Parte settima Il potere oltre la sovranità? Tentativi contemporanei Dagli anni Venti e Trenta del secolo inizia una nuova fase in cui da una parte la realtà politica nella sua complessità e nel pluralismo delle sue forze è sempre meno contenibile nei tradizionali apparati e nelle dimensioni dello Stato, e dall'altra i concetti politici e la dottrina del potere mostrano le loro interne aporie, favorendo una serie di linee di riflessione, che più che la presentazione di un nuovo quadro categoriale, sono spesso piuttosto espressioni emblematiche delle difficoltà e della crisi. Sempre meno il piano dei rapporti pubblici e quello dei rapporti privati sono tra loro disgiungibili e si pongono in un terreno comune in cui si misura la loro politicità. Ma sono proprio questa politicità e il potere che in questa si esprime a non essere più descrivibili mediante il tradizionale linguaggio che è proprio della passata identificazione di pubblico e statale. Si può allora comprendere come processi che producono fatti politicamente significativi non possano essere colti attraverso la ricostruzione di itinerari normati secondo procedure costituzionalmente definite. La realtà complessa dei processi politici è stata spesso indicata come "costituzione materiale", per indicare ciò che sfugge ai parametri della costituzione formale, della costituzione scritta. Tale realtà rivela un intreccio tra forze sociali e loro movimento, istituti privati e loro rilevanza politica, istituzioni pubbliche e loro funzioni (spesso assai diverse e più complesse di quelle che sono loro assegnate nel linguaggio ufficiale) e modi non lineari di prodursi al loro interno delle decisioni, organi dello Stato e molteplici rapporti che ne producono l'effettivo funzionamento. Non si tratta qui semplicemente di uno scarto tra costituzione materiale e costituzione formale, colmabile o riportando l'oscurità magmatica della prima alla chiarezza lineare della seconda, o adeguando la seconda alla complessità crescente della prima. Lo scarto è più radicale e sempre meno risulta possibile una reale descrizione dei processi e una loro organizzazione a partire dalla costituzione formale. Sempre meno cioè le singole articolazioni 449 IL POTERE del continuum istituzionale società-Stato risultano spiegabili, sia nel fascio di funzioni che vengono concretamente a svolgere, sia nel loro interno funzionamento, a partire da una definizione di precise e inconfondibili finalità istituzionali, o comunque di precisi e ben definiti compiti, che ne disegnino una ratio autonoma e autosufficiente. Nemmeno i linguaggi e le competenze che sono pubblicamente usati per descriverne i compiti risultano adeguati ad indicare il loro effettivo e concreto funzionamento. La contrattazione tra le parti viene ad avere una funzione costituente reale dei processi, ma ciò non ha il significato del rinnovarsi del contratto sociale come è stato inteso agli inizi della teoria moderna: mentre in questa il contratto originario fondava l'obbligazione politica, e dunque la sottomissione di tutti alla legge espressa da chi era da tutti autorizzato, qui la contrattazione non avviene più tra gli individui, che esprimono la loro soggettività, bensì tra gruppi, forze economiche, istituzioni o suoi membri, e ogni parte tenta di esprimere ed imporre la sua forza. Indicare nel Parlamento l'organo di espressione della volontà del popolo, o nel governo l'esercizio del potere, non sembra esplicativo di ciò che realmente il Parlamento fa o dell'insieme di condizioni che delimitano l'azione di governo. Il codice del potere viene a mutare, e la classica definizione del potere nelle due dimensioni del potere costituente e del potere costituito, del popolo sovrano e della rappresentanza di tutta la nazione, appare non solo segnato da interne aporie, ma anche poco espressivo nei confronti della realtà contemporanea. Pur tuttavia tale apparato concettuale si ritrova ancora nelle costituzioni contemporanee e il popolo sovrano, come il concetto della rappresentanza, nel senso dell'unità politica, è elemento che serve ancora nelle carte costituzionali e nel dibattito pubblico a legittimare l'obbligazione politica. La scena della complessità della costituzione reale, a cui ci riferiamo, non sfocia nell'espressione di una nuova forma, ma piuttosto è indice della crisi della forma-Stato. Infatti la rappresentanza degli interessi, propria di organizzazioni e associazioni, da una parte implica un piano unitario, statale, di rappresentazione dei bisogni e degli interessi, e un giudice comune, come la concezione classica della sovranità richiede, dall'altra tende a influenzare e a determinare la decisione politica. Ma anche lo scenario dei partiti non presenta una nuova e pacifica configurazione del politico. Infatti i partiti non sono tanto elementi di una organizzazione pluralistica della società, ma manifestano piuttosto lo sforzo delle volontà particolari, aggregate non per differenze qualitative, ma per scelte ideologiche, di determinare la volontà generale e perciò la legge. Lo specifico riferirsi a particolari in450 IL POTERE OLTRE LA SOVRANITÀ? teressi sociali da parte dei partiti sempre più sfuma in ragione del tentativo di questi ultimi di farsi rappresentanti dell'intera società, come rivela il fatto che i loro programmi tendono ad avvicinarsi e ad assomigliarsi, per trovare un consenso sempre più ampio nei più diversi strati della società. In tal modo, nel farsi rappresentante di interessi sociali il partito mostra un suo interesse a rafforzarsi e ad esercitare una sua forza nella determinazione della volontà generale che si esprime mediante la legge. Ma quel che ancor più conta, per comprendere la crisi della moderna soggettività, è il fatto che gli stessi partiti non sono soggetti autonomi di azione politica, ma si costituiscono all'interno di intrecci di forze e contrattazioni, che non trovano un mezzo per essere nominati e chiariti nel "linguaggio politico" delle dichiarazioni di fini e di programmi e nemmeno in quello degli interessi sociali da soddisfare. In questo orizzonte acquista significato l'emergere di prospettive di ricerca esplicitamente rivolte ad abbandonare il quadro categoriale e metodologico della tradizione filosofico-giuridica e, da una parte, ad adottare nuovi paradigmi di interpretazione dei fenomeni politici - quali quello della teoria dei sistemi e della comunicazione sociale dall'altra a ripensare profondamente la categoria e le modalità di analisi del potere alla luce delle sue forme particolari, irriducibili ad ogni legge generale, ma insieme ortnipervasive e disseminate sull'intero tessuto sociale. L'esito di tali linee d'indagine non consiste in nessuna nuova proposta di governo della vita sociale, ma nella delineazione di un complesso di strumenti metodologici e teorici nuovi, a partire dai quali ridescrivere, restituendole perspicuità, la fenomenologia della politica contemporanea. Si può ben intendere come in questo quadro complesso, non più riportabile ai concetti chiari e semplici, unitari, della costituzione formale, e dunque ai concetti prodotti dal linguaggio della scienza politica moderna, si sia creato uno spazio di incertezza e di disorientamento, all'interno del quale si sono mossi molteplici tentativi di ripensare le regole della vita politica. Molti di questi tentativi hanno preso una direzione neo/ondativa, sia pure di una fondazione non antologica o basata su verità di ragione, ma piuttosto tesa a determinare un quadro di regole e procedure. Si cerca così di ritrovare la categoria del soggetto individuale, al di là della dissoluzione del quadro determinato dal soggetto borghese delliberalismo classico, che già con Weber è andato irrimediabilmente in crisi. Si tratta di riuscire a pensare a un soggetto che riesca a porre fini, piani di vita e valori in una dimensione di compossibilità e che riesca a legare il suo libero operare con un sistema 451 IL POTERE di convenzioni che caratterizza lo spazio della cooperazione sociale e che si basa sul valore della procedura. A tale dimensione procedurale si riduce spesso la tematica della democrazia, che risulta cosi intrecciata all'esigenza dell'espressione della libertà dell'individuo, cara al linguaggio del liberalismo. Un tale sforzo di recupero della categoria della soggettività è proprio del neoliberalismo che ha tuttavia la chiara consapevolezza della complessità prodotta dai recenti processi storici, come pure delle riprese del contrattualismo come rinnovata forma di fondazione e legittimazione della cooperazione sociale. Anche qui, come nel contrattualismo classico, si tenta un esperimento di pensiero, un'iniziale situazione ipotetica, per determinare leggi giuste. Anche qui gli individui sono pensati come autori consapevoli, costituiti prima e fuori della complessità sociale di cui si è parlato. Tali tentativi, se hanno una loro spiegazione culturale nello scacco proprio di immaginazioni forti e totalizzanti della soggettività politica, e hanno un loro piano di azione in una ragione che ha ormai abbandonato le pretese della verità e sembra accontentarsi dei suoi limiti, tuttavia non appaiono consapevoli delle aporie radicali dei concetti prodotti dalla costruzione teorica della filosofia o scienza politica moderna, e iterano, sia pur su di un piano di pensiero apparentemente meno esigente, la dimensione teorico-costruttiva del pensiero moderno. Una vera consapevolezza delle aporie dei concetti classici della modernità sembra mancare anche in quelle dottrine che cercano di riattingere un piano comunitario tra gli uomini, che è andato perduto sulla base del moderno concetto di società, fondato sull'indipendenza e sull'isolamento degli individui. Le dottrine comunitaristiche da una parte cercano di collegarsi al pensiero antico (si pensi alla ripresa in America di Aristotele), ma dall'altra mostrano di non poter rinunciare alla conquista moderna delle libertà individuali. Il tentativo di un rinnovato pensiero della comunità vuole reagire all'astrattezza e alla debolezza dell'impianto del liberalismo, e al livello privato a cui la neutralità dello Stato relega i cittadini, ma non riesce a non poggiare sulle fondamenta della soggettività dei singoli e della necessità del potere politico, che costituiscono i due poli della costruzione della moderna forma politica. 452 2I La prospettiva funzionalistica: potere e sistema politico in Niklas Luhmann di Bruna Giacomini 2I.I Luhmann e Weher La priorità della nozione di potere rispetto a quella di politica si delinea già nettamente nell'opera di Max Weber '. Nella prima parte di Economia e società, il pensatore tedesco innanzittutto distingue la Macht, come generica possibilità di far valere entro una relazione sociale la propria volontà, dalla Herrscha/t, quale suo caso speciale, che prevede, piuttosto, l'obbedienza «semplicemente a causa del rapporto formale» tra il detentore del potere e i suoi sottoposti, ma soprattutto individua la politicità del potere nell'esercizio legittimo della forza fisica, specificandone e circoscrivendone così il significato (ES r, pp. 51-5; 207-II). Si osservi, inoltre, che la famosa tipologia weberiana si applica, innanzitutto ed essenzialmente, al potere (razionale, tradizionale, carismatico), e solo per conseguenza anche alla sua forma propriamente politica. Non solo, dunque, potere e politica non coincidono, ma questa ritaglia e determina il suo significato nell'ambito di una più vasta sociologia della Herrscha/t 2 • Va, altresì, riconosciuto che già in Weber, più di quanto egli stesso non ammetta, il potere viene definito e indagato come una relazione reciproca che vincola dominanti e dominati gli uni agli altri in base ad un rapporto essenzialmente formale. n nesso del tutto privilegiato che Weber istituisce tra potere e legittimità, come fondamenI . Ci si riferisce qui al pensiero di W eber esclusivamente per ciò che riguarda il suo rapporto, ritenuto fondamentale, con la teoria politica luhmanniana. Per una compiuta delineazione del suo contributo si rimanda, invece, all'intervento di L. Manfrin che compare in questo stesso volume (CAP. I 8). 2. Su una linea non lontana da quella qui sostenuta Rebuffa (I99I), p. 38, osserva che: «il problema dell'obbedienza al potere si colloca [. . .] per Weber in un orizzonte più vasto [. .. ] che è quello dell'efficacia dei sistemi normativi». 453 IL POTERE to ultimo dell'obbedienza, evidenzia non solo come la Herrscha/t si regga su una correlazione che ne mette in ombra il significato coercitivo, ma come la natura dell'obbedienza non stia né in un'adesione motivata alla volontà del capo, né nella consapevole approvazione dei contenuti del comando, ma, al contrario, in un legame fiduciario che vincola preliminarmente le volontà dei subordinati e, al contempo, libera il potere da ogni responsabilità, concreta e puntuale, dei suoi atti. Non è difficile cogliere nel dispositivo analizzato da Weber un'anticipazione e un innegabile presupposto dell'interpretazione sistemica del potere suggerita da Luhmann. Né, d'altra parte, il metodo funzionalistico, inteso nella sua accezione più radicale, che questi adotta, può facilmente nascondere il suo debito nei confronti di una ricerca, quale quella weberiana, tutta volta ad indagare le forme di funzionamento del potere, che nella classificazione tipologica vengono rappresentate e distinte. Nondimeno, la formalizzazione che il rapporto di potere trova nella formulazione dell'autore di Economia e società incontra due limiti fondamentali: innanzittutto il riferimento allà persona, ovverosia allo Herr che esercita il comando 3, per quanto la sua autorità sia sempre mediata dalla validità o di un ordinamento razionale o della tradizione o di un particolare carisma; in secondo luogo e conseguentemente, l'irriducibilità dell'obbedienza a meta disciplina, e cioè a «realizzazione [. .. ] sistematica, precisa e sottratta del tutto ad ogni critica personale» (ES rv, p. 26o) del comando. «L"'ammaestramento" a una prontezza meccanizzata mediante l"' esercizio"» costituisce salt anto una forma particolare e limitata di aggettivazione del potere, che caratterizza in modo peculiare le moderne società di massa, nelle quali l'obbedienza si contrae in una risposta automatica, svuotata di ogni consenso di legittimità, a forme di dominio ormai sviluppatesi in strutture anonime e oggettive. La ricchezza e la complessità del pensiero politico weberiano, la cui sociologia dissolve dall'interno alcuni concetti cruciali della teoria classica del potere, vengono, in realtà, misconosciute dallo stesso Luhmann, il quale, sulla scorta di un modello interpretativo sostanzialmente mutuato da Parsons (SAS, pp. 863-8), riduce il rapporto comando-obbedienza a semplice applicazione del modello di scopo, operante a livello dell'agire individuale, all'ambito del potere. L'orientamento «in modo razionale rispetto allo scopo» verrebbe, infatti, esteso al piano delle relazioni politiche, «attribuendo al potere la fun.3· Cfr. Duso (r988l, p. 498. 