incontro con perSone di altre culture

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Incontro
con persone
di altre culture
Strumenti e competenze
per vivere in maniera
costruttiva la
diversità culturale
Indice
4Introduzione
6Autori
8 1. Cultura e identità: cos’è nostro, cos’è estraneo
10 2. La cultura come parte di un grande insieme
12 3. Cultura e diversità: tra paura e curiosità
13 4. Multiculturalità, interculturalità o transculturalità?
15 5. Migrazione, emigrazione e immigrazione
17 6. I Diritti Umani
18 7. Discriminazione e razzismo
20 8. Il coraggio civile
22 9. L’integrazione come costante ricerca del dialogo
23 10. La partecipazione alla vita sociale, economica e democratica
24 11. La comunicazione interculturale
26 12. Suggerimenti per i colloqui di consulenza
27 13. Literaturliste – Literatura
Autori Karl-Heinz Bittl, Dott. Martin Dimiter Hoffmann | Redazione dott. Matthias
Oberbacher | Gruppo di lavoro Karl Heinz Bittl, Dott. Martin Dimiter Hoffmann,
dott. Matthias Oberbacher | Illustrazione di copertina Sibylle Weiler
| Grafica www.designverbindet.it | Stampa www.dialogwerkstatt.it | Traduzione dott. Rainer Girardi | Editore Accademia Cusano, piazza seminario, 39042
Bressanone - Alto Adige - Sudtirolo, Tel. 0039 0472 832 204, [email protected], www.cusanus.bz.it
Finanziato dal Fondo Sociale Europeo progetto Nr. 2/10/2011
Giugno 2013. Per consentire una migliore leggibilità, nei testi è stata evitata la doppia versione maschilefemminile.
Incontro
con persone
di altre culture
Strumenti e competenze
per vivere in maniera
costruttiva la
diversità culturale
Cari lettrici, cari lettori,
Le migrazioni sono ormai diventate un elemento essenziale e inevitabile della
nostra società. A causa alla crescente internazionalizzazione e globalizzazione
sempre meno persone trascorreranno la loro vita nel luogo o nel paese dove
sono nati. Di conseguenza il rapporto e il contatto con persone che hanno un’altra cultura diventerà abituale.
Anche l’Alto Adige-Sudtirol è diventato ormai terra d’immigrazione. La richiesta
di nuove forze lavoro specialmente nel settore del turismo e del agricoltura
continua ad essere alta e cosi il numero degli stranieri residenti continua ad
crescere. Purtroppo la crisi economica non si è fermata neanche davanti all’Alto
Adige - Sudtirolo e così si può registrare parallelamente anche una crescita
delle paure in riguardo agli stranieri. La convivenza pertanto è tutt’altro che
ovvio e spesso condizionato da emozionalità, incertezze personali, pregiudizi e
una mancanza di informazioni. In considerazione alla polarizzazione del dibattito
attorno a questo tema, persone che hanno a che fare molto con persone di altre
culture, si vedono confrontati con i propri limiti. Per questo è importante denominare queste paure, confrontarsi con la propria cultura e la cultura degli altri e
mettere in discussione i propri pregiudizi.
Questa brochure vorrebbe iniziare proprio qui e dare strumenti e competenze
per vivere in maniera costruttiva la diversità culturale. Punto di partenza per la
realizzazione di questo opuscolo erano sei corsi d’insegnamento relative alle
competenze interculturali, che sono stati organizzati dall’Accademia Cusano
di Bressanone dal 2006 con lo scopo di accrescere le competenze personali,
sociali e professionali dei corsisti e di forzare il loro background politico, economico e culturale in collegamento con le loro esperienze interculturali personali
e lavorative.
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Incontro con persone di altre culture
Nel 2011-2012 l’Accademia Cusano, in collaborazione con la ripartizione lavoro
e il servizio coordinamento immigrazione, ha ridotto questo corso di otto moduli
in un corso intensivo per un progetto del fondo sociale con l’obiettivo di sensibilizzare il personale dei suddetti uffici nel rapporto lavorativo con persone che
provengono da altre culture.
In questo senso la brochure “incontro con persone di altre culture” vuole mettere in atto una discussione oggettiva, dare delle definizioni e incoraggiare il
lettore a riflettere ed eventualmente modificare alcuni atteggiamenti personali.
dott. Matthias Oberbacher
“Prima di giudicare una persona,
dovresti camminare per tre mesi
coi suoi mocassini.”
proverbio indiano
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Autori
Karl Heinz Bittl, vive a Nürnberg in Germania, nato nel
1956, pedagogista sociale, direttore del istituto europeo
Conflict-Culture-Cooperation, (EICCC), Coach e Supervisore, consulente e referente. Ha sviluppato l’approccio ATCC
per una trasformazione valoriale e culturale dei conflitti.
Lavora come formatore e consulente in Europa. Ha pubblicato tra altro nel 2004 “Abenteuer Kultur” sul lavoro
transculturale con giovani e nel 2005 “Wertekiste” sul lavoro transculturale con
valori.
