Indice sommario Dottrina Colombini Edgardo: Sinistro causato da veicolo non identificato, pag. 681 Ritunno Tiziana Maria: La cessione del credito e il sistema del risarcimento diretto del Codice delle Assicurazioni, pag. 733 Bibliografia Biancospino D., Capacchione V., Moretto M.: Codice doganale, pag. 689 Protospataro Giandomentico: Cenni sulle sanzioni del Codice della strada, pag. 689 Ramacci Luca: Rifiuti: la gestione e le sanzioni, pag. 689 Savarro Pietro: I nuovi parametri forensi, pag. 689 Giurisprudenza Assicurazione obbligatoria Contratto di assicurazione – Clausola di delimitazione del rischio assicurato – Nullità – Rilevabilità d’ufficio – Condizioni e limiti. F Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5952, Leone c. Ina Assitalia Spa Le Assicurazioni D’Italia Spa, m., pag. 753 Fondo di garanzia per le vittime della strada – Impresa designata – Partecipazione al giudizio nella duplice veste di assicuratrice del responsabile e di impresa designata – Ammissibilità – Fondamento. F Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2014, n. 8136, Fondiaria Sai Spa c. Di Nardo ed altri, m., pag. 753 Mancato pagamento della seconda rata di premio alla scadenza del termine – Sospensione dell’assicurazione opponibile anche ai terzi – Accettazione del pagamento tardivo da parte dell’assicuratore – Limiti. F Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5944, Mosca ed altro c. Fondiaria SAI S.p.a. ed altro, pag. 729 Risarcimento danni – Azione diretta nei confronti dell’assicuratore – Danneggiante contumace in primo grado – Impugnazione della sentenza che afferma la sua responsabilità ed esclude quella dell’assicuratore – Ammissibilità. F Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2014, n. 3621, Carpitella c. Comp. Milano Assic. Divisione Nuova Maa ed altri, m., pag. 753 Risarcimento danni – Azione diretta nei confronti dell’assicuratore – Litisconsorzio del proprietario del veicolo – Necessità. F Cass. civ., sez. VI, ord. 23 aprile 2014, n. 9112, Possenti Castelli Tiberi c. Carige Assicurazioni S.p.a., pag. 727 Risarcimento danni – Azione diretta nei confronti dell’assicuratore – Rivalsa dell’assicuratore verso l’assicurato – Giudizio di rivalsa promosso dall’assicuratore ai sensi dell’art. 18 L.n. 990/1969 – Esistenza e validità della clausola di rivalsa – Onere della prova – Riparto tra assicurato ed assicuratore. F Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5952, Leone c. Ina Assitalia Spa Le Assicurazioni D’Italia Spa, m., pag. 753 Risarcimento danni – Preventiva richiesta di risarcimento ex art. 22 L. n. 990/1969 – Destinatari – Assicuratore – Sussistenza – Responsabile civile – Esclusione – Fondamento. F Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2014, n. 2827, Parente c. Berriola, m., pag. 753 Risarcimento danni – Risarcimento diretto – Azione nei confronti del responsabile del danno e del suo assicuratore – Possibilità – Intervento volontario dell’assicuratore del danneggiato – Ammissibilità – Sussistenza. F Trib. civ. Palermo, sez. dist. Bagheria,18 giugno 2012, n. 176, Unipol Ass.ni Spa c. Romano ed altri, pag. 745 Risarcimento danni – Risarcimento diretto – Azione ordinaria nei confronti del responsabile del danno e del suo assicuratore – Possibilità – Intervento volontario dell’assicuratore del danneggiato – Ammissibilità – Sussistenza. F Trib. civ. Termini Imerese, 4 dicembre 2013, n. 1334, Unipol Ass.ni Spa c. Esposito ed altro, pag. 745 Risarcimento danni – Utilizzatore del veicolo in leasing – Responsabile in solido con il conducente – Sussistenza. F Cass. civ., sez. III, 27 giugno 2014, n. 14635, Fincom Spa in liq. c. F.F. ed altri, pag. 691 Carico Tolleranza – Trasporto eccezionale – Margine di tolleranza del due per cento ex art. 10, comma 24, c. s. – Applicazione – Condizioni. F Cass. civ., sez. II, 23 maggio 2014, n. 11537, Di Quinzio ed altro c. Prefettura Pescara, pag. 712 Circostanze del reato Attenuanti – Provocazione – Assoluta sproporzione tra il fatto ingiusto altrui e il reato commesso – Nesso causale tra fatto ingiusto ed ira – Esclusione – Fattispecie in tema di irregolare ed imprudente manovra di guida della persona offesa e reazione sproporzionata dell’imputato che mostrando un coltello impediva alla vittima di proseguire la marcia. F Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2014, n. 604 (ud. 14 novembre 2013), D’Ambrogi, m., pag. 753 Depenalizzazione Accertamento delle violazioni amministrative – Contestazione – Verbale – Impugnazione – Violazioni del Codice della strada – Violazioni che non ammettono il pagamento in misura ridotta – Mancata impugnazione del verbale – Conseguenze. F Cass. civ., sez. VI, ord. 21 maggio 2014, n. 11288, Uff. Terr. Gov. Prefettura Matera c. Favale, pag. 714 Ordinanza-ingiunzione – Emissione – Sottoscrizione – Violazioni del Codice della strada – Sostituzione della sottoscrizione autografa con una mera indicazione a stampa ai sensi dell’art. 3, comma 2, D.L.vo n. 39/93 – Nullità. F Giud. pace civ. Torino, sez. III, 25 maggio 2014, n. 3008, Bergamasco c. Prefetto di Torino, pag. 750 Ordinanza-ingiunzione – Opposizione – Competenza – Giudice ordinario – Fattispecie in tema di opposizioni ad ordinanze-ingiunzioni applicative di sanzioni per violazioni del Codice della strada. F Cass. civ., sez. un., 17 aprile 2014, n. 8928, Etr Esazione Tributi Spa c. Petronelli, m., pag. 754 Espropriazione per pubblico interesse (o utilità) Occupazione temporanea e d’urgenza – Risarcimento del danno – Liquidazione del danno da occupazione appropriativa – Terreni agricoli – Quantificazione – Art. 3, comma 65, L. n. 662/1996 – Utilizzabilità – Esclusione – Criterio della piena reintegrazione patrimoniale commisurata al prezzo di mercato – Applicabilità – Utilizzo ulteriore a quello agricolo – Oneri probatori del danneggiato – Fattispecie in tema di terreno non edificabile finalizzato alla realizzazione di parcheggi da parte della P.A. F Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2014, n. 6296, Com. Acquaviva Picena c. Rossi ed altri, m., pag. 754 Procedimento – Liquidazione dell’indennità – Determinazione – Indennità di esproprio – Copertura di un edificio destinata a parcheggio – Considerazione aggiuntiva rispetto al valore delle residue potenzialità edificatorie dell’area di sedime – Esclusione – Fondamento. F Cass. civ., sez. I, 14 marzo 2014, n. 6036, Guardincerri ed altro c. Scarpenti ed altri, m., pag. 754 Giurisdizione civile Giurisdizione ordinaria o amministrativa – Giurisdizione del giudice ordinario – Fermo amministrativo del veicolo ex art. 86 D.P.R. n. 602/1973 – Preavviso di fermo – Controversia relativa ad opposizione avverso fermo amministrativo di veicolo – Appartenenza al giudice tributario – Limiti. F Cass. civ., sez. un, 5 maggio 2014, n. 9568, Di Febo c. Equitalia Pragma S.p.A. ed altri, pag. 724 Guida in stato di ebbrezza Accertamento – Modalità – Alcooltest – Natura – Diritto del difensore di essere previamente avvisato dalla polizia giudiziaria – Sussistenza – Esclusione. F Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 7967 (ud. 6 dicembre 2013), Zanutto, m., pag. 754 Accertamento – Modalità – Consumazione di bevande alcoliche – Inalazione di fumi di alcol – Sinergia delle due forme di assunzione di alcol – Reato di guida in stato di ebbrezza – Configurabilità – Sussistenza – Fattispecie in tema di assunzione di bevande alcoliche da parte di soggetto giornalmente sottoposto ai fumi alcolici in ragione della professione di enologo. F Cass. pen., sez. IV, 17 gennaio 2014, n. 1882 (ud. 24 ottobre 2013), Veglio, m., pag. 754 Accertamento – Modalità – Prelievo ematico – Mancanza del consenso – Irrilevanza. F Cass. pen., sez. IV, 15 gennaio 2014, n. 1522 (ud. 10 dicembre 2013), Lo Faro, m., pag. 754 Accertamento – Modalità – Tasso alcoolemico – Superamento delle soglie di punibilità – Valori centesimali – Rilevanza. F Cass. pen., sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 5611 (ud. 16 ottobre 2013), Ferrari, m., pag. 755 indice sommario II Applicazione del lavoro di pubblica utilità – Disciplina prevista dall’art. 186, comma nono bis, c.d.s. – Deroga alla durata edittale del lavoro di pubblica utilità ex art. 54, comma secondo, D.L.vo n. 274/2000 – Sussistenza – Deroga al criterio di computo della pena sostitutiva ex art. 54, comma quinto, D.L.vo n. 274/2000 – Ammissibilità – Esclusione. F Cass. pen., sez. I, 2 gennaio 2014, n. 64 (c.c. 17 ottobre 2013), P.m. in proc. Piccone, m., pag. 755 Circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale – Sostituzione pena con il lavoro di pubblica utilità – Divieto – Coinvolgimento nel sinistro – Equiparazione – Esclusione. F Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 7969 (ud. 6 dicembre 2013), Ferrari, m., pag. 755 Conversione della pena detentiva in quella pecuniaria – Sostituzione di detta pena con quella del lavoro di pubblica utilità – Ammissibilità. F Cass. pen., sez. IV, 2 gennaio 2013, n. 71 (c.c. 14 novembre 2012), P.G. in proc. Mancini, m., pag. 755 Patteggiamento – Conversione della pena detentiva in quella pecuniaria – Sostituzione di detta pena con quella del lavoro di pubblica utilità – Legittimità – Esclusione. F Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 8005 (c.c. 15 novembre 2013), Verdelli, m., pag. 755 Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo – Annullamento con rinvio al giudice limitatamente a tale aspetto. F Cass. pen., sez. IV, n. 15510 (c.c. 4 dicembre 2013), P.G. in proc. Fabrizi, pag. 723 Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo – Annullamento senza rinvio con contestuale disposizione della confisca. F Cass. pen., sez. IV, n. 18442 (ud. 5 dicembre 2013), P.G. in proc. Scarchini, pag. 723 Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo – Annullamento senza rinvio con contestuale disposizione della confisca. F Cass. pen., sez. IV, 5 maggio 2014, n. 18442 (ud. 5 dicembre 2013), P.G. in proc. Scarchini, m., pag. 755 Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo – Conseguenze – Annullamento con rinvio – Necessità. F Cass. pen., sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 2385 (c.c. 6 dicembre 2013), P.G. in proc. Caramuta, m., pag. 755 Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo – Conseguenze – Annullamento senza rinvio con contestuale applicazione della confisca. F Cass. pen., sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 2379 (c.c. 6 dicembre 2013), P.G. in proc. Lombardi, m., pag. 755 Lavoro subordinato Estinzione del rapporto (recesso e risoluzione) – Licenziamento per giusta causa – Condizioni – Onere della prova – Fattispecie in tema di licenziamento di lavoratore con mansioni di autista risultato consumatore di sostanze stupefacenti. F Cass. civ., sez. lav, 26 maggio 2014, n. 11715, Ama Azienda Municipale Ambiente c. Grassi, pag. 702 Lesioni personali Volontarie – Elemento soggettivo – Dolo eventuale – Sufficienza – Fattispecie in materia di investimento di un poliziotto da parte dell’agente, intenzionato a forzare il posto di blocco con il proprio ciclomotore. F Cass. pen., sez. VI, 17 febbraio 2014, n. 7389 (ud. 24 gennaio 2014), Bertocco, pag. 731 Obbligazioni in genere Cessione dei crediti – Risarcimento del danno non patrimoniale – Danno biologico e morale conseguente a sinistro stradale – Credito relativo – Cessione – Ammisibilità. F Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22601, Orlandi c. Tossani ed altri, pag. 733 Patente Revoca e sospensione – Revoca – Provvedimento del prefetto in seguito a sottoposizione del titolare alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza – Natura di sanzione amministrativa accessoria – Esclusione – Constatazione dell’insussistenza dei requisiti morali per il conseguimento del titolo alla guida – Sussistenza – Conseguenze – Giudizio di opposizione – Competenza del tribunale ai sensi dell’art. 9 c.p.c. – Fondamento. F Cass. civ., sez. un, 14 maggio 2014, n. 10406, Deriu c. Prefettura Nuoro, pag. 717 Revoca e sospensione – Revoca – Sanzione amministrativa accessoria – Patteggiamento – Applicabilità di diritto – Configurabilità. F Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 8022 (c.c. 28 gennaio 