Università degli Studi di Ferrara Corso di Laurea Triennale in Matematica Gli Eléments de géométrie di Alexis-Claude Clairaut all'origine del metodo attivo nell'insegnamento della Geometria intuitiva di Emma Castelnuovo Relatore: Laureanda: Prof.ssa Lucia Baron Alessandra Fiocca Anno Accademico 2013-2014 Indice 1 Introduzione 2 Emma Castelnuovo 1 2.1 Cenni biograci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 2.2 Le radici del pensiero didattico di Emma . . . . . . . . . . . . 2 2.3 Il metodo costruttivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 3 i Alexis-Claude Clairaut 9 3.1 Cenni biograci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 3.2 Gli Eléments de géométrie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 3.3 L'inuenza degli Eléments de géométrie nell'insegnamento della geometria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Francesco Soave 17 4.1 Cenni biograci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 4.2 Gli Elementi di geometria teorico-pratica ad uso delle scuole di Soave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 6 15 18 Carlo Ignazio Giulio 21 5.1 Cenni biograci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 5.2 Una nuova traduzione italiana degli Eléments de géométrie . . 21 La matematica negli istituti tecnici italiani del secondo Ottocento 25 6.1 La legge Casati e il sistema dell'istruzione tecnica secondaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 6.2 I programmi di matematica nei regolamenti attuativi del 1860 27 in Italia A Appendice 31 A.1 Prefazione di Clairaut agli Eléments de géométrie . . . . . . . 31 A.2 Tavola delle materie degli Eléments de géométrie di Clairaut . 33 A.3 Indice dell'ultimo capitolo degli Elementi di geometria teoricopratica ad uso delle scuole di Francesco Soave contenente la traduzione italiana del primo capitolo degli Eléments de géométrie di Clairaut . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 1 Introduzione Emma Castelnuovo, da poco scomparsa dopo una vita dedicata all'insegnamento e alla ricerca in didattica della matematica, ha legato il suo nome a diverse proposte didattiche innovative, in particolare nell'ambito dell'insegnamento della Geometria intuitiva rivolto a studenti della scuola media inferiore dagli 11 ai 13-14 anni, che precedeva l'insegnamento della Geometria razionale. La Castelnuovo proponeva di sostituire il cosiddetto metodo descrittivo di insegnamento della geometria con un metodo costruttivo. Nel metodo descrittivo, spiega la Castelnuovo, le gure sono statiche (disegni o modelli ssi) e si anticipano di volta in volta le proprietà che si intendono dimostrare, proprietà che costituiscono un complesso di verità assolute indipendenti dall'attività umana, secondo una concezione platonica. Nel metodo costruttivo invece si fa ricorso a delle basi concrete, ad oggetti materiali che vengono manipolati dagli studenti per condurli a scoprire le proprietà geometriche delle gure attraverso il movimento delle stesse gure. Secondo la Castelnuovo, infatti, il processo d'apprendimento doveva procedere dal concreto all'astratto, agli allievi dovevano essere presentati prima i fatti e poi le teorie, privilegiando un approccio sperimentale ed operativo alla disciplina. L'obiettivo principale del corso di Geometria intuitiva doveva essere quello di suscitare, attraverso l'osservazione dei fatti, l'interesse dell'alunno per le proprietà fondamentali delle gure geometriche e, con esso, il gusto e l'entusiasmo per la ricerca. Fu la lettura degli Eléments de géométrie di Alexis-Claude Clairaut pubblicati per la prima volta a Parigi nel 1741, che suggerì ad Emma Castelnuovo l'idea del nuovo metodo didattico della geometria per la scuola media. In questa tesi abbiamo voluto analizzare gli Eléments de géométrie di Alexis-Claude Clairaut e riconoscere il successo che questi hanno goduto in Italia negli anni attraverso traduzioni successive. Nel Settecento la prima traduzione in lingua italiana uscì a Roma nel 1751 nella stamperia Salomoni e tradotta da Carlo Benvenuti (1716-1789); la traduzione probabilmente è stata dettata dal fatto che Benvenuti fu chiamato a supplire il padre Ruggero Boscovich nell'insegnamento di sica e matematiche presso il Collegio Romano. Proprio in quegli anni la traduzione di Benvenuti ebbe una seconda edizione nel 1771 (Roma, Zempel) a dimostrazione di un interesse in Italia per il testo. i Nell'Ottocento Francesco Soave (1743-1806) ha avuto il merito di aver divulgato nelle scuole lombarde, no al tardo Ottocento, parte dell'opera didattica del Clairaut in traduzione italiana. Il Soave, noto per aver organizzato le prime scuole elementari governative in Lombardia nel 1787 e per essere il primo iniziatore della letteratura scolastica italiana, aveva pubblicato, negli ultimi anni del 1700, un volume dal titolo Elementi di geometria teorico-pratica ad uso delle scuole. In una nuova edizione di questo libro, del 1803, il Soave vi allegava come ultimo capitolo la parte della geometria piana del Clairaut riguardante la misura dei terreni. La sua traduzione non fu la sola ad essere ben accolta nelle scuole, ma ad essa possiamo aggiungere una nuova traduzione degli Eléments curata da Carlo Ignazio Giulio nel 1850 con indicazione nel frontespizio annotata e approvata dal Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione per uso delle scuole secondarie e speciali che ebbe una nuova edizione nel 1870 (e altre successive). Secondo la Castelnuovo, dato il grande numero di edizioni sia di questa traduzione sia della precedente allegata al libro del Soave, il Clairaut deve aver fatto da testo in molte scuole tecniche italiane perché ricco di begli esempi e di interessanti applicazioni pratiche. La parte conclusiva di questo lavoro è dedicata alla nascita delle prime scuole tecniche nel Regno di Sardegna con uno sguardo rivolto al sistema dell'istruzione tecnica secondaria in Italia dopo l'Unità ed ai programmi di matematica in quelle scuole dove il libro di Clairaut fu adottato. ii 1 2 Emma Castelnuovo 2.1 Cenni biograci Emma Castelnuovo (Roma, 12 dicembre 1913 Roma, 13 aprile 2014) è stata un'insegnante e matematica italiana, glia d'arte. Il padre Guido e lo zio Federigo Enriques (1871-1946) erano matematici di fama internazionale. Compiuti gli studi liceali, si iscrisse al Corso di Laurea in Matematica e Fisica dell'Università di Roma dove nel 1936 si laureò. Nei due anni successivi lavorò come bibliotecaria presso la nuova Biblioteca dell'Istituto di Matematica e si preparò al concorso per l'insegnamento secondario. A causa delle leggi razziali (la famiglia di Emma era ebraica), promulgate dal regime fascista, Emma non otterrà la cattedra per la quale, nel 1938, aveva vinto il concorso. Dal 1939 al 1943 insegnò nella scuole israelitiche frequentate dagli studenti ebrei che erano stati cacciati dalle scuole pubbliche a seguito della legislazione razziale. Dopo la liberazione di Roma, Emma fu reintegrata nella scuola ottenendo la cattedra di matematica presso la scuola media statale Torquato Tasso di Roma dedicandosi da allora in poi, per sua scelta, all'insegnamento. Nel 1944 fondò l'Istituto Romano di Cultura matematica che organizzava conferenze per insegnanti, attivo no al 1949. Nel frattempo, stimolata dallo zio Federigo Enriques, lesse gli Eléments de géométrie di Clairaut del 1741, che la indusse a modicare radicalmente il proprio modo di insegnare la matematica e in particolare la geometria. Nel 1948 Emma pubblicò la prima di varie edizioni del libro Geometria intuitiva per il primo ciclo della scuola secondaria, libro che costituisce una sorta di manifesto del suo pensiero didattico. Ripercorrendo le orme del padre, il quale aveva criticato il sistema didattico dell'epoca a suo dire troppo astratto, teorico e poco incline a cercare agganci con la pratica e le applicazioni. Emma pose l'accento sulla necessità che il processo d'apprendimento vada dal concreto all'astratto. Ciò signica che agli allievi dovevano essere presentati prima i fatti e poi le teorie, privilegiando un approccio sperimentale e operativo alla materia che, attraverso il disegno, semplici strumenti matematici e l'esperienza diretta, aiutasse a scoprire alcune delle proprietà fondamentali delle gure geometriche e a interrogarsi sulle ragioni della loro esistenza, rendendo più interessante l'apprendimento. Solo in un secondo momento si potranno sostituire alle linee e alle superci materiali delle gure i simboli astratti della matematica e dedurre da questi ultimi proposizioni meno evidenti. Nel 1951 entrò a far parte della CIEAEM (Commissione internazionale per lo studio e il miglioramento dell'insegnamento della matematica) e della Commissione Emma Castelnuovo sarà anche presidente dal 1979 al 2 1981. Per tutta la vita accanto all'insegnamento, sempre nella stessa scuola, ha svolto una continua attività di ricerca in didattica della matematica, con collaborazioni sia in Italia che all'estero, che ha prodotto oltre cento articoli sulle più importanti riviste del settore. 2.2 Le radici del pensiero didattico di Emma Il 30 Marzo del 1946 in una conferenza all'Istituto Romano di Cultura Mate- matica, Emma Castelnuovo esponeva il suo metodo attivo per l'insegnamento della Geometria intuitiva chiarendone i presupposti epistemologici e la fonte di ispirazione. Si tratta degli Eléments de géométrie di Alexis-Claude Clairaut pubblicati per la prima volta a Parigi nel 1741. Al libro di Clairaut dedica parole importanti: C'è un libro del 1741 che mi ha suggerito l'idea di questo indirizzo [...] è un vero gioiello di esposizione: è una continua scoperta delle proprietà delle gure a partire dall'osservazione e dalla misura [...] è una veduta del mondo che ci circonda con le lenti della geometria. ([Castelnuovo E., (1946)]) Si soerma quindi sulla storia della sua diusione in Italia e di come non ne fosse stato colto e salvaguardato lo spirito autentico: Il Clairaut deve aver fatto testo in molte scuole tecniche italiane; ma è anche certo [...] perché ricco di begli esempi e di interessanti applicazioni pratiche, ma non per quello che è veramente lo spirito del libro, cioè il metodo costruttivo. ([Castelnuovo E., (1946)]) L'originalità dell'approccio di Clairaut alla geometria traspare immediatamente dalle prime parole della prefazione con cui si apre l'opera: Quantunque la geometria sia per se medesima astratta, conviene nondimeno confessare, che le dicoltà che incontrano coloro che cominciano ad applicarvisi, provengono il più delle volte dalla maniera con cui essa viene insegnata nei libri elementari. Si suol cominciare con un gran numero di denizioni, di postulati, di assiomi e di princìpi preliminari, i quali non promettono altro al lettore che cose molto aride e noiose. Le proposizioni che vengono dopo non aggirandosi sopra argomenti interessanti, ed essendo per altra parte dicili a concepirsi, ne segue comunemente, che i 3 principianti si stancano o si disgustano prima di avere alcuna idea distinta di ciò che si vuole loro insegnare. Per temperare l'aridità naturale dello studio della geometria, alcuni Autori hanno creduto che potesse bastare di esporre dopo ciascuna proposizione essenziale l'uso che può farsene in pratica: così facendo dimostrano essi bensì l'utilità della geometria, ma senza agevolarne di molto lo studio. Poiché ciascuna proposizione precedendo all'indicazione dell'uso che essa può avere, la mente perviene solo alle idee sensibili dopo aver incontrato la fatica di concepire le idee astratte. Alcune riessioni che io ho fatto sull'origine della geometria mi hanno fatto sperare di scansare quelli inconvenienti, e di rendere le verità geometriche più interessanti e più intelligibili ai principianti. Io ho considerato che questa scienza, come tutte le altre deve essersi formata per gradi; che verosimilmente la necessità è stata quella che ha fatto fare in essa i primi passi, e che questi primi passi non possono essere fuori dalla portata dei principianti; poiché sono stati fatti appunto dai principianti. Preoccupato da quell'idea, mi sono proposto di trovare quel che può aver dato origine alla geometria; ed ho cercato di spiegarne i princìpi con un metodo così naturale, come quello che si suppone essere stato dei primi inventori; in modo da evitare tutti i falsi tentativi che essi hanno necessariamente dovuto fare. La misura dei terreni mi è parsa la cosa più giusta per far riscoprire le prime proposizioni della geometria; tale è in eetti l'origine di questa scienza; poiché geometria signica misura dei terreni. ([Clairaut A.C., (1771)]) Le proposizioni non ssano la mente del principiante sopra cose interessanti che pertanto, trovando quelle cose dicili da concepire, ne abbandona lo studio. A rimediare a questa aridità della geometria non basta il ripiego di mettere dopo ogni principale proposizione l'uso, che si può fare di quelle nella pratica perché in tal modo si mostra l'utilità della geometria senza però intervenire sui modi dell'apprendimento: Essendo ciascuna proposizione posta prima del suo uso, la mente non perviene alle idee