In Alto Adige-Sudtirolo lavora dal 2000 come referente nell’Accademia Cusano e
nella formazione professionale degli insegnanti con l’ufficio innovazione e consulenza cosi come con alcune scuole e organizzazioni altoatesine. Per ulteriori
informazioni: www.konfliktberater.org
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Incontro con persone di altre culture
Dimiter Martin Hoffmann, vive a Vienna e Brunn/a, nato
nel 1945, laureato in giurisprudenza e sociologia, psicoterapeuta e supervisore, fino all’anno 2003 era direttore della “Bundesakademie für Sozialarbeit” a Vienna, professore
incaricato alla libera università di Bolzano (International
Social Work).Ha pubblicato sul tema della interculturalità
tra l’alto: „Grenzen-Borders, Kontakt und Konflikt in der
Kulturbegegnung“(con E.Furch und M.Winge) 2001 e „Grenz-Begegnungen/
Border-Encounters“(con E.Furch und H.Stefanov) 2002
In Alto Adige-Sudtirolo lavora dal 2000 come referente nell’Accademia Cusano
e nella libera università di Bolzano come professore incaricato. In altro lavora
nella formazione professionale nel settore sanitario e nel lavoro con anziani,
cosi come supervisore nei distretti sociali. Ulteriori informazioni www.psyonline.
at/hoffmann-dimiter
L’Accademia Cusano
è un centro di studio e congressi della Diocesi Bolzano Bressanone. Fu costruita
nel 1962 come luogo d’incontro tra mondo religioso e laico. Dal 2008 anche la
casa S. Giorgio a Sanes fa parte dell’Accademia. L’Accademia Cusano insieme
alla casa S. Giorgio si occupano della formazione per adulti ed offrono corsi di
formazione nel ambito religioso, politico, professionale e “di vita”.
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1. Cultura e identità:
cos’è nostro, cos’è estraneo
La polarità tra ciò che sentiamo appartenerci e ciò che sentiamo estraneo e
diverso incomincia nell’infanzia e ci accompagna per tutta la vita. Impariamo a
conoscere e ci appropriamo, spesso inconsapevolmente, della “nostra” cultura,
della cultura della nostra famiglia e della società in cui viviamo, tramite l’imitazione e grazie all’esempio che ci danno i genitori e gli “altri significativi”. La
cultura diventa la nostra seconda pelle. Solo nel confronto con persone di altre
culture acquistiamo consapevolezza della nostra cultura e della nostra identità
culturale.
L’educazione dei bambini e la loro socializzazione che avviene anche nella
scuola, nella parrocchia e nel gruppo degli amici si orienta ai valori culturali ed
alle regole comportamentali predominanti.
Possiamo definire la cultura come un insieme di valori, regole e norme che
vengono tramandate di generazione in generazione e che servono per orientarsi
nella vita quotidiana.
Questo sistema di orientamento viene comunicato grazie ai simboli come il linguaggio, la scrittura ecc. e rappresenta un sistema interpretativo utile a comprendere il mondo.
La cultura offre quindi un orientamento per la convivenza con le altre persone.
Tramite la cultura giustifichiamo il nostro modo di pensare, di sentire e di agire.
La crescita in una determinata cultura non è priva di conflitti, ma è caratterizzata da fasi specifiche dello sviluppo della personalità del bambino. Lo sviluppo
del bambino che diventa adolescente e poi adulto comporta un costante confronto con i valori della propria cultura, che spesso sfocia nella rivolta contro
i sistemi valoriali comuni e i “giusti” modi di vivere. A seconda della rigidità o
flessibilità della cultura, questo scontro può essere vissuto come una minaccia
o come una premessa per lo sviluppo ed il mutamento culturale. Secondo E. H.
Erikson questo processo di sviluppo (identità e ciclo di vita) ha come obiettivo la
formazione di un’identità dell’Io. Si tratta della “ … crescita e maturazione della
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Incontro con persone di altre culture
personalità che l’individuo deve aver raggiunto al termine della sua adolescenza grazie all’insieme delle esperienze accumulate nella sua infanzia per poter
essere preparato ad assolvere ai compiti dell’età adulta”.
Il senso di identità si basa sull’esperienza di “potermi fidare di me stesso”,
ovvero sullo sviluppo di una continuità tra l’atteggiamento interiore ed il comportamento nelle più svariate situazioni. L’identità viene plasmata dal confronto
tra l’immagine che mi sono formato di me stesso e quella che mi attribuiscono
gli altri. L’identità non è rigida: la sua formazione non si conclude al termine
dell’adolescenza ma continua per tutto l’arco della vita.
L’identità culturale si riferisce all’appartenenza ad un gruppo con una determinata cultura e porta con sé al tempo stesso la separazione nei confronti di altre
culture “estranee”.
All’interno di un gruppo disponiamo di riti conosciuti, valori, norme e presupposti culturali. Tramite la cultura legittimiamo il nostro comportamento valutandolo
adeguato o inadeguato.
La cultura ci aiuta pertanto a comprendere chi appartiene a chi e cos’è giusto
e cos’è sbagliato.
Nel confronto con persone di altre culture, la prima cosa importante è la consapevolezza della propria cultura e della propria identità culturale (cultural awareness) per poter poi imparare a comprendere altri sistemi di valore e di azione.
Attraverso l’incontro quotidiano con la diversità culturale impariamo a “sentirci
a casa” anche in culture diverse. In questo modo sviluppiamo una molteplicità
di modi di pensare e di comportamento ed identità culturali multiple: siamo
molte culture!
Cultura nazionale?
