Corso di Psicologia Criminale e Investigativa TESINA FINALE TESTIMONIANZA E MEMORIA processo mnemonico, recupero dell’informazione, il minore testimone Laura Lo Paro Anno 2006/2007 INDICE Introduzione ................................................................................................... 3 1. Il processo mnemonico e la testimonianza 1.1. La memoria e i processi mnestici ............................................................. 4 1.2. Modalità di studio della memoria .............................................................. 6 1.3. Le metafore della memoria ...................................................................... 7 1.4. La memoria e i suoi “inganni” .................................................................. 8 1.5. La testimonianza .................................................................................. 10 1.6. L’attendibilità del testimone .................................................................. 11 2. L’intervista cognitiva 2.1. Il recupero dell’informazione ................................................................. 13 2.2. L’intervista cognitiva (IC) ...................................................................... 14 2.3. L’intervista cognitiva riveduta(EIC): l’importanza della relazione intervistatore/intervistato .............................. 16 2.4. L’intervista strutturata .......................................................................... 18 3. Quando il testimone è un minore 3.1. La memoria del “piccolo testimone” ........................................................ 19 3.2. La tutela del minore ............................................................................. 20 3.3. Dall’interrogatorio all’ascolto: l’audizione protetta .................................... 21 3.4. L’intervista cognitiva e il minore............................................................. 23 3.5. La validazione delle testimonianze: la Statement Validity Analysis .............. 24 Considerazioni conclusive .............................................................................. 27 Riferimenti bibliografici ................................................................................. 28 -2- I nostri ricordi sono indici d'archivio che vengono consultati e poi rimessi a posto in disordine da autorità che noi non controlliamo. (Cyril Vernon Connolly) Introduzione Le numerose teorie sulla memoria, come funzione psichica del cervello umano, rappresentano essenziali riferimenti concettuali applicabili alla psicologia giuridica ed alle attività investigative in molti casi criminosi. Nel primo capitolo, vengono riportati i principali approcci affrontati, in psicologia, nello studio della memoria e dei suoi meccanismi di funzionamento. Si riferiscono alcuni dei numerosi studi ed esperimenti sull’argomento, i possibili errori a cui la memoria è soggetta per il fatto di non essere un fenomeno meramente riproduttivo degli eventi ma un processo di ricostruzione nel corso del quale entrano in gioco caratteristiche sia personali, cognitive ed emozionali, che situazionali, legate al contesto in cui si verifica l’evento. La conoscenza dell’esistenza di questi errori e dei molteplici fattori che intervengono nel processo di codifica di un evento, permette di comprendere come il racconto di un testimone oculare, basato su una serie di ricordi, possa non essere del tutto rispondente all’evento reale. Successivamente si tratteranno alcuni metodi di intervista ai testimoni messi a punto da psicologi e largamente utilizzati in campo investigativo, sia negli Stati Uniti che in Europa. In particolare, viene descritta la tecnica dell’Intervista Cognitiva (IC) quale strumento innovativo per vagliare le testimonianze ed organizzato in una prima parte, nella quale al soggetto viene richiesto un racconto libero dei fatti ed in una seconda parte, che consiste nell’applicazione di specifiche mnemotecniche, utili per una valutazione dell’attendibilità del testimone. Una rielaborazione dell’IC è rappresentata dall’Intervista Cognitiva Riveduta (EIC) che, rispetto alla prima, pone una maggiore attenzione sulla relazione tra intervistatore ed intervistato mentre l’Intervista Strutturata (IS), si configura come una versione semplificata dell’IC, poiché non presenta il ricorso alle mnemotecniche. Infine, l’ultima parte sarà dedicata alle differenze riscontrabili nei casi in cui a dover testimoniare è un minore rispetto a quelli in cui si applica quanto detto precedentemente a soggetti adulti. Si segnala, infatti, l’importanza, evidenziata da numerosi studiosi, di procedere con maggiore attenzione all’ascolto di un bambino, avendo cura di ridurre al minimo le fonti esterne di suggestionabilità e di garantire la tutela della dignità del minore. Per raggiungere questi scopi, è stata introdotta l’audizione protetta come forma di ascolto delle testimonianze di un minore, dal momento che questo avviene, solitamente, in casi di sospetto abuso sessuale. Vengono descritte le modalità con le quali si effettua l’audizione protetta insieme agli strumenti che contribuiscono ad una corretta raccolta di informazioni ed alla successiva validazione delle testimonianze. -3- Partendo dagli studi sulla memoria è possibile, quindi, sottolineare l’importanza di questi come ausilio nel lavoro di investigazione e, in particolare, in un campo delicato e ancora in via di sviluppo come la psicologia della testimonianza. Si può, senz’altro, tracciare un’analogia tra le modalità di azione della memoria e dell’investigatore: la memoria crea un ricordo a partire dalle diverse tracce immagazzinate per giungere ad una ricostruzione il più vicino possibile all’evento, così come l’investigatore ricostruisce degli eventi a partire dagli indizi raccolti e arrivare così alla “verità”. 1. – Il processo mnemonico e la testimonianza 1.1 La memoria e i processi mnestici La memoria, detta anche funzione mnestica, è quella funzione psichica volta all'assimilazione, alla ritenzione ed al richiamo di informazioni apprese durante l'esperienza. È influenzata anche da elementi affettivi (come emozione e motivazione), oltre che da elementi riguardanti il tipo di informazione da ricordare. Questa funzione viene definita come un processo legato a molti fattori, sia cognitivi che emotivi, e come un processo eminentemente attivo e non, o almeno non solo, automatico o incidentale (http://it.wikipedia.org). Consiste, quindi, nel passaggio dall’acquisizione di un evento-stimolo alla sua traduzione in una rappresentazione interna registrabile in memoria (Canestrari, Godino, 1997). L’azione del ricordo può essere suddivisa in tre stadi successivi di elaborazione: 1. Encoding – Fase di acquisizione e codificazione Le informazioni e gli stimoli che arrivano al Sistema Nervoso Centrale vengono selezionati ed etichettati secondo classi di caratteristiche (sensoriali, percettive, emozionali, etc.). Un ulteriore processo di codificazione, più lento del precedente, è l’elaborazione, che consiste nel collegare il nuovo segnale con altre informazioni già presenti. 2. Storage – Fase di ritenzione ed immagazzinamento Le informazioni acquisite in memoria tendono ad essere stabilizzate nel tempo. Maggiore sarà l’intervallo tra la fase iniziale e quella finale di recupero, maggiore sarà la possibilità di avere un ricordo meno accurato dell’evento. 