sensibili, che dopo aver avuto la fatica di apprendere le idee astratte. Il libro di Clairaut sovverte l'ordine euclideo degli Elementi : la questione De' mezzi che si devono naturalmente impiegare per avere la misura dei terreni dà il titolo alla prima parte del libro e ne condensa emblematicamente la sua losoa. Emma Castelnuovo ricorda che Clairaut doveva aver ben presente il rischio che la sua opera venisse travisata e a conferma ne riporta le sue stesse parole: 4 Dato che ho scelto la misura dei terreni per interessare i principianti, non dovrò forse temere che si confondano questi Elementi con gli ordinari trattati di rilievo? Questa interpretazione non può essere data che da coloro che non capiranno che la misura dei terreni non è aatto il vero scopo di questo libro ma che tale argomento mi serve solo come spunto per far scoprire le principali verità geometriche. ([Castelnuovo E., (1946)]) 2.3 Il metodo costruttivo Durante la conferenza tenuta presso l'Istituto Romano, Emma aveva riconosciuto nel testo di Clairaut l'ispirazione per un metodo didattico innovativo della geometria per la scuola media. Riprendiamo le parole di Emma: Desidero pertanto esporre qui in breve un metodo d'insegnamento della geometria intuitiva, che si distacca notevolmente da quello tradizionale e che ritengo potrebbe essere introdotto con giovamento nella scuola media per tutti. [...] Il corso tradizionale di geometria intuitiva non è la continuazione del corso di geometria delle scuole elementari, manca d'altra parte di un carattere proprio e quindi di un ne ben preciso. [...] Io intendo insomma sostituire a un metodo descrittivo un metodo costruttivo. Il metodo costruttivo che Emma propone ha radici nella storia: è il me- todo genetico che dà fondamento al metodo costruttivo. Negli scritti del matematico Federigo Enriques, che di Emma Castelnuovo era lo zio da parte materna, la storia della matematica entra in modo persuasivo, non come erudizione ma come elemento funzionale alla conoscenza. Non poteva essere certo sfuggito alla Castelnuovo il ruolo che suo zio attribuiva alla storia della matematica e la sua lunga azione di promozione della cultura storica con numerose iniziative editoriali rivolte anche agli insegnanti. Ma come que- ste idee potessero trasferirsi organicamente nella pratica di insegnamento ai ragazzi tra gli 11 e i 14 anni le sfuggiva: il libro di Clairaut fu per lei illuminante perché le mostrò come si può, facendosi guidare dalla storia, realizzare un metodo attivo continuo e perciò costruttivo. Nelle parole di Clairaut Emma legge idee che le sono familiari; la sua lettura è profonda, nalizzata e con esiti originali. Il libro l'appassiona, inizia a sperimentare la metodologia nelle sue classi e nel contempo, per meglio comprenderla, sente la necessità di ricostruirne la storia, attraverso le sue edizioni e i vari adattamenti. 5 L'approccio intuitivo alla geometria altro non è che un adattamento alle necessità della vita moderna che nulla toglie allo spirito di quell'opera e riprende le parole di Clairaut per condividerle con gli insegnanti: Ho pensato che questa scienza, come tutte le altre, dovesse essersi formata per gradi; che fu verosimilmente qualche bisogno pratico a far fare i primi passi, e che questi primi passi non potevano non essere alla portata dei principianti, perché erano proprio dei principianti che li avevano fatti. Prevenuto da questa idea mi sono proposto di risalire a ciò che poteva aver dato nascita alla geometria, ed ho cercato di sviluppare i principi con un metodo abbastanza naturale perché si possa supporre che sia lo stesso dei primi inventori, avendo cura soltanto di evitare tutti i falsi tentativi che essi necessariamente dovettero fare. ([Castelnuovo E., (1948)]) Per chi Emma aveva scritto la Geometria intuitiva ? Il suo intento è chiaramente dichiarato in apertura della conferenza del 1946: In un nuovo ordinamento delle scuole secondarie sarà opportuno riesaminare, oltre alla scelta delle materie nei vari anni, anche i metodi d'insegnamento delle singole discipline, allo scopo di suscitare veramente l'interesse per lo studio e di adeguare la didattica a quella che sarà la nuova scolaresca. Una revisione di metodi si presenta particolarmente necessaria, mi sembra, per i primi anni della scuola media, per quel triennio successivo alle elementari, che molti si augurano unico e obbligatorio per tutti. Bisogna per questo triennio tener conto di vari fattori: allievi di diverse classi sociali, scuole di città e scuole di campagna, esigenze di coloro che proseguono negli studi e di coloro che terminano. ([Castelnuovo E., (1946)]) Emma percorre i tempi, forte di un carattere positivo e concreto che ci ricorda quello del padre Guido, con l'ottimismo di chi è giovane e crede di poter un metodo d'insegnamento della Geometria intuitiva che si distacca notevolmente da quello tradizionale e che ritiene potrebbe essere indotto con giovamento nella scuola media per tutti ([Castelnuovo E., (1946)]). Non importa se la scuola media incidere sulla realtà, mira a per tutti è ancora allo stato di progetto: la sua azione, confortata da un prima sperimentazione in cui i suoi allievi pur non sapendo di essere cavie da esperimento si orirono con entusiasmo a procurarle esercizi, esempi e idee, 6 dimostrava che una scuola per tutti era possibile. Ciò che meno la persuadeva nel corso tradizionale di Geometria intuitiva era che nel suo svolgimento si trascuravano le conoscenze pregresse dei ragazzi e che il metodo non si discostava un granché da quello seguito nel ciclo precedente perché mancava un carattere proprio e quindi di un ne ben preciso . I vari stadi hanno importanza purché si dia loro un bel preciso signicato e purché si adeguino allo stato psicologico che il ragazzo attraversa in quel momento ([Castelnuovo E., (1946)]). È questa caratdi dei corsi ciclici terizzazione che, secondo Emma, mancava all'insegnamento della geometria nel ciclo inferiore della scuola media. I ragazzi che arrivano dalle scuole sanno cosa è un quadrato, un rettangolo, un triangolo, ecc. e conoscono anche le regole di misura di queste superci, regole che sono state loro giusticate alla stessa maniera con cui noi le giustichiamo nel ginnasio inferiore . Ricominciando da capo e seguendo sostanzialmente lo stesso metodo diamo la sensazione che tutto ciò che hanno studiato nel corso primario sia inutile e non diamo nemmeno al corso l'impronta di secondo stadio di corso ciclico perché usiamo un metodo non molto diverso da quello seguito alle elementari. Il corso tradizionale di Geometria intuitiva non è la continuazione del corso di geometria delle scuole elementari e manca d'altra parte di un carattere proprio e quindi di un ne ben preciso ([Castelnuovo E., (1946)]). La geometria è nata come scienza sperimentale dalla misura dei terreni, noi lo sappiamo, lo diciamo anche ai ragazzi al principio del corso, ma poi - Emma osserva - presentiamo la materia alla rovescia, trattando l'equivalenza all'ultimo anno del corso . Dedichiamo invece il primo capitolo, quale introduzione del corso, allo studio dei segmenti e degli angoli, dandone subito la denizione e proponendo esercizi su queste prime nozioni nell'errata conelementari vinzione che essi possano facilitare l'apprendimento di queste nozioni. E ciò Dato che le denizioni precedono la pratica il ragazzo deve prima fare lo sforzo di concepire idee astratte e dopo che non le ha capite, farne le applicazioni ([Castelnuovo E., (1946)]). Io intendo - dice la Castelnuovo - sostituire a un metodo descrittivo un metodo costruttivo. Dopo aver fatto esercitare i ragazzi con il disegno geometrico, che li mette a contatto con le gure più semplici della geometria e che dà loro modo di accorgersi della dierenza fra una gura e un'altra, inizio il corso riprendendo le origini della geometria e facendo capire come sia necessario il calcolo delle aree, fermandomi per ora, alle gure poligonali. Del resto il problema delle aree è sentito dai ragazzi n dalla più tenera età. Cominnon è: 7 cio col calcolare l'area del rettangolo, al solito modo, considerando naturalmente le dimensioni commensurabili fra loro; dall'area del rettangolo seguono subito le regole per determinare l'area del quadrato, del triangolo, del parallelogramma, del trapezio, del poligono regolare, del poligono qualunque dividendolo in triangoli. Mille esempi ed applicazioni si presentano all'allievo di città e di più ancora a quello di campagna sull'utilità pratica di queste regole di misura. [...] Insieme alla determinazione dell'area di una camera, di un campo, ecc., è utile che il fanciullo si eserciti con qualcosa di più piccolo, di più tangibile direi. I modelli in cartoncino, la scomposizione e la ricomposizione delle gure piane, gli orono insieme la possibilità di analizzare e di sintetizzare, sviluppando le sue facoltà di osservazione. Ecco qualche esempio: 1. scomporre un esagono regolare in un triangolo equilatero e in tre trian- goli isosceli uguali; com'è l'area del triangolo equilatero rispetto alla somma delle aree dei tre triangoli isosceli? 2. scomporre un esagono regolare in due trapezi uguali e formare con que- sti un parallelogramma. Che relazione passa fra la base del parallelogramma e il perimetro dell'esagono? Dato un quadrato scomporlo in due rettangoli uguali e in due quadrati disuguali oppure scomporlo in quattro triangoli rettangoli uguali e in un quadrato. L'eseguire queste scomposizioni è semplice; ci vuole invece una particolare intuizione per trarne, dal confronto, una proprietà ; ma vi è sempre in una classe qualcuno che propone la via giusta: i rettangoli si possono scomporre in triangoli. [...] E allora? Il quadrato costruito sull'ipotenusa di un triangolo rettangolo è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. L'eetto di questo Teorema di Pitagora, riscoperto dai ragazzi nelle prime lezioni del corso di geometria, è psicologicamente interessante. [...] Lo stesso ragazzo che si interessa per le applicazioni pratiche di una verità geometrica, si entusiasma d'altra parte alle applicazioni e alle estensioni più astratte del Teorema stesso. Questo lento e progressivo passaggio dal concreto all'astratto, dal particolare al generale, fa sì che la materia venga creata e studiata secondo le leggi naturali dello sviluppo psicologico; io penso - dice la Castelnuovo - che il Teorema di Pitagora, con il suo duplice aspetto pratico e astratto, sia particolarmente indicato ad indirizzare la mente Finalmente si raggiunge la meta cui si voleva arrivare: 8 dell'allievo al ragionamento matematico. Il metodo costruttivo si in- forma ai principi che, nella conferenza del '46, Emma condensa in questa breve frase: Passaggio dal concreto all'astratto, dal complesso al semplice e quindi ordinamento del corso secondo lo sviluppo storico. ([Castelnuovo E., (1946)]) Si tratta di principi programmatici che le pare di ritrovare in questo passo dedicato all'insegnamento scientico delle Lezioni di didattica del pedagogista Giuseppe Radice Lombardo (1879-1938): Dobbiamo lasciare che il piccolo matematico, che c'è in ogni spirito infantile, si svolga quanto più liberamente sia possibile con sforzi e ricerche personali... Ha valore per il bambino solo quel tanto che raggiunge colla propria esperienza, o che, colla guida d'un maestro (il quale sappia da dove si muova e dove voglia arrivare), può diventare propria esperienza, colla completa illusione d'aver raggiunto il risultato da sé. ([Lombardo Radice G., (1913)], tratto da [Castelnuovo E., (1946)]) 9 3 Alexis-Claude Clairaut 3.1 Cenni biograci Alexis-Claude Clairaut nacque a Parigi il 7 Maggio 1713. Il padre, professore di matematica, lo avviò n dalla tenera fanciullezza agli studi geometrici e al calcolo innitesimale. A tredici anni non compiuti presentava all'Accademia di Francia una memoria sulle proprietà di quattro curve da lui scoperte e a soli sedici niva il suo trattato delle linee a doppia curvatura, che, due anni dopo, gli procurava l'ammissione all'Accademia delle Scienze di Parigi, malgrado non avesse ancora l'età richiesta. Qui entrò a far parte di un piccolo gruppo guidato da P.L. Maupertuis che sosteneva la losoa naturale di Newton. I presagi tratti da questa meravigliosa precocità non furono vani: Clairaut nella sua breve vita (morì a soli cinquantadue anni), ma splendida carriera, seppe collocarsi fra i primi matematici del suo secolo. Clairaut riuscì a mantenere a lungo rapporti d'amicizia con Maupertuis, Voltaire e la Marchesa di Châtelet, con i quali collaborò ad importanti progetti; in particolare aiutò la Marchesa di Châtelet a tradurre in francese i Principi di Newton, lavoro che iniziò nel 1745 e continuò no al 1756. Clairaut pubblicò alcune importanti opere dal 1733 al 1743. Nel 1736, con Pierre Louis Maupertuis, prese parte alla spedizione in Lapponia, avente come scopo la misurazione della lunghezza di un grado di meridiano ed al ritorno pubblicò il trattato Théorie de la gure de la terre (1743). In questo lavoro espose un teorema, oggi noto come teorema di Clairaut, che lega la forza di gravità sui punti della supercie di un ellissoide in rotazione con la compressione e la forza centrifuga all'equatore della gura. Nel 1754 produsse alcune tavole di posizioni lunari, successivamente diversi lavori sull'orbita della Luna e sul moto delle comete, calcolandone le perturbazioni da parte dei pianeti. A queste opere aggiungiamo le due opere didattiche: gli Eléments de Géométrie (1741) e gli Eléments d'Algèbre (1746). Il libro di Algebra è stato usato come testo scolastico nelle scuole francesi per molti anni. Clairaut morì il 17 Maggio 1765, a seguito di una breve malattia. 