454 2!. POTERE E SISTEMA POLITICO IN NIKLAS LUHMANN zione di mezzo adattabile a scopi mutevoli, mediante il quale la volontà dell'autorità viene trasferita ai dominati» (SD55, pp. 173-214). La razionalità del potere si misura con la sua attitudine ad essere utilizzato come "mezzo" e lo esercita chi «è in grado di imporre agli altri i propri scopi» (5D55, p. I 77). A questa particolare attitudine vengono riferite le differenti forme di legittimazione, la cui funzione è proprio di giustificare tale uso. Secondo questa interpretazione, il concetto weberiano di potere resta imprigionato entro uno schema gerarchico e, insieme, monadico: le parti sono subordinate agli scopi del tutto, al quale servono soltanto come mezzi; il soggetto dell' azione .è unico, il detentore del potere, che trasmette e utilizza i risultati del comando di cui i subordinati sono semplici esecutori. Tale schema interpretativo sembra, nell'essenza, riprodurre la lettura di Parsons, che fa della «teoria volontaristica dell'azione», delineata da Weber, il fondamento di una «teoria sociale generalizzata», che ha al suo centro «il modello del rapporto intrinseco mezzi-fine» (SAS, pp. 867-83) 4 • La recezione che Luhmann propone dei concetti weberiani finisce cosi con l' eliderne alcuni degli aspetti che assumeranno un rilievo cruciale nella sua stessa concezione: la natura circolare e, in questo senso, sistemica della relazione comando-obbedienza e, inoltre, la limitazione del tutto della politica ad un ambito specifico dei rapporti di potere, di cui costituisce soltanto una particolare, anche se decisiva, modalità. 21.2 La critica alla filosofia sociale vetero-europea Sin dai primi scritti degli anni Sessanta, il sociologo tedesco pone in evidenza il paradosso che è all'origine della filosofia sociale vetereeuropea e che consiste nell'intendere la politica tanto come totalità onnicomprensiva, inclusiva di ogni forma di convivenza sociale, quanto come l'ambito peculiare entro il quale soltanto l'uomo può realiz. zare la sua essenza. La concezione aristotelica della polis, che interpreta la politica come parte e, insieme, come tutto, resta al fondo di buona parte della tradizione del pensiero occidentale, che si sforza di coniugare l'idea di una essenza costitutiva della società nel suo insieme con quella di una componente rappresentativa al suo interno. Ta4· L'interpretazione di Parsons sembra sostanzialmente condivisa da Habermas (r98I), che vede nel modello teleologico il nucleo della teoria weberiana dell'azione. La prospettiva critica qui suggerita è anticipata in Giacomini ( 1985 ), pp. 9-22. 455 IL POTERE le duplicità, non contraddetta, ma riformulata dalla distinzione moderna tra Stato e società civile, trae la sua origine da una situazione sociale, propria del mondo greco, che vede «la creazione di un dominio politico al di sopra degli arcaici legami parentali» (SDSS, p. 67) e «contemporaneamente [. . .] la collocazione, ancora senza alternative, dell'uomo in una società che è ora divenuta politica e verso la quale egli è debitore della propria esistenza» (SDSS, pp. 67-8). Tale condizione comincia già a modificarsi nell'epoca cristiana che rende possibile «depoliticizzare l'individualità umana e considerarla da un punto di vista etico-sociale» (SDSS, p. 68) e si sviluppa, nella transizione dalla società feudale a quella moderna, attraverso un progressivo esautoramento della sfera politica a vantaggio di altre dimensioni della vita sociale, prima fra tutte quella economica. Di fronte a queste trasformazioni, gli schemi teorici che ancora riflettono l'immagine di una società centrata sulla politica perdono via via ogni capacità esplicativa ed esigono di essere abbandonati o, quantomeno, profondamente rinnovati. Altrettanto critico si mostra Luhmann di fronte a quei tentativi che, pur essendo consapevoli di come il concetto di politica sia divenuto problematico, ne danno una determinazione contenutistica. In questa prospettiva vengono ugualmente respinte gran parte delle definizioni proposte dalla fine del secolo scorso ad oggi: «che politico sia tutto ciò che concerne lo Stato, o ciò che concerne il bene pubblico o pubblici interessi, ciò che riguarda il potere, che [ .. .] sia deci.sione creativa e irrazionale sull'imprevedibile» o «orientamento alla distinzione di amici e nemici» (CPP, p. 70). Al contrario, per Luhmann, il problema va aggredito da un punto di vista del tutto formale, interrogando le funzioni svolte da quel particolare ambito costituito dalla politica, che nell'epoca contemporanea si è venuto differenziando da altri settori della società che si caratterizzano per diverse competenze e finalità. In controluce, infatti, alla costruzione gerarchica della società moderna, di cui il potere politico occupa il vertice, Luhmann coglie il lento svilupparsi di una trama di relazioni di tipo orizzontale tra sfere di azione indipendenti e specificate funzionalmente. La crisi dell'organizzazione sociale per ceti conduce alla progressiva dissoluzione di ogni regola universale capace di esprimere e ordinare i rapporti tra funzioni e ruoli sociali diversi. Nel caso della politica, tale processo si manifesta emblematicamente nella piena positivizzazione del diritto, e cioè nella emancipazione delle forme di produzione di decisioni vincolanti da ogni obbedienza a leggi a loro volta non decise. Il fondamento contingente o, se si vuole, l'assenza di fondamento dello stato di diritto esige la costituzione di un ambito 2 I. POTERE E SISTEMA POLITICO IN NIKLAS LUHMANN indipendente, ma, insieme, connesso a quello del diritto, capace tanto di legittimarne la produzione e il mantenimento quanto di giustificarne gli eventuali mutamenti. Si spiega cosi, secondo Luhmann, la differenziazione di un sistema politico, all'interno del quale, accanto alla sfera dell'amministrazione, competente a decidere nell'ambito della norma giuridica, si specifica un ambito più propriamente politico volto ad ottenere una legittimità che non può più essere presupposta. Nel suo ambito si definiscono non soltanto i procedimenti volti a predisporre un potenziale di consenso nei confronti delle deliberazioni amministrative, ma anche le forme entro le quali le esigenze di mutamento del diritto diventano esprimibili evitando di confondersi con la disobbedienza. 21.3 Metodo funzionale e teoria dei sistemi Alla luce di tale impostazione si spiega l'incontro di Luhmann con il metodo funzionalistico e con la teoria dei sistemi, intesa come sua coerente applicazione al problema della società US, pp. 3-30; 31-56). La crisi di ogni principio universalistico, volto sia a orientare secondo un senso unitario i comportamenti che a sostenerne uno schema esplicativo globale, richiede una profonda innovazione, tanto nei metodi di analisi quanto negli strumenti concettuali dell'indagine sociale. L'interpretazione luhmanniana del funzionalismo intende, innanzittutto, distinguersi nettamente dalle versioni anglosassoni di tale metodo - da Malinowski a Parsons - che riconducono il concetto di funzione entro uno schema di tipo causale, in base al quale la determinazione della «funzione di un'azione, di un ruolo o di un'istituzione» mira a «spiegarne [ .. .] l'esistenza effettiva» US, p. 4), e, al contempo, privilegiano il problema della stabilità, come condizione essenziale al cui raggiungimento ogni prestazione funzionale deve essere, in ultima analisi, finalizzata. «Cio che caratterizza i sistemi sociali - replica Luhmann - è il fatto che essi non hanno necessariamente bisogno di prestazioni specifiche delle quali non possono fare a meno. Alla conservazione di questi sistemi contribuiscono in maniera rilevante prestazioni che possono essere sostituite da altre prestazioni funzionalmente equivalenti» (15, p. 34). In quest'orizzonte diventa perspicuo lo scarto che oppone il funzionalismo radicale del sociologo tedesco, che tenta di interpretare la funzione indipendentemente da ogni presupposto antologico, dallo strutturai-funzionalismo di Parsons (55, pp. 2 7-9) che, viceversa, «presuppone I' esistenza di sistemi sociali caratterizzati da determinate 457 IL POTERE strutture, ponendosi poi il problema delle prestazioni funzionali necessarie perché i sistemi siano conservati» (IS, p. 130). In tal modo si sottraggono le strutture stesse ad ogni problematizzazione funzionale, finendo con l'assumerle come configurazioni necessarie di ogni possibile società. L'impostazione ontologico-causalistica finisce così con l'occultare il significato davvero innovativo del metodo funzionale. «La funzione non è un effetto da realizzare, ma uno schema di senso [ .. .] che organizza un ambito comparativo tra prestazioni equivalenti. La funzione designa un punto di vista specifico a partire dal quale possibilità diverse possono essere colte in un loro aspetto comune. Da questo punto di vista le singole prestazioni appaiono come equivalenti, intercambiabili, fungibili, mentre sono incomparabilmente diverse in quanto fenomeni concreti» (IS, p. ro). In questa prospettiva si tratta di rinvenire e confrontare una pluralità di prestazioni reczprocamente sostituibzli rispetto alla soluzione di un determinato problema, assunto come criterio di riferimento (ad esempio, nel caso della politica, quello della legittimazione) per l'individuazione di equivalenze. Alla base di tale metodo vi è l'idea che tanto le soluzioni quanto i problemi siano comunque sempre fungibili, revocabili, in ultima analisi, radicalmente contingenti. Ed è da un punto di vista funzionalistico che Luhmann individua il vizio di fondo delle teorie sociali e politiche della vecchia Europa. Il loro limite non sta tanto in una rappresentazione inadeguata della realtà del loro tempo, cui in buona sostanza corrispondevano, ma nella loro dipendenza da un quadro metafisica che le rendeva insostituibili. <,Per quelle teorie la società non può che essere società politica o società economica, e questo "essere" viene sottratto a una possibile problematizzazione attraverso il suo ancoramento alla "natura"». La definitiva rinuncia ad ogni presupposto antologico, comunque riformulato, richiede invece l'elaborazione di una teoria della società che sia in grado di <ìfare i conti con più sistemi funzionalmente differenziati, fra i quali il primato funzionale è suscettibile di variare», che sia, in altri termini, «compatibile con un numero molto più alto di possibili situazioni della società». Di qui l'esigenza di pensare alla società «in termini più astratti, a partire dal suo carattere di sistema sociale, di definirla, per così dire, come sistema sociale per eccellenza [ .. .] condizione della possibilità di altri sistemi sociali» (15, p. 163) 5. 5· L'impostazione metodologica fin qui descritta mostra quanto possa essere fuorviante la linea interpretativa, che trova in Habermas (1971) una delle sue più esplicite e importanti formulazioni- confermata anche in Habermas (r985l, pp. 348- 21. POTERE E SISTEMA POLITICO IN NIKLAS LUHMANN La peculiarità attribuita alla nozione di sistema nozione che Luhmann mutua dalla biologia e dalla cibernetica - consiste nella relazione che essa consente di concepire tra la società e gli altri sistemi sociali. Tale relazione era stata intesa dalla tradizione vetero-europea o «come ordine interno al rapporto esistente fra le parti, e fra le parti e il tutto» o in termini di gerarchia, assegnando «a una delle parti il primato [. .. ] e, di conseguenza la rappresentanza dell'insieme» US, p. r 64). Il concetto di sistema sociale si basa invece su un rapporto di selezione nei confronti dell'ambiente che si traduce nella creazione reiterata di sistemi al suo interno. I concetti di sistema e ambiente sono correlativi. «Ambiente» è quell'insieme di possibilità, entro il più vasto orizzonte della totalità degli eventi possibili, che un sistema può rappresentarsi e cogliere. "Sistema" è viceversa l'ordine che si costituisce connettendo quelle possibilita rappresentate e colte secondo determinate modalità. Tale correlazione chiama in campo un termine fin troppo noto del lessico luhmanniano: "complessità". Esso può essere correttamente compreso solo alla luce dell'operazione fondamentale, mediante la quale i sistemi sociali si costituiscono distinguendosi dall'ambiente, consistente nella "riduzione di complessità" e, cioè, nella selezione, dalla molteplicità delle possibilità accessibili nell'ambiente, di un insieme più ristretto di alternative, suscettibili di essere connesse secondo un determinato ordine. In termini meno astratti «la problematica peculiare della complessità sociale [ ... ] consiste nel fatto che non si può mai essere sicuri di concordare con altre persone nell'esperienza e nell'azione» (IS, p. 84). «[ .. .] che l'altro viva un'esperienza nello stesso modo in cui la vivo io, che veda le stesse cose, che condivida gli stessi valori, che viva con lo stesso ritmo di tempo, che si porti dietro la stessa storia» US, p. 83), in altri termini, la "doppia contingenza" che contraddistingue la relazione sociale, definisce l'orizzonte problematico cui la formazione èlel sistema deve dare soluzioni. Si tratta, cioè, di definire un orizzonte di senso entro il quale siano suscettibili 8 3 - secondo la quale lo stesso approccio sistemico renderebbe impossibile qualsiasi analisi realmente innovativa del Moderno. La stessa sottovalutazione della ricchezza e, soprattutto, dell'originalità della costruzione teorica elaborata da Luhmann si ritrova in buona parte della letteratura critica eli lingua tedesca (cfr. Link, Marx, 1975; Schneider, 1976; Zimmerli, 1979) ed è ripresa anche in alcuni stueli italiani (tra gli altri: De Giorgi, 1979; Borsoni, 1983). Per un'analisi chiara ed attenta dell'articolato percorso concettuale luhmanniano, si segnalano invece i numerosi stueli di A. Febbrajo, che introducono molte traduzioni italiane delle opere del sociologo tedesco, e soprattutto Febbrajo (1975); gli scritti eli D. Zolo (in particolare Zolo, 1983) e quelli di G. Marramao (soprattutto Marramao, 1985). 