3. Retrieval – Fase di recupero Consiste nel risultato operativo dei processi di acquisizione e ritenzione e comprende quei meccanismi in grado di far riemergere le informazioni “archiviate” in memoria. -4- Nello schema precedente, T1 coincide con la fase di codifica, che può essere chiamata anche fase di studio. È qui che avviene il processo di apprendimento che può essere di due tipi: intenzionale o accidentale, a seconda se si ha o meno la consapevolezza che sarà seguita dalla fase di test. T2, invece, è il momento in cui avviene il recupero dell’informazione o fase di test: anche in questo caso è possibile operare una distinzione tra una modalità esplicita ed una implicita in base al grado di consapevolezza della precedente fase di studio. Nella fase di test, inoltre, è possibile procedere al recupero di un ricordo attraverso due diversi processi: a) la rievocazione o richiamo, che consiste nella “riproduzione attiva dell’informazione registrata in memoria”; b) il riconoscimento che avviene quando “ci si rende conto di aver già avuto contatto con un dato stimolo, attraverso un confronto tra lo stimolo proposto e quelli incamerati in memoria” (Canestrari, Godino, 1997, p.183). -5- 1.2 Modalità di studio della memoria Non esiste una modalità unica di studio della memoria ma, nella storia della psicologia, sono molti gli autori che, con approcci diversificati, hanno tentato di spiegare le leggi e i meccanismi che regolano questa funzione così complessa. Secondo il criterio associazionista, il più antico, “il meccanismo chiave dell’apprendimento e della memorizzazione consiste nella associazione per contiguità temporale” (Canestrari, Godino, 1997, p.184). Ebbinghaus ha compiuto studi sperimentali sulla memorizzazione di sillabe senza senso ed ha identificato la curva dell'oblio, delineando un calo della prestazione mnestica superiore all'aumentare del tempo della ritenzione. In maniera speculare è rappresentata la curva della ritenzione: all'aumentare delle ripetizioni aumenta la qualità della ritenzione, fino ad un livello tale per cui successive ripetizioni non implicano miglioramenti significativi della prestazione. Un limite di questi studi risiede nel fatto che queste leggi si applicano solo per l’acquisizione meccanica di stimoli artificiali e delineano un meccanismo di memorizzazione esclusivamente passivo. L’approccio strutturalista considera il processo mnestico come risultante da una strutturazione degli stimoli, piuttosto che da un semplice incameramento. La memorizzazione deriva, quindi, da “l’impiego di strategie attive per elaborare una costruzione che rappresenta l’informazione in memoria, costruzione che integra lo stimolo nuovo con le tracce delle esperienze passate del soggetto” (Canestrari, Godino, 1997, p.186). Il principale esponente di questo approccio è Bartlett, il quale ha studiato la memoria focalizzando l’attenzione sulle differenze individuali e sulle distorsioni di tipo affettivo ed emozionale che sono in grado di modificare i ricordi, rendendo la rievocazione inattendibile rispetto allo stimolo acquisito nella fase di codifica. Ha inoltre introdotto il concetto di schema definito come elemento dotato di senso, caratterizzato da un contenuto e da un processo, che veicola il processo di codifica, ritenzione e richiamo mnestico mediando il ricordo di informazioni successive. L’approccio dell’elaborazione dell’informazione si sviluppa a partire dagli anni 70. Studia la memoria secondo uno schema di tipo cibernetico, adoperando un’analogia funzionale tra il cervello umano e un calcolatore elettronico e si fonda sui seguenti assunti: La memoria è un flusso di informazione attraverso un sistema, in processo di tipo input-output. Il sistema risulta suddivisibile in una serie di sub-sistemi ognuno coprente una determinata parte del processo. Il processo risulta caratterizzato da una sequenza fissa. Ogni stadio mnestico ha durata di tempo e capacità limitate. -6- Lo stesso processo di elaborazione dell'informazione si applica per qualsiasi tipo di formato del segnale (grafico, tattile, semantico, verbale etc.). A partire da questi concetti, si sviluppa anche l’approccio cognitivista ed, in particolare, la teoria che concepisce la memoria come un processo plurimodulare, che comprende tre moduli mnestici: Il modulo 1 registra molte informazioni ma in maniera limitata. Prende nomi diversi a seconda delle teorie cognitiviste che l'hanno studiato ma fa prevalentemente riferimento alla memoria sensoriale. Il modulo 2 trattiene i dati per un periodo di tempo maggiore, ma ha capacità più limitata e si identifica nelle sue numerose accezioni come memoria a breve termine. Il modulo 3 ha capacità di ritenzione illimitata, ma i suoi contenuti sono di difficile recupero: è definita come memoria a lungo termine. Infine, Tulving (1972) ha operato una distinzione tra memoria episodica e memoria semantica: la prima raccoglie i ricordi legati alle esperienze personali, mentre la seconda, detta anche memoria concettuale, riflette gli schemi inerenti l'organizzazione del sapere, le strutture di avvenimenti e situazioni ed è comune a tutti coloro che parlano la stessa lingua. 1.3 Le metafore della memoria Per descrivere la memoria sono state utilizzate diverse metafore. Nel Medio Evo, ad esempio, era equiparata ad un teatro, col susseguirsi delle innovazioni tecnologiche è stata paragonata alla fotografia o alla cinematografia, fino ad arrivare ai giorni nostri a descriverla come un computer. Ma la metafora che più spesso è stata utilizzata per spiegare i meccanismi che portano al ricordo o alla dimenticanza degli eventi, è senz’altro quella spaziale. L’origine della metafora spaziale si può rintracciare nelle opere degli empiristi Locke e Hume nel XVII secolo e viene utilizzata largamente nel linguaggio quotidiano e letterario: la memoria viene così definita come un luogo, un contenitore o, da Conan Doyle, come una “soffitta”, dove i ricordi, intesi come copie degli eventi, vengono collocati, conservati e infine recuperati. All’interno di questa metafora, l’oblio rappresenterebbe una difficoltà di accedere ai ricordi. Una delle metafore spaziali più usate comunemente è quella che paragona la memoria ad una biblioteca. In questo caso, l’evento può essere rappresentato come un nuovo libro che viene archiviato nel catalogo dopo aver ricevuto un codice che gli permetterà di essere facilmente rintracciato in futuro. Al momento del recupero, infatti, si procederà alla localizzazione del libro nello scaffale corrispondente e quindi all’attivazione del ricordo. Questa metafora permette di spiegare la presenza di un ricordo accurato (libro recuperato), parziale (libro deteriorato) o inaccurato (interferenza con altri libri), e -7- l’assenza di un ricordo (codice errato o incompleto). Ma non è in grado di fornire una spiegazione rispetto a quei fenomeni che vengono definiti falsi ricordi: si tratterebbe, infatti, di recuperare un libro che non è stato mai archiviato. Ma come nascono i falsi ricordi? 