3.2 Gli Eléments de géométrie Secondo Emma Castelnuovo l'aspetto più interessante dell'opera di Clairaut sta nell'opinione che egli esprime nella prefazione; opinione secondo la quale l'esposizione classica della geometria pecca di astrattezza e non mette in evidenza l'aspetto pratico di questa scienza. La trattazione risente ovviamente di queste posizioni metodologiche iniziali e quindi certe dimostrazioni fanno più appello all'immaginazione che alla logica e non sempre con successo. Ne- 10 gli Eléments Clairaut si propone di costruire gli oggetti e le conoscenze della geometria elementare a partire dai problemi riguardanti la misura dei terreni; il matematico francese sostiene che la geometria si è formata per gradi e, per questo motivo, va insegnata secondo un metodo naturale che segua le orme dei primi inventori pur evitando i loro eventuali passi falsi. In altri termini, l'insegnamento della geometria deve rispettare la gradualità con cui le conoscenze geometriche si sono sviluppate, anche a costo di rinunciare al rigoroso ordine euclideo. Così, nell'opera, Clairaut preferisce un'esposizione per problemi della geometria rispetto alla sistemazione rigidamente deduttiva degli Elementi euclidei. La prima edizione degli Eléments de géométrie di A.C. Clairaut uscì a Parigi nel 1741 (chez Lambert & Durand). L'opera ebbe molte altre edizioni, un'edizione nel 1753 (Parigi, chez David), una anche in latino (Venezia, Recurti, 1749) e in traduzione italiana. La pri- ma fu pubblicata a Roma nel 1751 nella stamperia Salomoni e tradotta da Carlo Benvenuti (1716-1789); la traduzione probabilmente è stata dettata dal fatto che Benvenuti fu chiamato a supplire il padre Ruggero Boscovich nell'insegnamento di sica e matematiche presso il Collegio Romano. La seconda edizione in lingua italiana uscì nel 1771 (Roma, Zempel). L'opera è suddivisa in quattro parti precedute da una prefazione assai importante e chiaricatrice delle idee di Clairaut. Dall'edizione italiana abbiamo ripreso la Prefazione (ridotta in lingua italiana più corrente) e la Tavola delle materie (cfr. Appendice A). Parte prima Nella prima parte dell'opera dal titolo, Dei mezzi che si devono naturalmen- te impiegare per avere la misura dei terreni , appaiono le scelte espositive dell'autore. In particolare, all'inizio, vi è la denizione di linea retta come la curva più corta che si possa tirare da un punto ad un altro e se una linea cade sopra un'altra, senza pendere verso alcuna parte, è perpendicolare a quella linea. Si passa poi ad un'attenta analisi del rettangolo denito come la gura di quattro lati perpendicolari tra loro e del quadrato denito come un rettangolo con tutti e quattro i lati uguali. Quando invece si deve tracciare una perpendicolare, questa o deve abbassarsi sulla retta data da un punto preso fuori dalla retta stessa, o deve innalzarsi da un punto preso sulla retta medesima. Si chiama circonferenza la traccia intera che descrive la punta mobile di un compasso mentre gira intorno all'altra punta. Il centro è il punto sso e l'apertura del compasso è il raggio della circonferenza. Segue la divisione di un segmento in due parti uguali. Si può costruire un quadrato dato un solo lato e lo stesso si può fare con un rettangolo data lunghezza 11 e larghezza. Segue la costruzione della parallela ad una retta data. L'area della supercie di un rettangolo si ottiene moltiplicando la misura della base per la misura dell'altezza. Un triangolo è invece denito come la parte di piano limitata da una spezzata chiusa di tre lati, in particolare il triangolo rettangolo è quello che ha due dei suoi lati perpendicolari l'uno all'altro. Un triangolo è la metà del rettangolo che ha la medesima base e altezza; dunque la sua area è la metà del prodotto dell'altezza per la sua base. I triangoli di uguale altezza e uguale base sono ancora di uguale supercie, quelli invece che hanno la medesima base e stanno tra le medesime parallele sono di uguale supercie. Il parallelogramma è una gura di quattro lati che ha i lati opposti uguali e paralleli a due a due; l'area si ottiene moltiplicando l'altezza per la base. I parallelogrammi che hanno la base comune e stanno tra le medesime parallele sono di uguale supercie. I triangoli ed il quadrilatero sono casi particolari di una categoria più vasta di gure geometriche: i poligoni. Un poligono è regolare se ha tutti i lati e angoli uguali; così un poligono di cinque, sei, sette, otto, nove, dieci,... lati si dice rispettivamente pentagono, esagono, ettagono, ottagono, ennagono, decagono,.... L'apotema di un poligono regolare è ciascun segmento che parte dal centro del poligono regolare e cade perpendicolarmente su un suo lato. Segue una breve descrizione del triangolo equilatero che ha tutti e tre i lati uguali. Conoscendo i tre lati di un triangolo, si può costruire un altro triangolo uguale al primo. Si può allora denire un angolo come l'inclinazione di una linea rispetto ad un'altra e si può disegnare un angolo che sia uguale ad un angolo dato. Si chiama corda il segmento che congiunge gli estremi di un arco. Due angoli e un lato determinano un triangolo e quello che ha due lati uguali si chiama triangolo isoscele. In esso gli angoli che stanno alla base sono tra loro uguali. Due gure aventi la stessa forma si dicono simili, ci si domanda in che cosa consiste la similitudine di due gure. Ad esempio se due angoli di un triangolo sono uguali a due angoli di un altro triangolo, il terzo angolo dell'uno sarà uguale al terzo angolo dell'altro. Due triangoli, che hanno i rispettivi angoli uguali, avranno ancora i lati proporzionali. Si passa a dividere una linea in tante parti uguali e a capire cosa sia una linea quarta proporzionale, essendo date tre linee proporzionali. Seguono le proprietà delle gure simili, ad esempio le altezze dei triangoli simili sono proporzionali ai loro lati e le aree dei triangoli simili stanno tra loro come i quadrati dei lati omologhi. Le gure simili non sono dierenti se non per le scale su cui sono state costruite. Un angolo ha per misura l'arco di una circonferenza compreso tra i suoi lati. La circonferenza è divisa in 360 gradi e il grado è diviso, a sua volta, in 60'. L'angolo retto ha 90 gradi ed i suoi lati sono perpendicolari l'uno all'altro; un angolo minore del retto si dice acuto, un angolo maggiore del retto si dice 12 ottuso. La somma degli angoli fatti dalla medesima parte su una retta e che hanno il medesimo vertice comprende 180 gradi. Tutti gli angoli che si possono fare intorno ad un medesimo punto, presi insieme, sono uguali a quattro angoli retti. Per misurare la grandezza di un angolo si utilizza il goniometro. Si dicono angoli alterni, gli angoli opposti che forma da una parte e dall'altra, una linea retta, che cade su due parallele. La somma di tre angoli di un ◦ triangolo è uguale alla somma di due angoli retti (180 ). L'angolo esterno di un triangolo è uguale alla somma degli angoli interni non adiacenti. In un triangolo isoscele un angolo dà gli altri due e in un triangolo equilatero gli angoli sono ciascuno di 60 gradi. Al termine della parte prima si riprende ad analizzare i poligoni con la descrizione dell'esagono, dell'ottagono e dei poligoni di 16, 24, 32 e 48 lati. Parte seconda La parte seconda dal titolo Del metodo geometrico di paragonare le gure rettilinee si apre descrivendo due rettangoli che hanno la medesima altezza e che si trovano nella ragione medesima delle loro basi. Vengono poi forniti due modi di trasformare un rettangolo in un altro di altezza data. Si dimostra che se due rettangoli sono uguali, la base del primo sta alla base del secondo, come l'altezza del secondo sta all'altezza del primo. Se invece di quattro linee, la prima sta alla seconda, come la terza alla quarta, il rettangolo formato dalla prima e dalla quarta sarà uguale a quello formato dalla seconda e dalla terza. Quattro quantità delle quali la prima sta alla seconda, come la terza alla quarta, formano una proporzione e dei quattro termini il primo e il quarto sono chiaramente estremi mentre il secondo ed il terzo si chiamano medi. In una proporzione il prodotto degli estremi è uguale al prodotto dei medi quindi si ricava la regola del tre ovvero quale sia il modo di trovare il quarto termine di una proporzione dati i primi tre. Si torna poi a parlare di quadrilateri, in particolare di costruire un quadrato doppio di un altro e costruire un quadrato uguale ad altri due presi insieme. Dato un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull'ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Viene poi introdotto un metodo semplice per ridurre due quadrati ad uno solo e per ridurre più gure simili ad una sola. Inne si passa all'introduzione della radice quadrata di un numero che viene denita come quel numero che, moltiplicato per se stesso, dà il quadrato. Un numero è multiplo di un altro quando lo contiene per l'appunto più volte. Questa seconda parte termina con le linee incommensurabili e un osservazione ovvero che i triangoli e le gure simili hanno i loro lati propor- 13 zionali anche quando questi sono incommensurabili. Queste gure stanno sempre tra loro come i quadrati dei loro lati omologhi. Parte terza La parte terza che porta il titolo Della misura delle gure circolari e delle loro proprietà si apre provando (per esaustione) che l'area del cerchio è uguale al prodotto della sua circonferenza per la metà del raggio. La sua area è uguale ad un triangolo del quale l'altezza è uguale al raggio e la base è una retta uguale alla circonferenza. Le circonferenze dei cerchi stanno tra loro come i loro raggi e le aree dei cerchi sono proporzionali ai quadrati dei loro raggi. Segue che di tre cerchi, che abbiano per raggio i lati di un triangolo rettangolo, quello che dà l'ipotenusa, è uguale agli altri due insieme. Viene data la denizione di corona circolare che è lo spazio compreso tra due cerchi concentrici. Il segmento di un cerchio è uno spazio terminato dall'arco e dalla corda. Il settore è una porzione di circolo terminata da due raggi e dall'arco che essi comprendono. Segue la proprietà che se da un punto qualunque della circonferenza di un semicerchio si conducono due rette all'estremità del diametro si avrà un angolo retto. Dunque tutti gli angoli che hanno il vertice alla circonferenza e che insistono sul medesimo arco, sono uguali, ed hanno per misura comune la metà dell'arco sul quale sono stati ssati. Si chiama tangente alla circonferenza la linea che la tocca in un punto; questa tangente è perpendicolare al diametro che passa per il punto in cui lo tocca. Il capitolo successivo descrive cosa sia un segmento opposto ad un angolo dato e come si realizza. Se inne si uniscono due corde in un cerchio, il rettangolo fatto dalle parti dell'una è uguale al rettangolo fatto dalle parti dell'altra. Il quadrato di una perpendicolare qualunque al diametro di un cerchio è uguale al rettangolo fatto dalle due parti del diametro. Come trasformare un rettangolo in un quadrato e cosa sia una media proporzionale tra due linee rette. Costruire un quadrato che abbia rapporto uguale ad un altro e generalizzare la costruzione ad un poligono e un circolo. Per concludere, se da un punto preso fuori dal cerchio si traccino due linee che lo dividono, i rettangoli di queste due rette sono uguali per le loro parti esteriori oppure dato un punto fuori dal cerchio condurre la tangente a quello stesso cerchio. Parte quarta La parte quarta che porta il titolo Della maniera di misurare i solidi e le loro superci si apre con la descrizione del cubo denito come una gura solida formata da quadrati a dierenza del parallelepipedo che è un solido 14 formato da sei rettangoli. I parallelepipedi sono prodotti da un rettangolo che si muove parallelamente a se medesimo. La linea perpendicolare ad un piano è quella che non pende da nessun lato rispetto a questo piano ed essa è perpendicolare a tutte le linee di questo piano, le quali partono dal punto dove essa cade. Viene introdotta una semplice pratica per elevare o abbassare linee perpendicolari a dei piani e per elevare un piano perpendicolare o parallelo ad un altro. Viene invece misurata l'inclinazione di una linea e di un piano rispetto ad un altro piano. Il prisma retto è una gura solida di cui le due basi opposte sono due poligoni uguali e le altre facce sono rettangoli. Due prismi che hanno le basi uguali sono in rapporto uguale alle loro altezze e due prismi che hanno la medesima altezza, sono in rapporto uguale alle loro basi. La