459 IL POTERE di attese non soltanto l'esperienza e l'azione degli altri, ma le loro stesse aspettative nei nostri confronti. In questo senso la funzione fondamentale della costituzione di sistemi sociali non sta tanto nel collegare tra loro gli individui, ma le loro azioni ed esperienze, connettendole entro differenti ambiti di senso. Così nella società moderna, funzionalmente differenziata, uno stesso individuo è inserito in diversi sistemi sociali ciascuno dei quali organizza distinti campi di azione e di esperienza secondo regole proprie. 21.4 La società funzionalmente differenziata dell'Europa moderna L'operazione fondamentale mediante la quale il sistema riduce la complessità sociale, realizzandosi come tale, è la differenziazione, la formazione, cioè, al proprio interno di altri sistemi, replicando per ciascuno di essi la differenza sistema-ambiente. L'ipotesi a cui Luhmann lavora è che «la complessità che un sistema sociale può raggiungere, dipenda dalla /orma della sua differenziazione» (SSS, p. 20). Vengono così delineate tre modalità principali di creazione di sottosistemi interni alla società, che si presentano ordinate a seconda del diverso grado di complessità interna che rendono disponibile all' esperienza e all'azione e, perciò, di rafforzamento della selettività. La differenziazione segmentaria «suddivide un sistema in sottosistemi uguali: suddivide ad esempio una società arcaica in tribù, le tribù in clan e questi, a loro volta, in famiglie; oppure essa si articola primariamente secondo un criterio territoriale in villaggi o case, aventi ciascuno la stessa struttura interna. La semplificazione ambientale all'interno della società consiste allora nel fatto che ciascun sottosistema può presupporre un'approssimativa uguaglianza degli altri e che le differenze - una famiglia ha, per esempio, un maggior numero di figli di un'altra - si collocano nel quadro di un significato pratico facilmente valutabile» (IS, p. 171). Un caso particolare della differenziazione segmentaria è la differenziazione stratificatoria che complica lo schema orizzontale originario introducendo il principio verticale della gerarchia che dispone i segmenti secondo strati disuguali. La società feudale ne costituisce uno dei tanti esempi. Alla diversità dei livelli corrisponde, in alcuni casi, una diversità di funzioni: quelle politiche, ad esempio, o quelle culturali sono spesso riservate ai ceti elevati. Il loro esercizio resta tuttavia limitato allo strato e, perciò, al posto che esso ha nel tutto. «Questa delimitazione viene fatta saltare nel passaggio al princi- 21. POTERE E SISTEMA POLITICO IN NIKLAS LUHMANN pio della differenziazione funzionale. Questa forma di differenziazione si è realizzata una volta soltanto: nella società moderna che deriva dall'Europa» (555, p. 2 5). Ciascun sottosistema esercita un'unica e particolare funzione (la produzione economica, l'assunzione di decisioni collettivamente vincolanti, la regolamentazione giuridica dei conflitti, l'assistenza medica, l'educazione, la ricerca scientifica ecc.) indipendentemente da qualsiasi regola sociale generale che ne predetermini il grado d'importanza. Del tutto peculiare è la completa rinuncia a classificare secondo un ordine generalmente valido tali funzioni: la priorità che esse possono assumere di volta in volta «può essere regolata solo a seconda della ·situazione L..J. Ogni sistema può, anzi deve, ipostatizzare la sua funzione in rapporto a tutti gli altri; ma, a livello dell'intera società, il rapporto graduale delle funzioni resta non regolato» (555, pp. 25-6). La società funzionalmente differenziata è, dunque, una società senza vertice e senza centro, priva di forme generalizzate di controllo, ma anche di espressione, senza capi, ma anche senza rappresentanti. Nella società stratificata tali compiti erano di fatto attribuiti alla nobiltà ed erano svolti dalla politica e dalla religione, che erano riservate alle maiores partes della società. Tale perdita di un ordine anche simbolico, valido per l'intera società (sopra/sotto, nobile/comune, puro/impuro) fa si che ciascun sottosistema si riferisca alla società soltanto dal proprio punto di vista, con il proprio linguaggio, secondo i propri interessi e le proprie priorità funzionali, ignorando quelli degli altri. All'aumento dell'interdipendenza sistemica che la specializzazione funzionale produce, si accompagna una crescita di indifferenza reciproca. Di qui anche l'orientamento sempre più marcatamente autoreferenziale di ciascun sottosistema, che deve trovare al proprio interno e a partire da se stesso la propria identità 6 • Una delle conseguenze più rilevanti della transizione da una forma di differenziazione ad un'altra è il profondo mutamento nel modo di definire l'identità della persona. Questa, nelle società segmentarie e stratificate, era definita essenzialmente dall'appartenenza ad un gruppo sociale e soltanto accidentalmente dalla sua esistenza privata. 6. Il principio dell' autoreferenzialità è alla base della più recente elaborazione della teoria sistemica, contenuta in Sistemi sociali (SS), che lo stesso autore defìnisce come un vero e proprio <<cambio di paradigma». Un'utile guida per comprendere la più recente svolta del pensiero luhmanniano si trova in Febbrajo (1990), pp. 9-56; per le conseguenze di tale riformulazione sulla teoria politica, si può vedere Giacomini (1991), pp. 268-302. IL POTERE Al contrario, la società moderna è una società di sistemi sociali e di individui privati, che partecipano a una pluralità di sfere d'azione, senza che nessuna di queste ne esaurisca l'identità. Al principio della solidarietà si sostituisce quello dell'inclusione, per cui «ogni persona [ .. .] deve poter accedere a tutti gli ambiti funzionali a seconda del bisogno, delle situazioni, delle capacità funzionalmente rilevanti o di altri punti di vista [ ... h (555, p. 29). Il principio moderno della naturale eguaglianza degli uomini e quello correlato della libertà inalienabile di ciascuno esprimono con chiarezza la possibilità consentita ad ogni individuo di accedere, senza limitazioni sociali, a qualsiasi posizione o ruolo che egli sia in grado di raggiungere, ma al contempo sanciscono il dissolversi di ogni identità socialmente costituita: ciò che accomuna gli uomini e li rende uguali è soltanto la loro unicità. «Non si tratta più di ben vivere, si tratta di inclusione. Non si tratta più della forma di perfezione della condotta di vita [ ... ] che era rimasta aperta al singolo in società stratifìcate a ogni livello della gerarchia sociale, ma si tratta [. .. ] che ognuno deve avere parte a ogni funzione L..h (CP05, pp. 66-y). Di qui due fenomeni caratteristici delle contemporanee società di massa: la crescente spersonalizzazione dei rapporti sociali e, per converso, la ricerca di legami intensamente personali. I rapporti che ciascun individuo stabilisce con gli altri, in ogni sfera d'azione, saranno sempre parziali, non investiranno mai la persona nella sua interezza, che come tale non entra in nessuna relazione. A tale tendenza si oppone l'esigenza di un incontro diretto e senza mediazioni con l'altro, nella cui esperienza ritrovare l'identità che si è frantumata nel mondo sociale. 2!.5 Potere e sistema politico in una società complessa La rappresentazione della politica e del potere in una società funzionalmente differenziata presenta caratteri del tutto peculiari che, secondo la concezione luhmanniana, mettono radicalmente in discussione la dottrina classica, antica e moderna. La distinzione, già presente in Weber, viene radicalizzata da Luhmann, che estende all'intera società l'azione del potere, mentre restringe ad un particolare sottosistema il funzionamento del potere politico. La differenza concettuale, che tuttavia sin dall'inizio egli intende evidenziare rispetto all'impostazione del suo predecessore, si esprime innanzittutto nell'abbandono della nozione di Herrscha/t, che 21. POTERE E SISTEMA POLITICO IN NIKLAS LUHMANN egli intende secondo l'accezione più ristretta di "dominio", e nell'adozione di quella di Macht, a cui attribuisce un significato ben più esteso e complesso di quello assegnatogli da W eber. Utilizzando gli strumenti concettuali, linguistici e metodologici propri delle contemporanee scienze dell'informazione, Luhmann si propone di rifondare la nozione di potere a partire da una «teoria generale della comunicazione caratterizzata dalla generalizzazione simbolica». Essa muove «dal presupposto fondamentale che i sistemi sociali si costituiscono unicamente attraverso la comunicazione» (PCS, p. 2) e, cioè, grazie a quell'evento consistente nel trasmettere e comprendere informazioni. Il semplice uso del linguaggio, come strumento di comunicazione distintivo dell'uomo, non è sufficiente a realizzare la funzione fondamentale della comunicazione sociale, che Luhmann fa consistere nella capacità del messaggio di essere efficace, e cioè di fungere da premessa del comportamento altrui. Vi è sistema sociale solo se le comunicazioni, oltre ad essere comprese, sono accettate, solo, cioè, se la possibilità di rifiuto, che il linguaggio lascia sempre aperta, viene opportunamente regolata. A tale scopo, i sistemi sociali elaborano particolari mezzi di comunicazione esplicitamente volti a trasformare i messaggi in regole di comportamento per coloro che li ricevono. In questo contesto, la specificità del potere consiste nel favorire la trasmissione di decisioni, in modo tale che le scelte di chi detiene il potere vengano assunte come presupposto del comportamento di chi lo subisce. Esso consente «di selezionare, attraverso una decisione propria, un'alternativa per altri, di ridurre la complessità altrui» US, p. r9ol. A fondamento di tale possibilità, sta il «fatto che il detentore del potere dispone permanentemente di un numero più alto di alternative pertinenti rispetto a colui che è soggetto al potere: si pensi a possibilità di costrizione fisica, a possibilità di ricompensa, a possibilità di abbandonare la cooperazione con il risultato di distruggerla» (IS, p. r5ol. Le superiori capacità d'azione non sono tuttavia sufficienti a garantire l'accettazione di decisioni altrui; è, altresì, necessario un consenso di legittimità messo a disposizione di chi esercita il potere. Se per molti aspetti la determinazione luhmanniana della nozione di potere sembra sviluppare motivi teorici propri all'impostazione weberiana, c'è da chiedersi se il paradigma comunicativo non apra una prospettiva concettuale davvero inedita e capace di porre le premesse di un'effettiva fuoriuscita dall'orizzonte della filosofia politica classica, cui ancora Weber resta profondamente legato. È utile, in questa direzione, riportare innanzitutto l'attenzione sull'idea del potere come mezzo di comunicazione generalizzato sim- IL POTERE bolicamente, richiamando le differenze che essa introduce rispetto a due modelli concorrenti nella filosofia politica contemporanea: quello della partecipazione democratica e quello coercitivo, che vede nell'esercizio della forza il fondamento di ogni potere. Il primo modello può essere ricondotto all'idea che il potere possa essere dissolto nell' autorappresentazione libera, perfettamente trasparente, totalmente pubblica dei differenti interessi e delle diverse identità dei soggetti politici. Tale idea dà voce ad una tendenza, particolarmente accentuata nelle moderne società complesse, ad una diffusione del potere «che si forma e si conserva al di fuori di un qualunque rapporto con il sistema politico: pensiamo soprattutto al potere all'interno della famiglia [ ... ] ed al potere dei sacerdoti, poi al potere nell'ambito dell'economia [. .. ] senza dimenticare infine il fenomeno attuale del potere esercitato nell'ambito scolastico» (PCS, p. ro7). La differenziazione funzionale, aumentando con la specializzazione anche le interdipendenze tra i diversi sistemi, moltiplica ulte-. riormente le fonti di potere che non sono più controllabili da alcun centro né ordinabili secondo principi gerarchici. Il tentativo di rispondere al divario, che Luhmann ritiene costitutivo delle società complesse, tra potere sociale e potere politico, estendendo ad ambiti non politici il modello della partecipazione democratica di tutti gli interessati alla produzione delle decisioni, viene nettamente rifiutato. La "democraticizzazione", infatti, mettendo in questione con un' operazione meramente ideologica la specificità e i limiti della funzione politica, !ungi dal redistribuire il potere, finisce con il bloccare l'attività decisionale e delegittimare il sistema politico. Ad una impostazione dello stesso tipo si rifà il modello dello stato del benessere, operante in base al principio per cui tutti hanno il diritto di accampare e far valere pretese nei confronti del sistema politico. La tendenza ad includere sempre ulteriori aspetti della vita nell' ambito della garanzia politica sancisce il principio dell'universale competenza dello Stato, cui viene attribuito il compito di risarcire ogni cittadino di tutto ciò che sperimenta come svantaggio. Tale situazione segna una drastica involuzione nel processo di differenziazione sociale in quanto tenta di riconsegnare al sistema politico la responsabzlità totale nei confronti della società (TPSB, pp. 58-65). Altrettanto criticabile si presenta, secondo Luhmann, ogni tentativo di riattualizzare l'idea, desunta dalla teoria classica del potere, secondo la quale esso trova nell'uso della forza tanto la sua origine, quanto il suo mezzo privilegiato di gestione. Tale concezione (PCS, p. 7) culmina nella definizione weberiana dello Stato, come detentore del monopolio legittimo della forza fisica. Luhmann denuncia, innan- 2!. POTERE E SISTEMA POLITICO IN NIKLAS u;HMANN zitutto, i presupposti teorici di una simile impostazione: l'idea del potere come una sorta di bene materiale, che può essere posseduto, perduto, redistribuito e, soprattutto, il permanere di una concezione gerarchico-transitiva che