2014), P.G. in proc. Giannella, pag. 730 Pedoni Investimento pedonale – Comportamento colposo del pedone – Sufficienza ad escludere la colpa dell’automobilista – Esclusione – Riferimento alle circostanze di tempo e di luogo – Necessità. F Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2014, n. 3964, Bonomi ed altro c. Di Marco ed altri, m., pag. 755 Precedenza Incroci stradali – Rotatorie – Regole sulla precedenza – Fattispecie in tema di ingresso e/o abbandono della rotatoria. F Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2014, n. 5511, Idraulica Pennesi Di Pennesi Vittorio c. Taffetani ed altro, m., pag. 755 Prova civile Confessione – Giudiziale – Confessione giudiziale resa dal responsabile del danno non proprietario del veicolo – Valore di prova legale nei confronti del solo confitente – Sussistenza. F Cass. civ., sez. VI, 19 febbraio 2014, n. 3875, Frau c. Groupama Assicurazioni Spa ed altro, m., pag. 756 Reato Elemento soggettivo (psicologico) – Colpa – Colpa cosciente – Prevedibilità dell’evento dannoso – Sufficienza – Esclusione – Prova dell’effettiva prevedibilità dell’accadimento dell’evento futuro – Necessità – Fattispecie in tema duplice omicidio colposo derivante da sinistro stradale. F Cass. pen., sez. IV, 11 giugno 2014, n. 24612 (ud. 10 aprile 2014), Izzo, pag. 696 Responsabilità civile Amministrazione pubblica – Opere pubbliche – Strade – Caduta di un pedone determinata da andatura sostenuta tenuta per sfuggire a cani randagi e da irregolarità del marciapiede – Onere della prova della pericolosità dei cani in capo al pedone – Sussistenza – Conseguenze – Responsabilità del comune per il marciapiede e della asl per i cani – Esclusione. F Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2014, n. 3965, Oliviero c. Comune di Torre Del Greco ed altri, m., pag. 756 Amministrazione pubblica – Opere pubbliche – Strade – Obbligo di segnaletica – Rapporto causale fra l’inidoneità della segnaletica e un sinistro stradale – Strada extraurbana – Appli- cazione dell’art. 2051 c.c. – Sussistenza. F Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2014, n. 13364, G. c. Comune di Sant’Elpidio a Mare ed altro, pag. 694 Animali – Danni cagionati ai veicoli in circolazione dalla fauna selvatica – Risarcibilità da parte della P.A. ex art. 2052 c. c. – Esclusione – Fattispecie in tema di risarcimento danni cagionati a vettura da collisione con un cinghiale. F Cass. civ., sez. I, 24 aprile 2014, n. 9276, Lancia ed altro c. Regione Abruzzo, pag. 726 Genitori e tutori – Minori di età – Responsabilità dei genitori – Precoce emancipazione di minori – Prova liberatoria – Insegnamenti ai minori, pur se particolarmente giovani, adeguati ad affrontare autonomamente e in maniera corretta la vita di relazione – Necessità – Fattispecie in tema di sedicenne che, attraversando la strada con il semaforo rosso, aveva provocato un sinistro stradale. F Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2014, n. 3964, Bonomi ed altro c. Di Marco ed altri, m., pag. 756 Responsabilità da sinistri stradali Presunzione di colpa nel caso di scontro tra veicoli – Tamponamento – Prova liberatoria – Necessità. F Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2014, n. 6193, Viviani c. Aig Europe Sa ed altri, m., pag. 756 Presunzione di colpa nel caso di scontro tra veicoli – Persone trasportate – Prova liberatoria. F Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2014, n. 11270, Del Prete c. Milano Assic.ni S.p.a. ed altri, pag. 715 Riciclaggio Elemento oggettivo – Soggetto sorpreso a smontare un’auto rubata – Riciclaggio consumato – Configurabilità – Ragioni. F Cass. pen., sez. II, 4 febbraio 2014, n. 5505 (ud. 22 ottobre 2013), Lumicisi, m., pag. 756 Risarcimento del danno Concorso del fatto colposo del creditore o del danneggiato – Consapevole esposizione a rischio del danneggiato – Concorso di colpa per i danni subiti – Configurabilità – Fondamento – Fattispecie in tema di concorso di colpa del danneggiato per aver partecipato come passeggero ad una gara automobilistica clandestina. F Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2014, n. 11698, Tomassi c. Ina Assitalia S.p.a. ed altri, pag. 706 Danno biologico – Danno alla salute – Danno morale – Liquidazione cosiddetta tabellare – Legittimità – Criteri. F Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2014, n. 5243, Pitissi ed altro c. Nuova Tirrena Assicurazioni Riassicurazioni Capitalizzazioni ed altro, m., pag. 756 Danno biologico – Liquidazione – Tabelle del Tribunale di Milano – Omnicomprensività di tutte le componenti – Mancata applicazione – Non conoscibilità della provenienza della tabella applicata né del suo criterio costruttivo – Incongruità della motivazione. F Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2014, n. 5243, Pitissi ed altro c. Nuova Tirrena Assicurazioni Riassicurazioni Capitalizzazioni ed altro, m., pag. 756 Danno non patrimoniale – Danno morale – Danno da stress e/o da usura psicofisica – Risarcibilità – Condizioni – Onere di allegazione e prova – Necessità – Fattispecie in tema di mancata fruizione da parte del lavoratore delle pause obbligatorie nella guida di automezzi destinati al trasporto pubblico su tratte urbane ed extraurbane. F Cass. civ., sez. lav., 10 febbraio 2014, n. 2886, Picale c. Sepsa Spa, m., pag. 757 indice sommario Segnaletica stradale Segnale di limitazione della velocità – Ripetizione dopo l’intersezione – Necessità – Fondamento – Omissione – Conseguenze. F Cass. civ., sez. VI, ord. 20 maggio 2014, n. 11018, Genovese c. Comune di Portigliola ed altri, pag. 716 Sentenza civile Motivazione – Riferimento in sentenza alle conclusioni raggiunte dal consulente – Assenza di ulteriori specificazioni – Vizio della sentenza – Motivazione meramente apparente – Sussistenza – Fattispecie in tema di liquidazione del “danno biologico permanente”. F Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2014, n. 4448, Lanna ed altro c. Ina Assitalia Spa ed altri, m., pag. 757 Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a pignoramento o a sequestro Veicolo sottoposto a sequestro amministrativo – Mancata consegna da parte dell’imputato-proprietario a cui era stato dato in custodia – Configurabilità del reato – Sussistenza. F Cass. pen., sez. VI, 2 gennaio 2014, n. 1 (ud. 18 settembre 2013), P.M. in proc. Siligato, m., pag. 757 Spese giudiziali civili Liquidazione – Limite sancito dal quarto comma dell’art. 91 c.p.c. – Ambito di applicazione – Giudizi di opposizione per violazioni del Codice della strada – Esclusione – Fondamento. F Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2014, n. 9556, Mancini c. Roma Capitale, m., pag. 757 Strade Autostrade – Distanza di rispetto – “Piattaforma” da cui si calcola la fascia di rispetto – Area di servizio carburante – Inclusione – Fondamento. F Cass. civ., sez. II, 7 maggio 2014, n. 9889, Agnesi ed altro c. Autostrade Concessioni Costr. Autostrade, pag. 720 Tributi degli enti pubblici locali Affissioni pubbliche e pubblicità – Disciplina della pubblicità – Oggetto – Segnali stradali di avvio a fabbriche e stabilimenti – Imposta sulla pubblicità – Assoggettabilità. F Cass. civ., sez. VI, 11 aprile 2014, n. 8616, Aipa Spa c. Pulex Srl, m., pag. 757 Veicoli Limitatore di velocità – Manomissione dei sigilli – Raddoppio di sanzione ex art. 179, comma 2 bis, c.s. – Fondamento. F Cass. civ., sez. VI, 10 marzo 2014, n. 5520, De Felice c. Ministero Interno ed altro, m., pag. 757 Tassa di circolazione – Ingiunzione di pagamento – Redazione del verbale di accertamento ex art. 2 L. n. 27/1978 e notifica dello stesso – Necessità – Esclusione. F Cass. civ., sez. V, 11 giugno 2014, n. 13147, Min. Economia e Finanze c. International Car S.r.l., pag. 701 Tassa di circolazione – Riscossione – Termine di prescrizione triennale – Disciplina ex art. 3 del D.L. n. 2/1986 – Applicabilità – Decorrenza – Individuazione del “dies a quo”. F Cass. civ., sez. V, 9 maggio 2014, n. 10067, Regione Lazio c. Marinucci ed altra, pag. 719 Velocità Limiti fissi – Apparecchi rilevatori – Art. 4 del D.L. n. 121/2002, convertito, con modif., nella L. n. 168/2002 – Strada inclusa nell’elenco predisposto dal Prefetto – Strada non appartenente alla categoria delle “strade urbane di scorrimento”, ovvero delle “strade extraurbane secondarie” – Contestazione a distanza – Illegittimità. F Giud. pace civ. Chieri, 24 marzo 2014, n. 98, Agostinis c. Uff. Terr. Gov. Prefettura Provincia di Torino, pag. 751 Limiti fissi – Apparecchi rilevatori – Autovelox – Natura fissa o mobile della postazione di controllo – Attestazione nel verbale di accertamento – Necessità – Fondamento. F Cass. civ., sez. VI, 14 marzo 2014, n. 5997, Ricci Luppis c. Prefettura Pordenone, m., pag. 757 Legislazione e documentazione D.M. (Min. svil. econ.) 20 giugno 2014. Aggiornamento annuale degli importi per il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, anno 2014, pag. 759 Circ. (Min. trasp.) 23 giugno 2014, Prot. n. 13753. Richieste di aggiornamento della carta di circolazione a seguito dell’installazione sugli autoveicoli di sistemi idonei alla riduzione della massa di particolato emesso da motori ad accensione spontanea. Elenco dei costruttori dotati di sistemi omologati, pag. 765 D.L. 24 giugno 2014, n. 90. Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziariconvertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 114, pag. 759 D.L. 24 giugno 2014, n. 91. Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonchè per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europeaconvertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 116, pag. 760 Dir. (UE) 1° luglio 2014, n. 85. Modifica della direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la patente di guida, pag. 760 Circ. (Min. trasp.) 10 luglio 2014, Prot. n. 15513. Art. 94, comma 4-bis, c.d.s. e art. 247-bis, D.P.R. n. 495/1992 - Nuove disposizioni in materia di variazione della denominazione o delle generalità dell’intestatario della carta di circolazione e di intestazione temporanea di veicoli, pag. 765 Provv. (IVASS) 5 agosto 2014, n. 18. Criterio per il calcolo dei valori dei costi e delle eventuali franchigie sulla base dei quali vengono definite le compensazioni tra imprese di assicurazione nell’ambito della procedura di risarcimento diretto disciplinato dall’art. 150 del decreto legislativo n. 209 del 2005, in attuazione dell’articolo 29 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», convertito con legge 24 marzo 2012, n. 27, pag. 760 III Dottrina Sinistro causato da veicolo non identificato di Edgardo Colombini (*) Ben sappiamo come in questi ultimi anni sia aumentato in misura impressionante il numero dei sinistri della circolazione stradale in cui l’autore del fatto si dà alla fuga cercando di far perdere le proprie tracce. Sappiamo anche che non sempre - nonostante accurate indagini di Polizia e Carabinieri - vengono individuati i responsabili di questi incidenti con la conseguenza che i danneggiati dovrebbero restare senza alcun risarcimento. A tale evenienza, come notorio, ha posto rimedio la L. 24 dicembre 1969, n. 990 che introduceva in Italia l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore. Stabiliva infatti l’art. 19 che “ È costituito presso l’Istituto nazionale delle assicurazioni un Fondo di garanzia per le vittime della strada per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti per i quali a norma della presente legge vi è obbligo di assicurazione nei casi in cui: a) il sinistro sia stato cagionato da veicolo o natante non identificato”. Il risarcimento veniva peraltro limitato ai soli danni alla persona. Tanto senza comunque nulla modificare in materia di onere probatorio in capo al danneggiato pur sempre tenuto a provare che il sinistro si è verificato per la condotta dolosa o colposa del guidatore del veicolo investitore o che comunque ha determinato l’evento dannoso. Scriveva infatti la Corte Suprema (Cass. civ., sez. III, 25 luglio 1995, n. 8086, in “Il Codice delle assicurazioni” - Celt, sesta edizione, pag. 1000) che “in tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti il danneggiato che promuove azione di risarcimento dei danni nei confronti del Fondo di garanzia per le vittime della strada, nei casi previsti dall’art. 19 primo comma lettera a) della L. 24 dicembre 1969, n. 990, deve provare che il sinistro si è verificato per la condotta dolosa o colposa del conducente dell’altro veicolo non identificato poiché la garanzia assicurativa predisposta dalla citata L. 990 del 1969 in favore dei soggetti danneggiati ini sinistro provocato da veicolo non identificato vuole solo rafforzare la tutela sanzionatoria della responsabilità civile e non assicurare comunque un risarcimento al danneggiato, come negli ordinamenti stranieri ispirati al sistema del c.d. nofault”. Orientamento già prospettato in una decisione di poco precedente (Cass. civ., sez. IIII, 21 marzo 1995, n. 3237, ibid. pag. 1000) ove era dato di leggere che “la normativa di cui all’art. 19 della L. 24 dicembre 1969, n. 990 istitutivo del Fondo di garanzia per le vittime della strada si collega a quella codicistica concernente la responsabilità aquiliana lasciandola immutata anche per quanto attiene alla prova di detta responsabilità. Pertanto, nel caso di danni cagionati da veicolo rimasto sconosciuto, l’obbligo di risarcimento a carico del Fondo anzidetto può essere affermato anche in base alle presunzioni di cui all’art. 2054 c.c. con la conseguenza che in tale ipotesi l’obbligo non si estende anche al risarcimento dei danni non patrimoniali, la cui risarcibilità, postulando la qualificazione del fatto illecito come reato, va esclusa qualora la responsabilità del conducente sia stata ritenuta non in base alla dimostrazione di una condotta colposa ma alla stregua della presunzione di cui al primo comma dell’art. 2054 c.c.”