Assofiduciaria (2005) - Studio notarile Busani Milano

CIRCOLARE
DELLA COMMISSIONE TRUST
1. Schema di Trust commentato
2. Profili della istituzione di Trust
3. Contabilità del Trust
1. LO SCHEMA DI TRUST COMMENTATO
Questo atto, sottoscritto in
Y
città
stato
il
[………….], dal signor
X
, d’ora in avanti indicato come “il Disponente”,
Premesso
a.
che il disponente in questo momento trasferisce in proprietà al trustee, come in
seguito individuato:
i.
quanto specificato nell’allegato n. 42.1.,
ii.
la somma di […………..]
affinché questi ne goda e ne disponga secondo quanto viene stabilito con questo
atto;
b.
che a ogni effetto di legge e in particolare agli effetti del riconoscimento del trust,
istituito con il presente atto, si applicano le disposizioni della Convenzione de
L’Aja, 1° luglio 1985, ratificata dalla Repubblica Italiana con legge 16 ottobre
1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 1992, fatta salva ogni disposizione di
maggior favore,
Nota
Preliminarmente si deve notare che il trust deed deve necessariamente individuare gli
elementi essenziali del trust (primo trustee, beni destinati, scopo), ma può rinviare ad un
regolamento esecutivo talune specifiche di disciplina. Ad esempio, al regolamento del
trust può farsi rinvio ai fini di indicare specificamente i beneficiari del trust stesso
ovvero le rispettive quote. In questo caso, la forma cui è soggetto il regolamento non
deve necessariamente essere la stessa richiesta per il deed of trust, anche se deve
ritenersi comunque necessaria la forma scritta e la documentazione per iscritto delle
relative modifiche.In termini pratici, il vantaggio di creare un’articolazione anche sul
piano documentale dell’atto istitutivo e del regolamento di attuazione consiste nel fatto
di assicurare maggiore flessibilità al trust stesso, atteso che al regolamento di attuazione
possono rimettersi le concrete e specifiche modalità di esecuzione del rapporto che
possono essere modificate dal protector o, in taluni casi, dallo stesso settlor (come nel
caso in cui il settlor si riservi di modificare o revocare i beneficiari). Sempre in termini
pratici, la distinzione tra atto istitutivo e regolamento di attuazione può assicurare una
maggiore riservatezza del trust stesso, atteso che il regolamento esecutivo può essere
mantenuto riservato senza pregiudicare la validità e la riconoscibilità del trust). In
giurisprudenza si veda la sentenza della Commissione tributaria regionale di Venezia
del 24 ottobre 2001, n. 104/19/02, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 30/2003,
pp. 131 ss.
attesta quanto segue
1.
Denominazione e revocabilità del trust
1.1.
Il trust qui istituito è denominato […………].
1.2.
Il trust è irrevocabile
ovvero
1.2. Il trust è revocabile ad insindacabile discrezione del disponente sino al giorno del
compimento del settantacinquesimo anno di età. Il disponente sino a quella data si
riserva, altresì, il diritto di modificare e/o integrare quanto contenuto nel presente
atto mediante atto scritto comunicato al Comitato dei Trustees e al Protector.
Nota
La irrevocabilità è portatrice di un’importante implicazione: il trasferimento al trustee –
da parte del settlor – della titolarità dei beni costituiti in trust sarà definitivo, senza
possibilità alcuna di “retrocessione”, e, correlativamente, in forza del legal title, il
trustee sarà pienamente legittimato – oltre che ad amministrare e gestire – anche a
disporre dei suddetti beni, sempre – naturalmente – in conformità alle prescrizioni
dell’atto costitutivo e della legge regolatrice. La irrevocabilità pone poi l'esigenza di
verificare la compatibilità del trust con il divieto dei patti successori (art. 458 c.c.). In
dottrina si ritiene che i trusts assimilabili a un patto successorio siano solamente quelli
ove il termine del trust sia individuato nel momento della morte del settlor e in questo
momento si attui la distribuzione fra i beneficiari ovvero quelli ove il settlor mantenga il
godimento del reddito del trust sino alla sua morte e successivamente il godimento passi
ai beneficiari, designati in forma irrevocabile, sino alla scadenza del trust che
determinerà la devoluzione dei beni agli stessi beneficiari o a terze persone anch'esse
designate in modo irrevocabile. A sostegno della tesi che tali trusts non integrino
comunque una violazione del divieto dei patti successori si argomenta che a) manca un
accordo fra il disponente e i beneficiari e b) che i beni del trust escono dal patrimonio
del disponente sin dall'inizio, integrando il trust un'efficacia inter vivos e non post
mortem. Nulla quaestio, invece, qualora il disponente trasferisca irrevocabilmente i suoi
beni al trustee perché questi distribuisca il reddito del trust ai soggetti indicati nell'atto
costitutivo sino al termine del trust per poi trasferire agli stessi soggetti o ad altri
beneficiari la titolarità dei beni suddetti. In questo caso, senza alcun dubbio, non si
integra la violazione del divieto dei patti successori posto che il disponente perde ogni
facoltà sui beni del trust sin dall'inizio. (In giurisprudenza, gli elementi che
compongono il patto successorio sono descritti da Cass., 22 luglio 1971, n. 2404, in
Giur. it., 1972, I, c. 1096 ss.).
Qualora poi il trust venga costituito nella scheda testamentaria la giurisprudenza ha
osservato che il trust non determina la nullità della scheda testamentaria ma “non è di
ostacolo” all'applicazione delle disposizioni di diritto interno strumentali alla
reintegrazione della quota riservata ai legittimari (cfr. Tribunale di Lucca, 23 settembre,
1997, in Foro it., 1998, I, 2016). Sul punto cfr. la Convenzione de L'Aja che all'art. 15
menziona le norme relative alla legittima fra quelle che non possono essere derogate
dall'autonomia privata.
Il profilo dei rilievi fiscali in ambito successorio per quanto attiene al trust è
compiutamente affrontato da R. DOMINICI, Brevi note sull’incidenza della soppressione
dell’imposta sulle successioni e donazioni con riguardo alle imposte indirette gravanti
sui conferimenti in trust, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 1/2001, pp. 25 ss.
Quanto ai trusts revocabili, particolarmente diffusi negli Stati Uniti sono i living trusts.
Si tratta di trusts che, oltre ad essere revocabili, sono liberamente modificabili dal
disponente il quale progressivamente trasferisce nel trust fund i propri beni in modo che
al momento della sua morte poco o nulla residui nel suo patrimonio. Questo schema di
trust consente di sottrarre alle forme della successione mortis causa, salvi naturalmente
i diritti dei legittimari, la maggior parte dei beni del disponente che, finché è in vita, può
anche indicarsi quale beneficiario del trust.
2.
Trustee.
Il trustee del trust è
[ad es. la società fiduciaria], di seguito “il trustee”.
ovvero
2.
Comitato dei Trustees.
2.1. Il Comitato dei Trustees elegge nel proprio seno un Presidente che ne coordina i
lavori.
2.2. Il Comitato è convocato dal Presidente ovvero quando uno dei trustees ne faccia
richiesta, ovvero qualora sia richiesto dal protector. Le deliberazioni del Comitato
debbono essere assunte a maggioranza e con la presenza di almeno [indicare] dei
trustees in carica. Qualora non sia possibile addivenire ad una decisione, la stessa
è rimessa al protector. Il Comitato nomina al suo interno un Segretario che
assicura la verbalizzazione delle riunioni.
2.3. Il Comitato dei Trustees, in persona del Presidente, è obbligato a custodire, tenere
e aggiornare il "Libro degli Eventi del Trust", vidimato da un Notaio, sul quale
dovranno essere registrati tutti gli avvenimenti dei quali il Comitato ritenga
opportuno conservare la memoria, nonché tutti i verbali delle riunioni del
Comitato. Chiunque contragga con i trustees è legittimato a fare pieno
affidamento sulle risultanze del Libro degli Eventi del Trust.
Nota
Il trustee (o trustees) sono le persone fisiche o giuridiche cui viene trasferita - appunto
in trust - la proprietà dei beni costituenti il trust fund. In forza di tale trasferimento essi
ne acquisiscono la titolarità piena, con l'obbligo peraltro di amministrarli e gestirli
secondo la volontà del settlor (e sotto il controllo del protector laddove previsto), e
senza peraltro che tale titolarità determini alcuna confusione del patrimonio
amministrato in trust con quello proprio del trustee.
Sebbene nulla impedisca che l'incarico di trustee sia affidato a una o più persone fisiche
(e, in quest'ultimo caso, tanto nelle forme dell'amministrazione disgiunta quanto
congiunta), può essere operativamente più opportuno affidare il ruolo di trustee a una
persona giuridica, e in particolare ad una società fiduciaria. E ciò per evitare di dovere
dettare un'analitica disciplina che consideri quegli eventi (naturali e non) che possono
incidere sulla esistenza e capacità delle persone fisiche (morte, interdizione,
inabilitazione etc.), in modo da non trovarsi con un trust privo di trustee o con trustees
incapaci di svolgere il loro mandato. Va altresì rammentato che la capacità di essere
trustee dovrà essere valutata in base alla legge designata quale regolatrice del rapporto.
Nel caso in cui nell'atto costitutivo si sia optato per una pluralità di trustees è opportuno
menzionare espressamente il principio maggioritario quale regola di funzionamento del
comitato. Infatti, alcune fra le leggi regolatrici di trusts prevedono l'obbligo dei trustees
di agire congiuntamente (ad es. cfr. Trust Jersey Law, art. 18(1)(2)), facendo salvo,
tuttavia, il diritto del disponente di stabilire nell'atto costitutivo il diverso principio
maggioritario (quest'ultimo è invece contemplato quale norma dispositiva in numerose
leggi fra cui cfr. British Virgin Island, Trustee (Amandment) Act 1993, sect 85 e 87). È
evidente che il principio dell'unanimità può comportare gravi rischi di paralisi
dell'attività del trust e, di conseguenza, andrebbe evitato salvo il caso in cui non vi sia
un rapporto di fiducia con uno dei trustees e si voglia affiancargli un trustee
maggiormente affidabile. Quest'ultima finalità, tuttavia, può essere realizzata attraverso
la figura del protector e del suo parere vincolante ai fini del compimento dell'atto da
parte del trustee.
Nel "libro degli eventi del trust" dovranno essere annotate le principali vicende
riguardanti il trust. In particolare, l'annotazione dei mutamenti dei soggetti del trust
(trustee, protector, beneficiary) consente di costituire una prova delle vicende
modificative del trust.
3.
Protector.
Il disponente nomina quale protector del trust
[ad es. la società ………..società
fiduciaria per azioni con sede al n……….. ].
Nota
Il protector è colui (persona fisica o preferibilmente una società anche fiduciaria) cui è
affidato il compito di vigilare sulla corretta esecuzione da parte del trustee della volontà
del settlor nonché, e sempreché ciò sia espressamente previsto dal deed of trust, di
essere obbligatoriamente interpellato dal trustee prima del compimento di determinati
atti individuati dal settlor. E' evidente peraltro che in concreto l'opportunità circa la
nomina o meno del protector e l'individuazione dei poteri da conferirgli va valutata caso
per caso, dipendendo ciò dalle caratteristiche del trust, dalla natura del trust fund,
nonché anche dalla complessità della regolamentazione pattizia.
La figura del protector è divenuta preminente nei trusts del modello internazionale.
Questo si spiega, di regola, alla luce della scarsa confidenza intercorrente fra il settlor e
il trustee (spesso società estere con cui manca un rapporto di mutua conoscenza) che
viene colmata mediante la figura del protector che è normalmente una persona su cui il
disponente può fare ampio affidamento.
Al fine di evitare uno stallo nel rapporto fra protector e trustee può essere opportuno
rimettere al protector la facoltà di sostituire il trustee.
Qualora i protectors nominati dal settlor siano più di uno essi agiscono deliberando a
maggioranza e il protector dissenziente ha il diritto di far risultare il proprio dissenso
per iscritto.
Il tema, ai fini della compiuta attuazione del trust nel nostro ordinamento, necessita di
una definizione attenta non solo dei ruoli che questo istituto implica, ma anche di una
valutazione sistematica della terminologia attinente ai rapporti del trust con gli
omologhi continentali, in ordine alla quale si veda senz’altro FEDERICO DI MAIO,
Fiducia, negozio fiduciario, contratto fiduciario, trust: questioni terminologiche, in
Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 1/2001, pp. 7 ss.
4.
Trust fund (beni del trust)
4.1.
Il trust fund è costituito dai seguenti beni del trust:
4.1.2. i beni indicati nella premessa (lettera a) e segnatamente quanto indicato sub (i) e
sub (ii)
4.1.3. ogni bene o diritto che la disponente trasferisca al trustee affinché venga incluso
nel trust fund
4.1.4. i frutti dei beni costituiti in trust
4.1.5. ogni bene o diritto acquistato in virtù dei beni che costituiscono il trust fund o
quale corrispettivo della alienazione di tutti o parte dei beni del trust fund.
4.2.
Ove non appaia in contrasto con l’atto istitutivo del trust, si deve ritenere che i
beni e i diritti, appartenenti a società di proprietà del trust o sulle quali il trustee
eserciti il controllo o si trovi in situazione tale da influire sulla disponibilità di
tali beni e diritti, appartengono al trust fund.
4.3.
Il trust fund è separato dal patrimonio del trustee, non può essere in alcun caso
aggredito dai suoi creditori e neppure da quelli della disponente.
4.4.
Ove il trustee sia persona fisica, il trust fund, inoltre, non costituisce parte della
sua successione ereditaria, non può costituire parte di alcun regime patrimoniale
originato dal suo matrimonio.
4.5.
Il trustee/I trustees è tenuto/sono tenuti a tenere contabilmente distinto il trust
fund.
Nota
In linea di principio in trust possono essere conferiti beni di ogni tipo, appropriabili in
via esclusiva e non, presenti e futuri. Per quanto concerne il nostro ordinamento, le cui
regole rilevano quando il bene è nel territorio dello Stato, un limite deve implicitamente
desumersi dalla natura del bene e dalla possibilità di pubblicizzare il vincolo di
destinazione che attraverso il trust si realizza. Non vi sono preclusioni alla possibilità di
conferire in trust beni futuri, fermo restando che al momento in cui il bene viene ad
esistenza la proprietà si trasferisce immediatamente a favore del trustee e deve essere
realizzata la pubblicità del trust (sulla separazione dei beni in trust dal patrimonio del
trustee e sul regime di pubblicità del trasferimento e del vincolo cfr. il commento al
punto 32 dell'atto costitutivo). Il punto 4.4. deve essere letto alla luce dell'art. 11, lett. c),
della Convenzione de L'Aja in forza del quale il riconoscimento del trust comporterà
"che i beni del trust non rientrino nel regime matrimoniale o nella successione dei beni
del trustee".
5.
Beneficiari.
5.1.
I beneficiari del trust sono le persone indicate nell’allegato 42.2.
5.2. Salva ogni disposizione diversa e contraria, contenuta nell’allegato 42.2., la
posizione di ciascuno dei beneficiari non si trasferisce per causa di morte né per
negozio tra vivi. [oppure: la posizione dei beneficiari si trasferisce (eventualmente
indicare le condizioni).]
5.3. La scelta tra i beneficiari costituisce facoltà esclusiva del trustee.
5.4. Essa è esercitata tenendo conto di quanto previsto nei successivi articoli 40 e 41.
Nel caso in cui un beneficiario contesti la validità o l'efficacia del trust, i diritti a
lui/lei spettanti sono ridotti nei limiti della quota fissata all'art. 537 c. civ. e per la
parte restante sono discrezionalmente amministrati dal Comitato dei Trustees e le
rendite e il capitale al momento dello scioglimento del trust sono devolute a
favore di [indicare].
Nota
I beneficiaries (o il beneficiary) sono coloro (o colui) a cui vantaggio il trust è
costituito, ossia coloro che, alla cessazione del trust ovvero al verificarsi dei diversi
eventi indicati dal settlor acquisiranno la titolarità (i) dei beni conferiti in trust, (ii) di
quelli successivamente acquisiti dal trustee attraverso l'investimento della liquidità
facente parte del trust fund, nonché (iii) dei redditi originati da quest'ultimo. Anche per i
beneficiaries, così come per il settlor, la legge che regola la loro capacità sarà quella
dello Stato al quale appartengono. Si rammenta che la Convenzione de L'Aja 1º luglio
1985 consente di esperire l'azione di riduzione nei confronti di un atto istitutivo di trust
che abbia violato i diritti dei legittimari.
Segnaliamo che è ben possibile che il trustee sia al contempo uno dei beneficiaries. E'
altresì ipotizzabile un trust nel quale più trustees siano contemporaneamente trustees e
beneficiaries, come pure l'ipotesi in cui un soggetto è nominato trustee a favore di se
stesso e di un altro (c.d. joint tenant beneficiaries).
Il beneficiary può essere anche un soggetto non ancora nato o non ancora concepito.
Quanto alla determinazione della distribuzione ai beneficiari, l'atto istitutivo, oltre a
prevedere che spetti alla discrezionalità del trustee, può stabilire che tale facoltà sia
riconosciuta in capo al protector o, alternativamente, indicare sin dall'inizio i criteri e le
quote di distribuzione dei beni del trust ai beneficiari (cfr. il commento al punto 40).
Il settlor può anche riservarsi il diritto di integrare la lista dei beneficiari durante la vita
del trust.
La dottrina prevalente ritiene valida la costituzione di un trust ove le qualità di settlor,
trustee e beneficiary confluiscano nella medesima persona (contro la possibilità che
settlor e trustee siano la stessa persona si è espresso il Tribunale di Napoli, 1º ottobre
2003, in Trusts, 2004, p. 74, favorevole invece il Tribunale di Parma, 21 ottobre 2003,
in Trusts, 2004, p. 73).
Con riguardo alla clausola di cui al punto 5.4. il rinvio all'art. 537 c.c. fissa nelle quote
riservate per legge ai legittimari la porzione dei diritti loro spettanti in caso di
contestazione della validità o dell'efficacia del trust. Si deve notare che non sarebbe
possibile prevedere un ammontare minore a quello di cui all'art. 537 posto che la
Convenzione de L'Aja all'art. 15 menziona le norme relative alla legittima fra quelle che
non possono essere derogate dall'autonomia privata.
6.
Durata del trust.
6.1
Il trust ha effetto dal momento della sottoscrizione del presente atto.
6.2
Il trust ha termine al verificarsi del primo tra questi eventi:
a. …………….
b.
la congiunta richiesta dei beneficiari, con l’adesione del protector, secondo quanto
disposto infra 40.2 e 40.3.
c.
il decorso di cento anni;
d.
il trust ha, comunque, termine quando, per qualsiasi ragione, i beni che
costituiscono il trust fund e, quindi, il trust fund siano stati interamente distribuiti
ai beneficiari o siano comunque venuti a mancare.
Nota
Il trust privato ai sensi del diritto inglese non può superare la durata della vita di una
persona vivente (o concepita) nel momento in cui l'atto posto in essere dal settlor
produce effetti, più ventuno anni, o in alternativa gli ottant'anni che decorrono dal
medesimo termine (rule against perpetuities); questa regola è presente in quasi tutti gli
ordinamenti che conoscono l'istituto del trust che generalmente prevedono un termine di
durata; esistono peraltro alcuni Stati degli U.S.A. che consentono trust di durata
illimitata.
Una regola diversa è invece prevista per i trust charitable, che non sono sottoposti a
limiti di durata.
Nel modello di trust non di scopo internazionale, invece, il termine finale è quasi
sempre maggiore degli ottanta anni previsti dall'ordinamento inglese (solo Bahamas si è
conformata al termine del diritto inglese, cfr. Perpetuities Act 1995, sect. 6). La durata
del trust può essere prolungata sino al termine di centocinquanta anni qualora si
adottasse quale legge regolatrice del trust la Cayman Islands, Perpetuities Law 1995,
sect. 4(1).
Naturalmente, il settlor può far dipendere la risoluzione anticipata del trust da una serie
di eventi espressamente individuati nell'atto costitutivo.
Nel modello di trust non di scopo internazionale, il reddito del trust può essere
accumulato per tutta la durata del trust. La corretta determinazione nell'atto istitutivo del
termine finale ha notevole importanza posto che la violazione di legge comporta la
nullità del trust (e non la sua riconduzione al termine massimo). Inoltre, è opportuno
prevedere che la liquidazione dei beni del trust sia posta in essere sei mesi o un anno
prima del termine finale del trust. Infatti, una volta compiuto il termine del trust il
trustee è destituito di ogni potere e potrebbero sorgere delle difficoltà nella fase della
formazione delle quote e del trasferimento ai beneficiaries. I trusts di scopo del modello
internazionale hanno, invece, una durata indeterminata anche se non charitable.
7.
Legge regolatrice
7.1
Il trust è regolato dalla legge di…….
7.2. Il trust così istituito ai sensi della…………...
7.3. Il trustee/ I trustees può/possono in qualsiasi momento sostituire la predetta legge
con altra, dandone comunicazione scritta al disponente e al protector. In tale
circostanza, il trustee avrà il potere di modificare le disposizioni di questo atto che
siano incompatibili o eccessivamente onerose rispetto alla nuova legge
regolatrice.
Nota
Alternativamente alla clausola di cui al punto 7, il settlor può utilizzare la clausola che
segue:
"(i) Il presente trust è costituito secondo le leggi vigenti in _____________ e i diritti, gli
obblighi, poteri e doveri di tutte le parti e di tutti i beneficiari saranno disciplinati dalle,
e interpretati secondo le, leggi vigenti in _________, le cui Corti saranno il foro
competente per giudicare sul presente atto nonchè sui rapporti in base ad esso instaurati,
nonostante il fatto che uno o più dei trustees possano di volta in volta essere residenti o
domiciliati in luogo diverso da ____________, ed essendo sempre previsto che i
trustees possano amministrare e gestire questo trust in e da quel o quei luoghi che di
volta in volta riterranno opportuni, senza che ciò pregiudichi l'applicabilità della legge
che è dichiarata essere applicabile al presente atto.
"(ii) I trustees avranno il potere di dichiarare di volta in volta ed in qualsiasi momento,
con atto scritto, che il presente trust sarà d'allora innanzi governato dalle, e prenderà
effetto secondo le, leggi di quell'ordinamento che potrà essere stabilito in tale atto, e
dopo di ciò i diritti di tutte le parti (ivi compresi i beneficiaries) e tutte le previsioni del
presente atto saranno assoggettate esclusivamente alle, e disciplinate solo secondo le,
leggi di tale ordinamento, le cui corti diverranno il foro competente per giudicare del
presente trust.
"(iii) Laddove la legge applicabile al presente trust sia cambiata secondo i poteri stabiliti
al superiore paragrafo (ii), i trustees, o il protector se quest'ultimo avrà esercitato il
potere di cambiare la legge applicabile, avranno il potere, da esercitarsi con atto scritto,
di apportare quei cambiamenti al presente atto che possano essere necessari al fine di
assicurare la sua continuata validità ed efficacia ai sensi di quella legge".
Nota bene: La clausola sopra riportata presenta una complessità correlata all'esigenza di
conferire ai trustees (o al protector) il potere di modificare la legge applicabile e/o la
giurisdizione inizialmente fissata dal settlor, qualora ciò si dovesse rendere necessario
per effetto di successivi interventi normativi idonei a penalizzare il trust. In base alle
diverse esigenze del caso concreto sarà importante verificare se sia più opportuno
conferire il potere di modificare la legge regolatrice al trustee o al protector che,
talvolta, può essere persona più sensibile alle sollecitazioni del disponente espresse nella
cd. lettera di intenti (letter of wishes).