1.4 La memoria e i suoi “inganni” Alcuni errori di memoria possono portare alla creazione di un nuovo ricordo, inteso come il recupero dettagliato di un evento che non è mai accaduto. Possono essere considerati dei “fenomeni produttivi che rivelano la normale manifestazione di un processo creativo” (Cubelli, Della Sala, 2007, p 90). Questi errori possono essere classificati in diversi sottogruppi: Errori di monitoraggio della fonte Quando il meccanismo di monitoraggio della fonte è danneggiato, un’informazione, un nome in questo caso, viene ricordata, ma viene perduto il ricordo di dove e come l’informazione è stata acquisita. Poiché la sensazione di familiarità è percepibile, i soggetti sono indotti a incorporare nella memoria questa informazione attribuendole connotati che non le sono propri (Peters M.J., Horselenberg R., Jelicic M., Merckelbach H., 2007). Suggestione post-evento Questo errore è stato studiato da Loftus e Palmer (1974) tramite una serie di esperimenti volti a dimostrare l’effetto del tipo di informazioni fornite ai soggetti sulla rievocazione del ricordo. Le parole scelte per formulare la medesima domanda influenzavano l’elaborazione del ricordo. Errori di congiunzione mnesica Due ricordi, spesso uno episodico e uno semantico, si miscelano formando un altro ricordo. Errori di traslazione inconsci Si ha quando un testimone riconosce un volto familiare e per questo lo assegna erroneamente all’autore del crimine. Errori di correzione del passato Il ricordo di esperienze passate è influenzato dalle nostre conoscenze attuali, dagli schemi attuali e dagli stereotipi consolidati. Spesso quindi siamo portati a correggere eventi passati in base ad esigenze di coerenza e semplificazione. Errori dovuti a pregiudizi In un esperimento classico, dovendo riconoscere da una vignetta vista in precedenza chi aveva l’arma in mano durante una lite nel metrò, oltre metà delle persone ricordava di aver visto l’arma in mano all’uomo con la pelle scura, mentre nella scena era il bianco ad impugnarla. -8- Lo studio di questi errori di memoria ha portato quindi ad una ridefinizione delle fasi di elaborazione del ricordo: la fase di enconding corrisponde all’interpretazione dello stimolo sulla base di conoscenze e inferenze; nella fase di storage l’interpretazione viene inserita all’interno di schemi conoscitivi; infine, nella fase di retrieval si procede all’elaborazione dell’interpretazione. Questo processo si configura allora come un percorso di ricostruzione e concatenamento di tracce piuttosto che come un semplice immagazzinamento in uno statico spazio mentale. Si è passati, quindi, ad una metafora non spaziale della memoria che definisce i ricordi come interpretazione degli eventi e considera l’oblio non come un errore, ma come un processo che è parte integrante del meccanismo della memoria. -9- 1.5 La testimonianza E’ possibile applicare queste riflessioni sulla memoria al campo della testimonianza, che continua ancora oggi ad avere un ruolo decisivo in campo giuridico ed investigativo. Stern (1939) definisce la testimonianza come la riproduzione verbale o scritta di contenuti mnemonici, che fanno riferimento ad una particolare esperienza o ad un certo evento esperito. La testimonianza può essere distinta in testimonianza diretta, nel caso in cui l’individuo ha assistito al fatto in prima persona e testimonianza indiretta, quando, invece, l’individuo è venuto a conoscenza del fatto in un secondo momento tramite il racconto di altri. Nel secondo caso è possibile che avvenga una re-interpretazione da parte del soggetto riguardo ai fatti di cui è venuto a conoscenza. In entrambi i casi comunque la testimonianza riporta sia una parte di verità oggettiva sia una costruzione soggettiva dei fatti, legata a componenti emozionali e situazionali che influenzano il ricordo ma anche ai sopraccitati errori di memoria. Operazioni di questo tipo possono portare il testimone oculare a fornire involontariamente una deposizione diversa dal reale svolgimento dei fatti, in quanto possono avere alterato la percezione dell’evento e dei fatti accaduti da renderli diversi da ciò che accadde effettivamente (Loftus, 1999; Gulotta 1987; De Cataldo, 1988; Cavedon, 1992; Mazzoni, 1997; Mazzoni, 2000). Un’analogia interessante per comprendere meglio quanto l’attività ricostruttiva di un individuo possa influire sulla memoria di un evento è stata proposta dal cognitivista Urlic Neisser (1967), il quale ha paragonato il soggetto che ricorda ad un paleontologo che tenta di ricostruire un dinosauro partendo dai pochi frammenti ossei di cui dispone. Le ricostruzioni possibili sono molteplici ma il risultato, poiché basato su diverse congetture, non potrà risultare certamente simile all’originale. Essendo, quindi, il ricordo di un evento una ricostruzione, andrebbero esaminati i fattori che intercorrono prima dell’evento, durante le fasi del processo mnestico ed, infine, le azioni ed i processi che accadono dopo l’evento e che potrebbero alterarne la ritenzione ed il recupero (Petruccelli, Petruccelli, 2004). Secondo Schacter (1996) il processo di codifica e il ricordo sono praticamente inseparabili, dal momento che si ricorda solo ciò che si è codificato e ciò che viene codificato dipende da chi siamo, dalle nostre esperienze passate, dalle nostre conoscenze, dai nostri bisogni, con una grande influenza su ciò che viene immagazzinato in memoria. Questa visione di Schacter spiega perché talvolta persone diverse ricordano lo stesso episodio in modo radicalmente opposto. Un testimone generalmente codifica l’informazione che proviene dall’ambiente (ad esempio, vede l’incidente tra due macchine). Questa informazione però entra nel sistema cognitivo del soggetto in modo diverso rispetto alla forma ed ai dettagli con cui è presente nell’ambiente - 10 - Quando il testimone viene invitato a ricordare e riconoscere informazioni, queste riguardano in primo luogo la memoria episodica, tuttavia non va sottovalutata la possibile influenza della memoria semantica sul ricordo episodico. Si deve, inoltre, tener presente che, ad esempio, la modalità di acquisizione del materiale può influenzare la rappresentazione delle conoscenze nella memoria episodica: vi è differenza, infatti, quando un ricordo è intenzionale (tendenzialmente il soggetto sarà facilitato nel ricordare l’evento) e quando invece è accidentale (probabilmente il ricordo sarà scarso e lacunoso in termini di quantità, anche se talvolta può essere ugualmente accurato) (Mazzoni, 2003). Ed è proprio il ricordo accidentale che spesso caratterizza le testimonianze: la maggior parte delle volte, infatti, accade che l’individuo è chiamato a testimoniare su eventi inattesi, che non ha la consapevolezza di dover ricordare. In questi casi, il ricordo è solitamente scarso e frammentario. Spesso i testimoni di un processo possono essere convinti di ricordare eventi che non si sono verificati, per cui possono incorrere in quella che Gianrico Carofiglio definisce “falsa testimonianza inconsapevole” (Cubelli, Della Sala, 2007). 1.6 L’attendibilità del testimone I testimoni, come disse Bentham, «sono gli occhi e gli orecchi della giustizia» ed è quindi giustificato l'interesse della psicologia giudiziaria per il processo testimoniale (Ferracuti, 1959). Ma le diverse teorie sulla memoria ed il suo funzionamento insieme ai numerosi studi condotti su questo argomento aprono la controversa questione dell’attendibilità dei testimoni. Si può credere in assoluto ad un individuo che dice di ricordare esattamente un evento che “ha visto con i suoi occhi”? Da quanto esposto finora è possibile comprendere che la memoria è un meccanismo imperfetto, dal momento che è influenzato da molteplici fattori che possono intervenire nelle tre diverse fasi sopraelencate ed ostacolare così la modalità corretta di codifica, mantenimento o recupero di un ricordo. Molti studi ed esperimenti hanno dimostrato che nell’osservazione e nel racconto di un evento, è fondamentale l’influenza delle caratteristiche proprie di un individuo, dei suoi schemi mentali e delle sue conoscenze pregresse, nonché dalle caratteristiche della situazione. In un esperimento, Loftus (1979) ha presentato a due gruppi di volontari due scene ambientate in un fast-food: nella prima il cliente si avvicinava al cassiere con una pistola, nell’altra, invece, aveva in mano un assegno. Dalle registrazioni dei movimenti oculari è stato possibile osservare che le persone fissavano la pistola più a lungo dell’assegno ed erano talmente attirati dalla pistola da non ricordare gli altri particolari della scena. Questo fenomeno è stato definito “effetto arma”. - 11 - In questo caso, la difficoltà a ricordare gli elementi della scena può dipendere da un difetto di codifica: il testimone opera una selezione delle informazioni da incamerare dovuta ad un elemento particolare che lo porta a distogliere l’attenzione dal contesto globale. Un'altra