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SINTESI DELL’INTERVENTO
DELLA PROF. LUCIA ZANCAN
Prima degli anni ‘80 il trapianto di fegato non rappresentava un’opzione terapeutica reale
perché, con le tecniche e le conoscenze di allora, la sopravvivenza era molto ridotta.
Quelle stesse malattie epatiche che allora erano letali, oggi vengono guarite con il
trapianto e i bambini non solo sopravvivono, ma vivono bene e a lungo.
Le tecniche di trapianto sono ormai ben codificate: è possibile utilizzare sia il fegato intero
che una sua parte e si può impiegare uno stesso fegato per due pazienti attraverso la
tecnica dello split liver. Per quanto riguarda il trattamento medico, la terapia di tipo
immunosoppresivo è diventata sempre più specifica e selettiva, anche se molta strada
rimane ancora da fare in questa direzione. La diagnosi delle infezioni è inoltre sempre più
precoce. Bisogna infatti ricordare che il bambino trapiantato è immunodepresso a causa
dei farmaci e quindi maggiormente suscettibile alle infezioni. Diagnosticate in tempo, tali
infezioni possono essere curate in tempi rapidi.
In definitiva si può quindi affermare che negli ultimi anni nell’ambito dei trapianti si sono
registrati sensibili miglioramenti sia dell’approccio chirurgico che di quello medico.
Per quanto riguarda la cura dell’atresia biliare, principale causa del trapianto di fegato
pediatrico, due sono le tappe significative da ricordare. La prima è l’intervento di Kasai,
dal nome del chirurgo giapponese che ha escogitato una novità nella cura di questa
malattia, con il tentativo di una ricostituzione anatomica. Tale intervento ha permesso di
sopravvivere a una notevole percentuale di bambini malati, prima destinati a morte certa.
In alcuni casi la speranza di vita è addirittura giunta a 20 anni dall’intervento, senza
ricorso al trapianto.
La seconda tappa fondamentale è stata il trapianto. In alcuni Paesi quello da vivente è
tuttora il più eseguito: ad esempio in Giappone, dove la legge ha vietato il trapianto da
cadavere. Per quanto riguarda l’Italia, invece, da quando è stato introdotto lo split liver da
donatore cadavere le liste d’attesa per il bambino si sono notevolmente ridotte. Non c’è
quindi la necessità di ricorrere a un donatore vivente, anche perché l’intervento a cui deve
sottoporsi il donatore è piuttosto importante ed esiste quindi un certo rischio di morbilità e
un seppur minimo rischio di mortalità. Questo insieme di fattori rende più ragionevole
ricorrere al donatore cadavere.
I vantaggi del trapianto da padre (o madre) a figlio sono fondamentalmente due: si può
decidere il momento in cui effettuare il trapianto e si può essere sicuri della qualità
dell’organo trapiantato. Invece, in base alle osservazioni più recenti, non sembra così certo
che il paziente che riceve una parte di fegato da un parente, piuttosto che da un donatore
non consanguineo, abbia minor rischio di rigetto. Il trapianto da donatore vivente non dà
quindi un grande vantaggio immunologico.
Esistono peraltro situazioni in cui il trapianto da vivente è preferibile, quando è necessario
trapiantare in un lasso di tempo molto ristretto, come nel caso dei tumori. Le neoplasie
devono essere infatti curate tramite chemioterapia fino al trapianto. Per cui, tra
l’interruzione della chemioterapia e il trapianto, il tempo a disposizione è molto ridotto e
l’intervento da cadavere, al contrario di quello da vivente, non è programmabile.
LA PROF. ZANCAN E’ GASTROENTEROLOGA E PEDIATRA
AL DIPARTIMENTO DI PEDIATRIA DELL’UNIVERSITA’ DI PADOVA
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