All’inizio del XIX secolo in Europa incominciò la trasformazione degli stati feudali
in stati nazionali. Uno stato nazionale aveva bisogno di un’identità culturale o
nazionale da dare ai propri abitanti. Fu a partire da questa necessità che si
incominciò a parlare di culture nazionali. Nacquero – tra le altre – una cultura
italiana e una cultura tedesca in grado di differenziarsi da altre culture nazio-
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nali. Vennero vietate alcune lingue, soppressi alcuni riti culturali, discriminate e
perseguitate alcune etnie.
Nel primo dopoguerra vennero creati nuovi confini e nuovi stati nazionali. L’Alto
Adige-Sudtirolo ha vissuto da vicino il male che può causare l’idea dello stato nazionale. Allo stesso tempo divenne chiaro quanto poco significato queste
“culture nazionali” avessero realmente. Grazie alla cittadinanza apparteniamo
ad uno stato, ma non per questo siamo confinati ad un determinato modo di
pensare, sentire ed agire.
2. La cultura come parte
di un grande insieme
La cultura è un importante elemento della convivenza. Se consideriamo i vari
elementi come parte di un sistema, scopriamo che essi si influenzano vicendevolmente. Il “diamante della cultura” dell’ATCC (Approche et transformation
constructives des conflits) è un modello che tenta di spiegare questa interdipendenza. I sei elementi di questo modello sono:
cultura
valori
riti
struttura,
simboli,
organizzazione
persona
regola
Il diamante della cultura dell’ATCC facilita un’elaborazione costruttiva delle
difficoltà o dei conflitti a sfondo culturale.
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Incontro con persone di altre culture
PERSONA Si intendono qui, tra le altre cose, i bisogni basilari della persona. Tutti noi
abbiamo bisogni ed esigenze quali ad esempio il bisogno di riconoscimento e di essere
amati. Se queste esigenze non vengono soddisfatte, nascono in noi delle paure che ci
portano a comportarci in determinati modi (per esempio ad attaccare o a fuggire).
STRUTTURA Con struttura si intendono tutti quegli elementi di cui abbiamo bisogno per convivere con altre persone: le forme di organizzazione quali lo stato, la città,
la scuola. A questo concetto appartengono anche gli spazi in cui viviamo, il modo in cui
distribuiamo le risorse, la modalità di gestione del potere ecc.
CULTURA Grazie alla cultura possiamo legittimare il nostro pensiero personale, il
nostro modo di sentire, agire, legittimare e motivare le nostre forme di organizzazione,
la gestione dei nostri spazi, la distribuzione di ricchezza e povertà o la modalità di
distribuzione del potere.
VALORI I valori rappresentano un ausilio per orientarci nella convivenza. I valori
vengono condivisi con gli altri (con un gruppo, con la famiglia, con lo stato). I valori
possono essere la verità, la libertà, la dignità, la giustizia, l’uguaglianza. Essi nascono
dalle esigenze personali e sono ancorati nel diritto e nelle costituzioni. Grazie alle
nostre predisposizioni culturali tutti noi abbiamo approcci differenti nei confronti dei
valori. Alcuni gruppi culturali, per esempio, comunicano in maniera mite e indiretta.
Essi hanno un concetto diverso di vivere la verità rispetto ad altri gruppi culturali che
comunicano invece in maniera più diretta venendo subito al punto.
RITI Noi esseri umani abbiamo bisogno di riti in momenti particolari che segnano un inizio o
una fine oppure per superare momenti di crisi. Questi riti servono a dar vita ai valori o
a confermare le appartenenze (struttura). Un rito semplice è il saluto iniziale e finale.
Anche le feste per celebrare la nascita o i funerali demarcano inizi o fini. Quasi tutti i
riti religiosi si sono sviluppati a partire da riti di crisi.
DIRITTO/REGOLA A seconda della forma organizzativa, tra di essa e
l’individuo nascono degli insiemi di regole vincolanti. Gli stati costituzionali per
esempio hanno una costituzione ed un sistema di diritto di validità generale. Un gruppo
dispone di regole che vengono rispettate in maniera esplicita o implicita dai suoi membri. Attraverso i messaggi culturali impariamo a conoscere il modo in cui queste regole
o leggi possono essere applicate nel rispetto dei valori. Ci sono, per esempio, delle
culture che interpretano il limite di velocità come una limitazione della propria libertà e
di conseguenza non lo rispettano.
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3. Cultura e diversità:
tra paura e curiosità
Nel momento in cui incontriamo un’altra persona si attivano immediatamente
i nostri bisogni e le nostre paure. Il nostro interlocutore ci sembrerà simpatico
quando lui/lei soddisferà uno o vari dei nostri bisogni sociali, come il riconoscimento, l’affetto, l’orientamento, la sicurezza, l’autonomia o la trascendenza.
Quando qualcuno ci sorride percepiamo l’affetto. Se una persona estranea utilizza un rito a noi famigliare, nasce la sensazione di sicurezza. Se qualcuno ci
racconta qualcosa di sé e facendo ciò che rimane all’interno del quadro a noi
famigliare, non ci sentiamo sicuri e viviamo una sensazione di orientamento.
Se una o diverse nostre esigenze vengono minacciate, nascono in noi delle paure. La paura è il guardiano delle nostre esigenze. Essa attira la nostra attenzione
ai pericoli e ci costringe a comportarci in un determinato modo. I comportamenti
dettati dalla paura sono per esempio il combattimento (vittoria o sconfitta) o la
fuga (si salvi chi può!).