La legge regolatrice del trust può anche non risultare espressamente nell'atto istitutivo
ma questa ipotesi andrebbe evitata. In pratica, la legge da applicare sarà o quella scelta
dal costituente o, qualora non sia stata scelta alcuna legge o quella scelta non preveda
l’istituto del trust o la categoria di trust in questione, la legge con la quale il trust ha più
stretti legami. L'art. 5 della Convenzione de L'Aja impone che la legge così individuata
inquadri e disciplini sufficientemente l'istituto del trust. Di conseguenza, tale norma non
è volta ad escludere la validità di un trust interno bensì ad impedire il riconoscimento di
un trust a cui debba applicarsi una legge che non qualifichi quel rapporto quale trust. Si
dia il caso di un cittadino italiano che ponga in essere un trust i cui elementi importanti
(il luogo ove si trovano i beni oggetto del trust e il luogo ove si intende realizzare lo
scopo del trust) siano localizzati in Italia. Se il cittadino italiano non sceglie alcuna
legge da applicare o sceglie l'ordinamento italiano il trust rimarrà privo di
riconoscimento ai sensi dell'art. 5 della Convenzione de L'Aja. Se invece la legge scelta
dal costituente conosce e disciplina compiutamente la categoria di trust da questi voluta
nessuno ostacolo si frappone al riconoscimento posto che l'art. 5 in esame non impone
alcun ulteriore elemento di transnazionalità.
8.
Giurisdizione delle controversie
Ogni controversia relativa all’istituzione o agli effetti del trust o ai diritti dei beneficiari
o di qualsiasi altro soggetto menzionato in questo atto è obbligatoriamente ed
esclusivamente sottoposta alla magistratura dello Stato la cui legge regola il trust ai
sensi del precedete art. 7.
Nota
Il punto in commento rimette la giurisdizione allo Stato che, come stabilito nello stesso
atto istitutivo, regola il trust. Si deve notare come la clausola sulla giurisdizione produca
effetti, ai sensi dell'art. 4, 2º comma, della l. 218/1995 (Riforma del sistema italiano di
diritto internazionale privato), esclusivamente nei confronti delle parti che aderiscono
alla stessa (di regola il trustee firmatario, insieme con il disponente, dell'atto istitutivo).
Qualora invece il convenuto, che non abbia aderito alla clausola in esame, sia
domiciliato o residente in Italia o vi abbia un rappresentante che sia autorizzato a stare
in giudizio a norma dell'art. 77 del c.p.c., ricorre la giurisdizione italiana ai sensi dell'art.
3, 1ºcomma, l. 218/1995 (sul punto cfr. Tribunale di Milano, 20 ottobre 2002, in Trusts,
2003, p. 267).
A diverse conclusioni si perviene qualora ricorrano i presupposti per l'applicazione del
regolamento (CE) n. 44/2001. La prima disposizione che interessa è quella di cui all'art.
5, n. 6, ai sensi del quale il settlor, il trustee e il beneficiario possono essere convenuti
nel luogo ove si trova il domicilio del trust, che ai sensi dell'art. 7 della Convenzione de
L'Aja deve essere individuato nel luogo con il quale il trust presenta il collegamento più
stretto (nei trust interni, l'Italia). Questa norma si applica qualora manchi un'espressa
clausola sulla giurisdizione e qualora il convenuto sia domiciliato nel territorio di una
Stato membro. Lo stesso regolamento stabilisce all'art. 23, n. 4, che il disponente può
designare nell'atto costitutivo un giudice di uno Stato membro competente a giudicare
per le azioni contro un fondatore, un trustee o un beneficiario di un trust, ove si tratti di
relazioni tra tali persone o di loro diritti od obblighi nell'ambito del trust. Tuttavia, al
fine di poter applicare la norma in esame, che consente la deroga della giurisdizione a
prescindere dall'accordo fra le parti, è necessario che il disponente designi un giudice di
uno Stato membro (non ad es. il giudice di Jersey) e che il convenuto sia domiciliato in
uno Stato membro (non potrebbe applicarsi, ad esempio, al trustee domiciliato a Jersey).
Non ricorrendo tali presupposti si ritiene debbano trovare applicazioni le norme della l.
218/1995 sopra ricordate.
9.
Giurisdizione delle controversie relativa alla nomina del trustee e del protector,
nonché alla modificazione di questo atto.
Ogni procedimento mirante a fare pronunciare dal Giudice la nomina del trustee o del
protector o di dare direttive al trustee o di modificare alcuna disposizione di questo Atto
è obbligatoriamente ed esclusivamente sottoposto alla magistratura dello Stato la cui
legge regola il trust ai sensi del precedente art. 7.
Nota
Nell'atto istitutivo che qui si commenta, sia la giurisdizione contenziosa che quella
volontaria sono rimesse alla magistratura dello Stato la cui legge regola il trust.
Tuttavia, nella prassi si danno casi in cui si distingue fra giurisdizione contenziosa,
sottoposta allo Stato la cui legge regola il trust, e giurisdizione volontaria (ad es.:
direttive al trustee, nomina di nuovo trustee), sottoposta alla magistratura italiana.
10.
Forma degli atti.
10.1. Gli atti di cui agli articoli 5.1, 7.3, 17, 18, 27, 42.2, debbono rivestire la forma
autentica a pena di nullità ed essere depositati presso il notaio che custodisce il
presente Strumento.
10.2. Copie ed estratti potranno essere rilasciati solo dietro richiesta o previo consenso
del Trustee / dei Trustees o del Protector o della Disponente in forma scritta.
Nota
Merita di essere sottolineato che la forma notarile non è necessaria e serve solo a
realizzare una maggiore certezza del rapporto.
11.
Riservatezza
Ferme le disposizioni della legge regolatrice il trustee è tenuto a non comunicare ad
alcuno alcuna informazione e a non consegnare alcun documento riguardante il trust se
non ai beneficiari, a meno che tale comunicazione o consegna siano ritenuti dal Trustee
necessari in relazione al compimento di un atto di amministrazione o di disposizione o
allo svolgimento di un procedimento giudiziario.
Nota
Relativamente a questo punto bisogna avere particolare attenzione alla legge regolatrice
del trust che, talvolta, pone disposizioni inderogabili dall'autonomia privata. Numerose
leggi che regolano l'istituto del trust hanno cercato di contemperare il diritto alla
riservatezza del disponente con il diritto di informazione dei beneficiaries.
Generalmente, viene riconosciuto il diritto dei beneficiaries ad accedere ai trust
documents (cfr. ad es. Trust Jersey Law 1984, art. 25) ma la dottrina ha rilevato come
questa espressione sia ancora scarsamente definita. Come espressamente previsto da
alcune leggi il trustee è tenuto a non esibire, neanche ai beneficiaries, la letter of wishes
e i verbali delle riunioni dei trustees (cfr. Bahamas, Trustee Act 1998, sect. 83).
12.
Allegati
12.1. Costituiscono parte integrante del presente atto due allegati (42.1 e 42.2).
12.2. Le disposizioni contenute negli allegati prevalgono su quelle contenute nel corpo
dell’atto.
13.
Poteri dei trustees o del trustee.
13.1. Il trustee/ I trustees gode/godono e dispone/dispongono dei beni del trust senza
alcuna limitazione. Egli/Essi non dovrà/dovranno giustificare i propri poteri, che
coincidono con quelli che la legge riconosce al proprietario o titolare di beni.
[Eventualmente: I trustees amministrano i beni del trust e possono disporne
all'unanimità, previo il consenso del protector, salvo quanto disposto dall'articolo
38.1.]
13.2. Il trustee/ I trustees ha/hanno [congiuntamente] la piena capacità processuale,
tanto attiva quanto passiva, in relazione ai beni del trust. Egli/Essi possono
comparire, nella sua/loro qualità di trustee, dinanzi a notai e a qualunque pubblica
autorità senza che gli si possa eccepire la mancanza o l’indeterminatezza di poteri.
13.3. Resta fermo e impregiudicato il diritto del trustee/ dei trustees di rivolgersi
all’autorità giudiziaria per ottenerne prescrizioni o direttive.
Nota
Il punto in commento fa leva sull'attribuzione al trustee o ai trustees della titolarità dei
diritti sul trust fund per modellarne i poteri su quelli del proprietario. Sotto tale profilo
la clausolazione diviene estremamente semplificata.
Una seconda opzione stipulativa privilegia invece l'indicazione puntuale dei singoli
poteri e facoltà attribuiti al trustee o ai trustees. Accedendo a tale tecnica di redazione
indubbiamente il contratto si appesantisce, ma occorre considerare che in tal modo i
poteri del trustee o dei trustees restano ben individuati e quindi, in qualche modo, viene
limitata la sua responsabilità e quindi l'esposizione a contestazioni da parte dei
beneficiaries.
In linea di massima i contratti redatti secondo prassi anglosassoni attribuiscono al
trustee o ai trustees, con una sorta di clausola generale, ogni potere previsto dalla legge
indicata come applicabile al contratto nonché dalle norme di common law e a ciò
aggiungono, sovente in allegati ad hoc, l'indicazione di specifici poteri e previsioni
addizionali. In questa sede è evidentemente ultroneo prospettare una clausolazione
"tipo" riferita a tali poteri e previsioni, anche perché essi sono evidentemente funzione
della tipologia di trust e dei suoi scopi.
14.
Indicazioni al trustee/ ai trustees
14.1. Nell’esercizio della propria discrezionalità, il trustee /i trustees terrà/terranno
conto delle indicazioni manifestategli per iscritto
i. dal disponente riguardo ai beni del trust da questo provenienti.
ii.
e, dopo la morte della disponente, dal protector.
Ad esse si uniformerà/uniformeranno qualora le ritenga/ritengano conformi alle
finalità del trust.
14.2. Fatte salve le disposizioni e le limitazioni espresse in questo atto, le facoltà e i
poteri del trustee o dei trustees rimangono, tuttavia, pieni.
Nota
Questa clausola deve essere letta in stretta correlazione con le finalità del trust in
funzione delle quali il trustee (o i trustees) deciderà se uniformarsi o meno alle
indicazioni del settlor o, dopo la sua morte, del protector (si ricordi che nei casi previsti
nell'atto istitutivo il consenso del protector può essere vincolante per il trustee).
Di regola, il trustee (o i trustees) non ha alcun motivo per non assecondare le richieste
del settlor espresse attraverso lo strumento della letter of wishes. Problemi si pongono
solo qualora le indicazioni espresse dal settlor siano contrastanti con gli interessi di altri
soggetti coinvolti nel trust, in primo luogo i beneficiaries. In questa ipotesi il trustee (o i
trustees) sarà tenuto a verificare se la richiesta sia o meno conforme con le finalità del
trust enunciate dallo stesso settlor nell'atto istitutivo.
Nel caso in cui il settlor mantenga de facto un pregnante potere d’indirizzo e di
controllo sull’attività del trustee (o dei trustees) e/o quest’ultimo si limiti a ratificare
passivamente e sistematicamente le direttive contenute nelle letters of wishes del
disponente, anche in contrasto con le finalità del trust, quest'ultimo potrà essere
riqualificato dal giudice quale contratto di mandato. Nei casi in cui non si realizzi
l'effettivo trasferimento dei beni al trustee (o ai trustees) e il conseguente venir meno
del potere di gestione del disponente una parte della dottrina ritiene possibile il ricorso
all'azione di simulazione (in forza del combinato disposto delle lett. e) ed f) dell'art. 15
della Convenzione dell'Aja e del 3° comma dell'art. 1414 c.c.).
15.
Deleghe del trustee o dei trustees.
Per la sola finalità di chiarimento e in quanto la legge regolatrice del trust richieda tale
chiarimento, il trustee o i trustees
a. Potrà/potranno delegare a terzi il compimento di singole attività per un tempo
determinato,
b. Potrà/potranno delegare a professionisti, a consulenti, a istituzioni finanziarie
l’amministrazione dei beni del trust, in quanto essa ecceda le sue/loro capacità
professionali e richieda una preparazione specialistica,
c. Potrà/potranno nominare avvocati e procuratori.
d. [eventualmente: Solo in caso di urgenza, e comunque escludendo ogni attività che
implichi il consenso del protector, le sopra indicate attività possono essere
intraprese dal Presidente del Comitato dei Trustees che contestualmente convoca
il Comitato per rendere conto dell'iniziativa assunta.]
Nota
Questa clausola si rende necessaria posto che molte leggi stabiliscono il generale divieto
di delega delle funzioni proprie del trustee salvo quanto disposto nell'atto istitutivo.
Alcune leggi, in deroga al generale divieto di delega, prevedono la possibilità di
delegare le attività gestionali che richiedano particolari capacità professionali. L'atto
istitutivo, pertanto, è il luogo ove è possibile sia ampliare lo spettro delle attività
delegabili oltre quelle espressamente previste dalla legge regolatrice del trust o
escludere tout court la facoltà di delega del settlor derogando alla previsione legislativa
(cfr. ad es. Trust Jersey Law 1984, art. 21).
Quanto alla responsabilità del trustee per gli atti del delegato cfr. il commento al punto
23. La previsione che consente al Presidente del Comitato dei Trustees di intraprendere
individualmente le attività suscettibili di delega è opportuna se si considera che, a fronte
di attività specialistiche che eccedano le capacità professionali dei trustees, deve essere
trovata la maggioranza (o l'unanimità) in seno al Comitato al fine di rendere operativa la
delega. È evidente che nelle more del Comitato è necessario garantire l'espletamento
delle funzioni del trust.
16.
Conflitti di interesse
16.1. Il trustee [I trustees non beneficiari] non potrà in nessun caso rendersi acquirente
di beni del trust, né trarre alcun vantaggio dai frutti da essi prodotti, né in alcuna
forma godere le utilità che da essi derivano.
16.2. Il trustee/ I trustees non potrà/potranno attribuire alcun incarico professionale, né
delega retribuita, né in alcun modo contrarre con persone o enti nei quali egli/essi
o un proprio familiare abbia un interesse, a meno che il protector, posto a
conoscenza delle circostanze, lo/li autorizzi espressamente per iscritto.
Nota
Qualora vengano a essere violate le condizioni prescritte nel punto in commento, il
trustee sarà tenuto al risarcimento, nei confronti dei beneficiari, del danno derivato
dall’operazione attuata, con restituzione al trust dei beni di cui il patrimonio è stato
privato, nonché delle utilità che avrebbe conseguito se il comportamento da cui deriva la
responsabilità non fosse stato commesso.
Qualora il trustee sia titolare di azioni e si vuole consentire che assuma cariche sociali
nelle relative società è preferibile inserire una apposita clausola al fine di evitare il
sorgere di un possibile conflitto di interesse.
Il settlor può utilizzare la clausola che segue: "È consentito al trustee di assumere
cariche sociali in società nelle quali il trust abbia una partecipazione e di ricevere i
relativi compensi nelle misure d'uso".
17.
Revoca del trustee
17.1. Il disponente secondo le forme previste dalla legge regolatrice del trust, può in
ogni tempo:
i.
revocare il trustee/ i trustees nominando un nuovo trustee/nuovii trustees;
ii. nominare ulteriori trustees.
17.2. Il protector di propria iniziativa, ovvero a seguito di motivata richiesta congiunta
dei beneficiari o della maggioranza dei trustees, può revocare uno dei trustees non
beneficiari. Il protector decide discrezionalmente in base ai principi, criteri e scopi
del presente trust, come qui redatto e con le eventuali integrazioni e/o
modificazioni operate dal disponente.
Nota
Il potere di revoca può essere attribuito nell'atto istitutivo oltre che al disponente, o in
luogo del disponente, al protector o, ma ciò si verifica più raramente, ai beneficiaries.
Qualora il trust sia stato costituito da una pluralità di disponenti, la prassi tende ad
escludere la revoca del trustee che è preposto a garantire il contemperamento degli
interessi potenzialmente in conflitto.
La revoca produce effetti immediati e non richiede una giusta causa.
In ogni caso il trustee infedele che si sottrae agli obblighi assunti nei confronti dei
beneficiaries potrà essere revocato dal giudice. In giurisprudenza cfr. Tribunale Milano,
21 novembre 2002, in Trusts 2003, p. 265 ss., che, relativamente all'ipotesi in cui i
settlors e i trustees coincidono, ha disposto la revocabilità dei trustees qualora non
abbiano adempiuto i loro doveri, non adoperandosi per mantenere inalterato il valore del
bene in trust (un immobile) attraverso interventi di manutenzione, non abbiano tenuto
un'adeguata contabilità, incorrendo in questo modo in sanzioni fiscali, e non siano stati
imparziali, non tenendo conto dei diritti di tutti i beneficiari del trust. Questa pronuncia
è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano, 20 luglio 2004, in http://www.iltrust-in-italia.it/, ed in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 9/2005, pp. 54 ss. Con
riguardo alla revoca del trustee, il Tribunale di Roma, 8 luglio 1999, in Giur. it., 2001,
p. 964, ha disposto che il trustee che sia stato revocato dall'incarico, in analogia con la
disciplina del mandato, perde la legittimazione a pretendere la reintegrazione nel
possesso dei beni in trust. Questa sentenza ha riformato il provvedimento emesso dal
Pretore di Roma, 13 aprile 1999, in Trusts, 2000, p. 84, ove si legge che il possesso dei
beni costituiti in trust da parte del trustee è tutelato dallo spoglio violento e clandestino
anche se sia intervenuta la revoca dall'incarico di trustee, in quanto persiste in capo al
trustee l'interesse alla restituzione dei beni in trust, se pur al limitato fine di trasferire ad
altri la titolarità dei beni stessi.
La revoca del trustee da parte del protector è un utile strumento ogni qual volta il
trustee non sia persona vicina al disponente e sia necessario creare un collegamento fra
il disponente e il trustee. Il protector indicherà al trustee le istanze dei soggetti
interessati e qualora il trustee non si conformi a tali indicazioni provvederà a rimuoverlo
e a nominare un successore.
18.
Successione del trustee
Qualora, per qualsiasi motivo il primo trustee nominato venga meno e vengano
nominati, in qualità di trustee una o più persone fisiche si avrà che:
18.1.
Qualora l’ufficio del trustee sia composto da più persone:
i. e una venga a mancare per revoca, rinuncia, morte o incapacità il diritto di
nominare il successore spetta al disponente, altrimenti a chi è rimasto
nell’ufficio. La nomina del successore deve essere comunicata per iscritto al
protector;
ii. i componenti l’ufficio hanno facoltà di cooptare altre persone senza limite di
numero, previo consenso scritto del disponente e dandone comunicazione
scritta al protector;
18.2. il trustee singolo può in ogni tempo nominare un proprio successore, previo
consenso scritto del disponente e dandone comunicazione scritta al protector;
la revoca del trustee comporta di diritto la revoca del successore che egli abbia
nominato.
oppure
18.3. Qualora uno dei trustees venga a mancare per revoca, rinuncia, morte o
incapacità, il diritto di nominare il successore spetta al disponente. La nomina del
successore deve essere comunicata per iscritto al protector.
18.4. Qualora il disponente non possa o non voglia procedere alla nomina il diritto di
nomina spetta al protector. In mancanza del protector, la nomina spetterà
collegialmente ai trustees rimasti nell'ufficio, nel rispetto dei medesimi principi e
criteri. Il protector, non appena ricostituito, dovrà confermare o sostituire il/i
trustee/s così cooptato/i.
Nota
Di regola la nomina del nuovo trustee spetta allo stesso soggetto a cui l'atto istitutivo
attribuisce la facoltà di revoca (in questo atto istitutivo il settlor). È opportuno prevedere
che in mancanza della nomina da parte del settlor questa spetti a chi è rimasto
nell'ufficio di trustee se composto da più persone (cfr. punto 18.1.) o al protector o ai
beneficiaries.
Infine, potrebbe rivelarsi opportuna una clausola di chiusura (cfr. il punto 20) che
rimetta all'autorità giudiziaria la nomina del trustee qualora i soggetti legittimati non
siano più esistenti o rimangano inerti. È anche possibile stabilire dei criteri a cui
l'autorità giudiziaria è chiamata a conformarsi nella scelta del nuovo trustee (ad es.
persona vicina alla famiglia o persona con peculiari capacità professionali).
In giurisprudenza può utilmente confrontarsi Trib. Milano, sent. n. 14115 del
21/11/2002, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 30/2003, pp. 125 ss.
19.
Dimissioni del trustee
19.1. Le dimissioni del trustee hanno effetto trenta giorni dopo che egli ne abbia dato
comunicazione scritta al protector e alla disponente.
19.2. In caso di più trustees nominati le dimissioni avranno effetto come sopra.
In questo caso il trustee permane nell’ufficio fino alla nomina del suo successore.
Nota
Il punto in esame regolamenta l'esercizio della facoltà del trustee di dimettersi dal suo
ufficio. Di regola nell'atto istitutivo è indicato un termine prima del quale le dimissioni
del trustee restano improduttive di effetti al fine di garantire la continuità nell'ufficio di
trustee. Una maggiore garanzia di continuità si ha qualora l'atto istitutivo preveda che il
trustee permanga nel suo ufficio sino alla nomina del successore di modo che sia
assicurato il passaggio di consegne al nuovo trustee.
Peraltro, è obbligo del trustee verificare che esista un suo successore prima che possa
abbandonare le sue funzioni, come si evince dal punto 21 di questo strumento che
impone al trustee di porre in essere ogni atto necessario al trasferimento dei beni in trust
al suo successore.
In caso di più trustees nominati, le dimissioni di uno dei trustees determineranno
l'accrescimento della titolarità dei beni in capo agli altri trustees ma anche in questa
ipotesi si può prevedere che il trustee dimissionario permanga nell'ufficio fino alla
nomina del suo successore.
20.
Mancanza del trustee
Ove l’ufficio del trustee venga a mancare per revoca, dimissioni, morte o incapacità e
non sia nominato alcun trustee provvede l’autorità giudiziaria competente in forza
dell’art. 9.
Nota
Questa clausola di chiusura è utilizzata nella prassi al fine di garantire che in caso di
sopravvenuta inesistenza dei soggetti chiamati a nominare il nuovo trustee o di loro
inerzia venga comunque designato un successore nell'ufficio di trustee. È anche
possibile stabilire dei criteri a cui l'autorità giudiziaria è chiamata a conformarsi nella
scelta del nuovo trustee (ad es. persona vicina alla famiglia o persona con peculiari
capacità professionali). Va inoltre attentamente considerato che la scelta di un trustee
che sia persona giuridica (come ad es. nella legge di S. Marino) limita l’applicazione di
questa regola alla sola rinuncia.
21.
Trasferimento dei beni del trust in caso di cambiamento del trustee
21.1. In caso di revoca o dimissioni del trustee, egli è tenuto a porre in essere, senza
indugio, ogni necessario atto per trasferire i beni del trust al suo successore,
consegnandoli qualsiasi atto e documento in suo possesso che abbia attinenza con
il trust o i beni del trust, fornendogli ogni ragguaglio che il nuovo trustee
ragionevolmente gli chieda e in genere ponendo costui in grado, per quanto in suo
potere di prendere possesso dei beni del trust e di assolvere senza difficoltà le
obbligazioni inerenti all’ufficio.