caratteristica della memoria che può influire nel racconto di una testimonianza è la tendenza a compensare lacune mnestiche. A questo proposito Brewer e Treyens (1981) hanno condotto un esperimento: hanno lasciato dei soggetti per alcuni minuti in una stanza presentata come l’ufficio di un accademico e hanno poi chiesto loro di descrivere l’arredamento e gli oggetti presenti nella stanza. Molti affermarono di aver visto una scrivania e dei libri, che in realtà non c’erano; pochissimi, invece, notarono oggetti insoliti come un teschio o un cesto da pic-nic. Questo esperimento permette dunque di spiegare che, di fronte ad un’inattesa richiesta di recupero di memoria, quale è la maggior parte delle volte una richiesta di testimonianza, gli individui sono portati ad usare gli schemi di conoscenza per completare i ricordi mancanti o per evitare resoconti poveri di particolari (Cubelli, Della Sala, 2007). Da questi esempi emerge, quindi, che un testimone è, per definizione, inattendibile dal momento che è chiamato a riportare quello che essendo un ricordo, cioè una ricostruzione, è necessariamente diverso dall’evento originale, una deformazione della realtà. II contenuto della deposizione deve essere, quindi, considerato “come qualcosa che non può mai essere pura riproduzione fotografica di un fatto obiettivo, ma è sempre il prodotto di una molteplicità di coefficienti: in parte soltanto dati dagli elementi di quel fatto obiettivo, ma in parte costituiti dalla natura stessa della personalità psichica del testimonio, e da tutti gli elementi esteriori che hanno agito nel passato e che attualmente agiscono sul testimonio stesso” (Musatti, 1931). In questo ambito, un ruolo molto importante nella fase di raccolta delle testimonianze può essere svolto dallo psicologo non in quanto sostituto dell’investigatore, ma in quanto possessore di competenze e strumenti conoscitivi atti a comprendere i meccanismi che operano nel processo di rievocazione dei ricordi e ad individuare eventuali elementi che possono aver influenzato il racconto. - 12 - 2. - L’intervista cognitiva 2.1 Il recupero dell’informazione Nel capitolo precedente sono state sinteticamente richiamate le numerose teorie esistenti sul funzionamento della memoria sottolineando l’importanza che rivestono gli studi e gli esperimenti su questo argomento nel campo della psicologia investigativa. La Psicologia Investigativa come applicazione della psicologia al processo investigativo e più in generale all'attività di Polizia Giudiziaria, trova modalità applicative (http://www.psicologiainvestigativa.it/): – nella preparazione dell'interrogatorio e nell'analisi dell'intervista investigativa e – nella definizione del profilo criminale (offender profiling) – nella stesura dell'autopsia psicologica – nello studio della psicologia della negoziazione – nell'analisi psicologica di testi scritti – nella preparazione dell'operatore di Polizia e del team investigativo nel problem solving dei processi investigativi – nello studio della psicologia della testimonianza oculare. Lo scopo principale della psicologia della testimonianza è quello di “stabilire criteri esatti e certi così da rendere possibile sulla base delle testimonianze la ricostruzione obiettiva dei fatti o degli accadimenti reali” (Musatti, 1991). In particolare, vi sono diverse forme di collaborazione ed integrazione che lo psicologo può offrire alla squadra investigativa: attraverso lo sviluppo di diverse tecniche di intervista, durante la fase della testimonianza vera e propria; assicurandosi, ad esempio, che il line-up, o confronto all’americana come metodo di riconoscimento del “colpevole” si svolga in maniera corretta; attraverso il riconoscimento delle false confessioni (in USA, IL 20-25% dei detenuti scagionati dalla prova del DNA era in carcere per aver confessato); avanzando proposte di modelli teorici per orientare le indagini e per valutare le ipotesi investigative. - 13 - Non si può parlare di testimonianza senza parlare di memoria e, come abbiamo visto, non si può parlare di memoria senza fare riferimento alla sua natura “ingannevole”, ai suoi errori dovuti a conoscenze personali, stati emotivi e schemi mentali preesistenti. Per tutta questa serie di motivi, a partire dagli anni ’80, diversi autori hanno sviluppato delle tecniche innovative di intervista volte al recupero delle informazioni tramite l’utilizzo di metodi che tengono conto delle caratteristiche del soggetto e della situazione testimoniale, della relazione intervistatore e testimone e dei possibili errori nei quali può incorrere la memoria. L’uso di queste tecniche in ambito testimoniale permette di valorizzare le capacità della memoria e di ridurre al minimo i falsi ricordi. Vediamo come. 2.2 L’intervista cognitiva (IC) L’Intervista Cognitiva o IC è stata elaborata dagli psicologi Ed Geiselman e Ron Fisher (1987) per rispondere alle numerose richieste da parte di ufficiali di polizia e professionisti legali che necessitavano di uno strumento che potesse essere d’ausilio nell’interrogatorio dei testimoni. L’IC utilizza i principi e le teorie della psicologia cognitiva, tentando di ridurre al minimo la soggettività del testimone. Si basa su principi psicologici che riguardano il ricordo ed il recupero di informazioni dalla memoria, si concentra quindi sulle modalità che il testimone può usare per accedere all’informazione in memoria (Binazzi, 2005). Al momento della codifica di un informazione, la traccia che ne deriva è data una molteplicità di elementi. Maggiore sarà la presenza di questi elementi al momento del recupero dell’informazione e maggiore sarà la probabilità di un recupero attendibile di quest’ultima. Uno degli autori più citati per spiegare le basi teoriche di questo strumento è senz’altro Tulving. Egli (1974) afferma che esistono diversi percorsi possibili per raggiungere una specifica informazione codificata e che, se quest’ultima non risulta essere accessibile attraverso una certa strada, probabilmente potrà essere raggiunta tramite un percorso alternativo. L’IC si basa proprio su questo assunto per cui tentativi di richiamo multiplo possono aumentare la quantità di ricordi e portare al recupero di una data informazione attraverso una via d’accesso alternativa. La forma originaria dell’Intervista Cognitiva si basa su quattro tecniche cognitive fondamentali (Fisher e Geiselman, 1992). La ricostruzione ambientale del contesto e dello stato psicologico vissuto al momento dell’evento. Tale strategia si basa sul principio della specifica di codifica di Tulving e Thomson (1973), secondo il quale, - 14 - come precedentemente accennato, nel momento in cui si codifica l’informazione relativa ad un certo evento si iene a formare una traccia unica che comprende anche l’informazione che riguarda il contesto oggettivo e soggettivo in cui tale evento ha avuto luogo. Attraverso la ricostruzione del contesto, quindi, si presenta al soggetto una parte dello stimolo originario, con lo scopo di aumentare la sovrapposizione tra contesto al momento del recupero e contesto al momento dell’acquisizione (Cavedon, Calzolari, 2005). Il riferimento di qualsiasi dettaglio il soggetto ricordi dell’evento. Si richiede al soggetto di riferire qualsiasi dettaglio gli venga in mente, anche quelli che possono apparire insignificanti. In questo modo l’individuo può essere facilitato nel ricordare dettagli importanti in associazione con dettagli considerati insignificanti, ma che potrebbero invece risultare molto utili se accostati a dettagli riportati da altri testimoni presenti allo stesso evento. La rievocazione libera dell’evento partendo da momenti temporali diversi. Si può chiedere al testimone di iniziare a raccontare l’accaduto partendo da punti diversi: dalla fine, da