CIRCOLARE DELLA COMMISSIONE TRUST 1. Schema di Trust commentato 2. Profili della istituzione di Trust 3. Contabilità del Trust 1. LO SCHEMA DI TRUST COMMENTATO Questo atto, sottoscritto in Y città stato il [………….], dal signor X , d’ora in avanti indicato come “il Disponente”, Premesso a. che il disponente in questo momento trasferisce in proprietà al trustee, come in seguito individuato: i. quanto specificato nell’allegato n. 42.1., ii. la somma di […………..] affinché questi ne goda e ne disponga secondo quanto viene stabilito con questo atto; b. che a ogni effetto di legge e in particolare agli effetti del riconoscimento del trust, istituito con il presente atto, si applicano le disposizioni della Convenzione de L’Aja, 1° luglio 1985, ratificata dalla Repubblica Italiana con legge 16 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 1992, fatta salva ogni disposizione di maggior favore, Nota Preliminarmente si deve notare che il trust deed deve necessariamente individuare gli elementi essenziali del trust (primo trustee, beni destinati, scopo), ma può rinviare ad un regolamento esecutivo talune specifiche di disciplina. Ad esempio, al regolamento del trust può farsi rinvio ai fini di indicare specificamente i beneficiari del trust stesso ovvero le rispettive quote. In questo caso, la forma cui è soggetto il regolamento non deve necessariamente essere la stessa richiesta per il deed of trust, anche se deve ritenersi comunque necessaria la forma scritta e la documentazione per iscritto delle relative modifiche.In termini pratici, il vantaggio di creare un’articolazione anche sul piano documentale dell’atto istitutivo e del regolamento di attuazione consiste nel fatto di assicurare maggiore flessibilità al trust stesso, atteso che al regolamento di attuazione possono rimettersi le concrete e specifiche modalità di esecuzione del rapporto che possono essere modificate dal protector o, in taluni casi, dallo stesso settlor (come nel caso in cui il settlor si riservi di modificare o revocare i beneficiari). Sempre in termini pratici, la distinzione tra atto istitutivo e regolamento di attuazione può assicurare una maggiore riservatezza del trust stesso, atteso che il regolamento esecutivo può essere mantenuto riservato senza pregiudicare la validità e la riconoscibilità del trust). In giurisprudenza si veda la sentenza della Commissione tributaria regionale di Venezia del 24 ottobre 2001, n. 104/19/02, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 30/2003, pp. 131 ss. attesta quanto segue 1. Denominazione e revocabilità del trust 1.1. Il trust qui istituito è denominato […………]. 1.2. Il trust è irrevocabile ovvero 1.2. Il trust è revocabile ad insindacabile discrezione del disponente sino al giorno del compimento del settantacinquesimo anno di età. Il disponente sino a quella data si riserva, altresì, il diritto di modificare e/o integrare quanto contenuto nel presente atto mediante atto scritto comunicato al Comitato dei Trustees e al Protector. Nota La irrevocabilità è portatrice di un’importante implicazione: il trasferimento al trustee – da parte del settlor – della titolarità dei beni costituiti in trust sarà definitivo, senza possibilità alcuna di “retrocessione”, e, correlativamente, in forza del legal title, il trustee sarà pienamente legittimato – oltre che ad amministrare e gestire – anche a disporre dei suddetti beni, sempre – naturalmente – in conformità alle prescrizioni dell’atto costitutivo e della legge regolatrice. La irrevocabilità pone poi l'esigenza di verificare la compatibilità del trust con il divieto dei patti successori (art. 458 c.c.). In dottrina si ritiene che i trusts assimilabili a un patto successorio siano solamente quelli ove il termine del trust sia individuato nel momento della morte del settlor e in questo momento si attui la distribuzione fra i beneficiari ovvero quelli ove il settlor mantenga il godimento del reddito del trust sino alla sua morte e successivamente il godimento passi ai beneficiari, designati in forma irrevocabile, sino alla scadenza del trust che determinerà la devoluzione dei beni agli stessi beneficiari o a terze persone anch'esse designate in modo irrevocabile. A sostegno della tesi che tali trusts non integrino comunque una violazione del divieto dei patti successori si argomenta che a) manca un accordo fra il disponente e i beneficiari e b) che i beni del trust escono dal patrimonio del disponente sin dall'inizio, integrando il trust un'efficacia inter vivos e non post mortem. Nulla quaestio, invece, qualora il disponente trasferisca irrevocabilmente i suoi beni al trustee perché questi distribuisca il reddito del trust ai soggetti indicati nell'atto costitutivo sino al termine del trust per poi trasferire agli stessi soggetti o ad altri beneficiari la titolarità dei beni suddetti. In questo caso, senza alcun dubbio, non si integra la violazione del divieto dei patti successori posto che il disponente perde ogni facoltà sui beni del trust sin dall'inizio. (In giurisprudenza, gli elementi che compongono il patto successorio sono descritti da Cass., 22 luglio 1971, n. 2404, in Giur. it., 1972, I, c. 1096 ss.). Qualora poi il trust venga costituito nella scheda testamentaria la giurisprudenza ha osservato che il trust non determina la nullità della scheda testamentaria ma “non è di ostacolo” all'applicazione delle disposizioni di diritto interno strumentali alla reintegrazione della quota riservata ai legittimari (cfr. Tribunale di Lucca, 23 settembre, 1997, in Foro it., 1998, I, 2016). Sul punto cfr. la Convenzione de L'Aja che all'art. 15 menziona le norme relative alla legittima fra quelle che non possono essere derogate dall'autonomia privata. Il profilo dei rilievi fiscali in ambito successorio per quanto attiene al trust è compiutamente affrontato da R. DOMINICI, Brevi note sull’incidenza della soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni con riguardo alle imposte indirette gravanti sui conferimenti in trust, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 1/2001, pp. 25 ss. Quanto ai trusts revocabili, particolarmente diffusi negli Stati Uniti sono i living trusts. Si tratta di trusts che, oltre ad essere revocabili, sono liberamente modificabili dal disponente il quale progressivamente trasferisce nel trust fund i propri beni in modo che al momento della sua morte poco o nulla residui nel suo patrimonio. Questo schema di trust consente di sottrarre alle forme della successione mortis causa, salvi naturalmente i diritti dei legittimari, la maggior parte dei beni del disponente che, finché è in vita, può anche indicarsi quale beneficiario del trust. 2. Trustee. Il trustee del trust è [ad es. la società fiduciaria], di seguito “il trustee”. ovvero 2. Comitato dei Trustees. 2.1. Il Comitato dei Trustees elegge nel proprio seno un Presidente che ne coordina i lavori. 2.2. Il Comitato è convocato dal Presidente ovvero quando uno dei trustees ne faccia richiesta, ovvero qualora sia richiesto dal protector. Le deliberazioni del Comitato debbono essere assunte a maggioranza e con la presenza di almeno [indicare] dei trustees in carica. Qualora non sia possibile addivenire ad una decisione, la stessa è rimessa al protector. Il Comitato nomina al suo interno un Segretario che assicura la verbalizzazione delle riunioni. 2.3. Il Comitato dei Trustees, in persona del Presidente, è obbligato a custodire, tenere e aggiornare il "Libro degli Eventi del Trust", vidimato da un Notaio, sul quale dovranno essere registrati tutti gli avvenimenti dei quali il Comitato ritenga opportuno conservare la memoria, nonché tutti i verbali delle riunioni del Comitato. Chiunque contragga con i trustees è legittimato a fare pieno affidamento sulle risultanze del Libro degli Eventi del Trust. Nota Il trustee (o trustees) sono le persone fisiche o giuridiche cui viene trasferita - appunto in trust - la proprietà dei beni costituenti il trust fund. In forza di tale trasferimento essi ne acquisiscono la titolarità piena, con l'obbligo peraltro di amministrarli e gestirli secondo la volontà del settlor (e sotto il controllo del protector laddove previsto), e senza peraltro che tale titolarità determini alcuna confusione del patrimonio amministrato in trust con quello proprio del trustee. Sebbene nulla impedisca che l'incarico di trustee sia affidato a una o più persone fisiche (e, in quest'ultimo caso, tanto nelle forme dell'amministrazione disgiunta quanto congiunta), può essere operativamente più opportuno affidare il ruolo di trustee a una persona giuridica, e in particolare ad una società fiduciaria. E ciò per evitare di dovere dettare un'analitica disciplina che consideri quegli eventi (naturali e non) che possono incidere sulla esistenza e capacità delle persone fisiche (morte, interdizione, inabilitazione etc.), in modo da non trovarsi con un trust privo di trustee o con trustees incapaci di svolgere il loro mandato. Va altresì rammentato che la capacità di essere trustee dovrà essere valutata in base alla legge designata quale regolatrice del rapporto. Nel caso in cui nell'atto costitutivo si sia optato per una pluralità di trustees è opportuno menzionare espressamente il principio maggioritario quale regola di funzionamento del comitato. Infatti, alcune fra le leggi regolatrici di trusts prevedono l'obbligo dei trustees di agire congiuntamente (ad es. cfr. Trust Jersey Law, art. 18(1)(2)), facendo salvo, tuttavia, il diritto del disponente di stabilire nell'atto costitutivo il diverso principio maggioritario (quest'ultimo è invece contemplato quale norma dispositiva in numerose leggi fra cui cfr. British Virgin Island, Trustee (Amandment) Act 1993, sect 85 e 87). È evidente che il principio dell'unanimità può comportare gravi rischi di paralisi dell'attività del trust e, di conseguenza, andrebbe evitato salvo il caso in cui non vi sia un rapporto di fiducia con uno dei trustees e si voglia affiancargli un trustee maggiormente affidabile. Quest'ultima finalità, tuttavia, può essere realizzata attraverso la figura del protector e del suo parere vincolante ai fini del compimento dell'atto da parte del trustee. Nel "libro degli eventi del trust" dovranno essere annotate le principali vicende riguardanti il trust. In particolare, l'annotazione dei mutamenti dei soggetti del trust (trustee, protector, beneficiary) consente di costituire una prova delle vicende modificative del trust. 3. Protector. Il disponente nomina quale protector del trust [ad es. la società ………..società fiduciaria per azioni con sede al n……….. ]. Nota Il protector è colui (persona fisica o preferibilmente una società anche fiduciaria) cui è affidato il compito di vigilare sulla corretta esecuzione da parte del trustee della volontà del settlor nonché, e sempreché ciò sia espressamente previsto dal deed of trust, di essere obbligatoriamente interpellato dal trustee prima del compimento di determinati atti individuati dal settlor. E' evidente peraltro che in concreto l'opportunità circa la nomina o meno del protector e l'individuazione dei poteri da conferirgli va valutata caso per caso, dipendendo ciò dalle caratteristiche del trust, dalla natura del trust fund, nonché anche dalla complessità della regolamentazione pattizia. La figura del protector è divenuta preminente nei trusts del modello internazionale. Questo si spiega, di regola, alla luce della scarsa confidenza intercorrente fra il settlor e il trustee (spesso società estere con cui manca un rapporto di mutua conoscenza) che viene colmata mediante la figura del protector che è normalmente una persona su cui il disponente può fare ampio affidamento. Al fine di evitare uno stallo nel rapporto fra protector e trustee può essere opportuno rimettere al protector la facoltà di sostituire il trustee. Qualora i protectors nominati dal settlor siano più di uno essi agiscono deliberando a maggioranza e il protector dissenziente ha il diritto di far risultare il proprio dissenso per iscritto. Il tema, ai fini della compiuta attuazione del trust nel nostro ordinamento, necessita di una definizione attenta non solo dei ruoli che questo istituto implica, ma anche di una valutazione sistematica della terminologia attinente ai rapporti del trust con gli omologhi continentali, in ordine alla quale si veda senz’altro FEDERICO DI MAIO, Fiducia, negozio fiduciario, contratto fiduciario, trust: questioni terminologiche, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 1/2001, pp. 7 ss. 4. Trust fund (beni del trust) 4.1. Il trust fund è costituito dai seguenti beni del trust: 4.1.2. i beni indicati nella premessa (lettera a) e segnatamente quanto indicato sub (i) e sub (ii) 4.1.3. ogni bene o diritto che la disponente trasferisca al trustee affinché venga incluso nel trust fund 4.1.4. i frutti dei beni costituiti in trust 4.1.5. ogni bene o diritto acquistato in virtù dei beni che costituiscono il trust fund o quale corrispettivo della alienazione di tutti o parte dei beni del trust fund. 4.2. Ove non appaia in contrasto con l’atto istitutivo del trust, si deve ritenere che i beni e i diritti, appartenenti a società di proprietà del trust o sulle quali il trustee eserciti il controllo o si trovi in situazione tale da influire sulla disponibilità di tali beni e diritti, appartengono al trust fund. 4.3. Il trust fund è separato dal patrimonio del trustee, non può essere in alcun caso aggredito dai suoi creditori e neppure da quelli della disponente. 4.4. Ove il trustee sia persona fisica, il trust fund, inoltre, non costituisce parte della sua successione ereditaria, non può costituire parte di alcun regime patrimoniale originato dal suo matrimonio. 4.5. Il trustee/I trustees è tenuto/sono tenuti a tenere contabilmente distinto il trust fund. Nota In linea di principio in trust possono essere conferiti beni di ogni tipo, appropriabili in via esclusiva e non, presenti e futuri. Per quanto concerne il nostro ordinamento, le cui regole rilevano quando il bene è nel territorio dello Stato, un limite deve implicitamente desumersi dalla natura del bene e dalla possibilità di pubblicizzare il vincolo di destinazione che attraverso il trust si realizza. Non vi sono preclusioni alla possibilità di conferire in trust beni futuri, fermo restando che al momento in cui il bene viene ad esistenza la proprietà si trasferisce immediatamente a favore del trustee e deve essere realizzata la pubblicità del trust (sulla separazione dei beni in trust dal patrimonio del trustee e sul regime di pubblicità del trasferimento e del vincolo cfr. il commento al punto 32 dell'atto costitutivo). Il punto 4.4. deve essere letto alla luce dell'art. 11, lett. c), della Convenzione de L'Aja in forza del quale il riconoscimento del trust comporterà "che i beni del trust non rientrino nel regime matrimoniale o nella successione dei beni del trustee". 5. Beneficiari. 5.1. I beneficiari del trust sono le persone indicate nell’allegato 42.2. 5.2. Salva ogni disposizione diversa e contraria, contenuta nell’allegato 42.2., la posizione di ciascuno dei beneficiari non si trasferisce per causa di morte né per negozio tra vivi. [oppure: la posizione dei beneficiari si trasferisce (eventualmente indicare le condizioni).] 5.3. La scelta tra i beneficiari costituisce facoltà esclusiva del trustee. 5.4. Essa è esercitata tenendo conto di quanto previsto nei successivi articoli 40 e 41. Nel caso in cui un beneficiario contesti la validità o l'efficacia del trust, i diritti a lui/lei spettanti sono ridotti nei limiti della quota fissata all'art. 537 c. civ. e per la parte restante sono discrezionalmente amministrati dal Comitato dei Trustees e le rendite e il capitale al momento dello scioglimento del trust sono devolute a favore di [indicare]. Nota I beneficiaries (o il beneficiary) sono coloro (o colui) a cui vantaggio il trust è costituito, ossia coloro che, alla cessazione del trust ovvero al verificarsi dei diversi eventi indicati dal settlor acquisiranno la titolarità (i) dei beni conferiti in trust, (ii) di quelli successivamente acquisiti dal trustee attraverso l'investimento della liquidità facente parte del trust fund, nonché (iii) dei redditi originati da quest'ultimo. Anche per i beneficiaries, così come per il settlor, la legge che regola la loro capacità sarà quella dello Stato al quale appartengono. Si rammenta che la Convenzione de L'Aja 1º luglio 1985 consente di esperire l'azione di riduzione nei confronti di un atto istitutivo di trust che abbia violato i diritti dei legittimari. Segnaliamo che è ben possibile che il trustee sia al contempo uno dei beneficiaries. E' altresì ipotizzabile un trust nel quale più trustees siano contemporaneamente trustees e beneficiaries, come pure l'ipotesi in cui un soggetto è nominato trustee a favore di se stesso e di un altro (c.d. joint tenant beneficiaries). Il beneficiary può essere anche un soggetto non ancora nato o non ancora concepito. Quanto alla determinazione della distribuzione ai beneficiari, l'atto istitutivo, oltre a prevedere che spetti alla discrezionalità del trustee, può stabilire che tale facoltà sia riconosciuta in capo al protector o, alternativamente, indicare sin dall'inizio i criteri e le quote di distribuzione dei beni del trust ai beneficiari (cfr. il commento al punto 40). Il settlor può anche riservarsi il diritto di integrare la lista dei beneficiari durante la vita del trust. La dottrina prevalente ritiene valida la costituzione di un trust ove le qualità di settlor, trustee e beneficiary confluiscano nella medesima persona (contro la possibilità che settlor e trustee siano la stessa persona si è espresso il Tribunale di Napoli, 1º ottobre 2003, in Trusts, 2004, p. 74, favorevole invece il Tribunale di Parma, 21 ottobre 2003, in Trusts, 2004, p. 73). Con riguardo alla clausola di cui al punto 5.4. il rinvio all'art. 537 c.c. fissa nelle quote riservate per legge ai legittimari la porzione dei diritti loro spettanti in caso di contestazione della validità o dell'efficacia del trust. Si deve notare che non sarebbe possibile prevedere un ammontare minore a quello di cui all'art. 537 posto che la Convenzione de L'Aja all'art. 15 menziona le norme relative alla legittima fra quelle che non possono essere derogate dall'autonomia privata. 6. Durata del trust. 6.1 Il trust ha effetto dal momento della sottoscrizione del presente atto. 6.2 Il trust ha termine al verificarsi del primo tra questi eventi: a. ……………. b. la congiunta richiesta dei beneficiari, con l’adesione del protector, secondo quanto disposto infra 40.2 e 40.3. c. il decorso di cento anni; d. il trust ha, comunque, termine quando, per qualsiasi ragione, i beni che costituiscono il trust fund e, quindi, il trust fund siano stati interamente distribuiti ai beneficiari o siano comunque venuti a mancare. Nota Il trust privato ai sensi del diritto inglese non può superare la durata della vita di una persona vivente (o concepita) nel momento in cui l'atto posto in essere dal settlor produce effetti, più ventuno anni, o in alternativa gli ottant'anni che decorrono dal medesimo termine (rule against perpetuities); questa regola è presente in quasi tutti gli ordinamenti che conoscono l'istituto del trust che generalmente prevedono un termine di durata; esistono peraltro alcuni Stati degli U.S.A. che consentono trust di durata illimitata. Una regola diversa è invece prevista per i trust charitable, che non sono sottoposti a limiti di durata. Nel modello di trust non di scopo internazionale, invece, il termine finale è quasi sempre maggiore degli ottanta anni previsti dall'ordinamento inglese (solo Bahamas si è conformata al termine del diritto inglese, cfr. Perpetuities Act 1995, sect. 6). La durata del trust può essere prolungata sino al termine di centocinquanta anni qualora si adottasse quale legge regolatrice del trust la Cayman Islands, Perpetuities Law 1995, sect. 4(1). Naturalmente, il settlor può far dipendere la risoluzione anticipata del trust da una serie di eventi espressamente individuati nell'atto costitutivo. Nel modello di trust non di scopo internazionale, il reddito del trust può essere accumulato per tutta la durata del trust. La corretta determinazione nell'atto istitutivo del termine finale ha notevole importanza posto che la violazione di legge comporta la nullità del trust (e non la sua riconduzione al termine massimo). Inoltre, è opportuno prevedere che la liquidazione dei beni del trust sia posta in essere sei mesi o un anno prima del termine finale del trust. Infatti, una volta compiuto il termine del trust il trustee è destituito di ogni potere e potrebbero sorgere delle difficoltà nella fase della formazione delle quote e del trasferimento ai beneficiaries. I trusts di scopo del modello internazionale hanno, invece, una durata indeterminata anche se non charitable. 7. Legge regolatrice 7.1 Il trust è regolato dalla legge di……. 7.2. Il trust così istituito ai sensi della…………... 7.3. Il trustee/ I trustees può/possono in qualsiasi momento sostituire la predetta legge con altra, dandone comunicazione scritta al disponente e al protector. In tale circostanza, il trustee avrà il potere di modificare le disposizioni di questo atto che siano incompatibili o eccessivamente onerose rispetto alla nuova legge regolatrice. Nota Alternativamente alla clausola di cui al punto 7, il settlor può utilizzare la clausola che segue: "(i) Il presente trust è costituito secondo le leggi vigenti in _____________ e i diritti, gli obblighi, poteri e doveri di tutte le parti e di tutti i beneficiari saranno disciplinati dalle, e interpretati secondo le, leggi vigenti in _________, le cui Corti saranno il foro competente per giudicare sul presente atto nonchè sui rapporti in base ad esso instaurati, nonostante il fatto che uno o più dei trustees possano di volta in volta essere residenti o domiciliati in luogo diverso da ____________, ed essendo sempre previsto che i trustees possano amministrare e gestire questo trust in e da quel o quei luoghi che di volta in volta riterranno opportuni, senza che ciò pregiudichi l'applicabilità della legge che è dichiarata essere applicabile al presente atto. "(ii) I trustees avranno il potere di dichiarare di volta in volta ed in qualsiasi momento, con atto scritto, che il presente trust sarà d'allora innanzi governato dalle, e prenderà effetto secondo le, leggi di quell'ordinamento che potrà essere stabilito in tale atto, e dopo di ciò i diritti di tutte le parti (ivi compresi i beneficiaries) e tutte le previsioni del presente atto saranno assoggettate esclusivamente alle, e disciplinate solo secondo le, leggi di tale ordinamento, le cui corti diverranno il foro competente per giudicare del presente trust. "(iii) Laddove la legge applicabile al presente trust sia cambiata secondo i poteri stabiliti al superiore paragrafo (ii), i trustees, o il protector se quest'ultimo avrà esercitato il potere di cambiare la legge applicabile, avranno il potere, da esercitarsi con atto scritto, di apportare quei cambiamenti al presente atto che possano essere necessari al fine di assicurare la sua continuata validità ed efficacia ai sensi di quella legge". Nota bene: La clausola sopra riportata presenta una complessità correlata all'esigenza di conferire ai trustees (o al protector) il potere di modificare la legge applicabile e/o la giurisdizione inizialmente fissata dal settlor, qualora ciò si dovesse rendere necessario per effetto di successivi interventi normativi idonei a penalizzare il trust. In base alle diverse esigenze del caso concreto sarà importante verificare se sia più opportuno conferire il potere di modificare la legge regolatrice al trustee o al protector che, talvolta, può essere persona più sensibile alle sollecitazioni del disponente espresse nella cd. lettera di intenti (letter of wishes). La legge regolatrice del trust può anche non risultare espressamente nell'atto istitutivo ma questa ipotesi andrebbe evitata. In pratica, la legge da applicare sarà o quella scelta dal costituente o, qualora non sia stata scelta alcuna legge o quella scelta non preveda l’istituto del trust o la categoria di trust in questione, la legge con la quale il trust ha più stretti legami. L'art. 5 della Convenzione de L'Aja impone che la legge così individuata inquadri e disciplini sufficientemente l'istituto del trust. Di conseguenza, tale norma non è volta ad escludere la validità di un trust interno bensì ad impedire il riconoscimento di un trust a cui debba applicarsi una legge che non qualifichi quel rapporto quale trust. Si dia il caso di un cittadino italiano che ponga in essere un trust i cui elementi importanti (il luogo ove si trovano i beni oggetto del trust e il luogo ove si intende realizzare lo scopo del trust) siano localizzati in Italia. Se il cittadino italiano non sceglie alcuna legge da applicare o sceglie l'ordinamento italiano il trust rimarrà privo di riconoscimento ai sensi dell'art. 5 della Convenzione de L'Aja. Se invece la legge scelta dal costituente conosce e disciplina compiutamente la categoria di trust da questi voluta nessuno ostacolo si frappone al riconoscimento posto che l'art. 5 in esame non impone alcun ulteriore elemento di transnazionalità. 