21.2. In caso di più trustees nominati la cessazione di un componente l’ufficio di
trustee, per morte, revoca o dimissioni, determina la perdita di ogni diritto sui beni
del trust per accrescimento in favore di colui o di coloro che rimangono
nell’ufficio, ai quali, in caso di revoca o dimissioni, è tenuto a consegnare senza
indugio qualsiasi atto e documento in suo possesso che abbia attinenza con il trust
o i beni del trust. In caso di morte, la suddetta obbligazione di consegna fa carico
agli eredi.
21.3. In ciascuno dei casi che precedono, è lecito a chi consegna atti e documenti di
farne e trattenerne copie, ma unicamente di avvalersene qualora vengano
promosse azioni legali nei suoi confronti.
Nota
Il meccanismo dell'accrescimento si spiega in virtù del fatto che i beni in trust sono
separati dal patrimonio del trustee e non rientrano nella successione dei suoi beni in
caso di morte. I beni del trust infatti non fanno parte del patrimonio del trustee anche se
sono intestati a suo nome (cfr. artt. 2 e 11 della Convenzione de L'Aja).
Il trasferimento dei beni del trust al successore deve essere reso opponibile ai terzi e
quindi sottoposto alle forme di pubblicità previste dalla legge italiana. Se previsto
nell'atto istitutivo deve risultare dal Libro degli eventi del trust. Come sottolineato da
una parte della giurisprudenza, al fine del trasferimento, il trustee che sia stato revocato
dal suo ufficio conserva il diritto all'azione possessoria per la reintegrazione dei beni in
trust (Pretura di Roma, 13 aprile 1999, in Trusts, 2000, p. 84).
22.
Compenso del trustee/dei trustees
22.1. Le spese sostenute dal trustee/dai trustees per l’adempimento di quanto disposto
in questo atto sono a carico del trust.
22.2. Chi ha diritto di nominare il trustee/i trustees ha anche diritto di convenire con
questi il compenso spettantegli.
22.3. Il trustee ha diritto di prelevare il proprio compenso dal trust fund all’inizio di
ciascun anno di durata dell’incarico.
Oppure
22.3. I trustees determinano il proprio compenso con il consenso del protector ed hanno
diritto di prelevarlo dal trust fund all'inizio di ciascun anno di durata dell'incarico.
Nota
L’incarico di trustee è normalmente gratuito, ma può prevedersi un corrispettivo, in
special modo se a svolgere l’ufficio sia un trustee professionista ovvero una società. In
questo caso nell'atto istitutivo si può prevedere che il compenso sia stabilito di concerto
con il disponente o con il protector, di regola con la persona a cui è demandata la
nomina del trustee. La clausola può comunque essere sostituita con l’espressa
indicazione del compenso.
23.
Esonero da responsabilità del trustee/dei trustees
23.1. Il trustee/i trustees è/sono esonerato/i da responsabilità per i propri atti e
omissioni, tranne per quelli:
i. difformi dalle prescrizioni della legge regolatrice del trust ovvero:
ii. in violazione delle disposizioni del presente atto,
iii. in conflitto di interessi, anche solo potenziale, sebbene nessun danno ne sia
derivato al trust fund (in questo caso qualunque interessato potrà chiedere la
revoca del trustee al protector o al giudice).
23.2. Il trustee/ I trustees è/sono esonerato/i da responsabilità per gli atti e omissioni dei
terzi, da lui/loro indicati o delegati conformemente a quanto stabilito nell’art. 15:
i. qualora si tratti di professionisti e consulenti, ove essi siano legalmente abilitati
a svolgere tale attività;
ii. qualora si tratti di altri soggetti, salvo il caso di loro dolo o colpa grave, come
intesi dalla legge italiana ovvero fraud o gross negligence come intesi dalla
legge regolatrice.
23.3. Il trustee / I trustees è/sono esonerato/i da responsabilità qualora, prima del
compimento di un atto, abbia[no] chiesto (in buona fede) e ottenuto un parere
scritto da parte di un legale abilitato e si sia[no] comportato/i in conformità.
Nota
In primo luogo, per valutare l'operatività di una clausola di esonero o di limitazione
della responsabilità del trustee si deve guardare la legge regolatrice del trust. Infatti,
alcune leggi sanzionano con l'invalidità quelle clausole dirette ad escludere la
responsabilità del trustee in caso di dolo (fraud), consapevole cattiva gestione (wilful
misconduct) e colpa grave (gross negligence) (cfr. ad es. Trust Jersey Law 1984, art.
26(9): "Nothing in the terms of a trust shall relieve, release or exonerate a trustee from
liability for breach of trust arising from his own fraud, wilful misconduct or gross
negligence").
Per quel che concerne gli atti e le omissioni dei terzi delegati dal trustee, la
responsabilità di quest'ultimo può essere modulata sui concetti di culpa in eligendo e di
culpa in vigilando. Tuttavia, come nell'atto istitutivo in commento, l'abilitazione per
legge a svolgere una determinata professione può ritenersi elemento sufficiente ad
escludere ogni responsabilità del trustee. Per gli altri soggetti è, invece, necessario
indicare espressamente i presupposti della responsabilità del trustee. Alternativamente
al criterio del dolo o della colpa grave del delegato può utilizzarsi quello della diligenza
del buon padre di famiglia nella scelta e nella supervisione dell'attività del delegato.
24. Luogo dell’amministrazione del trust
24.1. Il luogo dell’amministrazione del trust è fissato in […….] attualmente in …….
24.2. Ogni atto, contabilità e documento del trust dovrà essere custodito nel luogo
dell’amministrazione.
24.3. Il trustee/I trustees, previo consenso del protector, può/possono trasferire
l’amministrazione del trust, in altro luogo, purché in Europa.
24.4. In caso di successione del trustee, il luogo dell’amministrazione del trust può
essere modificato dal trustee, affinché coincida con quello del suo domicilio. In
questo caso, il trustee deve informarne per iscritto il protector e il disponente.
25. Rendiconto del trustee
25.1. Il trustee/I trustees consegna[no] annualmente al protector l’inventario del trust
fund, unitamente a una relazione sull’amministrazione.
25.2. Ove il protector lo chieda, il trustee / I trustees deve/debbono sottoporsi a una
verifica contabile e amministrativa, condotta da un professionista abilitato,
nominato dal protector a spese del trust fund.
Nota
La clausola in commento comporta, in primo luogo, l'obbligo del trustee, sia
professionale che occasionale, di tenere una contabilità relativamente
all'amministrazione dei beni in trust.
Quanto alla forma non è prescritto alcun obbligo specifico ma è evidente che la
contabilità dovrà risultare da documenti scritti, necessari al fine di redigere il
rendiconto, in questo caso periodico ma talvolta solo finale, e al fine di consentire ai
professionisti abilitati di eseguire le verifiche contabili e amministrative. L'obbligo di
rendicontazione è previsto, di regola, nelle leggi regolatrici del trust e pertanto si pone
in capo al trustee a prescindere dalla espressa inclusione nell'atto istitutivo (cfr. Trust
Jersey Law 1984, art. 17(5): "A trustee shall keep accurate accounts and records of his
trusteeship"). Sul punto cfr. il Tribunale di Milano, 20 ottobre 2002, in Trusts, 2003, p.
265 ss., ove si è riconosciuto il potere del giudice di revocare i trustees qualora non
abbiano tenuto un'adeguata contabilità.
26.
Poteri del protector
26.1. Il protector è titolare di ogni potere attribuitogli in questo atto, dalla legge
regolatrice; inoltre:
i. deve essere consultato dal trustee/dai trustees, così da potere concedere o negare
il proprio vincolante consenso, prima che il trustee/i trustees compia[no] o
autorizzi[no] il compimento di qualsiasi atto di alienazione di beni del trust o
di costituzione di garanzie reali su di essi o di stipulazione di contratti che ne
attribuiscano a terzi il godimento, per qualsiasi titolo, per un periodo
eccedente i nove anni;
ii. ha diritto di agire contro il trustee/i trustees in caso di violazione, da parte di
quest’ultimo/i, delle disposizioni contenute in questo atto o delle norme della
legge regolatrice del trust o di qualsiasi altra legge applicabile a uno specifico
atto;
iii. ha facoltà di esprimere la propria opinione sugli affari del trust, anche se non
ne venga richiesto dal trustee/ dai trustees.
26.2. Il trustee/I trustees è/sono tenuto/i a rispettare con il massimo scrupolo le
prerogative del protector, interpretando ogni disposizione dubbia di questo atto
nel senso della maggiore ampiezza di tali prerogative.
26.3. Qualunque riferimento in questo atto al consenso del protector comporta che il
trustee/I trustees debba[no) chiederlo e ottenerlo prima del compimento dell’atto
al quale esso si riferisce, a pena di invalidità dell’atto medesimo e di
responsabilità per ogni danno arrecato.
Nota
E' usuale conferire al protector il diritto di essere consultato dal trustee prima del
compimento di significative operazioni di gestione, attribuendogli di norma un potere di
veto al riguardo. Naturalmente ciò va reso coerente con i poteri attribuiti al trustee ma in
linea di massima nella prassi anglosassone al protector viene riconosciuto un potere
interdittivo delle seguenti facoltà dei trustees:
(i)
potere di distribuire anticipatamente ai beneficiaries redditi generati dal trust
fund ovvero di distribuire (sempre anticipatamente) porzioni del trust fund;
(ii)
potere di costituire nuovi trusts;
(iii)
(iv)
potere di nominare nuovi beneficiaries o revocare la nomina fatta dal settlor o
dal trustee stesso;
potere di concedere prestiti ai beneficiari e di consentire loro l'occupazione di
beni facenti parte del trust fund,
Oltre a ciò di massima al protector viene attribuito il potere generale di
estendere o limitare i poteri e le facoltà accordate al trustee.
I poteri del protector vanno regolati in relazione alla tipologia di trusts. Di
norma, nei trust di famiglia il protector è la persona di fiducia del settlor e
interviene al fine di coordinare l'attività discrezionale del trustee con le esigenze
della famiglia. Nei trusts commerciali il protector si fa interprete degli accordi
fra i beneficiari e ne garantisce l'attuazione.
27. Successione del protector
Qualora, per qualsiasi motivo il primo protector nominato venga meno e vengano
nominati, in qualità di protector una o più persone fisiche si avrà che:
a.
il disponente può in ogni tempo nominare un successore del protector, stabilendo
il momento iniziale dell’esercizio dell’ufficio da parte del successore e dandone
comunicazione scritta al protector e al trustee/ai trustees;
b.
se il disponente non vi abbia provveduto, il protector può, in ogni tempo,
nominare un proprio successore, stabilendo il momento iniziale dell’esercizio
dell’incarico da parte del successore e dandone comunicazione scritta alla
disponente;
c.
ove l’ufficio del protector venga a mancare per dimissioni, morte o incapacità e
non sia nominato alcun protector, il trustee ha il diritto, ma non l’obbligo, di
provvedere alla nomina del protector. Qualora nessuno dei nomi proposti
consegua la maggioranza assoluta dei componenti, dopo tre scrutini sono eletti
quali protectors i due nomi che hanno conseguito il maggior numero di suffragi; i
due eletti, di comune intesa, scelgono un terzo protector che completa il collegio.
oppure
a.
ove l'ufficio del protector venga a mancare per dimissioni, morte o incapacità e
non sia nominato alcun protector, i trustees hanno il diritto, ma non l'obbligo, di
provvedere alla nomina del protector.
b.
le dimissioni del protector devono essere comunicate per iscritto al Comitato dei
Trustees, ai beneficiari e al disponente e producono effetto dalla nomina del
successore.
Nota
Oltre alla formulazione del presente atto istitutivo, nella prassi è frequente prevedere
che in caso di dimissioni o morte del protector la nomina spetti al settlor e dopo la sua
morte ai beneficiaries.
Inoltre, può risultare opportuna una clausola di chiusura che stabilisca la nomina del
protector da parte dell'autorità giudiziaria qualora i soggetti legittimati siano venuti a
mancare o restino inerti. In questa ipotesi può essere opportuno inserire alcuni criteri a
cui l'autorità giudiziaria sarà chiamata ad uniformarsi nella scelta del protector.
28.
Revoca del protector
28.1. Il protector può essere revocato in ogni tempo dal disponente per mezzo di atto
scritto comunicato al Trustee/ai trustees e, successivamente, con decisione
unanime dei trustees raccolta in un atto scritto comunicato al protector e al
Comitato dei Trustees.
28.2. Se più persone compongono l’ufficio di protector ciascuna di esse può essere
revocata.
28.3. La revoca del protector comporta di diritto la revoca del successore che egli abbia
nominato.
Nota
La revoca del protector non è una clausola normalmente utilizzata nella prassi.
Naturalmente, questa attribuisce al settlor un maggiore controllo sul trust e una
maggiore influenza sull'attività del protector. La facoltà di revoca del protector può
anche essere attribuita ai beneficiaries.
29. Mancanza del protector
Qualora il trust si trovi senza protector, ogni menzione al protector in questo atto si
intenderà omessa.
30.
Compenso del protector
30.1. Le spese sostenute dal protector per l’adempimento di quanto disposto in questo
atto sono a carico del trust..
30.2. Il disponente e il protector converranno il compenso spettante a quest’ultimo;
esso è posto a carico del trust. Successivamente il compenso si rivaluta in ragione
di un ammontare determinato dal disponente
31.
Amministrazione dei beni del trust
31.1. Al solo fine di chiarimento e in quanto la legge regolatrice del trust lo richieda, si
precisa che il trustee/i trustees:
i.
Potrà/potranno delegare a professionisti, a consulenti, a istituzioni finanziarie
l’amministrazione dei beni del trust;
ii.
potrà/potranno delegare a terzi il compimento di singole attività per un tempo
determinato;
iii.
potrà/potranno prendere somme a mutuo, ponendo i beni del trust a garanzia;
iv.
potrà/potranno assolvere qualunque imposta, posta in qualsiasi Stato a carico del
trust o del trustee/dei trustees o dei beneficiari in conseguenza dell’esistenza o
degli effetti del trust o del reddito o del capitale da esso ricevuto o distribuito,
anche se tale imposta non sia o non possa essere pretesa contro il trustee/i
trustees.
32.
Regime dei beni del trust
32.1. Il trustee/i trustees è/sono obbligato/i a tenere i beni del trust separati dai propri.
In particolare:
i. tutte le volte che si tratti di beni o diritti iscritti o iscrivibili in registri, pubblici
o privati, il trustee/i trustees è tenuto/sono tenuti a richiederne l’iscrizione o
nella sua/loro qualità di trustee/ trustees o al nome del trust o in qualsiasi altro
modo che riveli l’esistenza del trust;
ii. i rapporti bancari istituiti dal trustee/dai trustees e tutti i contratti da lui/loro
stipulati saranno intestati o al trust o al trustee/ai trustees nella sua/loro qualità.
32.2. Il protector e chiunque altro vi abbia interesse potrà rivendicare i beni del trust
qualora il trustee/i trustees, in violazione dei propri obblighi, li abbia o confusi
con i propri o alienati o su di essi abbia costituito diritti di terzi.
Nota
Il punto in commento impone considerazioni separate in funzione della diversa natura
del bene:
Beni immobili.
Nel caso in cui sia conferito in trust un bene immobile, deve essere operata la
trascrizione contro il settlor e in capo al trustee (con indicazione del trust) ai sensi degli
artt. 2643 ss. Qualora il deed of trust si configuri come atto condizionato
risolutivamente (ad esempio si preveda la possibilità della revoca del trustee da parte
del protector) è necessario procedere alle relative annotazioni ai sensi dell’art. 2655 c.
civ. In giurisprudenza contro la trascrizione dell'atto di trasferimento al trustee si è
espresso il giudice tavolare di Cortina d'Ampezzo le cui motivazioni sono riportate in
Tribunale di Belluno, 25 settembre 2002, in Foro it., 2003, I, p. 649; lo stesso Tribunale
di Belluno, 25 settembre 2002, cit., p. 651 ss., ha rigettato il conseguente reclamo alla
pronuncia del giudice tavolare. Contraria alla trascrizione dell'atto istitutivo di trust la
Corte d'Appello di Napoli, 27 maggio 2004, la cui massima si può leggere in Santoro L.,
Il Trust in Italia, Milano, Giuffrè, 2004, p. 587. La giurisprudenza maggioritaria è
invece favorevole alla trascrivibilità dell'atto istitutivo di trust, in particolare cfr.
Tribunale di Bologna, 18 aprile 2000, in Trusts, 2000, p. 372 ss.; Tribunale di Bologna,
1º ottobre 2003, in Vita not., 2003, 3, p. 1297 ss.; Tribunale di Pisa, 22 dicembre 2001,
in Trusts, 2002, p. 241 ss.; Tribunale di Verona, 8 gennaio 2003, in Trusts, 2003, p. 409
s.; Tribunale di Parma, 21 ottobre, 2003, in Guida al diritto, 2003, p. 65 ss., ove si è
riconosciuta la trascrivibilità nei registri immobiliari dell'atto con cui un soggetto si
nomina trustee di un bene immobile di sua proprietà (trust cd. autodichiarato);
Tribunale di Chieti, 10 marzo 2000, in Trusts, 2000, p. 372, ove si è dichiarato
ingiustificato il rifiuto della Conservatoria dei Registri immobiliari di trascrivere l'atto
di compravendita immobiliare nel quale l'acquirente è un soggetto che agisce in qualità
di trustee. Si veda inoltre il decreto del Tribunale di Milano in data 8 ottobre 2002, in
Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 30/2003, pp. 116 ss. Da ultimo sulla
ammissibilità della pubblicità dell'atto traslativo attuato con il trust cfr. Tribunale di
Trento, 20 luglio 2004, in Santoro L., Il Trust in Italia, cit., p. 591.
Beni mobili registrati.
Per i beni mobili registrati, la qualità del trustee deve essere iscritta o trascritta negli
appositi registri:
- per le navi e gli aeromobili, v. gli artt. 998 ss.
- per gli autoveicoli v. gli artt. 6 e 18 d.l. 15 marzo 1927, n. 436.
Aziende.
Nel caso in cui sia costituita in trust un’azienda, si applica il regime del trasferimento di
azienda con indicazione dell’acquirente quale trustee (art. 2556 c. civ.). Proprio perché
si pone un problema di opponibilità ai terzi del vincolo gravante sul patrimonio
aziendale, la qualità di trustee andrà pubblicizzata anche in relazione al regime della
pubblicità dei singoli beni che compongono l’azienda (beni immobili, mobili registrati).
In termini di disciplina, salvo che non sia stato diversamente previsto nell’atto di trust,
si può porre il problema dell’applicazione analogica delle norme che regolano
l’usufrutto di azienda (art. 2561 c. civ.) e il pegno di beni fruttiferi (art. 2791 c. civ.).
Titoli di credito.
-
Per quanto concerne i titoli di credito nominativi, il trasferimento al trustee deve
risultare attraverso l’annotazione sul titolo (Tizio, trustee del trust ***) e
l’iscrizione nel registro dell’emittente (cfr. a questo riguardo la disciplina di cui
all’art. 167 c.c.).
-
Per quanto concerne i titoli all’ordine è necessario lo spossessamento, la girata alla
persona quale trustee e l’indicazione della destinazione al trust.
-
Per i titoli al portatore si pongono i medesimi problemi del trasferimento di denaro
liquido, sia con riguardo ai limiti previsti dalla legge per la consegna di denaro in
contanti sia con riguardo ai problemi di opponibilità del vincolo di destinazione.
-
Nel caso di titoli affidati in gestione centralizzata, la qualità del trustee deve
risultare dal registro del gestore.
-
Per i titoli rappresentativi di merci deve ritenersi che oggetto del trust sono le cose
in esso specificate (argomento dall’art. 2786 c. civ.), conseguentemente rispetto a
queste si porrà il problema della pubblicizzazione e dell’opponibilità del vincolo
costituito dal trust.
Partecipazioni sociali.
-
Per le azioni di società vale quanto appena considerato in ordine ai titoli nominativi.
-
Per le quote di società il socio trustee dovrà essere indicato come tale nel libro soci
(art. 2479, 2° co., c. civ.). Merita in ogni caso sottolineare che trattandosi di
circolazione della partecipazione sociale a tutti gli effetti, troveranno applicazione
le regole statutarie inerenti la prelazione e il riscatto.
Patrimoni liquidi (deposito amministrato).
Per il patrimonio da affidare in gestione, deve essere ricordato che l'intera area
comunitaria (esclusa, quindi, la Confederazione Elvetica) è regolata dalla Direttiva
93/22/Cee, secondo la versione adottata da ciascun Paese aderente (la versione italiana è
attualmente consacrata nel testo unico finanziario: d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58). Il
patrimonio va affidato a un intermediario abilitato (banca o impresa di investimento)
secondo un contratto, scritto, che deve contenere le caratteristiche della gestione del
portafoglio di investimento.
Il deed of trust dovrebbe contenere delle indicazioni in proposito.
Beni mobili.
Per i beni mobili l’opponibilità nei confronti degli aventi causa dal trustee del vincolo di
destinazione si realizza attraverso lo spossessamento e dimostrando l’anteriorità della
pretesa con riferimento alla data certa anteriore del deed of trust (come può
argomentarsi dall’art. 1707 c. civ.). Quindi, nei casi in cui la scrittura costitutiva di trust
non sia autenticata, trova applicazione l’art. 2704 c.c., in ordine al quale il documento
acquista la data del fatto certo che con esso può mettersi in relazione (cfr. anche l’art.
2915 c.c.). Merita sottolineare che la costituzione di beni mobili in trust, là dove non sia
possibile realizzare forme di pubblicità del vincolo, appare comunque problematica:
anche i beni mobili in trust sono soggetti al principio del ‘possesso vale titolo’ fissato
all’art. 1153 c.c., in ordine al quale l’acquirente in buona fede dal non legittimato a
disporre acquista comunque il diritto di proprietà sul bene conseguendone il possesso.
Beni d’arte
Per i beni d’arte, ferme restando le regole in ordine alla prelazione a favore dello Stato,
le regole di circolazione sono essenzialmente quelle dei beni mobili. Può, tuttavia,
ipotizzarsi la possibilità di realizzare un meccanismo di pubblicità sul singolo bene
(attraverso ad esempio l’etichettatura che rechi la data certa).
Quanto alla "rivendicazione" dei beni in trust, oggetto di un atto di disposizione
improprio da parte del trustee, l'art. 11, 3º comma, della Convenzione de L'Aja rinvia
alla legge regolatrice del trust.
Di regola le leggi straniere prevedono la possibilità di agire nei confronti dei terzi con la
sola eccezione dell'acquisto di buona fede e a titolo oneroso. A titolo di esempio si
consideri Trust Jersey Law 1984, art. 50(3) in forza del quale: "Without prejudice to the
liability of a trustee for breach of trust, trust property which has been alienated or
converted in breach of trust or the property into which it has been converted may be
followed and recovered unless –
(b) it is in the hands of a bona fide purchaser for value without notice of a breach of
trust.
33.
Custodia di titoli e di strumenti finanziari
33.1. Il trustee/i trustees deve/debbono custodire i titoli azionari, obbligazionari e in
genere gli strumenti finanziari che formano parte del trust fund.
33.2. Il trustee/i trustees è/sono esentato/i da responsabilità qualora egli depositi i
predetti beni presso una banca al nome del trust o al proprio nome nella specifica
qualità di trustee di questo trust.
33.3. Qualora il trustee sia una società che professionalmente opera quale trustee il
deposito può avere luogo unitamente a titoli appartenenti ad altri trusts, ma solo
qualora si tratti di titoli non negoziati in alcun mercato regolamentato.