. Invero “L’istituto del Fondo di garanzia per le vittime della strada, di cui all’art. 19 della L. 24 dicembre 1969, n. 990 e la relativa disciplina di risarcimento di cui all’art. 21 della stessa legge, pur essendo dettati da motivi di solidarietà, si ispirano tuttavia ai principi fondamentali della responsabilità aquiliana, sicché l’obbligazione che scaturisce a carico di tale Fondo, nel caso di atto illecito imputabile ad un veicolo non identificato, ha natura risarcitoria del danno e non è sottoposta ad altre limitazioni, se non quelle espressamente previste dalla legge. Ne consegue che ai fini della risarcibilità dei danni morali in favore dei parenti della vittima non può trovare considerazione la loro vivenza a carico o non della vittima, rilevando tale condizione ai diversi fini previsti dal citato art. 21” (Cass. civ., sez. III, 27 giugno 1990, n. 6532, ibid. pag. 1004). La normativa dianzi ricordata è poi traslata nell’art. 283 del Codice delle assicurazioni portando con sé le medesime questioni di un tempo, che ancora si leggevano in una decisione della Corte Suprema (sez. III, 13 luglio 2011, n. 15367, in questa Rivista 2012, pag. 28). “Il danneggiato, il quale promuova richiesta di risarcimento nei confronti del Fondo di garanzia per le vittime della strada, sul presupposto che il sinistro sia stato cagionato da veicolo o natante non identificato (L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19 comma 1, lett. a) ha l’onere di provare sia che il sinistro si è verificato per condotta dolosa o colpa del conducente di un altro veicolo, sia che questo è rimasto sconosciuto”. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 681 dott Dottrina Affermazione di principio che, maggiormente articolata, si trovava nella sentenza n. 18532 del 3 settembre 2007 della medesima Sezione della Corte di cassazione (in questa Rivista 2008, pag. 318) là dove si scriveva che la decisione della Cassazione n. 8086/1995 - per quanto ancora riferentesi essa pure alla previgente L. 990 del 24 dicembre 1969 - “in fattispecie nella quale era dubbia la effettiva causa del sinistro per non essere stati offerti elementi affidabili sulla dinamica dello stesso, chiarisce che l’art. 19 comma 1 lettera a) della L. 24 dicembre 1969, n. 990 non intende assicurare un sistema di tutela a prescindere dalla colpa del danneggiante, come accade in ordinamenti ispirati al sistema del cosiddetto nofault, e in tale contesto argomentativo afferma che il danneggiato che agisca per il risarcimento nei confronti del Fondo di garanzia (ora Consap) deve provare che il sinistro si è verificato per fatto doloso o colposo del conducente del veicolo rimasto sconosciuto: ma con ciò intendendo non già che l’art. 2054 c.c. subisce deroghe di sorta, bensì che occorre anzitutto la prova del nesso causale tra circolazione del veicolo non identificato e danno e, in secondo luogo, che tale fatto sia connotato da dolo o colpa del conducente (secondo il generale paradigma di cui all’art. 2043 c.c.), senza peraltro incidere sulla presunzione di colpa di cui all’art. 2054 c.c. a carico del conducente (o, pariteticamente, di ciascuno dei veicoli venuti a collisione) una volta che sia acquisito che il danno è eziologicamente dovuto al fatto del conducente del veicolo non identificato”. Se ritorniamo ora all’impressionante numero (sempre in aumento) dei casi di guidatori di veicoli che si danno alla fuga dopo aver causato un sinistro - molto spesso di particolare gravità - non possiamo fare a meno di domandarci quali siano le motivazioni di cosiffatto incivile comportamento. Si tratta molto spesso di guidatori in stato di ebbrezza o sotto l’influenza di sostanze stupefacenti che tentano di sfuggire alle relative sanzioni che li preoccupano ben di più di quelle conseguenti alle lesioni o all’omicidio causato. Oppure l’autore di simile riprovevole comportamento non è assicurato e preferisce eclissarsi per evitare le specifiche conseguenze sanzionatorie al riguardo. Non manca poi chi sa di aver violato platealmente alcune norme del codice della strada e prevede sanzioni anche in relazione alla propria patente di guida (punti scalati, sospensione, ritiro). Ma fra le tante istanze risarcitorie presentate alla compagnia di assicurazione designata dall’Isvap secondo quanto previsto dal Ministero delle attività produttive, a seconda della competenza territoriale, non possono ovviamente mancare operazioni truffaldine. Ed è proprio in relazione a queste ultime che ci sembrano opportuni alcuni adeguamenti operativi per smascherarne gli autori evitando indebiti pagamenti. 682 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Per renderci conto di quale sia l’attuale orientamento in proposito da parte della giurisprudenza ci pare sia possibile richiamarci alla sentenza della sez. III della Corte di Cassazione del 18 giugno 2012, n. 9939 (in questa Rivista 2012, pag. 871) ove si legge che “questa Corte (Cass. 3 settembre 2007, n. 18532; Cass. 24 febbraio 2011, n. 4480) ha già statuito che in caso di azione proposta per il risarcimento dei danni, ai sensi della legge n. 990 del 1969, art. 19 nei confronti dell’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, la prova che il danneggiato è tenuto a fornire che il danno sia stato effettivamente causato da veicolo non identificato, può essere offerta mediante la denuncia o querela presentata contro ignoti alle competenti autorità, ma senza automatismi; sicché il giudice di merito può sia escludere la riconducibilità della fattispecie concreta a quella del danno cagionato da veicolo non identificato, pur in presenza di tale denuncia o querela, sia affermarla, in mancanza della stessa”. Si ritiene infatti per la Cassazione che “l’omessa o incompleta denuncia all’autorità non è idonea, in sé, ad escludere che il danno sia stato effettivamente causato da veicolo non identificato, così come l’intervenuta denuncia o querela contro ignoti non vale, in sé stessa, a dimostrare che tanto sia senz’altro accaduto. Entrambe le evenienze vanno invece apprezzate in relazione alle caratteristiche delle singole fattispecie, non suscettibili di tipizzazioni astratte, e considerate potenzialmente idonee a suffragare l’uno o l’altra conclusione del Giudice di merito nell’ambito della ragionevole valutazione complessiva delle risultanze processuali demandata al suo prudente apprezzamento, del quale è tenuto a dare conto nella motivazione della sentenza. A nessuna delle due (denuncia/ omessa denuncia) è peraltro consentito assegnare, salva la possibile valenza sintomatica dell’una o dell’atra in relazione alle caratteristiche del caso concreto, una sorta di efficacia probatoria automatica, nel senso che il sinistro sia senz’altro riconducibile alla fattispecie astratta di cui alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19 comma 1, lett. a), se denuncia vi sia stata, ovvero che certamente non lo sia se la denuncia sia mancata”. Sentenza, questa, che ricalca quanto già scritto dalla stessa Corte il 3 settembre 2007 (sez. III n. 18532, in questa Rivista 2008, pag. 319) e cioé che “l’omessa denuncia all’autorità non è idonea, in sé, ad escludere che il danno sia stato effettivamente causato da veicolo non identificato, così come l’intervenuta denuncia o querela contro ignoti non vale, in sé stessa, a dimostrare che tanto sia senz’altro accaduto. Entrambe le evenienze vanno invece apprezzate in relazione alle caratteristiche delle singole fattispecie, non suscettibili di tipizzazioni astratte, e considerate potenzialmente idonee a suffragare l’una o l’altra conclusione del giudice di merito nell’ambito della ragionevole valutazione complessiva delle risultanze processuali demandata al suo prudente apprezzamento, dal quale è tenuto a dare conto nella motivazione della sen- dott Dottrina tenza. A nessuna delle due (denuncia/omessa denuncia) è peraltro consentito assegnare, salva la possibile valenza sintomatica dell’una o dell’altra in relazione alle caratteristiche del caso concreto, una sorta di efficacia probatoria automatica, nel senso che il sinistro sia senz’altro riconducibile alla fattispecie astratta di cui all’art. 19, comma 1, lett. a) della L. 24 dicembre 1969, n. 990 se denuncia vi sia stata, ovvero che certamente non lo sia se la denuncia sia mancata”. Il tutto da collegarsi al principio secondo il quale “l’art. 116 c.p.c. sancisce la fine del sistema fondato sulla predeterminazione legale dell’efficacia della prova e consacra il principio del libero convincimento del giudice, per cui lo stesso deve valutare globalmente le risultanze processuali secondo il suo prudente apprezzamento, dando conto degli elementi sui quali abbia inteso fondare il proprio convincimento”. (ibid. pag. 319). Orientamento che, in buona sostanza, rappresenta il presupposto logico su cui si sono basate le decisioni in precedenza citate, così come è stato anche per la sentenza della Sezione Lavoro della Corte Suprema (n. 14472 del 7 novembre 2000 (in Arch. civ. 2001, pag. 1010) ove si affermava che “il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso”. Motivazione che era dato di leggere anche nella decisione della sez. III della Cassazione del 1° agosto 2001, n. 10484 (in Arch. civ. 2002, pag. 740) secondo la quale “la ricostruzione degli elementi probatori e la relativa valutazione rientrano nei compiti istituzionali del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove e risultanze che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti al giudizio, considerati nel loro complesso”. Spiegazione che ritroviamo anche in epoca più recente, come, ad esempio, nella sentenza 20066 del 2 settembre 2013 della sez. III della Corte di Cassazione (in questa Rivista 2014, pag. 24). Scrivono, infatti, i giudici della Suprema Corte che “l’omessa denuncia alla autorità non è idonea, in sè, ad escludere che il danno sia stato effettivamente causato da veicolo non identificato, così come l’intervenuta denuncia o querela contro ignoti non vale, in sé stessa, a dimostrare che tanto sia senz’altro accaduto. Entrambe le evenienze vanno invece apprezzate in relazione alle caratteristiche delle singole fattispecie, non suscettibili di tipizzazioni astratte, considerate potenzialmente idonee a suffragare l’una o l’altra conclusione del giudice di merito nell’ambito della ragionevole valutazione complessiva delle risultanze processuali demandate al suo prudente apprezzamento, del quale è tenuto a dar conto nella motivazione della sentenza. A nessuna delle due (denuncia/omessa denuncia) è