8. Giurisdizione delle controversie Ogni controversia relativa all’istituzione o agli effetti del trust o ai diritti dei beneficiari o di qualsiasi altro soggetto menzionato in questo atto è obbligatoriamente ed esclusivamente sottoposta alla magistratura dello Stato la cui legge regola il trust ai sensi del precedete art. 7. Nota Il punto in commento rimette la giurisdizione allo Stato che, come stabilito nello stesso atto istitutivo, regola il trust. Si deve notare come la clausola sulla giurisdizione produca effetti, ai sensi dell'art. 4, 2º comma, della l. 218/1995 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), esclusivamente nei confronti delle parti che aderiscono alla stessa (di regola il trustee firmatario, insieme con il disponente, dell'atto istitutivo). Qualora invece il convenuto, che non abbia aderito alla clausola in esame, sia domiciliato o residente in Italia o vi abbia un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell'art. 77 del c.p.c., ricorre la giurisdizione italiana ai sensi dell'art. 3, 1ºcomma, l. 218/1995 (sul punto cfr. Tribunale di Milano, 20 ottobre 2002, in Trusts, 2003, p. 267). A diverse conclusioni si perviene qualora ricorrano i presupposti per l'applicazione del regolamento (CE) n. 44/2001. La prima disposizione che interessa è quella di cui all'art. 5, n. 6, ai sensi del quale il settlor, il trustee e il beneficiario possono essere convenuti nel luogo ove si trova il domicilio del trust, che ai sensi dell'art. 7 della Convenzione de L'Aja deve essere individuato nel luogo con il quale il trust presenta il collegamento più stretto (nei trust interni, l'Italia). Questa norma si applica qualora manchi un'espressa clausola sulla giurisdizione e qualora il convenuto sia domiciliato nel territorio di una Stato membro. Lo stesso regolamento stabilisce all'art. 23, n. 4, che il disponente può designare nell'atto costitutivo un giudice di uno Stato membro competente a giudicare per le azioni contro un fondatore, un trustee o un beneficiario di un trust, ove si tratti di relazioni tra tali persone o di loro diritti od obblighi nell'ambito del trust. Tuttavia, al fine di poter applicare la norma in esame, che consente la deroga della giurisdizione a prescindere dall'accordo fra le parti, è necessario che il disponente designi un giudice di uno Stato membro (non ad es. il giudice di Jersey) e che il convenuto sia domiciliato in uno Stato membro (non potrebbe applicarsi, ad esempio, al trustee domiciliato a Jersey). Non ricorrendo tali presupposti si ritiene debbano trovare applicazioni le norme della l. 218/1995 sopra ricordate. 9. Giurisdizione delle controversie relativa alla nomina del trustee e del protector, nonché alla modificazione di questo atto. Ogni procedimento mirante a fare pronunciare dal Giudice la nomina del trustee o del protector o di dare direttive al trustee o di modificare alcuna disposizione di questo Atto è obbligatoriamente ed esclusivamente sottoposto alla magistratura dello Stato la cui legge regola il trust ai sensi del precedente art. 7. Nota Nell'atto istitutivo che qui si commenta, sia la giurisdizione contenziosa che quella volontaria sono rimesse alla magistratura dello Stato la cui legge regola il trust. Tuttavia, nella prassi si danno casi in cui si distingue fra giurisdizione contenziosa, sottoposta allo Stato la cui legge regola il trust, e giurisdizione volontaria (ad es.: direttive al trustee, nomina di nuovo trustee), sottoposta alla magistratura italiana. 10. Forma degli atti. 10.1. Gli atti di cui agli articoli 5.1, 7.3, 17, 18, 27, 42.2, debbono rivestire la forma autentica a pena di nullità ed essere depositati presso il notaio che custodisce il presente Strumento. 10.2. Copie ed estratti potranno essere rilasciati solo dietro richiesta o previo consenso del Trustee / dei Trustees o del Protector o della Disponente in forma scritta. Nota Merita di essere sottolineato che la forma notarile non è necessaria e serve solo a realizzare una maggiore certezza del rapporto. 11. Riservatezza Ferme le disposizioni della legge regolatrice il trustee è tenuto a non comunicare ad alcuno alcuna informazione e a non consegnare alcun documento riguardante il trust se non ai beneficiari, a meno che tale comunicazione o consegna siano ritenuti dal Trustee necessari in relazione al compimento di un atto di amministrazione o di disposizione o allo svolgimento di un procedimento giudiziario. Nota Relativamente a questo punto bisogna avere particolare attenzione alla legge regolatrice del trust che, talvolta, pone disposizioni inderogabili dall'autonomia privata. Numerose leggi che regolano l'istituto del trust hanno cercato di contemperare il diritto alla riservatezza del disponente con il diritto di informazione dei beneficiaries. Generalmente, viene riconosciuto il diritto dei beneficiaries ad accedere ai trust documents (cfr. ad es. Trust Jersey Law 1984, art. 25) ma la dottrina ha rilevato come questa espressione sia ancora scarsamente definita. Come espressamente previsto da alcune leggi il trustee è tenuto a non esibire, neanche ai beneficiaries, la letter of wishes e i verbali delle riunioni dei trustees (cfr. Bahamas, Trustee Act 1998, sect. 83). 12. Allegati 12.1. Costituiscono parte integrante del presente atto due allegati (42.1 e 42.2). 12.2. Le disposizioni contenute negli allegati prevalgono su quelle contenute nel corpo dell’atto. 13. Poteri dei trustees o del trustee. 13.1. Il trustee/ I trustees gode/godono e dispone/dispongono dei beni del trust senza alcuna limitazione. Egli/Essi non dovrà/dovranno giustificare i propri poteri, che coincidono con quelli che la legge riconosce al proprietario o titolare di beni. [Eventualmente: I trustees amministrano i beni del trust e possono disporne all'unanimità, previo il consenso del protector, salvo quanto disposto dall'articolo 38.1.] 13.2. Il trustee/ I trustees ha/hanno [congiuntamente] la piena capacità processuale, tanto attiva quanto passiva, in relazione ai beni del trust. Egli/Essi possono comparire, nella sua/loro qualità di trustee, dinanzi a notai e a qualunque pubblica autorità senza che gli si possa eccepire la mancanza o l’indeterminatezza di poteri. 13.3. Resta fermo e impregiudicato il diritto del trustee/ dei trustees di rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenerne prescrizioni o direttive. Nota Il punto in commento fa leva sull'attribuzione al trustee o ai trustees della titolarità dei diritti sul trust fund per modellarne i poteri su quelli del proprietario. Sotto tale profilo la clausolazione diviene estremamente semplificata. Una seconda opzione stipulativa privilegia invece l'indicazione puntuale dei singoli poteri e facoltà attribuiti al trustee o ai trustees. Accedendo a tale tecnica di redazione indubbiamente il contratto si appesantisce, ma occorre considerare che in tal modo i poteri del trustee o dei trustees restano ben individuati e quindi, in qualche modo, viene limitata la sua responsabilità e quindi l'esposizione a contestazioni da parte dei beneficiaries. In linea di massima i contratti redatti secondo prassi anglosassoni attribuiscono al trustee o ai trustees, con una sorta di clausola generale, ogni potere previsto dalla legge indicata come applicabile al contratto nonché dalle norme di common law e a ciò aggiungono, sovente in allegati ad hoc, l'indicazione di specifici poteri e previsioni addizionali. In questa sede è evidentemente ultroneo prospettare una clausolazione "tipo" riferita a tali poteri e previsioni, anche perché essi sono evidentemente funzione della tipologia di trust e dei suoi scopi. 14. Indicazioni al trustee/ ai trustees 14.1. Nell’esercizio della propria discrezionalità, il trustee /i trustees terrà/terranno conto delle indicazioni manifestategli per iscritto i. dal disponente riguardo ai beni del trust da questo provenienti. ii. e, dopo la morte della disponente, dal protector. Ad esse si uniformerà/uniformeranno qualora le ritenga/ritengano conformi alle finalità del trust. 14.2. Fatte salve le disposizioni e le limitazioni espresse in questo atto, le facoltà e i poteri del trustee o dei trustees rimangono, tuttavia, pieni. Nota Questa clausola deve essere letta in stretta correlazione con le finalità del trust in funzione delle quali il trustee (o i trustees) deciderà se uniformarsi o meno alle indicazioni del settlor o, dopo la sua morte, del protector (si ricordi che nei casi previsti nell'atto istitutivo il consenso del protector può essere vincolante per il trustee). Di regola, il trustee (o i trustees) non ha alcun motivo per non assecondare le richieste del settlor espresse attraverso lo strumento della letter of wishes. Problemi si pongono solo qualora le indicazioni espresse dal settlor siano contrastanti con gli interessi di altri soggetti coinvolti nel trust, in primo luogo i beneficiaries. In questa ipotesi il trustee (o i trustees) sarà tenuto a verificare se la richiesta sia o meno conforme con le finalità del trust enunciate dallo stesso settlor nell'atto istitutivo. Nel caso in cui il settlor mantenga de facto un pregnante potere d’indirizzo e di controllo sull’attività del trustee (o dei trustees) e/o quest’ultimo si limiti a ratificare passivamente e sistematicamente le direttive contenute nelle letters of wishes del disponente, anche in contrasto con le finalità del trust, quest'ultimo potrà essere riqualificato dal giudice quale contratto di mandato. Nei casi in cui non si realizzi l'effettivo trasferimento dei beni al trustee (o ai trustees) e il conseguente venir meno del potere di gestione del disponente una parte della dottrina ritiene possibile il ricorso all'azione di simulazione (in forza del combinato disposto delle lett. e) ed f) dell'art. 15 della Convenzione dell'Aja e del 3° comma dell'art. 1414 c.c.). 15. Deleghe del trustee o dei trustees. Per la sola finalità di chiarimento e in quanto la legge regolatrice del trust richieda tale chiarimento, il trustee o i trustees a. Potrà/potranno delegare a terzi il compimento di singole attività per un tempo determinato, b. Potrà/potranno delegare a professionisti, a consulenti, a istituzioni finanziarie l’amministrazione dei beni del trust, in quanto essa ecceda le sue/loro capacità professionali e richieda una preparazione specialistica, c. Potrà/potranno nominare avvocati e procuratori. d. [eventualmente: Solo in caso di urgenza, e comunque escludendo ogni attività che implichi il consenso del protector, le sopra indicate attività possono essere intraprese dal Presidente del Comitato dei Trustees che contestualmente convoca il Comitato per rendere conto dell'iniziativa assunta.] Nota Questa clausola si rende necessaria posto che molte leggi stabiliscono il generale divieto di delega delle funzioni proprie del trustee salvo quanto disposto nell'atto istitutivo. Alcune leggi, in deroga al generale divieto di delega, prevedono la possibilità di delegare le attività gestionali che richiedano particolari capacità professionali. L'atto istitutivo, pertanto, è il luogo ove è possibile sia ampliare lo spettro delle attività delegabili oltre quelle espressamente previste dalla legge regolatrice del trust o escludere tout court la facoltà di delega del settlor derogando alla previsione legislativa (cfr. ad es. Trust Jersey Law 1984, art. 21). Quanto alla responsabilità del trustee per gli atti del delegato cfr. il commento al punto 23. La previsione che consente al Presidente del Comitato dei Trustees di intraprendere individualmente le attività suscettibili di delega è opportuna se si considera che, a fronte di attività specialistiche che eccedano le capacità professionali dei trustees, deve essere trovata la maggioranza (o l'unanimità) in seno al Comitato al fine di rendere operativa la delega. È evidente che nelle more del Comitato è necessario garantire l'espletamento delle funzioni del trust. 16. Conflitti di interesse 16.1. Il trustee [I trustees non beneficiari] non potrà in nessun caso rendersi acquirente di beni del trust, né trarre alcun vantaggio dai frutti da essi prodotti, né in alcuna forma godere le utilità che da essi derivano. 16.2. Il trustee/ I trustees non potrà/potranno attribuire alcun incarico professionale, né delega retribuita, né in alcun modo contrarre con persone o enti nei quali egli/essi o un proprio familiare abbia un interesse, a meno che il protector, posto a conoscenza delle circostanze, lo/li autorizzi espressamente per iscritto. Nota Qualora vengano a essere violate le condizioni prescritte nel punto in commento, il trustee sarà tenuto al risarcimento, nei confronti dei beneficiari, del danno derivato dall’operazione attuata, con restituzione al trust dei beni di cui il patrimonio è stato privato, nonché delle utilità che avrebbe conseguito se il comportamento da cui deriva la responsabilità non fosse stato commesso. Qualora il trustee sia titolare di azioni e si vuole consentire che assuma cariche sociali nelle relative società è preferibile inserire una apposita clausola al fine di evitare il sorgere di un possibile conflitto di interesse. Il settlor può utilizzare la clausola che segue: "È consentito al trustee di assumere cariche sociali in società nelle quali il trust abbia una partecipazione e di ricevere i relativi compensi nelle misure d'uso". 17. Revoca del trustee 17.1. Il disponente secondo le forme previste dalla legge regolatrice del trust, può in ogni tempo: i. revocare il trustee/ i trustees nominando un nuovo trustee/nuovii trustees; ii. nominare ulteriori trustees. 17.2. Il protector di propria iniziativa, ovvero a seguito di motivata richiesta congiunta dei beneficiari o della maggioranza dei trustees, può revocare uno dei trustees non beneficiari. Il protector decide discrezionalmente in base ai principi, criteri e scopi del presente trust, come qui redatto e con le eventuali integrazioni e/o modificazioni operate dal disponente. Nota Il potere di revoca può essere attribuito nell'atto istitutivo oltre che al disponente, o in luogo del disponente, al protector o, ma ciò si verifica più raramente, ai beneficiaries. Qualora il trust sia stato costituito da una pluralità di disponenti, la prassi tende ad escludere la revoca del trustee che è preposto a garantire il contemperamento degli interessi potenzialmente in conflitto. La revoca produce effetti immediati e non richiede una giusta causa. In ogni caso il trustee infedele che si sottrae agli obblighi assunti nei confronti dei beneficiaries potrà essere revocato dal giudice. In giurisprudenza cfr. Tribunale Milano, 21 novembre 2002, in Trusts 2003, p. 265 ss., che, relativamente all'ipotesi in cui i settlors e i trustees coincidono, ha disposto la revocabilità dei trustees qualora non abbiano adempiuto i loro doveri, non adoperandosi per mantenere inalterato il valore del bene in trust (un immobile) attraverso interventi di manutenzione, non abbiano tenuto un'adeguata contabilità, incorrendo in questo modo in sanzioni fiscali, e non siano stati imparziali, non tenendo conto dei diritti di tutti i beneficiari del trust. Questa pronuncia è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano, 20 luglio 2004, in http://www.iltrust-in-italia.it/, ed in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 9/2005, pp. 54 ss. Con riguardo alla revoca del trustee, il Tribunale di Roma, 8 luglio 1999, in Giur. it., 2001, p. 964, ha disposto che il trustee che sia stato revocato dall'incarico, in analogia con la disciplina del mandato, perde la legittimazione a pretendere la reintegrazione nel possesso dei beni in trust. Questa sentenza ha riformato il provvedimento emesso dal Pretore di Roma, 13 aprile 1999, in Trusts, 2000, p. 84, ove si legge che il possesso dei beni costituiti in trust da parte del trustee è tutelato dallo spoglio violento e clandestino anche se sia intervenuta la revoca dall'incarico di trustee, in quanto persiste in capo al trustee l'interesse alla restituzione dei beni in trust, se pur al limitato fine di trasferire ad altri la titolarità dei beni stessi. La revoca del trustee da parte del protector è un utile strumento ogni qual volta il trustee non sia persona vicina al disponente e sia necessario creare un collegamento fra il disponente e il trustee. Il protector indicherà al trustee le istanze dei soggetti interessati e qualora il trustee non si conformi a tali indicazioni provvederà a rimuoverlo e a nominare un successore. 18. Successione del trustee Qualora, per qualsiasi motivo il primo trustee nominato venga meno e vengano nominati, in qualità di trustee una o più persone fisiche si avrà che: 18.1. Qualora l’ufficio del trustee sia composto da più persone: i. e una venga a mancare per revoca, rinuncia, morte o incapacità il diritto di nominare il successore spetta al disponente, altrimenti a chi è rimasto nell’ufficio. La nomina del successore deve essere comunicata per iscritto al protector; ii. i componenti l’ufficio hanno facoltà di cooptare altre persone senza limite di numero, previo consenso scritto del disponente e dandone comunicazione scritta al protector; 18.2. il trustee singolo può in ogni tempo nominare un proprio successore, previo consenso scritto del disponente e dandone comunicazione scritta al protector; la revoca del trustee comporta di diritto la revoca del successore che egli abbia nominato. oppure 18.3. Qualora uno dei trustees venga a mancare per revoca, rinuncia, morte o incapacità, il diritto di nominare il successore spetta al disponente. La nomina del successore deve essere comunicata per iscritto al protector. 18.4. Qualora il disponente non possa o non voglia procedere alla nomina il diritto di nomina spetta al protector. In mancanza del protector, la nomina spetterà collegialmente ai trustees rimasti nell'ufficio, nel rispetto dei medesimi principi e criteri. Il protector, non appena ricostituito, dovrà confermare o sostituire il/i trustee/s così cooptato/i. Nota Di regola la nomina del nuovo trustee spetta allo stesso soggetto a cui l'atto istitutivo attribuisce la facoltà di revoca (in questo atto istitutivo il settlor). È opportuno prevedere che in mancanza della nomina da parte del settlor questa spetti a chi è rimasto nell'ufficio di trustee se composto da più persone (cfr. punto 18.1.) o al protector o ai beneficiaries. Infine, potrebbe rivelarsi opportuna una clausola di chiusura (cfr. il punto 20) che rimetta all'autorità giudiziaria la nomina del trustee qualora i soggetti legittimati non siano più esistenti o rimangano inerti. È anche possibile stabilire dei criteri a cui l'autorità giudiziaria è chiamata a conformarsi nella scelta del nuovo trustee (ad es. persona vicina alla famiglia o persona con peculiari capacità professionali). In giurisprudenza può utilmente confrontarsi Trib. Milano, sent. n. 14115 del 21/11/2002, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 30/2003, pp. 125 ss. 19. Dimissioni del trustee 19.1. Le dimissioni del trustee hanno effetto trenta giorni dopo che egli ne abbia dato comunicazione scritta al protector e alla disponente. 19.2. In caso di più trustees nominati le dimissioni avranno effetto come sopra. In questo caso il trustee permane nell’ufficio fino alla nomina del suo successore. Nota Il punto in esame regolamenta l'esercizio della facoltà del trustee di dimettersi dal suo ufficio. Di regola nell'atto istitutivo è indicato un termine prima del quale le dimissioni del trustee restano improduttive di effetti al fine di garantire la continuità nell'ufficio di trustee. Una maggiore garanzia di continuità si ha qualora l'atto istitutivo preveda che il trustee permanga nel suo ufficio sino alla nomina del successore di modo che sia assicurato il passaggio di consegne al nuovo trustee. Peraltro, è obbligo del trustee verificare che esista un suo successore prima che possa abbandonare le sue funzioni, come si evince dal punto 21 di questo strumento che impone al trustee di porre in essere ogni atto necessario al trasferimento dei beni in trust al suo successore. In caso di più trustees nominati, le dimissioni di uno dei trustees determineranno l'accrescimento della titolarità dei beni in capo agli altri trustees ma anche in questa ipotesi si può prevedere che il trustee dimissionario permanga nell'ufficio fino alla nomina del suo successore. 20. Mancanza del trustee Ove l’ufficio del trustee venga a mancare per revoca, dimissioni, morte o incapacità e non sia nominato alcun trustee provvede l’autorità giudiziaria competente in forza dell’art. 9. Nota Questa clausola di chiusura è utilizzata nella prassi al fine di garantire che in caso di sopravvenuta inesistenza dei soggetti chiamati a nominare il nuovo trustee o di loro inerzia venga comunque designato un successore nell'ufficio di trustee. È anche possibile stabilire dei criteri a cui l'autorità giudiziaria è chiamata a conformarsi nella scelta del nuovo trustee (ad es. persona vicina alla famiglia o persona con peculiari capacità professionali). Va inoltre attentamente considerato che la scelta di un trustee che sia persona giuridica (come ad es. nella legge di S. Marino) limita l’applicazione di questa regola alla sola rinuncia. 21. Trasferimento dei beni del trust in caso di cambiamento del trustee 21.1. In caso di revoca o dimissioni del trustee, egli è tenuto a porre in essere, senza indugio, ogni necessario atto per trasferire i beni del trust al suo successore, consegnandoli qualsiasi atto e documento in suo possesso che abbia attinenza con il trust o i beni del trust, fornendogli ogni ragguaglio che il nuovo trustee ragionevolmente gli chieda e in genere ponendo costui in grado, per quanto in suo potere di prendere possesso dei beni del trust e di assolvere senza difficoltà le obbligazioni inerenti all’ufficio. 