Nota
La clausola di cui al punto 33.3. può anche essere formulata come segue: "Qualora il
trustee sia una società fiduciaria il deposito può avere luogo anche unitamente a titoli
appartenenti ad altri trusts, ma solo qualora si tratti di titoli nominativi, intestati al trust
o al trustee del trust, e non negoziati in alcun mercato regolamentato".
34.
Partecipazioni in società
Qualora tra i beni del trust siano incluse azioni o quote di società, il trustee non avrà
alcun obbligo di partecipare alla gestione della società o di nominare persone che
partecipino alla amministrazione della società a meno che non gli venga una specifica
indicazione in tal senso dal protector.
[Eventualmente: I trustees dovranno, con il consenso del protector, partecipare alla
gestione della società o nominare gli amministratori della società le cui quote o azioni
siano incluse tra i beni del trust.]
Nota
La giurisprudenza si è occupata dell'iscrivibilità nel Registro delle Imprese di un atto di
trasferimento di quote di una s.r.l. dal settlor in favore del trustee. Il Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere, 14 luglio 1999, in Trusts, 2000, p. 251, ha escluso che il trust
interno rientri fra gli atti tipici per cui la legge consente l'iscrizione. Si osservi che lo
stesso atto di trasferimento di quote in oggetto ha invece ricevuto iscrizione presso il
Registro delle Imprese di Napoli. Favorevole all'iscrizione nel Registro delle Imprese
del trasferimento di quote di una s.r.l. il Tribunale di Bologna, 16 giugno 2003, in
Trusts, 2003, p. 580 ss. Sul trasferimento di quote della s.r.l. a seguito della riforma del
diritto societario nell’ottica fiduciaria si veda V. DE STASIO, Il trasferimento della quota
di s.r.l. nella riforma del diritto societario, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria,
2/2003, pp. 25 ss.
Un punto problematico della partecipazione del trustee alla gestione della società è la
partecipazione alle assemblee societarie. Di regola, il trustee seguirà le indicazioni del
settlor o del protector relativamente all'esercizio del diritto di voto. Tuttavia, il trustee è
primariamente obbligato verso i beneficiaries e non potrà esercitare il voto in modo
pregiudizievole verso questi ultimi anche a costo di disattendere le indicazioni del
settlor e del protector. Può anche verificarsi l'ipotesi che il settlor amministri la società
le cui azioni sono nel trust fund in modo pregiudizievole per la società e di riflesso per i
beneficiaries. In tal caso il trustee dovrà adottare ogni misura idonea a preservare
l'interesse della società. Sul tema può utilmente leggersi la nota redazionale dal titolo
Partecipazione alle assemblee delle società amministrate dalla società fiduciaria: una
pronuncia, in via d’urgenza, della Sezione feriale del Tribunale di Milano 26 luglio
2001 11, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 44/2001, pp., 11 ss.
Una specifica questione sul punto è affrontata da E. BILOTTI, L’intervento della società
fiduciaria nelle assemblee delle società per azioni: rappresentanza in assemblea e voto
divergente, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria , 2/2003, pp. 31 ss.
35.
Stipulazione di polizza unit linked
35.1. Il trustee , quale primo impiego delle somme rivenutegli, sottoscriverà una polizza
unit linked a premio unico sulla vita del disponente avente le caratteristiche
descritte ai punti successivi.
35.2. Il trustee dovrà designare quali beneficiari della polizza [………..] in parti uguali,
purché abbiano raggiunto l’età di cui infra sub. 35.3.
35.3. Fino al compimento del venticinquesimo anno di età, in caso di premorienza del
disponente, beneficiario della polizza sarà il trustee stipulante il quale dovrà
amministrare la somma riveniente dal pagamento del rischio assicurato come
protective trust ai sensi del…….
Nota
La polizza configurata nel punto in commento rientra nel più ampio schema
dell'assicurazione sulla vita di un terzo. Ai sensi dell'art. 1919 c.c. il terzo (in questo
caso la disponente) deve prestare il suo consenso per iscritto. La clausola in esame
integra senz'altro il requisito di validità di ci all'art. 1919 c.c. Contraente della polizza è
il trustee e sarà quest'ultimo ad obbligarsi alle clausole della polizza assicurativa e ad
esercitarne le facoltà.
Nella polizza vita unit-linked il premio versato dal contraente viene impiegato per
l'acquisto di parti di specifiche attività finanziarie (ad es. parti di un fondo immobiliare,
una Sicav) o di un fondo comune di investimento. Il tipo di fondo può essere
obbligazionario, bilanciato o azionario a seconda della propensione al rischio del
contraente. Di regola le polizze unit-linked prevedono la possibilità di variare dopo la
conclusione del contratto la strategia di investimento e di passare da una strategia più
prudente a una più aggressiva e viceversa. Posto che questa facoltà spetta al contraente
della polizza (in questo caso il trustee), può essere opportuno che il settlor indichi
nell'atto istitutivo il grado di rischio che intende sopportare, ad es. scegliendo una
tipologia più specifica rispetto alla generale categoria delle polizze unit-linked. In
relazione al rischio finanziario si distingue infatti fra tre tipologie: a) Unit-linked pure,
ove il risparmiatore sopporta per intero il rischio finanziario; b) Guaranteed unit-linked,
ove è prevista una garanzia finanziaria o assicurativa (riassicurazione) più o meno
ampia; c) Partial guaranteed unit-linked, ove si realizza una sintesi delle due precedenti
tipologie.
Con riguardo al punto 35.3. la clausola protective consente di proteggere i beni in trust
dall'aggressione dei creditori del beneficiario. Tale clausola infatti mette fine al diritto di
quest'ultimo al verificarsi di un determinato evento che deve essere indicato nell'atto
istitutivo. Così se si individua quale evento l'esecuzione dei creditori, al suo verificarsi
la clausola porrà fine al diritto di credito del beneficiario che si trasformerà in mera
aspettativa e il trust si riqualificherà quale trust discrezionale.
36.
Reddito del trust fund: definizione
36.1. Per “reddito del trust” si intende ogni frutto, dividendo, interesse o altra utilità
prodotto dal “trust fund” e: i. percepito dal trustee/dai trustees, ovvero ii.
mantenuto nel patrimonio di società di proprietà, diretta o per mezzo di fiduciari o
di altre società, del trust.
36.2. In quest’ultimo caso, il trustee/i trustees ha/hanno facoltà di non percepire il
reddito e di avvalersi della sua/loro posizione di azionista o di amministratore per
ottenerne l’investimento o la disposizione, ovvero l’impiego in favore dei soggetti
che ne hanno diritto in forza di questo atto o in favore dei quali egli/essi è/sono
comunque tenuto/i o ha/hanno facoltà, di provvedere.
[Eventualmente: I trustees debbono comunque assicurare ai beneficiari un reddito
costante, determinato in misura di ……(indicare se non si vuole rimettere alla
discrezionalità del/dei trustee/s la determinazione del reddito)].
36.3. Al fine di garantire che l’esercizio dei poteri connessi alla posizione di azionista o
di amministratore sia conforme alle finalità del trust, il trustee dovrà sempre
ottenere il consenso del protector per il compimento delle attività di cui al comma
che precede.
Nota
Se fra i beni del trust sono compresi beni immobili, il godimento di questi deve essere
compreso nella nozione di reddito del trust e se ne deve tenere conto nella distribuzione
del reddito del trust.
37.
Reddito del trust fund: distribuzione
37.1. Il reddito del trust assolto ogni costo relativo all’amministrazione del trust fund,
sarà, a discrezione del trustee/dei trustees, ma con il consenso del protector,
mantenuto nel trust o corrisposto ai beneficiari del reddito o parte mantenuto e
parte corrisposto.
37.2. Appartiene alla discrezionalità del trustee/dei trustees, con il consenso del
protector, scegliere di volta in volta fra i beneficiari del reddito e determinare
quanta parte distribuire e a chi.
37.3. Tuttavia, verificatasi la situazione di cui infra sub 40.4 il trustee, con il consenso
del protector, dovrà prestare particolare attenzione alla singola necessità dei
beneficiari.
Nota
Con riguardo alla distribuzione del reddito del trust, l'atto istitutivo prevede il
necessario consenso del protector perché il trustee/i trustees possa/possano esercitare la
sua/loro discrezionalità. Talvolta si preferisce prevedere la mera consultazione del
protector al fine di rendere più agile l'attività del trustee/dei trustees. Naturalmente, il
livello di fiducia che il settlor ripone nel trustee/nei trustees sarà determinante al fine di
aderire all'uno o all'altro modello. Inoltre, è possibile prevedere che per un determinato
periodo di tempo prestabilito il trustee/i trustees non possa distribuire il reddito ma solo
accumularlo. Successivamente al decorso di detto termine il trustee/i trustees
potrà/potranno o mantenere il reddito in trust o distribuirlo in tutto o in parte ai
beneficiari del reddito. L'atto istitutivo può anche prevedere le quote spettanti a ciascun
beneficiario del reddito escludendo ogni discrezionalità del trustee/dei trustees.
38.
Necessità del disponente o dei beneficiari
38.1. Il trustee/I trustees è/sono tenuto/i a valutare periodicamente se la disponente o i
beneficiari finali abbiano necessità di somministrazione di mezzi finanziari per
ragioni di malattia o di sopravvenute difficoltà che non consentano loro di
mantenere il proprio ordinario tenore di vita.
38.2. Qualora si verifichi una di queste circostanze, il trustee/i trustees è/sono tenuto/i a
devolvere le somme di denaro necessarie, ottenute anche per mezzo
dell’alienazione di beni del trust fund, come segue:
i. ove si tratti di sovvenzione al disponente, con correlativa diminuzione dei diritti
dei beneficiari
ii. ove si tratti di sovvenzione a uno fra i beneficiari finali, trattando tale
sovvenzione come distribuzione anticipata di parte della quota spettantegli.
Oppure
38.2. Qualora si verifichi una di queste circostanze, i trustees sono tenuti a devolvere le
somme di denaro necessarie, ottenute anche per mezzo dell’alienazione di beni del
trust fund, trattando tale sovvenzione come distribuzione anticipata di parte della
quota spettante al beneficiario.
Nota
Come si legge nel punto in commento, al fine di devolvere le somme di denaro
necessarie a soddisfare le necessità della disponente o dei beneficiari il trustee/i trustees
può/possono anche provvedere all'alienazione di beni del trust fund. Questo punto deve
essere coordinato con quello relativo ai poteri del protector ove si impone il vincolante
consenso di quest'ultimo al fine di consentire al trustee/ai trustees qualsiasi atto di
alienazione di beni del trust.
L'atto istitutivo accanto alla previsione in commento può prevedere una apposita
clausola dedicata alla possibilità che il trustee/i trustees, a titolo di anticipazione di
quanto spetterà al beneficiario al termine del trust, corrisponda[no] ai beneficiari somme
di denaro dirette a soddisfare le loro necessità professionali.
39. Oneri tributari
Il trustee/I trustees, impiegando all’uopo le disponibilità dei trust fund o comunque i
beni del trust, potrà[nno] assolvere qualsiasi imposta in qualsiasi Stato a carico del trust
fund o del trustee in conseguenza dell’esistenza degli effetti del trust o del reddito
capitale da esso/i ricevuto o distribuito, anche se tale imposta non possa essere pretesa
contro il trustee/i trustees.
Nota
Sul punto si veda, da ultimo, L. DE ANGELIS, Questioni di diritto sostanziale e tributario
connesse al riconoscimento del trust nell’ordinamento italiano: lacune normative e
prospettive di regolamentazione, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria , 34/2002,
pp. 106 ss.
40.
Destinazione dei beni del trust. Distribuzione ai beneficiari.
Nell’esercizio della propria discrezionalità
40.1. Al termine del trust il trustee/i trustees distribuisce/distribuiscono i beni del trust
fund fra uno o più beneficiari a sua/loro discrezione.
40.2. È tuttavia facoltà del trustee/dei trustees, con il consenso del protector, con la
rigida osservanza del limite di età di cui al precedente art. 35.2 e 35.3, di
anticipare, in tutto od in parte, tale distribuzione ove egli discrezionalmente
ritenga che gli interessi di uno o più beneficiari siano così meglio realizzati.
40.3. I beneficiari hanno diritto, agendo tutti congiuntamente per mezzo di atto scritto e
con il consenso del protector, di porre termine al trust e di dettare la ripartizione
dei beni del trust fra di essi.
40.4. In deroga alla disposizione di cui al precedente 40.3. i beneficiari fino a quando
non avranno raggiunto l’età di cui ai precedenti artt. 35.2 e 35.3 (venticinque anni)
non avranno il diritto di porre termine al trust, a meno che essi agiscano
congiuntamente, con il consenso scritto del disponente.
Nota
Al termine del trust il trustee è chiamato a compiere gli opportuni atti di trasferimento
dei beni nel patrimonio dei beneficiari. Naturalmente l'ufficio del trustee sarà meno
gravoso qualora la distribuzione debba avvenire secondo le quote predeterminate
nell'atto istitutivo e non nell'esercizio della sua discrezionalità.
Nell'atto istitutivo potrebbe essere previsto che il trustee debba formare quote omogenee
o, in base alle diverse finalità del trust, disomogenee, in quest'ultimo caso prevedendo i
criteri per i necessari conguagli. Nel caso in cui il trustee debba trasferire un bene in
comunione fra più beneficiari, potrebbe essere opportuno che nell'atto istitutivo si
preveda la verifica del livello di accordo fra i beneficiari in ordine alla gestione del bene
e se del caso il trustee disponga la vendita del bene e la distribuzione del ricavato.
41.
Desideri del disponente.
41.1. Nell’esercizio della propria discrezionalità il trustee/i trustees terrà[nno] conto dei
desideri della disponente, come manifestatigli verbalmente o per iscritto.
41.2. Fatte salve le disposizioni e le limitazioni espresse in questo atto, la discrezionalità
del trustee/dei trustees rimane tuttavia piena. In nessun caso il trustee/i trustees
è/sono tenuto/i a motivare le ragioni che lo/li hanno guidato/i nel suo esercizio.
Nota
Si cfr. il commento al punto 14.
42. Allegati
Costituiscono parte integrante del presente atto i seguenti allegati:
42.1. Beni e diritti trasferiti al trustee
42.2. Beneficiari
42.2.
Allegato all’atto istitutivo del trust denominato [……….]
1.
Beneficiari del Reddito
2.
Beneficiari Finali
in quote eguali
2. I PROFILI FISCALI DELLA ISTITUZIONE DI TRUST
1. Introduzione.
1.1. E’ noto che l’ordinamento tributario italiano si connota – a tutt’oggi – per l’assenza
di una qualsivoglia disciplina fiscale dei trusts, che non può essere ricavata neanche
dalla nota Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1989, avendo – quest’ultima – rinunciato
a disciplinare gli aspetti tributari del trust e lasciato ogni determinazione in materia a
ciascuno dei singoli Stati contraenti (l’art. 19 della Convenzione così recita: “La
convenzione non pregiudicherà la competenza degli Stati in materia fiscale”).
In conseguenza di quanto rilevato, il regime tributario applicabile al trust non può che
essere individuato per via interpretativa, sottoponendo le singole norme del sistema
tributario al vaglio dei diversi atti e rapporti giuridici che connotano un istituto – il trust,
appunto – che sostanzialmente non ha omologhi nell’ordinamento giuridico italiano
(l’unica eccezione è rappresentata, per certi versi, dal fondo patrimoniale).
Come si evidenzierà nel paragrafo successivo, peraltro, la presente trattazione non avrà
ad oggetto un ipotetico regime fiscale del “trust”.
E’ noto infatti che non esiste un modello unitario di trust, essendo viceversa questo uno
strumento assai flessibile e adattabile a molteplici esigenze; con conseguente
multiformità di effetti giuridici e inevitabilmente correlata diversità di disciplina
tributaria (osservazioni queste su cui conviene la stessa Agenzia delle entrate: cfr. la
risol. 17 gennaio 2003, n. 8/E).
2. Il regime impositivo del trust inter vivos.
2.1. Propedeutica a qualsiasi indagine è l’individuazione della specifica fattispecie – id
est la legge regolatrice del trust, le caratteristiche proprie del settlor, del trustee e dei
beneficiari, la peculiare tipologia di trust, ecc. – di cui si intendono analizzare le
implicazioni di carattere fiscale, tratteggiandone il relativo regime ai fini delle imposte
tanto dirette quanto indirette.
Nel caso di specie, faremo riferimento a un trust regolato da una legge straniera, di tipo
“discrezionale” e “irrevocabile”, con “disponente” (settlor) e “beneficiari”
(beneficiaries) residenti in Italia con trustee quivi residente o non e, per contro, con beni
(denaro, titoli e beni immobili) localizzati sia nel territorio dello Stato italiano che
all’estero e regolati tanto dalla legge italiana quanto dalla normativa di altri Paesi.
2.2. Per quanto riguarda il “disponente”, si assumerà che si tratti di una persona fisica
“non imprenditore” animato da finalità di matrice liberale (da qui la qualificazione del
trust come “liberale”), finalità che si manifesta nella presenza di una serie di soggetti
che ipotizziamo fiscalmente residenti nel territorio dello Stato destinatari ultimi del
patrimonio costituito in trust e, per l’appunto, “beneficiari” di quell’arricchimento
voluto dal “disponente” e realizzato mediante l’istituto del trust (è proprio in
conseguenza del carattere “liberale” del trust che si pongono maggiori problemi sotto il
profilo impositivo e, soprattutto, ai fini dei tributi indiretti).
In ordine al trustee, la sua residenza o non residenza in Italia, senza distinzione in
ordine alla categoria soggettiva di appartenenza del medesimo (persona fisica o ente)
non ha rilievo alcuno se si accede alla teoria che attribuisce al trust la soggettività
passiva ai fini Irpeg: in siffatta ipotesi, i redditi differenti da quelli soggetti a ritenuta
alla fonte a titolo d’imposta (nel caso di specie, ad esempio, i “redditi fondiari” derivanti
dal possesso di immobili in Italia) formeranno oggetto di apposita dichiarazione e
saranno sottoposti ad imposizione in Italia con l’Ires. La medesima specificazione
assume rilevanza, invece, laddove si sposi la tesi che riconosce al trustee la soggettività
passiva ai fini delle imposte sui redditi: in questo caso e qualora il trustee sia un
soggetto non residente i redditi differenti da quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo
d’imposta formeranno comunque oggetto di dichiarazione, ma saranno sottoposti a
prelievo mediante Irpef o Ires in ragione del fatto che il trustee sia una persona fisica o
un ente.
Quest’obbligo di dichiarazione – che, nel nostro caso, è astrattamente prospettabile,
come accennato, per i “redditi fondiari” – non sussisterà in capo al trustee non residente
nel caso in cui l’immobile sia posseduto direttamente mediante una società estera (id est
non residente in Italia): in questa ipotesi, sulle cui “ragioni fiscali” si ritornerà più
avanti, sarà infatti la suddetta società estera a scontare l’Ires sui reddito relativi di fonte
italiana.
Ove invece il trustee sia un soggetto residente nello Stato e si assuma che egli sia
soggetto passivo d’imposta per i redditi conferiti in trust, si applicheranno le normali
regole che presiedono all’imposizione in capo ai residenti e dunque, anche in tal caso, la
soggezione all’IRES o all’IRPEF dipenderà dalla veste, societaria o meno, con cui il
trustee opererà. Peraltro proprio in considerazione dell’applicabilità nei confronti del
trustee che sia un soggetto residente delle regole generali che concernono l’imposizione
reddituale su tali soggetti, per non appesantire inutilmente il presente lavoro ci
limiteremo nel paragrafo 4 che segue ad alcuni cenni di riferimento all’ipotesi in cui il
trustee sia viceversa un soggetto non residente.
Va peraltro registrata una recente presa di posizione dell’Agenzia delle entrate (risol. 13
settembre 2004) attributiva di situazioni giuridiche soggettive, rilevanti sul piano
tributario, direttamente ai beneficiari (nella specie si trattava di consentire loro di
procedere alla rivalutazione a pagamento del costo di acquisto di partecipazioni oggetto
del trust). La soluzione positiva affermata dall’Agenzia è probabilmente corretta,attesa
la peculiarità del caso sottoposto al suo esame. Il che conferma peraltro quanto
osservato in fine al paragrafo che precede circa la proteiformità della figura e l’esigenza
di accostarsi ad essa con molta accortezza, rifuggendo da posizioni precostituite.
Relativamente ai beni che potranno formare oggetto di devoluzione in trust, il
riferimento è essenzialmente al denaro, ai titoli (ivi comprese le azioni) e ai beni
immobili, nelle differenti ipotesi di deposito presso banche italiane o estere, di
emissione da parte di soggetti italiani o esteri, di localizzazione sul territorio italiano o
di altro Stato. In ogni caso, si assumerà – per gli elementi considerati – che si tratti
comunque di beni estranei alla sfera dei “beni relativa all’impresa”, e ciò a
completamento dell’assunzione – posta già sul piano soggettivo – che il “disponente”
non sia imprenditore.
2.3. Un’ultima breve osservazione deve essere effettuata con riferimento all’ipotesi cui
il settlor assuma – nell’economia del trust – “anche” la veste di beneficiario.
Dal punto vista squisitamente fiscale, la coincidenza in capo al “disponente” dei due
“ruoli” non comporta – in linea di principio – una devianza dalle regole fiscali
applicabili ordinariamente alle vicende giuridiche che interessano i beneficiari “puri”,
ma accentuano i profili di rischio – soprattutto, ma non solo, in presenza di situazioni o
comportamenti “non ortodossi” – relativamente all’applicabilità dell’art. 37, comma 3,
del d.P.R. n. 600 e/o all’autonomo superamento per via interpretativa dello schema
negoziale del trust da parte dell’Amministrazione finanziaria.
3. Segue. La costituzione del trust e il trasferimento del patrimonio dal settlor
residente al trustee non residente.
3.1. Con riferimento al “negozio istitutivo”, è opportuno distinguere – anche se la
soluzione finale, in termini sostanziali, non sarà diversa – l’ipotesi che esso contenga
una “obbligazione” a realizzare il programma, da quella in cui un’obbligazione in tale
senso manchi e sussista una mera “facoltà” in tale senso.
Nella prima ipotesi, il “disponente” si obbliga ad attuare il programma e l’oggetto
dell’obbligazione è rappresentato dagli atti di disposizione dei beni che saranno
compiuti a favore del trustee: non è rilevante, ai fini fiscali, la presenza o meno del
soggetto (un terzo, il trustee, ecc.) nei confronti del quale il settlor si obbliga, attenendo
– questo specifico aspetto – ai profili civilistici di validità del negozio. In questo caso, il
“negozio istitutivo” si configura alla stregua di (rectius è assimilabile a) un “contratto
preliminare” (art. 10 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/86), il cui
trattamento ai fini dell’imposta di registro sarà il seguente:
(i)
atto formato per iscritto (e, preferibilmente, per atto pubblico o scrittura privata
autenticata): obbligo di registrazione “in termine fisso” (ai sensi dell’art. 13,
d.P.R. 131) e pagamento del tributo nella “misura fissa” di € 168,00 (art. 10
della Tariffa, testé citato);
(ii)
atto formato mediante corrispondenza: obbligo di registrazione “in caso d’uso”
(ai sensi dell’art. 6, d.P.R. 131) e, nella specifica evenienza, pagamento del
tributo sempre nella “misura fissa” di € 168,00 (art. 1 della Tariffa, parte
seconda).