peraltro consentito assegnare, salva la possibile valenza sintomatica dell’una o dell’altra in relazione alle caratteristiche del caso concreto, una sorta di efficacia probatoria automatica, nel senso che il sinistro sia senz’altro riconducibile alla fattispecie astratta di cui all’art. 19, comma 1, lettera a) della L. 24 dicembre 1969, n. 990 se denuncia vi sia stata, ovvero che certamente non lo sia se la denuncia sia mancata”. Ma - una volta esclusa una valenza probatoria determinante alla presentata denuncia o querela contro ignoti come al suo opposto - ci si trova di fronte a deposizioni testimoniali che possono apparire più o meno attendibili. Deve allora il giudice di merito basarsi su cosiffatte testimonianze che possono lasciare più o meno perplessi? Giustamente la Corte (ibid. pag. 24) precisa che “è il caso di chiarire che non si intende vincolare in alcun modo il giudice del merito a deposizioni testimoniali che ritenga inattendibili né precludergli di attribuire determinante rilievo anche alla omessa denuncia di quanto dichiarato dalla vittima subito dopo i fatti, o alla mancata immediata indicazione di testi che abbiano assistito all’evento ed a tutto quanto possa apparire sintomatico dell’inveridicità dell’assunto attoreo. Ma non è consentito fondare sostanzialmente la decisione sulla valenza astratta della omessa denuncia o querela addirittura omettendo di escutere i testi indicati, quasi che la fattispecie sia aprioristicamente connotata da intenti fraudolenti”. Come si può rilevare, il contrasto denuncia/omessa denuncia tiene banco in tutte queste situazioni lasciando aperta la porta a conclusioni differenziate da parte dei giudici di merito con conseguenti periodici interventi della Corte di cassazione con le motivazioni che abbiamo sin qui visto. Motivazioni che si basano su considerazioni apprezzabili in una situazione di normalità. Ma è normalità quella in cui ci troviamo? Sinistri inventati e costruiti da bande di truffatori ben organizzate. Troppi intrighi, troppo bidonismo al punto che il nostro legislatore - nell’intento di frapporre ostacoli a questa attività criminosa creando al contempo idonei strumenti di difesa contro il dilagare di cosiffatti comportamenti scorretti e truffaldini - ha ritenuto opportuno, con il D.L. 23 dicembre 2013, n. 145 (interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia” per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC Auto), all’art. 8 c), stabilire che all’art. 136 del Decreto Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 683 dott Dottrina Legislativo 7 settembre 2005, n. 209 “dopo il comma 3 sono aggiunti i seguenti: 3 bis - L’identificazione di eventuali testimoni sul luogo di accadimento dell’incidente deve risultare dalla denuncia di sinistro prevista dall’art. 143, nonché dalla richiesta di risarcimento presentata alla impresa di assicurazione ai sensi degli artt. 148 e 149. Fatte salve le risultanze contenute in verbali delle autorità di polizia intervenute sul luogo dell’incidente, l’identificazione dei testimoni avvenuta in un momento successivo comporta l’inammissibilità della prova testimoniale addotta. 3 ter. In caso di giudizio, il giudice, sulla base della documentazione prodotta, non ammette le testimonianze che non risultino acquisite secondo le modalità previste dal comma 3 bis. Il giudice dispone l’audizione dei testimoni che non sono stati indicati nel rispetto del comma 3 bis nei soli casi in cui risulti comprovata l’oggettiva impossibilità della loro tempestiva identificazione. 3 quater. Nei processi attivati per l’accertamento della responsabilità e la quantificazione dei danni, il giudice verifica la eventuale ricorrenza dei medesimi testimoni già chiamati in altre cause nel settore dell’infortunistica stradale e, ove riscontri, anche avvalendosi dell’archivio integrato informativo di cui all’art. 21 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2012, n. 221, la ricorrenza dei medesimi nominativi in più di tre cause negli ultimi cinque anni, trasmette l’informativa alla Procura della Repubblica competente per gli ulteriori accertamenti. Il presente comma non si applica agli ufficiali e agli agenti delle autorità di polizia che sono chiamati a testimoniare (in questa Rivista 2014, pag. 85). Provvedimento drastico, come si vede, per contrastare il dilagare di sinistri costruiti di sana pianta o modificati nelle loro modalità. Viene spontaneo allora domandarsi se non sia possibile dare corso a qualcosa di analogo anche per i sinistri dichiarati truffaldinamente come causati da veicolo a motore o natante non identificato. Non si può supporre invero che non si verifichi la possibilità di una richiesta di risarcimento al Fondo di garanzia per le vittime della strada da parte di un soggetto che si sia infortunato al di fuori della circolazione o, quanto meno, senza responsabilità di terzi nel caso di un effettivo sinistro stradale e che tenti di inventare un incidente causato da un veicolo a motore rimasto sconosciuto con qualche teste compiacente ben calcolando che un ‘fantasma’ non si troverà mai proprio perchè è una realtà inesistente. Ed è proprio in questi casi che manca per lo più la denuncia del fatto alle autorità di Polizia o ai Carabinieri che abitualmente, invece, intervengono sul luogo di questi sinistri perchè chiamati vuoi dall’infortunato interessato vuoi da terzi estranei presenti al fatto. Troppo aleatorio, troppo rischioso ci appare invero, in caso di sinistri attribuiti a veicoli rimasti sconosciuti ma non denunciati tempestivamente alle Autorità competenti, 684 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. demandare al giudice adito per il risarcimento l’onere di pervenire - magari anni dopo - ad un serio convincimento solo attraverso l’audizione di testimoni accortamente preparati mentre Polizia e Carabinieri, se e in quanto tempestivamente avvisati, possono svolgere più accurate indagini cercando riscontri ancor freschi sul luogo del preteso incidente, nelle carrozzerie, nelle officine meccaniche, ecc. Quindi, poiché proprio fra i sinistri non denunciati alla Polizia o ai Carabinieri può annidarsi il tentativo di una truffa ai danni del Fondo di garanzia, non ci sembra inopportuno abbandonare quei ragionamenti di cui abbiamo parlato e in forza dei quali l’omessa denuncia del fatto dannoso non è idonea, di per sè, ad escludere che il sinistro sia stato effettivamente causato da un veicolo non identificato. Si dovrebbe cioè integrare l’art. 283 del Codice delle assicurazioni disponendo che “Il Fondo di garanzia per le vittime della strada, costituito presso la Consap, risarcisce i danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, nei casi in cui: a) il sinistro sia stato cagionato da veicolo o natante non identificato e tale sia rimasto anche dopo gli accertamenti svolti dalle Autorità competenti alle quali è stata obbligatoriamente presentata la denuncia del fatto, in mancanza della quale alcuna richiesta risarcitoria può essere presentata al Fondo di garanzia medesimo”. Si tratterebbe di un colpo netto in grado di togliere di mezzo richieste avanzate sulla base di un “pacchetto” ben preparato con testi fasulli e tenuto lontano dagli occhi indagatori delle autorità di Polizia e Carabinieri che, come spesso avviene, riescono ad individuare il responsabile del fatto tempestivamente raccogliendo sul luogo del sinistro dati concreti, tracce e descrizioni testimoniali. Qualcuno potrà dire che non sempre un infortunato è in grado, a causa delle lesioni riportate, di chiedere l’intervento di Polizia o Carabinieri. Vero. Ma terzi estranei, presenti o sopraggiunti poco dopo, possono farlo mettendo così in movimento la consueta attività indagatoria nella quale rientra anche l’audizione a verbale-denuncia dell’infortunato. In buona sostanza Polizia, Carabinieri o Polizia Municipale, come si vede, possono essere sempre allertati e giungere tempestivamente sul posto. Ma quando uno - senza aver denunciato il fatto alle autorità competenti - dia corso alla procedura per ottenere un risarcimento dal Fondo di garanzia a distanza di tempo il tentativo di imbroglio è evidente. Né si dica che può darsi il caso di persona danneggiata da un veicolo datosi alla fuga in una strada secondaria scarsamente frequentata per cui è difficile pensare a terzi estranei che sopraggiungono e si attivano per chiamare soccorso e Polizia o Carabinieri. Che fa l’infortunato? Ovviamente si attiva con un cellulare per chiedere aiuto o cerca di raggiungere un luogo più frequentato: con il che si ritorna alla situazione in precedenza descritta. dott Dottrina Si dirà che un infortunato investito da un veicolo rimasto sconosciuto può non sapere che il Codice delle assicurazioni, nella nuova formulazione dell’art. 283, gli impone la denuncia del fatto alle autorità di polizia. Ma è la stessa situazione che porta alla denuncia: intervento di ambulanza o presentazione a un Pronto Soccorso con conseguenti verbali sulle circostanze di fatto, ecc. Il restarsene inattivi nei confronti della pubblica autorità per dare corso a richieste risarcitorie a distanza di tempo - quando accertamenti accurati non sono più possibili - non depone certo a favore di un comportamento corretto. Qualcuno potrà anche obiettare che l’integrazione normativa da noi suggerita rappresenta una condizione pregiudizievole per l’accoglimento della domanda di risarcimento determinando un condizionamento della giurisdizione. È la stessa Corte di Cassazione (sez. III, 18 giugno 2012, n. 9939, in questa Rivista 2012, pag. 871) invero ad affermare che “ritenere che la mancanza di una denunzia completa di tutti i suoi elementi comporti di per sé il rigetto della domanda significa introdurre una vera e propria condizione per l’accoglimento della domanda, creando un’ipotesi di giurisdizione condizionata al di fuori dei casi previsti dalla legge. La mancata denunzia (ovvero la denunzia incompleta) non può costituire, a priori, un elemento ostativo al risarcimento del danno, ma solo una circostanza che, unita ad altri elementi, consente al giudice di valutare la complessiva attendibilità dei fatti sottoposti al suo giudizio e quindi la fondatezza dell’ azione”. Si vorrebbe cioè ravvisare nella prospettata valenza negativa della mancata denunzia alle competenti autorità del sinistro causato da un veicolo rimasto non identificato in quanto datosi alla fuga, una vera e propria menomazione del diritto alla difesa tutelato dall’art. 24 della Costituzione. Ne potrebbe conseguire allora un qualche ricorso alla Corte costituzionale per fare giustappunto dichiarare l’incostituzionalità dell’integrazione da noi prospettata all’art. 283 del Codice delle assicurazioni. Si riproporrebbe cioè il problema sollevato - sia pure relativamente ad altra disposizione del Codice delle assicurazioni - dal Giudice di pace civile di Roma, sez. V, con sua ordinanza del 18 maggio 2010 (in questa Rivista 2010, pag. 475) di rimessione alla Corte costituzionale intervenuta con sentenza n. 111 del 18 aprile 2012 (in questa Rivista 2012, pag. 643 ss.). Per quanto si tratti di una questione differente da quella che potrebbe riproporsi in relazione alla suggerita integrazione dell’art. 283 del Codice delle assicurazioni non possiamo non vedere come l’innovazione normativa in materia di risarcimento danni da parte del Fondo di garanzia per sinistri causati da veicolo non identificato possa riproporre i medesimi dubbi di costituzionalità - per quanto discutibili, come vedremo - in relazione all’art. 24 della Carta costituzionale. Dubbi che erano già stati affrontati dai Giudici della Consulta nel lontano 1973 (sentenza n. 24 del 1° marzo 1973 (in questa Rivista 1973, pag. 275). Di fronte invero alla realizzazione di un filtro all’azione giudiziaria ad evitarne una pletorica inflazione, attraverso determinate condizioni di proponibilità, la Corte costituzionale aveva affermato che “soccorrono qui puntualmente le considerazioni già svolte, proprio con riguardo all’asserita violazione dell’art. 24 della Costituzione in altre decisioni di questa Corte, nelle quali si è affermato che la tutela giurisdizionale è garantita sempre dalla Costituzione, ma non nel