metà o da un evento particolarmente saliente. L’utilizzo di questa strategia si basa sul presupposto un individuo, nel raccontare un evento in ordine cronologico, potrebbe essere portato a ricostruire cosa potrebbe essere successo, in base a quella tendenza a compensare le lacune mnesiche che ho descritto nel capitolo precedente: la tendenza ad utilizzare schemi di conoscenza per compensare la perdita di dettagli, basandosi nella ricostruzione su eventi simili a lui familiari. Il cambiamento di prospettiva. Si può chiedere al testimone di rievocare l’evento da un punto di vista diverso dal proprio. Ad esempio, si può chiedere al testimone di assumere il punto di vista della vittima o di un altro testimone e di riportare quello che questi ultimi avrebbero potuto vedere. In questo modo si può ampliare la quantità di dettagli, anche vi è il rischio di incorrere in ricordi fittizi. Se nell’Intervista Cognitiva il testimone e la sua capacità di accedere ai ricordi hanno una notevole importanza, altrettanto rilevante è il ruolo di chi interroga il teste e come questi agisce sul processo di recupero delle informazioni: deve, infatti, cercare di aiutare il testimone a recuperare il maggior numero possibile di informazioni senza rischiare di danneggiare il ricordo che il soggetto ha dell’evento, gia di per sé è parziale e impreciso. - 15 - *(tabella tratta da Mestitz, 2003) 2.3 L’intervista cognitiva riveduta (EIC): l’ importanza della relazione intervistatore/intervistato I limiti dell’elaborazione originale dell’Intervista Cognitiva consistono nel fatto che era nata come strumento in grado di aumentare il ricordo dei testimoni di un evento in una situazione ideale di laboratorio, senza tener conto dell’influenza che possono avere sul processo di ricordo dell’evento possibili fattori di stress e tensione emotiva, fattori che, alcune volte, sono attivati proprio dalla situazione di interrogatorio. Dal momento che l’intervista in sé può essere vissuta dal testimone come evento stressante, Fisher e Geiselman (1992) decisero di aggiungere alcuni elementi con lo scopo di migliorare la comunicazione intervistatore/intervistato. Nell’Intervista Cognitiva riveduta (EIC) assume maggiore importanza l’aspetto relazionale, la modalità con la quale l’intervistatore crea il rapporto con il testimone e - 16 - le tecniche che utilizza per instaurare un clima di serenità e di ascolto, in grado di facilitare anche l’aspetto mnestico. In particolare, l’intervistatore può personalizzare l’intervista chiamando il testimone per nome, ripetendo l’ultima frase del soggetto e, in ogni caso, utilizzando il linguaggio e le espressione che più si addicono al modo di parlare dell’intervistato. Deve quindi mostrare empatia e adattare il suo linguaggio e il suo comportamento in riferimento a chi gli sta davanti. E’ utile, inoltre, che minimizzi l’ansia del testimone per evitare che il sopravvento di questa possa influire sia sulla quantità che sulla qualità dei ricordi. Per ottenere ciò l’intervistatore deve apparire rilassato, a suo agio e parlare lentamente ed in modo comprensibile. Diversi studi hanno, infatti, dimostrato che, nei rapporti interpersonali, il comportamento di una persona tende ad assomigliare a quello dell’altra per cui il testimone sarà portato ad assumere il medesimo atteggiamento rilassato dell’intervistatore. Infine, un’altra tecnica per facilitare la comunicazione è quella del trasferimento del controllo dell’intervista al testimone. Sarà quest’ultimo a stabilire i ritmi dell’intervista e l’intervistatore passerà dal ruolo di guida a quello del facilitatore e dell’ascoltatore attivo: potrà, ad esempio, intervenire con domande aperte che manifestino la sua partecipazione senza tuttavia interrompere il racconto (Binazzi, 2005). Per quanto riguarda le strategie cognitive volte al recupero delle informazioni, la tecnica delle immagini mentali è una delle più innovative e valide sotto il profilo dei risultati. Consiste nella richiesta, da parte dell’intervistatore, di attivare immagini mentali riguardanti varie parti di un evento, dopo aver ascoltato la narrazione libera del soggetto. L’intervistatore può chiedere al testimone di focalizzare la sua attenzione su determinati particolari della scena e di creare immagini mentali e poi proseguire ponendo domande compatibili con l’immagine creata, per riuscire ad ottenere il maggior numero di informazioni prima di passare ad immagini diverse (Binazzi, 2005). Anche in questo caso, l’intervistatore svolge un ruolo chiave poiché deve prestare attenzione a non accompagnare la rievocazione delle immagini con commenti suggestivi, i quali potrebbero portare alla creazione di possibili falsi ricordi (Calzolari, Cavedon, 2005). - 17 - 2.4 L’intervista strutturata L’Intervista Strutturata (IS) è una versione semplificata dell’Intervista Cognitiva riveduta, proposta da Koehnken e collaboratori nel 1994 come tecnica di recupero delle informazioni alternativa all’IC (Binazzi, 2005). Dell’Intervista Cognitiva riveduta conserva soprattutto gli aspetti che facilitano la comunicazione ed aiutano la costruzione del rapporto con il testimone; la differenza principale consiste nel fatto che non impiega tecniche cognitive per il recupero dell’informazione, ma usa una seconda narrazione libera dell’evento da parte del teste (Cavedon, Calzolari, 2005). Lo scopo di questo tipo di intervista è quello di far sentire il testimone il più possibile a suo agio, instaurando sin dai primi minuti dell’intervista un clima di fiducia, che permetta di facilitare l’interazione tra i due soggetti, creando un terreno fertile per la cooperazione del testimone. L’intervistatore deve essere in grado di gestire la creazione di un’interazione positiva, attenendosi comunque alla successione delle fasi per ottenere il maggior numero di informazioni in maniera corretta. * (tabella, modificata, tratta da Cavedon, Calzolari, 2005) - 18 - 3. – Quando il testimone è un minore 3.1 La memoria del “piccolo testimone” In passato si era soliti ritenere che le testimonianze di bambini di età inferiore ad una certa soglia, ad esempio 5 anni, non potessero essere considerate attendibili. Ma studi condotti recentemente nell'ambito della testimonianza infantile hanno invece constatato come anche bambini molto piccoli, di 4-5 anni, siano in grado di fornire resoconti accurati di eventi osservati, avendone un ricordo sostanzialmente preciso (Flin e Spencer, 1995). Tali studi dimostrano, infatti, che il ricordo libero di bambini di quattro anni di età può essere preciso come quello di un adulto in quanto tendenzialmente gli elementi ricordati sono effettivamente presenti nell’evento originale (Binazzi, 2005). Emerge che i resoconti verbali sono brevi ma molto accurati, anche se solitamente meno dettagliati rispetto a quelli di un adulto (Goodman e Reed, 1986), dal momento che nei bambini è riscontrabile una maggiore difficoltà a ricordare dettagli non salienti rispetto all’evento. Inoltre, il ricordo è migliore se un evento è vissuto in prima persona piuttosto che ascoltato (Fivush, 1993) ed anche quando il bambino è attivamente coinvolto nella situazione piuttosto che esserne semplice spettatore. (Tobey e Goodman, 1992). E’ importante specificare cosa si intende per ricordo libero: Mazzoni (2003) lo definisce come quel ricordo che non è sollecitato da domande specifiche da parte di chi interroga, ma solo da domande molto generiche, ad esempio, “Che cosa ricordi della situazione?”