Nella seconda ipotesi, che è la più frequente nella pratica e la meno problematica sotto il
profilo civilistico, il “disponente” non assume alcuna obbligazione di disporre in favore
del trustee e l’attuazione del programma è rimessa alla sola volontà del settlor. In
questo caso, il “negozio istitutivo” si qualificherà per l’assenza di una prestazione a
contenuto patrimoniale (art. 11 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/86) e
sarà assoggettabile al seguente trattamento ai fini dell’imposta di registro (su quanto si
dirà appresso, conforme SECIT, Delibera 11 maggio 1998, n. 37 – La circolazione dei
trusts in Italia, in Il fisco, 1998, pp. 11148-11149):
(i)
atto formato per atto pubblico o scrittura privata autenticata: obbligo di
registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo nella “misura fissa” di €
168,00 (art. 11 della Tariffa, testé citato);
(ii)
atto formato mediante scrittura privata in forma non autentica: obbligo di
registrazione “in caso d’uso” e, nell’evenienza, pagamento del tributo sempre
nella “misura fissa” di € 168,00 (per questa soluzione, art. 27, comma 4, d.P.R.
131): si evidenzia, comunque, che nella prassi la scrittura privata è sempre
presentata all’Ufficio per la registrazione.
3.2. La sottoposizione dei “negozi dispositivi” (ossia degli atti di trasferimento dei beni
al trustee) al vaglio delle vigenti disposizioni in materia di “imposte sui redditi” richiede
che siano preliminarmente richiamate due delle diverse assunzioni effettuate in
precedenza: l’assunzione che il “disponente” non rivesta la qualifica di “imprenditore”
e, in ogni caso, che i beni oggetto di devoluzione in trust non si configurino quali “beni
relativi all’impresa”.
In presenza – dunque – di una persona fisica non imprenditore che trasferisce beni del
proprio patrimonio personale, assumerà un rilievo determinante – ai fini delle imposte
dirette – la qualificazione come “atti a titolo gratuito” dei suddetti trasferimenti: in
siffatta ipotesi, infatti, le disposizioni del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 come
modificato dal d.leg.vo 12 dicembre 2003, n. 344 (d’ora in avanti, semplicemente
t.u.i.r.) subordinano l’emersione di redditi imponibili alla “onerosità” delle cessioni dei
beni o dei diritti (e lo stesso vale per i conferimenti), con la conseguenza che i
trasferimenti realizzati mediante i “negozi dispositivi” non assumeranno rilevanza ai fini
delle “imposte sui redditi”.
Nella fattispecie analizzata è previsto che i beni oggetto di trasferimento in capo al
trustee siano – oltre alle disponibilità liquide – titoli, azioni e immobili, ossia beni la cui
cessione potrebbe assumere rilevanza, almeno in astratto, ai sensi dell’art. 67 del t.u.i.r.
(che disciplina la categoria dei c.d “redditi diversi”), e ciò a prescindere – stante la
residenza fiscale in Italia del settlor – dall’esistenza o meno di un collegamento
oggettivo di tali beni (localizzazione, soggetto emittente, ecc.) con il territorio dello
Stato italiano: in concreto, tuttavia, la citata disposizione non può essere applicata in
radice, e con riferimento a tutte le ipotesi considerate, per l’assenza di un corrispettivo
legato al trasferimento dei vari cespiti. A titolo esemplificativo, e per quanto ci riguarda,
questa condizione è prevista e richiesta, per un verso, dalle lettere da c) a c-quinquies)
della citata disposizione per le cessioni di azioni, quote e altri titoli, e, per altro verso,
dalla lettera b) della medesima disposizione per i trasferimenti di beni immobili.
Diversa sarebbe la conclusione nell’ipotesi, testé esclusa, di “disponente” che riveste la
qualifica di “imprenditore” e/o di trasferimento di “beni relativi all’impresa”: in questo
caso, che si prende in considerazione incidentalmente e per completezza, i trasferimenti
dei beni assumeranno rilevanza fiscale – con conseguente assoggettamento ad
imposizione sui redditi – nella misura in cui generano “ricavi” (ad esempio, per i titoli
iscritti nell’attivo circolante) o “plusvalenze” (ad esempio, per i titoli iscritti nell’attivo
immobilizzato e per i beni immobili) in forza delle disposizioni che attribuiscono rilievo
alla destinazione dei beni d’impresa “a finalità estranee” all’esercizio della medesima
(cfr., rispettivamente, l’art. 85, comma 2, e l’art. 86, comma 1, lett. c), del t.u.i.r.).
3.3. Appurata l’irrilevanza dei trasferimenti in esame agli effetti delle imposte sui
redditi, si tratta adesso di valutare le implicazioni fiscali dei “negozi dispositivi” sotto il
profilo delle “imposte indirette”, che dovrebbero essere la categoria di tributi
fisiologicamente interessata dai negozi de quibus, in considerazione, da un lato, della
loro “gratuità” e, dall’altro, degli effetti giuridici specifici che riconnettono ai suddetti
“atti”: in ragione di ciò, i tributi indiretti astrattamente interessati sono, per il primo dei
profili considerati, l’“imposta sulle donazioni” e, per il secondo, l’“imposta di registro”.
Il problema dell’applicabilità del tributo successorio ovvero di quello di registro ai
trasferimenti di beni effettuati dal settlor al trustee – problema che ha animato il
dibattito dottrinale (per le contrapposte posizioni, G.F. GAFFURI – F.V. ALBERTINI,
Disciplina fiscale dei trusts: costituzione e trasferimento dei beni, in Boll. trib., 1995, p.
1704, e A. FEDELE, Visione d’insieme della problematica interna, in AA.VV., op. cit.,
p. 284, favorevole, come la maggioranza della dottrina, alla seconda ipotesi) e ha diviso
anche la scarna e recente giurisprudenza di merito (cfr. Comm. trib. prov. di Treviso, 29
marzo 2001, n. 27, in Dir. prat. trib., 2002, II, p. 276 e, in contrapposizione ed a favore
dell’imposta di registro, Comm. trib. prov. di Lodi, 5 novembre 2001, n. 135, in Fiducia
e Trust, supplemento n. 1/2002 a Il Fisco, n. 15/2002, pag. 64 e segg.) – era stato
sostanzialmente risolto con la L. n. 342/2000 di riforma del testo unico dell’imposta
sulle successioni e donazioni (D. Lgs. n. 346/90), che – con l’introduzione del comma
4-bis dell’art. 1 e dell’intero art. 56-bis – aveva elevato espressamente a presupposto
dell’imposta anche le c.d. “liberalità indirette”, formalizzate o meno in un atto scritto, al
cui interno si riconduceva per via interpretativa anche la fattispecie dei trust liberali (cfr.
D. STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, op. cit., p. 187).
Secondo lo schema della “liberalità indiretta”, gli atti di devoluzione dei beni in trust
erano suscettibili di assumere rilevanza – ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle
donazioni – non nei confronti del trustee, ma in capo ai beneficiari, e ciò al momento
del successivo e definitivo trasferimento del trust fund ai beneficiari medesimi.
Si potrebbe pensare, di primo acchito, che il problema in oggetto sia stato risolto in
radice dalla Legge 18 ottobre 2001, n. 383, il cui “Capo VI” è intitolato “Soppressione
dell’imposta sulle successioni e donazioni”, ma in realtà non è così.
Questi recenti (e radicali) interventi di modifica hanno sicuramente portato chiarezza
con riferimento agli atti mortis causa, essendo stato eliminato in radice il tributo
successorio (di talchè può ben dirsi che in virtù di tale abrogazione non danno luogo a
imposizione diretta detti trusts, indipendentemente dal luogo di residenza del de cuius
e/o dei beneficiaries, nonché della localizzazione dei beni relitti) ma non hanno fatto
altrettanto – e, anzi, hanno creato confusione e ambiguità – relativamente agli atti
liberali inter vivos. In particolare, l’art. 13, comma 1, della L. n. 383/2001 sancisce che
“L’imposta sulle successioni e donazioni è soppressa”, ma se appena si volge lo
sguardo alle altre disposizioni del medesimo provvedimento emerge immediatamente
che la “imposta sulle successioni” è stata effettivamente e definitivamente abrogata,
mentre la “imposta sulle donazioni” continua a persistere – con un particolare
meccanismo di rinvio ai tributi indiretti applicabili agli atti a titolo oneroso – nel caso di
“donazioni” e “liberalità” effettuate a favore di soggetti estranei all’ambito familiare e
aventi una consistenza patrimoniale significativa. Inoltre, alla soppressione – testé
indicata – non si è accompagnata l’abrogazione espressa del testo unico dell’imposta
sulle successioni e donazioni (D. Lgs. n. 346/90, così come da ultimo modificato dalla
citata L. n. 342/2000), con la conseguenza che molte parti di questo corpus normativo
sono o, comunque, possono essere reputate ancora vigenti o perché richiamate in modo
esplicito o perché rilevanti implicitamente.
Tutto ciò non rende certo agevole l’applicazione del tributo – e, in primis, le valutazioni
in ordine alla sussumibilità delle fattispecie concrete nel suo ambito operativo – stante
la confusione, i dubbi interpretativi e i problemi di coordinamento generati dalla tecnica
normativa utilizzata.
Ai fini che ci interessano è pertanto più che mai necessario analizzare – sia pur nei
lineamenti generali – l’impianto normativo scaturito dalle ultime modifiche all’imposta
sulle donazioni, onde delineare la nuova fisionomia del tributo, le caratteristiche che lo
connotano, i punti fermi e le questioni dubbie che sono suscettibili astrattamente e/o
concretamente di incidere sul regime fiscale applicabile ai trasferimenti – oggetto di
disamina – relativi ai beni da costituire in trust.
3.3.1. Come già anticipato, nonostante la soppressione sancita dal comma 1 del citato
art. 13, la “imposta sulle donazioni” continua ad esercitare il suo dominio applicativo
nei confronti di una serie di “donazioni” e “altre liberalità tra vivi” che si “qualificano”
in modo particolare e specifico sotto il duplice profilo “qualitativo” (soggetti beneficiari
della liberalità) e “quantitativo” (valore dei trasferimenti a titolo liberale).
Il tributo – nella sua nuova fisionomia – non trova applicazione nel caso di “liberalità”
(d’ora in avanti, si userà questa espressione sintetica e generale per indicare entrambe le
fattispecie testé considerate) effettuate a favore di “familiari”, locuzione, questa,
riferibile e riferita – in base alle indicazioni risultanti dalla norma – al coniuge, ai
parenti in linea retta (i.e. discendenti e ascendenti) e agli altri parenti (da intendersi, in
linea collaterale) fino al quarto grado. L’imposta sulle donazioni, invece, esplica
pienamente le sue funzioni nel caso di “liberalità” effettuate nei confronti di “soggetti
diversi” dai “familiari”, le quali saranno assoggettate a prelievo: e non poteva essere
diversamente, dal momento che l’esclusione anche dei “soggetti diversi” dai familiari
(e, dunque, l’effettiva e radicale eliminazione dell’imposta sulle donazioni) avrebbe
potuto stimolare il ricorso ad atti simulati di donazione in maschera di concrete cessioni
a titolo oneroso.
Per quanto concerne gli aspetti di carattere sostanziale, l’art. 13, comma 2, fa espresso
rinvio – ai fini della concreta tassazione delle “liberalità” che integrano i presupposti
soggettivi e oggettivi del tributo in commento – “...alle imposte sui trasferimenti
ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso...”.
Il rinvio – nella specie – deve intendersi riferito all’imposta di registro, essendo questa
l’imposta che “ordinariamente” trova applicazione nel caso di trasferimenti a titolo
oneroso di beni e diritti effettuati per atto scritto: si applicherebbe, invece, l’Iva laddove
il donante fosse un “imprenditore” e i beni trasferiti fossero “beni relativi all’impresa”,
fattispecie – questa – che è stata esclusa ai fini della presente disamina. Per le
“liberalità” ancora imponibili, si dovrà fare riferimento – quindi – alla disciplina del
tributo di registro e, in specie, agli articoli della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/86, che
prevedono aliquote differenziate in ragione della specifica “natura” del bene oggetto di
trasferimento, tenendo presente – e lo si ribadisce – che esse (aliquote) si applicheranno
solamente sulla parte del valore della “liberalità” che eccede la “soglia” rilevante. Nel
caso di “liberalità” non imponibili (i.e. a favore di “familiari” ovvero, se a favore di
“soggetti diversi”, al di sotto della soglia rilevante), l’imposizione di registro non
troverà mai applicazione: come è stato chiarito anche dall’Amministrazione finanziaria
(cfr. CIRC. AGENZIA ENTRATE, 18 ottobre 2001, n. 91/E, par. 2.2.), in siffatta evenienza
il tributo de quo non è dovuto neanche “in misura fissa” e, dunque, la registrazione
dell’atto di liberalità sarà gratuita.
3.3.2. Fin qui le certezze e i punti fermi dell’attuale imposta sulle donazioni, così come
modificata dalla novella suddetta, che consentiranno – nel prosieguo dell’analisi – di
esprimersi con sicurezza su alcune delle vicende traslative concernenti il trust.
Non mancano, tuttavia, ambiguità e questioni dubbie – nella morfologia del nuovo
tributo – che sono suscettibili di incidere sulla disciplina concretamente applicabile agli
atti traslativi nell’ambito del trust (per una panoramica, si veda CONSIGLIO NAZIONALE
DEL NOTARIATO, est. U. Friedmann – G. Petrelli, Il nuovo regime impositivo delle
successioni e delle donazioni e liberalità tra vivi, in Il fisco, 2001, p. 13981) ed è
proprio su queste ultime questioni che si focalizzerà l’attenzione.
Non è chiara – innanzitutto – la sorte toccata alle c.d. “liberalità indirette” a seguito
della riforma del tributo successorio ed è in particolare discusso se esse siano o meno
sopravvissute a tale riforma1.
E’ ambigua – in secondo luogo – la disciplina dei “criteri di territorialità” operanti per la
nuova imposta sulle donazioni2.
Con riferimento alle problematiche segnalate – che saranno chiarite in occasione della
disamina dei riflessi fiscali immediati (dal settlor al trustee) e/o successivi (dal trustee
ai beneficiari) dei trasferimenti dei beni facenti parte del trust fund – è possibile
individuare, nella prospettiva della tassabilità dei c.d. “negozi dispositivi”, diverse
“opzioni” in ragione delle differenti soluzioni che si pongono relativamente alle
suddette problematiche.
Ed a tali diverse “opzioni” si riconnettono, a propria volta, differenti “moduli
ricostruttivi” in base ai quali è possibile apprezzare diversamente le vicende traslative
legate ai beni costituiti in trust e individuare altrettanto diverse regole di disciplina
delle vicende ai fini delle imposte indirette.
La prima opzione si pone, evidentemente, con riferimento alla problematica delle
“liberalità indirette” formalizzate in atti scritti.
E’ possibile alternativamente sostenere che:
(a) esse non siano “sopravvissute” alle modifiche intervenute al tributo successorio;
(b) esse continuino ad essere ricomprese nella sfera applicativa dell’imposta sulle
donazioni.
La seconda opzione s’innesta sulla soluzione sub (b) – ossia la persistenza delle
“liberalità indirette” formalizzate anche nel corpus normativo risultante dalle modifiche
– e si pone con riguardo ai “criteri di territorialità” della nuova imposta sulle donazioni.
In merito, è possibile alternativamente sostenere che:
(b1) i criteri di territorialità rilevanti sono solamente quelli dell’imposta di registro;
(b2) i criteri di territorialità sono quelli dell’imposta di registro, integrati dall’ulteriore
criterio della residenza in Italia del beneficiario di liberalità effettuate all’estero,
che dunque si assume “sopravvissuto” agli interventi di modifica.
Sulla scorta di quanto rilevato in precedenza è certo che le “liberalità indirette” effettuate in assenza di un atto
scritto siano sempre, e comunque, estranee alla sfera operativa dell’imposta in esame, tanto più se si considera
ulteriormente che nessun riferimento di senso contrario e/o nessuna “clausola di salvaguardia” è rinvenibile nella
nuova disciplina. Con riguardo – invece – alle “liberalità indirette” formalizzate in un atto scritto, le perplessità si
riconnettono al fatto che – a differenza di quanto è accaduto per altri aspetti della disciplina (base imponibile,
agevolazioni, ecc.) – le disposizioni della previgente normativa ad esse relative (comma 4-bis dell’art. 1 e art. 56-bis
del D. Lgs. 346/90) non sono state espressamente “fatte salve”, circostanza – questa – da cui se ne potrebbe inferire
l’abrogazione per effetto della disposizione di cui all’art. 13, comma 1, della L. n. 383/2001. Tale conclusione
peraltro non ha trovato concorde la dottrina. Si è sostenuto infatti che le “liberalità” di cui si tratta ben potrebbero
rientrare “implicitamente” nella sfera applicativa del nuovo tributo, se – e nella misura in cui – rispettino i
presupposti e le logiche del nuovo schema d’imposizione, cui va ad aggiungersi l’ulteriore considerazione di carattere
formale dell’esplicita menzione nell’art. 17, comma 2, della citata legge, che proroga il termine di registrazione
volontaria delle “...liberalità indirette e delle donazioni fatte all’estero a favore di residenti...”.
1
Per effetto della soppressione del tributo in esame, e coerentemente con il rinvio operato dall’art. 13, i criteri di
territorialità dovrebbero solamente essere quelli dettati in materia d’imposta di registro (o, nella fattispecie qui non
esaminata, per l’Iva), che si fondano sulla formazione in Italia dell’atto soggetto a registrazione e – in limitate e
tassative ipotesi – sulla localizzazione nel territorio dello Stato italiano dei beni oggetto di trasferimento (immobili e
aziende). Questa conclusione, per quanto coerente, è in concreto ostacolata dal richiamo – da parte dell’art. 17,
comma 2, dianzi citato – delle liberalità “...fatte all’estero a favore di residenti...”, che fa sorgere il dubbio circa la
“sopravvivenza” anche del terzo criterio operante nella previgente normativa, e cioè la residenza del beneficiario, il
quale (criterio) – se effettivamente operante – andrebbe conseguentemente ad “integrare” i due già contemplati dalla
legge di registro.
2
La scelta dell’una piuttosto che dell’altra opzione – la quale, si ripete, presuppone la
persistenza della “liberalità indirette” formalizzate e opera nell’ambito del “modulo
unitario” di ricostruzione delle vicende negoziali del trust – determina dei mutamenti
concreti nelle regole tributarie applicabili, ma ciò pur sempre nell’ambito dell’imposta
di donazione che è suscettibile di operare nell’ipotesi considerata.
Sulla base delle variabili individuate, si esploreranno – di seguito – due soluzioni
interpretative alla problematica delle imposte indirette applicabili alle vicende negoziali
dei beni costituiti in trust.
Si anticipa fin da subito che la soluzione maggiormente cautelativa appare la seconda
appresso sviluppata (sottoparagrafo 3.3.3.), che è quella postulante la persistenza delle
“liberalità indirette” formalizzate e il conseguente apprezzamento “unitario” delle
vicende traslative riguardanti i beni costituiti in trust, nella sua seconda variante che
prevede l’integrazione dei diversi “criteri di territorialità”.
Essa peraltro non dovrebbe sostanzialmente comportare un prelievo complessivo più
gravoso di quello che si avrebbe nel caso in cui si sposassero le altre ipotesi analizzate e
ciò anche in ragione (salvo qualche particolare accorgimento che sarà indicato in
seguito) della tipologia di beni da costituire in trust.
3.3.3. La prima soluzione alla problematica in esame si fonda sull’assunzione secondo
cui le “liberalità indirette” formalizzate sarebbero stata espunte dal corpus normativo
dell’attuale tributo sulle donazioni.
L’irrilevanza delle “liberalità indirette” impone di fare riferimento, come già anticipato,
ad un “modello atomistico” di ricostruzione delle vicende successive al “negozio
istitutivo” del trust: non essendo possibile ricollegare giuridicamente i “negozi
dispositivi” che permettono – con un passaggio duplice (dal settlor al trustee e da
quest’ultimo ai beneficiaries) – la realizzazione del risultato finale dell’arricchimento
dei beneficiari, così come voluto dal “disponente”, i singoli atti di attuazione del
programma negoziale del trust devono essere giocoforza apprezzati in considerazione
della propria autonoma portata.
In questa fase, ciò implica – nella prospettiva fiscale dell’individuazione della species di
prelievo indiretto applicabile – una valutazione autonoma e isolata dei trasferimenti di
beni effettuati dal settlor al trustee successivamente alla costituzione del trust, senza
tener conto dell’unitario disegno tratteggiato dallo stesso settlor nell’atto istitutivo del
trust
Se così è, anche il presupposto dell’attuale imposta sulle donazioni può ritenersi
integrato solamente quando sussistano entrambe gli elementi che connotano il relativo
concetto di “liberalità”: ma questa condizione non è verificata nell’ipotesi del
trasferimento di beni effettuato dal settlor a favore del trustee.
Ciò appare evidente se si considera che, nella fattispecie in esame, il “disponente” non è
certo animano da (né il relativo “negozio dispositivo” manifesta) alcuno spirito di
liberalità nei confronti del trustee: il trasferimento dei beni è preordinato, infatti, al
raggiungimento di uno scopo determinato ed al soddisfacimento degli interessi propri
del settlor risultanti dal “negozio costitutivo”. Per altro verso, poi, il destinatario del
predetto trasferimento – e cioè il trustee – non ottiene alcun sostanziale arricchimento
personale e non realizza alcun accrescimento definitivo della sfera patrimoniale sua
propria: i beni devoluti in trust sono oggetto di “separazione” nell’ambito del suo
patrimonio e, in adempimento delle proprie funzioni, dovranno essere devoluti dal
medesimo trustee a favore dei beneficiari. Da ultimo, si consideri che la locupletazione
non si verifica – in questo specifico momento – neanche in capo ai beneficiaries: ciò è
particolarmente evidente, e inconfutabile, nel caso di trust discrezionale ove i
beneficiari sono titolari di una posizione di “mera aspettativa” e otterranno un effettivo
incremento del proprio patrimonio solamente quando (all’atto della cessazione del trust
ovvero al verificarsi degli eventi previsti dal “disponente”) il trust fund sarà distribuito
dal trustee e sempreché quest’ultimo li prenda in considerazione quali soggetti
destinatari delle attribuzioni.
Alla luce di tali considerazioni, è giocoforza concludere nel senso della inapplicabilità
dell’imposta sulle donazioni ai trasferimenti realizzati a favore del trustee, con
conseguente applicazione dell’imposta registro ove se ne ravvisino le condizioni.
Ciò chiarito, vediamo in che misura si attua il prelievo di registro per i potenziali beni
(denaro, titoli e immobili) da devolvere in trust, tenendo presente che – essendosi al di
fuori delle “liberalità” – l’imposta di registro sarà applicata secondo le regole sue
proprie, le quali non prevedono – a differenza del tributo sulle donazioni – alcuna
“franchigia” di sorta.
In estrema sintesi, si evidenzia che i “negozi dispositivi” sconteranno un prelievo
diverso in ragione della specifica tipologia dei beni trasferiti e, in via residuale,
l’aliquota prevista dall’art. 9 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986.
Tenendo conto dei “criteri di territorialità” del tributo de quo, i singoli beni saranno
considerati separatamente – ma per categoria omogenea – secondo la seguente
distinzione:
(A) DISPONIBILITÀ LIQUIDE DEPOSITATE PRESSO BANCHE LOCALIZZATE IN ITALIA
OVVERO ALL’ESTERO:
(A1) atto formato in Italia: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento
del tributo nella misura del 3 per cento (art. 2 della Tariffa, parte prima);
(A2) atto formato all’estero: obbligo di registrazione “in caso d’uso” e, nella
specifica evenienza, pagamento del tributo nella misura del 3 per cento (art.