intende il comando come dominio di una parte della società sull'altra, che alla prima è inferiore e subordinata (PCP, pp. 2r-6r). La risposta di Luhmann si articola su due piani distinti. Da una parte la sua concezione del potere come mezzo di comunicazione generalizzato simbolicamente include due aspetti. Innanzittutto il carattere particolare di tale forma di comunicazione sta nel regolare in anticipo la possibilità del diniego mediante il riferimento alla forza: ad ogni decisione che viene comunicata si imputa un'alternativa da evitare e cioè una sanzione cui si rinvia in caso di disobbedienza. ricorso alla forza, ed è questo il secondo decisivo aspetto, vale solo se agisce simbolicamente, se viene minacciato e supposto, ma non effettivamente utilizzato. L'eliminazione dell'azione mediante l'azione fa crollare il potere, mostrando che la selezione che si voleva trasmettere non è stata accolta, che la comunicazione non è riuscita (PCS, pp. 69-80). Qui si apre il secondo piano della riflessione luhmanniana sulle funzioni peculiari del sistema politico nella società moderna. Esso è internamente differenziato in due sottosistemi: l'amministrazione (che include i tradizionali poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario) deputata alla produzione di decisioni collettivamente vincolanti, e la sfera strettamente politica (largamente coincidente con l'attività dei partiti), che comprende l'insieme dei processi volti alla produzione di legittimità. Nel suo ambito si definiscono tanto le forme mediante le quali i partiti politici recepiscono le istanze di trasformazione provenienti dagli altri sistemi sociali e dalla società, quanto i procedimenti attraverso i quali viene assicurato all'amministrazione un potenziale di consenso per decisioni ancora indeterminate. Non pochi problemi sono stati suscitati da tale modo di intendere la legittimazione, apparentemente ridotto ad una pratica istituzionalizzata di produzione di un consenso in nessun modo riconducibile ad una libera e consapevole adesione (PGLS, pp. r8-29l. In realtà, la questione che Luhmann intende sollevare riguarda le difficoltà che il sistema politico incontra a rendere valide decisioni che, da una parte, per il loro carattere sempre più specialistico sono sempre meno condivisibili, dall' altra non possono più accedere alle tradizionali fonti extrapolitiche, sacrali o naturali della legittimazione. In questo contesto la proposta luhmanniana si orienta in due fondamentali direzioni: da una parte il sociologo tedesco difende una n IL POTERE concezione restnttlVa della politica, consapevole dei suoi limiti e in grado di adeguare i suoi compiti all'effettiva capacità di produrre e far valere decisioni vincolanti (PC5, pp. IOJ-I4); dall'altra egli sottolinea la necessità di potenziare il carattere aperto e contingente del sistema politico rendendolo massimamente disponibile alla possibilità del cambiamento. È a questo livello che egli ritrova il significato più autentico della democrazia, finalmente liberata da false definizioni universalistiche, come ampliamento delle alternative a disposizione della decisione politica e come reversibilità della decisione stessa (5D55, pp. 65-84). L'apertura al mutamento viene connessa alla capacità del sistema stesso di riflettere la propria funzione sociale, in altri termini, di auto-osservarsi, considerando le proprie strutture come possibili anche diversamente (TP5B, p. 154; 55, pp. 65-r46). L'interpretazione che così Luhmann suggerisce della democrazia si sposta dal piano istituzionale a quello della teoria politica, intesa come cuore pulsante di un sistema democratico. All'idea tradizionale di una società centrata sulla politica sembra così contrapporsi quella di una società mentale, capace di una costante autoriflessione volta ad assicurare l'evoluzione di sistemi sempre più intelligenti e, cioè, maggiormente capaci di selezionare e ridurre complessità. Vita L'opera ed il pensiero di Nildas Luhmann (Luneburg, 1927), che dal 1968 insegna sociologia all'università di Bielefeld, documentano in maniera del tutto unica l'intrecciarsi di due tradizioni di pensiero profondamente diverse: quella più antica della filosofia politica e giuridica europea (da Hobbes a W eber e Kelsen) con quella assai più recente e composita, di matrice statunitense, che comprende la sociologia funzionalistica, la teoria dei sistemi e tutto !'arco delle discipline della comunicazione fino agli attuali orientamenti della biologia dell' autopoiesi. n risultato, testimoniato da una ricchissima produzione teorica, è il tentativo di fondare una teoria complessiva della società che sia davvero all'altezza della cultura contemporanea. Opere principali Wie ist soziale Ordnung mdglich? da Gesellscha/tsstruktur und Semantzk, n, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1981; Come è possibzle l'ordine sociale, Laterza, Bari 1995 ( =CPOS). Politzkbegriffe und die "Politisierung" der Verwaltung, in AA.vv., Demokratie und Verwaltung, Speyer, Berlin 1972; Concetti di politica e "politicizzazione" dell'amministrazione, trad. it. in AA.vv., Le trasformazioni dello stato. 21. POTERE E SISTEMA POLITICO IN NIKLAS LUHMANN Tendenze del dzbattito in Germania e in usA, Quaderni di "aut-aut", a cura di G. Gozzi, La Nuova Italia, Firenze I98o, pp. 70-94 (=CPP). Soziologische Aujkldrung r, Westdeutscher Verlag, Opladen I970; Illuminismo sociologico, Il Saggiatore, Milano I98 3 ( = IS). Potere e codice politico, Feltrinelli, Milano I982 ( =PCP). Macht, Ferdinand Enke Verlag, Stuttgart I975; Potere e complesstfà sociale, Il Saggiatore, Milano I979 ( =PCS). Politische Planung, Westdeutscher Verlag, Opladen I97I; Stato di diritto e sistema sociale, Guida, Napoli I978 ( =SDSS). Legztimation durch Verfahren, Luchterhand, Neuwied und Berlin I969; Procedimenti giurzdici e legzttimazione sociale, Giuffrè, Milano I995 ( =PGLS). Soziale Systeme. Grundriss einer allgemeinen Theorie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main I984; Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, Il Mulino, Bologna I 990 ( =55). Gesellscha/t.>struktur und Semantik, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main I 98o; Struttura della società e semantica, Laterza, Bari I 98 3 ( = 555). Politische Theorie im Woh/lahrtsstaat, G. Olzog Verlag, Miinchen I98I; Teoria polztica nello stato del benessere, Franco Angeli, Milano I983 ( = TPSB). Opere di Talcott Parsons citate Social System, Free Press, Glencoe (IL) I95I; Il sistema sociale, Comunità, Milano I98I ( =ISS). The Structure of Social Action, Free Press, Glencoe (n.) I937; La struttura dell'azione sociale, Il Mulino, Bologna I962 ( =SAS). Altre opere citate J. (I98r), Theorie des kommunicativen Handelns, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main; Teoria dell'agire comunicativo, trad. it. Il Mulino, Bologna I986. m. h985 ), Der phzlosophische Diskurs der Moderne, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main; Il discorso filosofico della modernità, trad it. Il Mulino, Bologna I987. HABERMAS J., LUHMANN N. (I97I), Theorie der Gesellscha/t oder Sozialtechnologie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main; Teoria della società o tecnologia sociale, trad. it. Etas Kompass, Milano I973· HABERMAS Letteratura critica Democrazia e potere nelle società complesse. Analisi della teoria di Niklas Luhmann, Ila Palma, Palermo. FEBBRAJO A. (I975), Funzionalismo strutturale e filosofia del diritto nell'opera di Niklas Luhmann, Giuffrè, Milano. BORSONI P. (I 98 3), IL POTERE ID. (1990), Introduzione all'edizione italiana di Luhmann, Sistemi sociali cit., pp. 9-56. DE GIORGI R. (1979), Scienza del diritto e legittimazione. Critica dell'epistemologia politica tedesca da Kelsen a Luhmann, De Donato, Bari. Duso G. (r988), Tipi del potere e forma politica moderna in Max Weber, in M. Losito, P. Schiera, Max Weber e le scienze sociali del suo tempo, ll Mulino, Bologna, pp. 481-512. GIACOMINI B. (r985), Razionalizzazione e credenza nel pensiero di Max Weber, Pegaso, Rovigo. ID. (r99r), Autoriflessività e sistema politico in Niklas Luhmann, in AA.vv., I limiti della politica, a cura di U. Curi, Franco Angeli, Milano, pp. 268302. LINK J., MARX K. (1975), Das Problem der Systemtheorie. Der Ansatz von Niklas Luhmann und seine politischen Folgen, Focus Verlag, Giessen. MARRAMAO G. (r985), L'ordine disincantato, Editori Riuniti, Roma. REBUFFA G. (r99r), Nel crepuscolo della democrazia. Max Weber tra sociologia del diritto e sociologia dello stato, Il Mulino, Bologna. SCHNEIDER F. ( r 976), Systemtheoretische Soziologie und dialektische Sozialphzlosophie. Ihre A./finita! und Differenz, Hain Meisenheim am Gian. ZIMMERLI w. c. (1979), Gerechtickeit ohne Menschen?, in "Studia Philosophica", 38, pp. r9r-2oo. zow D. (r983), Funzione, senso, complessità. I presupposti epistemologici del funzionalismo sistemico, introduzione a Luhmann, Illuminismo cit., pp. XIII-XXXIV. 22 Dal modello istituzionale-giuridico all'analitica del potere: Michel Foucault di Massimtliano Guareschi L'interesse di Miche! Foucault nei confronti del potere si definisce a partire dagli anni Settanta, nel contesto di ricerche volte a specificare i tratti salienti della cosiddetta società disciplinare. L'esigenza di un approccio al potere che proceda al di fuori degli schemi elaborati da secoli di riflessione filosofico-giuridica emerge infatti a partire dagli studi sulla nascita del sistema carcerario e sui dispositivi ad esso connessi che troveranno il loro compimento, nel 1975, in Sorvegliare e punire. Per cogliere l'operatività delle istituzioni e delle tecniche disciplinari, secondo Foucault, è necessario sottrarsi all'ipoteca della cosiddetta "ipotesi repressiva", ad uno schema interpretativo cioè che vede nel potere un'istanza solo negativa - di repressione e inibizione - che dall'alto agisce sul corpo sociale. Una simile revisione passa per una radicale messa in discussione del paradigma consolidato attraverso il quale vengono solitamente appresi il potere e la sua operatività. Gli spunti presenti in Sorvegliare e punire saranno in seguito approfonditi, non senza spostamenti e rielaborazioni, in La volontà di sapere, primo volume di una Storia della sessualità rimasta incompiuta, nonché in diversi interventi di più breve respiro, spesso legati alle immediate problematiche dell'agire politico. Come si diceva, centrale è in Foucault l'esigenza di una riproblematizzazione del concetto di potere, in rottura con la configurazione sedimentata da secoli di riflessione filosofico-giuridica. Al modello egemone, tuttavia, Foucault intende opporre non una diversa teoria del potere ma uno spostamento di piano, un cambio di prospettiva orientato verso un'analitica dei poteri. L'obiettivo sarà quindi non l'elaborazione di un apparato definitorio chiuso, quanto la progettazione di una griglia concettuale in grado di cogliere, nello specifico delle diverse contingenze, le differenti forme attraverso le quali passa l'esercizio del potere. Non una teoria del potere dunque, ma un' analitica delle relazioni di potere. Per potere Foucault intende «la molteplicità dei rapporti di forza IL POTERE immanenti al campo in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione» r. Operazione preliminare dell'analitica foucaultiana, rispetto agli approcci tradizionali, è un'inversione allo stesso tempo di scala e di senso. La chiave di intelligibilità del potere deve essere ricercata non sul piano della Sovranità, della Legge, dell'Autorità ma al livello molecolare di una "microfisica del potere", attenta alla pluralità di rapporti di forza che reggono e percorrono tutte le relazioni caratterizzate da qualche forma di asimmetria. Nel modello che il pensatore francese definisce istz'tuzionale-giurzdico o dr:;lla sovranità e della legge il potere è inteso in termini sostanziali, come una sorta di proprietà che può essere acquisita, ceduta, divisa. Le figure chiave della filosofia politica moderna, dal contratto alla delega, procedono da una simile logica che individua un luogo centrale, la Sovranità, a partire dal quale il potere discende, attraverso una dinamica univoca che passa per le diverse istanze intermedie, fino alle articolazioni più elementari della società. Diversamente Foucault, sulla scia di quella che viene colta come un'anomalia nello sviluppo della riflessione politica occidentale, Machiavelli, intende «pensare il potere [. .. ] in termini di rapporti di forza» Tuttavia, rispetto al segretario fiorentino, si impone una radicalizzazione: disfarsi della centralità del Principe per seguire il gioco dei rapporti di forza nelle sue manifestazioni più disseminate e periferiche. Per Foucault infatti il potere deve essere colto, in termini rigorosamente relazionali, come coestensivo ai singoli contesti nei quali accade, nella molteplicità di rapporti di forza che percorrono l'intero campo sociale. È all'interno delle singole relazioni che il potere, come rapporto di forza, trova la propria genesi e la propria "durata". «ll potere non si detiene, si esercita»: attraverso questa formula Foucault esprime in termini sintetici la distanza che lo separa dal cosiddetto modello istituzionale-giuridico. Il potere non possiede alcuna sostanzialità, non è un'entità cumulabile e capitalizzabile, esso esiste solo in atto, nel passaggio all'atto del suo concreto esercizio. Di conseguenza, figure quali il contratto, la delega, la divisione, all'interno della prospettiva disegnata dal pensatore francese, perdono ogni significato: è nel concreto delle singole trame relazionali, dei più diversi rapporti di forza, che devono essere seguite le vicende del potere. In tal senso l'intero tessuto sociale appare come percorso e costituito da relazioni di potere, e gli stessi antagonismi molari, le forme della Sovranità e della Legge, devono essere visti 2 • r. M. Foucault, La volonté de savoir (primo volume di Foucault 1976-r984), trad. it. p. 8r. 2. lvi, p. 86. 