LEIBNIZ E LA LEGGE DI CONSERVAZIONE DELLA “FORZA” (integrazione al par 7-11) “ Q ual è la FORZA di un corpo in moto? ” “ L a FORZA si conserva ma qual è la sua misura?” (Attenzione! Qui per forza non s’intende il concetto newtoniano di azione esterna esercitata su un corpo, non la forza dei principi della dinamica) In un famoso articolo del 1686 Leibniz si contrappone alla concezione cartesiana e dà vita ad una lunga polemica, che è ancora oggetto di approfondite analisi storiche. Il titolo del lavoro di Leibniz è molto esplicito: Breve dimostrazione di un errore memorabile di Descartes e di altri concernente la legge naturale secondo la quale essi affermano che la stessa quantità di moto è sempre conservata da Dio, una legge che essi usano in maniera erronea nei problemi meccanici. Leibniz accetta, come Cartesio, che esista in natura un principio generale di conservazione (pur non basando questa convinzione sul riferimento a Dio): si conserva nel mondo la totale "potenza motrice". Infatti nessuna forza motrice può essere persa da un corpo senza essere trasferita in un altro (………………….), nè può essere aumentata "perché non esiste il perpetuum mobile" e nessuna macchina è capace di mantenere la sua forza senza un impulso addizionale esterno. Abbiamo qui dunque delineati due elementi: un principio di conservazione ed una indicazione della quantità conservata: la somma della forza motrice di un sistema isolato. All'interno del sistema tale forza motrice può essere trasferita da una parte all'altra. Ma come si misura questa forza motrice? Comunque la si voglia chiamare (forza motrice, virtù motrice, …), esiste una quantità che si conserva e per Leibniz non è la quantità di moto definita come prodotto della massa per la velocità; non che questa non si conservi, ma non è la quantità di moto a misurare la virtù motrice. Egli è convinto che la misura della “forza” di un corpo sia data dall’altezza a cui può innalzare un dato corpo: la “forza” che può innalzare quattro libbre all’altezza di un piede è la stessa che può innalzare una libbra di quattro piedi. Infatti se si dividono le quattro libbre in quattro unità da una libbra sollevarle una dopo l’altra all’altezza di un piede sarebbe come sollevarne una di un piede per volta quattro volte consecutive (quindi quattro piedi). In altre parole, l’affermazione precedente dice che due corpi che hanno la stessa forza motrice sono in grado di compiere lo stesso lavoro. Leibniz assume esplicitamente che "un corpo che cade da una certa altezza acquista una forza motrice tale da permettergli di risalire alla stessa altezza" (trascurando gli attriti). A questo proposito cita esplicitamente gli esperimenti con i pendoli di Galileo (rivedere brani dalla Giornata Terza dei DISCORSI di Galileo, pendolo interrotto). D’altra parte è necessario lo stesso lavoro per sollevare il peso 4m all'altezza h di quello necessario a sollevare il peso m all'altezza 4h; infatti: (4mg)•h = mg•(4h). Da queste due assunzioni (le proposizioni in grassetto) segue che quando i due corpi, cadono dalle rispettive altezze h e 4h essi posseggono la stessa vis motrix. Ma qual è la misura corretta di questa capacità di sollevare, cioè di compiere lavoro? Dobbiamo cercare quale grandezza è uguale a fine caduta nei due casi….. Consideriamo la velocità finale acquistata; sempre rifacendoci a Galileo: v = 2gh Quindi il corpo che cade da 4h avrà una velocità finale doppia del corpo che cade da h. Pertanto la quantità di moto cartesiana mv non può essere la misura corretta della capacità di compiere lavoro: nel primo caso (4m da h) è doppia che nel secondo (m da 4h)! Quest'ultima deve essere misurata, dice Leibniz, dalla quantità introdotta da Huygens, che veniva chiamata vis viva, il prodotto della massa per il quadrato della velocità. Si ha infatti: v4 h = 2vh e quindi i due corpi hanno la stessa vis viva: m ⋅ v4 h = 4m ⋅ vh 2 2 In sintesi, siamo partiti con due corpi che avevano la stessa virtù motrice e abbiamo trovato che per essi è uguale la quantità mv2, che abbiamo chiamato vis viva. CONCLUSIONE: LA MISURA DELLA “FORZA” DI UN CORPO IN MOTO E’ LA FORZA VIVA