11 della Tariffa, parte seconda);
Come già anticipato, l’oneroso prelievo che grava sugli atti aventi ad oggetto
il trasferimento di denaro può essere evitato, stante la natura di “imposta
d’atto” del tributo di registro, mediante la realizzazione di un trasferimento
“non formalizzato”, che – nella specie – potrebbe ad esempio realizzarsi
mediante un mero “bonifico bancario” dal conto corrente del settlor a quello
del trustee, con indicazione della causale che si tratta di trasferimento in
esecuzione del programma enunciato nell’atto istitutivo del trust.
(B) AZIONI (E QUOTE DI PARTECIPAZIONE), OBBLIGAZIONI E ALTRI TITOLI IN SERIE O DI
MASSA DEPOSITATI PRESSO BANCHE LOCALIZZATE IN ITALIA OVVERO ALL’ESTERO:
(B1) atto formato in Italia: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento
del tributo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (art. 11 della Tariffa, parte
prima);
(B2) atto formato all’estero: obbligo di registrazione “in caso d’uso” e, nella
specifica evenienza, pagamento del tributo nella “misura fissa” di Euro
168,00 (art. 11 della Tariffa, parte seconda).
(C) BENI IMMOBILI LOCALIZZATI IN ITALIA OVVERO ALL’ESTERO:
(C1) atto formato in Italia e bene immobile ubicato in Italia: obbligo di
registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo in misura diversa in
ragione del differente tipo di bene immobile trasferito (art. 1 della Tariffa,
parte prima; tra le ipotesi più significative: fabbricati e relative pertinenze:
7%; terreni agricoli: 15%; immobili di interesse storico et similia: 4%; altri
beni immobili: 8%);
(C2) atto formato in Italia e bene immobile ubicato all’estero: obbligo di
registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo nella “misura fissa” di
Euro 168,00 (art. 1 della Tariffa, parte prima);
(C3) atto formato all’estero e bene immobile ubicato in Italia: obbligo di
registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo in misura diversa in
ragione del differente tipo di immobile trasferito [art. 2 d.P.R. n. 131 e art. 1
della Tariffa, parte prima: si veda il precedente (C1)];
(C4) atto formato all’estero e bene immobile ubicato all’estero: obbligo di
registrazione “in caso d’uso” e, nella specifica evenienza, pagamento del
tributo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (art. 11 della Tariffa, parte
seconda).
Nel caso di immobili localizzati in Italia (a prescindere dal luogo di
formazione dell’atto), l’oneroso prelievo proporzionale non sussisterà nel caso
in cui l’immobile sia conferito in una società estera avente sede nell’Unione
europea e, successivamente, vengano devolute in trust le azioni di questa
società: il conferimento dell’immobile in una “società comunitaria” è
sottoposto a prelievo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (Nota IV all’art. 4
della Tariffa, parte prima) e il successivo trasferimento delle azioni sarà
anch’esso soggetto a prelievo nella “misura fissa” di Euro 168,00 [si vedano
sopra (A1) e (A2)]. Condizione imprescindibile per la realizzazione del
conferimento è che l’immobile non sia “dotato” di una plusvalenza latente
(che, in caso contrario, sarebbe soggetta ad imposizione sui redditi) ovvero
che il medesimo immobile sia posseduto dal “disponente” da più di cinque
anni (nel qual caso, la plusvalenza – se esiste – non è imponibile ai sensi
dell’art. 67, comma 1, lett. b), del t.u.i.r.).
In entrambi i casi, e cioè a prescindere dal fatto che il bene immobile sia
trasferito al trustee direttamente o indirettamente (mediante il trasferimento
delle azioni della “società comunitaria”), saranno altresì dovute le imposte
ipotecaria e catastale nella misura, rispettivamente, del 2% e dell’1% del
valore dei beni (nel caso di utilizzo del veicolo societario, queste ultime
imposte saranno prelevate all’atto del conferimento dell’immobile).
3.3.4. Il ricorso al modello “atomistico” descritto nel paragrafo che precede e che
presuppone l’autonomia funzionale dell’atto di conferimento in trust e della successiva
erogazione del trust fund ai beneficiaries potrebbe essere (non arbitrariamente)
contestato da chi valorizzasse il fatto che, se il nuovo impianto normativo sulle
donazioni, risultante dalle ultime modifiche, annovera anche le “liberalità indirette”
formalizzate in atti scritti fra le fattispecie astrattamente tassabili, diviene allora
possibile fare riferimento ad un “modello unitario” di ricostruzione delle vicende
negoziali successive all’atto istitutivo del trust. La categoria giuridica in esame, infatti,
permette di ricollegare strumentalmente i vari negozi traslativi che consentono di
raggiungere il risultato dell’arricchimento dei beneficiari e, dunque, di apprezzarli
unitariamente nella prospettiva dell’individuazione del tributo indiretto applicabile in
concreto.
Si assume che le “liberalità indirette” rilevano ancora nel sistema riformato, si tratta di
verificare se il trasferimento effettuato dal settlor ne possiede le caratteristiche, già
individuate in precedenza, costituite dal profilo soggettivo dell’animus donandi del
“disponente” e da quello oggettivo del c.d. “arricchimento del patrimonio” del
“beneficiario” dell’atto liberale.
Le condizioni de quibus – con le precisazioni che saranno effettuate al momento
opportuno – sussistono entrambe se le vicende negoziali relative al trust si apprezzano e
si valutano unitariamente – e cioè in modo collegato e complessivo, secondo il disegno
proprio voluto dal settlor ed espresso nell’atto istitutivo del trust – con la rilevante
conseguenza che il trust con attribuzione dei beni ai beneficiari finali risulta pienamente
riconducibile nella sfera delle “liberalità indirette” e, per tale via, assoggettabile
all’imposta sulle donazioni. E’ indubbio che – nel porre in essere i “negozi dispositivi”
di attuazione del programma risultate dall’atto istitutivo – il settlor sia animato da uno
spirito di liberalità rivolto non al trustee, ma ai beneficiari finali, come
inequivocabilmente risulta dal “negozio istitutivo”: lo spirito liberale – che è estraneo ai
singoli atti traslativi del patrimonio considerati isolatamente – si palesa nella
considerazione d’insieme dei medesimi atti e, in concreto, anima l’intero programma
negoziale del trust. Sotto il secondo profilo, si evidenzia come – all’atto della
destinazione finale del trust fund – i beneficiari realizzino un “accrescimento definitivo”
della propria sfera patrimoniale, realizzando quella condizione che in capo al trustee era
impedita dalla “segregazione” dei beni costituiti in trust.
Ai fini del prelievo del tributo successorio, è importante evidenziare che, se il primo
profilo, testé evidenziato, è già apprezzabile con la conclusione del “negozio istitutivo”,
non altrettanto può dirsi per il secondo: l’arricchimento dei beneficiari si realizza,
infatti, solo all’atto del successivo trasferimento dei beni dal trustee ai beneficiari al
termine del trust.
Ciò pone il problema di quale sia il momento in cui l’imposta sulle donazioni debba
trovare applicazione.
Dal punto di vista civilistico, e in via generale, le “liberalità indirette” si considerano
perfezionate già al momento della stipulazione del contratto: ma questa conclusione non
può essere importata in ambito tributario. L’art. 13, comma 2, più volte citato, fa
puntuale riferimento ai “...trasferimenti di beni e diritti...” per atto liberale, mostrando
di ritenere indefettibile – ai fini dell’integrazione del presupposto del tributo sulle
donazioni – il materiale, effettivo e definitivo arricchimento dei beneficiari, in
mancanza o in attesa del quale l’imposta non potrà essere prelevata. Con specifico
riferimento alle vicende negoziali del trust, ciò implica che –se è vero che la “liberalità
indiretta” si perfeziona già con l’iniziale “negozio dispositivo” – il tributo, in concreto,
potrà essere prelevato solamente con l’atto finale di trasferimento del patrimonio dal
trustee ai beneficiari: ciò è più che mai coerente e razionale anche ai sensi dell’art. 53
della Cost., poiché è solo al momento della devoluzione finale dei trust fund che i
beneficiari – i quali, si rammenta, nell’ipotesi di trust discrezionale in esame non hanno
alcun “diritto” di acquisire il suddetto patrimonio, versando in una posizione di “mera
aspettativa” – manifestano una capacità contributiva che possa dirsi “effettiva” ed
“attuale” nella prospettiva della assunzione della veste di soggetti passivi dell’imposta.
Sulla scorta di quanto precede, è evidente che si ha un vero e proprio gap temporale fra
la formalizzazione della “liberalità indiretta” in un atto soggetto a registrazione (che si
realizza con la conclusione del “negozio dispositivo”) e la nascita dell’obbligazione di
pagamento del tributo sulle donazioni (che si realizza con l’atto di trasferimento ai
beneficiari del trust).
Come conseguenza immediata e sostanziale di questa ricostruzione, all’atto della
formalizzazione dei trasferimenti iniziali dal settlor al trustee (primo passaggio di
ricchezza) l’imposta sulle donazioni non dovrebbe trovare applicazione, essendo
presupposta l’esistenza di una “liberalità indiretta”, con assoggettamento dell’atto
medesimo ad imposizione di registro: in particolare, se redatto per atto pubblico o
scrittura privata autenticata, com’è verosimile, l’atto dovrebbe essere registrato “in
termine fisso” e scontare il prelievo di registro nella “misura fissa” di 168,00 Euro (art.
11 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986). Nella prospettiva
considerata, il tributo sulle donazioni sarà prelevato all’atto della formalizzazione del
trasferimento finale dal trustee ai beneficiaries, secondo le regole che saranno illustrate
in appresso, sempreché i beneficiari finali non rientrino nell’ambito “familiare” ovvero
l’ammontare dei trasferimenti non risulti inferiore alla “soglia di rilevanza”: in queste
due ipotesi, infatti, l’imposta sulle donazioni non sarà dovuta.
A queste conclusioni si perviene per via interpretativa, mancando – nell’attuale sistema
d’imposizione sulle donazioni, così come nel precedente – una norma espressa deputata
specificamente a comporre lo iato esistente fra i due momenti in cui si manifestano gli
atti che compongono la “liberalità indiretta”. Stante il rinvio all’imposta di registro,
operato dalla normativa sulle donazioni, un supporto alla soluzione individuata potrebbe
derivare dall’applicazione dell’art. 27 del d.P.R. n. 131/1986, la cui fattispecie regolata
(“atti sottoposti a condizione sospensiva”) palesa una ratio che è sostanzialmente
analoga a quella della fattispecie non regolata in esame: il risultato dell’applicazione di
questa disposizione sarebbe il medesimo di quello cui si è pervenuti in precedenza.
Nel caso di specie, la questione in esame assume precipua importanza per il
trasferimento degli immobili localizzati in Italia, che sono previsti fra i potenziali beni
oggetto di devoluzione in trust. E ciò perché costituiscono l’unica categoria di beni (con
esclusione del denaro, per il quale, tuttavia, il problema è presto risolto mediante la
realizzazione di un trasferimento non formalizzato) che è soggetta ad imposizione di
registro in “misura proporzionale”, anziché nella “misura fissa” (si veda il paragrafo
3.3.3.): con la soluzione proposta, la tassazione proporzionale teoricamente applicabile
all’atto del trasferimento iniziale dell’immobile sarà rinviata al momento del
trasferimento dal trustee ai beneficiari, con il vantaggio che – se i beneficiari finali del
trust sono (com’è verosimile) dei “familiari” del disponente ovvero – nel caso di
“soggetti diversi – l’ammontare della liberalità è inferiore alla “soglia rilevante” –
l’imposta sulle donazioni (con le aliquote proporzionali del registro) non troverà mai
applicazione.
La questione perde ogni rilevanza, invece, nel caso in cui – come indicato nel
precedente paragrafo 3.3.3. – si dovesse procedere, in concreto, alla “cartolarizzazione”
dell’immobile localizzato in Italia mediante il suo conferimento in una “società
comunitaria”.
4. (Segue). Il trattamento fiscale in Italia dei “redditi di capitale”, dei “redditi
fondiari” e dei “redditi diversi” derivanti dai beni (denaro, titoli e beni immobili)
costituiti in trust.
Qualora il trustee sia un soggetto non residente, nell’ordinamento tributario italiano
l’imposizione dei redditi da questi percepiti è informata al “principio di territorialità”, in
forza del quale le imposte sui redditi si applicano solamente ai redditi che, secondo i
criteri stabiliti dalla legge, si considerano prodotti nel territorio dello Stato.
Ciò posto in via generale, si precisa che la disamina effettuata in questo paragrafo avrà
specificamente ad oggetto il regime fiscale – dalla punto di vista italiano – dei redditi
finanziari percepiti dal trustee e prodotti dal patrimonio costituito in trust: essa, in
particolare, sarà condotta separatamente per i “redditi di capitali” (paragrafo 4.1.), i
“redditi fondiari (paragrafo 4.2.) ed i “redditi diversi” (paragrafo 4.3).
All’interno di ciascuna categoria di reddito, si distinguerà – ove risulti rilevante – a
seconda che il cespite produttivo del reddito debba considerarsi esistente nel territorio
dello Stato italiano ovvero al di fuori di esso. Inoltre, stante il carattere generale del
presente studio, si darà conto degli eventuali diversi regimi fiscali applicabili in ragione
del fatto che il soggetto estero (nella specie, il trustee) abbia la residenza o meno in un
Paese “a regime fiscale privilegiato”.
Si assumerà, ai fini dell’analisi, che il trustee non abbia in Italia una stabile
organizzazione e che esso sia comunque residente in un Paese estero che non ha
stipulato con l’Italia una Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni.
4.1. La prima categoria da analizzare è quella dei “REDDITI DI CAPITALE”.
Per i proventi e i redditi che rientrano questa categoria (ex art. 44 del t.u.i.r.) il criterio di
collegamento con il territorio dello Stato italiano è dato dalla residenza del soggetto
erogante (c.d. “criterio del pagatore”): essi (redditi) si considerano prodotti nel territorio
dello Stato quando sono corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello
Stato ovvero da stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti [art. 23, comma
1, lett. b), del t.u.i.r.].
E’ opportuno evidenziare, in linea generale, che – in virtù del principio di territorialità
appena enunciato – la circostanza che il titolo sia detenuto presso una banca localizzata
in Italia ovvero all’estero non incide sulla soggezione o meno ad imposta del relativo
reddito: il “criterio guida”, in ordine alla imponibilità/non imponibilità, è sempre il
luogo di residenza del soggetto che eroga il reddito. Ne deriva che saranno in linea di
principio imponibili i proventi derivanti da titoli che sono stati emessi da società ed enti
“residenti” nel territorio dello Stato, e ciò sia nel caso in cui siano detenuti presso banca
localizzata in Italia sia nel caso in cui siano detenuti presso banca localizzata all’estero.
4.2. La seconda categoria da analizzare è quella dei “REDDITI FONDIARI”.
Rientrano in questa categoria i redditi derivanti da immobili, terreni e fabbricati situati
nel territorio dello Stato e iscritti in catasto. Il criterio di collegamento – che determina
l’imponibilità in Italia – è dato, infatti, dalla localizzazione del cespite patrimoniale nel
territorio dello Stato (locus rei sitae) e, dunque, si considerano prodotti in Italia i redditi
derivanti da terreni e fabbricati quivi situati (artt. 23 e 25 del t.u.i.r.).
Per questi redditi, i soggetti non residenti sono sottoposti a tassazione in regime di
dichiarazione. I redditi fondiari saranno determinati in base alla rendita catastale o, ma
questo vale solo per i fabbricati – in misura pari al canone di locazione, ridotto del 15
per cento a titolo di spese forfetarie, sempreché tale canone sia superiore alla rendita
catastale.
Sulla scorta di quanto precede, è chiaro che i redditi ottenuti da un soggetto non
residente in Italia da immobili localizzati all’estero non saranno imponibili in Italia per
carenza del requisito della territorialità.
Una precisazione finale.
E’ stato già evidenziato che l’oneroso prelievo proporzionale di registro applicabile in
occasione del trasferimento di immobili localizzati in Italia non sussisterà qualora
l’immobile sia conferito in una società estera avente sede nell’Unione europea e,
successivamente, vengano devolute in trust le azioni di questa società.
La realizzazione di una siffatta operazione di “cartolarizzazione” dell’immobile non
determina particolari problemi sotto il profilo dell’imposizione dei “redditi fondiari”:
nel caso di trasferimento diretto, è il trustee non residente – divenuto titolare della fonte
– che dovrà presentare la dichiarazione in Italia per i redditi fondiari prodotti
dall’immobili; nel caso di trasferimento indiretto – mediante la devoluzione in trust
delle azioni della società immobiliare comunitaria – sarà la predetta società obbligata a
presentare la dichiarazione e a pagare le imposte sui redditi. L’unica cosa aspetto
veramente rilevante – che bisogna valutare – è quello relativo alle eventuali plusvalenze
latenti: onde evitarne l’emersione, è opportuno sincerarsi che il valore di mercato
dell’immobile (eventualmente determinato da una perizia) coincida con il valore
fiscalmente riconosciuto ovvero che l’immobile sia posseduto da più di cinque anni (nel
qual caso la plusvalenza non sarà imponibile).
4.3. La terza categoria da analizzare è quella dei “REDDITI DIVERSI”.
Fra i redditi rientranti in questa categoria residuale, e di chiusura, si prenderanno
specificamente in considerazione quelli derivanti da immobili e attività finanziarie (in
senso lato), essendo questi i cespiti che sono destinati ad essere devoluti in trust.
Il criterio di collegamento che determina, in linea di principio, l’imponibilità in Italia di
questi redditi è costituito dalla localizzazione sul territorio dello Stato del cespite che li
produce, nel senso che – se il bene si trova in Italia – il relativo reddito sarà quivi
tassabile [art. 23, comma 1, lett. f), del t.u.i.r.].
Se il riferimento a questo criterio consente di risolvere agevolmente la questione della
territorialità dei redditi derivanti dalle cessioni immobiliari, lo stesso non può dirsi per
quelli derivanti da attività di tipo finanziario, in ordine alle quali operano ulteriori
criteri, esenzioni, ecc., la cui applicazione da luogo ad una disciplina complessa.
(I) BENI IMMOBILI
Se l’immobile si trova nel territorio italiano, i soggetti non residenti saranno sottoposti a
tassazione, in regime di dichiarazione, allorché l’immobile genererà i seguenti redditi:
(I1) plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di
opere intese a renderli edificabili e le successiva vendita, anche parziale, dei
terreni e degli edifici [art. 67, comma 1, lett. a), del t.u.i.r.];
(I2) plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di beni immobili
acquistati o costruiti da non più di cinque anni [art. 67, comma 1, lett. b), del
t.u.i.r.]
(I3) plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni
suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti
al momento della cessione [art. 67, comma 1, lett. b), seconda parte, del
t.u.i.r.].
Preme rimarcare, per mero scrupolo, che gli immobili acquistati o posseduti da
più di cinque anni non genereranno plusvalenze imponibili nel caso di cessione
a titolo oneroso (o conferimento in società), ciò in collegamento con l’ipotesi
prospettata alla lettera (C) del paragrafo 3.3.3. e discussa anche al paragrafo
4.2. per i possibili profili di rilevanza in tema di redditi fondiari.
(L) ATTIVITÀ FINANZIARIE
Come anticipato all’inizio, il criterio di collegamento stabilito in via principale dalla
legge per i redditi diversi è dato dalla localizzazione del bene oggetto di
trasferimento.
Questo criterio è integrato da una “presunzione assoluta”, basata sul luogo di
residenza della società emittente i titoli partecipativi, in forza della quale le
partecipazioni sociali (di qualsivoglia natura, ivi comprese le azioni) relative a
società italiane si presumono circolanti in Italia a prescindere dal luogo ove
effettivamente si trovino: in conseguenza di ciò, in linea di principio, la plusvalenza
sarà sempre e comunque tassabile in Italia ovunque essa si trovi o sia detenuta.
Operano, poi, sia particolari “esclusioni del collegamento” con il territorio italiano
che “esenzioni sui redditi”, in relazione alle diverse fattispecie dalla cui analisi
peraltro, date le caratteristiche del presente lavoro, riteniamo opportuno prescindere.
E’ opportuno tuttavia effettuare al riguardo una considerazione di carattere generale
sui redditi diversi testé considerati e in particolare in merito alla disciplina
antielusione che è stata posta dall’art. 16, comma 1, della L. n. 383/2001.
In forza di tale disposizione, ogniqualvolta il soggetto destinatario di un
trasferimento liberale di valori mobiliari, ovvero un suo successivo avente causa,
dovesse cedere la partecipazione sociale – ricevuta per effetto dell’atto liberale –
entro i cinque anni successivi dalla conclusione dell’atto medesimo, il donatario
sarà obbligato al pagamento dell’imposta sostitutiva sui redditi – a suo tempo non
pagata per il meccanismo della neutralità fiscale – come se l’atto liberale non vi
fosse mai stato: in definitiva, la rivendita infraquinquennale della partecipazione
sociale consentirà all’Amministrazione finanziaria di disconoscere i vantaggi fiscali
ottenuti mediante la liberalità effettuata in origine.
5. L’attribuzione dal trustee ai beneficiari dei redditi e/o del patrimonio costituito in
trust.
In esecuzione degli obblighi previsti a suo carico, e conformemente alle disposizioni
contenute nel “negozio istitutivo” del trust, il trustee provvederà all’effettuazione di
attribuzioni patrimoniali a favore dei beneficiari sia in costanza che al termine del trust.
I trasferimenti de quibus possono avere ad oggetto le utilità ritratte dal trust fund e/o –
all’atto della cessazione del trust ovvero al verificarsi degli eventi previsti dal
“disponente” – i medesimi cespiti patrimoniali costituenti il trust fund e, di volta in
volta, potranno essere effettuati sia in denaro che mediante la consegna di beni in
natura: la caratteristica costante è comunque l’assenza di una richiesta di un qualsivoglia
corrispettivo ai soggetti che ne sono istituzionalmente destinatari, senza con ciò voler
assumere posizioni preconcette in ordine alla loro natura.
La disamina delle implicazioni fiscali connesse a siffatte attribuzioni patrimoniali deve
essere preceduta da talune puntualizzazioni che paiono opportune.
Innanzitutto, l’origine e la natura delle somme o dei beni che formano oggetto di
attribuzione non pare che siano suscettibili di assumere soverchia rilevanza in una
fattispecie – come quella in esame (trust discrezionale e irrevocabile) – ove il trustee ha
piena titolarità dei beni formanti il trust fund e, di riflesso, il legittimo “possesso dei
redditi” che da tali beni derivano.