470 22. DAL MODELLO ISTITUZIONALE-GIURIDICO ALL'ANALITICA DEL POTERE non come origine ma come esito dei rapporti di forza disseminati in un vasto orizzonte che va dalla famiglia agli apparati produttivi, dalle istituzioni ai più diversi contesti di appartenenza. Le grandi opposizioni infatti devono essere viste come codificazioni che intervengono su una trama di relazioni di potere sviluppatesi altrove - nei molteplici nodi conflittuali nei quali si esercitano rapporti di forza - promuovendo distribuzioni, riallineamenti, selezioni. Le strutture della Sovranità e della Legge quindi anziché svolgere un ruolo demiurgico, strutturando dall'alto il campo relazionale sottostante, si limitano a esercitare una funzione egemonica, di integrazione strategica, facendo leva su dinamiche che hanno la loro origine altrove. È in tal senso che si deve parlare di ubiquità: il potere è ovunque «non perché avrebbe il privilegio di raggruppare tutto sotto la sua invincibile unità ma perché si produce in ogni istante, in ogni punto, o piuttosto in ogni relazione fra un punto ed un altro. Il potere è dappertutto; non perché inglobi tutto ma perché viene da ogni dove» 3. L'analitica foucaultiana, tuttavia, non si limita ad affermare l'esigenza di un ribaltamento di prospettiva e di scala, ma procede ad una tematizzazione, in termini generali, dei caratteri salienti del potere colto come dinamica eminentemente relazionale. Scendendo nel dettaglio, è necessario isolare gli elementi che stabiliscono la specificità dell'esercizio del potere distinguendolo, ad esempio, dall'esercizio della violenza: «Una relazione di potere [ ... ] si articola intorno a due elementi indispensabili affinché possa essere considerata, a pieno titolo, una relazione di potere: che l'"altro" (colui sul quale si esercita) sia riconosciuto e conservato fino alla fine come soggetto di azione; che si apra, di fronte alla relazione di potere, un campo di risposte, reazioni, effetti e invenzioni possibili» 4. Schematizzando, si potrebbe dire che mentre la violenza interviene direttamente sui corpi, il potere si caratterizza come azione che opera su un'altra azione, reale e possibile, inibendola, orientandola, suscitandola. Di conseguenza, lo specifico procedere del potere si caratterizza in termini non tanto di repressione, come vorrebbe una consolidata tradizione, ma di produzione, attraverso l'opera di selezione, inibizione, orientamento o supporto che esercita sulle azioni sottoposte alla sua influenza. Si tratta della cosiddetta produttività del potere, da intendere in un duplice significato: produzione di agire, attraverso l'orientamento operato sulle singole forze, e produzione. di soggetti agenti, attraverso la definì3· Ivi, p. 82. 4· M. Foucault, Deux essais sur le savoir et le pouvoir, in FoucatÙt (1994), p. 240. 47 1 IV, IL POTERE zione del loro possibile campo di azione. In termini generali, quindi, l'intero corpo sociale si presenta come coestensivo alle dinamiche di potere che lo percorrono, procedendo per linee che eccedono lo schema binario dominanti-dominati. Lo stesso individuo, ad esempio, assunto come dato originario da una delle linee dominanti della riflessione politica moderna, altro non è, agli occhi di Foucault, che una specifica combinazione di rapporti di forza, una configurazione stabilita da un particolare regime di circolazione delle dinamiche di potere: «Che un corpo, dei gesti, dei discorsi e dei desideri siano identificati e costituiti come individuo, ecco uno dei principali effetti del potere» 5. Precondizione all'esercizio dell"' azione sull'azione" è l'esistenza, in seno alla dinamica relazionale, di un disequilibrio, di un'asimmetria, che colloca una delle polarità in una posizione a partire dalla quale diviene possibile definire e strutturare il campo delle possibili azioni degli attori definibili come subalterni. La disimmetria costitutiva della relazione di potere, tuttavia, non può espandersi oltre certi limiti. Il soggetto subordinato, infatti, per essere agito dall'istanza di potere, deve conservare intatta la propria capacità di azione. Ad emergere è quindi il nesso potere-libertà; il potere infatti può essere esercitato soltanto su soggetti liberi: Non esiste quindi un faccia a faccia di potere e libertà, con un reciproco gioco di esclusione (là dove si esercita il potere la libertà scompare); ma un gioco molto più complesso; un gioco nel quale la libertà appare come condizione di esistenza del potere, ora sua premessa, affinché si dia esercizio del potere è infatti necessaria la libertà, ora come supporto permanente, in quanto se essa si sottraesse al potere che su di lei si esercita, quello stesso potere scomparirebbe all'istante e dovrebbe ricercate un sostituto nella coercizione pur e semplice della violenza 6 • Di conseguenza, per Foucault, il nesso potere-libertà deve essere interpretato in senso non antagonistico ma agonico. Immanenti alle medesime trame relazionali, potere e libertà si implicano reciprocamente. Nonostante ciò, il loro rapporto si presenta come costitutivamente conflittuale, come lotta permanente attraverso la quale si definiscono gli equilibri e le dinamiche che caratterizzano, in divenire, ogni singola relazione di potere. N ella libertà, quindi, non si deve vedere il luogo altro, che da una posizione di esternità si oppone, in 5· Foucault (1997). 6. Foucault, Deux essais sur le savoir et le pouvoir, cit., p. 472 240. 22. DAL MODELLO ISTITUZIONALE-GIURIDICO ALL'ANALITICA DEL POTERE termini esistenziali, al dominio. Potere e libertà sono interni l'uno all'altra, presi in un divenire conflittuale e agonico che procede attraverso il continuo riformularsi e ridefinirsi delle relazioni nelle quali accadono. In adiacenza, e negli stessi termini, si pone anche la questione delle resistenze che il potere, nel concreto dispiegarsi del suo esercizio, incontra. Ad esse non si deve guardare come a fenomeni accidentali, come a residui che il dispiegarsi della logica dei rapporti di forza è destinato inesorabilmente a dissolvere. Diversamente, l'esercizio del potere necessita del supporto di fuochi di resistenza che, in un certo modo, svolgano la funzione di punti di frizione sui quali far leva per attualizzare i rapporti di forza. I punti di resistenza, quindi, punteggiano l'intero reticolo di poteri che percorre la società. Tuttavia, aggiunge Foucault: «non c'è [ .. .J rispetto al potere, un luogo del grande Rifiuto L . .J, ma esistono resistenze, e di svariati tipi: possibili, necessarie, improbabili, spontanee, selvagge, solitarie, concertate, striscianti, violente, irriducibili, pronte al compromesso, interessate o sacrificali; per definizione non possono esistere che nel campo strategico delle relazioni di potere» 7. L'agonismo che segna il confronto di potere e resistenza si articola in termini strategici. Alle strategie della posizione di potere, che calibra il proprio intervento attraverso tecniche e saperi, rispondono, sull'altro versante, le strategie di sottrazione e resistenza. Per esprimere una simile dinamica Foucault ricorre ad un'immagine particolarmente eloquente: quella dei due lottatori di judò. Nell'antica arte marziale, ciascuno dei contendenti fa leva sulla forza dell'avversario per rendere efficaci le proprie tecniche. Tecniche, del resto, prive di qualsiasi consistenza al di fuori della loro applicazione agonica sull'altro. Lo stesso avviene nel confronto strategico fra potere e resistenza, un confronto nel quale si generano le stesse polarità in esso implicate. I rapporti di forza disseminati sull'intero spettro del sociale, tuttavia, non devono essere intesi in senso atomistico, come fuochi conflittuali autosufficienti e chiusi su se stessi. Nello strutturare le proprie opzioni strategiche, infatti, le polarità interne ai vari campi di forza agonici procedono a concatenamenti e disgiunzioni, a raccordi ed alleanze, che danno vita a stratificazioni e complessioni in continua mobilità: «Come la trama delle relazioni di potere finisce per formare uno spesso tessuto che attraversa gli apparati e le istituzioni senza localizzarsi esattamente in essi, così la dispersione dei punti di resistenza attraversa le stratifìcazioni sociali e le unità individuali. Ed è 7· La volonté de savotr, trad. it. cit., p. 85. 473 IL POTERE probabilmente la codificazione strategica di quei punti di resistenza che rende possibile una rivoluzione, un pò come lo Stato riposa sull'integrazione istituzionale dei rapporti di potere» 8 . Il riferimento alle strategie permette a Foucault non solo di rendere conto, restando all'interno della dimensione analitica microfisica o molecolare, degli antagonismi e delle linee di stabilizzazione che operano a livello macrafisico o molare, ma anche di caratterizzare in senso non soggettivo ma intenzionale le relazioni di potere. Come è scritto in La volontà di sapere: «non c'è potere che si eserciti senza una serie di intenti e di obiettivi» e più avanti: «la razionalità del potere è quella di tattiche, spesso molto esplicite al livello locale in cui si inserivano - cinismo locale del potere - che, connettendosi le une alle altre, implicandosi e propagandosi, trovano altrove la loro base e la loro condizione, delineano alla fine dei dispositivi d'insieme» 9. È all'altezza di tale latitudine problematica che si colloca uno dei temi in qualche modo classici di Foucault: il nesso potere-sapere. Ritorna, in proposito, la questione della produttività del potere. È infatti nel contesto delle strategie di potere che deve essere collocata la comprensione della genesi e delio sviluppo dei saperi più diversi, e in primo luogo delle scienze sociali. Una simile affermazione deve essere tuttavia accolta in termini circostanziati. Foucault, infatti, non afferma certo un rigido determinismo in base al quale ogni prodotto della conoscenza sarebbe da riferire all' operatività di un determinato campo di forze. Diversamente, si limita a rilevare come nell'ambito della produttività di determinate relazioni di potere si collochi, e non certo in termini accidentali, tutta una serie di saperi e forme di conoscenza e investigazione. In generale, come scrive Gilles Deleuze, per Foucault «i rapporti di forze resterebbero transitivi, instabili, evanescenti, quasi virtuali, e in ogni caso non saputi, se non trattenessero all'interno delle relazioni formate o strategiche che costituiscono i saperi» ro. Nella costruzione delle strategie di potere, quindi, la produzione e l'utilizzo di saperi si presenta come elemento performativo imprescindibile. E gli stessi saperi trovano la loro genesi e il loro sviluppo non in forma generale di sistema di rapporti di forza. Foucault, in proposito, non si limita ad affermazioni di carattere generale e generico, ma articola il proprio discorso all'interno di ricerche settoriali, sulla 8. lvi, pp. 85-6. 9· lvi, p. 84. w. Deleuze ( r986l, trad. it. p. 79· 474 22. DAL MODELLO ISTITUZIONALE-GIURIDICO ALL ' ANALITICA DEL POTERE penalità moderna e sulla sessualità in particolare, al quale viene affidato il compito di rendere discernibili i nessi potere-sapere emergenti in determinate congiunture storiche. In Sorvegliare e punire, ad esempio, viene seguita la stretta connessione, la genesi congiunta, che lega il dispiegarsi di tecniche disciplinari tendenti all'individualizzazione della pene allo sviluppo di saperi obiettivanti, dalla criminologia alla psicologia, che si propongono una classificazione e un'analisi sempre più dettagliata dell'essere umano. Una simile sequenza, tuttavia, deve essere intesa in termini circolari: i saperi, nel loro articolarsi, rimandano a insorgenze problematiche e a soggetti interamente costituiti e percorsi da rapporti di forza la cui attualizzazione, d'altra parte, dipende da quegli stessi saperi. Vita Miche! Foucault, grande protagonista della scena post-strutturalista francese, nasce a Poitiers il 15 ottobre 1926. Ultimati gli studi in filosofia, soggiorna per alcuni anni in Svezia e in Tunisia. Ritornato in Francia nel 1960, dopo diversi anni di insegnamento all'Università di Clermont-Ferrand diviene il pincipale promotore, nel 1968, della fondazione del dipartimento di Filosofia dell'Università di Vincennes. Nel 1970 viene nominato professore di storia dei sistemi di pensiero al Collège de France. Fra le numerose iniziative di forte impatto politico che lo videro protagonista si può ricordare il GIP (Groupe Information Prison), promosso insieme a Daniel Defert e Gilles Deleuze. Muore a Parigi, nel 1984. Opere principali Folie et déraison. Hùtoire de la folie à l'age classique ( r96r ), Plon, Paris (trad. it. Rizzoli, Milano r963l. Naissance de la clinique (r963l, PUF, Paris (trad. it. Einaudi, Torino 1969). Les mots et !es choses (1966), Gallimard, Paris (trad. it. Rizzoli, Milano 1967). L'archeologie du savoir h969), Gallimard, Paris (trad. it. Rizzoli, Milano 197r). Survetller et punir (1975), Gallimard, Paris (trad. it. Einaudi, Torino 1976). MicrofisiàJ del potere (1977), Einaudi, Torino. Histoire de la sexualité (1976-84), r-m, Gallimard, Paris (trad. it. Feltrinelli, Milano 1978-85). Il /aut défendre la société. Cours au Collège de France I976 ( 1997), Seui!, Paris (trad. it. Feltrinelli, Milano r 998). Dits et Écrits (1994), Gallimard, Paris (trad. it. parziale Fe!trinelli, Milano 1996-98). 