misura del prisma retto è il prodotto della sua base per la sua altezza. I prismi obliqui dieriscono dai prismi retti nelle facce, sono uguali (ugual volume) ai prismi retti quando hanno la medesima base e la medesima altezza. Lo stesso vale per i parallelepipedi obliqui rispetto ai parallelepipedi retti. Seguono le piramidi che sono uguali (ugual volume) se hanno la medesima base e la medesima altezza. Due piramidi sono pure uguali se avendo la medesima altezza, le loro basi, non essendo poligoni simili, sono uguali in supercie. Le piramidi che hanno la medesima altezza stanno tra loro come le loro basi. Dunque il volume di una piramide qualunque è il prodotto della sua base per il terzo della sua altezza e una piramide è il terzo del prisma che ha la medesima base e la medesima altezza. Mentre il cilindro è un solido terminato da due basi opposte e parallele, che sono cerchi uguali, e da un piano piegato intorno alle loro circonferenze; si divide in cilindro retto e in cilindro obliquo. La supercie curva di un cilindro retto è uguale ad un rettangolo che ha la medesima altezza e di cui la base è uguale alla sua circonferenza. A seguire i cilindri che hanno la stessa base e altezza sono uguali in volume. La misura di un cilindro qualunque è il prodotto della sua base per la sua altezza. Un altro solido famoso è il cono che è una specie di piramide che ha per base un cerchio; si distingue in cono obliquo e in cono retto. La supercie di quest'ultimo si misura moltiplicando la metà del suo lato per la circonferenza della sua base. Un settore circolare è la supercie delimitata da un cono. I coni che hanno la stessa base e altezza sono uguali e la loro misura si ottiene moltiplicando la base per un terzo dell'altezza. Viene poi introdotto un modo di misurare la supercie di un cono troncato. Il solido geometrico la cui supercie ha tutti i punti ugualmente distanti dal centro prende il nome di sfera. La sua supercie ha per misura il prodotto del suo diametro per la circonferenza del suo cerchio massimo, in particolare la supercie sferica è uguale a quella del cilindro circoscritto ed è anche uguale alla supercie del suo cerchio massimo preso quattro volte. Le sezioni del 15 cilindro e della sfera hanno la medesima supercie. Per quanto riguarda il volume della sfera si può dire che è il prodotto del terzo del raggio per l'area del cerchio massimo presa quattro volte ed è due terzi di quella di quella del circolo circoscritto. Si procede con la misura della solidità di un segmento di sfera. Ci si chiede in che cosa consista la similitudine di due corpi terminati da piani e a questo seguono le condizioni che deniscono la similitudine di due cilindri retti, di due cilindri obliqui, di due coni e quelle di due coni tronchi. Le sfere, i cubi e tutte le gure che dipendono da una sola linea sono tutte simili. In generale i solidi simili dieriscono per le scale sulle quali sono stati costruiti e le loro superci stanno tra loro come i quadrati dei loro lati omologhi. Le superci delle sfere invece stanno tra loro come i quadrati dei loro raggi. I solidi simili stanno tra loro come i cubi dei loro lati omologhi mentre le sfere stanno tra loro come i cubi dei loro raggi. 3.3 L'inuenza degli Eléments de géométrie nell'insegnamento della geometria Gli Eléments de géométrie del Clairaut furono tradotti una prima volta in italiano nel 1751. La parte di tale traduzione riguardante la misura dei terreni, ovvero la prima delle quattro parti in cui è divisa l'opera, entrò nelle nostre scuole nel primo quarantennio dell'Ottocento in maniera abbastanza strana. Il Padre Francesco Soave, noto per aver organizzato le prime scuole elementari governative in Lombardia nel 1787 e per essere il primo iniziatore della letteratura scolastica italiana, aveva negli ultimi anni del 1700 pubblicato un volume dal titolo Elementi di geometria teorico-pratica ad uso delle scuole. In una nuova edizione di questo libro, del 1803, il Soave vi allegava come ultimo capitolo la parte della geometria piana del Clairaut riguardante la misura dei terreni. A quest'edizione ne seguirono almeno altre cinque e questo fa pensare che fosse ben accetto nelle scuole. Queste osservazioni vengono però a contrastare con quanto scrive Carlo Ignazio Giulio (1803-1859), professore di meccanica razionale all'Università di Torino, cui si deve, nel 1850 una nuova traduzione degli Elementi di Clairaut annotata e approvata dal Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione per uso delle scuole secondarie e speciali (Torino, Stamperia Reali) del Regno di Sardegna. Egli aerma che la sola traduzione italiana precedente la sua, fu quella pubblicata a Roma nel 1751 e aggiunge: Assai negletta nella lingua e poco degna dell'originale essa è stata ragione che il libro di Clairaut non ottenesse fra noi successo pari al merito e non penetrasse nelle nostre scuole. 16 Evidentemente il Giulio non sapeva che alcuni capitoli degli Elementi erano entrati nelle scuole attraverso il volume del Soave. La seconda edizione (1879) della versione italiana del Giulio e le successive (la quarta edizione porta la data 1885) sono corredate da aggiunte e note di Giuseppe Da Camin, il quale, nella prefazione, spiega le ragioni del suo commento. Ridurre il Clairaut, coll'aggiunta di quelle proposizioni mancanti, a contenere tutto quanto si deve insegnare nelle scuole tecniche, o, con altre parole, ridurre il Clairaut anche nella quantità della materia, come lo è nell'indirizzo e nel metodo, secondo le viste del R. Ministero, ecco il ne - dice il Da Camin - che mi sono proposto in questa seconda edizione. ([Clairaut A.C., (1879)]) Il Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione approvò questa nuova edizione degli Elementi come particolarmente adatta alle scuole tecniche. Dai suggerimenti uciali al programma di matematica nelle scuole tecniche, in quel periodo, non risulta aatto che la linea da tenersi fosse il metodo Clairaut; si insisteva molto invece sul metodo graco e sulle applicazioni pratiche in generale. Secondo la Castelnuovo, dato il numero grande di edizioni sia di questa traduzione sia della precedente allegata al libro del Soave, il Clairaut deve aver fatto da testo in molte scuole tecniche italiane, ma è anche certo, e ciò risulta dai programmi ministeriali e dalla prefazione sopra citata, che è stato usato perché ricco di begli esempi e di interessanti applicazioni pratiche, ma non per quello che è veramente lo spirito del libro, cioè il metodo costruttivo. 17 4 Francesco Soave 4.1 Cenni biograci Francesco Soave nacque a Lugano, in Svizzera nel 1743 da Chiara Teresa Herrik e Carlo Giuseppe Soave. A soli sedici anni lasciò la sua città per frequentare le scuole dei Chierici Regolari Somaschi dove, nel 1760, prese i voti. Trasferitosi a Pavia presso il collegio di San Majolo, iniziò gli studi losoci e nel 1761 passò a Roma nel collegio Clementino che era il più importante della congregazione dei padri Somaschi per completare gli studi teologici. In questo periodo si dedicò anche allo studio delle lingue greca, inglese, francese, tedesca e spagnola. Fu richiamato in seguito alla Scuola dei Paggi di Parma dal direttore Francesco Venini a leggere belle lettere e insegnare la poesia latina. Poco dopo, all'età di ventiquattro anni, ottenne la Cattedra di Eloquenza nella nuova Università fondata nel 1767. Successivamente lasciò Parma per andare a Milano dove il Conte di Firmian, protettore generoso degli uomini di lettere, gli adò l'istruzione di un suo nipote e lo nominò Professore di Filosoa morale presso il Liceo di Brera. Qui raccolse le idee e i principi che comunicava ai giovani nelle sue lezioni, in un volume Istituzioni di Logica, Metasica ed Etica, preceduto da un interessante Compendio della Storia della Filosoa, uno dei primi tentativi del genere in Italia, essendo appunto concepito come testo per studenti. Queste sue lezioni furono poi adottate in moltissime scuole di vari stati italiani, e verranno riproposte per buona parte della prima metà del XIX secolo. Inoltre si dedicò a raccogliere un'utile scelta di opuscoli per i suoi studenti, 36 volumetti sia inediti sia tradotti da varie lingue, che successivamente diverrà la raccolta di Opuscoli Scelti sulle Scienze e sulle Arti (Milano, Marelli, 1791), in cui si esponevano in modo semplice e divulgativo le più importanti scoperte e novità, scelta che denota la sua ne intelligenza di ciò che può costituire la base per una didattica di qualità. Soave era ben consapevole che i ragazzi nelle scuole non imparavano granché e comunque si impegnavano nella memorizzazione di nozioni inutili e desuete, anche perché venivano costretti a studiare su libri inadatti alle loro capacità mentali. Per quanto riguarda poi in particolare il contributo di Soave al rinnovamento degli studi elementari, esso fu indubbiamente grande e lasciò un'impronta durevole nel tempo. Nel 1774 Soave fu nominato membro della Commissione Letteraria per la riforma dei libri ad uso delle scuole basse. Un altro testo che ebbe grande fortuna, furono le Novelle Morali ad uso dei Fanciulli, composte nel 1776, proposte come libro di lettura nelle classi elementari e anche nelle successive. A questi primi libri di testo scolastici di piccolo formato fa subito seguito un più corposo e impe- 18 gnativo lavoro: gli Elementi di aritmetica. Con questa sua opera le nozioni fondamentali del far di conto sono sempre ricondotte a chiari criteri esemplicativi, cui seguono, in una seconda parte, notizie delle monete, dei pesi e delle misure. Le nalità essenzialmente pratiche del testo sono d'altronde già dichiarate in apertura: Il più chiaro, preciso e facile trattato dove imparare l'aritmetica anche senza la voce del Maestro. Soave, dopo aver svolto sino a tutto il 1789 l'incarico di direttore delle scuole normali lombarde, nel 1793 tornò a Lugano presso il collegio del suo Ordine, dove ebbe tra i suoi allievi il giovane Alessandro Manzoni. Non appena le armate francesi occuparono l'Italia nel 1796, il Padre Soave si ritirò a Lugano e da lì passò poi a Napoli per ammaestrare l'unico glio del Duca d'Angri ma, nel 1799, con l'occupazione francese della città, tentò dapprima la fuga in Sicilia e in seguito visse seminascosto no a che non gli venne restituita, da parte del governo provvisorio austriaco, la cattedra di Filosoa a Brera. Tuttavia il ritorno dei francesi nel 1800 gliela tolse denitivamente e Soave si dedicò agli studi ed alle traduzioni. Nel 1802, con la proclamazione della Repubblica Italiana, fu nominato direttore del collegio nazionale di Modena e gli fu adata la cattedra di Analisi delle idee. Nel 1803 pubblicò una nuova edizione (la prima era uscita nel 1793) del volume Elementi di geometria teorico-pratica ad uso delle scuole che porta il titolo Elementi di geometria teorico-pratica ad uso delle scuole di Francesco Soave, edizione diligentemente corretta nella quale si è aggiunto per la prima volta il trattato sulla maniera di misurare i terreni del signor Clairaut. Nello stesso anno non riuscendo ad ottenere risultati a Modena, ottenne la cattedra di Analisi delle idee all'Università di Pavia sino alla morte sopravvenuta nel 1806. 4.2 Gli Elementi di geometria teorico-pratica ad uso delle scuole di Soave Il libro del Soave è un trattato di geometria razionale che segue più o meno la disposizione odierna ed è corredato da molte applicazioni pratiche (costruzione di mappe, misurazione di altezze facendo uso del quadrante, ecc.); la traduzione italiana della prima parte degli Elementi del Clairaut ne costituisce l'ultimo capitolo, completamente staccato dall'opera del Soave. Il fatto che almeno cinque edizioni di questo volume si susseguirono no al 1838 fa pensare che esso venisse ben accolto nelle scuole, per lo meno in alcuni tipi di scuole. Diamo quindi a Francesco Soave il merito di aver divulgato nelle scuole lombarde, valendosi del suo nome allora molto noto, parte dell'opera didattica del Clairaut, senza averne, probabilmente, aerrato il valore metodologico didattico che invece fu la fonte di ispirazione per Emma Ca- 19 stelnuovo. Nell'introduzione Il Soave anticipa che la geometria è la Scienza che contempla le proprietà, i rapporti e la misura di tre dierenti specie di quantità estese, cioè la linea, la supercie ed il solido. Essa perciò si divide in tre parti: nella prima trattasi delle linee, nella seconda della supercie e nella terza dei solidi. La geometria si distingue ancora in teorica ed in pratica : nella teorica si dimostrano e si spiegano le verità enunciate nelle proposizioni geometriche; nella pratica s'insegna il modo di far uso della teorica. Lo scopo di questi brevi Elementi è di dare le principali nozioni della geometria e di insegnare a risolvere i problemi che sembrano i più adattati alla pratica ed alle arti. Per maggior intelligenza di questi problemi si sono ad essi mescolati insieme alcune proposizioni prese dalla teorica e dimostrate con la dovuta brevità e chiarezza. Le proposizioni geometriche si distinguono con i diversi nomi di Assioma, Teorema, Problema, Lemma, Corollario e Scolio. L'assioma è una verità tanto manifesta che non ha bisogno di dimostrazione. Il Teorema è una proposizione in cui si vuole andare a dimostrare qualche verità. Nel Problema si propone di fare qualche ricerca o qualche operazione. Il Lemma è un teorema ed un problema che permette di rendere più facile un altro teorema o problema. Il Corollario è una conseguenza che si ricava da qualche teorema o problema. Lo Scolio è un'osservazione che serve per chiarire e dimostrare l'uso di qualche proposizione. 