Può essere di grande aiuto ascoltare le nostre paure, ma per fare ciò è necessario avere accesso ai nostri sentimenti. I nostri sentimenti, al pari della paura,
sono buoni consiglieri per la convivenza con le altre persone. Quando li ascoltiamo riconosciamo di cosa abbiamo bisogno.
La paura dello “straniero” è naturale. Grazie ad essa percepiamo che qualcosa
è “diverso”. Ora possiamo accettare questa paura e riconoscervi ciò che abbiamo bisogno che l’altro ci dia. Con un po’ di esercizio potremo riuscire a essere
consapevoli di queste esigenze ed a contrattarle.
Ciò che rende tutto più difficile è negare la paura perché ci appare minacciosa.
In questo caso è lo straniero stesso che diventa un pericolo. La negazione delle
proprie paure è la radice del razzismo. Se per qualsiasi motivo la paura della
paura diventa troppo grande, noi esseri umani sviluppiamo la xenofobia. Lo straniero diventa l’oggetto del nostro odio. Per alcune persone è più facile odiare
lo straniero che confrontarsi con le proprie paure, quali ad esempio la paura
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Incontro con persone di altre culture
di fallire. La xenofobia e l’odio nei confronti dello straniero si trovano in tutto il
mondo e sono la causa di indicibili sofferenze.
Un’importante forma espressiva che può essere attivata nell’incontro con lo
straniero è la curiosità. Essa ci permette di conoscere lo sconosciuto. La curiosità nasce dal nostro bisogno di orientarci. Con l’aiuto della curiosità molte persone vanno incontro allo straniero e imparano a conoscersi vicendevolmente,
facendo attenzione a sé stessi e ai propri limiti.
4. Multiculturalità, interculturalità
o transculturalità?
Questi tre termini compaiono regolarmente nel dibattito sulla diversità culturale
e riproducono tre approcci diversi che sono stati (e sono) al centro del dibattito
sull’immigrazione in Europa. È difficile ridurre la complessità di questi termini:
si tratta di tentativi di sintesi volti a rendere comprensibile il dibattito odierno.
Multiculturalità
L’idea alla base del concetto di multiculturalismo è la protezione e il riconoscimento da parte dello stato delle differenze culturali. Da qualche tempo si parla
del fallimento del multiculturalismo. Il motivo di questa critica non sta tanto nel
fallimento del concetto stesso di multiculturalismo quanto piuttosto nel fatto che
ad esso non sia mai stata associata una politica dell’integrazione. All’interno
delle società si sono formati sottogruppi nazionali o etnici formando delle cosiddette società parallele. Le minoranze nazionali o etniche poterono prendere
parte alle feste internazionali, ma non è mai stata elaborata una politica dell’integrazione che portasse alla partecipazione alla vita sociale del gruppo sociale
maggioritario.
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Interculturalità
Gli incontri interculturali inizialmente erano incontri tra gruppi nazionali utili alla
comprensione tra i popoli. Nei primi anni si pensava che la cultura avesse un
carattere nazionale. Un esempio ne è la domanda: “Che cos’è tipicamente pakistano?” In Pakistan però vivono molti gruppi etnici differenti, ognuno con una
propria fruizione culturale, una propria lingua e propri modi di vita.
Fin dall’inizio del lavoro interculturale era stato criticato questo approccio “limitato” all’apprendimento interculturale. I training interculturali oggi offrono un
approccio multi sfaccettato e complesso nei confronti della cultura dell’Altro.
Questo è anche oggetto della presente brochure. I training interculturali vengono offerti da una varietà di persone impegnate e da iniziative che ambiscono ad
un’apertura della società in senso più interculturale. Una politica dell’integrazione inappropriata, che esclude una grande parte della popolazione con background migratorio dalla partecipazione alla vita sociale, economica e politica,
porta alla convivenza uno a fianco dell’altro invece che ad una reale convivenza.
Transculturalità
Questo concetto è nato negli anni ’90 e cerca di dare una risposta alla contraddizione di cui si è appena detto. Da un lato infatti il concetto di transculturalità
implica una critica della convinzione che possa esistere una società maggioritaria chiaramente definibile in senso culturale. L’immigrazione ha portato in
Europa a società “mescolate” (trans-culturali). I figli di terza generazione degli
immigrati dispongono di identità culturali multiple al pari di tutti gli altri bambini
che nascono e crescono in un paese di immigrazione. Oggi si tratta di trovare i
modi per rendere disponibile questa ricchezza nell’ambito sociale, economico e
politico. L’apprendimento transculturale pone l’accento sugli elementi che uniscono e collegano.
Le persone con background migratorio e la cosiddetta “società maggioritaria”
possono imparare gli uni dagli altri. Se i cittadini discutono dei valori costituenti, la società diventa più resistente nei confronti degli elementi settari e degli
estremisti. C’è bisogno di chiarezza sul fatto che la costituzione in vigore vale
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Incontro con persone di altre culture
per tutti i cittadini del paese. Nessuna cultura o ideologia può essere al di sopra
del diritto. Le pari opportunità, la dignità umana, la libertà di espressione sono
diritti fondamentali che valgono per tutte le persone che vivono in questo paese.
5. Migrazione, emigrazione
e immigrazione
La migrazione di persone che lasciano il proprio paese in cerca di una vita migliore e più giusta in un altro paese è un fenomeno diffuso in tutto il mondo e
che interessa milioni di persone.