senso che si imponga una sua relazione di immediatezza con il sorgere del diritto, e che sono sostanzialmente legittime le disposizioni di legge che impongono oneri diretti ad evitare l’abuso o l’eccesso nell’esercizio del diritto o a salvaguardare interessi generali che con tale diritto sostanziale non contrastano (vedi, in ultimo, le sentenze n. 130 del 1970 e n. 57 del 1972)”. Queste affermazioni di principio, pur essendo state fatte nelle prime decisioni della Corte con riguardo alla subordinazione della tutela giurisdizionale al previo esperimento di procedimenti amministrativi, “non hanno esclusivo riguardo a procedimenti del genere, né si fondano su ragioni strettamente dipendenti dalla natura pubblica degli enti, ma, come chiaramente si desume dalle decisioni più recenti sopra richiamate, hanno ampia portata, tale da comprendere ipotesi come quella in esame, in cui la limitata remora all’esercizio dell’azione di risarcimento del danno si inquadra in un sistema legislativo ispirato da finalità di preminente interesse sociale e si risolve anche in una più sicura ed efficace protezione del diritto dello stesso danneggiato” (ibid.). Concetto che ritorna nell’ordinanza della Consulta n. 251 del 15 luglio 2003 (in questa Rivista 2003, pag. 1050) ove era dato di leggere che “questa Corte - già investita del vaglio di costituzionalità della norma impugnata (art. 22, L. 990/69, N.d.R.), la quale, anche secondo la costante giurisprudenza di legittimità, pone una condizione di proponibilità della domanda giudiziale - ne ha affermata la legittimità, in considerazione del soddisfacimento delle preminenti esigenze di interesse sociale cui la disposizione tende (sentenza n. 24 del 1973)” e che “lungi dal costituire un onere tale da vanificare o pregiudicare la possibilità di agire in giudizio, la norma è, dunque, diretta ad evitare un eccesso nell’esercizio del diritto, a salvaguardia, non solo della posizione soggettiva della parte convenuta, ma anche di interessi generali che con tale diritto sostanzialmente non contrastano (ordinanza n. 132 del 1983)”. Decisione ribadita nell’ordinanza n. 128 del 20 aprile 2004 (in questa Rivista 2004, n. 725). Sosteneva, invece, il Giudice civile di pace di Roma (ibid. pag. 491) che “l’ampliamento della nozione di filtro all’azione giudiziaria, con i requisiti di forma-contenuto, con i maggiori oneri di allegazione e probatori riferiti alla richiesta stragiudiziale ex art. 145 c.d.a. - 148 c.d.a., incide Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 685 dott Dottrina direttamente sul diritto di difesa del danneggiato ex art. 24 della Costituzione comprimendolo significativamente. Lo scopo deflattivo è proseguito dalla normativa vigente attraverso l’imposizione di oneri-obblighi di contenuto per la richiesta risarcitoria stragiudiziale finalizzati alla formulazione della congrua offerta, che è definizione che implica l’integrale risarcimento del danno. Nei fatti tale normativa limita la possibilità di chiedere e di provare in giudizio il danno realmente patito. La congrua offerta contemplata dall’art. 148 c.d.a. non potrà cioè che essere effettuata dall’assicuratore sulla scorta delle sole allegazioni, informazioni e documenti forniti dal danneggiato con la richiesta ex art. 145, comma primo, c.d.a. ed eventuali integrazioni ex art. 148, comma quinto, c.d.a.”. In pratica e in definitiva, sempre secondo il Giudice di pace di Roma; “la riforma del 2005 ha ampliato gli oneri a carico del danneggiato ancorandoli alla procedura stragiudiziale, sottraendoli alle garanzie processuali (diritto di difesa, contraddittorio tra le parti in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale, ecc.), e prevedendo, al contempo, che la loro violazione venga sanzionata nel processo con la dichiarazione di improponibilità (vizio insanabile), alla quale consegue la condanna alle spese secondo la regola della soccombenza ex art. 91 c.p.c. Il mancato adempimento di questi oneri, come l’accertamento della congruità dell’offerta stragiudiziale, sono sanzionati, nel processo, con la dichiarazione di improponibilità. Si osserva inoltre che le nullità della citazione ex art. 163, comma terzo n. 3 e n. 4 c.p.c. possono essere sanate senza particolari conseguenze (vedi art. 164 comma quarto e quinto c.p.c.); che la mancata indicazione dei mezzi di prova ex art. 173 comma terzo n. 5 c.p.c. non è sanzionata con la nullità della citazione. Del tutto diversa la disciplina della richiesta risarcitoria stragiudiziale, dove la mancata allegazione di circostanze e documenti è contemplata quale vizio insanabile sanzionato con l’improponibilità della domanda giudiziale (vedi art. 145 comma primo c.d.a. - art. 148 comma secondo c.d.a.). L’art. 145 comma primo c.d.a., nell’imporre i requisiti di contenuto di cui all’art. 148 commi primo e secondo c.d.a., ha esteso la nozione di filtro all’azione giudiziaria rispetto all’abrogato art. 22, L. 990/69, finendo per incidere sull’applicazione delle ordinarie regole processuali, creando un regime speciale e sfavorevole per il danneggiato che comprime e rende eccessivamente gravoso l’esercizio del suo diritto di azione e difesa. Tale normativa limita la possibilità di chiedere e provare in giudizio il danno realmente patito. Si assiste quindi ad una indubbia violazione del diritto di azione e di difesa ex art. 24 Cost., atteso che in virtù del combinato disposto degli articoli 1456, comma primo, c.d.a. - art. 148, comma secondo, c.d.a. non potranno essere utilizzate in giudizio le allegazioni e le prove rimaste estranee alla procedura risarcitoria stragiudiziale perché il capo o parte di domanda che ad esse riferisce è colpito dalla sanzione dell’improponibilità. Eppure gli artt. 2907 686 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. c.c., 2697 c.c., 99 c.p.c., 163 c.p.c. collegano la tutela giurisdizionale dei diritti alla domanda di parte, collegano l’onere di allegazione e l’onere probatorio al processo giurisdizionale e non ad un momento ad esso antecedente. La normativa in esame sembra voler assimilare la richiesta stragiudiziale all’atto introduttivo del giudizio quanto a requisiti di forma-contenuto senza tuttavia garantire in alcun modo la difesa tecnica (violazione del diritto di difesa, art. 24 Cost.). Nella procedura stragiudiziale non è garantita l’assistenza tecnica di un legale, a fronte dei complessi adempimenti richiesti al consumatore-danneggiato con conseguente aumento del rischio dell’errore. Inoltre, anche nel caso in cui il danneggiato risulterà vittorioso nel giudizio, le spese relative alla procedura stragiudiziale non gli saranno riconosciute automaticamente ex art. 91 c.p.c., ma secondo i criteri di cui agli artt. 1223 e segg. c.c., restando per esse inapplicabile la regola processuale della soccombenza. Tale riforma comporta distorsioni evidenti nell’applicazione della regola processuale della soccombenza, che si risolvono ai danni della vittima del sinistro, in aperto contrasto con la ratio della disciplina sull’assicurazione obbligatoria, che intendeva apprestare in favore di questi una tutela rafforzata. I maggiori oneri di allegazione e probatori, riferiti alla procedura stragiudiziale ex art. 145 comma primo c.d.a. - art. 148 c.d.a., ove non è garantita l’assistenza tecnica di un legale, implicano inevitabilmente un aumento degli stessi. Da ciò conseguirà inevitabilmente un aumento delle probabilità della soccombenza giudiziale del danneggiato in una pronuncia di mero rito, cui seguirà la condanna alle spese secondo la regola giudiziale (oggettiva) della soccombenza ex art. 91 c.p.c. L’aumento delle probabilità della soccombenza giudiziale del danneggiato in una pronuncia di mero rito, rende evidente il rischio di una moltiplicazione dei giudizi aventi ad oggetto il medesimo fatto storico, effetto che evidenzia l’irragionevolezza di questa disciplina che si pone in contrasto anche con l’art. 111 della Costituzione (ragionevole durata del processo)”. Ma la Consulta - di contro a tutte queste considerazioni pur apprezzabili relativamente all’art. 24 della Carta Fondamentale - ha opportunamente ricordato che il condizionamento dell’accesso alla giurisdizione è stato sempre considerato compatibile con il precetto costituzionale “ove giustificato da esigenze di ordine generale ed è stato, reiteratamente, riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Coste (ex plurimis, sentenze n. 276 del 2000, n. 82 del 1992, n. 46 del 1974; ordinanze n. 355 del 2007, n. 436 del 2006, n. 67 del 2005, n. 251 del 2003), anche con specifico riferimento al testo della disposizione, oggetto di riassetto di cui al previgente art. 22 della L. 990 del 1969 (sentenze n. 128 del 2004, n. 251 del 2003, n. 24 del 1973; ordinanze n. 25 del 1975, n. 19 del 1975 e n. 9 del 1973) (Corte Cost., ibid. pag. 645). dott Dottrina E non è chi non veda come l’integrazione da noi suggerita all’art. 283 - che pur può presentare una compressione del diritto alla difesa - sia in buona sostanza giustificata da esigenze di ordine generale rimesse all’apprezzamento del legislatore. Escludendo, infatti, la ricorribilità al Fondo di garanzia di tutti quei sinistri che non risultino denunciati tempestivamente a Polizia o Carabinieri (situazione che già di per sé induce a qualche perplessità o, per meglio dire, sospetto) si porrebbe un efficace sbarramento a operazioni truffaldine con l’appoggio soltanto di testimonianze accuratamente approntate una volta evitati i tempestivi accertamenti e le accurate indagini delle competenti autorità sul luogo dell’asserito incidente. Tanto nello stesso spirito che ha già portato il legislatore a contrastare le testimonianze di comodo fabbricate a posteriori attraverso le disposizioni di cui all’art. 8 del D.L. 23 dicembre 2013, n. 145 per interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia” per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, e per la riduzione dei premi RC Auto, di cui abbiamo già parlato. Due situazioni abbastanza omogenee, accomunate da una medesima impostazione rappresentata dalla tempestività di due elementi essenziali: in un caso quello della denuncia del preteso sinistro causato da un veicolo non identificato, nell’altro quello della indicazione di eventuali testimoni sul luogo di accadimento dell’incidente nella denuncia di sinistro previsto dall’art. 143 c.d.a. nonché nella richiesta di risarcimento presentata all’impresa di assicurazione ai sensi degli artt. 148 e 149 c.d.a. (*) Ispettore assicurativo, Pino Torinese. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 687 Bibliografia Biancospino D. Capacchione V. Moretto M. Codice doganale Collana I codici vigenti, ed. La Tribuna, Piacenza 2014, pp. 2240, € 50,00 Quest’Opera, che si rivolge a personale degli uffici doganali, spedizionieri, avvocati, operatori del settore, è stata aggiornata con: - la L. 23 giugno 2014, n. 89, di conversione, con modificazioni, del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale; - il D.M. 7 aprile 2014, n. 303, Procedure per il rilascio all’imbarco e al trasporto marittimo e per il nulla osta allo sbarco e al reimbarco su altre navi di merci pericolose; - il D.M. 28 febbraio 2014, recante norme sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da dazi, imposte e altre misure. Fra gli argomenti affrontati si segnalano, oltre al testo unico doganale e relativo regolamento, il codice doganale comunitario, accise, accordi preferenziali, contenzioso, diritti doganali, franchigie doganali, importazione, iva, regimi doganali economici, riscossione, sanzioni, spedizionieri doganali, stupefacenti, tariffa doganale, transito comunitario, zone franche. M.B. Protospataro Giandomenico Cenni sulle sanzioni del Codice della strada ed. Egaf, Forlì 2014, pp. 208, € 16,00 La tipicità del regime sanzionatorio del Codice della strada rende necessaria una conoscenza dei principi che regolano il settore con l’analisi delle specifiche problematiche. Quest’Opera è propedeutica allo svolgimento dell’attività del servizio di polizia stradale. Il volume è strutturato in sette capitoli che trattano rispettivamente: Espletamento del servizio di polizia stradale e i soggetti abilitati; Principi generali sulle sanzioni amministrative pecuniarie; Contestazione e notificazione dei verbali delle violazioni; Diritti di difesa avverso la contestazione di violazioni; Pagamento delle sanzioni amministrative pecuniarie nel CDS; Sanzioni accessorie nel CDS relative ad obblighi di fare ed al veicolo; Reati connessi alla circolazione stradale. M.G. Ramacci Luca Rifiuti: la gestione e le sanzioni Collana Tribuna Juris, ed. La Tribuna, Piacenza 2014, pp. 384, € 25,00 La materia dei rifiuti, disciplinata in gran parte dal Decreto Legislativo 152\2006, oggetto di innumerevoli interventi correttivi, ha sempre rappresentato un punto focale del diritto ambientale. Le innovazioni apportate rendono quindi necessaria un’analisi della disciplina che consenta al tecnico ed al giurista un completo sguardo d’insieme dell’apparato normativo tenendo conto dei contributi interpretativi della dottrina e della giurisprudenza e fornendo gli strumenti non solo per la pratica applicazione della disciplina, ma anche per ulteriori approfondimenti nei settori specifici. Il volume, giunto alla seconda edizione, è stato completamente riveduto ed ampliato tenendo conto dei numerosi contributi interpretativi forniti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, e delle più recenti innovazioni legislative, fra cui segnaliamo quelle apportate dal D.L.vo n. 46 del 4 marzo 2014. Nell’opera viene riportata un’ampia appendice normativa, che contiene le norme del Testo Unico Ambientale in materia di rifiuti. Il volume è disponibile anche in versione E-BOOK. V.C. Savarro Pietro I nuovi parametri forensi Collana Tribuna Juris, ed. La Tribuna, Piacenza 2014, pp. 288, € 27,00 Questo volume rappresenta una prima, indispensabile guida per i professionisti legali che dalla data di entrata in vigore del D.M. 10 marzo 2014, n. 55, dovranno fornire ai propri clienti un preventivo di massima dei compensi legati alle attività da erogare, che dovrà necessariamente tener conto dei parametri stessi. L’Opera contiene: un agile ed esauriente commento operativo al testo del D.M. n. 55/2014; un’appendice normativa con le norme più significative dell’ordinamento forense, ivi comprese le tariffe previgenti e il testo del nuovo Codice deontologico forense approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 31 gennaio 2014. Il volume è arricchito da un CD-ROM (win) che consente l’elaborazione del preventivo di massima e della parcella. C.C. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 689 Legittimità Corte di cassazione civile sez. III, 27 giugno 2014, n. 14635 Pres. Petti – Est. Carleo – P.M. Fresa (conf.) – Ric. Fincom Spa in liq. (avv.ti Magaudda e Vermiglio) c. F.F. ed altri Assicurazione obbligatoria y Risarcimento danni y Utilizzatore del veicolo in leasing y Responsabile in solido con il conducente y Sussistenza. . Ai fini del risarcimento danni provocati dalla circolazione di veicolo concesso in locazione finanziaria, responsabile in solido con il conducente ai sensi dell’art. 2054, comma 3, c.c. è esclusivamente l’utilizzatore del veicolo e non anche il proprietario concedente, vertendosi, ai sensi degli artt. 91, comma 2, e 196 c.s., in ipotesi di responsabilità alternativa e non concorrente, poiché solo l’utilizzatore ha la disponibilità giuridica del godimento del bene e quindi la possibilità di vietarne la circolazione. (Mass. Redaz.) (nuovo c.s., art. 91; nuovo c.s., art. 196; c.c., art. 2054) (1) (1) Conformemente, v. Cass. civ. 24 gennaio 2012, n. 947, in questa Rivista 2012, 544. In genere, sull’applicazione dell’art. 91, comma secondo, c.s., v. Cass. civ. 25 maggio 2004, n. 10034, ivi 2005, 415. Svolgimento del processo Con citazione notificata in data 12 e 16 marzo 1996 F.F. conveniva in giudizio P.G. e la Fincom Leasing Spa esponendo che in data (omissis) intorno alle ore 23, mentre attraversava a piedi viale della (omissis), era stato investito dall’auto Suzuki tg. (omissis), priva di copertura assicurativa per r.c.a., condotta dalla P. e di proprietà della Fincom, riportando lesioni personali. In esito al giudizio, in cui si costituivano le convenute resistendo alla domanda, il Tribunale di Messina rigettava le domande attrici sul presupposto che l’attore non avesse dato adeguata prova della dinamica dell’incidente. Avverso tale decisione il soccombente proponeva appello ed in esito al giudizio, in cui si costituivano la P. e la Fincom, la quale riproponeva in via subordinata la domanda di garanzia proposta verso il chiamato L.A., unico soggetto che aveva la disponibilità dell’auto investitrice proponeva impugnazione incidentale, la Corte di Appello di Messina con sentenza depositata in data 3 marzo 2008 accoglieva in parte l’appello principale; rigettava quello incidentale; condannava la P., il L. e la Fincom a corrispondere in solido al F. la somma di Euro 51.657,05 oltre interessi legali a titolo di danno biologico, morale e patrimoniale,nonchè la somma di Euro 2.582,28 oltre interessi legali a titolo di rimborso spese mediche; condannava il L. a tenere indenne la Fincom delle somme che la stessa dovesse corrispondere al F.; provvedeva al governo delle spese. Avverso la detta sentenza hanno proposto separati ricorsi per cassazione la P. e la Fincom, articolandoli rispettivamente in due motivi ed in unico motivo. Resiste con separati controricorsi il F., proponendo a sua volta ricorsi incidentali, affidati a due motivi. La Fincom ed il F. hanno depositato altresì memorie illustrative. Motivi della decisione In via preliminare, deve rilevarsi che i ricorsi principali e quelli incidentali vanno riuniti, in quanto proposti avverso la stessa sentenza. Procedendo all’esame del ricorso principale proposto dalla P., va rilevato che, con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., artt. 190 e 191 C.d.S., la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello omesso di statuire che “il comportamento del pedone, contrario alle norme di legge, era stato il fattore causale esclusivo dell’incidente per cui è causa, senza sottacere il fatto che l’automobilista aveva comunque tenuto un comportamento conforme alle regole dell’ordinaria diligenza e non contrario alle norme di legge” (così, a pag. 20 del ricorso, in conclusione del primo motivo). Con la seconda doglianza, per motivazione insufficiente e contraddittoria, la ricorrente lamenta che la Corte di appello non avrebbe chiarito adeguatamente la dinamica del sinistro e sarebbe incorsa nel vizio denunciato omettendo qualsiasi valutazione sulle modalità di attraversamento della strada, da parte del pedone, non riuscendo ad esplicitare il ragionamento che l’ha portata ad affermare la responsabilità della P., affermando l’attendibilità di un teste ma omettendo di tener conto della sua deposizione. I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili, prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro, non colgono nel segno, essendo il primo inammissibile, l’altro altresì infondato. Ed invero, le ragioni di doglianza formulate come risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate, non concernono violazioni o false applicazioni del dettato normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dalla Corte di merito; nè evidenziano effettive carenze o contraddizioni nel percorso motivazionale della sentenza impugnata ma, riproponendo l’esame degli elementi fattuali già sottoposti ai giudici di seconde cure e da questi disattesi, mirano ad un’ulteriore valutazione delle risultanze processuali, che Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 691 giur L e g i t t i m i tà non è consentita in sede di legittimità. Infatti, premesso che la valutazione degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice di merito, deve ritenersi preclusa ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze di causa. Con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante la quale la parte ricorrente avanza, nella sostanza delle cose, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. Senza considerare che il percorso argomentativo della Corte di merito appare esente dalle censure denunciate nella misura in cui i giudici di appello, al di là delle divergenti versioni fornite dai testi M. e L., hanno a ben vedere, conclusivamente, fondato la loro decisione sulle ammissioni rese dalla stessa P. all’udienza del 19 ottobre 1998, evidenziando come la presunzione di colpa, posta dalla legge a carico del conducente dell’auto investitrice, non fosse stata superata dalla prova positiva di una condotta imprudente del pedone capace di costituire l’unica causa efficiente del sinistro. Ciò, in quanto la conducente dell’auto, che per sua ammissione stava attraversando un tratto rettilineo del viale particolarmente trafficato per la duplice, contemporanea presenza di veicoli, che uscivano dalla nave, e di persone, provenienti dal teatro, aveva il preciso dovere di adeguare la velocità alle circostanze del caso, quasi fino ad arrestare la marcia, e di prevedere il rischio di pedoni che attraversassero la strada, anche fuori delle strisce pedonali, soprattutto se la visuale era coperta, come nella specie, da un camion che la affiancava ed aveva arrestato la sua marcia. Ed è appena il caso di sottolineare a riguardo che, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, per superare la presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 1, non è sufficiente che il conducente provi che l’investimento del pedone sia avvenuto mentre il veicolo procedeva alla velocità consentita nel centro abitato in condizioni ottimali, dovendo la stessa velocità essere costantemente adeguata alle circostanze del caso concreto, onde prevenire un’eventuale situazione di pericolo (ex multis, di recente, Cass. n. 3542/2013). Ne deriva che non sussiste il vizio motivazionale dedotto ove si consideri che la motivazione può ritenersi illogica o contraddittoria, per costantissima giurisprudenza di questa Corte, solo se intrinsecamente incomprensibile; ovvero se pervenga a conseguenze incompatibili con le premesse da cui sviluppò il ragionamento: profili, che non sono riscontrabili nella specie. Il ricorso della P. deve essere pertanto rigettato. Passando all’esame del ricorso principale proposto dalla Fincom, va osservato che, deducendo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 3, come integrato dal D.L.vo n. 285 del 1992, art. 91, n. 2, la ricorrente 692 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. lamenta che la corte di appello avrebbe dovuto affermare la sola responsabilità del locatario L. A., in concorso con quella del conducente l’autoveicolo concesso in leasing, escludendo quella del proprietario-concedente. La doglianza è fondata e merita accoglimento. Come ha già avuto modo di statuire questa Corte, in caso di violazione delle norme sulla circolazione commesse dal conducente di un veicolo concesso in locazione finanziaria, obbligato in solido con il trasgressore per il pagamento della sanzione pecuniaria nonchè responsabile in solido con il conducente ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 3, è esclusivamente l’utilizzatore del veicolo e non anche il proprietario concedente, vertendosi, ai sensi dell’art. 91 nuovo C.d.S., comma 2, e art. 196 C.d.S., in ipotesi di responsabilità alternativa e non concorrente, poiché solo l’utilizzatore ha la disponibilità giuridica del godimento del bene e quindi la possibilità di vietarne la circolazione. Ne consegue che questi, al pari dell’usufruttuario e dell’acquirente con patto di riservato dominio risponde in tali casi di un debito proprio per fatto altrui, cosicché in caso di danni da circolazione di un veicolo concesso in leasing, ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 23, il responsabile, litisconsorte necessario nell’azione diretta contro l’assicuratore è esclusivamente il lesse (utilizzatore) e non il lessor (concedente), contrariamente a quanto avviene in ogni altra forma di locazione (Cass. n. 10034/2004, Cass. n. 947/2012). Pertanto, l’espressa previsione della sussistenza della responsabilità solidale del locatario con il conducente ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 3, contenuta nel D.L.vo n. 283 del 1992, art. 