. Questa precisazione risulta utile per introdurre una questione che riveste una fondamentale importanza quando si parla di “piccoli” testimoni: la suggestionabilità. In sede processuale, infatti, può accadere che gli avvocati chiamati ad interrogare il bambino ricorrano a domande strategiche (ovvero suggestive) per persuadere il testimone ed avvalorare l'ipotesi da loro sostenuta, dal momento che è stato dimostrato che i bambini sono molto vulnerabili alla presentazione ed alla manipolazione delle domande, se effettuata da persone adulte (Ceci e Leichtman, 1994). La qualità dell’informazione ottenuta dipende molto da chi interroga, da come pone le domande e dal tipo di rapporto che instaura con l’intervistato. Queste considerazioni, valide per ogni tipologia di testimoni, sono da tenere in particolare considerazione quando si ha di fronte un bambino. La suggestionabilità può essere intesa come una caratteristica intrinseca al funzionamento della memoria: un testimone può, dopo aver ascoltato domande suggestive, introdurre elementi nuovi a causa una doppia rappresentazione mentale dell’evento: una originale e una suggerita da chi pone le domande. Inoltre, un bambino è suggestionabile in quanto, volendo compiacere l’adulto-interlocutore ed essendo particolarmente sensibile all’autorità dell’adulto, accondiscende a quelle che ritiene essere le aspettative dell’adulto (Binazzi, 2005). Se, ad esempio, una stessa domanda viene ripetuta più di una volta il bambino può arrivare a credere che le sue - 19 - risposte iniziali non siano state corrette e a cambiare quindi le risposte per adeguarsi alle informazioni ricevute dall’adulto, in virtù dell’autorità che gli attribuisce. A volte l'accondiscendenza dei bambini piccoli alla suggestione non indica necessariamente un cambiamento del loro ricordo, ma una tendenza a riflettere determinate richieste sociali che si manifestano attraverso le dinamiche dell'intervista e che portano i bambini piccoli a mostrare accordo con le informazioni che credono che gli adulti vogliano sentirsi dire durante l'intervista (Cassel, 1996). Questo fenomeno è definito referent power: è un meccanismo, riscontrabile anche negli adulti, che può indurre i testimoni di un crimine ad adeguare la loro rievocazione a quella fatta da altri, o perché rappresentano la maggioranza, o perché dotati di un particolare carisma personale. Per i motivi sopra esposti, in sede giudiziaria andrà valutata l’attendibilità del minore testimone prendendo in considerazione i concetti di competenza e credibilità. La competenza può essere definita come l’insieme delle capacità cognitive, emotive e sociali del bambino; si valuta analizzando se il minore sia in grado di differenziare i suoi pensieri e sentimenti dai dati reali e di cogliere il significato della sua posizione di testimone, appurando anche l’eventuale influenza delle valenze affettivo-emotive sulle funzioni della memoria. Per credibilità si intende, invece, la veridicità o la falsità delle dichiarazioni stesse e può essere indagata tramite l’analisi del grado di chiarezza, celerità, sicurezza e coerenza del resoconto fornito (Duilio, Magliulo, Perotti, 2001). 3.2 La tutela del minore Da un esame della letteratura specialistica emerge che, nella maggior parte dei casi, il minore viene chiamato a testimoniare in processi che riguardano un sospetto abuso sessuale in cui si trova, quindi, ad essere vittima ed, il più delle volte, unico testimone oculare. Appare chiaro che, proprio in virtù di questa duplice posizione, è necessario porre le condizioni volte a garantire la massima tutela del minore, intesa sia come verifica della veridicità del suo racconto e della possibilità di utilizzarlo come prova in tribunale, sia come garanzia del rispetto e della dignità dell’individuo. All’interno dell’ordinamento processuale sono, dunque, previste regole idonee ad evitare, il più possibile, rischi di compromissione della genuinità della testimonianza: per il primo caso sono previsti i divieti delle domande "che possono nuocere alla sincerità delle risposte" (art. 499, comma 2), nonché delle domande che "tendono a suggerire le risposte" (art. 499, comma 3); nel secondo caso, vale soprattutto la regola secondo cui "il presidente cura che l'esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona" (art. 499, comma 4). Nel codice di procedura penale del 1930, l’attenzione verso il minore coinvolto come testimone o come parte lesa nel processo era pressoché nulla: l’unica norma che accennava ai minori era quella (art. 449) che escludeva l’obbligo di prestare giuramento per il minore di 14 anni e nemmeno per i reati di abuso sessuale sui minori era previsto l’obbligo di celebrare il giudizio “a porte chiuse”, essendo una - 20 - decisione del genere lasciata alla discrezionalità del giudice con generico riferimento a ragioni di sicurezza, di ordine pubblico o di moralità (art. 423). Nella stesura del Codice del 1988, il problema dell’audizione del minore è diventato ancora più significativo: infatti, l’adozione del modello accusatorio prevede che le indagini precedentemente effettuate e le testimonianze ottenute siano riproposte nel corso del dibattimento, così da permettere a chi interroga di contestare eventuali discordanze qualora il testimone renda dichiarazioni diverse da quelle fatte in precedenza. Questo sistema, se da un lato consente, in linea generale, una duplice verifica delle dichiarazioni testimoniali, dall'altro, nei processi in cui la vittima è un minore, comporta che quest'ultimo venga sottoposto ad una vittimizzazione secondaria. Una volta entrato nel circuito della giustizia, infatti, al minore viene richiesto di raccontare e, quindi di rivivere, più volte la propria dolorosa esperienza, amplificando fatti già di per sé traumatici. Per questi motivi, nel corso del Convegno su “Abuso sessuale di minore: ruoli e responsabilità” tenutosi a Noto nei giorni 6-9 giugno 1996, è stato stilato un documento, la Carta di Noto, in cui sono esposte le linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale. Queste riguardano il corretto utilizzo, da parte dell’esperto, di strumenti e metodologie scientificamente affidabili, la necessità che il quesito posto all’esperto non richieda l’accertamento della verità ma piuttosto l’analisi dell’attendibilità del testimone e l’esposizione delle ipotesi alternative in base all’esame del caso. Dispone, inoltre, che la comunicazione con il minore venga fatta in un ambiente accogliente ed in grado di facilitare la spontaneità nell’esposizione del racconto; che il bambino sia informato degli scopi del colloquio e dell’importanza del suo racconto per le fasi successive del procedimento, tenendo conto della sua età e della sua capacità di comprensione. Infine, l’esperto deve ricorrere alla videoregistrazione di ogni attività svolta con il minore, in modo che questo materiale sia sempre a disposizione delle parti e del magistrato, limitando così gli interrogatori al minore senza necessità di ripeterli più volte. 