L’Alto Adige ha una storia caratterizzata da un’alternanza di emigrazione e ritorno. Sono poche le famiglie che nelle generazioni passate non abbiano avuto al
loro interno esperienze di migrazione.
Nonostante ciò, molte persone nel paese ospitante non riescono o non vogliono
immedesimarsi nella situazione di vita dei migranti. Essi vengono ridotti al loro
essere stranieri: le loro iniziali difficoltà di orientamento e il loro bisogno di aiuto
vengono spesso visti come un fastidio ed un peso.
Molti immigrati arrivati dopo un lungo viaggio sono qui per restare. Sarebbe
quindi opportuno metterci nell’ordine di idee di convivere con loro in un modo
soddisfacente sia per gli autoctoni che per gli stranieri.
La separazione dettata dalla paura e gli atteggiamenti di repulsione nei confronti degli stranieri possono essere superati a vantaggio di un incontro culturale
più amichevole se conosciamo qualcosa in più rispetto alle condizioni di vita
presententi ed attuali dei migranti. Cosa li ha spinti a lasciare la loro terra? Quali
sono le loro attuali esigenze che dovrebbero essere soddisfatte per permettere
loro di sentirsi a loro agio nel paese ospitante?
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La ricerca sulla migrazione distingue diverse fasi del processo migratorio.
Nella fase di preparazione vengono soppesati i pro e i contro (coraggio e paura)
della migrazione. Non tutti coloro i quali desiderano lasciare il proprio paese
possono farlo.
Il viaggio è spesso drammatico e porta alla nascita di un forte senso di coesione.
L’arrivo nel paese ospitante è spesso “ipercompensato”: tutto appare migliore
rispetto al proprio paese. Nonostante lo choc culturale, il paese ospitante viene
idealizzato, ma al contempo può restare vivo il desiderio di ritornare in patria, il
che può essere d’ostacolo all’apprendimento, pur desiderato, della lingua.
Dopo un periodo relativamente breve di idealizzazione, incomincia ben presto la
percezione dell’ostilità della realtà, del “non essere benvenuti”. Ciò porta ad una
lunga fase di “decompensazione” nella quale prevalgono le crisi, la depressione
e in cui l’autostima è messa a dura prova.
Se si riesce ad uscire da questa situazione di marginalizzazione sociale ed a
raggiungere, passo dopo passo, una posizione sociale migliore, l’integrazione
nella società di accoglienza può avere successo, pur restando sempre ambivalente. Le radici nel paese di origine restano un’importante base dell’identità
multiculturale.
Nell’interazione con i migranti, sia in contesti di consulenza che nella vita quotidiana è importante cercare di capire in quale condizione psicologica ma anche
materiale la persona si trovi. Tutte e quattro le fasi che precedono una possibile
integrazione sono difficoltose e rischiose: la comprensione di ciò rende più facile la comunicazione e l’eventuale consulenza.
È buona cosa per ogni società ospitante conoscere la realtà della migrazione,
ma allo stesso tempo contribuire ad attuare e favorire su ambo i lati le varie fasi
dell’integrazione accogliendo i migranti con un benvenuto.
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Incontro con persone di altre culture
6. Diritti umani
L’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo recita: “Tutti gli
esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”
Questa Dichiarazione con i suoi 30 articoli viene vista “come ideale da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le nazioni, al fine che ogni individuo e ogni organo della società […] si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione,
il rispetto di questi diritti e di queste libertà” (Preambolo alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, N.Y.1948).
Grazie alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (Consiglio d’Europa, Strasburgo, 1950), alla creazione della
Corte europea dei diritti dell’uomo e ad altre convenzioni contenenti disposizioni
giuridicamente vincolanti, il rispetto dei diritti umani è garantito giuridicamente.
Il riconoscimento degli ideali di libertà e di uguaglianza di tutte le persone che
convivono in un territorio indipendentemente dalla loro provenienza può essere
un punto di partenza fondamentale per una felice convivenza tra popolazione
autoctona maggioritaria e popolazione immigrata.
La ricerca di libertà e di uguaglianza di fronte alla legge in un moderno stato di
diritto e il bisogno di riconoscimento della propria dignità personale, oltre alla
ricerca di condizioni economiche migliori, sono i motivi principali che spingono
molti migranti a lasciare il proprio paese d’origine e a cercare “fortuna” in un
nuovo paese.
La ricerca ed il diritto alla felicità e al benessere sono di fondamentale importanza nelle formulazioni originali dei diritti umani. Il fattore decisivo è la possibilità
di sviluppare, nella popolazione maggioritaria, un atteggiamento sempre più
comprensivo nei confronti delle condizioni di vita difficili dei migranti.
La sensibilizzazione nei confronti della diversità e delle differenze culturali è
compito delle istituzioni educative, ma anche della politica e della corretta informazione giornalistica.
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Sulla base della comprensione interculturale è possibile sviluppare e sperimentare forme di gestione della diversità (competenze interculturali) che possono
rendere possibili la parità di diritto e di trattamento degli stranieri.
Se questo processo dovesse fallire, si potrebbe facilmente arrivare a forme di
discriminazione, ovvero di disparità di trattamento ingiustificate, in vari ambiti
quali il lavoro e la casa, la scuola e il tempo libero, la salute, l’età e il mantenimento delle tradizioni culturali e religiose.