91, esclude quella del proprietario concedente, essendo alternativa ad essa in quanto si verte in materia di responsabilità per fatto altrui (del conducente, cioè) e la ratio della responsabilità in solido con quest’ultimo si fonda sulla relazione qualificata tra il soggetto da ritenersi responsabile e la cosa, relazione che, in caso di locazione finanziaria, concerne esclusivamente l’utilizzatore, e non anche il proprietario concedente, il quale non ha più il possesso del veicolo né la disponibilità giuridica e non è in grado di controllarne la circolazione. Né elementi di segno contrario possono trarsi dalla circostanza che nella specie il locatario - utilizzatore sarebbe stato moroso nel pagamento dei canoni, dal che sarebbe derivato a carico della concedente l’onere di chiedere la restituzione dell’autoveicolo e di verificarne la copertura assicurativa. Ed invero, la valutazione dell’opportunità sul se e sul quando agire in giudizio per la risoluzione del contratto nei confronti del contraente moroso attiene alla sfera dei rapporti personali delle parti e costituisce una scelta rimessa alla valutazione discrezionale dell’altro contraente, che non è suscettibile di alcun sindacato da parte di terzi. Né esiste alcuna norma giuridica che imponga al proprietario - locatore di un autoveicolo, concesso in leasing, di verificare che l’utilizzatore provveda ad assicurare il mezzo, rispondendone in proprio in caso di mancata copertura assicurativa. Ne deriva per queste ragioni l’accoglimento del ricorso. giur L e g i t t i m i tà Resta da esaminare il ricorso incidentale, di contenuto analogo, proposto in entrambi i giudizi riuniti, da F.F. ed affidato a due motivi, con il primo dei quali deducendo la violazione dell’art. 1224 c.c., comma 1, il ricorrente lamenta che la Corte avrebbe errato per aver corrisposto gli interessi legali sulle somme liquidate, a titolo di danno morale e biologico (obbligazioni di valore), a far data dalla decisione (3 marzo 2008) piuttosto che dalla data dell’illecito (giugno 1995). Tale motivo è concluso dal seguente quesito di diritto: “dica la Corte, alla luce dell’art. 1224 c.c. se nel caso in cui sia liquidata a titolo di danno morale alla vittima di un illecito una somma determinata in base ai valori monetari propri del tempo della decisione, se gli interessi legali dovuti vanno calcolati, alternativamente, o con riferimento all’ammontare del danno (biologico e morale) espresso nei valori monetari dell’epoca del fatto e periodicamente rivalutato, in relazione ai prescelti indici di svalutazione, oppure facendo riferimento ad un indice medio nel periodo compreso tra la data dell’illecito e quello della liquidazione”. La doglianza è inammissibile in quanto il quesito, posto a corredo, non soddisfa le prescrizioni richieste dall’art. 366 bis c.p.c., sotto il profilo della necessaria congruenza alla violazione dedotta. Ed invero costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui il quesito non può essere astratto ed avulso dalla fattispecie concreta, così come è avvenuto invece nella specie, ma deve, imprescindibilmente, attenere al decisum ed essere specificamente riferito al motivo cui accede contrapponendosi direttamente alla regola di diritto, che si ritiene erroneamente applicata regola che sia pure in sintesi deve essere riportata - ed indicando altresì il principio di diritto che dovrebbe essere applicato nella fattispecie, in luogo dell’altro. Passando al secondo motivo, va osservato che, deducendo la violazione dell’art. 1224 c.c., commi 1 e 2, il ricorrente lamenta che il danno patrimoniale sarebbe stato determinato dai giudici di merito avendo come parametro il reddito documentato degli anni 1993-1994, senza riportarlo ai valori monetari attuali. E ciò, contrariamente a quanto ritenuto ed espressamente statuito dalla Corte territoriale a causa di una svista di carattere aritmetico ovvero di un errore di calcolo. Anche tale motivo è inammissibile ove si consideri che il riferimento alla svista di carattere aritmetico ovvero all’errore di calcolo, espressamente contenuto nell’esplicazione della ragione di doglianza, non consente di stabilire con assoluta certezza se il ricorrente lamenti: 1) un effettivo errore di calcolo in cui sarebbe incorsa la Corte di merito; 2) un’erronea percezione del contenuto del documento posto a base del ragionamento, avendo la Corte di merito ritenuto che esso si riferisse ad un reddito prodotto “attualmente”, ad onta ed in contrasto con quanto risultava dal documento stesso; 3) un errore, consistito nella consapevolezza che si trattasse di un reddito degli anni 1993-1994, accompagnato però dal mancato adeguamento della somma ai valori monetari del tempo della decisione. Ed invero, nella prima delle tre ipotesi, l’inammissibilità deriverebbe dal rilievo che,in sede di legittimità, non può procedersi alla correzione di errori materiali contenuti nella sentenza del giudice di merito, dovendo alla stessa provvedere il giudice a quo (Cass. n. 28712/2013, n. 490/99, n. 12004/06); nella seconda ipotesi, l’inammissibilità deriverebbe dalla considerazione che, qualora, l’erronea valutazione dipenda da una falsa percezione della realta1, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, esatto un dato documentale, la cui inesattezza risulti invece incontestabilmente accertata dal medesimo documento, è configurabile un errore di fatto deducibile esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. (tra le tantissime cfr. Cass. n. 15672/05, 3024/02, 10027/04, 21870/04, 11276/05); nell’ultima ipotesi, infine, l’inammissibilità deriverebbe dalla considerazione che, non avendo il ricorrente riportato in ricorso il brano del documento, in cui è indicato l’anno di riferimento ciò, in osservanza dell’onere di autosufficienza del ricorso per cassazione - non è dato di accertare se effettivamente il danno patrimoniale sia stato determinato dai giudici di merito, avendo come parametro il reddito documentato degli anni 1993-1994, così come assume il F.. Ed invero, nella sentenza impugnata, la Corte territoriale accenna genericamente “ad un documentato reddito netto di Euro 55.000,00” (v. pag. 11), senza indicare l’anno in cui era stato prodotto tale reddito, con la conseguenza che, in difetto di assolvimento dell’onere di autosufficienza da parte del ricorrente, a questa Corte non è consentito di verificare l’assunto del ricorrente stesso, essendole precluso di accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Ciò, senza considerare che il ricorrente non ha neppure assolto l’onere di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, del documento in questione e dei dati necessari al suo reperimento. (cfr. Sez. Un. n. 22726/2011). Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, va disatteso il ricorso principale della P. e vanno dichiarati inammissibili quelli incidentali proposti dal F.. Deve essere invece accolto il ricorso della Fincom Spa per cui la sentenza impugnata va cassata in relazione a tale ricorso. Con l’ulteriore conseguenza che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto della domanda risarcitoria proposta da F.F. nei confronti della Fincom Finanziaria Commerciale Spa. Con riferimento al rapporto tra il F. e la Fincom, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. Attesa la reciproca soccombenza sussistono giusti motivi per compensare fra le altre parti le spese del giudizio. (Omissis) Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 693 giur L e g i t t i m i tà Corte di cassazione civile sez. III, 13 giugno 2014, n. 13364 Pres. Amatucci – Est. Sestini – P.M. Corasaniti (conf.) – Ric. G. c. Comune di Sant’Elpidio a Mare ed altro Responsabilità civile y Amministrazione pubblica y Opere pubbliche y Strade y Obbligo di segnaletica y Rapporto causale fra l’inidoneità della segnaletica e un sinistro stradale y Strada extraurbana y Applicazione dell’art. 2051 c.c. y Sussistenza. . In relazione a qualunque tipo di strada, l’ente proprietario o gestore ha sempre la possibilità di collocare la segnaletica prevista dal Codice della Strada, con la conseguenza che, ove si prospetti l’esistenza di un rapporto causale fra l’inidoneità della segnaletica e un sinistro stradale, non può predicarsi l’esclusione dell’applicazione del paradigma dell’art. 2051 c.c. per il solo fatto che la strada sia extraurbana. (Mass. Redaz.) (c.c., art. 2051; nuovo c.s., art. 37) (1) (1) Sulla responsabilità dell’ente proprietario o gestore della strada ex art. 2051 c.c., cfr., con specifico riferimento alla mancanza di adeguata segnaletica, Cass. civ. 20 settembre 2011, n. 19129, in questa Rivista 2012, 336; Cass. civ. 16 maggio 2008, n. 12425, ivi 2008, 830 e Cass. civ. 6 luglio 2006, n. 15383, ivi 2007, 696. Svolgimento del processo Il (omissis), all’altezza della confluenza di una strada comunale in una provinciale, in territorio del comune di (omissis), si verificava uno scontro fra l’autovettura condotta da G.G.D. e quella guidata da D.V., a seguito del quale quest’ultimo decedeva, mentre l’altro conducente riportava lesioni. Assumendo che il sinistro era stato determinato dall’insufficienza della segnaletica stradale, che non gli aveva consentito di avvistare tempestivamente la confluenza nella strada provinciale, il G. conveniva in giudizio il Comune di Sant’Elpidio a Mare e l’Amministrazione Provinciale di Ascoli Piceno per sentirli condannare al risarcimento dei danni dal medesimo subiti. Il giudizio si svolgeva anche nei confronti del comune di Montegranaro (chiamato in causa dopo che il comune di Sant’Elpidio a Mare aveva negato che il tratto di strada interessato dal sinistro rientrasse nel proprio territorio) nonché nei confronti delle compagnie assicuratrici chiamate in garanzia dalle due amministrazioni comunali e si concludeva col rigetto della domanda attorea e la condanna del G. al pagamento delle spese processuali. In sede di gravame, la Corte di Appello di Ancona confermava la sentenza impugnata e, previa compensazione delle spese di primo grado fra il G., il Comune di Sant’Elpidio a Mare e la UNIPOL Assicurazioni s.p.a., condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado nei confronti della Provincia di Ascoli Piceno, del Comune di Montegranaro e della Milano Assicurazioni s.p.a.. Ricorre per cassazione il G., affidandosi a dieci motivi, illustrati da memoria; gli intimati non svolgono attività difensiva. 694 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Motivi della decisione 1. Al ricorso in esame si applica, ratione temporis, la disposizione dell’art. 366 bis c.p.c. in quanto la sentenza è stata pubblicata in data 14 dicembre 2007. 2. Il ricorrente prospetta motivi ex art. 360, n. 3 c.p.c., (il primo, il secondo, il terzo, il quinto sub B), il settimo e il decimo) nonché motivi ex art. 360, n. 5 c.p.c., (il quarto, il quinto, sub A), il sesto, l’ottavo e il nono); mentre gli ultimi due concernono la condanna del G. alla rifusione delle spese in favore delle compagnie terze chiamate in causa, tutti gli altri motivi censurano la sentenza impugnata per avere escluso l’efficienza causale del fatto colposo delle amministrazioni convenute (segnatamente, del comune di Montegranaro), che il ricorrente individua nella mancata adozione delle necessarie segnalazioni (verticali e orizzontali) atte a rendere edotto il conducente proveniente dalla strada comunale (nel caso, il G.) della presenza dell’intersezione con la strada provinciale. 3. Ad eccezione del settimo e del decimo, tutti i motivi che deducono violazione e falsa applicazione di norme di diritto - indicate negli artt. 2043 e 1227 c.c., 40 e 41 c.p. (primo motivo), 2043 c.c. e 41, 2 comma c.p. (secondo motivo), 1227, 1 comma c.c. (terzo motivo), 37 C.d.S. e 673 c.p. (quinto motivo, sub B) - appaiono volti principalmente a sollecitare - ancorché sotto il profilo della violazione di legge - una diversa valutazione dei fatti. Per di più (e quale conseguenza della stessa impostazione delle censure), sono assistiti da quesiti di diritto non idonei, in quanto si risolvono in un interpello circa la fondatezza della tesi del ricorrente (affermata sul presupposto di valutazioni di fatto diverse da quelle compiute dalla Corte territoriale), senza enunciare - come necessario - la regula iuris applicata dal giudice di merito e quella – diversa - ritenuta applicabile dal medesimo ricorrente. Tali motivi risultano conseguentemente tutti inammissibili. 