20 21 5 Carlo Ignazio Giulio 5.1 Cenni biograci Carlo Ignazio Giulio nacque a Torino l'11 Agosto 1803 da Carlo Stefano, medico e scienziato e da Barbara Millet, glia di commercianti di origine francese. Il Giulio frequentò le scuole elementari e il ginnasio a Vercelli. Dopo la caduta dell'Impero napoleonico, con la conseguente destituzione del padre dalle cariche che occupava, si trasferì a Torino dove fu seguito negli studi da Giovanni Giorgio Bidone, professore di meccanica razionale all'Università. Qui, nel 1823, dopo aver frequentato i corsi di matematica e sica, divenne ingegnere civile, ossia architetto idraulico. Quattro anni dopo ricevette il titolo di ingegnere collegiato dopo essere entrato a far parte del Collegio dei dottori della facoltà di Matematica. Nel 1830 ottenne la reggenza della cattedra di Meccanica. La carriera accademica del Giulio si svolse tutta nell'ambito dell'Università del capoluogo piemontese: nel 1832 divenne professore uciale di scienze siche e matematiche e di meccanica e nel 1834, docente presso la facoltà di scienze siche e matematiche. fu eletto socio dell'Accademia delle Scienze di Torino. Nel 1839 Nel 1844 inne, fu eletto rettore e venne nominato relatore generale dell'Esposizione industriale di Torino e presiedette la commissione di cui faceva parte C. Cavour. In questa occasione ebbe modo di redigere una relazione in cui delineava con grande chiarezza lo stato economico e industriale del paese e intuiva le linee di sviluppo della rivoluzione industriale in Piemonte . Nel 1845 divenne consigliere di Carlo Alberto per gli aari dell'industria e del commercio e membro della Camera di commercio di Torino. Nello stesso anno divenne membro dell'Accademia di agricoltura di Torino. Nel 1848 fu nominato senatore e partecipò attivamente alle sedute del Senato. Nel 1855 fu inoltre nominato membro del giurì internazionale per l'Esposizione internazionale di Parigi, nel 1856 consigliere di Stato e nel 1859 vicepresidente della Commissione di vigilanza per il debito pubblico. Il Giulio morì a Torino il 29 giugno 1859. 5.2 Una nuova traduzione italiana degli Eléments de géométrie Per le scuole tecniche non si impose il modello euclideo per l'insegnamento della geometria, ma si favorirono soluzioni più immediatamente fruibili. Fu così che si ristampò la traduzione, a cura di Carlo Ignazio Giulio, del fortunato libro di Clairaut Eléments de géométrie comparso a stampa nel Settecento. Dopo qualche anno non ci si accontentò più del rigore euclideo 22 e si preferì adottare nuove esposizioni dei contenuti degli elementi. Nella prefazione all'opera, il Giulio dice: Gli Eléments de géométrie pubblicati da Clairaut nel 1741, ottennero e non cessarono mai di godere in Francia bellissima fama, grazie all'ordine, alla semplicità e quindi alla chiarezza con cui sono dettati. L'Autore stesso - nella Prefazione - ha reso ragione del pensiero che lo guidò nella scelta e nella esposizione delle proposizioni: io dirò poche parole intorno alla presente traduzione, della quale, come di cosa mia, né mi è permesso dir bene, né voglio certamente dir male. La sola traduzione italiana degli Eléments de géométrie di Clairaut, di cui io abbia contezza, fu pubblicata in Roma nel 1751. Assai negletta nella lingua e poco degna nell'originale, essa è stata forse cagionar che il libro del Clairaut non ottenesse fra noi successo pari al merito e non penetrasse nelle nostre scuole: onde è potuto in parte provenire, che molti giovani infastiditi alla lettura di trattati di forma troppo più severa che l'età loro non comportasse, abbiano preso afa di uno studio di cui sperimentavano le dicoltà, senza poterne ancora comprendere la vera bellezza ed il valore. Ora, che per l'istituzione delle scuole tecniche e speciali, lo studio della geometria deve maggiormente diondersi tra noi, mi è sembrato che una nuova traduzione dell'opera di Clairaut, condotta con qualche diligenza, dovesse venire favorevolmente accolta sia dai maestri che dagli alunni. [...] Per quelli che vorranno seguire nelle Università gli studi della facoltà di Matematica, questo libro non darà certamente preparazione suciente all'esame di ammissione: ma questi sono pochi, e non sarà dicile dare a loro quel sovrappiù d'istruzione di cui avranno bisogno. A tutti gli altri, le proposizioni contenute in questi Elementi sono state soddisfacenti, e gioverà loro, senza alcun dubbio, molto di più lo studiare da capo a fondo questo libretto, che il trascinarsi, come troppo sovente succede, con stento e con noia, per primi i libri di altri trattati, ottimi in se stessi, ma troppo ardui e troppo estesi per un primo studio elementare. [...] La geometria, come ogni altra scienza e più che ogni altra scienza, malamente s'impara col solo sentirne dimostrare e col ripeterne in termini generali le verità, senza farne frequenti applicazioni: queste sole possono far comprendere pienamente il signicato e l'uso delle proposizioni dimostrate. Egli è dunque di tutta necessità a voler fare in questo insegnamento verun frutto, che i professori, non 23 contenti alla nuda esposizione del testo, qual ch'esso sia, lo vadano continuamente commentando, col proporre agli alunni questioni svariate da risolversi con costruzioni grache diligentemente condotte o con computi numerici accuratamente riscontrati. Oltre alla misura dei terreni che forma direi quasi l'ordito della tela tessuta dal Clairaut, le arti meccaniche somministreranno, per poco che altri ne vada in cerca, innito numero di esempi atti ad illustrare le verità geometriche ed a renderne per così dire palpabile l'utilità. ([Clairaut A.C., (1850)]) A questa edizione del 1850 del Giulio ne segue una terza e delle altre, che sono provviste di alcune note di Giuseppe da Camin, professore di matematica, il quale nella prefazione dice: Un trattato di geometria fatto dal Clairaut e tradotto dal Giulio, dovrebbe essere senza più riconosciuto e scelto da tutti siccome il libro di testo ottimo e il più adatto per l'insegnamento di questa scienza nelle nostre scuole tecniche, se non vi fossero le indeclinabili esigenze di un programma ministeriale di esame. Le istruzioni che precedono quel programma sembrano in vero dettate da chi aveva davanti agli occhi come esemplare per lo scopo dello studio e per il metodo dell'insegnamento del Clairaut. Ma possa nelle particolarità, che sviluppano quel programma, sono introdotte non poche proposizioni, che il Clairaut ommette e che per conseguenza lo rendono insuciente per le nostre scuole. Ridurre il Clairaut, coll'aggiunta di quelle proposizioni mancanti, a contenere tutto quanto si deve insegnare nelle scuole tecniche, o, con altre parole, ridurre il Clairaut anche nella quantità della materia, come lo è nell'indirizzo e nel metodo, secondo le viste del R. Ministero, ecco il ne che mi sono proposto in questa seconda edizione. Ma poiché il solo toccare all'opera di quell'insigne Matematico, così egregiamente tradotta dal Professore torinese, sarebbe in me incompatibile audacia e grave oesa alla scienza ed alla memoria d'entrambi, così ho voluto raggiungere il mio ne, lasciando intatto e nella forma e nella sostanza quel prezioso lavoro; ed ecco in qual modo potei ciò ottenere. Le proposizioni tutte del Clairaut sono lasciate nella loro integrità come nella edizione del Giulio, e ordinate come in quella secondo i numeri romani; le altre invece da me aggiunte sono interpolate nel testo colle prime e precedute dai numeri arabici; le note del Traduttore sono pure introdotte 24 nel testo, ma senza numero e precedute da un asterisco. In questo modo riuscirà facile a chiunque di aver, quando il voglia, tutto solo l'immortale lavoro del Matematico francese. Per rendere poi più facile e più comodo, anche materialmente, lo studio di questa scienza, ho voluto mettere in testa a ciascuna proposizione in carattere corsivo il suo enunciato, prendendo eziandio questo, ogni volta che mi fu possibile, dall'indice compilato dallo stesso prof. Giulio, indice, il quale interpolato, nello stesso modo che il testo, con quello delle proposizioni da me aggiunte, potrà servire qual programma particolareggiato, che ogni professore ha debito di consegnare in principio d'anno ai suoi alunni. Con questo mio lavoro ho inteso unicamente di fare cosa utile ai nostri alunni e vantaggiosa all'insegnamento tecnico, togliendolo dalle soverchie astrazioni dei corsi classici, e per questo spero di poter meritare la benevolenza dei professori ed una gradita accoglienza da tutti gli studiosi della geometria. ([Clairaut A.C., (1879)]) 25 6 La matematica negli istituti tecnici italiani del secondo Ottocento 6.1 La legge Casati e il sistema dell'istruzione tecnica secondaria in Italia Sino ai primi anni Quaranta dell'Ottocento nel Regno di Sardegna, si palesava l'inferiorità dei paesi agricoli e si avvertiva la necessità di passare da un'economia a base prevalentemente artigianale a una manifatturiera. L'Associazione agraria subalpina, fondata nel 1841, era al centro di nuovi progetti di promozione economica e sociale e dal canto suo, il Giulio si preoccupava di istituire nuove scuole per la formazione tecnica e scientica di quanti si trovavano a operare nelle nuove manifatture, sempre maggiormente meccanizzate. Oltre alla ricerca scientica e tecnica i suoi interessi si ri- volsero, infatti, sia alla riforma dei curricula scolastici, anche in qualità di membro della Commissione governativa per le scuole dal 1845, sia alla formazione professionale di tecnici e artigiani, favorito in questo dall'appoggio di Camillo Cavour. A tale proposito promosse e partecipò attivamente alle Scuole di meccanica e di chimica applicate alle arti che fece istituire presso l'Accademia delle Scienze di Torino. Da questa esperienza nascerà l'Istituto tecnico torinese che rappresentava un'alternativa al consueto percorso di studi umanistici del ginnasio (liceo). Nel Regno di Sardegna le scuole tecniche furono introdotte nel sistema scolastico dal ministro dell'Istruzione Carlo Boncompagni (1804-1880) nel 1848. Con i provvedimenti legislativi del 1848 venne istituito per la prima volta un corso unico e di durata quinquiennale, con un complesso di insegnamenti che comprendevano: lettere italiane, storia, geograa statistica e commerciale, disegno, meccanica applicata, matematica, storia naturale, sica, chimica applicata alle arti, francese, inglese, tedesco e religione. La fase sperimentale avviata nel 1848 terminò nel 1856, quando il decreto Boncompagni, nella parte relativa alle scuole speciali, fu sostituito da un nuovo ordinamento emanato dal ministro Giovanni Lanza (1810-1882), che prevedeva la suddivisione del corso quinquennale in un primo corso triennale e in un successivo corso biennale, quest'ultimo ripartito in due sezioni: commerciale e industriale. Nel 1859 il decreto Lanza venne superato dalla legge organica sulla pubblica istruzione, voluta dal ministro Gabrio Casati (1798-1873) allo scopo di rinnovare, dopo l'annessione della Lombardia al Piemonte, l'intero sistema scolastico del regno. Il testo normativo, composto da ben 380 articoli, era suddiviso in cinque titoli riguardanti rispettivamente: l'amministrazione centrale e locale, l'istruzione superiore, l'istruzione secondaria, l'istruzione tecnica, ed inne l'istruzione elementare 26 e normale. • L'istruzione elementare era divisa in due gradi : quello inferiore e quello superiore, entrambi di durata biennale. • L'istruzione secondaria era costituita esclusivamente dall'asse ginnasio- liceo. • L'istruzione tecnica era a sua volta divisa in due gradi, entrambi di durata triennale, denominati scuola tecnica ed istituto tecnico. • L'istruzione normale veniva impartita in un triennio ed era suddivisa in un primo corso biennale di licenza all'insegnamento nella scuola elementare inferiore e in un successivo terzo anno di completamento, abilitante all' insegnamento nella scuola elementare superiore. La legge Casati istituiva tre categorie di insegnanti: 1. professori titolari che erano i docenti delle materie fondamentali, come quelle letterarie e losoche e venivano reclutati per concorso. 2. professori reggenti che erano in possesso del titolo legale ma non erano stati assunti con normale procedura concorsuale. 