21.2. In caso di più trustees nominati la cessazione di un componente l’ufficio di trustee, per morte, revoca o dimissioni, determina la perdita di ogni diritto sui beni del trust per accrescimento in favore di colui o di coloro che rimangono nell’ufficio, ai quali, in caso di revoca o dimissioni, è tenuto a consegnare senza indugio qualsiasi atto e documento in suo possesso che abbia attinenza con il trust o i beni del trust. In caso di morte, la suddetta obbligazione di consegna fa carico agli eredi. 21.3. In ciascuno dei casi che precedono, è lecito a chi consegna atti e documenti di farne e trattenerne copie, ma unicamente di avvalersene qualora vengano promosse azioni legali nei suoi confronti. Nota Il meccanismo dell'accrescimento si spiega in virtù del fatto che i beni in trust sono separati dal patrimonio del trustee e non rientrano nella successione dei suoi beni in caso di morte. I beni del trust infatti non fanno parte del patrimonio del trustee anche se sono intestati a suo nome (cfr. artt. 2 e 11 della Convenzione de L'Aja). Il trasferimento dei beni del trust al successore deve essere reso opponibile ai terzi e quindi sottoposto alle forme di pubblicità previste dalla legge italiana. Se previsto nell'atto istitutivo deve risultare dal Libro degli eventi del trust. Come sottolineato da una parte della giurisprudenza, al fine del trasferimento, il trustee che sia stato revocato dal suo ufficio conserva il diritto all'azione possessoria per la reintegrazione dei beni in trust (Pretura di Roma, 13 aprile 1999, in Trusts, 2000, p. 84). 22. Compenso del trustee/dei trustees 22.1. Le spese sostenute dal trustee/dai trustees per l’adempimento di quanto disposto in questo atto sono a carico del trust. 22.2. Chi ha diritto di nominare il trustee/i trustees ha anche diritto di convenire con questi il compenso spettantegli. 22.3. Il trustee ha diritto di prelevare il proprio compenso dal trust fund all’inizio di ciascun anno di durata dell’incarico. Oppure 22.3. I trustees determinano il proprio compenso con il consenso del protector ed hanno diritto di prelevarlo dal trust fund all'inizio di ciascun anno di durata dell'incarico. Nota L’incarico di trustee è normalmente gratuito, ma può prevedersi un corrispettivo, in special modo se a svolgere l’ufficio sia un trustee professionista ovvero una società. In questo caso nell'atto istitutivo si può prevedere che il compenso sia stabilito di concerto con il disponente o con il protector, di regola con la persona a cui è demandata la nomina del trustee. La clausola può comunque essere sostituita con l’espressa indicazione del compenso. 23. Esonero da responsabilità del trustee/dei trustees 23.1. Il trustee/i trustees è/sono esonerato/i da responsabilità per i propri atti e omissioni, tranne per quelli: i. difformi dalle prescrizioni della legge regolatrice del trust ovvero: ii. in violazione delle disposizioni del presente atto, iii. in conflitto di interessi, anche solo potenziale, sebbene nessun danno ne sia derivato al trust fund (in questo caso qualunque interessato potrà chiedere la revoca del trustee al protector o al giudice). 23.2. Il trustee/ I trustees è/sono esonerato/i da responsabilità per gli atti e omissioni dei terzi, da lui/loro indicati o delegati conformemente a quanto stabilito nell’art. 15: i. qualora si tratti di professionisti e consulenti, ove essi siano legalmente abilitati a svolgere tale attività; ii. qualora si tratti di altri soggetti, salvo il caso di loro dolo o colpa grave, come intesi dalla legge italiana ovvero fraud o gross negligence come intesi dalla legge regolatrice. 23.3. Il trustee / I trustees è/sono esonerato/i da responsabilità qualora, prima del compimento di un atto, abbia[no] chiesto (in buona fede) e ottenuto un parere scritto da parte di un legale abilitato e si sia[no] comportato/i in conformità. Nota In primo luogo, per valutare l'operatività di una clausola di esonero o di limitazione della responsabilità del trustee si deve guardare la legge regolatrice del trust. Infatti, alcune leggi sanzionano con l'invalidità quelle clausole dirette ad escludere la responsabilità del trustee in caso di dolo (fraud), consapevole cattiva gestione (wilful misconduct) e colpa grave (gross negligence) (cfr. ad es. Trust Jersey Law 1984, art. 26(9): "Nothing in the terms of a trust shall relieve, release or exonerate a trustee from liability for breach of trust arising from his own fraud, wilful misconduct or gross negligence"). Per quel che concerne gli atti e le omissioni dei terzi delegati dal trustee, la responsabilità di quest'ultimo può essere modulata sui concetti di culpa in eligendo e di culpa in vigilando. Tuttavia, come nell'atto istitutivo in commento, l'abilitazione per legge a svolgere una determinata professione può ritenersi elemento sufficiente ad escludere ogni responsabilità del trustee. Per gli altri soggetti è, invece, necessario indicare espressamente i presupposti della responsabilità del trustee. Alternativamente al criterio del dolo o della colpa grave del delegato può utilizzarsi quello della diligenza del buon padre di famiglia nella scelta e nella supervisione dell'attività del delegato. 24. Luogo dell’amministrazione del trust 24.1. Il luogo dell’amministrazione del trust è fissato in […….] attualmente in ……. 24.2. Ogni atto, contabilità e documento del trust dovrà essere custodito nel luogo dell’amministrazione. 24.3. Il trustee/I trustees, previo consenso del protector, può/possono trasferire l’amministrazione del trust, in altro luogo, purché in Europa. 24.4. In caso di successione del trustee, il luogo dell’amministrazione del trust può essere modificato dal trustee, affinché coincida con quello del suo domicilio. In questo caso, il trustee deve informarne per iscritto il protector e il disponente. 25. Rendiconto del trustee 25.1. Il trustee/I trustees consegna[no] annualmente al protector l’inventario del trust fund, unitamente a una relazione sull’amministrazione. 25.2. Ove il protector lo chieda, il trustee / I trustees deve/debbono sottoporsi a una verifica contabile e amministrativa, condotta da un professionista abilitato, nominato dal protector a spese del trust fund. Nota La clausola in commento comporta, in primo luogo, l'obbligo del trustee, sia professionale che occasionale, di tenere una contabilità relativamente all'amministrazione dei beni in trust. Quanto alla forma non è prescritto alcun obbligo specifico ma è evidente che la contabilità dovrà risultare da documenti scritti, necessari al fine di redigere il rendiconto, in questo caso periodico ma talvolta solo finale, e al fine di consentire ai professionisti abilitati di eseguire le verifiche contabili e amministrative. L'obbligo di rendicontazione è previsto, di regola, nelle leggi regolatrici del trust e pertanto si pone in capo al trustee a prescindere dalla espressa inclusione nell'atto istitutivo (cfr. Trust Jersey Law 1984, art. 17(5): "A trustee shall keep accurate accounts and records of his trusteeship"). Sul punto cfr. il Tribunale di Milano, 20 ottobre 2002, in Trusts, 2003, p. 265 ss., ove si è riconosciuto il potere del giudice di revocare i trustees qualora non abbiano tenuto un'adeguata contabilità. 26. Poteri del protector 26.1. Il protector è titolare di ogni potere attribuitogli in questo atto, dalla legge regolatrice; inoltre: i. deve essere consultato dal trustee/dai trustees, così da potere concedere o negare il proprio vincolante consenso, prima che il trustee/i trustees compia[no] o autorizzi[no] il compimento di qualsiasi atto di alienazione di beni del trust o di costituzione di garanzie reali su di essi o di stipulazione di contratti che ne attribuiscano a terzi il godimento, per qualsiasi titolo, per un periodo eccedente i nove anni; ii. ha diritto di agire contro il trustee/i trustees in caso di violazione, da parte di quest’ultimo/i, delle disposizioni contenute in questo atto o delle norme della legge regolatrice del trust o di qualsiasi altra legge applicabile a uno specifico atto; iii. ha facoltà di esprimere la propria opinione sugli affari del trust, anche se non ne venga richiesto dal trustee/ dai trustees. 26.2. Il trustee/I trustees è/sono tenuto/i a rispettare con il massimo scrupolo le prerogative del protector, interpretando ogni disposizione dubbia di questo atto nel senso della maggiore ampiezza di tali prerogative. 26.3. Qualunque riferimento in questo atto al consenso del protector comporta che il trustee/I trustees debba[no) chiederlo e ottenerlo prima del compimento dell’atto al quale esso si riferisce, a pena di invalidità dell’atto medesimo e di responsabilità per ogni danno arrecato. Nota E' usuale conferire al protector il diritto di essere consultato dal trustee prima del compimento di significative operazioni di gestione, attribuendogli di norma un potere di veto al riguardo. Naturalmente ciò va reso coerente con i poteri attribuiti al trustee ma in linea di massima nella prassi anglosassone al protector viene riconosciuto un potere interdittivo delle seguenti facoltà dei trustees: (i) potere di distribuire anticipatamente ai beneficiaries redditi generati dal trust fund ovvero di distribuire (sempre anticipatamente) porzioni del trust fund; (ii) potere di costituire nuovi trusts; (iii) (iv) potere di nominare nuovi beneficiaries o revocare la nomina fatta dal settlor o dal trustee stesso; potere di concedere prestiti ai beneficiari e di consentire loro l'occupazione di beni facenti parte del trust fund, Oltre a ciò di massima al protector viene attribuito il potere generale di estendere o limitare i poteri e le facoltà accordate al trustee. I poteri del protector vanno regolati in relazione alla tipologia di trusts. Di norma, nei trust di famiglia il protector è la persona di fiducia del settlor e interviene al fine di coordinare l'attività discrezionale del trustee con le esigenze della famiglia. Nei trusts commerciali il protector si fa interprete degli accordi fra i beneficiari e ne garantisce l'attuazione. 27. Successione del protector Qualora, per qualsiasi motivo il primo protector nominato venga meno e vengano nominati, in qualità di protector una o più persone fisiche si avrà che: a. il disponente può in ogni tempo nominare un successore del protector, stabilendo il momento iniziale dell’esercizio dell’ufficio da parte del successore e dandone comunicazione scritta al protector e al trustee/ai trustees; b. se il disponente non vi abbia provveduto, il protector può, in ogni tempo, nominare un proprio successore, stabilendo il momento iniziale dell’esercizio dell’incarico da parte del successore e dandone comunicazione scritta alla disponente; c. ove l’ufficio del protector venga a mancare per dimissioni, morte o incapacità e non sia nominato alcun protector, il trustee ha il diritto, ma non l’obbligo, di provvedere alla nomina del protector. Qualora nessuno dei nomi proposti consegua la maggioranza assoluta dei componenti, dopo tre scrutini sono eletti quali protectors i due nomi che hanno conseguito il maggior numero di suffragi; i due eletti, di comune intesa, scelgono un terzo protector che completa il collegio. oppure a. ove l'ufficio del protector venga a mancare per dimissioni, morte o incapacità e non sia nominato alcun protector, i trustees hanno il diritto, ma non l'obbligo, di provvedere alla nomina del protector. b. le dimissioni del protector devono essere comunicate per iscritto al Comitato dei Trustees, ai beneficiari e al disponente e producono effetto dalla nomina del successore. Nota Oltre alla formulazione del presente atto istitutivo, nella prassi è frequente prevedere che in caso di dimissioni o morte del protector la nomina spetti al settlor e dopo la sua morte ai beneficiaries. Inoltre, può risultare opportuna una clausola di chiusura che stabilisca la nomina del protector da parte dell'autorità giudiziaria qualora i soggetti legittimati siano venuti a mancare o restino inerti. In questa ipotesi può essere opportuno inserire alcuni criteri a cui l'autorità giudiziaria sarà chiamata ad uniformarsi nella scelta del protector. 28. Revoca del protector 28.1. Il protector può essere revocato in ogni tempo dal disponente per mezzo di atto scritto comunicato al Trustee/ai trustees e, successivamente, con decisione unanime dei trustees raccolta in un atto scritto comunicato al protector e al Comitato dei Trustees. 28.2. Se più persone compongono l’ufficio di protector ciascuna di esse può essere revocata. 28.3. La revoca del protector comporta di diritto la revoca del successore che egli abbia nominato. Nota La revoca del protector non è una clausola normalmente utilizzata nella prassi. Naturalmente, questa attribuisce al settlor un maggiore controllo sul trust e una maggiore influenza sull'attività del protector. La facoltà di revoca del protector può anche essere attribuita ai beneficiaries. 29. Mancanza del protector Qualora il trust si trovi senza protector, ogni menzione al protector in questo atto si intenderà omessa. 30. Compenso del protector 30.1. Le spese sostenute dal protector per l’adempimento di quanto disposto in questo atto sono a carico del trust.. 30.2. Il disponente e il protector converranno il compenso spettante a quest’ultimo; esso è posto a carico del trust. Successivamente il compenso si rivaluta in ragione di un ammontare determinato dal disponente 31. Amministrazione dei beni del trust 31.1. Al solo fine di chiarimento e in quanto la legge regolatrice del trust lo richieda, si precisa che il trustee/i trustees: i. Potrà/potranno delegare a professionisti, a consulenti, a istituzioni finanziarie l’amministrazione dei beni del trust; ii. potrà/potranno delegare a terzi il compimento di singole attività per un tempo determinato; iii. potrà/potranno prendere somme a mutuo, ponendo i beni del trust a garanzia; iv. potrà/potranno assolvere qualunque imposta, posta in qualsiasi Stato a carico del trust o del trustee/dei trustees o dei beneficiari in conseguenza dell’esistenza o degli effetti del trust o del reddito o del capitale da esso ricevuto o distribuito, anche se tale imposta non sia o non possa essere pretesa contro il trustee/i trustees. 32. Regime dei beni del trust 32.1. Il trustee/i trustees è/sono obbligato/i a tenere i beni del trust separati dai propri. In particolare: i. tutte le volte che si tratti di beni o diritti iscritti o iscrivibili in registri, pubblici o privati, il trustee/i trustees è tenuto/sono tenuti a richiederne l’iscrizione o nella sua/loro qualità di trustee/ trustees o al nome del trust o in qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust; ii. i rapporti bancari istituiti dal trustee/dai trustees e tutti i contratti da lui/loro stipulati saranno intestati o al trust o al trustee/ai trustees nella sua/loro qualità. 32.2. Il protector e chiunque altro vi abbia interesse potrà rivendicare i beni del trust qualora il trustee/i trustees, in violazione dei propri obblighi, li abbia o confusi con i propri o alienati o su di essi abbia costituito diritti di terzi. Nota Il punto in commento impone considerazioni separate in funzione della diversa natura del bene: Beni immobili. Nel caso in cui sia conferito in trust un bene immobile, deve essere operata la trascrizione contro il settlor e in capo al trustee (con indicazione del trust) ai sensi degli artt. 2643 ss. Qualora il deed of trust si configuri come atto condizionato risolutivamente (ad esempio si preveda la possibilità della revoca del trustee da parte del protector) è necessario procedere alle relative annotazioni ai sensi dell’art. 2655 c. civ. In giurisprudenza contro la trascrizione dell'atto di trasferimento al trustee si è espresso il giudice tavolare di Cortina d'Ampezzo le cui motivazioni sono riportate in Tribunale di Belluno, 25 settembre 2002, in Foro it., 2003, I, p. 649; lo stesso Tribunale di Belluno, 25 settembre 2002, cit., p. 651 ss., ha rigettato il conseguente reclamo alla pronuncia del giudice tavolare. Contraria alla trascrizione dell'atto istitutivo di trust la Corte d'Appello di Napoli, 27 maggio 2004, la cui massima si può leggere in Santoro L., Il Trust in Italia, Milano, Giuffrè, 2004, p. 587. La giurisprudenza maggioritaria è invece favorevole alla trascrivibilità dell'atto istitutivo di trust, in particolare cfr. Tribunale di Bologna, 18 aprile 2000, in Trusts, 2000, p. 372 ss.; Tribunale di Bologna, 1º ottobre 2003, in Vita not., 2003, 3, p. 1297 ss.; Tribunale di Pisa, 22 dicembre 2001, in Trusts, 2002, p. 241 ss.; Tribunale di Verona, 8 gennaio 2003, in Trusts, 2003, p. 409 s.; Tribunale di Parma, 21 ottobre, 2003, in Guida al diritto, 2003, p. 65 ss., ove si è riconosciuta la trascrivibilità nei registri immobiliari dell'atto con cui un soggetto si nomina trustee di un bene immobile di sua proprietà (trust cd. autodichiarato); Tribunale di Chieti, 10 marzo 2000, in Trusts, 2000, p. 372, ove si è dichiarato ingiustificato il rifiuto della Conservatoria dei Registri immobiliari di trascrivere l'atto di compravendita immobiliare nel quale l'acquirente è un soggetto che agisce in qualità di trustee. Si veda inoltre il decreto del Tribunale di Milano in data 8 ottobre 2002, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 30/2003, pp. 116 ss. Da ultimo sulla ammissibilità della pubblicità dell'atto traslativo attuato con il trust cfr. Tribunale di Trento, 20 luglio 2004, in Santoro L., Il Trust in Italia, cit., p. 591. Beni mobili registrati. Per i beni mobili registrati, la qualità del trustee deve essere iscritta o trascritta negli appositi registri: - per le navi e gli aeromobili, v. gli artt. 998 ss. - per gli autoveicoli v. gli artt. 6 e 18 d.l. 15 marzo 1927, n. 436. Aziende. Nel caso in cui sia costituita in trust un’azienda, si applica il regime del trasferimento di azienda con indicazione dell’acquirente quale trustee (art. 2556 c. civ.). Proprio perché si pone un problema di opponibilità ai terzi del vincolo gravante sul patrimonio aziendale, la qualità di trustee andrà pubblicizzata anche in relazione al regime della pubblicità dei singoli beni che compongono l’azienda (beni immobili, mobili registrati). In termini di disciplina, salvo che non sia stato diversamente previsto nell’atto di trust, si può porre il problema dell’applicazione analogica delle norme che regolano l’usufrutto di azienda (art. 2561 c. civ.) e il pegno di beni fruttiferi (art. 2791 c. civ.). Titoli di credito. - Per quanto concerne i titoli di credito nominativi, il trasferimento al trustee deve risultare attraverso l’annotazione sul titolo (Tizio, trustee del trust ***) e l’iscrizione nel registro dell’emittente (cfr. a questo riguardo la disciplina di cui all’art. 167 c.c.). - Per quanto concerne i titoli all’ordine è necessario lo spossessamento, la girata alla persona quale trustee e l’indicazione della destinazione al trust. - Per i titoli al portatore si pongono i medesimi problemi del trasferimento di denaro liquido, sia con riguardo ai limiti previsti dalla legge per la consegna di denaro in contanti sia con riguardo ai problemi di opponibilità del vincolo di destinazione. - Nel caso di titoli affidati in gestione centralizzata, la qualità del trustee deve risultare dal registro del gestore. - Per i titoli rappresentativi di merci deve ritenersi che oggetto del trust sono le cose in esso specificate (argomento dall’art. 2786 c. civ.), conseguentemente rispetto a queste si porrà il problema della pubblicizzazione e dell’opponibilità del vincolo costituito dal trust. Partecipazioni sociali. - Per le azioni di società vale quanto appena considerato in ordine ai titoli nominativi. - Per le quote di società il socio trustee dovrà essere indicato come tale nel libro soci (art. 2479, 2° co., c. civ.). Merita in ogni caso sottolineare che trattandosi di circolazione della partecipazione sociale a tutti gli effetti, troveranno applicazione le regole statutarie inerenti la prelazione e il riscatto. Patrimoni liquidi (deposito amministrato). Per il patrimonio da affidare in gestione, deve essere ricordato che l'intera area comunitaria (esclusa, quindi, la Confederazione Elvetica) è regolata dalla Direttiva 93/22/Cee, secondo la versione adottata da ciascun Paese aderente (la versione italiana è attualmente consacrata nel testo unico finanziario: d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58). Il patrimonio va affidato a un intermediario abilitato (banca o impresa di investimento) secondo un contratto, scritto, che deve contenere le caratteristiche della gestione del portafoglio di investimento. Il deed of trust dovrebbe contenere delle indicazioni in proposito. Beni mobili. Per i beni mobili l’opponibilità nei confronti degli aventi causa dal trustee del vincolo di destinazione si realizza attraverso lo spossessamento e dimostrando l’anteriorità della pretesa con riferimento alla data certa anteriore del deed of trust (come può argomentarsi dall’art. 1707 c. civ.). Quindi, nei casi in cui la scrittura costitutiva di trust non sia autenticata, trova applicazione l’art. 2704 c.c., in ordine al quale il documento acquista la data del fatto certo che con esso può mettersi in relazione (cfr. anche l’art. 2915 c.c.). Merita sottolineare che la costituzione di beni mobili in trust, là dove non sia possibile realizzare forme di pubblicità del vincolo, appare comunque problematica: anche i beni mobili in trust sono soggetti al principio del ‘possesso vale titolo’ fissato all’art. 1153 c.c., in ordine al quale l’acquirente in buona fede dal non legittimato a disporre acquista comunque il diritto di proprietà sul bene conseguendone il possesso. Beni d’arte Per i beni d’arte, ferme restando le regole in ordine alla prelazione a favore dello Stato, le regole di circolazione sono essenzialmente quelle dei beni mobili. Può, tuttavia, ipotizzarsi la possibilità di realizzare un meccanismo di pubblicità sul singolo bene (attraverso ad esempio l’etichettatura che rechi la data certa). Quanto alla "rivendicazione" dei beni in trust, oggetto di un atto di disposizione improprio da parte del trustee, l'art. 11, 3º comma, della Convenzione de L'Aja rinvia alla legge regolatrice del trust. Di regola le leggi straniere prevedono la possibilità di agire nei confronti dei terzi con la sola eccezione dell'acquisto di buona fede e a titolo oneroso. A titolo di esempio si consideri Trust Jersey Law 1984, art. 50(3) in forza del quale: "Without prejudice to the liability of a trustee for breach of trust, trust property which has been alienated or converted in breach of trust or the property into which it has been converted may be followed and recovered unless – (b) it is in the hands of a bona fide purchaser for value without notice of a breach of trust. 33. Custodia di titoli e di strumenti finanziari 33.1. Il trustee/i trustees deve/debbono custodire i titoli azionari, obbligazionari e in genere gli strumenti finanziari che formano parte del trust fund. 33.2. Il trustee/i trustees è/sono esentato/i da responsabilità qualora egli depositi i predetti beni presso una banca al nome del trust o al proprio nome nella specifica qualità di trustee di questo trust. 