidici/nucleotidici attivi su entrambi i virus o solo sull’ HBV in pazienti
con coinfezione HBV - HIV.
10
Tabella 1
Gestione clinica dei pazienti con epatopatia cronica virale ed infezione da HIV
 Counselling per la prevenzione di ulteriori infezioni da virus epatite
 Vaccinazione per HBV se HBsAb- e CD4 > 200/mmc
 Vaccinazione per HAV se HAV Ab negativi
 Prevenzione e trattamento dell’abuso alcolico, valutazione del consumo alcolico e indicazione
all’astinenza da assunzione di alcool
 Valutazione, prevenzione e trattamento di fattori predisponenti a steatosi epatica: obesità,
diabete, dislipidemia
 Monitoraggio enzimi epatici e tests di funzione epatica ogni 3 mesi
 Monitoraggio parametri virologici secondo quanto specificato nei capitoli dedicati all’epatite
cronica da HBV e HCV
 Follow up ecografico ogni 6 mesi in pazienti con segni obiettivi, ecografici e/o bioumorali di
cirrosi epatica e/o HBsAg+:

con infezione da HBV acquisita nell’infanzia e/o

provenienti da area iperendemica per HBV
 Controlli più frequenti di enzimi epatici e tests di funzione epatica:
 in tutti i pazienti in caso di inizio di un nuovo ciclo di terapia antiretrovirale
 in pazienti HBsAg+ in caso di sospensione dell’assunzione di Lamivudina e/o Tenofovir
11
Tabella 2
Caratteristiche dei pazienti con infezione da HIV in cui può essere considerato il trattamento
dell’epatite cronica da HCV:
 Ipertransaminasemia da almeno 6 mesi in assenza di altre cause risolvibili di danno epatico
 CD4 > 200/mmc, HIVRNA < 10.000ncp/mL e malattia da HIV stabile
 Non tossicodipendenza ed alcoolismo attivi
 Non controindicazioni a interferone e/o ribavirina
 Malattia epatica in fase di compenso (Classe A secondo Child-Pugh) senza episodi precedenti di
scompenso
 Con infezione da genotipo 2 o 3:
 in presenza di fibrosi ed attività necroinfiammatoria (sull’indicazione alla biopsia vedi testo)
 Con infezione da genotipo 1 o 4:
 in presenza di attività infiammatoria e fibrosi senza setti in:

pazienti con sieroconversione da HCV documentata da meno di un anno

pazienti con importante attività necroinfiammatoria
 in tutti i pazienti con attività necroinfiammatoria e setti fibrosi
12
Tabella 3
Caratteristiche dei pazienti con infezione da HIV in cui può essere considerato il trattamento
dell’epatite cronica da HBV
Variabile
Epatite B HBeAg+
Epatite B HBeAg-
Malattia
Istologicamente attiva con fibrosi
Istologicamente attiva con setti fibrosi
Grading > 3 Staging >0 (HAI secondo
Grading > 3 (HAI secondo Knodell)
Knodell)
Staging >2 (staging secondo METAVIR)
Età minima
14 anni
18 anni
ALT
> 2 x limite di normalità da > 6 mesi
> 2 x limite di normalità da >6 mesi
HBVDNA
> 100.000 copie/mL per almeno due
> 100.000 copie/mL per almeno due
volte in 6 mesi
volte in 6 mesi
Attesa di vita > 5 anni
> 5 anni
13
Figura 2
Terapia dell’epatite cronica da HCV in pazienti con infezione da genotipo HCV favorevole (2
o 3)
PEG IFN a2b
1.5 mcg/kg x 1 settimana
+ Ribavirina 10, 6 mg/kg/die
PEG IFN a2a
180 mcg x 1 settimana
+ Ribavirina 800 mg/die
HCVRNA negativo
o decremento HCVRNA di almeno
2 log sul basale a 12 settimane
aIFN 3 MUI
X 3 volte/settimana +
Ribavirina 10,6 mg/kg/die
Si
Prosegue terapia
No
Stop
terapia
HCVRNA
negativo a 24 settimane
Si
Valutazione individuale
se proseguire fino a 48 settimane
o sospendre
14
Figura 3
Terapia dell’epatite cronica da HCV in pazienti con infezione da genotipo HCV sfavorevole (1
o 4)
PEG IFN a2b
1.5 mcg/kg x 1 settimana
+ Ribavirina 10, 6 mg/kg/die
PEG IFN a2a
180 mcg x 1 settimana
+ Ribavirina 800 mg/die
HCVRNA negativo
o decremento HCVRNA di almeno
2 log sul basale a 12 settimane
Si
Prosegue terapia
No
HCVRNA
negativo a 24 settimane
Si
proseguire fino a 48 settimane
Stop
terapia
15
Figura 4
Terapia dell’epatite cronica da HBV in pazienti con coinfezione da HIV
Indicazione a terapia anti HBV
Indicazione a terapia anti HBV
Si
No
No
 500/mmc
 500/mmc
Child A
Child A
Si
Si
No
No
Lamivudina 150 mg x 2
Lamivudina
150 mg
2
+ Tenofovir
+ 3° farmaco
antix HIV
+ Tenofovir + 3° farmaco anti HIV
< 500/mmc
< 500/mmc
CD4
CD4
Controind. a
Controind.
a
IFN
IFN
Si
Necessità
Necessità
Terapia
anti HIV
Terapia anti HIV
No
No
disponibilità
disponibilità
Adefovir
Adefovir
Si
Si
No
No
si
No
No
si
Adefovir
Adefovir
In monoterapia
In monoterapia
IFN 9-10 MIU x 3/ settimana
IFN 9-10
x 3/ settimana
X MIU
6 mesi
X 6 mesi
HBeAg+:
ALT < HBeAg+:
50% basale
HBeAgALT HBVDNA
< 50% basale
Decremento
1 log
HBeAgstop
Decremento HBVDNA 1 log
Si
stop
Si
Prosecuzione terapia
Prosecuzione
fino
a 18-24 mesiterapia
fino a 18-24 mesi
16
Bibliografia
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