475 IL POTERE Letteratura critica (I989l, Miche! Foucault, philosophe, Seuil, Paris. J. (I977l, Oublier Foucalt, Galilée, Paris (trad. it. Cappelli, Bologna 19 77) . BLANCHOT M., Miche! Foucault te! que l'imagine, Fata Morgana, Montpellier (trad. it. Costa e Nolan, Genova I988). CERTEAU M. DE (198o), L'invention du quotidien I, Arts de /aire, Gallimard, Paris. DELEUZE G. ( 1986), Foucault, Minuit, Paris (trad. it. Feltrinelli, Milano I987). m. (1997), Divenire molteplice. Saggi su Nietzsche e Foucault, Ombre Corte, Verona. DREYFUS H., RABINOW P. (I98z), Miche! Foucault. Beyond Structuralism and Hermeneutics, Chicago UP, Chicago (trad. it. Ponte alle Grazie, Firenze I989). HABERMAS J. (I98J), Der philosophische Diskurs der Moderne, Suhrkamp, Frankfurt a. M. (trad. it. Laterza, Roma·Bari 1987). LLOYD M., THACKER A. (eds.) (I997), The Impact of Miche! Foucault on Soeia! Sciences and Humanz!ies, St. Martin Press, New York. MACEY n. (1993), The Lives o/ Miche! Foucault, Hutchinson, London. REVEL J. (I 996), Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri, Roma. ROVATTI P. (a cura di) (I988), Effetto Foucault, Feltrinelli, Milano. VEYNE P. (I 9 7 8), Foucault revolutionne l'histoire, in Id., Comment on écrzt l'histoire, Seui!, Paris (trad. it. Foucault. La storia, zl nzhzlismo, la morale, Ombre Corte, Verona 1998). AA.vv. BAUDRILLARD I tentativi di nuova fondazione: neoliberalismo, neocontrattualismo, comunitarismo di Pierpaolo Marrone 23.1 Deficit normativo del liberalismo? A partire dall'inizio degli anni Settanta si è assistito a un vero e proprio riesplodere di tematiche etico-politiche, che dall'iniziale ambito anglosassone e analitico si è ben presto, e fecondamente, propagato anche in ambiente continentale, giungendo a interessare anche vasti settori extra-accademici. Non è naturalmente semplice, come accade sempre per ogni fenomeno culturalmente vivo, indicare con precisione cause prime e seconde, ed eventuali effetti di tale rinnovato interesse per la filosofia politica. Va notato probabilmente che questo si è accompagnato alla percezione in sempre più vasti settori scientifici - e non solo - di un, per così dire, deficit normativa delle società liberai-democratiche. Nello stesso tempo, il progetto politico di un'estensione delle società liberai-democratiche ad aree geo-politiche nuove e non coinvolte nel secondo dopoguerra nella cooperazione - anche economica - con le aree della democrazia rappresentativa è divenuto improvvisamente attuale a partire dagli anni Ottanta, sull'onda dei ben noti avvenimenti politici internazionali. La percezione del deficit normativa di cui si diceva si è ritradotta, per lo più, in un'esigenza di nuova fondazione teorica degli istituti tipici delle democrazie liberali occidentali - protezione dei diritti individuali, istituzioni rappresentative periodicamente elette, separazione dei poteri ecc. Questa esigenza fondativa ha naturalmente seguito strade diverse, ma è stata segnata generalmente da una ripresa delle tematiche contrattualistiche e da un - presunto - declino del paradigma utilitaristico, che aveva, viceversa, contrassegnato la riflessione etico-politica angloamericana fino agli anni Settanta. Nella maggior parte della riflessione angloamericana, le prestazioni teoriche fondative si sono, in vari modi, tradotte in un tentativo di 477 IL POTERE giustificazione etica dell'imparzialità politica dello Stato liberale verso i cittadini e le loro diverse, e talvolta conflittuali, concezioni del bene. Mostrata la possibilità di contenere il conflitto sociale a costi moralmente e prudenzialmente accettabili, sarebbe infatti piuttosto semplice - e probabilmente doveroso - concludere verso una superiorità intrinseca di ordine etico-politico degli istituti liberai-democratici. A tale sforzo fondativo vanno tuttavia ascritti, a parere di chi scrive, anche quei pensatori che esplicitamente ritengono che una fondamentale incapacità autogiustifìcativa sia propria, e non accidentalmente, del liberalismo; mi riferisco ai pensatori "comunitari". In questi ultimi, la coscienza di una carenza di senso del soggetto liberale e della comunità liberale giocano un ruolo centrale che ha anch'esso alimentato intensamente il dibattito filosofico-politico di questi ultimi anni. 2J.2 Due significati di "costruttivismo" Il paradigma hobbesiano della potestas come autofondantesi, ovvero non bisognosa del confronto e della derivazione da un modello trascendentale di bene, di eticità, di moralità, di comunità politica, può a buon diritto segnare una cesura critica ed epocale ed inaugurare quello spazio concettuale che si designa come modernità. Si tratta, secondo alcune interpretazioni, di un modello radicalmente costruttivista di designazione del potere, dal momento che individua la solo fonte autoritativa legittima nel potere stesso. Questo primo è, tuttavia, solo uno dei sensi in cui il termine "costruttivismo" ha avuto corso nel recente pensiero politico. Oltre a quello designato - che presenta il vantaggio di essere uno strumento interpretativo potentemente riduzionistico - ve ne è un altro che deve essere ricordato perché la sua diffusione è stata in anni recenti notevole soprattutto nella cultura angloamericana. In questa seconda accezione del termine, il problema non è tanto la derivazione e la giustificazione del potere in sé, quanto piuttosto la giustificazione degli istituti politici liberali. Si tratta di una giustificazione che può essere considerata costruttivistica in base all'accezione che ne è data da Rawls, seguendo le indicazioni epistemologiche di N. Goodman '. Siamo in presenza di una giustificazione costruttivistica quando tentiamo di accordare determinate nostre intuizioni, credenze, pratiche sociali con i casi ordinari o straordinari che si presentano nella prassi 2 3. NEOLIBERALISMO, NEOCO"'TRATTUALIS~fO, COMUNITARISMO etico-politica - o morale, o conoscltlva. Si tratta di una pratica che presuppone uno sfondo di credenze, che si presume possa venire assunto criticamente e che possa portare a un riordinamento dei nostri principi e delle nostre intuizioni etiche, morali, politiche ecc. sin tanto che si instaura quello che viene chiamato equilzbrio riflessivo. Questa strategia giustificativa è al centro dell'opera che più di ogni altra ha contribuito a rilanciare la riflessione filosofico-politica in ambito angloamericano, ossia Una teoria della giustizia di J. Rawls \ cui fanno capo i nuovi e variegati tentativi di giustificazione delle comunità politiche liberali. 2 3·3 Il paradigma utilitaristico Ma prima di affrontare alcuni nodi centrali della prestazione teorica di Rawls è opportuno ricordare per sommi capi che 1' opera di Rawls interveniva in un panorama della riflessione etico-politica che sembrava a molti consolidato, e per più di una ragione, ovvero per ragioni anche in parte contrastanti: da un lato, ad alcuni sembrava che la filosofia politica fosse una disciplina morta dopo la riflessione neopositivistica che assegnava valore di verità solo agli enunciati o empiricamente verificabili o logicamente consistenti; dall'altro, sembrava che si fosse definitivamente spenta, dopo i grandi classici del passato Hobbes, Locke, Hume, Kant- nelle sue grandi capacità propositive. Tuttavia non si era trattato unicamente di un affievolirsi della riflessione etico-politica. Si trattava anche del fatto che in ambito angloamericano risultava ampiamente frequentato e maggioritario, almeno sino agli inizi degli anni Settanta, un paradigma di pensiero, quello utilitaristico 3. La tradizione utilitaristica si era innestata nel solco inglese tracciato da Hobbes e Hume affiancando alla riflessione teorica una sua peculiare tensione riformatrice. Il nucleo centrale dell'utilitarismo consiste in una teoria monistica della motivazione ad agire, che vale tanto per le azioni individuali che non coinvolgono altri attori sociali, quanto per quelle che richiedono invece un grado qualsiasi di coordinazione e cooperazione. L'utilitarismo è una teoria allo stesso tempo descrittiva, prescrittiva ed ascrittiva, poiché ritiene di essere in possesso di un criterio esplicativo delle scelte umane e di una regola razionale per l'azione individuale e sociale_ Per l' utilitarismo le azioni 2. Rawls (1971). 3· Veca, Maffettone (1996), p. 155. 479 IL POTERE devono essere valutate e graduate in base alle conseguenze che generano per i nostri piani di vita individuali e collettivi (tale dottrina prende il nome di conseguenzialismo). Poiché ciò che governa la nostra condotta è esclusivamente il piacere e la pena, le nostre azioni possono essere ordinate in base all'utilità che producono. Da ciò deriva che la giustizia è la massimizzazione dell'utilità collettiva data per una comunità - coincidente, asintoticamente, con il genere umano o, secondo alcune versioni, con l'insieme degli esseri animati. L'utilitarismo è quindi convinto di saper fornire una risposta precisa alla domanda «qual è l'azione eticamente corretta dal punto di vista dell'agire politico?»: si tratta di quell'azione che mostra la tendenza ad aumentare la felicità di una comunità rispetto alla sua capacità di diminuirla. Espressioni quindi come "dovere", "diritti", "giusto", "ingiusto" hanno senso solo se sono connesse al principio di utilità, e altrimenti, come si esprimeva Bentham, risultano soltanto in pomposi non-sensi. L'assunto forse principale di questo programma riduzionistico consisteva nella capacità di effettuare comparazioni interpersonali delle utilità fra i diversi attori, in maniera tale da poter aggregare e comparare le utilità fra di loro in vista della scelta di pratiche sociali determinate. Ma questo può dar luogo a esiti controintuitivi dal punto di vista delle società liberali. Poniamo che una data società manifesti una preferenza della maggioranza dei suoi membri per i comportamenti eterosessuali. Poniamo anche che in tale società esista un solo membro omosessuale. La sua preferenza si dà il caso che generi un forte disagio nella maggioranza. Che cosa si dovrà fare? Sembrerebbe che si debba reprimere il comportamento dell'unico membro omosessuale. Ma ciò pare contrastare con il principio che le relazioni fra adulti consenzienti appartengono alla sfera individuale e non devono essere censurate. Inoltre, mentre il principio di determinazione di scelta fra alternative in competizione può essere soltanto quantitativo, questo deve pure tenere in qualche conto il fatto che le preferenze si riferiscono a individui differenti. Altrimenti ciò genererebbe esiti non ottimali. Sarebbe cioè possibile che un'azione sociale produca un grande vantaggio per un gruppo molto ristretto di individui, tale da essere soverchiante nel calcolo delle utilità, e vantaggi inferiori per la maggioranza. È questo il caso della monopolizzazione di certi beni - l'informazione, ad esempio. Altri esiti controintuitivi alcuni hanno creduto di poter derivare da situazioni formalmente strutturate come il dilemma del prigioniero, che forse riguarda però soprattutto una specie di utilita- 23. NEOLIBERALISMO, NEOCONTRATTUALISMO, COMUNITARISMO rismo - l'egoismo - e una situazione ben delimitata - la carenza informativa 4. Rimane il fatto che per l'utilitarismo il problema del potere pare essere un problema ingegneristico di efficienza. Le democrazie liberali vengono sì considerate le istituzioni politicamente ed eticamente preferibili, ma in base a considerazioni indirette sulle loro conseguenze secondarie 5. 23·4 La teoria della giustizia di J. Rawls Un rovesciamento di questi problemi viene introdotto dalla prestazione teorica di Rawls, che esplicitamente si propone di riprendere le fila della tradizione del contratto sociale così come si era espressa nelle opere di Locke, Rousseau, Kant, portandole a un più alto livello di astrazione. È notevole, del resto, in questo elenco dovuto allo stesso Rawls, l'assenza di Hobbes, ma non se noi pensiamo che l'intento di Rawls sia giustificativo - nel senso sopra ricordato - nei confronti delle istituzioni liberali. L'astrazione che ha in mente Rawls corrisponde a un desiderio di riguadagnare concretezza, ripensando i termini essenziali dei problemi della libertà e della giustizia, assumendo che ogni teoria etica ragionevolmente completa non può fare a meno di includere una serie di principi relativi a questi problemi, che formeranno quindi la teoria della giustizia di quella particolare dottrina. Si pone però il problema dell'accettazione la più larga possibile di tale nucleo, per cui Rawls si accinge a descrivere una serie di atti che individui razionali, che perseguono i propri interessi, compirebbero per definire i termini della loro vita associata e le forme successive della cooperazione sociale - anche quelle non immediatamente evidenti. Queste forme si condenseranno alla fine in una serie di atti costituzionali, istituzionali, e giudiziari, ma affinché i principi scelti 4· Ricordo brevemente il dilemma del prigioniero. Ci sono due prigionieri e un giudice. I due prigionieri non possono comunicare fra di loro. Il giudice propone delle pene diversificate a seconda che confessino uno, entrambi, nessuno. Se entrambi confessano la pena è di sei anni di carcere, se uno confessa e l'altro no, il primo prigioniero se ne va libero e l'altro prende dieci anni, se entrambi non confessano la pena è di tre anni ciascuno. Che cosa è razionale fare? Poiché i prigionieri non possono comunicare fra di loro, sembrerebbe che si debba confessare, ma ciò genera un esito sotto-ottimale rispetto alla non confessione. 5. Di qui anche Llll sostanziale disinteresse dei primi utilitaristi, Bentham e J. Mill, per i problemi della forma di governo. IL POTERE siano effettivamente soddisfacenti dobbiamo essere in grado di pensare a una situazione iniziale di eguaglianza nella capacità di scelta dei principi. Tale eguaglianza riguarda per Rawls non tanto una eguale definizione metafisica degli attori, quanto un eguale accesso alle informazioni, il che è espresso dalla metafora del velo di ignoranza, che per Rawls vincola immediatamente all'imparzialità. Se nella situazione iniziale di scelta gli attori sono collocati dietro questo velo, allora «nessuno conosce il proprio posto nella società, la sua posizione di classe o il suo status sociale; lo stesso vale per la sua fortuna nella distribuzione delle doti e delle capacità naturali, la sua forza, intelligenza e simili. Inoltre, nessuno conosce la propria concezione del bene, né i particolari dei propri piani di vita e neppure le proprie caratteristiche psicologiche particolari»~. Non vi sono nemmeno indicazioni precise del livello culturale ed economico necessario per effettuare una scelta di questo genere. Rawls ammette solo genericamente che il livello di vita debba essere sufficientemente elevato da poter permettere una vasta molteplicità di opzioni. Queste condizioni esigenti - secondo alcuni troppo esigenti hanno come scopo di escludere dalle scelte possibili sia il comportamento del free rzder - la versione economica dell'egoista - sia la dittatura personale «poiché in entrambi i casi è necessario un nome proprio [ .. .] per caratterizzare il dittatore o il free rzder [ ... l Le diverse specie di egoismo non appaiono, quindi, nell'elenco presentato alle parti. Esse sono eliminate dai vincoli formali»?. In questa situazione il primo atto contrattualmente rilevante è l'accettazione - o la scelta - dei due principi di giustizia e del loro ordinamento lessicale. La formulazione da ritenere sostanzialmente definitiva di questi due principi afferma che «Primo principio. Ogni persona ha un eguale diritto al più ampio sistema di libertà fondamentali compatibilmente con un simile sistema di libertà per tutti. Secondo principio. Le ineguaglianze economiche e sociali devono essere: a) per il più grande beneficio dei meno avvantaggiati, compatibilmente con il principio del giusto risparmio, e b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti in condizioni di equa eguaglianza di opportunità» 8 . È abbastanza agevole immaginare come questo schema rappresenti una secolarizzazione dell'idea kantiana di autonomia personale operata dal lato della cooperazione sociale, anziché da quello dell'im6. Rawls (I97I), trad. it. p. 125. 