33.3. Qualora il trustee sia una società che professionalmente opera quale trustee il deposito può avere luogo unitamente a titoli appartenenti ad altri trusts, ma solo qualora si tratti di titoli non negoziati in alcun mercato regolamentato. Nota La clausola di cui al punto 33.3. può anche essere formulata come segue: "Qualora il trustee sia una società fiduciaria il deposito può avere luogo anche unitamente a titoli appartenenti ad altri trusts, ma solo qualora si tratti di titoli nominativi, intestati al trust o al trustee del trust, e non negoziati in alcun mercato regolamentato". 34. Partecipazioni in società Qualora tra i beni del trust siano incluse azioni o quote di società, il trustee non avrà alcun obbligo di partecipare alla gestione della società o di nominare persone che partecipino alla amministrazione della società a meno che non gli venga una specifica indicazione in tal senso dal protector. [Eventualmente: I trustees dovranno, con il consenso del protector, partecipare alla gestione della società o nominare gli amministratori della società le cui quote o azioni siano incluse tra i beni del trust.] Nota La giurisprudenza si è occupata dell'iscrivibilità nel Registro delle Imprese di un atto di trasferimento di quote di una s.r.l. dal settlor in favore del trustee. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 14 luglio 1999, in Trusts, 2000, p. 251, ha escluso che il trust interno rientri fra gli atti tipici per cui la legge consente l'iscrizione. Si osservi che lo stesso atto di trasferimento di quote in oggetto ha invece ricevuto iscrizione presso il Registro delle Imprese di Napoli. Favorevole all'iscrizione nel Registro delle Imprese del trasferimento di quote di una s.r.l. il Tribunale di Bologna, 16 giugno 2003, in Trusts, 2003, p. 580 ss. Sul trasferimento di quote della s.r.l. a seguito della riforma del diritto societario nell’ottica fiduciaria si veda V. DE STASIO, Il trasferimento della quota di s.r.l. nella riforma del diritto societario, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 2/2003, pp. 25 ss. Un punto problematico della partecipazione del trustee alla gestione della società è la partecipazione alle assemblee societarie. Di regola, il trustee seguirà le indicazioni del settlor o del protector relativamente all'esercizio del diritto di voto. Tuttavia, il trustee è primariamente obbligato verso i beneficiaries e non potrà esercitare il voto in modo pregiudizievole verso questi ultimi anche a costo di disattendere le indicazioni del settlor e del protector. Può anche verificarsi l'ipotesi che il settlor amministri la società le cui azioni sono nel trust fund in modo pregiudizievole per la società e di riflesso per i beneficiaries. In tal caso il trustee dovrà adottare ogni misura idonea a preservare l'interesse della società. Sul tema può utilmente leggersi la nota redazionale dal titolo Partecipazione alle assemblee delle società amministrate dalla società fiduciaria: una pronuncia, in via d’urgenza, della Sezione feriale del Tribunale di Milano 26 luglio 2001 11, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria, 44/2001, pp., 11 ss. Una specifica questione sul punto è affrontata da E. BILOTTI, L’intervento della società fiduciaria nelle assemblee delle società per azioni: rappresentanza in assemblea e voto divergente, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria , 2/2003, pp. 31 ss. 35. Stipulazione di polizza unit linked 35.1. Il trustee , quale primo impiego delle somme rivenutegli, sottoscriverà una polizza unit linked a premio unico sulla vita del disponente avente le caratteristiche descritte ai punti successivi. 35.2. Il trustee dovrà designare quali beneficiari della polizza [………..] in parti uguali, purché abbiano raggiunto l’età di cui infra sub. 35.3. 35.3. Fino al compimento del venticinquesimo anno di età, in caso di premorienza del disponente, beneficiario della polizza sarà il trustee stipulante il quale dovrà amministrare la somma riveniente dal pagamento del rischio assicurato come protective trust ai sensi del……. Nota La polizza configurata nel punto in commento rientra nel più ampio schema dell'assicurazione sulla vita di un terzo. Ai sensi dell'art. 1919 c.c. il terzo (in questo caso la disponente) deve prestare il suo consenso per iscritto. La clausola in esame integra senz'altro il requisito di validità di ci all'art. 1919 c.c. Contraente della polizza è il trustee e sarà quest'ultimo ad obbligarsi alle clausole della polizza assicurativa e ad esercitarne le facoltà. Nella polizza vita unit-linked il premio versato dal contraente viene impiegato per l'acquisto di parti di specifiche attività finanziarie (ad es. parti di un fondo immobiliare, una Sicav) o di un fondo comune di investimento. Il tipo di fondo può essere obbligazionario, bilanciato o azionario a seconda della propensione al rischio del contraente. Di regola le polizze unit-linked prevedono la possibilità di variare dopo la conclusione del contratto la strategia di investimento e di passare da una strategia più prudente a una più aggressiva e viceversa. Posto che questa facoltà spetta al contraente della polizza (in questo caso il trustee), può essere opportuno che il settlor indichi nell'atto istitutivo il grado di rischio che intende sopportare, ad es. scegliendo una tipologia più specifica rispetto alla generale categoria delle polizze unit-linked. In relazione al rischio finanziario si distingue infatti fra tre tipologie: a) Unit-linked pure, ove il risparmiatore sopporta per intero il rischio finanziario; b) Guaranteed unit-linked, ove è prevista una garanzia finanziaria o assicurativa (riassicurazione) più o meno ampia; c) Partial guaranteed unit-linked, ove si realizza una sintesi delle due precedenti tipologie. Con riguardo al punto 35.3. la clausola protective consente di proteggere i beni in trust dall'aggressione dei creditori del beneficiario. Tale clausola infatti mette fine al diritto di quest'ultimo al verificarsi di un determinato evento che deve essere indicato nell'atto istitutivo. Così se si individua quale evento l'esecuzione dei creditori, al suo verificarsi la clausola porrà fine al diritto di credito del beneficiario che si trasformerà in mera aspettativa e il trust si riqualificherà quale trust discrezionale. 36. Reddito del trust fund: definizione 36.1. Per “reddito del trust” si intende ogni frutto, dividendo, interesse o altra utilità prodotto dal “trust fund” e: i. percepito dal trustee/dai trustees, ovvero ii. mantenuto nel patrimonio di società di proprietà, diretta o per mezzo di fiduciari o di altre società, del trust. 36.2. In quest’ultimo caso, il trustee/i trustees ha/hanno facoltà di non percepire il reddito e di avvalersi della sua/loro posizione di azionista o di amministratore per ottenerne l’investimento o la disposizione, ovvero l’impiego in favore dei soggetti che ne hanno diritto in forza di questo atto o in favore dei quali egli/essi è/sono comunque tenuto/i o ha/hanno facoltà, di provvedere. [Eventualmente: I trustees debbono comunque assicurare ai beneficiari un reddito costante, determinato in misura di ……(indicare se non si vuole rimettere alla discrezionalità del/dei trustee/s la determinazione del reddito)]. 36.3. Al fine di garantire che l’esercizio dei poteri connessi alla posizione di azionista o di amministratore sia conforme alle finalità del trust, il trustee dovrà sempre ottenere il consenso del protector per il compimento delle attività di cui al comma che precede. Nota Se fra i beni del trust sono compresi beni immobili, il godimento di questi deve essere compreso nella nozione di reddito del trust e se ne deve tenere conto nella distribuzione del reddito del trust. 37. Reddito del trust fund: distribuzione 37.1. Il reddito del trust assolto ogni costo relativo all’amministrazione del trust fund, sarà, a discrezione del trustee/dei trustees, ma con il consenso del protector, mantenuto nel trust o corrisposto ai beneficiari del reddito o parte mantenuto e parte corrisposto. 37.2. Appartiene alla discrezionalità del trustee/dei trustees, con il consenso del protector, scegliere di volta in volta fra i beneficiari del reddito e determinare quanta parte distribuire e a chi. 37.3. Tuttavia, verificatasi la situazione di cui infra sub 40.4 il trustee, con il consenso del protector, dovrà prestare particolare attenzione alla singola necessità dei beneficiari. Nota Con riguardo alla distribuzione del reddito del trust, l'atto istitutivo prevede il necessario consenso del protector perché il trustee/i trustees possa/possano esercitare la sua/loro discrezionalità. Talvolta si preferisce prevedere la mera consultazione del protector al fine di rendere più agile l'attività del trustee/dei trustees. Naturalmente, il livello di fiducia che il settlor ripone nel trustee/nei trustees sarà determinante al fine di aderire all'uno o all'altro modello. Inoltre, è possibile prevedere che per un determinato periodo di tempo prestabilito il trustee/i trustees non possa distribuire il reddito ma solo accumularlo. Successivamente al decorso di detto termine il trustee/i trustees potrà/potranno o mantenere il reddito in trust o distribuirlo in tutto o in parte ai beneficiari del reddito. L'atto istitutivo può anche prevedere le quote spettanti a ciascun beneficiario del reddito escludendo ogni discrezionalità del trustee/dei trustees. 38. Necessità del disponente o dei beneficiari 38.1. Il trustee/I trustees è/sono tenuto/i a valutare periodicamente se la disponente o i beneficiari finali abbiano necessità di somministrazione di mezzi finanziari per ragioni di malattia o di sopravvenute difficoltà che non consentano loro di mantenere il proprio ordinario tenore di vita. 38.2. Qualora si verifichi una di queste circostanze, il trustee/i trustees è/sono tenuto/i a devolvere le somme di denaro necessarie, ottenute anche per mezzo dell’alienazione di beni del trust fund, come segue: i. ove si tratti di sovvenzione al disponente, con correlativa diminuzione dei diritti dei beneficiari ii. ove si tratti di sovvenzione a uno fra i beneficiari finali, trattando tale sovvenzione come distribuzione anticipata di parte della quota spettantegli. Oppure 38.2. Qualora si verifichi una di queste circostanze, i trustees sono tenuti a devolvere le somme di denaro necessarie, ottenute anche per mezzo dell’alienazione di beni del trust fund, trattando tale sovvenzione come distribuzione anticipata di parte della quota spettante al beneficiario. Nota Come si legge nel punto in commento, al fine di devolvere le somme di denaro necessarie a soddisfare le necessità della disponente o dei beneficiari il trustee/i trustees può/possono anche provvedere all'alienazione di beni del trust fund. Questo punto deve essere coordinato con quello relativo ai poteri del protector ove si impone il vincolante consenso di quest'ultimo al fine di consentire al trustee/ai trustees qualsiasi atto di alienazione di beni del trust. L'atto istitutivo accanto alla previsione in commento può prevedere una apposita clausola dedicata alla possibilità che il trustee/i trustees, a titolo di anticipazione di quanto spetterà al beneficiario al termine del trust, corrisponda[no] ai beneficiari somme di denaro dirette a soddisfare le loro necessità professionali. 39. Oneri tributari Il trustee/I trustees, impiegando all’uopo le disponibilità dei trust fund o comunque i beni del trust, potrà[nno] assolvere qualsiasi imposta in qualsiasi Stato a carico del trust fund o del trustee in conseguenza dell’esistenza degli effetti del trust o del reddito capitale da esso/i ricevuto o distribuito, anche se tale imposta non possa essere pretesa contro il trustee/i trustees. Nota Sul punto si veda, da ultimo, L. DE ANGELIS, Questioni di diritto sostanziale e tributario connesse al riconoscimento del trust nell’ordinamento italiano: lacune normative e prospettive di regolamentazione, in Fiducia e Trust, a cura di Assofiduciaria , 34/2002, pp. 106 ss. 40. Destinazione dei beni del trust. Distribuzione ai beneficiari. Nell’esercizio della propria discrezionalità 40.1. Al termine del trust il trustee/i trustees distribuisce/distribuiscono i beni del trust fund fra uno o più beneficiari a sua/loro discrezione. 40.2. È tuttavia facoltà del trustee/dei trustees, con il consenso del protector, con la rigida osservanza del limite di età di cui al precedente art. 35.2 e 35.3, di anticipare, in tutto od in parte, tale distribuzione ove egli discrezionalmente ritenga che gli interessi di uno o più beneficiari siano così meglio realizzati. 40.3. I beneficiari hanno diritto, agendo tutti congiuntamente per mezzo di atto scritto e con il consenso del protector, di porre termine al trust e di dettare la ripartizione dei beni del trust fra di essi. 40.4. In deroga alla disposizione di cui al precedente 40.3. i beneficiari fino a quando non avranno raggiunto l’età di cui ai precedenti artt. 35.2 e 35.3 (venticinque anni) non avranno il diritto di porre termine al trust, a meno che essi agiscano congiuntamente, con il consenso scritto del disponente. Nota Al termine del trust il trustee è chiamato a compiere gli opportuni atti di trasferimento dei beni nel patrimonio dei beneficiari. Naturalmente l'ufficio del trustee sarà meno gravoso qualora la distribuzione debba avvenire secondo le quote predeterminate nell'atto istitutivo e non nell'esercizio della sua discrezionalità. Nell'atto istitutivo potrebbe essere previsto che il trustee debba formare quote omogenee o, in base alle diverse finalità del trust, disomogenee, in quest'ultimo caso prevedendo i criteri per i necessari conguagli. Nel caso in cui il trustee debba trasferire un bene in comunione fra più beneficiari, potrebbe essere opportuno che nell'atto istitutivo si preveda la verifica del livello di accordo fra i beneficiari in ordine alla gestione del bene e se del caso il trustee disponga la vendita del bene e la distribuzione del ricavato. 41. Desideri del disponente. 41.1. Nell’esercizio della propria discrezionalità il trustee/i trustees terrà[nno] conto dei desideri della disponente, come manifestatigli verbalmente o per iscritto. 41.2. Fatte salve le disposizioni e le limitazioni espresse in questo atto, la discrezionalità del trustee/dei trustees rimane tuttavia piena. In nessun caso il trustee/i trustees è/sono tenuto/i a motivare le ragioni che lo/li hanno guidato/i nel suo esercizio. Nota Si cfr. il commento al punto 14. 42. Allegati Costituiscono parte integrante del presente atto i seguenti allegati: 42.1. Beni e diritti trasferiti al trustee 42.2. Beneficiari 42.2. Allegato all’atto istitutivo del trust denominato [……….] 1. Beneficiari del Reddito 2. Beneficiari Finali in quote eguali 2. I PROFILI FISCALI DELLA ISTITUZIONE DI TRUST 1. Introduzione. 1.1. E’ noto che l’ordinamento tributario italiano si connota – a tutt’oggi – per l’assenza di una qualsivoglia disciplina fiscale dei trusts, che non può essere ricavata neanche dalla nota Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1989, avendo – quest’ultima – rinunciato a disciplinare gli aspetti tributari del trust e lasciato ogni determinazione in materia a ciascuno dei singoli Stati contraenti (l’art. 19 della Convenzione così recita: “La convenzione non pregiudicherà la competenza degli Stati in materia fiscale”). In conseguenza di quanto rilevato, il regime tributario applicabile al trust non può che essere individuato per via interpretativa, sottoponendo le singole norme del sistema tributario al vaglio dei diversi atti e rapporti giuridici che connotano un istituto – il trust, appunto – che sostanzialmente non ha omologhi nell’ordinamento giuridico italiano (l’unica eccezione è rappresentata, per certi versi, dal fondo patrimoniale). Come si evidenzierà nel paragrafo successivo, peraltro, la presente trattazione non avrà ad oggetto un ipotetico regime fiscale del “trust”. E’ noto infatti che non esiste un modello unitario di trust, essendo viceversa questo uno strumento assai flessibile e adattabile a molteplici esigenze; con conseguente multiformità di effetti giuridici e inevitabilmente correlata diversità di disciplina tributaria (osservazioni queste su cui conviene la stessa Agenzia delle entrate: cfr. la risol. 17 gennaio 2003, n. 8/E). 2. Il regime impositivo del trust inter vivos. 2.1. Propedeutica a qualsiasi indagine è l’individuazione della specifica fattispecie – id est la legge regolatrice del trust, le caratteristiche proprie del settlor, del trustee e dei beneficiari, la peculiare tipologia di trust, ecc. – di cui si intendono analizzare le implicazioni di carattere fiscale, tratteggiandone il relativo regime ai fini delle imposte tanto dirette quanto indirette. Nel caso di specie, faremo riferimento a un trust regolato da una legge straniera, di tipo “discrezionale” e “irrevocabile”, con “disponente” (settlor) e “beneficiari” (beneficiaries) residenti in Italia con trustee quivi residente o non e, per contro, con beni (denaro, titoli e beni immobili) localizzati sia nel territorio dello Stato italiano che all’estero e regolati tanto dalla legge italiana quanto dalla normativa di altri Paesi. 2.2. Per quanto riguarda il “disponente”, si assumerà che si tratti di una persona fisica “non imprenditore” animato da finalità di matrice liberale (da qui la qualificazione del trust come “liberale”), finalità che si manifesta nella presenza di una serie di soggetti che ipotizziamo fiscalmente residenti nel territorio dello Stato destinatari ultimi del patrimonio costituito in trust e, per l’appunto, “beneficiari” di quell’arricchimento voluto dal “disponente” e realizzato mediante l’istituto del trust (è proprio in conseguenza del carattere “liberale” del trust che si pongono maggiori problemi sotto il profilo impositivo e, soprattutto, ai fini dei tributi indiretti). In ordine al trustee, la sua residenza o non residenza in Italia, senza distinzione in ordine alla categoria soggettiva di appartenenza del medesimo (persona fisica o ente) non ha rilievo alcuno se si accede alla teoria che attribuisce al trust la soggettività passiva ai fini Irpeg: in siffatta ipotesi, i redditi differenti da quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (nel caso di specie, ad esempio, i “redditi fondiari” derivanti dal possesso di immobili in Italia) formeranno oggetto di apposita dichiarazione e saranno sottoposti ad imposizione in Italia con l’Ires. La medesima specificazione assume rilevanza, invece, laddove si sposi la tesi che riconosce al trustee la soggettività passiva ai fini delle imposte sui redditi: in questo caso e qualora il trustee sia un soggetto non residente i redditi differenti da quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta formeranno comunque oggetto di dichiarazione, ma saranno sottoposti a prelievo mediante Irpef o Ires in ragione del fatto che il trustee sia una persona fisica o un ente. Quest’obbligo di dichiarazione – che, nel nostro caso, è astrattamente prospettabile, come accennato, per i “redditi fondiari” – non sussisterà in capo al trustee non residente nel caso in cui l’immobile sia posseduto direttamente mediante una società estera (id est non residente in Italia): in questa ipotesi, sulle cui “ragioni fiscali” si ritornerà più avanti, sarà infatti la suddetta società estera a scontare l’Ires sui reddito relativi di fonte italiana. Ove invece il trustee sia un soggetto residente nello Stato e si assuma che egli sia soggetto passivo d’imposta per i redditi conferiti in trust, si applicheranno le normali regole che presiedono all’imposizione in capo ai residenti e dunque, anche in tal caso, la soggezione all’IRES o all’IRPEF dipenderà dalla veste, societaria o meno, con cui il trustee opererà. Peraltro proprio in considerazione dell’applicabilità nei confronti del trustee che sia un soggetto residente delle regole generali che concernono l’imposizione reddituale su tali soggetti, per non appesantire inutilmente il presente lavoro ci limiteremo nel paragrafo 4 che segue ad alcuni cenni di riferimento all’ipotesi in cui il trustee sia viceversa un soggetto non residente. Va peraltro registrata una recente presa di posizione dell’Agenzia delle entrate (risol. 13 settembre 2004) attributiva di situazioni giuridiche soggettive, rilevanti sul piano tributario, direttamente ai beneficiari (nella specie si trattava di consentire loro di procedere alla rivalutazione a pagamento del costo di acquisto di partecipazioni oggetto del trust). La soluzione positiva affermata dall’Agenzia è probabilmente corretta,attesa la peculiarità del caso sottoposto al suo esame. Il che conferma peraltro quanto osservato in fine al paragrafo che precede circa la proteiformità della figura e l’esigenza di accostarsi ad essa con molta accortezza, rifuggendo da posizioni precostituite. Relativamente ai beni che potranno formare oggetto di devoluzione in trust, il riferimento è essenzialmente al denaro, ai titoli (ivi comprese le azioni) e ai beni immobili, nelle differenti ipotesi di deposito presso banche italiane o estere, di emissione da parte di soggetti italiani o esteri, di localizzazione sul territorio italiano o di altro Stato. In ogni caso, si assumerà – per gli elementi considerati – che si tratti comunque di beni estranei alla sfera dei “beni relativa all’impresa”, e ciò a completamento dell’assunzione – posta già sul piano soggettivo – che il “disponente” non sia imprenditore. 2.3. Un’ultima breve osservazione deve essere effettuata con riferimento all’ipotesi cui il settlor assuma – nell’economia del trust – “anche” la veste di beneficiario. Dal punto vista squisitamente fiscale, la coincidenza in capo al “disponente” dei due “ruoli” non comporta – in linea di principio – una devianza dalle regole fiscali applicabili ordinariamente alle vicende giuridiche che interessano i beneficiari “puri”, ma accentuano i profili di rischio – soprattutto, ma non solo, in presenza di situazioni o comportamenti “non ortodossi” – relativamente all’applicabilità dell’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 e/o all’autonomo superamento per via interpretativa dello schema negoziale del trust da parte dell’Amministrazione finanziaria. 3. Segue. La costituzione del trust e il trasferimento del patrimonio dal settlor residente al trustee non residente. 3.1. Con riferimento al “negozio istitutivo”, è opportuno distinguere – anche se la soluzione finale, in termini sostanziali, non sarà diversa – l’ipotesi che esso contenga una “obbligazione” a realizzare il programma, da quella in cui un’obbligazione in tale senso manchi e sussista una mera “facoltà” in tale senso. Nella prima ipotesi, il “disponente” si obbliga ad attuare il programma e l’oggetto dell’obbligazione è rappresentato dagli atti di disposizione dei beni che saranno compiuti a favore del trustee: non è rilevante, ai fini fiscali, la presenza o meno del soggetto (un terzo, il trustee, ecc.) nei confronti del quale il settlor si obbliga, attenendo – questo specifico aspetto – ai profili civilistici di validità del negozio. In questo caso, il “negozio istitutivo” si configura alla stregua di (rectius è assimilabile a) un “contratto preliminare” (art. 10 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/86), il cui trattamento ai fini dell’imposta di registro sarà il seguente: (i) atto formato per iscritto (e, preferibilmente, per atto pubblico o scrittura privata autenticata): obbligo di registrazione “in termine fisso” (ai sensi dell’art. 13, d.P.R. 131) e pagamento del tributo nella “misura fissa” di € 168,00 (art. 10 della Tariffa, testé citato); (ii) atto formato mediante corrispondenza: obbligo di registrazione “in caso d’uso” (ai sensi dell’art. 6, d.P.R. 131) e, nella specifica evenienza, pagamento del tributo sempre nella “misura fissa” di € 168,00 (art. 1 della Tariffa, parte seconda). Nella seconda ipotesi, che è la più frequente nella pratica e la meno problematica sotto il profilo civilistico, il “disponente” non assume alcuna obbligazione di disporre in favore del trustee e l’attuazione del programma è rimessa alla sola volontà del settlor. In questo caso, il “negozio istitutivo” si qualificherà per l’assenza di una prestazione a contenuto patrimoniale (art. 11 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/86) e sarà assoggettabile al seguente trattamento ai fini dell’imposta di registro (su quanto si dirà appresso, conforme SECIT, Delibera 11 maggio 1998, n. 37 – La circolazione dei trusts in Italia, in Il fisco, 1998, pp. 11148-11149): (i) atto formato per atto pubblico o scrittura privata autenticata: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo nella “misura fissa” di € 168,00 (art. 11 della Tariffa, testé citato); (ii) atto formato mediante scrittura privata in forma non autentica: obbligo di registrazione “in caso d’uso” e, nell’evenienza, pagamento del tributo sempre nella “misura fissa” di € 168,00 (per questa soluzione, art. 27, comma 4, d.P.R. 131): si evidenzia, comunque, che nella prassi la scrittura privata è sempre presentata all’Ufficio per la registrazione. 