3. professori incaricati che ricevevano l'incarico annualmente, quasi sempre per l'insegnamento delle discipline complementari. La formazione tecnico-professionale che la legge Casati aveva contrapposto alla formazione umanistica, rappresentava un sistema chiuso destinato alle classi subalterne e regolato da norme molto spesso contraddittorie e non facilmente interpretabili. Conseguentemente nel tentativo di limare la contrapposizione fra i due modelli della scuola classica e della scuola tecnica, quest'ultima nì per assumere i connotati ibridi di una scuola che, ai molti insegnanti di cultura generale, accostava alcuni nuovi insegnanti tecnicoscientici. La scuola tecnica divenne così, ben presto, una sorta di ginnasio minore senza il latino. Nel mese di Settembre del 1860, a quasi un anno di distanza dalla promulgazione della legge, il nuovo ministro dell'Istruzione emanò il regolamento per l'istruzione tecnica apportando nuove norme e variazioni signicative alla legge Casati, ma lasciando inalterati gli aspetti più controversi. Per prima cosa si ritenne opportuno creare quattro dierenti indirizzi per l'istituto tecnico: la sezione amministrativo-commerciale, la sezione agronomica, la sezione chimica ed inne la sezione sico-matematica. Il numero degli anni di corso venne ridotto a due in quasi tutte le sezioni, 27 ad eccezione della sezione sico-matematica. Quest'ultima nì per assumere i connotati di un vero e proprio liceo scientico. Ai licenziati della sezio- ne sico-matematica venne anche consentito l'accesso ai corsi universitari della sola Facoltà di scienze matematiche, siche e naturali, alle stesse condizioni previste per i licenziati liceali, previo esame di ammissione che nel caso particolare verteva anche sulle materie losoche e sul latino. Il nuovo settore dell'istruzione tecnica venne messo ben presto in discussione, così come l'intero sistema scolastico creato dalla legge Casati, ritenuto da più parti inadeguato a soddisfare i bisogni formativi di uno Stato ormai distante per ampiezza e realtà socio-economica da quello ristretto ai soli conni piemontesi e lombardi al quale la legge aveva fatto riferimento. 6.2 I programmi di matematica nei regolamenti attuativi del 1860 Il progetto ideato da Casati all'indomani dell'annessione della Lombardia al Piemonte, dunque, con l'auspicio di molti, avrebbe dovuto avere vita brevissima. Nella realtà delle cose ancora nel 1870 se ne estendeva la validità al territorio di Roma. Nel Novembre del 1860, dopo le dimissioni del ministro Casati, furono approvati con decreto luogotenenziale i programmi per la scuola tecnica e per gli istituti tecnici. La matematica, in particolare, era materia di studio solo nella scuola tecnica e nella sezione sico-matematica dell'istituto e non faceva parte dei programmi delle restanti sezioni. Nella scuola tecnica gli insegnamenti erano apparentemente distribuiti in maniera uniforme, ma di fatto comprendevano: al primo anno la sola aritmetica, al secondo anno la geometria piana con le prime nozioni di geometria solida e al terzo anno il solo insegnamento dell'algebra. Il tempo complessivamente dedicato allo studio della matematica era comunque notevole, a dierenza dei corsi ginnasiali dove lo spazio riservato alla matematica era molto ristretto. La pubblicazione dei programmi d'insegnamento per i corsi tecnici non fece registrare particolari note di commento da parte dei matematici. Una comunità matematica italiana doveva ancora costituirsi e l'impegno di coloro che furono coinvolti nella costruzione del nuovo sistema scolastico si concentrò sul settore dell'istruzione superiore ed i consulenti in forza al ministero, in una prima fase, evitarono qualunque commento pubblico alla legge. E così, in un momento storico in cui gli avvenimenti distolsero gli animi da qualsiasi problema che non fosse la guerra, la spedizione garibaldina e l'occupazione delle nuove province vennero a mancare anche quei contributi, che in passato, alcuni matematici avevano oerto per alimentare il dibattito pubblico in tema di istruzione popolare e tecnica. Nel 1861 uscirono su un periodico due arti- 28 coli a favore delle scelte ministeriali in materia di formazione tecnica, il primo rmato dal chimico e botanico Giuseppe Clementi (1812-1873), ed il secondo dall'economista genovese Gerolamo Boccardo (1829-1904). Clementi si soffermava brevemente sugli insegnamenti matematici, approvando i contenuti piuttosto dei programmi per la scuola tecnica. Boccardo che in passato non aveva risparmiato le critiche all'impianto complessivo della legge ed alla scarsa attenzione rivolta agli studi tecnico-scientici, si esprimeva questa volta in termini lusinghieri circa l'ecacia dei programmi e la ripartizione dei corsi di studio. Boccardo ricordò in questa occasione il libro di Clairaut giudicandolo uno dei più nobili spiriti del XVIII secolo che contribuì potentemente a far nascere in molti l'amore di queste discipline, con quei suoi aurei Eléments de géométrie, che si leggono con lo stesso piacere col quale si legge una storia ([Boccardo G., (1861), p.II, pp.529]). È signicativo che un'economista italiano citi con lode l'opera di Clairaut a distanza di centocinquanta anni. Ciò signica che era un'opera diusa e molto conosciuta, forse lo stesso Boccardo aveva studiato su questo testo, in particolare sulle traduzioni del Giulio nalizzate alle scuole tecniche. La pedagogica di una volta - scriveva Boccardo - aveva compreso la necessità di una forte e disciplinata ginnastica intellettuale, la quale mirasse piuttosto ad insegnar bene che molto; ma esagerava questo principio, riducendo a troppo piccola cerchia la parte materiale dell'istruzione e concedendo tutto alla formale. Nell'opposto estremo tralignò talvolta la metodica moderna, quando ampliò fuor di misura l'ambito delle cognizioni da somministrarsi alle tenere menti e trascurò forse di soverchio l'educazione delle facoltà intellettuali. Il tenersi lontani da entrambi questi difetti è aare piuttosto di professori che di programmi. Se il maestro incaricato d'insegnare gli elementi della matematica nella scuola tecnica è ben padrone del suo compito, se è capace di applicare rigorosamente il nil nimis al suo insegnamento, può star sicuro ch'egli contribuirà più ecacemente di ogni altro suo collega a formare teste pensanti, giuste, ordinate ed al tempo stesso a munirle di quel corredo di cognizioni strumentali, senza cui le porte del tempio della scienza rimangono inesorabilmente chiuse. [...] Bisogna che gli scolari non abbiano mai da proporre a se stessi il formidabile quesito del cui bonum?, ma veggano subito dalla moltiplicità degli esempi, dalla varietà dei rapporti, dalla importanza delle deduzioni tutto il vastissimo campo di cognizioni al quale vengono iniziati. Con tutto il suo gran merito, come geometra, il Legendre ha di- 29 sgustato per l'eccessiva aridità dei suoi libri, un gran numero di giovani dallo studio delle matematiche; mentre l'illustre Clairaut, uno dei più nobili spiriti del XVIII secolo, contribuì potentemente a far nascere in molti l'amore di queste discipline, con quei suoi aurei Eléments de géométrie, che si leggono con lo stesso piacere col quale si legge una storia. ([Boccardo G., (1861), p.II, pp.529]) L'aspetto più problematico, però, che si rivelò da subito in tutta la sua gravità e che negli anni avrebbe prodotto un bassissimo livello dell'insegnamento in numerosi istituti, era proprio quello legato alla mancanza di docenti sucientemente preparati. Questa penuria riguardava soprattutto il settore tecnico dell'istruzione - dove peraltro le retribuzioni erano più basse che nei licei - poiché le carenze più vistose si presentavano proprio nell'ambito degli insegnamenti complementari, come venivano comunemente indicati gli insegnamenti matematici, scientici e tecnici. 30 31 A Appendice A.1 Prefazione di Clairaut agli Eléments de géométrie Quantunque la geometria sia per se medesima astratta, conviene nondimeno confessare, che le dicoltà che incontrano coloro che cominciano ad applicarvisi, provengono il più delle volte dalla maniera con cui essa viene insegnata nei libri elementari. Si suol cominciare con un gran numero di denizioni, di postulati, di assiomi e di princìpi preliminari, i quali non promettono altro al lettore che cose molto aride e noiose. Le proposizioni che vengono dopo non aggirandosi sopra argomenti interessanti, ed essendo per altra parte dicili a concepirsi, ne segue comunemente, che i principianti si stancano o si disgustano prima di avere alcuna idea distinta di ciò che si vuole loro insegnare. Per temperare l'aridità naturale dello studio della geometria, alcuni Autori hanno creduto che potesse bastare di esporre dopo ciascuna proposizione essenziale l'uso che può farsene in pratica: così facendo dimostrano essi bensì l'utilità della geometria, ma senza agevolarne di molto lo studio. Poiché ciascuna proposizione precedendo all'indicazione dell'uso che essa può avere, la mente perviene solo alle idee sensibili dopo aver incontrato la fatica di concepire le idee astratte. Alcune riessioni che io ho fatto sull'origine della geometria mi hanno fatto sperare di scansare quelli inconvenienti, e di rendere le verità geometriche più interessanti e più intelligibili ai principianti. Io ho considerato che questa scienza, come tutte le altre deve essersi formata per gradi; che verosimilmente la necessità è stata quella che ha fatto fare in essa i primi passi, e che questi primi passi non possono essere fuori dalla portata dei principianti; poiché sono stati fatti appunto dai principianti. Preoccupato da quell'idea, mi sono proposto di trovare quel che può aver dato origine alla geometria; ed ho cercato di spiegarne i princìpi con un metodo così naturale, come quello che si suppone essere stato dei primi inventori; in modo da evitare tutti i falsi tentativi che essi hanno necessariamente dovuto fare. La misura dei terreni mi è parsa la cosa più giusta per far riscoprire le prime proposizioni della geometria; tale è in eetti l'origine di questa scienza; poiché geometria signica misura dei terreni. Alcuni Autori pretendono che gli Egiziani, vedendo continuamente i termini dei loro poderi distrutti dalle inondazioni del Nilo, gettassero i primi fondamenti della geometria, cercando mezzi di determinare esattamente il sito, l'estensione, la gura delle loro tenute. Ma quando ancora non ci rapportiamo a quelli Autori, potremmo noi dubitar che nei primi tempi gli uomini non abbiano cercato metodi per misurare e per spartire le loro terre? Volendo poi perfezionare quei metodi, le ricerche particolari li hanno condotti a poco a poco a ricerche più gene- 32 rali; e nalmente studiando esattamente il rapporto di tutte le grandezze, formarono una scienza di un oggetto molto più vasto di quello che avevano abbracciato al principio, ed alla quale conservarono il nome che le avevano dato n dalla sua origine. Al ne di seguire in quest'opera un metodo simile a quello degli inventori, io comincio subito dallo scoprire dai lettori i princìpi dai quali può dipendere la semplice misura de terreni e delle distanze accessibili o inaccessibili ecc. Passo poi ad altre ricerche, le quali hanno una tale analogia con le prime, che la curiosità, naturale a tutti gli uomini , li porta a fermarvisi e insieme giusticando quella curiosità con qualche applicazione utile, io prenderò in esame tutto quello che la geometria elementare ha di più interessante. Non si può, secondo me, negare che quel metodo non sia adatto, se non altro, ad animare coloro i quali potrebbero venire coinvolti dall'aridità delle verità Geometriche nude di applicazioni. Io spero di più, che avrà quest' altra utilità più importante, che avvezzerà la mente a cercare e scoprire cose nuove. E perciò appunto mi astengo dal proporre le proposizioni sotto forma di teoremi; cioè di quelle proposizioni nelle quali si dimostra questa o quella verità, ma senza far vedere come si è arrivati a scoprirla. Se i primi Autori delle Matematiche hanno presentato così le loro scoperte in forma di teoremi, quello è stato senza dubbio per dare un'aria di maggior meraviglia alle loro produzioni, o per sfuggir la fatica di riprender la serie delle idee che li avevano guidati nelle loro ricerche. Comunque sia, mi è sembrato molto più opportuno occupare continuamente i miei Lettori a risolvere problemi, cioè a cercare i mezzi per fare qualche operazione o per scoprire qualche verità sconosciuta determinando il rapporto che esiste tra grandezze date, ed altre grandezze incognite che uno si è proposto di trovare. Seguendo questa via, i principianti scorgono, a ciascun passo, qual è la ragione che determina l'inventore; e così possono acquistare più facilmente lo spirito d'invenzione. Mi si opporrà forse, che in qualche luogo di questi elementi, io dia troppo peso alla testimonianza degli occhi, curando poco il rigore delle dimostrazioni. Io prego coloro, che mi riprendono, ad osservare come il passare che io faccio leggermente sopra alcune proposizioni, non è che su quelle verità che si manifestano da subito, che gli altri considerano poco. Io opero specialmente sul principio, dove più spesso si incontrano simili proposizioni, perché ho osservato, che coloro i quali avevano della predisposizione per la geometria, avevano del piacere ad esercitare un poco il loro spirito; ed al contrario, altri se ne ritiravano, allorché li opprime con dimostrazioni, per così dire, inutili. Nessuno