L’articolo 2 (1) della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo contiene un divieto di questa disparità di trattamento sulla base di una serie di caratteristiche:
“Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente
dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso,
di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale
o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”.
7. Discriminazione e razzismo
Nessuno di noi vorrebbe essere penalizzato rispetto agli altri o discriminato, né
sentirsi trattato diversamente o in maniera sprezzante.
In alcuni paesi europei esistono apposite leggi di tutela della parità di trattamento per proteggere i cittadini davanti alla legge e nella vita sociale da comportamenti discriminatori.
Si parla di discriminazione diretta quando, sulla base di alcune caratteristiche fisiche quali per esempio il colore della pelle, l’appartenenza etnica, un handicap
o il sesso, “una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata
o sarebbe trattata un’altra [senza tali caratteristiche] in una situazione analoga”
(Direttive europee 2000/43/CE e 2000/78/CE del Consiglio).
Lo svantaggio che deriva da questo tipo di comportamenti, che si manifesta per
esempio nella ricerca del lavoro o della casa, si basa sul fatto di non essere considerati alla pari con gli altri concorrenti. Solitamente la disparità di trattamento
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Incontro con persone di altre culture
non viene nemmeno motivata ed è difficile dimostrare una discriminazione di
questo tipo.
Ciò vale ancora di più nel caso delle “discriminazioni indirette”, ovvero in quei
casi in cui una norma apparentemente neutrale può portare, nella pratica, degli
svantaggi alle persone con le caratteristiche sopra citate nei confronti degli altri.
Le molestie nei confronti di queste categorie di persone sono comportamenti
indesiderati, inappropriati e indecenti e che ledono in particolar modo la dignità
della persona. Anche le molestie sono una forma di discriminazione (Decreto
Legislativo 215/2003).
Molte discriminazioni avvengono inconsapevolmente ed in questi casi c’è bisogno di molta attenzione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti
di questo tema. In molte istituzioni della società gli stranieri vengono trattati
meno favorevolmente sulla base di regole e consuetudini interne. Si parla in
questi casi di discriminazione strutturale.
Quando una persona e/o un gruppo viene trattato in maniera meno favorevole
sulla base del colore della pelle, della lingua, dell’aspetto esteriore, dell’appartenenza religiosa o della provenienza si parla di discriminazione razzista.
Per poter riconoscere la diversità di trattamento insita in una discriminazione razzista è necessario analizzare il termine “razzismo”. In Europa per lungo
tempo si è dato per scontato che il “vero” razzismo fosse esclusivamente la
discriminazione dei neri da parte dei bianchi oltre oceano. Grazie all’elaborazione storica dei crimini del nazionalsocialismo ci si è ben presto resi conto che
l’antisemitismo e l’antiziganismo fossero le declinazioni europee del razzismo
e che i comportamenti e gli atteggiamenti razzisti allargati ora agli stranieri
fossero molto diffusi.
Parliamo di razzismo quando una persona disprezza alcuni aspetti – reali o
fittizi – della vittima in modo tale da determinarne un danno per essa e un vantaggio per sé stesso. Con la sottolineatura di ciò che risulta diverso e il giudizio
negativo dato alla diversità, la persona intende svalutare la vittima e aumentare
invece il proprio valore, giustificando in questo modo i propri privilegi o la propria aggressività.
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La generalizzazione di questo giudizio sfocia in una spersonalizzazione e de-umanizzazione della vittima: il razzismo vuole togliere alle persone la loro dignità,
la certezza di poter esistere e la prospettiva di un futuro, esponendole alla mercé del potere costituito.
Se le convinzioni, i pregiudizi e le azioni razziste vengono tollerate all’interno di
una società, questo fenomeno ottiene una funzione sistemica e politica, servendo ad assicurare i privilegi dell’elite dominante nei confronti della popolazione
svantaggiata.
8. Il coraggio civile
Il concetto di coraggio civile è composto dai termini “coraggio” e “civile”.
Il termine “civile” viene spesso inteso come contrario di “militare”. Si tratta
invece in questo caso dei valori civili e democratici di una società democratica.
È il cittadino a essere il portatore di una democrazia. Se mostriamo coraggio civile ci impegniamo quindi a favore dei valori democratici, ovvero di una società
giusta, equa e dignitosa.
Al termine “coraggio” invece molti associano le “prove di coraggio”, ovvero
quelle azioni che intendono dimostrare il superamento della paura. Chi supera
la paura agisce in maniera inconsapevole e solitamente seguendo uno schema
di comportamento biologico. Può trattarsi per esempio della sconfitta di un nemico o della fuga da un pericolo. Questi schemi sono un ostacolo nelle situazioni
in cui c’è bisogno di coraggio civile perché creano eroi e vigliacchi. Una persona
che ha coraggio civile sa di cosa ha bisogno: sa di doversi preoccupare della
propria incolumità, di dover comunicare in maniera chiara ed esplicita i compiti
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Incontro con persone di altre culture
a chi assiste alla scena (“Per piacere, chiami la polizia con il suo cellulare!”) e di
dover interrompere una situazione che sta degenerando prima ancora di incominciare a comunicare. La comunicazione inibisce la degenerazione, ma pone
chiari limiti. È importante riconoscere in questi casi che un razzista o un estremista di destra non è convincibile, ma gli spettatori sì. Ciò dimostra che non è
importante concentrarsi sull’autore dell’azione quanto piuttosto sugli spettatori
o sugli astanti.