Una volta percepiti dal trustee, i redditi ritratti dal trust fund si “patrimonializzeranno” e
assumeranno la stessa “natura” dello stock che ne costituisce la fonte, alla stessa stregua
di quanto accade – ad esempio – allorquando una persona fisica residente in Italia
incassi dei “redditi di capitale” e, un momento dopo, li trasferisca sic et simpliciter – e
per qualsivoglia ragione – ad un proprio familiare. Nelle ipotesi considerate, le
attribuzioni economiche devono essere apprezzate e valutate in modo isolato, a
prescindere dalla loro originaria natura di reddito, indagando – questo sì – il titolo
giuridico in forza del quale si realizza il trasferimento dal primo soggetto (nel nostro
caso, il trustee) al secondo (nel nostro caso, il beneficiario) e, se del caso, anche le
caratteristiche proprie del trasferimento medesimo. In considerazione di quanto precede,
è dunque irrilevante – ai fini dell’indagine circa la tipologia di imposte, dirette o
indirette, da applicare in occasione delle suddette erogazioni da parte del trustee – il
fatto che le somme o i beni in natura oggetto di distribuzione si configurino alla stregua
di ricchezza prodotta dall’attività gestoria svolta dal trustee ovvero quali elementi
patrimoniali costituenti il trust fund: una volta acquisiti dal trust, il denaro o i beni in
oggetto condividono la medesima natura di elementi patrimoniali; successivamente,
all’atto della loro erogazione da parte del trustee, essi dovranno essere apprezzati
“asetticamente” onde accertare se, in capo ai beneficiari residenti, abbiano natura
reddituale ovvero patrimoniale.
Si evidenzia, in secondo luogo, l’irrilevanza del luogo di destinazione delle erogazioni
in discorso, irrilevanza riconnessa al fatto che – laddove sia accertata la presenza di un
reddito – i tributi de quibus si applicheranno sempre, e comunque, allorquando il
percettore risulti fiscalmente residente in Italia: e ai fini del presente studio si è previsto
che i beneficiari del trust saranno soggettivamente (mediante la residenza fiscale,
appunto) collegati con il territorio dello Stato italiano. Ai fini delle imposte indirette, la
suddetta irrilevanza è riconducibile ai particolari “criteri di territorialità” che accedono
ai tributi medesimi: per l’imposta di registro, il luogo di formazione dell’atto e la
localizzazione in Italia dell’immobile oggetto di trasferimento; per l’imposta sulle
donazioni, i medesimi criteri eventualmente integrati – in presenza di atti formati
all’estero – dal luogo di residenza del beneficiario (ma ciò a condizione che se ne
ammetta la “sopravvivenza” dopo le modifiche recentemente apportate al tributo in
questione), con conseguente assoggettabilità a prelievo delle “attribuzioni economiche”
ovunque destinate.
Seguendo lo schema espositivo già adottato in occasione della disamina dei “negozi
dispositivi” iniziali, la rilevanza fiscale dei “trasferimenti” effettuati dal trustee ai
beneficiari sarà indagata, dapprima, sotto il profilo delle “imposte sui redditi” e,
successivamente, con riguardo alle “imposte indirette”, in stretto collegamento – in
questo secondo caso – ai modelli “atomistico” (paragrafo 3.3.3.) e “unitario” (paragrafo
3.3.4.) ipotizzati all’inizio in sede di analisi delle implicazioni tributarie dei già
menzionati “negozi dispositivi” iniziali.
5.1. La disamina – sotto il profilo delle “imposte sui redditi” attualmente vigenti
nell’ordinamento italiano – delle conseguenze tributarie che si riconnettono ai
trasferimenti effettuati dal trustee, a favore beneficiari residenti, non può che muovere
dalla constatazione dell’assenza – nell’attuale sistema impositivo – di disposizioni
specifiche che regolino la fattispecie in oggetto.
Alla luce di ciò, e per le pregnanti ragioni che saranno ampiamente illustrate di seguito,
si può ritenere che – allo stato attuale – le attribuzioni economiche in esame non siano
assoggettabili a imposte sui redditi in capo ai beneficiari residenti, e ciò per difetto degli
stessi presupposti teorici di applicazione di questa species di tributi: non risulta
integrato l’indefettibile presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, che è
individuato – dall’art. 1 del t.u.i.r. – nel “...possesso di redditi in denaro o in natura
rientranti in una delle categorie indicate nell'art. 6...”.
La mancata integrazione, nel caso di specie, del presupposto applicativo dell’Irpef – e la
conseguente irrilevanza ai fini impositivi delle attribuzioni economiche in esame – è
sostanzialmente ascrivibile all’effetto combinato di “ragioni specifiche” connesse alle
peculiarità proprie del trust in esame e alle caratteristiche oggettive delle attribuzioni de
quibus, e, per altro verso, di “motivi strutturali” legati agli elementi che
morfologicamente connotano il sistema di prelievo sui redditi.
Nei trusts discrezionali, quali sono quelli di cui trattasi, l’atto istitutivo riserva ed
attribuisce specificamente al trustee (eventualmente, con l’assenso vincolante del
protector, ove tale figura sia prevista) ogni determinazione inerente ai trasferimenti in
esame: in sede di valutazione circa l’attribuzione degli elementi del trust fund, il trustee
può legittimamente decidere di ignorare uno o più beneficiari, così come ha la piena
facoltà di stabilire discrezionalmente (ma sempre nel rispetto delle indicazioni dell’atto
istitutivo) il tempo e l’entità delle erogazioni da effettuare ai beneficiari: questi ultimi si
trovano in una posizione che – sotto il profilo giuridico – si può qualificare di “mera
aspettativa”, quand’anche tutelata dal diritto (nel medesimo senso, L. SALVINI, Il
trasferimento degli interessi beneficiari, in AA.VV., Il trust in Italia oggi, a cura di I.
BENEVENTI, op. cit., pp. 348-349). Per altro verso, le attribuzioni ricevute dai beneficiari
non sono riferibili ad alcuna loro “attività”, né a precedenti modificazioni (per l’effetto
dell’impiego) della propria ricchezza originaria, configurandosi oggettivamente alla
stregua di un patrimonio “abbandonato” volontariamente da altri che va ad aggiungersi
al proprio e, dunque, quale mero “incremento di carattere patrimoniale”: in definitiva,
coerentemente con le caratteristiche del trust e la posizione riservatagli all’interno
dell’istituto, il beneficiario non compie alcuno sforzo fisico e/o patrimoniale, non
partecipa in modo attivo, ma si limita a subire l’iniziativa (liberale) altrui ed a prestarvi
(in modo esplicito o per fatti concludenti) la propria adesione.
Queste connotazioni del trust discrezionale e l’oggettiva caratterizzazione delle
attribuzioni nel senso testé considerato fanno sì che gli “incrementi di ricchezza”
conseguiti dai beneficiari – per effetto delle distribuzioni operate dal trustee – non
possano essere ricondotti all’interno di alcuna delle “categorie di reddito” previste
dall’art. 6 del. t.u.i.r., con conseguente impossibilità di tassazione in capo ai beneficiari
medesimi per carenza – appunto – del presupposto dell’Irpef di cui al citato art. 1 del
medesimo t.u.i.r..
Le fattispecie reddituali imponibili – che rientrano nelle categorie indicate nell’art. 6,
testé citato – si contraddistinguono per il fatto di essere il portato dello svolgimento di
una determinata attività da parte del contribuente (che, nella specie, dovrebbe essere il
beneficiario) ovvero di essere il prodotto di qualificati cespiti patrimoniali appartenenti
al contribuente medesimo o, ancora, di essere riconducibili all’interno di ben individuati
incrementi di ricchezza (che non ricomprendono, ad oggi, quelle in esame) non
direttamente collegati ad una specifica fonte produttiva (in merito, e per tutti, cfr. F.
TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, vol. II, Torino, 1999, p. 16):
come evidenziato, le attribuzioni effettuate dal trustee ai beneficiari non presentano
alcuna delle caratterizzazioni appena illustrate e, in conseguenza di ciò, non si prestano
ontologicamente ad essere ricondotte e inquadrate all’interno di alcuna delle fattispecie
astratte contemplate nelle diverse “categorie di reddito”.
In questa prospettiva, generale e di principio, non è pertanto accettabile l’interpretazione
dell’Amministrazione finanziaria (SECIT, Delibera 11 maggio 1998, n. 37 – La
circolazione dei trusts in Italia, cit., p. 11150) secondo cui erogazioni effettuate dal
trustee a favore dei beneficiari potrebbero essere qualificate come “rendita vitalizia” o
“rendita a tempo determinato” e, in conseguenza di ciò, tassate ai sensi dell’art. 44,
comma 1, lett. h), del t.u.i.r.. Si evidenzia, in merito, che nella fattispecie in esame
manca quell’“impiego di capitale” che rappresenta un elemento costitutivo della
fattispecie considerata. L’attribuzione non è un “provento” derivante da un previo
impiego da parte del beneficiario, ma, al più, se impiego di capitale vi è stato, questo
impiego è imputabile al trustee, e non al beneficiario, il quale non ha dunque acquisito
alcun “diritto” alla percezione; correlativamente, ed a conferma, è sempre il trustee che
decide in modo discrezionale “chi”, “quando” e “in che misura” beneficiare con le
attribuzioni patrimoniali, senza alcuna prevista o attuale contropartita.
Si perviene alle medesime conclusioni se si effettua una rapida ricognizione di altre
fattispecie reddituali che, più o meno direttamente, potrebbero essere richiamate nel
caso di specie.
Le attribuzioni non possono essere – di certo – qualificate come “dividendi” ex art. 44,
comma 1, lett. e), del t.u.i.r., se appena si considera che la posizione del beneficiario di
un trust non ha nulla in comune con quelle del socio di una società o di un ente
commerciale e le somme erogate dal trustee sono ontologicamente diverse dagli utili
distribuiti dalle predette società ed enti commerciali. Né la fattispecie in esame si
attaglia ad alcuna delle ipotesi elencate dall’art. 67 del t.u.i.r., che costituiscono “redditi
diversi”, nonostante la “categoria di reddito” in oggetto abbia natura di categoria
residuale e di chiusura del sistema impositivo. Non è possibile neanche costringere le
attribuzioni del trustee all’interno della fattispecie astratta individuata dall’art. 59,
comma 1, lett. i), del t.u.i.r.), come invece ha espressamente ipotizzato il SECIT (cfr.,
sempre, SECIT, Delibera 11 maggio 1998, n. 37 – La circolazione dei trusts in Italia,
cit., p. 11150), che assimila ai redditi di lavoro dipendente “...gli assegni periodici,
comunque denominati, alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né
lavoro...”. Innanzitutto, assume rilievo determinante la circostanza che – nel caso di
specie – le attribuzioni del trustee sono prive del connotato della “periodicità”: e tanto
basterebbe per escludere in radice la possibilità di invocare la fattispecie degli “assegni
periodici”. Ma anche a volere prescindere da questo requisito, si evidenzia che le
attribuzioni de quibus non hanno causa in un pregresso impiego di cespiti patrimoniali
ovvero nel passato svolgimento di un’attività, requisiti – questi – che sono ritenuti
determinanti ai fini della configurabilità in concreto della fattispecie in esame.
Verificata l’oggettiva impossibilità di qualificare gli “incrementi di ricchezza” ottenuti
dai beneficiari alla stregua di “reddito imponibile”, si tratta adesso di testare se i
medesimi arricchimenti possano essere qualificati o meno come “liberalità”, con
conseguente alternativa applicabilità – in caso di risposta, rispettivamente, positiva e
negativa – dell’imposta sulle donazioni o dell’imposta di registro.
5.2. La valutazione della rilevanza – ai fini delle imposte indirette – dei trasferimenti di
beni effettuati dal trustee ai beneficiaries, che caratterizzano la fase finale dell’ideale
“ciclo di vita” del trust, deve essere effettuata in stretto collegamento con le
ricostruzioni delle vicende negoziali del trust che sono state ipotizzate in sede di analisi
del regime d’imposizione indiretta applicabile ai “negozi dispositivi” della fase iniziale.
E ciò perché l’apprezzamento e la valutazione fiscale dei “negozi dispositivi” iniziali
secondo il “modello atomistico” (cfr. paragrafo 3.3.3.) oppure secondo il “modello
unitario” (paragrafo 3.3.4.) è foriera, e non potrebbe essere diversamente, di
conseguenze di non poco momento relativamente alle imposte sui trasferimenti
applicabili agli “atti di destinazione” finali.
5.2.1. In base al c.d. “modello atomistico”, che rammentiamo è fondato sulla presunta
irrilevanza delle “liberalità indirette” nell’attuale sistema d’imposizione sulle donazioni,
i singoli atti di destinazione del trust fund devono essere apprezzati – al pari dei “negozi
dispositivi iniziali – in base alla propria autonoma portata.
Con questi “atti di destinazione”, il trustee realizza la finalità perseguita dal settlor in
fase di costituzione del trust, e cioè arricchire i beneficiari, ma ciò non implica che detti
negozi assumano rilevanza ai fini dell’imposta sulle donazioni: così come ricostruito in
altra sede (paragrafo 3.3.3.), il presupposto del tributo in esame non è (e non può essere)
integrato dalle attribuzioni effettuate dal trustee ai beneficiari.
In particolare, il trustee non è determinato – nell’effettuare le suddette attribuzioni – da
un animus donandi, ossia dalla coscienza e volontà di conferire “liberalmente” ai
beneficiari un vantaggio o arricchimento patrimoniale: al contrario, è costretto a fare
ciò, rappresentando i relativi atti di trasferimento null’altro che l’adempimento di
un’obbligazione previamente assunta nei confronti del settlor. E’ vero che i beneficiari
si arricchiscono senza contrarre alcuna obbligazione o pagare alcun corrispettivo, ma
ciò non è sufficiente a configurare una “liberalità” rilevante ai sensi dell’art. 13, comma
2, della L. n. 383/2001: l’animus donandi è condizione indefettibile ai fini della
configurabilità di una “liberalità” rilevante e, dunque, deve necessariamente coesistere
con la locupletazione per determinare l’applicazione del tributo in esame. Nel caso di
specie, si è in presenza di un vero e proprio “arricchimento senza liberalità” e, dunque,
di “atti gratuiti” ma non liberali, la cui esistenza si giustifica con il fatto che “ogni atto a
titolo di liberalità è atto a titolo gratuito, ossia senza corrispettivo; ma non tutti gli atti a
titolo gratuito sono atti di liberalità”, essendo – gli atti gratuiti – la categoria generale
più ampia. Ciò conferma ulteriormente, se ce ne fosse ancora bisogno, che le
attribuzioni ai beneficiari sono irrilevanti ai fini dell’imposta sulle donazioni: è stata
dimostrata l’estraneità degli “atti gratuiti” ma non liberali rispetto al presupposto
applicativo del tributo sulle donazioni così come delineato dall’art. 1 del previgente D.
Lgs. n. 346/90, il cui contenuto – come già evidenziato – è stato sic et simpliciter
trasfuso, per la parte relativa al prelievo sulle donazioni, nell’attuale art. 13, comma 2,
della L. n. 383/2001.
Anche a questi atti finali di trasferimento dal trustee ai beneficiari non è dunque
applicabile l’imposta sulle donazioni, bensì – ove se ne ravvisino le condizioni – il
tributo di registro.
Essi, in particolare, sconteranno un differente prelievo in Italia in ragione della tipologia
di bene oggetto di trasferimento (denaro, titoli e immobili) secondo la schematizzazione
effettuata al paragrafo 3.3.3., che s’intende mutatis mutandis richiamata anche in questa
sede.
5.2.2 Per effetto del ricorso al c.d. “modello unitario”, che si fonda sulla dimostrata
permanenza delle “liberalità indirette” formalizzate nel vigente sistema di prelievo sulle
donazioni (si veda in merito quanto osservato al paragrafo 3.3.3.), le vicende negoziali
successive all’atto istitutivo del trust possono essere ricostruite in modo coerente con
l’unitario spirito di liberalità che connota il programma negoziale: i vari negozi traslativi
– per quanto temporalmente più o meno lontani – sono ricollegati funzionalmente in
ragione del risultato finale sotteso all’istituzione del trust e, nella loro “unità ideale”,
sono valutabili e valutati sotto il profilo fiscale.
Questa ricostruzione unitaria dei diversi atti di destinazione patrimoniale ha portato a
ravvisare l’esistenza – nei trasferimenti effettuati in esecuzione del programma
negoziale – di una specifica ipotesi di “liberalità indiretta”, come tale assoggettabile al
prelievo sulle donazioni, ma non immediatamente al verificarsi dei “negozi traslativi”,
bensì all’atto della formalizzazione del trasferimento finale del trust fund. E ciò a causa
dello iato esistente, dal punto di vista fiscale, fra i due momenti di realizzazione degli
atti in cui si articola la “liberalità indiretta”.
L’analisi del regime impositivo applicabile alla “liberalità indiretta” – all’atto del
trasferimento finale del trust fund dal trustee ai beneficiari residenti – deve essere
preceduto dalla risoluzione della problematica in merito ai “criteri di territorialità” di
riferimento ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni.
Il vecchio art. 2 del D.Lgs. n. 346/1990, così come successivamente integrato dall’art.
69 della L. n. 342/2000, prevedeva – ai fini dell’assoggettamento al tributo successorio
– tre ipotesi:
(i)
donante residente in Italia: in questo caso, l’imposta era dovuta sui beni trasferiti
ovunque esistenti nel mondo;
(ii)
donante residente all’estero: in questo caso, l’imposta era dovuta solamente sui
beni esistenti sul territorio dello Stato;
(iii) atto di donazione formato all’estero e beneficiario residente in Italia: in questo
caso, l’imposta era dovuta sui beni trasferiti anche se non esistenti sul territorio
dello Stato.
Per effetto della soppressione del tributo in esame – ad opera dell’art. 13, comma 1 – i
criteri di territorialità appena illustrati (e stabiliti dal combinato disposto degli art. 2 e
55, comma 1-bis, del D. Lgs. n. 346/90) si reputano non più operanti, accedendo –
appunto – ad un’imposta “soppressa” e non più esistente. Coerentemente con il rinvio
operato, si dovrebbe fare riferimento alle sole regole di territorialità dettate in materia
d’imposta di registro (o, nella fattispecie qui non esaminata, per l’Iva), che si fondano
sulla:
(i)
formazione in Italia dell’atto soggetto a registrazione;
(ii)
localizzazione nel territorio dello Stato italiano dei beni oggetto di trasferimento
(immobili e aziende).
Questa conclusione, che è già stata sposata in sede di primo commento delle modifiche
al tributo successorio (cfr. CIRCOLARE ASSONIME, 20 dicembre 2001, n. 61, p. 4)
potrebbe essere messa in crisi dal rilievo secondo cui all’interno della legge di riforma
si fa riferimento espresso alle “...donazioni fatte all’estero a favore di residenti...”, con
evidente richiamo al criterio di territorialità sub (iii).
Come già evidenziato, la disposizione de qua – nel prorogare i termini di registrazione
di questi atti – implicitamente ne ammette la “sopravvivenza” e la rilevanza anche nel
nuovo sistema scaturito dalla riforma, tanto più che essa (disposizione) ha natura di
norma agevolativa. Ciò potrebbe avere anche una sua coerenza intrinseca, assolvendo il
relativo criterio ad una funzione di chiusura del sistema: se non esistesse, infatti, le
donazioni effettuate all’estero a favore di soggetti residenti in Italia sarebbero
imponibili solamente nel caso di trasferimento di immobili o aziende esistenti in Italia e,
come accadeva in passato, sfuggirebbero a tassazione tutte quelle aventi ad oggetto beni
facilmente trasportabili all’estero (come, ad esempio, denaro, titoli, ecc.). Questa
considerazione ha tuttavia una valenza solo teorica: difatti, per effetto del rinvio
all’imposta di registro, la maggior parte di questi beni facilmente trasportabili all’estero,
anche se si trovano sul territorio dello Stato, sono adesso imponibili – ai fini
dell’imposta sulle donazioni – solamente con il pagamento del registro nella “misura
fissa” di 168,00 Euro.
Avendo quindi presente l’ottica cautelativa che appare opportuno assumere nello
specifico contesto, la tesi della sussistenza dei criteri del registro “integrati”
dall’ulteriore criterio della “residenza del beneficiario” nel caso di donazioni all’estero
si appalesa come maggiormente tranquillizzante, in considerazione anche dello scarso
rilievo pratico che la questione assume sotto il profilo dell’incidenza del tributo sulle
fattispecie interessate.
Ciò chiarito, si può passare ad illustrare la misura in cui si attua – al momento della
formalizzazione del trasferimento finale dal trustee ai beneficiaries – il prelievo sulle
donazioni dei potenziali beni (denaro, titoli e immobili) oggetto del suddetto
trasferimento.
Essendo previsto – all’art. 13, comma 2, della L. n. 383/2001 – che le “donazioni” e le
“altre liberalità” ancora imponibili debbono scontare il prelievo sulle donazioni nella
misura stabilita dalle “...imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le
operazioni a titolo oneroso...”, si comprende come il rinvio sia essenzialmente
all’imposta di registro, e alle misure stabilite dalla Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986,
che – con riguardo ai beni di nostro interesse – si traduce come segue.
Si precisa che, assumendo come vigente l’ulteriore “criterio di territorialità” della
“residenza in Italia” – nell’ipotesi di donazione fatta all’estero – e essendo i beneficiari
del trust residenti in Italia, non ha più ragion d’essere – in termini sostanziali – la
distinzione tra “atto formato in Italia” e “atto formato all’estero”: in entrambi i casi,
infatti, vi sarà obbligo di registrazione “in termine fisso”.
Pertanto potremo avere le seguenti situazioni.
(A) DISPONIBILITÀ LIQUIDE DEPOSITATE PRESSO BANCHE LOCALIZZATE IN
ITALIA
OVVERO ALL’ESTERO:
(A1) atto formato in Italia ovvero all’estero: obbligo di registrazione “in termine
fisso” e pagamento del tributo nella misura del 3 per cento (art. 2 della
Tariffa, parte prima).
Si ribadisce che quest’oneroso prelievo può essere evitato, stante la natura di
“imposta d’atto” del tributo di registro, nel caso in cui il trasferimento di
denaro dal trustee ai beneficiari sia realizzato senza formalizzazione,
mediante, ad esempio, un mero “bonifico bancario” dal conto corrente del
primo a quello di ciascuno dei secondi.
(B) AZIONI (E QUOTE DI PARTECIPAZIONE), OBBLIGAZIONI E ALTRI TITOLI IN SERIE O DI
MASSA DEPOSITATI PRESSO BANCHE LOCALIZZATE IN ITALIA OVVERO ALL’ESTERO:
(B1) atto formato in Italia o all’estero: obbligo di registrazione “in termine fisso”
e pagamento del tributo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (art. 11 della
Tariffa, parte prima);
(C) BENI IMMOBILI LOCALIZZATI IN ITALIA OVVERO ALL’ESTERO:
(C1) atto formato in Italia ovvero all’estero e bene immobile ubicato in Italia:
obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo in
misura diversa in ragione del differente tipo di bene immobile trasferito
(art. 1 della Tariffa, parte prima; tra le ipotesi più significative: fabbricati e
relative pertinenze: 7%; terreni agricoli: 15%; immobili di interesse storico
et similia: 4%; altri beni immobili: 8%);
(C2) atto formato in Italia ovvero all’estero e bene immobile ubicato all’estero:
obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo nella
“misura fissa” di Euro 168,00 (art. 1 della Tariffa, parte prima; art. 11
della Tariffa, parte seconda);
Si ribadisce che l’oneroso prelievo proporzionale applicabile nel caso di
immobili localizzati in Italia (a prescindere dal luogo di formazione
dell’atto) non sussisterà se, come indicato, l’immobile, viene inizialmente
conferito in una società estera avente sede nell’Unione europea, con
successiva devoluzione in trust delle azioni di questa società: il
conferimento dell’immobile in una “società comunitaria” è infatti
sottoposto a prelievo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (Nota IV all’art.
4 della Tariffa, parte prima) e il successivo trasferimento delle azioni sarà
anch’esso soggetto a prelievo nella “misura fissa” di Euro 168,00.