7· lvi, pp. !24-5· 8. lvi, p. 255. 23. NEOLIBERALISMO, NEOCONTRATTUALISMO, COMUNITARISMO perativo categorico 9, e questo è in accordo sia con l'idea di Rawls che le parti possiedano un senso di giustizia sia con l'idea che i limiti del potere vadano precisamente vincolati. Di fatto, lo stesso ordinamento lessicografico dei principi - il fatto che il principio di libertà sia sovraordinato rispetto a quello di differenza - è una maniera di formulare una sorta di assiologia dei principi, strutturata in modo tale per cui, ad esempio, una restrizione della libertà è compatibile solo con la salvaguardia della libertà, ma non con l'estensione del benessere sociale o con una maggiore efficienza delle istituzioni. Il problema è naturalmente di individuare strutture sufficientemente ampie da consentire alle parti di coltivare dei propri autonomi piani di vita e da impedire, nello stesso tempo, che questi confliggano con esiti distruttivi per le strutture sociali. È quanto viene espresso dal concetto rawlsiano di consenso per sovrapposizione ro. Vi è tale modalità consensuale fra le parti sociali, quando il fatto del pluralismo e il fatto della cooperazione vengono intesi insieme non come un mero modus vivendi, che ridurrebbe la stabilità sociale a un ordine prudenziale sempre rovescia bile, ma come l'espressione di due facoltà morali presenti negli agenti che si impegnano nell'impresa della cooperazione sociale liberale. Queste due facoltà sono chiamate da Rawls il razionale e il ragionevole. La prima coincide con l'avere un senso di giustizia, la seconda riguarda la capacità di formare e perseguire un proprio piano di vita. Questa distinzione ha ovviamente ben poco a che vedere con una successione cronologica, ma riguarda piuttosto la capacità di riconoscere l'esistenza di vincoli etico-morali o politicomorali a partire da un comune senso di giustizia. Il contratto non è percig nella visione di Rawls tanto una scelta contingente - in un passo molto frequentato dell'opera del 1971 Rawls qualificava la propria teoria come una parte, forse la più importante, di una teoria della scelta razionale I I , successivamente ha però insistito sulle circostanze storiche che permettono il verificarsi della cooperazione liberale 12 - ossia il risultato di una contrattazione in cui le parti sarebbero vincolate solo dalle proprie preferenze. Al contrario, «Il merito della terminologia contrattualistica è di esprimere l'idea che i principi di giustizia possono essere concepiti come principi che verrebbero scelti da persone razionali, e che le concezio9· Darwall (1976). ro. Rawls (1993). II. Rawls (1971), trad. it. p. 31. 12. Rawls (1993). IL POTERE ni della giustizia possono essere spiegate e giustificate in questo modo» 13. Da questo punto di vista, la posizione originaria è lo status privilegiato che garantisce l'equità degli accordi raggiunti, poiché costituisce una sorta di punto trascendentale cui noi possiamo sempre ritornare per acquisire (o riacquistare) quella condizione di imparzialità che dovrebbe porci al riparo delle contingenze delle scelte prudenziali - dovute ad esempio a un concetto che Rawls ritiene altamente ambiguo quale quello di "merito personale". Rawls ha più volte del resto insistito sul fatto che la teoria della giustizia non è moralmente neutra, ma è pensata per dare fondamento filosofico a quelle istituzioni liberali che lui ritiene le uniche in grado di conciliare autonomia personale, efficienza, e perfettibilità. 23·5 La teoria dei diritti di R. Dworkin Se per Rawls il limite del potere è nell'imparzialità con la quale ci sforziamo di giustificare le istituzioni liberali, per il filosofo e giurista Ronald Dworkin questo va situato nell'esistenza di diritti che legittimano la codificazione giuridica e la decisione politica. Di qui l'idea che le decisioni politiche applicano diritti politici esistenti e precedenti alle convenzioni istituzionali 1 4. T ali diritti, che coincidono con quelli tutelati dai sistemi liberai-democratici - diritto di espressione del proprio pensiero, di associazione, di divulgazione delle proprie idee, di scelta libera e periodica dei governanti - sono sintetizzabili in un generale ~<diritto all'eguale rispetto e all'eguale considerazione» di tutti i cittadini. Questa concezione generale avrebbe poi un' applicazione nel caso della giustizia distributiva poiché comporterebbe un accesso alle risorse eguale alla misura necessaria a sviluppare il diritto generale di cui sopra. La filosofia di Dworkin si è costruita in un costante confronto polemico con quello che è stato il modulo giuspubblicistico dominante a lungo in ambito angloamericano, ossia il positivismo giuridico, in particolare nella versione fornitane da H. Hart 1 5. Sebbene Hart abbia parlato di un «contenuto minimo del diritto» che svolgerebbe la funzione assegnata al diritto naturale, Dworkin ritiene che il giuspositivismo dia luogo a una concezione affine all' utilitarismo che comproI3. Rawls (1971), trad. it. p. 31. 14. Dworkin (r982l. 15. Hart (r961l. 2 3. NEOLIBERALISMO, NEOCONTRATTUALISMO, COMUNI1'ARIS',IO metterebbe la difesa dei diritti individuali e minerebbe alle fondamenta la comunità liberale ' 6, perché si concluderebbe in una concezione convenzionalistica e, in definitiva, nichilistica del diritto. Dworkin distingue le concezioni del diritto in tre grandi gruppi: quelle basate sul dovere, quelle basate sugli scopi, ed infine quelle basate sui diritti. Le prime individuerebbero i sistemi deontologici semplici e, per quanto attrattive, risultano per Dworkin troppo rigide. Le seconde sarebbero proprie dei sistemi positivistici e utilitaristici, e non consentirebbero di distinguere fra decisioni giuste e sbagliate. Le terze si dimostrerebbero invece le più congruenti con i tentativi odierni di conciliare protezione dei diritti individuali e giustizia sociale, anche se va detto che rimane del tutto fermo nella filosofia di Dworkin che considerazioni legate all'interesse o al benessere generale non possono essere soverchianti rispetto ai diritti '7. Secondo Dworkin, per pervenire a decisioni giuste ed eque nella comunità liberale dobbiamo riferirei all'applicazione non di norme, primarie o di riconoscimento - come vorrebbe il giuspositivismo ma all'applicazione della titolarità dei diritti. Questo è il limite all'esistenza e all'applicazione dei modelli autoritativi positivi. Non ammetterlo ci porterebbe nella paradossale situazione in cui un diritto verrebbe attribuito sulla base di una decisione - giudiziaria e/o politica - cioè attraverso un esercizio di discrezionalità. Questo equivarrebbe ad ammettere che nei cosiddetti casi difficili - in cui sembra vi sia conflitto di principi e norme - non esistano risposte giuste. Se una teoria giuridica deve fornire una base per il dovere giudiziale, allora i principi che espone devono cercare di giustificare le norme esposte identificando i fondamenti politici e morali e le tradizioni della comunità che ~stengono quelle regole. Deve cioè essere in grado di decidere fra teorie concorrenziali quale sia quella giusta. È all'interno di notazioni di questo genere che si spiegano i richiami di Dworkin a ciò che viene chiamata «moralità politica di sfondo» della comunità liberale ' 8, ossia all'idea che il modello dei diritti e la codificazione dei principi siano l'espressione di una struttura di vincolo per i soggetti delle comunità liberali, che essi non scelgono convenzionalmente, ma sulla quale tacitamente convergono per regolare le loro dispute. r6. Dworkin (r977l; (r985l. 17. Dworkin (r986l. r8. Dworkin ( 1990). IL POTERE 2J.6 La teoria dello Stato minimo di R. Nozick Un richiamo ancora più evidente all'intuizione morale è riscontrabile nell'opera di R. Nozick, Anarchia, stato e utopia r9, che per molti ha rappresentato una sorta di controcanto al contrattualismo di Rawls. In questa, ricollegandosi, da un lato, al giusnaturalismo lockiano e, dall'altro, al pensiero di A. Smith, von Hayek e della scuola austriaca (von Mises), Nizick formula una teoria libertaria dello Stato minimo, a partire da un principio che si chiede di assumere senza mediazioni. Tale assunto è che l'individuo sia la sede di diritti personali inalienabili - alla vita, alla libertà, alla proprietà, più un generico diritto alla salute. Vi sono cose che nessuna persona o nessun gruppo di persone può fare agli individui senza violare i loro diritti. T ali diritti individuali sono di cosi vasta portata che si pone il problema di quale spazio sia riservato allo Stato e ai suoi funzionari, se pure ve ne rimane uno. Nozick sostiene che l'unica forma statale che possa superare il test dei diritti sia lo Stato minimo, per cui ogni organizzazione che abbia scopi più estesi della protezione dei diritti individuali è moralmente ingiustificata. I diritti di cui parla Nozick sono essenzialmente i diritti negativi teorizzati da I. Berlin 20 , ovvero il diritto alla non-interferenza nelle proptie scelte individuali, ossia il fatto che la cooperazione sociale si può giustificare solo se completamente volontaria. Tali diritti qualificano gli individui come proprietà personali di se stessi, e come dotati della qualità morale kantiana dell' autonomia. Illibertarismo di Nozick è sia monistico - l'unico parametro tilevante nel giudizio sulla liceità di un sistema politico è che non venga violata la libertà negativa - sia deontologico - non dobbiamo giudicare un sistema politico dalle conseguenze attese in termini di efficienza, benessere ecc. Tale teoria ha importanti conseguenze in fatto di giustizia distributiva. Nozick rifiuta tutte le teorie cosiddette a stato-finale o modellate, il cui esito dipende da una qualche concezione strutturale del bene sovraindividuale (utilitarismo, perfezionismo, neocontrattualismo, socialismo, comunismo). L'unica distribuzione giusta dei beni è quella che non viola i diritti individuali, che Nozick chiama teoria del titolo valtdo. Questa teoria individua due momenti: 19. Nozick (1971); Berlin (r969l. Berlin ( r 969). 20. 23. NEOLIBERALISMO, NEOCONTRATTUALISMO, COMUNITARISMO l'acquisizione legittima della proprietà: è giusta quell'acquisizione che non ha violato i diritti negativi di alcuno; b) la legittimità delle transazioni: è giusta quella transizione tra proprietà che non viola i titoli alla proprietà di alcuno. Ne deriva che: I . la persona che acquisisce una proprietà secondo il principio di giustizia nell'acquisizione ha diritto a quella proprietà; 2. la persòna che acquisisce una proprietà secondo il prine1p1o di giustizia nel trasferimento, da qualcun altro avente diritto a quella proprietà, ha diritto a quella proprietà; 3. nessuno ha diritto a una proprietà se non attraverso applicazioni ripetute di I e 2. Quindi, per giudicare della giustizia di una distribuzione data dobbiamo risalire agli atti che hanno condotto al suo attuale assetto. Se la proprietà di ciascuno è giusta, allora la distribuzione totale dei beni è giusta. È perciò un mercato senza restrizioni l'unica struttura moralmente legittima della distribuzione per Nozick (gli scambi moralmente legittimi sono qualificati come «atti capitalistici fra adulti consenzienti»). Gli interventi di politica sociale e le forme di tassazione non dedicate alla protezione dei diritti individuali negativi sono illegittimi, poiché sottraggono risorse all'individuo, che le ha acquisite legittimamente, senza che sia stato chiesto il suo permesso. Anche in questo caso l' anticonseguenzialismo di Nozick è radicale. Il mercato è giustificato come struttura della distribuzione legittima non perché genera benessere o perché efficiente, ma perché si tratta dell'unica struttura compatibile con i diritti di ciascun individuo. a) 2 3·7 La teoria dialogica di B. Ackerman Un altro attacco alla teoria neocontrattualistica è quello portato dal modello "realistico" - perché ritenuto descrittivamente più vicino al modo in cui effettivamente si svolge la cooperazione liberale - di Bruce Ackerman, il quale ritiene che il contrattualismo, al pari di ogni modello deliberativo che si basi sull'esistenza di qualcosa come dei diritti, abbia in sé qualcosa di mitologico e ingiustificabile. Il punto di partenza da cui bisogna prendere le mosse è che la convivenza sociale è lotta per il potere - per acquisire cioè dei beni, che possono essere materiali o di altro genere; tale lotta solleva la questione della legittimità al possesso di ciò che si richiede, questione che può essere esplicita in qualsiasi momento: «questa non è una IL POTERE competizione qualunque: può rivelare che le mie speranze più intime sul mio futuro non possono essere realizzate senza negare i diritti altrui L .. l Il potere corrompe: più potere ho, più ne posso perdere tentando di rispondere alla richiesta di legittimità; più potere ho, maggiori sono le possibilità che il mio tentativo di repressione abbia successo - almeno per il tempo che mi resta da vivere» ,, . Ackerman ritiene cioè che non sia necessario fornire alcuna definizione analitica iniziale della giustizia, ma sia sufficiente attenersi alla sua funzione distributiva. Infatti, anche in una situazione nella quale le risorse fossero distribuite in maniera perfettamente eguale, non potremmo escludere la possibilità del conflitto, stante la diversità delle aspettative degli esseri umani e la scarsità dei beni. In Ackerman non vi è perciò un problema di posizione originaria o di punto iniziale della contrattazione. Non ha importanza a quale punto della curva di distribuzione dei beni intervenga la richiesta di legittimità della distribuzione. Il possesso di qualsiasi bene può essere sempre soggetto a contestazione. Come evitare quindi che tutto questo non si traduca in una situazione di perenne instabilità? Il fatto è che la contestazione di legittimità può essere condotta secondo regole conversazionali che Ackerman ritiene emergano spontaneamente dalla pratica sociale liberale. Queste regole sono la razionalità, la coerenza, la neutralità. La razionalità prescrive semplicemente che alla contestazione relativa al possesso di un bene non si possa rispondere sopprimendo il contestatore, ma fornendo delle ragioni che giustifichino il mio uso delle particolari risorse messe in questione - si tratta di una concezione della razionalità del tutto diversa da quella strumentale e già intrisa quindi di un contenuto morale sostantivo. La coerenza prescrive che il soggetto adotti ragioni per giustificare il proprio potere che non siano incompatibili con altre sue ragioni che vengono fornite per avanzare richieste di potere - il che assomiglia a un criterio metafisica relativo all'identità personale attraverso il tempo. La neutralità prescrive infine l'invalidità di ogni giustificazione in cui si sostiene la propria pretesa argomentando che o la propria concezione del bene è superiore a una qualche altra o che, prescindendo dalla propria concezione del bene, si è intrinsecamente superiori a qualche altro cittadino - il che significa che sono vietate le argomentazioni ad hominem. L'applicazione ripetuta di questi principi genera una società di stampo liberai-democratico, che presuppozr. Ackerman ( 1980), trad. it. p. 42. 