3.2. La sottoposizione dei “negozi dispositivi” (ossia degli atti di trasferimento dei beni al trustee) al vaglio delle vigenti disposizioni in materia di “imposte sui redditi” richiede che siano preliminarmente richiamate due delle diverse assunzioni effettuate in precedenza: l’assunzione che il “disponente” non rivesta la qualifica di “imprenditore” e, in ogni caso, che i beni oggetto di devoluzione in trust non si configurino quali “beni relativi all’impresa”. In presenza – dunque – di una persona fisica non imprenditore che trasferisce beni del proprio patrimonio personale, assumerà un rilievo determinante – ai fini delle imposte dirette – la qualificazione come “atti a titolo gratuito” dei suddetti trasferimenti: in siffatta ipotesi, infatti, le disposizioni del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 come modificato dal d.leg.vo 12 dicembre 2003, n. 344 (d’ora in avanti, semplicemente t.u.i.r.) subordinano l’emersione di redditi imponibili alla “onerosità” delle cessioni dei beni o dei diritti (e lo stesso vale per i conferimenti), con la conseguenza che i trasferimenti realizzati mediante i “negozi dispositivi” non assumeranno rilevanza ai fini delle “imposte sui redditi”. Nella fattispecie analizzata è previsto che i beni oggetto di trasferimento in capo al trustee siano – oltre alle disponibilità liquide – titoli, azioni e immobili, ossia beni la cui cessione potrebbe assumere rilevanza, almeno in astratto, ai sensi dell’art. 67 del t.u.i.r. (che disciplina la categoria dei c.d “redditi diversi”), e ciò a prescindere – stante la residenza fiscale in Italia del settlor – dall’esistenza o meno di un collegamento oggettivo di tali beni (localizzazione, soggetto emittente, ecc.) con il territorio dello Stato italiano: in concreto, tuttavia, la citata disposizione non può essere applicata in radice, e con riferimento a tutte le ipotesi considerate, per l’assenza di un corrispettivo legato al trasferimento dei vari cespiti. A titolo esemplificativo, e per quanto ci riguarda, questa condizione è prevista e richiesta, per un verso, dalle lettere da c) a c-quinquies) della citata disposizione per le cessioni di azioni, quote e altri titoli, e, per altro verso, dalla lettera b) della medesima disposizione per i trasferimenti di beni immobili. Diversa sarebbe la conclusione nell’ipotesi, testé esclusa, di “disponente” che riveste la qualifica di “imprenditore” e/o di trasferimento di “beni relativi all’impresa”: in questo caso, che si prende in considerazione incidentalmente e per completezza, i trasferimenti dei beni assumeranno rilevanza fiscale – con conseguente assoggettamento ad imposizione sui redditi – nella misura in cui generano “ricavi” (ad esempio, per i titoli iscritti nell’attivo circolante) o “plusvalenze” (ad esempio, per i titoli iscritti nell’attivo immobilizzato e per i beni immobili) in forza delle disposizioni che attribuiscono rilievo alla destinazione dei beni d’impresa “a finalità estranee” all’esercizio della medesima (cfr., rispettivamente, l’art. 85, comma 2, e l’art. 86, comma 1, lett. c), del t.u.i.r.). 3.3. Appurata l’irrilevanza dei trasferimenti in esame agli effetti delle imposte sui redditi, si tratta adesso di valutare le implicazioni fiscali dei “negozi dispositivi” sotto il profilo delle “imposte indirette”, che dovrebbero essere la categoria di tributi fisiologicamente interessata dai negozi de quibus, in considerazione, da un lato, della loro “gratuità” e, dall’altro, degli effetti giuridici specifici che riconnettono ai suddetti “atti”: in ragione di ciò, i tributi indiretti astrattamente interessati sono, per il primo dei profili considerati, l’“imposta sulle donazioni” e, per il secondo, l’“imposta di registro”. Il problema dell’applicabilità del tributo successorio ovvero di quello di registro ai trasferimenti di beni effettuati dal settlor al trustee – problema che ha animato il dibattito dottrinale (per le contrapposte posizioni, G.F. GAFFURI – F.V. ALBERTINI, Disciplina fiscale dei trusts: costituzione e trasferimento dei beni, in Boll. trib., 1995, p. 1704, e A. FEDELE, Visione d’insieme della problematica interna, in AA.VV., op. cit., p. 284, favorevole, come la maggioranza della dottrina, alla seconda ipotesi) e ha diviso anche la scarna e recente giurisprudenza di merito (cfr. Comm. trib. prov. di Treviso, 29 marzo 2001, n. 27, in Dir. prat. trib., 2002, II, p. 276 e, in contrapposizione ed a favore dell’imposta di registro, Comm. trib. prov. di Lodi, 5 novembre 2001, n. 135, in Fiducia e Trust, supplemento n. 1/2002 a Il Fisco, n. 15/2002, pag. 64 e segg.) – era stato sostanzialmente risolto con la L. n. 342/2000 di riforma del testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni (D. Lgs. n. 346/90), che – con l’introduzione del comma 4-bis dell’art. 1 e dell’intero art. 56-bis – aveva elevato espressamente a presupposto dell’imposta anche le c.d. “liberalità indirette”, formalizzate o meno in un atto scritto, al cui interno si riconduceva per via interpretativa anche la fattispecie dei trust liberali (cfr. D. STEVANATO, Donazioni e liberalità indirette nel tributo successorio, op. cit., p. 187). Secondo lo schema della “liberalità indiretta”, gli atti di devoluzione dei beni in trust erano suscettibili di assumere rilevanza – ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni – non nei confronti del trustee, ma in capo ai beneficiari, e ciò al momento del successivo e definitivo trasferimento del trust fund ai beneficiari medesimi. Si potrebbe pensare, di primo acchito, che il problema in oggetto sia stato risolto in radice dalla Legge 18 ottobre 2001, n. 383, il cui “Capo VI” è intitolato “Soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni”, ma in realtà non è così. Questi recenti (e radicali) interventi di modifica hanno sicuramente portato chiarezza con riferimento agli atti mortis causa, essendo stato eliminato in radice il tributo successorio (di talchè può ben dirsi che in virtù di tale abrogazione non danno luogo a imposizione diretta detti trusts, indipendentemente dal luogo di residenza del de cuius e/o dei beneficiaries, nonché della localizzazione dei beni relitti) ma non hanno fatto altrettanto – e, anzi, hanno creato confusione e ambiguità – relativamente agli atti liberali inter vivos. In particolare, l’art. 13, comma 1, della L. n. 383/2001 sancisce che “L’imposta sulle successioni e donazioni è soppressa”, ma se appena si volge lo sguardo alle altre disposizioni del medesimo provvedimento emerge immediatamente che la “imposta sulle successioni” è stata effettivamente e definitivamente abrogata, mentre la “imposta sulle donazioni” continua a persistere – con un particolare meccanismo di rinvio ai tributi indiretti applicabili agli atti a titolo oneroso – nel caso di “donazioni” e “liberalità” effettuate a favore di soggetti estranei all’ambito familiare e aventi una consistenza patrimoniale significativa. Inoltre, alla soppressione – testé indicata – non si è accompagnata l’abrogazione espressa del testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni (D. Lgs. n. 346/90, così come da ultimo modificato dalla citata L. n. 342/2000), con la conseguenza che molte parti di questo corpus normativo sono o, comunque, possono essere reputate ancora vigenti o perché richiamate in modo esplicito o perché rilevanti implicitamente. Tutto ciò non rende certo agevole l’applicazione del tributo – e, in primis, le valutazioni in ordine alla sussumibilità delle fattispecie concrete nel suo ambito operativo – stante la confusione, i dubbi interpretativi e i problemi di coordinamento generati dalla tecnica normativa utilizzata. Ai fini che ci interessano è pertanto più che mai necessario analizzare – sia pur nei lineamenti generali – l’impianto normativo scaturito dalle ultime modifiche all’imposta sulle donazioni, onde delineare la nuova fisionomia del tributo, le caratteristiche che lo connotano, i punti fermi e le questioni dubbie che sono suscettibili astrattamente e/o concretamente di incidere sul regime fiscale applicabile ai trasferimenti – oggetto di disamina – relativi ai beni da costituire in trust. 3.3.1. Come già anticipato, nonostante la soppressione sancita dal comma 1 del citato art. 13, la “imposta sulle donazioni” continua ad esercitare il suo dominio applicativo nei confronti di una serie di “donazioni” e “altre liberalità tra vivi” che si “qualificano” in modo particolare e specifico sotto il duplice profilo “qualitativo” (soggetti beneficiari della liberalità) e “quantitativo” (valore dei trasferimenti a titolo liberale). Il tributo – nella sua nuova fisionomia – non trova applicazione nel caso di “liberalità” (d’ora in avanti, si userà questa espressione sintetica e generale per indicare entrambe le fattispecie testé considerate) effettuate a favore di “familiari”, locuzione, questa, riferibile e riferita – in base alle indicazioni risultanti dalla norma – al coniuge, ai parenti in linea retta (i.e. discendenti e ascendenti) e agli altri parenti (da intendersi, in linea collaterale) fino al quarto grado. L’imposta sulle donazioni, invece, esplica pienamente le sue funzioni nel caso di “liberalità” effettuate nei confronti di “soggetti diversi” dai “familiari”, le quali saranno assoggettate a prelievo: e non poteva essere diversamente, dal momento che l’esclusione anche dei “soggetti diversi” dai familiari (e, dunque, l’effettiva e radicale eliminazione dell’imposta sulle donazioni) avrebbe potuto stimolare il ricorso ad atti simulati di donazione in maschera di concrete cessioni a titolo oneroso. Per quanto concerne gli aspetti di carattere sostanziale, l’art. 13, comma 2, fa espresso rinvio – ai fini della concreta tassazione delle “liberalità” che integrano i presupposti soggettivi e oggettivi del tributo in commento – “...alle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso...”. Il rinvio – nella specie – deve intendersi riferito all’imposta di registro, essendo questa l’imposta che “ordinariamente” trova applicazione nel caso di trasferimenti a titolo oneroso di beni e diritti effettuati per atto scritto: si applicherebbe, invece, l’Iva laddove il donante fosse un “imprenditore” e i beni trasferiti fossero “beni relativi all’impresa”, fattispecie – questa – che è stata esclusa ai fini della presente disamina. Per le “liberalità” ancora imponibili, si dovrà fare riferimento – quindi – alla disciplina del tributo di registro e, in specie, agli articoli della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/86, che prevedono aliquote differenziate in ragione della specifica “natura” del bene oggetto di trasferimento, tenendo presente – e lo si ribadisce – che esse (aliquote) si applicheranno solamente sulla parte del valore della “liberalità” che eccede la “soglia” rilevante. Nel caso di “liberalità” non imponibili (i.e. a favore di “familiari” ovvero, se a favore di “soggetti diversi”, al di sotto della soglia rilevante), l’imposizione di registro non troverà mai applicazione: come è stato chiarito anche dall’Amministrazione finanziaria (cfr. CIRC. AGENZIA ENTRATE, 18 ottobre 2001, n. 91/E, par. 2.2.), in siffatta evenienza il tributo de quo non è dovuto neanche “in misura fissa” e, dunque, la registrazione dell’atto di liberalità sarà gratuita. 3.3.2. Fin qui le certezze e i punti fermi dell’attuale imposta sulle donazioni, così come modificata dalla novella suddetta, che consentiranno – nel prosieguo dell’analisi – di esprimersi con sicurezza su alcune delle vicende traslative concernenti il trust. Non mancano, tuttavia, ambiguità e questioni dubbie – nella morfologia del nuovo tributo – che sono suscettibili di incidere sulla disciplina concretamente applicabile agli atti traslativi nell’ambito del trust (per una panoramica, si veda CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO, est. U. Friedmann – G. Petrelli, Il nuovo regime impositivo delle successioni e delle donazioni e liberalità tra vivi, in Il fisco, 2001, p. 13981) ed è proprio su queste ultime questioni che si focalizzerà l’attenzione. Non è chiara – innanzitutto – la sorte toccata alle c.d. “liberalità indirette” a seguito della riforma del tributo successorio ed è in particolare discusso se esse siano o meno sopravvissute a tale riforma1. E’ ambigua – in secondo luogo – la disciplina dei “criteri di territorialità” operanti per la nuova imposta sulle donazioni2. Con riferimento alle problematiche segnalate – che saranno chiarite in occasione della disamina dei riflessi fiscali immediati (dal settlor al trustee) e/o successivi (dal trustee ai beneficiari) dei trasferimenti dei beni facenti parte del trust fund – è possibile individuare, nella prospettiva della tassabilità dei c.d. “negozi dispositivi”, diverse “opzioni” in ragione delle differenti soluzioni che si pongono relativamente alle suddette problematiche. Ed a tali diverse “opzioni” si riconnettono, a propria volta, differenti “moduli ricostruttivi” in base ai quali è possibile apprezzare diversamente le vicende traslative legate ai beni costituiti in trust e individuare altrettanto diverse regole di disciplina delle vicende ai fini delle imposte indirette. La prima opzione si pone, evidentemente, con riferimento alla problematica delle “liberalità indirette” formalizzate in atti scritti. E’ possibile alternativamente sostenere che: (a) esse non siano “sopravvissute” alle modifiche intervenute al tributo successorio; (b) esse continuino ad essere ricomprese nella sfera applicativa dell’imposta sulle donazioni. La seconda opzione s’innesta sulla soluzione sub (b) – ossia la persistenza delle “liberalità indirette” formalizzate anche nel corpus normativo risultante dalle modifiche – e si pone con riguardo ai “criteri di territorialità” della nuova imposta sulle donazioni. In merito, è possibile alternativamente sostenere che: (b1) i criteri di territorialità rilevanti sono solamente quelli dell’imposta di registro; (b2) i criteri di territorialità sono quelli dell’imposta di registro, integrati dall’ulteriore criterio della residenza in Italia del beneficiario di liberalità effettuate all’estero, che dunque si assume “sopravvissuto” agli interventi di modifica. Sulla scorta di quanto rilevato in precedenza è certo che le “liberalità indirette” effettuate in assenza di un atto scritto siano sempre, e comunque, estranee alla sfera operativa dell’imposta in esame, tanto più se si considera ulteriormente che nessun riferimento di senso contrario e/o nessuna “clausola di salvaguardia” è rinvenibile nella nuova disciplina. Con riguardo – invece – alle “liberalità indirette” formalizzate in un atto scritto, le perplessità si riconnettono al fatto che – a differenza di quanto è accaduto per altri aspetti della disciplina (base imponibile, agevolazioni, ecc.) – le disposizioni della previgente normativa ad esse relative (comma 4-bis dell’art. 1 e art. 56-bis del D. Lgs. 346/90) non sono state espressamente “fatte salve”, circostanza – questa – da cui se ne potrebbe inferire l’abrogazione per effetto della disposizione di cui all’art. 13, comma 1, della L. n. 383/2001. Tale conclusione peraltro non ha trovato concorde la dottrina. Si è sostenuto infatti che le “liberalità” di cui si tratta ben potrebbero rientrare “implicitamente” nella sfera applicativa del nuovo tributo, se – e nella misura in cui – rispettino i presupposti e le logiche del nuovo schema d’imposizione, cui va ad aggiungersi l’ulteriore considerazione di carattere formale dell’esplicita menzione nell’art. 17, comma 2, della citata legge, che proroga il termine di registrazione volontaria delle “...liberalità indirette e delle donazioni fatte all’estero a favore di residenti...”. 1 Per effetto della soppressione del tributo in esame, e coerentemente con il rinvio operato dall’art. 13, i criteri di territorialità dovrebbero solamente essere quelli dettati in materia d’imposta di registro (o, nella fattispecie qui non esaminata, per l’Iva), che si fondano sulla formazione in Italia dell’atto soggetto a registrazione e – in limitate e tassative ipotesi – sulla localizzazione nel territorio dello Stato italiano dei beni oggetto di trasferimento (immobili e aziende). Questa conclusione, per quanto coerente, è in concreto ostacolata dal richiamo – da parte dell’art. 17, comma 2, dianzi citato – delle liberalità “...fatte all’estero a favore di residenti...”, che fa sorgere il dubbio circa la “sopravvivenza” anche del terzo criterio operante nella previgente normativa, e cioè la residenza del beneficiario, il quale (criterio) – se effettivamente operante – andrebbe conseguentemente ad “integrare” i due già contemplati dalla legge di registro. 2 La scelta dell’una piuttosto che dell’altra opzione – la quale, si ripete, presuppone la persistenza della “liberalità indirette” formalizzate e opera nell’ambito del “modulo unitario” di ricostruzione delle vicende negoziali del trust – determina dei mutamenti concreti nelle regole tributarie applicabili, ma ciò pur sempre nell’ambito dell’imposta di donazione che è suscettibile di operare nell’ipotesi considerata. Sulla base delle variabili individuate, si esploreranno – di seguito – due soluzioni interpretative alla problematica delle imposte indirette applicabili alle vicende negoziali dei beni costituiti in trust. Si anticipa fin da subito che la soluzione maggiormente cautelativa appare la seconda appresso sviluppata (sottoparagrafo 3.3.3.), che è quella postulante la persistenza delle “liberalità indirette” formalizzate e il conseguente apprezzamento “unitario” delle vicende traslative riguardanti i beni costituiti in trust, nella sua seconda variante che prevede l’integrazione dei diversi “criteri di territorialità”. Essa peraltro non dovrebbe sostanzialmente comportare un prelievo complessivo più gravoso di quello che si avrebbe nel caso in cui si sposassero le altre ipotesi analizzate e ciò anche in ragione (salvo qualche particolare accorgimento che sarà indicato in seguito) della tipologia di beni da costituire in trust. 3.3.3. La prima soluzione alla problematica in esame si fonda sull’assunzione secondo cui le “liberalità indirette” formalizzate sarebbero stata espunte dal corpus normativo dell’attuale tributo sulle donazioni. L’irrilevanza delle “liberalità indirette” impone di fare riferimento, come già anticipato, ad un “modello atomistico” di ricostruzione delle vicende successive al “negozio istitutivo” del trust: non essendo possibile ricollegare giuridicamente i “negozi dispositivi” che permettono – con un passaggio duplice (dal settlor al trustee e da quest’ultimo ai beneficiaries) – la realizzazione del risultato finale dell’arricchimento dei beneficiari, così come voluto dal “disponente”, i singoli atti di attuazione del programma negoziale del trust devono essere giocoforza apprezzati in considerazione della propria autonoma portata. In questa fase, ciò implica – nella prospettiva fiscale dell’individuazione della species di prelievo indiretto applicabile – una valutazione autonoma e isolata dei trasferimenti di beni effettuati dal settlor al trustee successivamente alla costituzione del trust, senza tener conto dell’unitario disegno tratteggiato dallo stesso settlor nell’atto istitutivo del trust Se così è, anche il presupposto dell’attuale imposta sulle donazioni può ritenersi integrato solamente quando sussistano entrambe gli elementi che connotano il relativo concetto di “liberalità”: ma questa condizione non è verificata nell’ipotesi del trasferimento di beni effettuato dal settlor a favore del trustee. Ciò appare evidente se si considera che, nella fattispecie in esame, il “disponente” non è certo animano da (né il relativo “negozio dispositivo” manifesta) alcuno spirito di liberalità nei confronti del trustee: il trasferimento dei beni è preordinato, infatti, al raggiungimento di uno scopo determinato ed al soddisfacimento degli interessi propri del settlor risultanti dal “negozio costitutivo”. Per altro verso, poi, il destinatario del predetto trasferimento – e cioè il trustee – non ottiene alcun sostanziale arricchimento personale e non realizza alcun accrescimento definitivo della sfera patrimoniale sua propria: i beni devoluti in trust sono oggetto di “separazione” nell’ambito del suo patrimonio e, in adempimento delle proprie funzioni, dovranno essere devoluti dal medesimo trustee a favore dei beneficiari. Da ultimo, si consideri che la locupletazione non si verifica – in questo specifico momento – neanche in capo ai beneficiaries: ciò è particolarmente evidente, e inconfutabile, nel caso di trust discrezionale ove i beneficiari sono titolari di una posizione di “mera aspettativa” e otterranno un effettivo incremento del proprio patrimonio solamente quando (all’atto della cessazione del trust ovvero al verificarsi degli eventi previsti dal “disponente”) il trust fund sarà distribuito dal trustee e sempreché quest’ultimo li prenda in considerazione quali soggetti destinatari delle attribuzioni. Alla luce di tali considerazioni, è giocoforza concludere nel senso della inapplicabilità dell’imposta sulle donazioni ai trasferimenti realizzati a favore del trustee, con conseguente applicazione dell’imposta registro ove se ne ravvisino le condizioni. Ciò chiarito, vediamo in che misura si attua il prelievo di registro per i potenziali beni (denaro, titoli e immobili) da devolvere in trust, tenendo presente che – essendosi al di fuori delle “liberalità” – l’imposta di registro sarà applicata secondo le regole sue proprie, le quali non prevedono – a differenza del tributo sulle donazioni – alcuna “franchigia” di sorta. In estrema sintesi, si evidenzia che i “negozi dispositivi” sconteranno un prelievo diverso in ragione della specifica tipologia dei beni trasferiti e, in via residuale, l’aliquota prevista dall’art. 9 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986. Tenendo conto dei “criteri di territorialità” del tributo de quo, i singoli beni saranno considerati separatamente – ma per categoria omogenea – secondo la seguente distinzione: (A) DISPONIBILITÀ LIQUIDE DEPOSITATE PRESSO BANCHE LOCALIZZATE IN ITALIA OVVERO ALL’ESTERO: (A1) atto formato in Italia: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo nella misura del 3 per cento (art. 2 della Tariffa, parte prima); (A2) atto formato all’estero: obbligo di registrazione “in caso d’uso” e, nella specifica evenienza, pagamento del tributo nella misura del 3 per cento (art. 11 della Tariffa, parte seconda); Come già anticipato, l’oneroso prelievo che grava sugli atti aventi ad oggetto il trasferimento di denaro può essere evitato, stante la natura di “imposta d’atto” del tributo di registro, mediante la realizzazione di un trasferimento “non formalizzato”, che – nella specie – potrebbe ad esempio realizzarsi mediante un mero “bonifico bancario” dal conto corrente del settlor a quello del trustee, con indicazione della causale che si tratta di trasferimento in esecuzione del programma enunciato nell’atto istitutivo del trust. (B) AZIONI (E QUOTE DI PARTECIPAZIONE), OBBLIGAZIONI E ALTRI TITOLI IN SERIE O DI MASSA DEPOSITATI PRESSO BANCHE LOCALIZZATE IN ITALIA OVVERO ALL’ESTERO: (B1) atto formato in Italia: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (art. 11 della Tariffa, parte prima); (B2) atto formato all’estero: obbligo di registrazione “in caso d’uso” e, nella specifica evenienza, pagamento del tributo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (art. 11 della Tariffa, parte seconda). (C) BENI IMMOBILI LOCALIZZATI IN ITALIA OVVERO ALL’ESTERO: (C1) atto formato in Italia e bene immobile ubicato in Italia: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo in misura diversa in ragione del differente tipo di bene immobile trasferito (art. 1 della Tariffa, parte prima; tra le ipotesi più significative: fabbricati e relative pertinenze: 7%; terreni agricoli: 15%; immobili di interesse storico et similia: 4%; altri beni immobili: 8%); (C2) atto formato in Italia e bene immobile ubicato all’estero: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (art. 1 della Tariffa, parte prima); (C3) atto formato all’estero e bene immobile ubicato in Italia: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo in misura diversa in ragione del differente tipo di immobile trasferito [art. 2 d.P.R. n. 131 e art. 1 della Tariffa, parte prima: si veda il precedente (C1)]; (C4) atto formato all’estero e bene immobile ubicato all’estero: obbligo di registrazione “in caso d’uso” e, nella specifica evenienza, pagamento del tributo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (art. 11 della Tariffa, parte seconda). Nel caso di immobili localizzati in Italia (a prescindere dal luogo di formazione dell’atto), l’oneroso prelievo proporzionale non sussisterà nel caso in cui l’immobile sia conferito in una società estera avente sede nell’Unione europea e, successivamente, vengano devolute in trust le azioni di questa società: il conferimento dell’immobile in una “società comunitaria” è sottoposto a prelievo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (Nota IV all’art. 4 della Tariffa, parte prima) e il successivo trasferimento delle azioni sarà anch’esso soggetto a prelievo nella “misura fissa” di Euro 168,00 [si vedano sopra (A1) e (A2)]. Condizione imprescindibile per la realizzazione del conferimento è che l’immobile non sia “dotato” di una plusvalenza latente (che, in caso contrario, sarebbe soggetta ad imposizione sui redditi) ovvero che il medesimo immobile sia posseduto dal “disponente” da più di cinque anni (nel qual caso, la plusvalenza – se esiste – non è imponibile ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. b), del t.u.i.r.). In entrambi i casi, e cioè a prescindere dal fatto che il bene immobile sia trasferito al trustee direttamente o indirettamente (mediante il trasferimento delle azioni della “società comunitaria”), saranno altresì dovute le imposte ipotecaria e catastale nella misura, rispettivamente, del 2% e dell’1% del valore dei beni (nel caso di utilizzo del veicolo societario, queste ultime imposte saranno prelevate all’atto del conferimento dell’immobile). 3.3.4. Il ricorso al modello “atomistico” descritto nel paragrafo che precede e che presuppone l’autonomia funzionale dell’atto di conferimento in trust e della successiva erogazione del trust fund ai beneficiaries potrebbe essere (non arbitrariamente) contestato da chi valorizzasse il fatto che, se il nuovo impianto normativo sulle donazioni, risultante dalle ultime modifiche, annovera anche le “liberalità indirette” formalizzate in atti scritti fra le fattispecie astrattamente tassabili, diviene allora possibile fare riferimento ad un “modello unitario” di ricostruzione delle vicende negoziali successive all’atto istitutivo del trust. La categoria giuridica in esame, infatti, permette di ricollegare strumentalmente i vari negozi traslativi che consentono di raggiungere il risultato dell’arricchimento dei beneficiari e, dunque, di apprezzarli unitariamente nella prospettiva dell’individuazione del tributo indiretto applicabile in concreto. Si assume che le “liberalità indirette” rilevano ancora nel sistema riformato, si tratta di verificare se il trasferimento effettuato dal settlor ne possiede le caratteristiche, già individuate in precedenza, costituite dal profilo soggettivo dell’animus donandi del “disponente” e da quello oggettivo del c.d. “arricchimento del patrimonio” del “beneficiario” dell’atto liberale. Le condizioni de quibus – con le precisazioni che saranno effettuate al momento opportuno – sussistono entrambe se le vicende negoziali relative al trust si apprezzano e si valutano unitariamente – e cioè in modo collegato e complessivo, secondo il disegno proprio voluto dal settlor ed espresso nell’atto istitutivo del trust – con la rilevante conseguenza che il trust con attribuzione dei beni ai beneficiari finali risulta pienamente riconducibile nella sfera delle “liberalità indirette” e, per tale via, assoggettabile all’imposta sulle donazioni. E’ indubbio che – nel porre in essere i “negozi dispositivi” di attuazione del programma risultate dall’atto istitutivo – il settlor sia animato da uno spirito di liberalità rivolto non al trustee, ma ai beneficiari finali, come inequivocabilmente risulta dal “negozio istitutivo”: lo spirito liberale – che è estraneo ai singoli atti traslativi del patrimonio considerati isolatamente – si palesa nella considerazione d’insieme dei medesimi atti e, in concreto, anima l’intero programma negoziale del trust. Sotto il secondo profilo, si evidenzia come – all’atto della destinazione finale del trust fund – i beneficiari realizzino un “accrescimento definitivo” della propria sfera patrimoniale, realizzando quella condizione che in capo al trustee era impedita dalla “segregazione” dei beni costituiti in trust. Ai fini del prelievo del tributo successorio, è importante evidenziare che, se il primo profilo, testé evidenziato, è già apprezzabile con la conclusione del “negozio istitutivo”, non altrettanto può dirsi per il secondo: l’arricchimento dei beneficiari si realizza, infatti, solo all’atto del successivo trasferimento dei beni dal trustee ai beneficiari al termine del trust. Ciò pone il problema di quale sia il momento in cui l’imposta sulle donazioni debba trovare applicazione. Dal punto di vista civilistico, e in via generale, le “liberalità indirette” si considerano perfezionate già al momento della stipulazione del contratto: ma questa conclusione non può essere importata in ambito tributario. L’art. 13, comma 2, più volte citato, fa puntuale riferimento ai “...trasferimenti di beni e diritti...” per atto liberale, mostrando di ritenere indefettibile – ai fini dell’integrazione del presupposto del tributo sulle donazioni – il materiale, effettivo e definitivo arricchimento dei beneficiari, in mancanza o in attesa del quale l’imposta non potrà essere prelevata. Con specifico riferimento alle vicende negoziali del trust, ciò implica che –se è vero che la “liberalità indiretta” si perfeziona già con l’iniziale “negozio dispositivo” – il tributo, in concreto, potrà essere prelevato solamente con l’atto finale di trasferimento del patrimonio dal trustee ai beneficiari: ciò è più che mai coerente e razionale anche ai sensi dell’art. 53 della Cost., poiché è solo al momento della devoluzione finale dei trust fund che i beneficiari – i quali, si rammenta, nell’ipotesi di trust discrezionale in esame non hanno alcun “diritto” di acquisire il suddetto patrimonio, versando in una posizione di “mera aspettativa” – manifestano una capacità contributiva che possa dirsi “effettiva” ed “attuale” nella prospettiva della assunzione della veste di soggetti passivi dell’imposta. Sulla scorta di quanto precede, è evidente che si ha un vero e proprio gap temporale fra la formalizzazione della “liberalità indiretta” in un atto soggetto a registrazione (che si realizza con la conclusione del “negozio dispositivo”) e la nascita dell’obbligazione di pagamento del tributo sulle donazioni (che si realizza con l’atto di trasferimento ai beneficiari del trust). Come conseguenza immediata e sostanziale di questa ricostruzione, all’atto della formalizzazione dei trasferimenti iniziali dal settlor al trustee (primo passaggio di ricchezza) l’imposta sulle donazioni non dovrebbe trovare applicazione, essendo presupposta l’esistenza di una “liberalità indiretta”, con assoggettamento dell’atto medesimo ad imposizione di registro: in particolare, se redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata, com’è verosimile, l’atto dovrebbe essere registrato “in termine fisso” e scontare il prelievo di registro nella “misura fissa” di 168,00 Euro (art. 11 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986). Nella prospettiva considerata, il tributo sulle donazioni sarà prelevato all’atto della formalizzazione del trasferimento finale dal trustee ai beneficiaries, secondo le regole che saranno illustrate in appresso, sempreché i beneficiari finali non rientrino nell’ambito “familiare” ovvero l’ammontare dei trasferimenti non risulti inferiore alla “soglia di rilevanza”: in queste due ipotesi, infatti, l’imposta sulle donazioni non sarà dovuta. A queste conclusioni si perviene per via interpretativa, mancando – nell’attuale sistema d’imposizione sulle donazioni, così come nel precedente – una norma espressa deputata specificamente a comporre lo iato esistente fra i due momenti in cui si manifestano gli atti che compongono la “liberalità indiretta”. Stante il rinvio all’imposta di registro, operato dalla normativa sulle donazioni, un supporto alla soluzione individuata potrebbe derivare dall’applicazione dell’art. 27 del d.P.R. n. 131/1986, la cui fattispecie regolata (“atti sottoposti a condizione sospensiva”) palesa una ratio che è sostanzialmente analoga a quella della fattispecie non regolata in esame: il risultato dell’applicazione di questa disposizione sarebbe il medesimo di quello cui si è pervenuti in precedenza. Nel caso di specie, la questione in esame assume precipua importanza per il trasferimento degli immobili localizzati in Italia, che sono previsti fra i potenziali beni oggetto di devoluzione in trust. E ciò perché costituiscono l’unica categoria di beni (con esclusione del denaro, per il quale, tuttavia, il problema è presto risolto mediante la realizzazione di un trasferimento non formalizzato) che è soggetta ad imposizione di registro in “misura proporzionale”, anziché nella “misura fissa” (si veda il paragrafo 3.3.3.): con la soluzione proposta, la tassazione proporzionale teoricamente applicabile all’atto del trasferimento iniziale dell’immobile sarà rinviata al momento del trasferimento dal trustee ai beneficiari, con il vantaggio che – se i beneficiari finali del trust sono (com’è verosimile) dei “familiari” del disponente ovvero – nel caso di “soggetti diversi – l’ammontare della liberalità è inferiore alla “soglia rilevante” – l’imposta sulle donazioni (con le aliquote proporzionali del registro) non troverà mai applicazione. La questione perde ogni rilevanza, invece, nel caso in cui – come indicato nel precedente paragrafo 3.3.3. – si dovesse procedere, in concreto, alla “cartolarizzazione” dell’immobile localizzato in Italia mediante il suo conferimento in una “società comunitaria”. 4. (Segue). Il trattamento fiscale in Italia dei “redditi di capitale”, dei “redditi fondiari” e dei “redditi diversi” derivanti dai beni (denaro, titoli e beni immobili) costituiti in trust. Qualora il trustee sia un soggetto non residente, nell’ordinamento tributario italiano l’imposizione dei redditi da questi percepiti è informata al “principio di territorialità”, in forza del quale le imposte sui redditi si applicano solamente ai redditi che, secondo i criteri stabiliti dalla legge, si considerano prodotti nel territorio dello Stato. Ciò posto in via generale, si precisa che la disamina effettuata in questo paragrafo avrà specificamente ad oggetto il regime fiscale – dalla punto di vista italiano – dei redditi finanziari percepiti dal trustee e prodotti dal patrimonio costituito in trust: essa, in particolare, sarà condotta separatamente per i “redditi di capitali” (paragrafo 4.1.), i “redditi fondiari (paragrafo 4.2.) ed i “redditi diversi” (paragrafo 4.3). All’interno di ciascuna categoria di reddito, si distinguerà – ove risulti rilevante – a seconda che il cespite produttivo del reddito debba considerarsi esistente nel territorio dello Stato italiano ovvero al di fuori di esso. Inoltre, stante il carattere generale del presente studio, si darà conto degli eventuali diversi regimi fiscali applicabili in ragione del fatto che il soggetto estero (nella specie, il trustee) abbia la residenza o meno in un Paese “a regime fiscale privilegiato”. Si assumerà, ai fini dell’analisi, che il trustee non abbia in Italia una stabile organizzazione e che esso sia comunque residente in un Paese estero che non ha stipulato con l’Italia una Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni. 4.1. La prima categoria da analizzare è quella dei “REDDITI DI CAPITALE”. Per i proventi e i redditi che rientrano questa categoria (ex art. 44 del t.u.i.r.) il criterio di collegamento con il territorio dello Stato italiano è dato dalla residenza del soggetto erogante (c.d. “criterio del pagatore”): essi (redditi) si considerano prodotti nel territorio dello Stato quando sono corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato ovvero da stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti [art. 23, comma 1, lett. b), del t.u.i.r.]. E’ opportuno evidenziare, in linea generale, che – in virtù del principio di territorialità appena enunciato – la circostanza che il titolo sia detenuto presso una banca localizzata in Italia ovvero all’estero non incide sulla soggezione o meno ad imposta del relativo reddito: il “criterio guida”, in ordine alla imponibilità/non imponibilità, è sempre il luogo di residenza del soggetto che eroga il reddito. Ne deriva che saranno in linea di principio imponibili i proventi derivanti da titoli che sono stati emessi da società ed enti “residenti” nel territorio dello Stato, e ciò sia nel caso in cui siano detenuti presso banca localizzata in Italia sia nel caso in cui siano detenuti presso banca localizzata all’estero. 4.2. La seconda categoria da analizzare è quella dei “REDDITI FONDIARI”. Rientrano in questa categoria i redditi derivanti da immobili, terreni e fabbricati situati nel territorio dello Stato e iscritti in catasto. Il criterio di collegamento – che determina l’imponibilità in Italia – è dato, infatti, dalla localizzazione del cespite patrimoniale nel territorio dello Stato (locus rei sitae) e, dunque, si considerano prodotti in Italia i redditi derivanti da terreni e fabbricati quivi situati (artt. 23 e 25 del t.u.i.r.). Per questi redditi, i soggetti non residenti sono sottoposti a tassazione in regime di dichiarazione. I redditi fondiari saranno determinati in base alla rendita catastale o, ma questo vale solo per i fabbricati – in misura pari al canone di locazione, ridotto del 15 per cento a titolo di spese forfetarie, sempreché tale canone sia superiore alla rendita catastale. Sulla scorta di quanto precede, è chiaro che i redditi ottenuti da un soggetto non residente in Italia da immobili localizzati all’estero non saranno imponibili in Italia per carenza del requisito della territorialità. Una precisazione finale. E’ stato già evidenziato che l’oneroso prelievo proporzionale di registro applicabile in occasione del trasferimento di immobili localizzati in Italia non sussisterà qualora l’immobile sia conferito in una società estera avente sede nell’Unione europea e, successivamente, vengano devolute in trust le azioni di questa società. La realizzazione di una siffatta operazione di “cartolarizzazione” dell’immobile non determina particolari problemi sotto il profilo dell’imposizione dei “redditi fondiari”: nel caso di trasferimento diretto, è il trustee non residente – divenuto titolare della fonte – che dovrà presentare la dichiarazione in Italia per i redditi fondiari prodotti dall’immobili; nel caso di trasferimento indiretto – mediante la devoluzione in trust delle azioni della società immobiliare comunitaria – sarà la predetta società obbligata a presentare la dichiarazione e a pagare le imposte sui redditi. L’unica cosa aspetto veramente rilevante – che bisogna valutare – è quello relativo alle eventuali plusvalenze latenti: onde evitarne l’emersione, è opportuno sincerarsi che il valore di mercato dell’immobile (eventualmente determinato da una perizia) coincida con il valore fiscalmente riconosciuto ovvero che l’immobile sia posseduto da più di cinque anni (nel qual caso la plusvalenza non sarà imponibile). 4.3. La terza categoria da analizzare è quella dei “REDDITI DIVERSI”. Fra i redditi rientranti in questa categoria residuale, e di chiusura, si prenderanno specificamente in considerazione quelli derivanti da immobili e attività finanziarie (in senso lato), essendo questi i cespiti che sono destinati ad essere devoluti in trust. Il criterio di collegamento che determina, in linea di principio, l’imponibilità in Italia di questi redditi è costituito dalla localizzazione sul territorio dello Stato del cespite che li produce, nel senso che – se il bene si trova in Italia – il relativo reddito sarà quivi tassabile [art. 23, comma 1, lett. f), del t.u.i.r.]. Se il riferimento a questo criterio consente di risolvere agevolmente la questione della territorialità dei redditi derivanti dalle cessioni immobiliari, lo stesso non può dirsi per quelli derivanti da attività di tipo finanziario, in ordine alle quali operano ulteriori criteri, esenzioni, ecc., la cui applicazione da luogo ad una disciplina complessa. (I) BENI IMMOBILI Se l’immobile si trova nel territorio italiano, i soggetti non residenti saranno sottoposti a tassazione, in regime di dichiarazione, allorché l’immobile genererà i seguenti redditi: (I1) plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili e le successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici [art. 67, comma 1, lett. a), del t.u.i.r.]; (I2) plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni [art. 67, comma 1, lett. b), del t.u.i.r.] (I3) plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione [art. 67, comma 1, lett. b), seconda parte, del t.u.i.r.]. Preme rimarcare, per mero scrupolo, che gli immobili acquistati o posseduti da più di cinque anni non genereranno plusvalenze imponibili nel caso di cessione a titolo oneroso (o conferimento in società), ciò in collegamento con l’ipotesi prospettata alla lettera (C) del paragrafo 3.3.3. e discussa anche al paragrafo 4.2. per i possibili profili di rilevanza in tema di redditi fondiari. (L) ATTIVITÀ FINANZIARIE Come anticipato all’inizio, il criterio di collegamento stabilito in via principale dalla legge per i redditi diversi è dato dalla localizzazione del bene oggetto di trasferimento. Questo criterio è integrato da una “presunzione assoluta”, basata sul luogo di residenza della società emittente i titoli partecipativi, in forza della quale le partecipazioni sociali (di qualsivoglia natura, ivi comprese le azioni) relative a società italiane si presumono circolanti in Italia a prescindere dal luogo ove effettivamente si trovino: in conseguenza di ciò, in linea di principio, la plusvalenza sarà sempre e comunque tassabile in Italia ovunque essa si trovi o sia detenuta. Operano, poi, sia particolari “esclusioni del collegamento” con il territorio italiano che “esenzioni sui redditi”, in relazione alle diverse fattispecie dalla cui analisi peraltro, date le caratteristiche del presente lavoro, riteniamo opportuno prescindere. E’ opportuno tuttavia effettuare al riguardo una considerazione di carattere generale sui redditi diversi testé considerati e in particolare in merito alla disciplina antielusione che è stata posta dall’art. 16, comma 1, della L. n. 383/2001. In forza di tale disposizione, ogniqualvolta il soggetto destinatario di un trasferimento liberale di valori mobiliari, ovvero un suo successivo avente causa, dovesse cedere la partecipazione sociale – ricevuta per effetto dell’atto liberale – entro i cinque anni successivi dalla conclusione dell’atto medesimo, il donatario sarà obbligato al pagamento dell’imposta sostitutiva sui redditi – a suo tempo non pagata per il meccanismo della neutralità fiscale – come se l’atto liberale non vi fosse mai stato: in definitiva, la rivendita infraquinquennale della partecipazione sociale consentirà all’Amministrazione finanziaria di disconoscere i vantaggi fiscali ottenuti mediante la liberalità effettuata in origine. 