rimarrà sorpreso che Euclide si metta a dimostrare che due circoli che si tagliano non hanno lo stesso centro; che un triangolo contenuto dentro un altro ha la somma dei suoi lati più piccola, di quella dei lati del triangolo, dentro il quale è compreso. Questo Geometra doveva convincere dei sosti 33 ostinati che si facevano gloria di ripugnare alle verità più evidenti. Bisognava dunque che allora la geometria avesse, come appunto la Logica, il soccorso dei discorsi in forma per chiudere la bocca alle vane opposizioni. Ma le cose hanno cambiato aspetto. Ogni ragionamento speso, dove basta il buon senso, è più che suciente a decidere al giorno d'oggi in conto di pura perdita di tempo, e non vale che ad oscurare la verità, ed a tediare i Lettori. Mi si potrebbe fare un'altra opposizione, di aver tralasciato parecchie proposizioni che si sogliono porre ordinariamente negli Elementi, e di attenermi per le proposizioni alle sole cose principali e fondamentali. A questo rispondo io, che in questo trattato si trova tutto quello che può servire per adempiere il mio disegno; che le proposizioni da me tralasciate sono quelle che non possono per se medesime essere di alcuna utilità, e non contribuiscono a facilitare l'intelligenza delle altre che è necessario sapere. Quanto alle proporzioni poi, quel che io dico, deve bastare per capire le proposizioni elementari che le suppongono. Quella è una materia che tratterò più a fondo negli Elementi dell'Algebra che io sto per rendere noto. Finalmente avendo io scelto la misura dei terreni per predisporre i principianti a questo studio, credo di dover temere che si confondano questi Elementi con gli ordinari trattati di geometria pratica? In questo errore non può cadere se non chi non riette che la misura dei terreni non è il vero oggetto di questo libro; ma mi serve essa a far scoprire le principali verità geometriche. Io avrei potuto medesimamente pervenire a quelle verità, esponendo la storia della Fisica, dell'Astronomia, o di qualsivoglia altra parte delle Matematiche. Ma allora la moltitudine delle idee straniere, che si sarebbero incontrate lungo il percorso, avrebbe come aogate le idee Geometriche, alle quali solo io dovevo ssare la mente del mio Lettore. A.2 Tavola delle materie degli Eléments de géométrie di Clairaut Parte prima Dei mezzi che si devono naturalmente impiegare per avere la misura dei terreni II. La linea retta è la linea più corta che si possa tirare da un punto all'altro e conseguentemente la misura della distanza tra due punti. III. Una linea, che cade sopra un'altra, senza pendere verso alcuna parte, è perpendicolare a quella linea. IV. Il rettangolo è una gura di quattro lati tra loro perpendicolari ed il quadrato è un rettangolo, che ha i quattro lati uguali. 34 V. Maniera di alzare una perpendicolare. VI. Il circolo è la traccia intera, che descrive la punta mobile di un compasso, mentre gira intorno all'altra punta. Il centro è il luogo del punto sso. Il raggio è l'intervallo col quale è aperto il compasso. Il diametro doppio del raggio. VII. Maniera di calare una perpendicolare. VIII. Dividere una linea in due parti uguali. IX. Dato un lato, fare un quadrato. X. Fare un rettangolo data la lunghezza e larghezza. XI. Mandare una parallela a una linea per un punto dato. XII. La misura di un rettangolo è il prodotto della sua altezza per la sua base. XIII. Le gure rettilinee sono quelle che vengono terminate da linee rette. Il triangolo è una gura terminata da tre linee rette. XIV. La diagonale di un rettangolo è la linea che lo divide in due triangoli uguali. I triangoli rettangoli sono quelli che hanno due dei loro lati perpendicolari l'uno all'altro. Un triangolo è la metà del rettangolo che ha la medesima base e altezza. Dunque la sua misura è la metà del prodotto dell'altezza per la sua base. XV. I triangoli di uguale altezza e uguale base sono ancora di uguale XVII. I triangoli che hanno la medesima base e stanno tra le medesime XVIII. I parallelogrammi sono gure di quattro lati, dei quali i due op- supercie. parallele, sono di uguale supercie. posti sono paralleli. Si misurano moltiplicando l'altezza per la base. XIX. I parallelogrammi, che hanno la base comune e sono tra le medesime parallele, sono di uguale supercie. XX. I poligoni regolari sono gure terminate da lati uguali, e ugualmente inclinati gli uni agli altri. XXI. Maniera di descrivere un poligono di un numero determinato di lati. Il pentagono ha 5 lati, l'esagono 6, l'eptagono 7, l'ottagono 8, l'ennagono 9, il decagono 10. XXII. Misura delle supercie di un poligono regolare. L'apotema è la perpendicolare tirata dal centro della gura ad uno dei suoi lati. XXIII. Il triangolo equilatero è quello che ha tutti e tre i lati uguali. Descrizione. XXVI. Conoscendo i tre lati di un triangolo, fare un altro triangolo uguale al primo. XXVII. Un angolo è l'inclinazione di una linea all'altra linea. 35 XXVIII. Modo di fare un angolo uguale ad un altro. Essendo dati due lati e l'angolo da essi compreso è determinato il triangolo. XXIX. Secondo modo di fare un angolo uguale ad un altro. La corda di un arco di un circolo è la semiretta che è terminata dalle due estremità dell'arco. XXX. Due angoli e un lato determinano il triangolo. XXXI. Il triangolo isoscele è quello che ha due lati uguali. Gli angoli che stanno alla base sono tra loro uguali. XXXIV. In che cosa consiste la similitudine di due gure. XXXVI. Modo di descrivere una gura simile ad un'altra. XXXVIII. Se due angoli di un triangolo sono uguali a due angoli di un altro triangolo, il terzo angolo dell'uno sarà uguale al terzo angolo dell'altro. XXXIX. Due triangoli, che hanno i rispettivi angoli uguali, avranno ancora i lati proporzionali. XL. Dividere una linea in quante parti uguali uno vorrà. XLI. Cosa sia una linea quarta proporzionale ad altre tre, come si XLII. Le altezze dei triangoli simili sono proporzionali ai loro lati. XLIV. Le aree dei triangoli simili sono come i quadrati dei lati omologhi. trova. XLV. Proprietà delle gure simili ottenute da quelle dei triangoli. XLVII. Le aree delle gure simili stanno tra loro come i quadrati dei lati omologhi. XLVIII. Le gure simili non sono dierenti, che per le scale, su cui sono state costruite. L. Modo di misurare la distanza di un luogo inaccessibile. LII. Un angolo ha per misura l'arco di un circolo compreso tra i suoi LIII. Il circolo è diviso in 360 gradi, ciascun grado in 60 minuti. LIV. L'angolo retto ha 90 gradi ed i suoi lati sono perpendicolari l'uno lati. all'altro. LV. L'angolo acuto è quello che è minore del retto. LVI. Un angolo ottuso è quello che è maggiore del retto. LVII. La somma degli angoli fatti dalla medesima parte su una retta e che hanno il medesimo vertice comprende 180 gradi. LVIII. Tutti gli angoli che si possono fare intorno ad un medesimo punto, LIX. Uso dello strumento chiamato semicircolo per misurare la gran- presi insieme, sono uguali a quattro retti. dezza di un angolo. LX. Uso di uno strumento per fare un angolo di un numero determi- 36 nato di gradi. LXIII. Gli angoli alterni sono gli angoli opposti, che forma da una parte e dall'altra una linea retta, che cade su due parallele. LXIV. La somma di tre angoli di un triangolo è uguale a due angoli retti. LXVIII. L'angolo esterno di un triangolo è uguale alla somma degli angoli interni non adiacenti. LXIX. Un angolo del triangolo isoscele dà gli altri due. LXX. Gli angoli di un triangolo equilatero sono ciascuno di 60 gradi. LXXI. Descrizione dell'esagono. LXXII. La metà dell'angolo al centro dell'esagono dà l'angolo al centro del dodecagono. LXXIII. Dividere un angolo in due parti uguali. LXXIV. Descrizione dei poligoni di 24, 48 lati. LXXV. Descrizione dell'ottagono e dei poligoni di 16, 32 lati. Parte seconda Del metodo geometrico di paragonare le gure rettilinee I. Due rettangoli che hanno la medesima altezza sono nella ragione medesima delle loro basi V. Modo di trasformare un rettangolo in un altro che abbia un'al- VI. Secondo modo di trasformare un rettangolo in un altro di data VII. Si dimostra rigorosamente, che se due rettangoli sono uguali, tezza data. altezza. la base del primo sta alla base del secondo, come l'altezza del secondo sta all'altezza del primo. VIII. Se di quattro linee, la prima sta alla seconda, come la terza alla quarta, il rettangolo formato dalla prima e dalla quarta sarà uguale a quello formato dalla seconda e dalla terza. IX. Quattro quantità delle quali la prima stia alla seconda, come la X. Dei quattro termini di una proporzione il primo e il quarto sono XI. In una proporzione il prodotto degli estremi è uguale al prodotto terza alla quarta, formano una proporzione. chiaramente estremi; il secondo ed il terzo si chiamano medi. dei medi. XII. Se il prodotto degli estremi è uguale al prodotto dei medi, quei quattro termini formano una proporzione. 37 XIII. Quindi si ricava la regola del tre. Quale sia il modo di trovare il quarto termine di una proporzione, dati i primi tre. XVI. Fare un quadrato doppio di un altro. XVII. Fare un quadrato uguale ad altri due presi insieme. XVIII. L'ipotenusa di un triangolo rettangolo è il suo lato maggiore. Il quadrato di questo lato è uguale alla somma dei quadrati costruiti sugli altri due. XIX. Metodo semplice di ridurre due quadrati ad uno solo. XX. Se i lati di un triangolo rettangolo servono di base a tre gure simili, la gura costruita sull'ipotenusa uguaglierà le altre due insieme. XXI. Ridurre più gure simili ad una sola. XXIII. Il prodotto che risulta dalla moltiplicazione di un numero per se medesimo è il quadrato di quel numero. La radice di un quadrato è il numero, che moltiplicato per se stesso, dà il quadrato. XXIV. Un numero è multiplo di un altro quando lo contiene per l'appunto più volte. XXV. Altre linee incommensurabili. XXVII. I triangoli e le gure simili hanno i loro lati proporzionali anche quando questi sono incommensurabili. XXVIII. Queste gure stanno sempre tra loro come i quadrati dei loro lati omologhi. Parte terza Della misura delle gure circolari e delle loro proprietà I. La misura del circolo è il prodotto della sua circonferenza per la metà del raggio. II. L'area del circolo è uguale ad un triangolo del quale l'altezza è IV. Se il diametro del circolo viene diviso in sette parti ognuna di uguale al raggio e la base è una retta uguale alla ciconferenza. queste sta ventidue volte sul circolo. V. Le circonferenze dei circoli stanno tra loro come i loro raggi. VI. Le aree dei circoli sono proporzionali ai quadrati dei loro raggi. VII. Di tre circoli, che abbiano per raggio i lati di un triangolo rettan- VIII. Una corona è lo spazio compreso tra due circoli concentrici. Per golo, quello che dà l'ipotenusa, è uguale agli altri due insieme. misurare un anello si deve moltiplicare la larghezza per la circonferenza media. 38 IX. Il segmento di un circolo è uno spazio terminato dall'arco e dalla corda. La misura di tutte le gure circolari si riduce a quella del segmento. X. Il settore è una porzione di circolo terminata da due raggi e XI. Trovare il centro di un arco di un circolo qualunque. XIII. Se da un punto qualunque della circonferenza di un semicircolo si dall'arco che essi comprendono. conducono due rette all'estremità del diametro si avrà un angolo retto. XV. Tutti gli angoli, che hanno il vertice alla circonferenza e che insistono sul medesimo arco, sono uguali, ed hanno per misura comune la metà dell'arco sul quale sono stati ssati. XVIII. La tangente al circolo è la linea che lo tocca in un punto. L'angolo al segmento è quello che è fatto dalla corda e dalla tangente. La sua misura è la metà dell'arco del segmento. XIX. La tangente è perpendicolare al diametro che passa per il punto in cui lo tocca. XXI. Cosa sia un segmento opposto ad un angolo dato. Modo di fare XXII. Trovare la distanza di un luogo rispetto ad altri tre dei quali sono XXIII. Se si uniscono due corde in un circolo, il rettangolo fatto dalle un segmento opposto ad un angolo dato. conosciute le posizioni. parti dell'una è uguale al rettangolo fatto dalle parti dell'altra. XXIV. Il quadrato di una perpendicolare qualunque al diametro di un circolo è uguale al rettangolo delle due parti del diametro. XXV. Trasformare un rettangolo in un quadrato. XXVI. Cosa sia una media proporzionale tra due linee rette. Modo di trovarla. XXVII. Un altro modo di trovarla. XXVIII. Trasformare una gura rettilinea in un quadrato. XXX. Fare un quadrato che abbia rapporto uguale ad un altro. XXXI. Fare un poligono che abbia rapporto simile ad un altro. XXXII. Fare un circolo che abbia rapporto uguale ad un altro. XXXIII. Se da un punto preso fuori dal circolo si traccino due linee, che lo dividono, i rettangoli di queste due rette sono uguali per le loro parti esteriori. XXXIV. Il quadrato della tangente è uguale al rettangolo della secante per la sua parte esteriore. XXXV. Dato un punto fuori da un circolo condurre la tangente a quello stesso circolo. 