23. NEOLIBERALISMO, NEOCONTRATTUALISMO, COMUNITARISMO ne anche vasti interventi correttivi dello Stato nella ridistribuzione delle ricchezze. Noi non abbiamo nessuna garanzia che questo schema conversazionale si perpetui attraverso il tempo e le generazioni ma, in una situazione di politeismo dei valori, questo pare ad Ackerman l'unico strumento che esalta l'idea che siamo noi uomini a costruire i significati della nostra vita - e quindi i significati di cui carichiamo l'intrapresa sociale - senza che ci si avvii verso la distruzione della comunità politica. 2J.8 Il liberalismo ironico di Rorty Estremamente perplesso verso i tentativi di fondazione razionale della comunità etico-politica liberale si è dimostrato Richard Rorty, i cui esiti scettici nel campo della filosofia sociale sembrano derivare da uno sfondo epistemologico. È infatti la critica dell'idea epistemologica di "dato" e di "realtà" che fa giungere Rorty alla persuasione che un'epistemologia scettica abbia anche delle valenze @osofico-politiche Rorty ritiene necessario abbandonare il "rappresentazionalismo", ossia la concezione che lo scopo della filosofia sia la costruzione di una epistemologia. Ma il suo intento non è la semplice messa in mora, condotta con gli strumenti della @osofia analitica, di tale visione, quanto piuttosto la liquidazione del problema epistemologico, e la sua riduzione a una delle molte voci che compongono il mosaico della conversazione umana. Non vi è un motivo fondante o epistemologico per distinguere in questa conversazione quali voci debbano stare in primo piano ed essere ascoltate, e quali debbano tacere. Espressioni come "la teoria vera" o "la cosa giusta da fare" o "la giusta teoria politica" sono riducibili a termini singolari, per i quali non esiste un insieme di condizioni necessarie e sufficienti per individuarne un referente unico. Il fondazionalismo etico-politico non è altro per Rorty che la più recente versione della ricerca dell'assoluto 3. Di qui la reinterpretazione che Rorty fornisce dell'equilibrio riflessivo e del costruttivismo come si esprime negli scritti di Rawls. Rorty pensa che tale assetto sia solo e sempre provvisorio, e possa essere difeso unicamente in base a considerazioni pragmatiche. Ma in questo ordine di considera22 • 2 22. Rorty (r98ol; (r982l. 23. Rorty (r99rbl. IL POTERE zioni è possibile individuare una superiorità delle società liberai-democratiche su altri sistemi sociali 2 4. La società liberale è quella società in cui ci è possibile rinunciare a visioni sostanzialiste del bene, della società, dell'io per assumere invece il programma di impegnarsi in esperimenti vitali che accrescano le nostre possibilità di interpretare noi stessi. Non è quindi la fondazione l'idea che deve guidare la riflessione etico-politica, bensi piuttosto la tolleranza e la solidarietà fra agenti impegnati in progetti diversi e la comune avversione verso la crudeltà. La società liberale non risulta quindi giustificata in base a una superiore razionalità o alla capacità di generare punti di vista imparziali, ma solo in base ai suoi effetti secondari rispetto alle preferenze degli agenti. 23·9 II comunitarismo Rivolta contro la tendenza fondazionale riscontrabile in molta parte della @osofìa politica angloamericana è anche quella corrente, che raggruppa pensatori diversi e spesso diversamente atteggiati, che va sotto il nome di comunitarismo, e che è sorta negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione dell'opera principale di Rawls. Non pochi sono inoltre i punti di contatto di questa con la cosiddetta rinascita della @osofìa pratica, che ha avuto corso soprattutto in ambito continentale, a partire da una riscoperta della filosofia morale e politica di Aristotele e della tradizione aristotelica. Secondo i pensatori comunitari - Sandel, Mclntyre, Taylor - dò che deve essere abbandonato nel liberalismo politico è l'insistenza sulla neutralità procedurale dello Stato nei confronti dei cittadini. Tale insistenza procedurale darebbe una descrizione irrealistica della coesione sociale, e sarebbe inoltre fondata su un'idea dell'io inteso come ente astorico e disincarnato, che deriverebbe dal predominio di concezioni del soggetto legate all'azione economica. In realtà, ogni società trova la propria giustificazione facendo riferimento a vincoli che non sono affatto procedurali, bensì sostantivi, perché nell'agire sociale non si può fare astrazione dal riferimento a una qualche concezione di "bene comune" 5. Non è forse difficile individuare in queste notazioni il debito dei comunitari verso le tesi hegeliane sull'eticità come momento superiore alla moralità individuale 26 • 2 24. Rorty (1991a). 25. Sandel (1984). 26. Taylor (r979l. 490 23. NEOLIBERALISMO, NEOCONTRATTUALISMO, C:OMUNITARISMO Una comunità distinta da una concezione determinata del bene comune o è inesistente o è destinata a dissolversi. Tuttavia, il bene comune non è l'armonizzazione delle preferenze dei cittadini, ma è piuttosto ciò cui i cittadini fanno riferimento per trovare un criterio di valutazione delle proprie preferenze e delle proprie azioni 2 7. È solo tale riferimento che permette di attribuire un peso determinato alle preferenze di un individuo, peso variabile nella misura in cui queste promuovono od ostacolano il bene comune della società. Anche perseguire scopi pubblicamente condivisi nella comunità politica liberale non vincola affatto a una qualche concezione della neutralità e dell'imparzialità. Sarebbe come ritenere che i fini della nostra azione di cittadini possano essere indipendenti dalle procedure atte a realizzarli. Ma è possibile concepire qualcosa del genere solo se si adotta una psicologia morale individualistica e atomistica, che è però sin troppo semplice zs. Inoltre, tale psicologia morale risulta vuota e in contrasto con la percezione che noi abbiamo di noi stessi, come individui dotati di una storia, immersi in una tradizione, che articola i nostri diritti e vincola i nostri doveri verso la comunità. Di fatto, la prospettiva liberale e neutralistica non è in grado di dare soddisfazione adeguata alle preferenze concrete degli attori sociali, poiché li tratta come enti irrelati. Essere cittadini in senso pieno, e non solo formale, significa, invece, avere la capacità di compiere delle scelte significative, adattabili ai nostri piani di vita e alla nostra appartenenza culturale. Questo non comporta affatto rinunciare all'ideale di autonomia personale, proprio della tradizione liberale, ma riconoscere che tale ideale si incarna solo all'interno di pratiche sociali determinate. Viceversa, una concezione individualistica dell' autonomia pare vincolarsi a una interpretazione dei valori morali come enti esistenti al di fuori di qualsiasi condizionamento. In tal modo, si misconosce che l'ambito proprio in cui, in definitiva, possono essere formulate le nostre concezioni del modo in cui è bene vivere e interagire con gli altri cittadini è lo Stato. Infatti, la formulazione di una concezione del bene richiede qualcosa come una ricerca comune concorre assieme agli altri cittadini o a gruppi di cittadini cui ci sentiamo particolarmente affini. Anche il liberalismo riconosce che le attività comuni formano ideali collettivi, ma il fondo della stabilità di siffatti ideali risiede ancora una volta nella volontà e nella lealtà individuali, cioè, in definitiva, in una concezione prudenziale della cooperazione. Fanno quindi 27. Mclntyre (r984). 28. Sandel (r984l. 491 IL POTERE capo a preferenze che possono essere nel loro intimo idiosincratiche, per cui si ritorna alla critica della concezione dell'io sopra richiamata. Per il comunitarismo, il liberalismo si trova costretto volta a volta a oscillare fra tesi emotivistiche e prudenziali sull'io - di lontana ascendenza hobbesiana - e tesi deontologiche e sostanzialmente platoniche sul dovere morale del cittadino. Ma anche nel caso del liberalismo, siamo di fronte alla presentazione, sotto vesti universalistiche e neutralistiche, di una determinata concezione del bene, quella della stessa comunità liberale che le formula. Gli argomenti del liberalismo a favore della neutralità procedurale sono quindi irrimediabilmente circolari. Si è argomentato che il comunitarismo non costituisce una vera e propria filosofia politica, quanto piuttosto una sorta di critica sociale di concezioni maggioritarie fra gli studiosi 2 9. Quello che forse si può dire è che nei pensatori comunitari prevale un atteggiamento "genealogico" 3o, mirante a tracciare una sorta di archeologia del liberalismo - di qui l'interesse per le vicende storiche di pensiero in teorici come Mclntyre e Taylor, quale sia poi il giudizio che a tali ricostruzioni è da riservare - allo scopo di mantenere vigile lo sguardo critico, e per non indursi a pensare che sistemi politici molto giovani, come le democrazie liberali, e tutt'altro che saldi, si presentino circondati da un'aura di naturalità che potrebbe forse compromettere l'efficacia della loro difesa. Fonti e letteratura critica B. (I98o), Social Justice and Lzberaf State, Yale u.P., New Haven (tra d. it. Il Mulino, Bologna I 984). ID. ( I984l, Reconstructing American Law, Harvard University Press, Cambridge (MA). ID. (I99I), We the People, Harvard u.P., Cambridge (MA). m. (I989l, Why Dialogue?, in "The Journal of Philosophy", pp. 5-22. ID. (I99ol, Neutralities, in R. Douglass, G. Mara, H. Richardson (eds.), Liberalism and the Good, Routledge, New York. m. (1992), The Future o/ Lzberal Revolution, Yale u.P., New Haven. BERLIN r. (I969l, Four Essays on Lzberty, Oxford u.P., Oxford (trad. it. Feltrinelli, Milano I 98 9). coHEN M. (ed.) (r984l, Ronald Dworkin & Contemporary Jurisprudence, Duckworth, London. ACKERMAN 29. Kymlicka (r990l. 30. 'I'aylor ( r989). 492 23. NEOLIRERALISMO, NEOCONTRATTUALISMO, COMUNITARISMO s. (I976), A Defense of Kantian Interpretation, in "Ethics", vol. 87, pp. !64-70. DWORKIN R. (I977l, Taking Rig,hts Seriously, Duckworth, London (trad. it. Il Mulino, Bologna I982l. ID. (1985), A Matter of Principle, Harvard u.P., Cambridge (MA) (trad. it. Il Saggiato re, Milano I 990). ID. (r986l, Law's Empire, Fontana, London (trad. it. Il Saggiatore, Milano 1989). ID. (1990), La comunità liberale, in "Teoria politica", pp. 27-56. FISHKIN J. (I982), Can There be a Neutra! Theory offustice?, in "Ethics", vol. 93, pp. 349-56. FLATH::VIAN R. h983), Egalitarian Blood and Skeptical Turnips, in "Ethics", vol. 93, pp. 357-66. GOODMAN N. ( 1983), Fact, Fiction and Forecast, Harvard u.P., Cambridge (MA) (trad. it. Laterza, Bari-Roma I985l. HARDT evL, NEGRI A. (I995), Il lavoro di Dioniso. Per la critica dello Stato postmoderno, Manifestolibri, Roma. HART H. (I96I), The Concept of Law, Oxford u.P., Oxford (trad. it. Einaudi, Torino I992). KUKATHAS c. (r99ol, A Theory of fustice and its Critics, Stanford University Press, Stanford. KYMLICKA w. (r99ol, Contemporary Polztical Phzlosophy, Oxford u.P., Oxford (trad. it. Feltrinelli, Milano 1996). MALAKHOWSKI A. (199ol, Reading Rorty, Blackwell, Oxford. MARRONE P. (1994), Rorty, Rawls, e zl relativismo, in "Giornale di metafisica", pp. 239-48. ID. (1996), Consenso tacito, La Rosa, Torino. MCINTYRE A. (r984), A/ter Virtue, Duckworth, London (trad. it. Feltrinelli, Milano 1988). NOZICK R. (r974l, Anarchy, State and Utopia, Blackwell, Oxford (trad. it. Le Monnier, Firenze 198rl. ID. (r98rl, Philosophical Explanations, Oxford u.P., Oxford (trad. it. Il Saggiatore, Milano 1988). ID. (I99ol, The Normative Theory o/ Indivzdual Choice, Garland, New York. ID. ( 1993 ), The Nature of Rationality, Princeton u .P., Princeton (trad. it. Feltrinelli, Milano I 99 5). PAUL J. (ed.) (I983l, Reading Nozick, Blackwell, Oxford. RAWLS J. (I97I), A Theory o/ fustice, Harvard u.P., Cambridge (MA) (trad. it. Feltrinelli, Milano I982). ID. (I993l, Polztical Liberalism, Columbia u.P., New York (trad. it. Milano, Comunità I994l. ID. (1995), La giustizia come equità, Liguori, Napoli. RORTY R. (I98o), Philosophy and the Mirror o/ Nature (trad. it. Bompiani, Milano I986). ID. (I982), Consequences o/ Pragmatism (trad. it. Feltrinelli, Milano I986). DARWALL 493 IL POTERE m. (r989), Contingency, Irony, Solidarity, Cambridge u.P., Cambridge (trad. it. La filosofia dopo la filosofia, Laterza, Roma-Bari 1991). ID. (r991a), Objectivism, Relativism, and Truth. Phzlosophical Papers I, Cambridge u.P., Cambridge (trad. it. Laterza, Roma-Bari 1994). ID. (1991b), Essay an Heidegger and Others. Philosophical Papers II (trad. it. Laterza, Roma-Bari 1993). SANDEL M. (r984), Liberalism and the Limits o/]ustice, Cambridge c.P., Cambridge (trad. it. Feltrinelli, Milano 1994). TAYLOR c. (1979), Hegel and Modern Society, Cambridge u.P., Cambridge (trad. it. Il Mulino, Bologna 1984). ID. (r989), Sources o/ the Sel/, Cambridge u.P., Cambridge (trad. it. Feltrinelli, Milano 1993). VECA s. ( 1988), La società giusta e altri saggi, Il Saggiatore, Milano. VECA s., MAFFETTONE s. (a cura di) ( 1996), Manuale di filosofia politica, Donzelli, Roma. 494