5. L’attribuzione dal trustee ai beneficiari dei redditi e/o del patrimonio costituito in trust. In esecuzione degli obblighi previsti a suo carico, e conformemente alle disposizioni contenute nel “negozio istitutivo” del trust, il trustee provvederà all’effettuazione di attribuzioni patrimoniali a favore dei beneficiari sia in costanza che al termine del trust. I trasferimenti de quibus possono avere ad oggetto le utilità ritratte dal trust fund e/o – all’atto della cessazione del trust ovvero al verificarsi degli eventi previsti dal “disponente” – i medesimi cespiti patrimoniali costituenti il trust fund e, di volta in volta, potranno essere effettuati sia in denaro che mediante la consegna di beni in natura: la caratteristica costante è comunque l’assenza di una richiesta di un qualsivoglia corrispettivo ai soggetti che ne sono istituzionalmente destinatari, senza con ciò voler assumere posizioni preconcette in ordine alla loro natura. La disamina delle implicazioni fiscali connesse a siffatte attribuzioni patrimoniali deve essere preceduta da talune puntualizzazioni che paiono opportune. Innanzitutto, l’origine e la natura delle somme o dei beni che formano oggetto di attribuzione non pare che siano suscettibili di assumere soverchia rilevanza in una fattispecie – come quella in esame (trust discrezionale e irrevocabile) – ove il trustee ha piena titolarità dei beni formanti il trust fund e, di riflesso, il legittimo “possesso dei redditi” che da tali beni derivano. Una volta percepiti dal trustee, i redditi ritratti dal trust fund si “patrimonializzeranno” e assumeranno la stessa “natura” dello stock che ne costituisce la fonte, alla stessa stregua di quanto accade – ad esempio – allorquando una persona fisica residente in Italia incassi dei “redditi di capitale” e, un momento dopo, li trasferisca sic et simpliciter – e per qualsivoglia ragione – ad un proprio familiare. Nelle ipotesi considerate, le attribuzioni economiche devono essere apprezzate e valutate in modo isolato, a prescindere dalla loro originaria natura di reddito, indagando – questo sì – il titolo giuridico in forza del quale si realizza il trasferimento dal primo soggetto (nel nostro caso, il trustee) al secondo (nel nostro caso, il beneficiario) e, se del caso, anche le caratteristiche proprie del trasferimento medesimo. In considerazione di quanto precede, è dunque irrilevante – ai fini dell’indagine circa la tipologia di imposte, dirette o indirette, da applicare in occasione delle suddette erogazioni da parte del trustee – il fatto che le somme o i beni in natura oggetto di distribuzione si configurino alla stregua di ricchezza prodotta dall’attività gestoria svolta dal trustee ovvero quali elementi patrimoniali costituenti il trust fund: una volta acquisiti dal trust, il denaro o i beni in oggetto condividono la medesima natura di elementi patrimoniali; successivamente, all’atto della loro erogazione da parte del trustee, essi dovranno essere apprezzati “asetticamente” onde accertare se, in capo ai beneficiari residenti, abbiano natura reddituale ovvero patrimoniale. Si evidenzia, in secondo luogo, l’irrilevanza del luogo di destinazione delle erogazioni in discorso, irrilevanza riconnessa al fatto che – laddove sia accertata la presenza di un reddito – i tributi de quibus si applicheranno sempre, e comunque, allorquando il percettore risulti fiscalmente residente in Italia: e ai fini del presente studio si è previsto che i beneficiari del trust saranno soggettivamente (mediante la residenza fiscale, appunto) collegati con il territorio dello Stato italiano. Ai fini delle imposte indirette, la suddetta irrilevanza è riconducibile ai particolari “criteri di territorialità” che accedono ai tributi medesimi: per l’imposta di registro, il luogo di formazione dell’atto e la localizzazione in Italia dell’immobile oggetto di trasferimento; per l’imposta sulle donazioni, i medesimi criteri eventualmente integrati – in presenza di atti formati all’estero – dal luogo di residenza del beneficiario (ma ciò a condizione che se ne ammetta la “sopravvivenza” dopo le modifiche recentemente apportate al tributo in questione), con conseguente assoggettabilità a prelievo delle “attribuzioni economiche” ovunque destinate. Seguendo lo schema espositivo già adottato in occasione della disamina dei “negozi dispositivi” iniziali, la rilevanza fiscale dei “trasferimenti” effettuati dal trustee ai beneficiari sarà indagata, dapprima, sotto il profilo delle “imposte sui redditi” e, successivamente, con riguardo alle “imposte indirette”, in stretto collegamento – in questo secondo caso – ai modelli “atomistico” (paragrafo 3.3.3.) e “unitario” (paragrafo 3.3.4.) ipotizzati all’inizio in sede di analisi delle implicazioni tributarie dei già menzionati “negozi dispositivi” iniziali. 5.1. La disamina – sotto il profilo delle “imposte sui redditi” attualmente vigenti nell’ordinamento italiano – delle conseguenze tributarie che si riconnettono ai trasferimenti effettuati dal trustee, a favore beneficiari residenti, non può che muovere dalla constatazione dell’assenza – nell’attuale sistema impositivo – di disposizioni specifiche che regolino la fattispecie in oggetto. Alla luce di ciò, e per le pregnanti ragioni che saranno ampiamente illustrate di seguito, si può ritenere che – allo stato attuale – le attribuzioni economiche in esame non siano assoggettabili a imposte sui redditi in capo ai beneficiari residenti, e ciò per difetto degli stessi presupposti teorici di applicazione di questa species di tributi: non risulta integrato l’indefettibile presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, che è individuato – dall’art. 1 del t.u.i.r. – nel “...possesso di redditi in denaro o in natura rientranti in una delle categorie indicate nell'art. 6...”. La mancata integrazione, nel caso di specie, del presupposto applicativo dell’Irpef – e la conseguente irrilevanza ai fini impositivi delle attribuzioni economiche in esame – è sostanzialmente ascrivibile all’effetto combinato di “ragioni specifiche” connesse alle peculiarità proprie del trust in esame e alle caratteristiche oggettive delle attribuzioni de quibus, e, per altro verso, di “motivi strutturali” legati agli elementi che morfologicamente connotano il sistema di prelievo sui redditi. Nei trusts discrezionali, quali sono quelli di cui trattasi, l’atto istitutivo riserva ed attribuisce specificamente al trustee (eventualmente, con l’assenso vincolante del protector, ove tale figura sia prevista) ogni determinazione inerente ai trasferimenti in esame: in sede di valutazione circa l’attribuzione degli elementi del trust fund, il trustee può legittimamente decidere di ignorare uno o più beneficiari, così come ha la piena facoltà di stabilire discrezionalmente (ma sempre nel rispetto delle indicazioni dell’atto istitutivo) il tempo e l’entità delle erogazioni da effettuare ai beneficiari: questi ultimi si trovano in una posizione che – sotto il profilo giuridico – si può qualificare di “mera aspettativa”, quand’anche tutelata dal diritto (nel medesimo senso, L. SALVINI, Il trasferimento degli interessi beneficiari, in AA.VV., Il trust in Italia oggi, a cura di I. BENEVENTI, op. cit., pp. 348-349). Per altro verso, le attribuzioni ricevute dai beneficiari non sono riferibili ad alcuna loro “attività”, né a precedenti modificazioni (per l’effetto dell’impiego) della propria ricchezza originaria, configurandosi oggettivamente alla stregua di un patrimonio “abbandonato” volontariamente da altri che va ad aggiungersi al proprio e, dunque, quale mero “incremento di carattere patrimoniale”: in definitiva, coerentemente con le caratteristiche del trust e la posizione riservatagli all’interno dell’istituto, il beneficiario non compie alcuno sforzo fisico e/o patrimoniale, non partecipa in modo attivo, ma si limita a subire l’iniziativa (liberale) altrui ed a prestarvi (in modo esplicito o per fatti concludenti) la propria adesione. Queste connotazioni del trust discrezionale e l’oggettiva caratterizzazione delle attribuzioni nel senso testé considerato fanno sì che gli “incrementi di ricchezza” conseguiti dai beneficiari – per effetto delle distribuzioni operate dal trustee – non possano essere ricondotti all’interno di alcuna delle “categorie di reddito” previste dall’art. 6 del. t.u.i.r., con conseguente impossibilità di tassazione in capo ai beneficiari medesimi per carenza – appunto – del presupposto dell’Irpef di cui al citato art. 1 del medesimo t.u.i.r.. Le fattispecie reddituali imponibili – che rientrano nelle categorie indicate nell’art. 6, testé citato – si contraddistinguono per il fatto di essere il portato dello svolgimento di una determinata attività da parte del contribuente (che, nella specie, dovrebbe essere il beneficiario) ovvero di essere il prodotto di qualificati cespiti patrimoniali appartenenti al contribuente medesimo o, ancora, di essere riconducibili all’interno di ben individuati incrementi di ricchezza (che non ricomprendono, ad oggi, quelle in esame) non direttamente collegati ad una specifica fonte produttiva (in merito, e per tutti, cfr. F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, vol. II, Torino, 1999, p. 16): come evidenziato, le attribuzioni effettuate dal trustee ai beneficiari non presentano alcuna delle caratterizzazioni appena illustrate e, in conseguenza di ciò, non si prestano ontologicamente ad essere ricondotte e inquadrate all’interno di alcuna delle fattispecie astratte contemplate nelle diverse “categorie di reddito”. In questa prospettiva, generale e di principio, non è pertanto accettabile l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria (SECIT, Delibera 11 maggio 1998, n. 37 – La circolazione dei trusts in Italia, cit., p. 11150) secondo cui erogazioni effettuate dal trustee a favore dei beneficiari potrebbero essere qualificate come “rendita vitalizia” o “rendita a tempo determinato” e, in conseguenza di ciò, tassate ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. h), del t.u.i.r.. Si evidenzia, in merito, che nella fattispecie in esame manca quell’“impiego di capitale” che rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie considerata. L’attribuzione non è un “provento” derivante da un previo impiego da parte del beneficiario, ma, al più, se impiego di capitale vi è stato, questo impiego è imputabile al trustee, e non al beneficiario, il quale non ha dunque acquisito alcun “diritto” alla percezione; correlativamente, ed a conferma, è sempre il trustee che decide in modo discrezionale “chi”, “quando” e “in che misura” beneficiare con le attribuzioni patrimoniali, senza alcuna prevista o attuale contropartita. Si perviene alle medesime conclusioni se si effettua una rapida ricognizione di altre fattispecie reddituali che, più o meno direttamente, potrebbero essere richiamate nel caso di specie. Le attribuzioni non possono essere – di certo – qualificate come “dividendi” ex art. 44, comma 1, lett. e), del t.u.i.r., se appena si considera che la posizione del beneficiario di un trust non ha nulla in comune con quelle del socio di una società o di un ente commerciale e le somme erogate dal trustee sono ontologicamente diverse dagli utili distribuiti dalle predette società ed enti commerciali. Né la fattispecie in esame si attaglia ad alcuna delle ipotesi elencate dall’art. 67 del t.u.i.r., che costituiscono “redditi diversi”, nonostante la “categoria di reddito” in oggetto abbia natura di categoria residuale e di chiusura del sistema impositivo. Non è possibile neanche costringere le attribuzioni del trustee all’interno della fattispecie astratta individuata dall’art. 59, comma 1, lett. i), del t.u.i.r.), come invece ha espressamente ipotizzato il SECIT (cfr., sempre, SECIT, Delibera 11 maggio 1998, n. 37 – La circolazione dei trusts in Italia, cit., p. 11150), che assimila ai redditi di lavoro dipendente “...gli assegni periodici, comunque denominati, alla cui produzione non concorrono attualmente né capitale né lavoro...”. Innanzitutto, assume rilievo determinante la circostanza che – nel caso di specie – le attribuzioni del trustee sono prive del connotato della “periodicità”: e tanto basterebbe per escludere in radice la possibilità di invocare la fattispecie degli “assegni periodici”. Ma anche a volere prescindere da questo requisito, si evidenzia che le attribuzioni de quibus non hanno causa in un pregresso impiego di cespiti patrimoniali ovvero nel passato svolgimento di un’attività, requisiti – questi – che sono ritenuti determinanti ai fini della configurabilità in concreto della fattispecie in esame. Verificata l’oggettiva impossibilità di qualificare gli “incrementi di ricchezza” ottenuti dai beneficiari alla stregua di “reddito imponibile”, si tratta adesso di testare se i medesimi arricchimenti possano essere qualificati o meno come “liberalità”, con conseguente alternativa applicabilità – in caso di risposta, rispettivamente, positiva e negativa – dell’imposta sulle donazioni o dell’imposta di registro. 5.2. La valutazione della rilevanza – ai fini delle imposte indirette – dei trasferimenti di beni effettuati dal trustee ai beneficiaries, che caratterizzano la fase finale dell’ideale “ciclo di vita” del trust, deve essere effettuata in stretto collegamento con le ricostruzioni delle vicende negoziali del trust che sono state ipotizzate in sede di analisi del regime d’imposizione indiretta applicabile ai “negozi dispositivi” della fase iniziale. E ciò perché l’apprezzamento e la valutazione fiscale dei “negozi dispositivi” iniziali secondo il “modello atomistico” (cfr. paragrafo 3.3.3.) oppure secondo il “modello unitario” (paragrafo 3.3.4.) è foriera, e non potrebbe essere diversamente, di conseguenze di non poco momento relativamente alle imposte sui trasferimenti applicabili agli “atti di destinazione” finali. 5.2.1. In base al c.d. “modello atomistico”, che rammentiamo è fondato sulla presunta irrilevanza delle “liberalità indirette” nell’attuale sistema d’imposizione sulle donazioni, i singoli atti di destinazione del trust fund devono essere apprezzati – al pari dei “negozi dispositivi iniziali – in base alla propria autonoma portata. Con questi “atti di destinazione”, il trustee realizza la finalità perseguita dal settlor in fase di costituzione del trust, e cioè arricchire i beneficiari, ma ciò non implica che detti negozi assumano rilevanza ai fini dell’imposta sulle donazioni: così come ricostruito in altra sede (paragrafo 3.3.3.), il presupposto del tributo in esame non è (e non può essere) integrato dalle attribuzioni effettuate dal trustee ai beneficiari. In particolare, il trustee non è determinato – nell’effettuare le suddette attribuzioni – da un animus donandi, ossia dalla coscienza e volontà di conferire “liberalmente” ai beneficiari un vantaggio o arricchimento patrimoniale: al contrario, è costretto a fare ciò, rappresentando i relativi atti di trasferimento null’altro che l’adempimento di un’obbligazione previamente assunta nei confronti del settlor. E’ vero che i beneficiari si arricchiscono senza contrarre alcuna obbligazione o pagare alcun corrispettivo, ma ciò non è sufficiente a configurare una “liberalità” rilevante ai sensi dell’art. 13, comma 2, della L. n. 383/2001: l’animus donandi è condizione indefettibile ai fini della configurabilità di una “liberalità” rilevante e, dunque, deve necessariamente coesistere con la locupletazione per determinare l’applicazione del tributo in esame. Nel caso di specie, si è in presenza di un vero e proprio “arricchimento senza liberalità” e, dunque, di “atti gratuiti” ma non liberali, la cui esistenza si giustifica con il fatto che “ogni atto a titolo di liberalità è atto a titolo gratuito, ossia senza corrispettivo; ma non tutti gli atti a titolo gratuito sono atti di liberalità”, essendo – gli atti gratuiti – la categoria generale più ampia. Ciò conferma ulteriormente, se ce ne fosse ancora bisogno, che le attribuzioni ai beneficiari sono irrilevanti ai fini dell’imposta sulle donazioni: è stata dimostrata l’estraneità degli “atti gratuiti” ma non liberali rispetto al presupposto applicativo del tributo sulle donazioni così come delineato dall’art. 1 del previgente D. Lgs. n. 346/90, il cui contenuto – come già evidenziato – è stato sic et simpliciter trasfuso, per la parte relativa al prelievo sulle donazioni, nell’attuale art. 13, comma 2, della L. n. 383/2001. Anche a questi atti finali di trasferimento dal trustee ai beneficiari non è dunque applicabile l’imposta sulle donazioni, bensì – ove se ne ravvisino le condizioni – il tributo di registro. Essi, in particolare, sconteranno un differente prelievo in Italia in ragione della tipologia di bene oggetto di trasferimento (denaro, titoli e immobili) secondo la schematizzazione effettuata al paragrafo 3.3.3., che s’intende mutatis mutandis richiamata anche in questa sede. 5.2.2 Per effetto del ricorso al c.d. “modello unitario”, che si fonda sulla dimostrata permanenza delle “liberalità indirette” formalizzate nel vigente sistema di prelievo sulle donazioni (si veda in merito quanto osservato al paragrafo 3.3.3.), le vicende negoziali successive all’atto istitutivo del trust possono essere ricostruite in modo coerente con l’unitario spirito di liberalità che connota il programma negoziale: i vari negozi traslativi – per quanto temporalmente più o meno lontani – sono ricollegati funzionalmente in ragione del risultato finale sotteso all’istituzione del trust e, nella loro “unità ideale”, sono valutabili e valutati sotto il profilo fiscale. Questa ricostruzione unitaria dei diversi atti di destinazione patrimoniale ha portato a ravvisare l’esistenza – nei trasferimenti effettuati in esecuzione del programma negoziale – di una specifica ipotesi di “liberalità indiretta”, come tale assoggettabile al prelievo sulle donazioni, ma non immediatamente al verificarsi dei “negozi traslativi”, bensì all’atto della formalizzazione del trasferimento finale del trust fund. E ciò a causa dello iato esistente, dal punto di vista fiscale, fra i due momenti di realizzazione degli atti in cui si articola la “liberalità indiretta”. L’analisi del regime impositivo applicabile alla “liberalità indiretta” – all’atto del trasferimento finale del trust fund dal trustee ai beneficiari residenti – deve essere preceduto dalla risoluzione della problematica in merito ai “criteri di territorialità” di riferimento ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni. Il vecchio art. 2 del D.Lgs. n. 346/1990, così come successivamente integrato dall’art. 69 della L. n. 342/2000, prevedeva – ai fini dell’assoggettamento al tributo successorio – tre ipotesi: (i) donante residente in Italia: in questo caso, l’imposta era dovuta sui beni trasferiti ovunque esistenti nel mondo; (ii) donante residente all’estero: in questo caso, l’imposta era dovuta solamente sui beni esistenti sul territorio dello Stato; (iii) atto di donazione formato all’estero e beneficiario residente in Italia: in questo caso, l’imposta era dovuta sui beni trasferiti anche se non esistenti sul territorio dello Stato. Per effetto della soppressione del tributo in esame – ad opera dell’art. 13, comma 1 – i criteri di territorialità appena illustrati (e stabiliti dal combinato disposto degli art. 2 e 55, comma 1-bis, del D. Lgs. n. 346/90) si reputano non più operanti, accedendo – appunto – ad un’imposta “soppressa” e non più esistente. Coerentemente con il rinvio operato, si dovrebbe fare riferimento alle sole regole di territorialità dettate in materia d’imposta di registro (o, nella fattispecie qui non esaminata, per l’Iva), che si fondano sulla: (i) formazione in Italia dell’atto soggetto a registrazione; (ii) localizzazione nel territorio dello Stato italiano dei beni oggetto di trasferimento (immobili e aziende). Questa conclusione, che è già stata sposata in sede di primo commento delle modifiche al tributo successorio (cfr. CIRCOLARE ASSONIME, 20 dicembre 2001, n. 61, p. 4) potrebbe essere messa in crisi dal rilievo secondo cui all’interno della legge di riforma si fa riferimento espresso alle “...donazioni fatte all’estero a favore di residenti...”, con evidente richiamo al criterio di territorialità sub (iii). Come già evidenziato, la disposizione de qua – nel prorogare i termini di registrazione di questi atti – implicitamente ne ammette la “sopravvivenza” e la rilevanza anche nel nuovo sistema scaturito dalla riforma, tanto più che essa (disposizione) ha natura di norma agevolativa. Ciò potrebbe avere anche una sua coerenza intrinseca, assolvendo il relativo criterio ad una funzione di chiusura del sistema: se non esistesse, infatti, le donazioni effettuate all’estero a favore di soggetti residenti in Italia sarebbero imponibili solamente nel caso di trasferimento di immobili o aziende esistenti in Italia e, come accadeva in passato, sfuggirebbero a tassazione tutte quelle aventi ad oggetto beni facilmente trasportabili all’estero (come, ad esempio, denaro, titoli, ecc.). Questa considerazione ha tuttavia una valenza solo teorica: difatti, per effetto del rinvio all’imposta di registro, la maggior parte di questi beni facilmente trasportabili all’estero, anche se si trovano sul territorio dello Stato, sono adesso imponibili – ai fini dell’imposta sulle donazioni – solamente con il pagamento del registro nella “misura fissa” di 168,00 Euro. Avendo quindi presente l’ottica cautelativa che appare opportuno assumere nello specifico contesto, la tesi della sussistenza dei criteri del registro “integrati” dall’ulteriore criterio della “residenza del beneficiario” nel caso di donazioni all’estero si appalesa come maggiormente tranquillizzante, in considerazione anche dello scarso rilievo pratico che la questione assume sotto il profilo dell’incidenza del tributo sulle fattispecie interessate. Ciò chiarito, si può passare ad illustrare la misura in cui si attua – al momento della formalizzazione del trasferimento finale dal trustee ai beneficiaries – il prelievo sulle donazioni dei potenziali beni (denaro, titoli e immobili) oggetto del suddetto trasferimento. Essendo previsto – all’art. 13, comma 2, della L. n. 383/2001 – che le “donazioni” e le “altre liberalità” ancora imponibili debbono scontare il prelievo sulle donazioni nella misura stabilita dalle “...imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso...”, si comprende come il rinvio sia essenzialmente all’imposta di registro, e alle misure stabilite dalla Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986, che – con riguardo ai beni di nostro interesse – si traduce come segue. Si precisa che, assumendo come vigente l’ulteriore “criterio di territorialità” della “residenza in Italia” – nell’ipotesi di donazione fatta all’estero – e essendo i beneficiari del trust residenti in Italia, non ha più ragion d’essere – in termini sostanziali – la distinzione tra “atto formato in Italia” e “atto formato all’estero”: in entrambi i casi, infatti, vi sarà obbligo di registrazione “in termine fisso”. Pertanto potremo avere le seguenti situazioni. (A) DISPONIBILITÀ LIQUIDE DEPOSITATE PRESSO BANCHE LOCALIZZATE IN ITALIA OVVERO ALL’ESTERO: (A1) atto formato in Italia ovvero all’estero: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo nella misura del 3 per cento (art. 2 della Tariffa, parte prima). Si ribadisce che quest’oneroso prelievo può essere evitato, stante la natura di “imposta d’atto” del tributo di registro, nel caso in cui il trasferimento di denaro dal trustee ai beneficiari sia realizzato senza formalizzazione, mediante, ad esempio, un mero “bonifico bancario” dal conto corrente del primo a quello di ciascuno dei secondi. (B) AZIONI (E QUOTE DI PARTECIPAZIONE), OBBLIGAZIONI E ALTRI TITOLI IN SERIE O DI MASSA DEPOSITATI PRESSO BANCHE LOCALIZZATE IN ITALIA OVVERO ALL’ESTERO: (B1) atto formato in Italia o all’estero: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (art. 11 della Tariffa, parte prima); (C) BENI IMMOBILI LOCALIZZATI IN ITALIA OVVERO ALL’ESTERO: (C1) atto formato in Italia ovvero all’estero e bene immobile ubicato in Italia: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo in misura diversa in ragione del differente tipo di bene immobile trasferito (art. 1 della Tariffa, parte prima; tra le ipotesi più significative: fabbricati e relative pertinenze: 7%; terreni agricoli: 15%; immobili di interesse storico et similia: 4%; altri beni immobili: 8%); (C2) atto formato in Italia ovvero all’estero e bene immobile ubicato all’estero: obbligo di registrazione “in termine fisso” e pagamento del tributo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (art. 1 della Tariffa, parte prima; art. 11 della Tariffa, parte seconda); Si ribadisce che l’oneroso prelievo proporzionale applicabile nel caso di immobili localizzati in Italia (a prescindere dal luogo di formazione dell’atto) non sussisterà se, come indicato, l’immobile, viene inizialmente conferito in una società estera avente sede nell’Unione europea, con successiva devoluzione in trust delle azioni di questa società: il conferimento dell’immobile in una “società comunitaria” è infatti sottoposto a prelievo nella “misura fissa” di Euro 168,00 (Nota IV all’art. 4 della Tariffa, parte prima) e il successivo trasferimento delle azioni sarà anch’esso soggetto a prelievo nella “misura fissa” di Euro 168,00. Condizione imprescindibile per la realizzazione del conferimento è che l’immobile non sia “dotato” di una plusvalenza latente (che, in caso contrario, sarebbe soggetta ad imposizione sui redditi) ovvero che il medesimo immobile sia posseduto dal “disponente” da più di cinque anni (nel qual caso, la plusvalenza – se esiste – non è imponibile ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. b), del t.u.i.r.). Nel caso il bene immobile sia trasferito direttamente dal trustee ai beneficiaries, perché non era stato previamente conferito in una “società comunitaria”, saranno altresì dovute le imposte ipotecaria e catastale nella misura, rispettivamente, del 2% e dell’1% del valore dell’immobile. Si tenga presente che nel modello in esame si è in presenza di una “liberalità indiretta”, con la conseguenza che – trovando applicazione l’imposta sulle donazioni – si ha la possibilità di: (i) tenere conto dei legami esistenti fra settlor e beneficiari: se questi ultimi sono “familiari”, il trasferimento non sarà imponibile e l’atto dovrà essere registrato gratuitamente; lo stesso vale nel caso in cui i beneficiari sono “soggetti diversi” e l’ammontare delle attribuzioni non supera la “soglia rilevante”: questa franchigia vale per ognuno dei beneficiari (cumulando tutte le liberalità ricevute dal settlor); (ii) applicare tutte le disposizioni del D. Lgs. n. 346 relative a: agevolazioni, esenzioni, franchigie e determinazione della base imponibile. B. Profili tributari dei trusts mortis causa. Anteriormente alla soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni, intervenuta a seguito della legge 18 ottobre 2001, n. 383, il trust costituito per atto mortis causa veniva inquadrato dal Secit in una disposizione a titolo particolare, a cui seguiva l’assoggettamento del trasferimento all’imposta di successione. Soggetto passivo di imposta era individuato nel trustee, al quale si attribuiva una posizione analoga a quella del soggetto istituito nella sostituzione fedecommissaria, applicandosi, dunque, le previsioni di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 346/1990 e calcolando l’imposta “su un valore pari a quello dell’usufrutto sui beni facenti parte del patrimonio trasferito” (delibera SECIT 11 maggio 1998, n. 37, La circolazione dei trusts esteri in Italia, cit.). La giurisprudenza tributaria si è tuttavia espressa in favore dell’individuazione del soggetto passivo d’imposta nel beneficiario anziché nel trustee, in primo luogo, a fronte della tassatività dei presupposti in cui può configurarsi la sostituzione fedecommissaria (Comm. trib. reg. Venezia, sez. XIX, 24 ottobre 2002, n. 104) ed inoltre in quanto il trustee, nella sua qualità di titolare di un ufficio di diritto privato, non potrebbe assumere la qualità di successore mortis causa del disponente. In ogni caso, la soppressione dell’imposta sulle successioni e donazioni, ha eliminato in nuce tali questioni, essendo ora la disposizione testamentaria di trust – similmente alle altre attribuzioni mortis causa, non più soggetta ad alcuna imposizione fiscale (così Consiglio Nazionale del Notariato, Studi Tributari, Studio n. 80/2003/T, Trust e imposte indirette, Approvato dalla Commissione Studi Tributari il 21 novembre 2003. 