39 Parte quarta Della maniera di misurare i solidi e le loro superci I. Il cubo è una gura solida formata da dei quadrati: ed è la comune misura dei solidi. II. Il parallelepipedo è un solido formato da sei rettangoli. I piani paralleli sono quelli che conservano sempre tra loro la medesima distanza. III. Misura del parallelepipedo. IV. I parallelepipedi sono prodotti da un rettangolo che si muove V. La linea perpendicolare ad un piano è quella che non pende da parallelamente a se medesimo. nessun lato rispetto a questo piano. Esso è il medesimo di un piano perpendicolare ad un altro piano. VI. La linea, che è perpendicolare ad un piano, è perpendicolare a tutte le linee di questo piano, le quali partono dal punto dove essa cade. VIII. Pratica semplice per elevare o abbassare linee perpendicolari a IX. Una linea sarà perpendicolare ad un piano, se sarà perpendicolare dei piani. a due linee di questo piano, le quali partono dal punto, dove essa cade. X. Modo di elevare un piano perpendicolare ad un altro. XI. Costruire un piano parallelo ad un altro. XII. Misurare l'inclinazione di un piano rispetto ad un altro. XIII. Misurare l'inclinazione di una linea rispetto ad un piano. XIV. Nuovo modo di calare una linea perpendicolare ad un piano dato. XV. Secondo modo di alzare una linea perpendicolare ad un piano dato. XVI. Il prisma retto è una gura solida di cui le due basi opposte sono XVII. Formazione dei prismi retti. XIX. Due prismi, che hanno le basi uguali, sono in rapporto uguale due poligoni uguali e le altre facce sono rettangoli. alle loro altezze. XX. Due prismi, che hanno la medesima altezza, sono in rapporto XXI. La misura del prisma retto è il prodotto della sua base per la sua uguale alle loro basi. altezza. XXII. I prismi obliqui dieriscono dai prismi retti nelle facce: in questi rettangoli, negli altri sono parallelogrammi. 40 XXIII. Formazione dei prismi obliqui. XXIV. I prismi obliqui sono uguali ai prismi retti quando hanno la medesima base e la medesima altezza. XXV. Lo stesso vale per i parallelepipedi obliqui rispetto ai parallelepipedi retti. XXXVII. Le piramidi che hanno la medesima base e la medesima altezza sono uguali. XXXVIII. Due piramidi sono uguali pure, se, avendo la medesima altezza le loro basi, non essendo poligoni simili, sono uguali in supercie. XXXIX. Le piramidi, che hanno la medesima altezza, stanno tra loro, come le loro basi. XLII. La solidità di una piramide qualunque è il prodotto della sua base XLIII. La piramide è il terzo del prisma che ha la medesima base e la per il terzo della sua altezza. medesima altezza. XLV. Il cilindro è un solido terminato da due basi opposte e parallele, che sono circoli uguali, e da un piano piegato intorno alle loro circonferenze. Si divide in cilindro retto e in cilindro obliquo. XLVI. Formazione del cilindro. XLVII. La supercie curva di un cilindro retto è uguale ad un rettangolo che ha la medesima altezza e di cui la base è uguale alla sua circonferenza. XLIX. I cilindri che hanno la stessa base e altezza sono uguali in solidità. L. La misura di un cilindro qualunque è il prodotto della sua base per la sua altezza. LI. Il cono è una specie di piramide che ha per base un circolo. LII. Si distingue in cono retto e in cono obliquo. LIII. La supercie di un cono retto si misura moltiplicando la metà del LIV. Un settore di circolo è la supercie avvoltolata di un cono. suo lato per la circonferenza della sua base. LVI. I coni che hanno la stessa base e altezza sono uguali. LVII. La loro misura è il prodotto della base per un terzo dell'altezza. LIX. Modo di misurare la supercie di un cono troncato. LX. La sfera è un corpo la cui supercie ha tutti i punti ugualmente distanti dal centro. LXV. La supercie della sfera ha per misura il prodotto del suo diametro per la circonferenza del suo circolo massimo. LXVI. Cosa sia un segmento di una sfera. Come si misura la sua supercie. LXVII. La supercie della sfera è uguale a quella del cilindro circoscritto. 41 LXVIII. Le sezioni del cilindro e della sfera hanno la medesima supercie. LXIX. La supercie della sfera è uguale alla supercie del suo circolo massimo presa quattro volte. LXX. La solidità della sfera è il prodotto del terzo del raggio per l'area del massimo circolo presa quattro volte. LXXI. La solidità della sfera è due terzi di quella del circolo circoscritto. LXXII. Misura della solidità di un segmento di sfera. LXXIII. In che cosa consiste la similitudine di due corpi terminati da piani. LXXIV. Condizioni che deniscono la similitudine di due cilindri retti. LXXV. Quelle di due cilindri obliqui. LXXVI. Quelle di due coni. LXXVII. Quelle di due coni tronchi. LXXVIII. Le sfere, i cubi e tutte le gure che dipendono da una sola linea sono tutte simili. LXXIX. In generale i solidi simili dieriscono per le scale sulle quali sono stati costruiti. LXXX. Le superci dei solidi simili stanno tra loro come i quadrati dei loro lati omologhi. LXXXI. Le superci delle sfere stanno tra loro come i quadrati dei loro raggi. LXXXIII. I solidi simili stanno tra loro come i cubi dei loro lati omologhi. LXXXIV. Le sfere stanno tra loro come i cubi dei loro raggi. A.3 Indice dell'ultimo capitolo degli Elementi di geometria teorico-pratica ad uso delle scuole di Francesco Soave contenente la traduzione italiana del primo capitolo degli Eléments de géométrie di Clairaut Dei mezzi che si devono impiegare per avere la misura dei terreni I. Per misurare una lunghezza qualunque, la geometria naturale ci suggerisce subito questo espediente; di paragonare cioè la lunghezza di una misura conosciuta con quella della lunghezza che si vuol conoscere. II. La linea retta è la linea più corta che si possa tirare da un punto all'altro e conseguentemente la misura della distanza tra due punti. III. Una linea, che cade sopra un'altra, senza pendere verso alcuna parte, è perpendicolare a quella linea. 42 IV. Il rettangolo è una gura di quattro lati tra loro perpendicolari ed il quadrato è un rettangolo che ha i quattro lati uguali. V. Maniera di alzare una perpendicolare. VI. Il circolo è la traccia intera, che descrive la punta mobile di un compasso, mentre gira intorno all'altra punta. - Il centro è il luogo del punto sso. - Il raggio è l'intervallo col quale è aperto il compasso. - Il diametro è il doppio del raggio. VII. Maniera di calare una perpendicolare. VIII. Dividere una linea in due parti uguali. IX. Dato un lato, fare un quadrato. X. Fare un rettangolo data la lunghezza e larghezza. XI. Mandare una parallela a una linea per un punto dato. XII. La misura di un rettangolo è il prodotto della sua altezza per la sua base. XIII. Le gure rettilinee sono quelle che vengono terminate da linee XIV. La diagonale di un rettangolo è la linea che lo divide in due rette. - Il triangolo è una gura terminata da tre linee rette. triangoli uguali. - I triangoli rettangoli sono quelli che hanno due dei loro lati perpendicolari l'uno all'altro. - Un triangolo è la metà del rettangolo che ha la medesima base e altezza. - Dunque la sua misura è la metà del prodotto dell'altezza per la sua base. XV. I triangoli di uguale altezza e uguale base sono ancora di uguale XVII. I triangoli che hanno la medesima base e stanno tra le medesime supercie. parallele, sono di uguale supercie. XVIII. I parallelogrammi sono gure di quattro lati, dei quali i due opposti sono paralleli. - Si misurano moltiplicando l'altezza per la base. XIX. I parallelogrammi, che hanno la base comune e sono tra le medesime parallele, sono di uguale supercie. XX. I poligoni regolari sono gure terminate da lati uguali, e ugualmente inclinati gli uni agli altri. XXI. Maniera di descrivere un poligono di un numero determinato di lati. - Il pentagono ha 5 lati, l'esagono 6, l'eptagono 7, l'ottagono 8, l'ennagono 9, il decagono 10. XXII. Misura delle supercie di un poligono regolare. - L'apotema è la XXIII. Il triangolo equilatero è quello che ha tutti e tre i lati uguali. - perpendicolare tirata dal centro della gura ad uno dei suoi lati. Maniera di descriverlo. XXVIII. Maniera di fare un angolo uguale ad un altro. - Essendo dati due 43 lati e l'angolo da essi compreso è determinato il triangolo. XXIX. Seconda maniera di fare un angolo uguale ad un altro. - La corda di un arco di un circolo è la retta che è terminata dalle due estremità dell'arco. XXX. Due angoli e un lato determinano il triangolo. XXXIV. In che cosa consiste la similitudine di due gure. XXXVI. Maniera di descrivere una gura simile ad un'altra. XXXVIII. Se due angoli di un triangolo sono uguali a due angoli di un altro triangolo, il terzo angolo dell'uno sarà uguale al terzo angolo dell'altro. XXXIX. Due triangoli, che hanno i rispettivi angoli uguali, avranno ancora i lati proporzionali. XL. Dividere una linea in quante parti uguali uno vorrà. XLI. Cosa sia una linea quarta proporzionale ad altre tre e come si trova. XLVII. Le aree delle gure simili stanno tra loro come i quadrati dei lati omologhi. XLVIII. Le gure simili non sono dierenti, che per le scale, su cui sono state costruite. L. Maniera di misurare la distanza di un luogo inaccessibile. LII. Un angolo ha per misura l'arco di un circolo compreso tra i suoi lati. LIII. Il circolo è diviso in 360 gradi, ciascun grado in 60 minuti. LIV. L'angolo retto ha 90 gradi ed i suoi lati sono perpendicolari l'uno all'altro. LV. L'angolo acuto è quello che è minore del retto. LVI. Un angolo ottuso è quello che è maggiore del retto. LVII. La somma degli angoli fatti dalla medesima parte su una retta e LVIII. Tutti gli angoli che si possono fare intorno ad un medesimo punto, LXIII. Gli angoli alterni sono gli angoli opposti, che forma da una parte che hanno il medesimo vertice comprende 180 gradi. presi insieme, sono uguali a quattro retti. e dall'altra una linea retta, che cade su due parallele. - Questi angoli sono uguali. LXIV. La somma di tre angoli di un triangolo è uguale a due angoli retti. LXV. Dunque per avere il valore del terzo angolo di un triangolo, quando uno ne avrà misurati due, basterà sottrarre da 180 gradi quel numero di gradi che i due angoli fanno insieme. LXVI. Un triangolo non può avere più di un angolo retto e per più forte 44 ragione non potrà avere più di un angolo ottuso. LXXIII. Dividere un angolo in due angoli uguali. LXXIV. Descrizione dei poligoni di 24, 48 lati. LXXV. Descrizione dell'ottagono. - E dei poligoni di 16, 32 lati. 45 Riferimenti bibliograci [Boccardo G., (1861)] Dei programmi governativi per i corsi tecnici, Eemeridi della Pubblica Istruzione, Vol. II, (p.I, pp.465-467, p.II, pp.529-531) [Castelnuovo E., (1946)] Un metodo attivo nell'insegnamento della Geometria intuitiva. Periodico di Matematiche, Vol. XXIV, pp.129-140 [Castelnuovo E., (1948)] Geometria intuitiva per le scuole medie inferiori, Carrabba, Roma [Clairaut A.C., (1751)] Elementi di geometria del signor Clairaut dell'Accademia reale delle scienze e della societa reale di Londra tradotti dal francese in lingua italiana, trad. a cura di Carlo Benvenuti, Roma, Salomoni, a spese di Venanzio Monaldini [Clairaut A.C., (1753)] Eléments de géométrie, Paris [Clairaut A.C., (1771)] Elementi di geometria del Signor Clairaut, ◦ Zempel (2 ed. della traduzione di Clairaut), Roma, a spese di Venanzio Monaldini [Clairaut A.C., (1850)] Elementi di geometria: nuova traduzione italiana con note approvata dal Consiglio superiore di Pubblica Istruzione per uso delle scuole secondarie e speciali, trad. a cura di Carlo Ignazio Giulio, Torino, Stamperia Reale [Clairaut A.C., (1879)] Elementi di geometria: nuova traduzione italiana con note approvate dal Consiglio superiore di Pubblica Istruzione per uso delle scuole seondarie e speciali, trad. a cura di Carlo Ignazio Giulio, Librai Editori, Torino [Gario P., (2013)] La matematica nella Società e nella Cultura, Rivista dell'Unione Matematica Italiana, se. I, Vol. VI, pp.7-26, Bologna 46 [Lombardo Radice G., (1913)] Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale, Palermo [Scoth R., (2010)] La matematica negli istituti tecnici italiani. Analisi storica dei programmi d'insegnamento (1859-1891), pp.1-23, Cagliari, Centro di Ricerca e sperimentazione dell'Educazione Matematica [Soave F., (1793)] Elementi di geometria teorica pratica ad uso delle scuole, Venezia, Stamperia di Giacomo Storti [Soave F., (1803)] Elementi di geometria teorico-pratica ad uso delle scuole. Edizione diligentemente corretta, alla quale si è aggiunto per la prima volta il Trattato sulla maniera di misurare i terreni del Sig. Clairaut, Venezia, Stamperia Graziosi 47 Sitograa • Per una biograa di Castelnuovo E. si veda Wikipedia, l'Enciclopedia libera, alla pagina web http://it.wikipedia.org/wiki/Emma_Castelnuovo • Per una biograa di Clairaut A.C. si veda The MacTutor History of Mathematics archive of University of St Andrews Scotland alla pagina web http://www-history.mcs.st-andrews.ac.uk/Mathematicians/Clairaut.html • Per una biograa di Giulio C. I. si veda il Dizionario Biograco del- l'Enciclopedia Treccani alla pagina web http://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-ignazio-giulio_(Dizionario-Biograco)/ • Per una biograa di Soave F. si veda Wikipedia, l'Enciclopedia libera, alla pagina web http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Soave