3.3 Dall’interrogatorio all’ascolto: l’audizione protetta All’interno di questa rinnovata attenzione per i diritti dei minori da parte dell’organizzazione giudiziaria, è stata introdotta, in base alla legge 66/96, la possibilità che il pubblico ministero e i difensori possano chiedere, con l’incidente probatorio, l’audizione del minore in forma protetta così da operare tutte le cautele necessarie ad evitare che la vista dell'imputato possa turbare il minore (art. 398, comma 5-bis c.p.p.). E’ inoltre prevista, ai sensi dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p., la presenza di uno psicologo. L’audizione protetta ridefinisce le modalità di raccolta della testimonianza di un minore, con lo scopo di dare la parola al bambino ed ascoltare cosa ha da dire, riconoscendogli il diritto di testimoniare e comprendendo le possibili difficoltà che può incontrare qualora l’audizione non sia effettuata in modo corretto. - 21 - L’audizione si svolge in una struttura specializzata provvista di un locale munito di specchio unidirezionale, impianto di videoregistrazione e di un citofono interno; lo psicologo si trova nella stanza con il bambino, mentre al di là dello specchio potranno essere presenti il giudice, il pubblico ministero, gli avvocati e l’imputato che ne abbia fatto richiesta, i quali potranno intervenire comunicando le domande all’esperto che, se riterrà opportuno provvederà a tradurle al minore in un linguaggio comprensibile e adeguato alla sua età ed alle sue condizioni cognitive e affettive. La registrazione audiovisiva permette un’osservazione accurata di aspetti che possono sfuggire alla verbalizzazione tradizionale come, ad esempio, elementi della “comunicazione non verbale” particolarmente eloquenti in questi casi. Il materiale registrato consente, inoltre, come già accennato in precedenza, di evitare la ripetizione di situazioni di ascolto diminuendo lo stress per la vittima. METODOLOGIA DELL’ AUDIZIONE PROTETTA 1. FASE PRELIMINARE DI CONOSCENZA E ACCOGLIENZA, prima dell’audizione vera e propria, in cui il minore viene informato sul perché si trova in quel contesto, sulle modalità dell’audizione e sui suoi scopi. Questo momento risulta indispensabile per fornirgli una percezione sufficientemente chiara e sicura dell’esperienza e del contesto, nonché per presentargli la possibilità di farsi accompagnare nel setting di ascolto da una persona per lui significativa e rassicurante. 2. L’ESPLICITAZIONE DELLE FINALITÀ DELL’AUDIZIONE permette di coinvolgere il minore, cercando comunque di evitare una sua eccessiva responsabilizzazione per quello che riguarda gli eventuali sviluppi del procedimento. 3. L’ATTEGGIAMENTO DELL’ESPERTO deve favorire la creazione di un contesto di ascolto sicuro ed empatico, rispettoso dei tempi di elaborazione del trauma del minore, assumendo un atteggiamento di disponibilità e di valorizzazione del minore. 4. LA CAPACITÀ DI ASCOLTO DELL’ESPERTO deve comprendere un’attenzione a diversi livelli: uso delle parole, suono e tono della voce, postura, comunicazione non verbale, uso del silenzio, espressione dei vissuti correlati a ciò che sta raccontando. 5. IL RAPPORTO TRA INTERVISTATORE E BAMBINO deve essere caratterizzato anche dalla fiducia e l’esperto, se vuole che il minore sia sincero con lui, deve essere in grado di fare altrettanto, per esempio, non deve fare promesse che poi non potrà mantenere. 6. LA MODALITÀ CON CUI SI FORMANO LE DOMANDE può avere notevoli ripercussioni sulla rappresentazione mentale dell’evento. Per evitare condizionamenti, è importante che l’esperto formuli domande aperte, evitando il ricorso a domande suggestive o che possano, in qualche modo, guidare la risposta. 7. NON INTERROMPERE L’ESPOSIZIONE DEI FATTI rispettare i tempi del minore, attendendo una sua risposta ad ogni domanda. - 22 - 8. UN SETTING DI ASCOLTO ADEGUATO deve consentire due operazioni parallele: La valutazione di fattori cognitivi del bambino alla luce della fase di sviluppo in cui si trova; L’approfondimento e l’analisi degli elementi relazionali, affettivi e motivazionali legati alle specifiche interazioni tra la vittima e gli adulti implicati. 9. LINGUAGGIO DA UTILIZZARE NEL COLLOQUIO COL MINORE: l’esperto deve essere in grado di conoscere e di monitorare gli effetti che le sue domande possono avere sul bambino. Negli ultimi anni, al fine di ridurre al minimo gli effetti della suggestionabilità e di ottenere testimonianze attendibili, sono state messe a punto diverse tecniche da utilizzare in un contesto di “audizione protetta” con il duplice scopo di un pieno rispetto del bambino e di un concreto contributo alla diminuzione delle false denunce. In particolare, l’intervistatore può servirsi dell’Intervista Cognitiva nella fase di raccolta delle informazioni e della Statement Validity Analysis per quanto riguarda la validazione della testimonianza. 3.4 L’intervista cognitiva e il minore L’Intervista Cognitiva sembra rispondere in maniera adeguata agli scopi, esposti precedentemente, che si prefigge chi utilizza l’audizione protetta. Prevede, infatti, una fase di presentazione preliminare all’intervista che permetta al minore di ambientarsi, prendere confidenza con il contesto e con l’intervistatore, ricevere chiarimenti sullo scopo e sulle modalità di svolgimento dell’incontro. La fase successiva, dell’intervista vera e propria, facilita il processo di ricostruzione dei ricordi tramite l’utilizzo delle mnemotecniche sopra esposte le quali, allo stesso tempo, contribuiscono a ridurre al minimo i falsi ricordi: la variazione dell’ordine temporale degli eventi o il cambio di prospettiva, ad esempio, permettono di analizzare la capacità attiva del minore di rapportarsi al ricordo e di padroneggiarlo, facendo cogliere all’intervistatore quanto del racconto è un suo ricordo e quanto invece può essere imputabile ad influenze esterne. Anche in questo caso, come già detto a proposito degli adulti, è importante che l’intervistatore instauri un clima positivo e di fiducia, che rispetti i tempi e le esigenze del bambino, evitando di interrompere il racconto o di porre domande “direttive e suggestive”. - 23 - A causa della difficoltà, riscontrata in bambini molto piccoli, di comprendere alcune delle mnemotecniche adoperate alcuni autori (Saywitz e Geiselman, Bornstein, 1992) hanno individuato gli 8 anni di età come limite inferiore sotto il quale l’uso di questo tipo di intervista non dà risultati soddisfacenti. In questi casi è perciò consigliabile l’utilizzo dell’Intervista Strutturata, che propone una seconda narrazione libera in sostituzione di queste tecniche più complesse, con l’obiettivo di basare l’analisi del racconto anche su eventuali elementi di discordanza tra le due versioni. 3.5 La validazione delle testimonianze: la Statement Validity Analysis (SVA) La SVA è uno sviluppo della Statement Reality Analysis (SRA) una tecnica ideata da Undeutsch negli anni ’50 in Germania per rispondere alla necessità di un metodo di valutazione che permettesse di giudicare la validità delle accuse di abuso sessuale rilasciate da minori. L’ipotesi di Undeutsch presuppone che sia ragionevole attendersi che i resoconti basati su esperienze reali differiscano per quanto riguarda la struttura sia in termini di qualità sia di quantità dei contenuti da quelli che, invece, possono essere considerati come un prodotto della fantasia del minore. La Statement Validity Analysis si propone di operare una valutazione della deposizione del testimone e non della generica credibilità attribuita allo stesso ed è pertanto costituita da tre componenti (Yuille et al., 1993): 1. procedura di intervista (Interview Guidelines); 2. procedura di analisi delle dichiarazioni (Criteria-Based Contenent Analysis, CBCA); 3. lista di controllo della validità (Validity Checklist). La prima fase consiste nella raccolta delle informazioni attraverso l’utilizzo dell’Intervista Cognitiva o dell’Intervista Strutturata, tenendo presente tutte le caratteristiche proprie di questi strumenti volte a ridurre al minimo la possibilità di contaminazione del ricordo ed a diminuire il possibile effetto traumatico dell’intervista sul soggetto (Binazzi, 2005). La Criteria-based Content Analysis (CBCA) è un’analisi qualitativa che valuta i contenuti e le caratteristiche delle dichiarazioni ottenute tramite l’intervista e che viene applicata alla trascrizione letterale della narrazione libera fatta dal bambino. Viene valutata la presenza/assenza di determinati criteri di contenuto rappresentativi degli indicatori di realtà, rilevati solo su comunicazioni spontanee e non su risposte a domande dirette e vengono tenute in considerazione anche le capacità verbali e cognitive del bambino e la complessità dell’evento raccontato. E’ importante sottolineare che attraverso la C.B.C.A. è possibile ottenere un giudizio sul contenuto della deposizione e non sulla credibilità (Binazzi, 2005). L’analisi qualitativa è ottenuta utilizzando un set di criteri prestabiliti: - 24 - CATEGORIA 1: “CARATTERISTICHE GENERALI ” La deposizione viene in prima istanza considerata nella sua globalità. 