3. LA CONTABILITÀ DEL TRUST 1. Il trustee è obbligato a <<rendere conto>> del suo <<amministrare, gestire, disporre i beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge>> (art. 2, comma 2, lettera c)3. L’obbligo di rendere il conto è ben noto alle società fiduciarie italiane, in particolare a quelle che svolgevano l’attività di gestione di patrimoni, prima della riforma operata dalla legge 2 gennaio 1991, n. 1, successivamente a quelle abilitate per essere iscritte nella sezione dell’Albo Sim. Un particolare obbligo di rendi conto (<<estratto conto>>) è quello introdotto dal decreto 16 gennaio 1995 del (allora) ministero dell’industria commercio e artigianato, art. 12, comma 1, lett. c); infatti, non essendo norma di legge (nè di regolamento delegato), l’indicazione di comportamento può essere sostituita da una diversa indicazione del fiduciante, preoccupato di mantenere il più elevato grado di riservatezza possibile (che raggiunge la quasi impenetrabilità nei confronti dei terzi). L’obbligo che dalla legge discende al trustee è sostanzialmente quello della società fiduciaria di gestione, modello pre-legge 1/1991. Infatti, in entrambe le fattispecie quello che deve essere valutato dai destinatari del documento è, per l’uno, l’aderenza dell'amministrare-gestire-disporre dei beni, che costituiscono il trust fund, del trustee (o del gestore) (a) ai termini del trust, (b) alle norme particolari imposte dalla legge regolatrice del trust; per l’altra, l’aderenza delle scelte (i) di investimento, (ii) di dis-investimento, (iii) di mantenimento (nè investimento, nè dis-investimento), ossia vuoi di asset allocation (composizione del portafoglio di investimento) vuoi di stock picking (scelta dei singoli titoli che compongono il portafoglio di investimento vuoi di market timing ( scelta del tempo, del momento dell’acquisto e della vendita), che costituiscono i momenti centrali del “gestire” del gestore, al contratto (scritto) di gestione di portafoglio di investimento e alla norme sia di legge sia di regolamenti (che sono regolamenti delegati). 2. L’incarico può essere accettato e svolto dal trustee (a) in via del tutto occasionale, per amicizia, per la fiducia di cui gode la persona eletta come trustee (aspetto soggettivo), per la natura dell’oggetto affidato in trust (aspetto oggettivo: si pensi all’importo affidato al commercialista per il pagamento di una imposta, all’avvocato per la soluzione di un debito e via dicendo); oppure (b) in via abituale. Tanto nell’un caso quanto nell’altro, il bene ricevuto in trust non va confuso con il patrimonio del trustee. La soluzione tecnica varia con il variare del bene: se questo lo consente, la soluzione più idonea appare essere quella di iscriverlo con la specificazione del suo essere in trust o di esercitarne il diritto in qualità di trustee (“as trustee”) . In relazione alla apertura del conto corrente bancario (ma la indicazione può essere estesa a ogni contratto in cui è parte il trustee e a ogni iscrizione in registri, elenchi, albi e quant’altro), è stato suggerito di procedere alla intestazione del conto <<Tizio, trustee per conto del ‘trust Z’>>, oppure <<‘trust Z’, rappresentato dal trusee Tizio>> (AAVV, Il trust nella operatività bancaria, Bancaria Editrice, 1988). La identificazione come bene non appartenente al trustee è l’operazione prodromica al rendiconto, che sarà il “rendiconto del ‘trust Z’” (nell’esempio del conto corrente bancario). 3 Gli articoli di questo paragrafo, senza indicazione della legge di riferimento si intendono tutti delle Convenzione de L’Aja 1° luglio 1985 3. Qualora il trustee svolga il suo ruolo in via occasionale, non avrà necessità di tenere una forma particolare di contabilità, avrà cura di tenere le pezze giustificative di ciascuna delle operazioni compiute nell’interesse del trust fund. Se il trustee è persona fisica (situazione più probabile nel caso in esame, attuerà una sorta di contabilità di cassa con regole autodeterminate: i Paesi a tradizione di trust contemplano, in perfetta sintonia con l’istituto, di prevalenza regole di derivazione deontologica emanate dalle associazioni che raggruppano coloro che svolgono professionalmente attività di trustee. Altri ordinamenti hanno dettato espressamente delle norme nella disciplina del trust: <<Trustees shall keep the trust property distinct and separate from their own property as well as from any other property held by them under any other trust or title, and separately identifiable therefrom>> Malta, Trusts Act 1998, cit., art. 21, 5. <<A trustee shall keep trust property separate from his own property and separately identifiable from eny other property of which he is the trustee>> Mauritius Offshore Trusts Act 1992. <<A trustee shall hold the trust property separately from any other property or so that it can be distinguished therefrom>> Israele Trust Law, 5739-1979. La nuova legge della Repubblica di San Marino dispone, in proposito che: <<Il trustee deve conservare i beni in trust separati da ogni altro bene nella propria disponibilità, inclusi quelli di pertinenza di altri trust. Il trustee deve depositare i titoli al portatore presso banche e altri depositari autorizzati alla custodia di valori, soggetti a vigilanza prudenziale e tenuti al rispetto delle norme antiriciclaggio. Si applicano i commi 2 e 3 dell’articolo 36.>> (art. 22, co. 2 e 3, l. 17 marzo 2005, n. 37). 4. Qualora il trustee eserciti la attività di trustee come attività professionale, terrà la contabilità separata di ciascun trust che amministra. A supporto di essa può essere opportuno che il trust sia dotato di un “Libro degli eventi” (L.D. Risso, Il libro degli eventi del trust, in Trusts, 2000, 127) tenuto e aggiornato dal trustee, sul quale verranno annotate tutte le vicende e le modifiche che si verificano durante la vita del trust, come a esempio il cambiamento della legge applicabile, la nomina e la revoca del (o dei) protector, beneficiari (se nominati). La revoca del trustee è iscritta nel “Libro degli eventi” del nuovo trustee, è lo starting point del suo essere il trustee di quel trust. Tuttavia, non vi è alcuna disciplina o regola specifica per tenere la contabilità. La legge della Repubblica di San Marino si occupa della materia con due norme specifiche, gli articoli 27 e 29. L'articolo 27, regola la contabilità e l'inventario: <<1. Il trustee tiene la contabilità annuale dei fatti amministrativi che interessano i beni in trust e dà notizia dei risultati annualmente nel Libro degli eventi e valuta il loro valore di mercato secondo le modalità e in applicazione dei criteri stabiliti da apposito decreto reggenziale da emanarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. 2. L’annotazione deve avvenire entro il 31 marzo dell’anno successivo. 3. Il trustee redige l’inventario dei beni in trust, unitamente ad una relazione contenente il riepilogo e la descrizione dei principali eventi modificativi della consistenza e della composizione dei beni in trust.>> Questo avere voluto stabilire i <<criteri>> e le <<modalità>> per l'iscrizione nell'apposito registro e per <<valutare>> i beni al <<valore di mercato>> è il prezzo pagato dal legislatore da un canto, all'eccesso dirigistico (eccesso di cui soffre l'intera disciplina); dall'altro canto, alla mancanza della specifica disciplina dei servizi di investimento. Come già per il decreto Minindustria del 19 gennaio 1995 (in tema di società fiduciarie), anche questo articolato risente dell'influsso specifico della disciplina dei servizi di investimento. Infatti, la legge sanmarinese espressamente prevede (art. 23) che il trustee possa svolgere attività di "gestione" (intendendosi per tale quella che il diritto comunitario conosce come "gestione di portafogli di investimento") mentre negli ordinamenti dei Paesi appartenenti alla Comunità economica europea, questo "gestire" è riservato ai gestori debitamente autorizzati a esercitare il relativo servizio di investimento. L'articolo 29 dispone l'obbligo per il trustee di istituire e tenere il "Libro degli eventi": a) b) c) d) e) f) g) h) i) <<1. Il trustee istituisce, aggiorna e custodisce il Libro degli eventi del trust, nel quale registra in ordine cronologico gli atti e gli eventi relativi al trust. Devono in ogni caso risultare dal Libro degli eventi: l’atto istitutivo; la descrizione degli eventi riguardanti il beneficiario e lo scopo; la descrizione dei beni in trust; le attribuzioni effettuate in conformità all’atto istitutivo del trust; gli atti di delega; i procedimenti di cui il trustee sia parte in tale qualità; il dissenso manifestato ai sensi degli articoli 31 e 54; l’inventario annuale dei beni in trust; le variazioni dei trustee, co-trustee e dei guardiani. 2. Il Libro degli eventi è numerato progressivamente in ogni pagina e vidimato in ogni foglio dal notaio. Con decreto reggenziale da emanarsi entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge sono stabilite le modalità relative alla vidimazione. 3. Il Libro degli eventi è esibito, su richiesta, al guardiano, all’Autorità Giudiziaria, nonché alla Autorità di Vigilanza secondo le disposizioni sulla vigilanza di cui all’articolo 19, comma 3, lett.d). 4. L’atto istitutivo può attribuire ad altri soggetti il diritto di consultare il Libro degli eventi.>>. Il combinato disposto dal primo comma dell'art. 27 con il primo comma di questo articolo fa di questo registro una sorta di libro giornale, nel quale iscrivere gli <<atti e gli eventi relativi al trust>>. La ridondanza dell'endiadi "atti" e "eventi", non aggiunge nulla alla regola che si è voluta dettare e pretenderebbe di porre la distinzione giuridica tra ciò che è "atti" e ciò che è "evento". Così non è e non può essere, poichè se in diritto per "evento" si intende il danno provocato dalla condotta del colpevole, di certo il legislatore non ha inteso che il trustee iscriva nel registro l'esito delle proprie azioni in violazione della condotta che avrebbe dovuto tenere. Nel testo sono <<atti relativi al trust>> le attività compiute dal trustee nell'interesse del trust fund o in esecuzione delle disposizioni dell'atto istitutivo. Sono "eventi" (latino "evenire": id quod evenit saepius) i fatti e gli avvenimenti che accadono ai beni in trust. Volendo attribuire una ragione alla espressione dovremmo dire che sono "eventi" quelli che accadono indipendentemente dagli atti posti in essere dal trustee (si quid secundis evenisset, ossia, se le cose fossero andate bene). La rigidità del dettato normativo, contrasta con la limitazione all'esercizio della attività di trustee riservata agli intermediari autorizzati (sono "trustee autorizzati": società bancarie, società finanziarie, società fiduciaria) e ai medesimi intermediari non residenti ("trustee qualificati": art. 19) soggetti a <<vigilanza prudenziale>> e <<operanti in regime>> e <<operanti in regime di reciprocità>>, sulla falsariga della lussemburghese Loi du 27 jullet 2003, senza la soavità liberistica alla quale è ispirata (senza nascondere la diffidenza verso l'istituto trust). 5. Qualora il trustee eserciti la attività di trustee come attività professionale in qualità e nella forma di persona giuridica, società di capitali, alla mancanza di indicazioni per la contabilità si aggiunge la mancanza di indicazioni relativa alla redazione del bilancio d’esercizio. Se il trustee è società di capitali di nazionalità italiana non professionale, i dubbi sulle modalità di redazione sono in buona parte risolti dal nuovo testo degli artt. 2447-sexies “libri obbligatori e altre scritture contabili”, 2447-septies “bilancio” e 2447-novies “rendiconto finale” della Sezione XI, del Capo V del Titolo V del Libro V del codice civile, che ha come rubrica <<dei patrimoni destinati ad uno specifico affare>>. Infatti, di siffatto patrimonio il suo essere ‘destinato’ è condizione essenziale vuoi per essere costituito come tale vuoi per essere opposto a ogni interessato (P. Ferro Luzzi, La disciplina dei patrimoni separati, in Riv. soc., 2002, p. 121 ss., id., I patrimoni <<dedicati>> e i <<gruppi>> nella riforma della società per azioni, in Riv. not. 2002, I, p. 271ss; F. Di Sabato, Sui patrimoni dedicati nella riforma societaria, in Società, 2002, p. 665ss; id. Brandelli di esperienza (non del tutto negativa) di un aspirante legislatore, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private a cura di P. Benazzo, S. Patriarca e G. Presti, Milano, 2003, p. 315 ss., spec. p. 317 ss., id., La riforma delle società di capitali, in Riv. dir. impr., 2002, p. 559 ss., spec. p. 572 ss.; F. Fimmanò, Il regime dei patrimoni dedicati di s.p.a. tra imputazione atipica dei rapporti e responsabilità, in Società, 2002, p. 960ss.; G.B. Portale, Dal capitale <<assicurato>> alle <<tracking stocks>>, in Riv. soc., 2002, p. 146ss., spec. p. 166 ss.; C. Rabitti Bedogni, Patrimoni dedicati, in Riv. not., 2002, I, 1121 ss., A. Zoppini, Autonomia e separazione del patrimonio, nella prospettiva dei patrimoni separati della società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 546 ss., e Primi appunti sul patrimonio separato della società per azioni, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, in Quaderni giur. comm. 2003, p. 97 ss; L.A. Bianchi, Prime osservazioni in tema di capitale e patrimonio nelle società di capitali, ivi, p. 79 ss.; L. De Angelis, Dal capitale <<leggero>> al capitale <<sottile>>: si abbassa il livello di tutela dei creditori, in Società, 2002, p. 1456ss, spec. p. 1461ss; M. Lamandini, Patrimoni destinati ad uno specifico affare, nel Parere dei componenti il Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca, in Diritto commerciale interno ed internazionale dell'Università Cattolica di Milano, in Riv. soc., 2002, p. 1495 ss.; B. Inzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Società, 2003, p. 265 ss; e I patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447-bis, lettera a, c.c.), in Contr. imp., 2003, p. 164ss.; R. Arlt, I patrimoni destinati ad uno specifico affare: le protected cell companies italiane, ivi, 2004, 323 ss.). Ma, costituito come destinato, il patrimonio è separato (con buona pace della “segregazione”) dal patrimonio della società che lo ha costituito, tanto che acquista particolare autonomia giuridica, poiché i creditori della società (anteriori o posteriori all’iscrizione) non possono far valere i propri diritti su quel patrimonio e la società, per le obbligazioni da essa contratte per lo specifico affare, non risponde che nei limiti del patrimonio a esso destinato (G. Verna, Osservazioni sulla rappresentazione contabile dei patrimoni destinati a specifici affari, Società, 11/2004, 1331). Sotto il profilo contabile, questo patrimonio gode anche di autonomia contabile, in quanto gli atti di gestione a esso relativi devono essere registrati in separate scritture contabili, il libro giornale e il libro degli inventari (G. Verna, ibidem), cui si aggiungono le scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’affare, quali a esempio il mastro, il libro cassa, il libro magazzino, ecc. (D. Fico, Aspetti contabili dei patrimoni destinati, Società, 10/2004, 1216). Per quanto in commento, va dato particolare rilievo all’obbligo che incombe sul consiglio di gestione di redigere il rendiconto. Da tali caratteristiche discende che il patrimonio destinato non è soggetto a fallimento, si ammette la liquidazione ma non il fallimento (F. Ciampi, Patrimoni e finanziamenti destinati in rapporto con le regole del concorso fallimentare, Società, 10/2004, 1213). Poi le somiglianze terminano, poiché il rendiconto del trustee non ha come destinatario la società che ha costituito il patrimonio. 6. Qualora il trustee eserciti la attività di trustee, come attività professionale, in qualità e nella forma di persona giuridica, società, di capitali di nazionalità italiana e il suo oggetto sociale contempli "le funzioni di trustee, l’assunzione di incarichi di trustee, l’amministrazione e la gestione di trusts", avrà come modello la società fiduciaria di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966 (contra S. Marchese, Il bilancio del trustee: aspetti contabili, in Trusts 2000, par. 6, p. 201 e M. Lupoi, Trusts, cit., 782, il quale sostiene che il trustee deve riportare <<le risultanze finali di ciascun trust, al netto dell’imposizione diretta, nella propria contabilità perché il reddito netto gli appartiene ed egli ne ha il possesso>>; se ciò corrispondesse al vero, il trustee dovrebbe riportare il reddito al lordo dell’imposizione e non, invece, determinarsi come <<associazione commerciale>> ex art. 73 tuir). Di contro, le indicazioni che si colgono nell’ordinamento nazionale sulla contabilizzazione delle altre forme di patrimonio separato (per il trust fund è patrimonio separato dal patrimonio del trustee) portano a ritenere che questa sia la soluzione più corretta. Se si considera come iscrivono i “portafogli in gestione su base individuale di portafoglio di investimento”, da un canto banche, sim e sgr (istituti che si sono canditati per svolgere la funzione di trustee), dall'altro canto, le società fiduciarie (i“portafogli in gestione su base individuale di portafoglio di investimento mediante intestazione fiduciaria”) si noterà che tutti sono accomunati negli obblighi di tenere la loro contabilità e di redigere il bilancio d’esercizio dalle istruzioni della Banca d’Italia (F. Di Maio, Nuovo genus di società fiduciaria o prima attuazione di trust amorfo?, in Contr. imp. Europa, 1997, 606 e in Atti del Convegno ABI Il trust nella operatività delle banche italiane 30 ottobre 1996, Il trust nella operatività bancaria, Bancaria Editrice, 1988). I patrimoni destinati a uno specifico affare vanno iscritti nei conti d’ordine, in calce allo stato patrimoniale (L. De Angelis, Patrimoni destinati a specifici affari di spa: profili contabili e fiscali, Dir. prat. Trib., 2003, I, 444) e si evidenzia che la mancata iscrizione tra i conti d’ordine, con la conseguente iscrizione nel corpo del bilancio del trustee, sia pure con la notizia fornita dalla nota integrativa, non avrebbe <<maggiore efficacia informativa>> (G.E.Colombo, La disciplina contabile dei patrimoni destinati: prime considerazioni, in Bbtc, 2004, I, 61). Ragionando a contrariis, si deve constatare che da nessun atto dispositivo o interpretativo si coglie con sicurezza che la scelta di iscrivere i beni di terzi nei conti d’ordine possa risultare contraria ai corretti principi contabili e alle norme civilistiche. Anzi, la nuova disciplina dei reati societari, in specie delle false comunicazioni sociali, avendo inserito nel “fatto” punibile anche l’omettere le <<informazioni che riguardino i beni posseduti od amministrati dalla società per conto di terzi>> ha recuperato la funzione dei conti d’ordine. Ora, è ben vero che la trust company possiede in proprio, ma è anche vero che, al pari della società fiduciaria essa <<has the power and the duty, in respect of which he is accountable, to manage, employ or dispose of the assets in accordance with the terms of the trust and the special duties imposed upon him by law>> . Sicché dove meglio che nei conti d’ordine e nella nota integrativa potrà essere fatta piena luce sulla proprietà in trust dei beni ivi iscritti, specie se la società redigente il bilancio ha per propria attività lo svolgere funzione di trustee? Nella riforma della disciplina de il contrait fiduciaire il legislatore lussemburghese ha usato la medesima impostazione seguita dalla Convenzione de L’Aja e ha previsto che il fiduciario <<devient propriétaire de bien formant un patrimoine fiduciaire>> (art. 5), con la conseguenza che <<le fiduciaire doit comptabiliser le patrimoine fiduciaire sèparèment de son patrimoine personnel et des autres patrimonies fiduciaires>> (art. 6,2). 7. Il trust, istituito nella forma di ‘trust discrezionale e irrevocabile’ all’estero o con trustee estero, da parte del residente italiano, non implica che si integrino gli estremi della fattispecie “trasferimento all’estero” del bene o dei beni trasferiti al trustee: a maggior ragione è da escludersi che possa integrare gli estremi della fattispecie di detenzione di beni all’estero.