Il coraggio civile va esercitato
Non ha senso aspettare che un evento drammatico incroci la nostra vita. Il coraggio civile può essere sperimentato quotidianamente. Si possono per esempio
invitare i ragazzi ad alzarsi quando una persona anziana e fragile cerca un posto
per sedersi. Si può intervenire nei discorsi da bar o nei pranzi in famiglia quando
vengono fatti dei commenti a sfondo razzista e sostenere una posizione diversa. Ci si può impegnare sul posto di lavoro a favore del neo arrivato albanese
per facilitargli l’inserimento. La quotidianità e i molti piccoli passi creano una
società più giusta e democratica. Nella quotidianità ci possiamo preparare ad
intervenire in situazioni estreme a favore dei valori democratici e anche a favore
di noi stessi.
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9. L’integrazione come costante
ricerca del dialogo
L’integrazione si trova tra i due poli dell’accettazione dei valori sociali e dell’esplorazione della propria identità culturale. I valori sociali della società democratica sono quelli scritti nella costituzione come valori fondanti. Essi si riferiscono per esempio alla dignità dell’uomo, alla parità dei diritti ed all’incolumità
fisica (ovvero alla salute) di tutte le persone che vivono in questo paese.
Ogni uomo porta con sé la propria storia e la propria identità culturale. Questa è
come una seconda pelle che ci permette di motivare i nostri pensieri, sentimenti
e azioni. Come già accennato (cfr. punto 1) l’identità culturale è molto di più
dell’appartenenza alla cultura della nazione.
Ogni persona di questo paese ha il compito di confrontarsi con i valori della
società e con la propria identità culturale. L’integrazione è quindi un compito
costante che spetta a tutti nella nostra democrazia.
La rinuncia ai valori costituiti e l’abbandono dell’identità culturale comporterebbero un immiserimento ed un imbarbarimento della società. In assenza di
valori e di forti legami culturali, le persone sprofonderebbero nella violenza e
nella mancanza di rispetto. Se abbandonassimo l’identità culturale otterremmo
una società uniforme, il cui massimo obiettivo sarebbe quello dell’adattamento
e della sottomissione. Se le persone abdicassero ai valori condivisi la società si
separerebbe e si frantumerebbe.
La tensione tra questi due poli comporta quindi una sfida costante. L’integrazione e l’inclusione richiedono oggi una discussione sui valori della nostra società
e la ricerca della propria identità culturale. Quest’ultima muta costantemente
nelle società ad alta diversificazione, mentre i diritti fondamentali mutano solamente se viene modificata la costituzione.
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Incontro con persone di altre culture
10. La partecipazione alla vita
sociale, economica e democratica
Dal punto di vista degli stranieri, la partecipazione e un po’ di attenzione nei loro
confronti sembrano essere dei bisogni più importanti rispetto all’integrazione e
alla tolleranza per convivere su un piano di parità con la popolazione autoctona.
Dal punto di vista della popolazione maggioritaria invece, gli sforzi di integrazione nella società di accoglienza da parte dei cittadini stranieri rimangono una
precondizione per una piena partecipazione alla vita sociale, economica e politica.
Entrambi questi modi di vedere si basano sulle esperienze della convivenza tra
la popolazione maggioritaria e la popolazione straniera e non sono facilmente
conciliabili.
Da quanto illustrato nei capitoli precedenti emerge che la validità universale dei
diritti dell’uomo e delle leggi che tutelano contro ogni forma di razzismo e discriminazione presuppongono la parità di trattamento e di diritti della popolazione
immigrata nei confronti della popolazione autoctona.
Spesso la società maggioritaria, che è al contempo la società di accoglienza,
parte da un’immagine falsata della propria omogeneità e da una rigida divisione
tra “noi” e “loro”.
A ben vedere l’”Altro” è già normalità, l’immagine della società di accoglienza
è determinata dalla diversità. Il concetto di partecipazione si riferisce al tempo
stesso alla diversità e al bene comune. Come possiamo strutturare la convivenza in una società partecipata in modo tale da permettere, in un’ottica di
condivisione della responsabilità, lo sviluppo delle istituzioni della società e delle
organizzazioni (quali gli enti locali, le imprese, le associazioni e le scuole) e di
una vita “buona e giusta” per tutti?
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Il principio di fondo in questo caso deve essere l’”inclusione” invece dell’”esclusione”.
Questo principio si è dimostrato efficace nell’ambito della scuola (abbandono
della pedagogia speciale) e potrebbe essere allargato ad altri ambiti societari
quali l’economia e la politica.
La piena partecipazione come obiettivo di sviluppo di una società in cambiamento significa rendere possibile l’accesso alle risorse presenti e alle opportunità di vita a tutti gli abitanti assieme all’assunzione di responsabilità nei confronti della società con il suo sistema giuridico e politico.
Per ottenere ciò è necessario sviluppare l’attenzione verso la diversità nella
popolazione, ovvero impegnarsi a favore dell’autodeterminazione e delle pari
opportunità, della democrazia e dei diritti umani per tutti.