1. Struttura logica: coerenza e consistenza del racconto; 2. Produzione non strutturata: assenza di una schema rigido di esposizione; 3. Quantità di dettagli: elementi descrittivi inerenti luoghi, persone, oggetti, azioni e tempi; CATEGORIA 2: “CONTENUTI SPECIFICI” La deposizione viene valutata in base alla presenza e alla pregnanza dei seguenti tipi di descrizioni. Da questo momento l’analisi viene compiuta frase per frase. 4. Inserimento in un contesto: connessioni spazio-temporali con elementi di vita quotidiana; 5. Descrizioni di interazioni: concatenazione degli eventi (secondo lo schema AzioneReazione-Azione); 6. Riproduzione di conversazioni: racconto di conversazioni o parti di esse riferite in forma di discorso diretto; 7. Complicazioni inaspettate durante l’evento critico: descrizione di avvenimenti che possono compromettere lo svolgersi degli eventi; CATEGORIA 3 “PARTICOLARITÀ DI CONTENUTO” Questa categoria include elementi della deposizione che ne aumentano la concretezza e la lividezza. 8. Dettagli insoliti: dettagli che possono riferirsi solo alla situazione oggetto di esame in quanto molto specifici e insoliti; 9. Dettagli superflui: elementi che arricchiscono il racconto ma che non lo modificano nella sostanza; 10. Dettagli fraintesi riportati accuratamente: dettagli che il bambino non comprende ma il cui significato è chiaro all’intervistatore; 11. Associazioni esterne collegate: racconti di eventi di natura sessuale collegati in qualche modo all’atto di abuso ma non relativi a quello in oggetto; 12. Descrizione dello stato mentale soggettivo: presenza di sentimenti emozioni e pensieri nel racconto; 13. Attribuzione di uno stato mentale all’accusato: presenza di sentimenti emozioni e pensieri nel racconto riferiti all’accusato; CATEGORIA 4: “CONTENUTI RELATIVI ALLA MOTIVAZIONE” I criteri appartenenti a questa categoria permettono di trarre qualche conclusione circa la motivazione del bambino a deporre o a dichiarare il falso 14. Correzioni spontanee: presenza di chiarimenti e di correzioni spontanee; 15. Ammissione di mancanza di memoria: consapevolezza di non essere in grado di riferire gli eventi in modo perfetto; - 25 - 16. Emergere di dubbi sulla propria testimonianza: presenza di perplessità nel bambino rispetto alla credibilità del suo racconto; 17. Auto-deprecazione: considerazioni del bambino rispetto a suoi comportamenti sbagliati o inappropriati relativamente al fatto; 18. Perdonare l’accusato: presenza di affermazioni tendenti a giustificare o spiegare il comportamento dell’accusato; CATEGORIA 5: “ELEMENTI SPECIFICI DELL’OFFESA” Si considera a parte questo aspetto perchè da un lato è raramente presente nelle deposizioni credibili, dall’altro, però, è fondamentale acquisire una conoscenza specifica dell’atto d’abuso. 19. Dettagli caratteristici dell’atto di abuso: presenza di elementi specifici confrontabili e inseribili nel quadro di riferimento teorico del comportamento di abuso. L’ultima componente è la Validity Checklist che consiste in una procedura valutativa che integra i risultati ottenuti tramite l’analisi dei contenuti con le informazioni derivanti dall’intervista e con nuove informazioni. Viene utilizzata per testare la plausibilità delle ipotesi generate nel corso dell’intervista e della CBCA così da poter valutare anche ipotesi alternative alla veridicità del racconto (ad esempio, le informazioni sono valide ma il bambino ha aggiunto o è stato indotto ad aggiungere altre affermazioni completamente false) (Cavedon, Calzolari, 2005). L’integrazione di queste tre componenti produce una completa valutazione della validità delle dichiarazioni del minore. In generale, numerosi studi hanno dimostrato il valore discriminativo dei criteri della CBCA e, quindi, la reale potenzialità dello strumento ad indagare quelle aree per le quali è stato creato. Esistono, tuttavia, delle questioni di carattere metodologico che meriterebbero di essere approfondite come, ad esempio, la possibile influenza di fattori culturali nella definizione dei criteri, che limiterebbe la validità dello strumento (Ruby e Brigham, 1997), l’adattamento dello strumento per un suo utilizzo con gli adulti (Landry e Brigham, 1992; Koehnken, Schimmossek, Aschermann e Hofer, 1995;) e la possibilità di falsare i risultati dell’analisi della deposizione da parte di un testimone che sia a conoscenza dei principi della tecnica usata (Vrij, Kneller e Mann, 2000). - 26 - Considerazioni conclusive Data la vastità dell’argomento ed i numerosi studi inerenti al tema trattato, questa trattazione non è da considerarsi esaustiva ma tuttavia utile per individuare alcuni importanti elementi di comprensione del rapporto tra memoria e testimonianza. Come si elabora, si mantiene e si recupera un ricordo ed i possibili errori a cui può andare incontro un individuo nella rievocazione degli eventi sono nozioni da considerare quando si parla di testimonianza. Bisogna, infatti, valutare come ciò che un testimone ricorda non è solamente il contenuto dell’evento a cui ha assistito, ma è piuttosto l’interpretazione dell’evento che è stata data dal soggetto al momento della codifica. Chi ascolta una deposizione deve, quindi, essere consapevole di questo meccanismo automatico di interpretazione che fa sì che il racconto del testimone sia influenzato, oltre che da ciò che ha visto, anche da conoscenze e convinzioni precedenti all’evento. Il ricordo è una ricostruzione soggettiva della realtà: l’essere giunti a questa consapevolezza ha favorito lo sviluppo, nel corso degli ultimi trent’anni, di una serie di strategie per acquisire le informazioni dal testimone che costituiscono le basi per le moderne tecniche di intervista. Ha contribuito, inoltre, a delineare l’importanza dell’aspetto relazionale come insieme di fattori che facilitanola comunicazione e, quindi, l’espressione dei contenuti. Chi raccoglie una testimonianza deve essere in grado di instaurare una relazione positiva con il testimone, facendolo sentire a proprio agio e favorendo una partecipazione attiva ed un ascolto empatico, sia che si tratta di adulti e, ancora di più, se si tratta di minori. Proprio in questo periodo, per i recenti fatti di cronaca, è riportata all’attenzione dell’opinione pubblica la delicata questione della testimonianza dei minori. Come emerge da quanto detto finora, è da considerare una priorità la tutela del minore all’interno di un procedimento che lo vede come testimone principale e quindi come protagonista. La speranza è che le disposizioni legislative vengano rispettate e che il bambino non debba più essere sottoposto ad una serie innumerevole di interrogatori, ad opera di persone sempre diverse e, la maggior parte delle volte, non competenti professionalmente. Questo per pervenire a due importanti risultati: la tutela del minore da quell’insieme di meccanismi, sopra definito “vittimizzazione secondaria”, per evitare cioè che il bambino debba essere sottoposto ad ulteriori abusi; il raggiungimento di una testimonianza che possa essere considerata il più possibile verosimile ed attendibile, così da poter essere utilizzata come prova in tribunale, per evitare condanne ingiuste ed assoluzioni altrettanto ingiuste. - 27 - Riferimenti bibliografici Bartlett F.C. (1985), La memoria. Studio di psicologia sperimentale, Franco Angeli, Milano. Bartlett, F.C. (1932), Remembering, Cambridge University Press, Cambridge. Tr. it. La memoria. 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