Condizione imprescindibile per la realizzazione del conferimento è che
l’immobile non sia “dotato” di una plusvalenza latente (che, in caso
contrario, sarebbe soggetta ad imposizione sui redditi) ovvero che il
medesimo immobile sia posseduto dal “disponente” da più di cinque anni
(nel qual caso, la plusvalenza – se esiste – non è imponibile ai sensi
dell’art. 67, comma 1, lett. b), del t.u.i.r.).
Nel caso il bene immobile sia trasferito direttamente dal trustee ai
beneficiaries, perché non era stato previamente conferito in una “società
comunitaria”, saranno altresì dovute le imposte ipotecaria e catastale nella
misura, rispettivamente, del 2% e dell’1% del valore dell’immobile.
Si tenga presente che nel modello in esame si è in presenza di una “liberalità indiretta”,
con la conseguenza che – trovando applicazione l’imposta sulle donazioni – si ha la
possibilità di:
(i)
tenere conto dei legami esistenti fra settlor e beneficiari: se questi ultimi sono
“familiari”, il trasferimento non sarà imponibile e l’atto dovrà essere registrato
gratuitamente; lo stesso vale nel caso in cui i beneficiari sono “soggetti diversi”
e l’ammontare delle attribuzioni non supera la “soglia rilevante”: questa
franchigia vale per ognuno dei beneficiari (cumulando tutte le liberalità ricevute
dal settlor);
(ii)
applicare tutte le disposizioni del D. Lgs. n. 346 relative a: agevolazioni,
esenzioni, franchigie e determinazione della base imponibile.
B. Profili tributari dei trusts mortis causa.
Anteriormente alla soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni, intervenuta
a seguito della legge 18 ottobre 2001, n. 383, il trust costituito per atto mortis causa
veniva inquadrato dal Secit in una disposizione a titolo particolare, a cui seguiva
l’assoggettamento del trasferimento all’imposta di successione.
Soggetto passivo di imposta era individuato nel trustee, al quale si attribuiva una
posizione analoga a quella del soggetto istituito nella sostituzione fedecommissaria,
applicandosi, dunque, le previsioni di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 346/1990 e calcolando
l’imposta “su un valore pari a quello dell’usufrutto sui beni facenti parte del patrimonio
trasferito” (delibera SECIT 11 maggio 1998, n. 37, La circolazione dei trusts esteri in
Italia, cit.).
La giurisprudenza tributaria si è tuttavia espressa in favore dell’individuazione del
soggetto passivo d’imposta nel beneficiario anziché nel trustee, in primo luogo, a fronte
della tassatività dei presupposti in cui può configurarsi la sostituzione fedecommissaria
(Comm. trib. reg. Venezia, sez. XIX, 24 ottobre 2002, n. 104) ed inoltre in quanto il
trustee, nella sua qualità di titolare di un ufficio di diritto privato, non potrebbe
assumere la qualità di successore mortis causa del disponente.
In ogni caso, la soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni, ha eliminato in
nuce tali questioni, essendo ora la disposizione testamentaria di trust – similmente alle
altre attribuzioni mortis causa, non più soggetta ad alcuna imposizione fiscale (così
Consiglio Nazionale del Notariato, Studi Tributari, Studio n. 80/2003/T, Trust e imposte
indirette, Approvato dalla Commissione Studi Tributari il 21 novembre 2003.
3. LA CONTABILITÀ DEL TRUST
1. Il trustee è obbligato a <<rendere conto>> del suo <<amministrare, gestire,
disporre i beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla
legge>> (art. 2, comma 2, lettera c)3.
L’obbligo di rendere il conto è ben noto alle società fiduciarie italiane, in particolare a
quelle che svolgevano l’attività di gestione di patrimoni, prima della riforma operata
dalla legge 2 gennaio 1991, n. 1, successivamente a quelle abilitate per essere iscritte
nella sezione dell’Albo Sim.
Un particolare obbligo di rendi conto (<<estratto conto>>) è quello introdotto dal
decreto 16 gennaio 1995 del (allora) ministero dell’industria commercio e artigianato,
art. 12, comma 1, lett. c); infatti, non essendo norma di legge (nè di regolamento
delegato), l’indicazione di comportamento può essere sostituita da una diversa
indicazione del fiduciante, preoccupato di mantenere il più elevato grado di riservatezza
possibile (che raggiunge la quasi impenetrabilità nei confronti dei terzi).
L’obbligo che dalla legge discende al trustee è sostanzialmente quello della società
fiduciaria di gestione, modello pre-legge 1/1991.
Infatti, in entrambe le fattispecie quello che deve essere valutato dai destinatari del
documento è, per l’uno, l’aderenza dell'amministrare-gestire-disporre dei beni, che
costituiscono il trust fund, del trustee (o del gestore) (a) ai termini del trust, (b) alle
norme particolari imposte dalla legge regolatrice del trust; per l’altra, l’aderenza delle
scelte (i) di investimento, (ii) di dis-investimento, (iii) di mantenimento (nè
investimento, nè dis-investimento), ossia vuoi di asset allocation (composizione del
portafoglio di investimento) vuoi di stock picking (scelta dei singoli titoli che
compongono il portafoglio di investimento vuoi di market timing ( scelta del tempo, del
momento dell’acquisto e della vendita), che costituiscono i momenti centrali del
“gestire” del gestore, al contratto (scritto) di gestione di portafoglio di investimento e
alla norme sia di legge sia di regolamenti (che sono regolamenti delegati).
2. L’incarico può essere accettato e svolto dal trustee (a) in via del tutto occasionale, per
amicizia, per la fiducia di cui gode la persona eletta come trustee (aspetto soggettivo),
per la natura dell’oggetto affidato in trust (aspetto oggettivo: si pensi all’importo
affidato al commercialista per il pagamento di una imposta, all’avvocato per la
soluzione di un debito e via dicendo); oppure (b) in via abituale.
Tanto nell’un caso quanto nell’altro, il bene ricevuto in trust non va confuso con il
patrimonio del trustee. La soluzione tecnica varia con il variare del bene: se questo lo
consente, la soluzione più idonea appare essere quella di iscriverlo con la specificazione
del suo essere in trust o di esercitarne il diritto in qualità di trustee (“as trustee”) .
In relazione alla apertura del conto corrente bancario (ma la indicazione può essere
estesa a ogni contratto in cui è parte il trustee e a ogni iscrizione in registri, elenchi, albi
e quant’altro), è stato suggerito di procedere alla intestazione del conto <<Tizio, trustee
per conto del ‘trust Z’>>, oppure <<‘trust Z’, rappresentato dal trusee Tizio>> (AAVV,
Il trust nella operatività bancaria, Bancaria Editrice, 1988).
La identificazione come bene non appartenente al trustee è l’operazione prodromica al
rendiconto, che sarà il “rendiconto del ‘trust Z’” (nell’esempio del conto corrente
bancario).
3
Gli articoli di questo paragrafo, senza indicazione della legge di riferimento si intendono tutti delle Convenzione de
L’Aja 1° luglio 1985
3. Qualora il trustee svolga il suo ruolo in via occasionale, non avrà necessità di tenere
una forma particolare di contabilità, avrà cura di tenere le pezze giustificative di
ciascuna delle operazioni compiute nell’interesse del trust fund.
Se il trustee è persona fisica (situazione più probabile nel caso in esame, attuerà una
sorta di contabilità di cassa con regole autodeterminate: i Paesi a tradizione di trust
contemplano, in perfetta sintonia con l’istituto, di prevalenza regole di derivazione
deontologica emanate dalle associazioni che raggruppano coloro che svolgono
professionalmente attività di trustee.
Altri ordinamenti hanno dettato espressamente delle norme nella disciplina del trust:
<<Trustees shall keep the trust property distinct and separate from their own property
as well as from any other property held by them under any other trust or title, and
separately identifiable therefrom>> Malta, Trusts Act 1998, cit., art. 21, 5.
<<A trustee shall keep trust property separate from his own property and separately
identifiable from eny other property of which he is the trustee>> Mauritius Offshore
Trusts Act 1992.
<<A trustee shall hold the trust property separately from any other property or so that
it can be distinguished therefrom>> Israele Trust Law, 5739-1979.
La nuova legge della Repubblica di San Marino dispone, in proposito che:
<<Il trustee deve conservare i beni in trust separati da ogni altro bene nella
propria disponibilità, inclusi quelli di pertinenza di altri trust.
Il trustee deve depositare i titoli al portatore presso banche e altri
depositari autorizzati alla custodia di valori, soggetti a vigilanza
prudenziale e tenuti al rispetto delle norme antiriciclaggio. Si applicano i
commi 2 e 3 dell’articolo 36.>> (art. 22, co. 2 e 3, l. 17 marzo 2005, n. 37).
4. Qualora il trustee eserciti la attività di trustee come attività professionale, terrà la
contabilità separata di ciascun trust che amministra.
A supporto di essa può essere opportuno che il trust sia dotato di un “Libro degli eventi”
(L.D. Risso, Il libro degli eventi del trust, in Trusts, 2000, 127) tenuto e aggiornato dal
trustee, sul quale verranno annotate tutte le vicende e le modifiche che si verificano
durante la vita del trust, come a esempio il cambiamento della legge applicabile, la
nomina e la revoca del (o dei) protector, beneficiari (se nominati).
La revoca del trustee è iscritta nel “Libro degli eventi” del nuovo trustee, è lo starting
point del suo essere il trustee di quel trust.
Tuttavia, non vi è alcuna disciplina o regola specifica per tenere la contabilità.
La legge della Repubblica di San Marino si occupa della materia con due norme
specifiche, gli articoli 27 e 29. L'articolo 27, regola la contabilità e l'inventario:
<<1. Il trustee tiene la contabilità annuale dei fatti amministrativi che
interessano i beni in trust e dà notizia dei risultati annualmente nel Libro
degli eventi e valuta il loro valore di mercato secondo le modalità e in
applicazione dei criteri stabiliti da apposito decreto reggenziale da
emanarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
2. L’annotazione deve avvenire entro il 31 marzo dell’anno successivo.
3. Il trustee redige l’inventario dei beni in trust, unitamente ad una
relazione contenente il riepilogo e la descrizione dei principali eventi
modificativi della consistenza e della composizione dei beni in trust.>>
Questo avere voluto stabilire i <<criteri>> e le <<modalità>> per l'iscrizione
nell'apposito registro e per <<valutare>> i beni al <<valore di mercato>> è il prezzo
pagato dal legislatore da un canto, all'eccesso dirigistico (eccesso di cui soffre l'intera
disciplina); dall'altro canto, alla mancanza della specifica disciplina dei servizi di
investimento.
Come già per il decreto Minindustria del 19 gennaio 1995 (in tema di società
fiduciarie), anche questo articolato risente dell'influsso specifico della disciplina dei
servizi di investimento. Infatti, la legge sanmarinese espressamente prevede (art. 23) che
il trustee possa svolgere attività di "gestione" (intendendosi per tale quella che il diritto
comunitario conosce come "gestione di portafogli di investimento") mentre negli
ordinamenti dei Paesi appartenenti alla Comunità economica europea, questo "gestire" è
riservato ai gestori debitamente autorizzati a esercitare il relativo servizio di
investimento.
L'articolo 29 dispone l'obbligo per il trustee di istituire e tenere il "Libro degli eventi":
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
i)
<<1. Il trustee istituisce, aggiorna e custodisce il Libro degli eventi del
trust, nel quale registra in ordine cronologico gli atti e gli eventi relativi
al trust. Devono in ogni caso risultare dal Libro degli eventi:
l’atto istitutivo;
la descrizione degli eventi riguardanti il beneficiario e lo scopo;
la descrizione dei beni in trust;
le attribuzioni effettuate in conformità all’atto istitutivo del trust;
gli atti di delega;
i procedimenti di cui il trustee sia parte in tale qualità;
il dissenso manifestato ai sensi degli articoli 31 e 54;
l’inventario annuale dei beni in trust;
le variazioni dei trustee, co-trustee e dei guardiani.
2. Il Libro degli eventi è numerato progressivamente in ogni pagina e
vidimato in ogni foglio dal notaio. Con decreto reggenziale da emanarsi
entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge sono
stabilite le modalità relative alla vidimazione.
3. Il Libro degli eventi è esibito, su richiesta, al guardiano, all’Autorità
Giudiziaria, nonché alla Autorità di Vigilanza secondo le disposizioni
sulla vigilanza di cui all’articolo 19, comma 3, lett.d).
4. L’atto istitutivo può attribuire ad altri soggetti il diritto di consultare il
Libro degli eventi.>>.
Il combinato disposto dal primo comma dell'art. 27 con il primo comma di questo
articolo fa di questo registro una sorta di libro giornale, nel quale iscrivere gli <<atti e
gli eventi relativi al trust>>.
La ridondanza dell'endiadi "atti" e "eventi", non aggiunge nulla alla regola che si è
voluta dettare e pretenderebbe di porre la distinzione giuridica tra ciò che è "atti" e ciò
che è "evento".
Così non è e non può essere, poichè se in diritto per "evento" si intende il danno
provocato dalla condotta del colpevole, di certo il legislatore non ha inteso che il trustee
iscriva nel registro l'esito delle proprie azioni in violazione della condotta che avrebbe
dovuto tenere.
Nel testo sono <<atti relativi al trust>> le attività compiute dal trustee nell'interesse del
trust fund o in esecuzione delle disposizioni dell'atto istitutivo.
Sono "eventi" (latino "evenire": id quod evenit saepius) i fatti e gli avvenimenti che
accadono ai beni in trust. Volendo attribuire una ragione alla espressione dovremmo
dire che sono "eventi" quelli che accadono indipendentemente dagli atti posti in essere
dal trustee (si quid secundis evenisset, ossia, se le cose fossero andate bene).
La rigidità del dettato normativo, contrasta con la limitazione all'esercizio della attività
di trustee riservata agli intermediari autorizzati (sono "trustee autorizzati": società
bancarie, società finanziarie, società fiduciaria) e ai medesimi intermediari non residenti
("trustee qualificati": art. 19) soggetti a <<vigilanza prudenziale>> e <<operanti in
regime>> e <<operanti in regime di reciprocità>>, sulla falsariga della lussemburghese
Loi du 27 jullet 2003, senza la soavità liberistica alla quale è ispirata (senza nascondere
la diffidenza verso l'istituto trust).
5. Qualora il trustee eserciti la attività di trustee come attività professionale in qualità e
nella forma di persona giuridica, società di capitali, alla mancanza di indicazioni per la
contabilità si aggiunge la mancanza di indicazioni relativa alla redazione del bilancio
d’esercizio.
Se il trustee è società di capitali di nazionalità italiana non professionale, i dubbi sulle
modalità di redazione sono in buona parte risolti dal nuovo testo degli artt. 2447-sexies
“libri obbligatori e altre scritture contabili”, 2447-septies “bilancio” e 2447-novies
“rendiconto finale” della Sezione XI, del Capo V del Titolo V del Libro V del codice
civile, che ha come rubrica <<dei patrimoni destinati ad uno specifico affare>>.
Infatti, di siffatto patrimonio il suo essere ‘destinato’ è condizione essenziale vuoi per
essere costituito come tale vuoi per essere opposto a ogni interessato (P. Ferro Luzzi, La
disciplina dei patrimoni separati, in Riv. soc., 2002, p. 121 ss., id., I patrimoni
<<dedicati>> e i <<gruppi>> nella riforma della società per azioni, in Riv. not. 2002,
I, p. 271ss; F. Di Sabato, Sui patrimoni dedicati nella riforma societaria, in Società,
2002, p. 665ss; id. Brandelli di esperienza (non del tutto negativa) di un aspirante
legislatore, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private a cura di P.
Benazzo, S. Patriarca e G. Presti, Milano, 2003, p. 315 ss., spec. p. 317 ss., id., La
riforma delle società di capitali, in Riv. dir. impr., 2002, p. 559 ss., spec. p. 572 ss.; F.
Fimmanò, Il regime dei patrimoni dedicati di s.p.a. tra imputazione atipica dei rapporti
e responsabilità, in Società, 2002, p. 960ss.; G.B. Portale, Dal capitale
<<assicurato>> alle <<tracking stocks>>, in Riv. soc., 2002, p. 146ss., spec. p. 166
ss.; C. Rabitti Bedogni, Patrimoni dedicati, in Riv. not., 2002, I, 1121 ss., A. Zoppini,
Autonomia e separazione del patrimonio, nella prospettiva dei patrimoni separati della
società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 546 ss., e Primi appunti sul patrimonio
separato della società per azioni, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e
società private, in Quaderni giur. comm. 2003, p. 97 ss; L.A. Bianchi, Prime
osservazioni in tema di capitale e patrimonio nelle società di capitali, ivi, p. 79 ss.; L.
De Angelis, Dal capitale <<leggero>> al capitale <<sottile>>: si abbassa il livello di
tutela dei creditori, in Società, 2002, p. 1456ss, spec. p. 1461ss; M. Lamandini,
Patrimoni destinati ad uno specifico affare, nel Parere dei componenti il Collegio dei
docenti del Dottorato di ricerca, in Diritto commerciale interno ed internazionale
dell'Università Cattolica di Milano, in Riv. soc., 2002, p. 1495 ss.; B. Inzitari, I
patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Società, 2003, p. 265 ss; e I patrimoni
destinati ad uno specifico affare (art. 2447-bis, lettera a, c.c.), in Contr. imp., 2003, p.
164ss.; R. Arlt, I patrimoni destinati ad uno specifico affare: le protected cell
companies italiane, ivi, 2004, 323 ss.).
Ma, costituito come destinato, il patrimonio è separato (con buona pace della
“segregazione”) dal patrimonio della società che lo ha costituito, tanto che acquista
particolare autonomia giuridica, poiché i creditori della società (anteriori o posteriori
all’iscrizione) non possono far valere i propri diritti su quel patrimonio e la società, per
le obbligazioni da essa contratte per lo specifico affare, non risponde che nei limiti del
patrimonio a esso destinato (G. Verna, Osservazioni sulla rappresentazione contabile
dei patrimoni destinati a specifici affari, Società, 11/2004, 1331).
Sotto il profilo contabile, questo patrimonio gode anche di autonomia contabile, in
quanto gli atti di gestione a esso relativi devono essere registrati in separate scritture
contabili, il libro giornale e il libro degli inventari (G. Verna, ibidem), cui si aggiungono
le scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’affare, quali a esempio
il mastro, il libro cassa, il libro magazzino, ecc. (D. Fico, Aspetti contabili dei patrimoni
destinati, Società, 10/2004, 1216).
Per quanto in commento, va dato particolare rilievo all’obbligo che incombe sul
consiglio di gestione di redigere il rendiconto.
Da tali caratteristiche discende che il patrimonio destinato non è soggetto a fallimento,
si ammette la liquidazione ma non il fallimento (F. Ciampi, Patrimoni e finanziamenti
destinati in rapporto con le regole del concorso fallimentare, Società, 10/2004, 1213).
Poi le somiglianze terminano, poiché il rendiconto del trustee non ha come destinatario
la società che ha costituito il patrimonio.
6. Qualora il trustee eserciti la attività di trustee, come attività professionale, in qualità e
nella forma di persona giuridica, società, di capitali di nazionalità italiana e il suo
oggetto sociale contempli "le funzioni di trustee, l’assunzione di incarichi di trustee,
l’amministrazione e la gestione di trusts", avrà come modello la società fiduciaria di cui
alla legge 23 novembre 1939, n. 1966 (contra S. Marchese, Il bilancio del trustee:
aspetti contabili, in Trusts 2000, par. 6, p. 201 e M. Lupoi, Trusts, cit., 782, il quale
sostiene che il trustee deve riportare <<le risultanze finali di ciascun trust, al netto
dell’imposizione diretta, nella propria contabilità perché il reddito netto gli appartiene
ed egli ne ha il possesso>>; se ciò corrispondesse al vero, il trustee dovrebbe riportare il
reddito al lordo dell’imposizione e non, invece, determinarsi come <<associazione
commerciale>> ex art. 73 tuir).
Di contro, le indicazioni che si colgono nell’ordinamento nazionale sulla
contabilizzazione delle altre forme di patrimonio separato (per il trust fund è
patrimonio separato dal patrimonio del trustee) portano a ritenere che questa sia la
soluzione più corretta.
Se si considera come iscrivono i “portafogli in gestione su base individuale di
portafoglio di investimento”, da un canto banche, sim e sgr (istituti che si sono canditati
per svolgere la funzione di trustee), dall'altro canto, le società fiduciarie (i“portafogli in
gestione su base individuale di portafoglio di investimento mediante intestazione
fiduciaria”) si noterà che tutti sono accomunati negli obblighi di tenere la loro
contabilità e di redigere il bilancio d’esercizio dalle istruzioni della Banca d’Italia (F. Di
Maio, Nuovo genus di società fiduciaria o prima attuazione di trust amorfo?, in Contr.
imp. Europa, 1997, 606 e in Atti del Convegno ABI Il trust nella operatività delle
banche italiane 30 ottobre 1996, Il trust nella operatività bancaria, Bancaria Editrice,
1988).
I patrimoni destinati a uno specifico affare vanno iscritti nei conti d’ordine, in calce allo
stato patrimoniale (L. De Angelis, Patrimoni destinati a specifici affari di spa: profili
contabili e fiscali, Dir. prat. Trib., 2003, I, 444) e si evidenzia che la mancata iscrizione
tra i conti d’ordine, con la conseguente iscrizione nel corpo del bilancio del trustee, sia
pure con la notizia fornita dalla nota integrativa, non avrebbe <<maggiore efficacia
informativa>> (G.E.Colombo, La disciplina contabile dei patrimoni destinati: prime
considerazioni, in Bbtc, 2004, I, 61).
Ragionando a contrariis, si deve constatare che da nessun atto dispositivo o
interpretativo si coglie con sicurezza che la scelta di iscrivere i beni di terzi nei conti
d’ordine possa risultare contraria ai corretti principi contabili e alle norme civilistiche.
Anzi, la nuova disciplina dei reati societari, in specie delle false comunicazioni sociali,
avendo inserito nel “fatto” punibile anche l’omettere le <<informazioni che riguardino i
beni posseduti od amministrati dalla società per conto di terzi>> ha recuperato la
funzione dei conti d’ordine.
Ora, è ben vero che la trust company possiede in proprio, ma è anche vero che, al pari
della società fiduciaria essa <<has the power and the duty, in respect of which he is
accountable, to manage, employ or dispose of the assets in accordance with the terms of
the trust and the special duties imposed upon him by law>> .
Sicché dove meglio che nei conti d’ordine e nella nota integrativa potrà essere fatta
piena luce sulla proprietà in trust dei beni ivi iscritti, specie se la società redigente il
bilancio ha per propria attività lo svolgere funzione di trustee? Nella riforma della
disciplina de il contrait fiduciaire il legislatore lussemburghese ha usato la medesima
impostazione seguita dalla Convenzione de L’Aja e ha previsto che il fiduciario
<<devient propriétaire de bien formant un patrimoine fiduciaire>> (art. 5), con la
conseguenza che <<le fiduciaire doit comptabiliser le patrimoine fiduciaire sèparèment
de son patrimoine personnel et des autres patrimonies fiduciaires>> (art. 6,2).
7. Il trust, istituito nella forma di ‘trust discrezionale e irrevocabile’ all’estero o con
trustee estero, da parte del residente italiano, non implica che si integrino gli estremi
della fattispecie “trasferimento all’estero” del bene o dei beni trasferiti al trustee: a
maggior ragione è da escludersi che possa integrare gli estremi della fattispecie di
detenzione di beni all’estero.