11. La comunicazione interculturale
Quando incontriamo un’altra persona vediamo come prima cosa il suo aspetto
esteriore: i vestiti, il colore della pelle, i tratti somatici. Quando iniziamo a conoscere questa persona un po’ più a fondo noteremo i suoi riti di saluto e di
commiato. Dai “simboli” o “riti” esteriori riusciamo a dedurre i valori che sono
importanti per lui. Una conoscenza ancora più approfondita ci farà scoprire reazioni che ci sembreranno completamente estranee che a mala pena riusciremo
a capire. Perché si presenta all’appuntamento con un quarto d’ora di anticipo?
Perché non riesce a decidersi? Che cos’ho fatto io per farlo arrabbiare in questo
modo? Com’è possibile che non riesca a dirmi chiaramente che cosa vuole?
Spesso le cause si trovano nei presupposti culturali di base delle persone.
Scienziati quali Hofstede, Trompenaar o Demorgon hanno provato a rappresentare questi presupposti culturali di base come delle contrapposizioni. In che
direzione va una cultura? È di tipo individuale o invece più orientata alla collettività? È più importante la relazione o arrivare rapidamente alla soluzione di
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Incontro con persone di altre culture
un compito? Miriamo alle soluzioni definitive o abbiamo l’immagine culturale
del ritorno ciclico dei conflitti? Riusciamo a comunicare quello che vogliamo
in maniera chiara o c’è bisogno di molta sensibilità per capire cosa vogliamo
leggendo tra le righe?
Tutto ciò fa parte della comunicazione. Delle volte, per esempio, è bene incominciare un incontro in un bar e permettere un piccolo scambio relazionale.
In altri casi è più facile recarsi direttamente nella sala conferenze ed iniziare
immediatamente a lavorare sul problema, per poi andare a mangiare in tranquillità.
La comunicazione interculturale ha bisogno di rendere espliciti questi presupposti culturali di base. Se abbiamo queste informazioni “di sfondo” è più facile
capire come organizzare un incontro, come gestire un seminario o una consulenza.
Suggerimenti per una comunicazione
interculturale efficace:
• Fidatevi delle vostre sensazioni e chiedete se qualcosa vi sembra poco chiaro o ambiguo.
• I conflitti hanno molto più spesso uno sfondo relazionale che culturale. Cercate di capire quali paure suscita in voi il vostro interlocutore e di cosa avete bisogno per poter
parlare con lui più facilmente.
• Cercate di capire se dentro di voi ci sono delle immagini o degli stereotipi dello
straniero che possono condizionare l’incontro. Queste immagini ci portano spesso fuori
strada. Non ogni altoatesino corrisponde al suo cliché.
• Fate attenzione alle fantasie di potere che potrebbero sorgere tra di voi. Le persone
con background migratorio molto spesso hanno vissuto umiliazioni e discriminazioni.
Queste persone a volte sviluppano quindi una diffidenza generalizzata e un’ipersensibilità nei confronti di presunte discriminazioni, tendono a ritirarsi in sé stessi fino ad
arrivare all’”impotenza appresa” oppure sviluppano una forte carica di aggressività
verso l’esterno o contro sé stessi.
• Formulate la percezione delle differenze culturali solamente come ipotesi e create uno
spazio in cui si possa parlare di questi aspetti.
• Non lasciatevi prendere dallo “zelo missionario”: restate fedeli a voi stessi e comportatevi nei confronti degli altri nel modo in cui vorreste che gli altri si comportino nei
vostri confronti (regola aurea).
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12. Suggerimenti per i
colloqui di consulenza
Se nell’ambito di un consulenza si desidera conoscere la situazione di vita e
lo stato psicologico del migrante, una cauta anamnesi sociale può creare una
base di fiducia per entrambi gli interlocutori per poter meglio elaborare i bisogni
e gli obiettivi.
In un’anamnesi sociale il migrante viene invitato a raccontare la sua storia migratoria, la sua provenienza ed il suo percorso di integrazione. L’attenzione data
alla storia personale del migrante che nasce da questo invito a raccontarsi comunica la stima che abbiamo nei confronti del nostro interlocutore.
In conclusione dell’anamnesi sociale che ha lo scopo di illuminare il background
sociale dell’utente lo preghiamo di stilare un bilancio del processo migratorio
finora intrapreso e di tracciare le prospettive future che ne conseguono.
La ricerca sulle migrazioni ha suddiviso il percorso migratorio in varie fasi. Può
essere d’aiuto per il colloquio essere a conoscenza di questa strutturazione. Le
fasi della migrazione che vengono distinte sono le seguenti:
1. Preparazione e partenza
2.Viaggio
3. Arrivo nel paese di accoglienza e idealizzazione di esso. Motto: “Qui incomincia la vita”
(fase dell’ipercompensazione)
4. Fase della decompensazione: delusione, motto: “Qui finisce la vita, là c’era vita”
5. Fase dell’integrazione: il fondamento e la condizione per l’integrazione è il fatto che il
migrante trovi un posto nella nuova società e che vi possa partecipare.
Ai fini della consulenza è importante sapere in quale di queste fasi della migrazione o dell’integrazione si trovi la persona. Le strategie di risoluzione dei
problemi infatti dipenderanno anche da questo.
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Incontro con persone di altre culture
13. Literatura
Vedi parte tedesca
“Un’altra facilmente riconoscibile
caratteristica delle culture è che sono
sottoposte ad un continuo cambiamento.”
Tzvetan Todorov
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