4. Parimenti inammissibile è l’ottavo motivo, che deduce vizio di motivazione e censura la sentenza impugnata per non aver ammesso la C.T.U. ed alcuni capitoli di prova testimoniale, ma omette - incorrendo in difetto di autosufficienza - di trascrivere i capitoli e di indicare le specifiche circostanze sulle quali era stata richiesta la consulenza tecnica, non consentendo a questa Corte di valutare la decisività dell’incombente istruttorio disatteso. 5. Il ricorso merita, invece, accoglimento in ordine ai motivi XV, V (sub A), VI e VII, che vanno esaminati congiuntamente, in quanto investono il tema della segnaletica stradale, sotto i distinti profili dell’individuazione degli obblighi gravanti sugli enti proprietari delle strade e dell’adeguatezza del percorso motivazionale seguito dalla Corte territoriale per escludere la responsabilità degli enti gestori del tratto stradale in cui si verificò il sinistro. 5.1. Il VII motivo (“violazione e falsa applicazione dell’artt. 2051 c.c. in tema di responsabilità per custodia”) censura la Corte territoriale per avere sussunto la fattispecie “nell’ambito di una responsabilità ex art. 2043 c.c., non essendo configurabile, nella specie, quella di cui all’art. 2051 c.c.”. giur L e g i t t i m i tà 5.2. Sul punto, la sentenza impugnata spiega che “per i beni del demanio stradale la possibilità in concreto della custodia... va esaminata oltre che in relazione all’estensione delle strade anche alle loro caratteristiche, alla loro posizione e alle dotazioni che l’ente preposto di volta in volta appresta condizionando le aspettative degli utenti che sono ben diverse a seconda dell’importanza della strada (è indubbio che chi percorre una strada statale può ragionevolmente presumere di trovarsi di fronte a una segnaletica perfettamente rapportata allo stato dei luoghi a differenza dell’utente di una strada secondaria: la diligenza che è richiesta al danneggiato nell’uso del bene demaniale... sarà diversa a seconda che si tratti, a titolo puramente esemplificativo, di una strada campestre o del corso principale della città, pur facendo capo entrambe al demanio stradale dello stesso comune, proprio perché il danneggiato fa affidamento su una diversa attività di controllo-custodia, che quindi ritiene esigibile, in relazione ai due tipi di strada del medesimo demanio)”; aggiunge la Corte territoriale che “nel caso in esame trattasi di strada ubicata in territorio extraurbano del Comune di Montegranaro per le cui caratteristiche... non appare possibile esercitare su di essa la custodia intesa quale potere di fatto sulla stessa da parte dell’ente gestore nel senso suindicato... così come non vi è dubbio che la strada provinciale avente, nell’occorso, diritto di precedenza, oltre ad essere destinata ad un uso generale e diretto da parte di una molteplicità di utenti abbia un’estensione tale da non consentire all’ente proprietario di esercitare sulla stessa l’efficace controllo summenzionato”. 5.3. Tali affermazioni vanno censurate, in quanto denotano una non corretta lettura della giurisprudenza di questa Corte in tema di responsabilità dei proprietari (o gestori) delle strade e mostrano di non tener conto della natura dell’omissione (di custodia) specificamente dedotta dal G.. Pacifica - in tema di demanio stradale - la riconducibilità della responsabilità dell’ente proprietario o gestore al paradigma dell’art. 2051 c.c. (cfr., con specifico riferimento alla mancanza di adeguata segnaletica, Cass. n. 15383/2006, Cass. n. 12425/2008 e Cass. n. 19129/2011), questa Corte ha tuttavia precisato (cfr., per tutte, Cass. n. 15383/2006) che l’applicazione di tale regime presuppone un effettivo potere di gestione sul bene, anche in termini di possibilità di controllo e di tempestivo intervento volto a ovviare alle situazioni di pericolo: è questa la ragione per cui - in relazione a situazioni pericolose imprevedibili o non immediatamente eliminabili (si pensi, ad es., alla perdita d’olio da un motore o all’ingombro della carreggiata causato dalla caduta di oggetti da un veicolo in transito) - si è evocata la distinzione fra strade ubicate nel perimetro urbano e strade extraurbane o si è valorizzato il dato dell’estensione del demanio o della destinazione dello stesso ad una generalità indeterminata di utenti al fine di ricondurre nell’ambito del caso fortuito tutte quelle situazioni che, sfuggendo alla possibilità di controllo continuo e di immediato intervento dell’ente proprietario, non potrebbero dirsi comprese nella sua sfera di effettiva custodia. Ciò premesso, deve tuttavia ritenersi che tale distinzione non abbia ragione di essere invocata in relazione all’adeguatezza della segnaletica stradale, giacché rispetto ad essa non possono darsi quelle evenienze (di imprevedibilità o impossibilità di immediato intervento) che in alcuni casi consentono di escludere - in concreto - un effettivo potere di controllo su beni compresi nel demanio stradale. È evidente, infatti, che l’attività diretta all’ordinaria “apposizione e manutenzione della segnaletica stradale” (disciplinata dagli artt. 37 e segg. del Codice della Strada) non è soggetta a imprevisti di sorta e può (e - dunque deve) essere realizzata secondo criteri di completezza e adeguatezza per ogni tipo di strada (a prescindere dal fatto che la stessa sia statale o provinciale o comunale, urbana o extraurbana) e con necessità di tener conto, in ogni caso, delle concrete caratteristiche del tratto stradale e delle effettive necessità di segnalazione. Non può dunque affermarsi che, quanto alla collocazione della segnaletica, l’ente gestore si trovi in posizione differente per le strade comprese nel perimetro urbano e per quelle extraurbane, né può riconoscersi un qualche rilievo all’estensione del bene o al numero degli utenti; deve allora affermarsi il seguente principio di diritto: “in relazione a qualunque tipo di strada, l’ente proprietario o gestore ha sempre la possibilità di collocare la segnaletica prevista dal Codice della Strada, con la conseguenza che, ove si prospetti l’esistenza di un rapporto causale fra l’inidoneità della segnaletica e un sinistro stradale, non può predicarsi l’esclusione dell’applicazione del paradigma dell’art. 2051 c.c. per il solo fatto che la strada sia extraurbana”. 5.4. Ciò premesso in punto di diritto e considerato che la soluzione della controversia dipende - in ultima analisi - dalla valutazione dell’adeguatezza o meno della segnaletica presente in prossimità dell’incrocio in cui si verificò il sinistro, deve ritenersi che la motivazione della sentenza sia viziata - per insufficienza - in relazione all’affermazione dell’idoneità della segnaletica. Infatti, pur fondando il proprio apprezzamento sulle risultanze del rapporto della Polizia Stradale (che descrive il luogo dell’incidente ed evidenzia almeno tre circostanze significative, ossia il fatto che l’unica segnaletica verticale era costituita da un cartello di stop, che la segnaletica orizzontale era “in alcuni punti nemmeno visibile” e che dopo l’incidente venne apposto un ulteriore segnale di stop), la Corte territoriale mostra di aver considerato esclusivamente le buone condizioni atmosferiche e di visibilità e il fatto che “lungo la strada percorsa dal G. era presente una segnaletica verticale di stop... che come leggesi nel rapporto della Polizia stradale... era avvistabile da una notevole distanza rispetto al punto in cui i due veicoli venivano a conflitto”), trascurando di prendere in considerazione gli altri elementi (quanto meno per escluderne la rilevanza nell’ambito di una valutazione complessiva delle risultanze del medesimo rapporto) che pure non apparivano - prima facie - privi di significato. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 695 giur L e g i t t i m i tà Sebbene il giudice non sia tenuto a confutare analiticamente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento (implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata), ritiene il Collegio che, nel momento in cui ha scelto di riconoscere prevalente rilevanza alle risultanze del rapporto della Polstrada, la Corte non avrebbe potuto non dar conto di avere effettivamente vagliato tutti gli elementi risultanti da detto rapporto, spiegando perché - nelle condizioni date ed anche a fronte del fatto che, dopo il sinistro, venne apposto un secondo segnale di stop - l’unico segnale all’epoca esistente sia stato ritenuto idoneo - da solo e in difetto di adeguata segnaletica orizzontale - ad assolvere all’obbligo di segnalare adeguatamente la presenza dell’incrocio (tanto più che il giudizio di “avvistabilità” dell’unico segnale presente, espresso dall’autore del rapporto, non è assistito dalla fede privilegiata). 6. Accolti, pertanto, i motivi IV, V (sub A), VI e VII e cassata la sentenza in relazione ad essi (con assorbimento dei motivi IX e X, attinenti al regolamento delle spese processuali), deve disporsi un nuovo giudizio che rivaluti i fatti alla luce dei principi di diritto sopra illustrati e delle ragioni che hanno determinato l’insufficienza della motivazione della sentenza cassata. 7. La Corte di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio. (Omissis) Corte di cassazione penale sez. IV, 11 giugno 2014, n. 24612 (ud. 10 aprile 2014) Pres. Brusco – Est. Brusco – P.M. Di Popolo (parz. diff.) – Ric. Izzo Reato y Elemento soggettivo (psicologico) y Colpa y Colpa cosciente y Prevedibilità dell’evento dannoso y Sufficienza y Esclusione y Prova dell’effettiva prevedibilità dell’accadimento dell’evento futuro y Necessità y Fattispecie in tema duplice omicidio colposo derivante da sinistro stradale. . Ai fini della configurabilità dell’aggravante della c.d. “colpa cosciente” (art. 61 n. 3 c.p.), non è sufficiente la mera “prevedibilità” dell’evento successivamente verificatosi, ma occorre la prova della sua effettiva previsione, accompagnata dal convincimento, comunque nutrito, che esso non si sarebbe verificato. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha censurato la decisione dei giudici di merito i quali, in un caso di duplice omicidio colposo derivante da incidente stradale, avevano riconosciuto l’aggravante in questione sulla sola base della prevedibilità dell’evento, avuto riguardo alla gravità della condotta colposa posta in essere dall’imputato, costituita dall’avere egli intrapreso, alla guida della sua autovettura, procedendo a velocità largamente superiore al consentito, in prossimità di una curva, il sorpasso di altro veicolo, venendo quindi a 696 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. collidere con un ciclomotore proveniente dall’opposto senso di marcia). (Mass. Redaz.) (c.p., art. 43; c.p., art. 575; c.p., art. 589) (1) (1) Nello stesso senso della pronuncia in commento si veda Cass. pen, sez, IV, 25 marzo 2009, 13083, in Riv. pen. 2009, 823. Sul tema, per un distinguo tra la figura della colpa cosciente e quella del dolo eventuale, si veda Cass. pen., sez. IV, 24 marzo 2010, n. 11222, in questa Rivista. 2011, 704. Svolgimento del processo 1. Il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, con sentenza del 22 aprile 2009, dichiarato Izzo Lorenzo responsabile del delitto di duplice omicidio colposo, con violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale, ai danni di Longobardo Anna e Palumbo Enrico, nonché del reato di cui all’art. 189, commi 1 e 6, cod. strada - perchè, dopo aver cagionato il sinistro stradale di cui si è detto, si era dato alla fuga, così venendo meno all’obbligo di fermarsi - lo condannava, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni sette di reclusione (con revoca della patente di guida), nonché a risarcire il danno patito dalle parti civili, da liquidarsi in separata sede, in favore delle quali stabiliva alcune provvisionali. In particolare i giudici di merito hanno accertato che l’imputato - percorrendo alla guida di un’autovettura FIAT Barchetta, alla velocità di 110 Km/h, una strada a doppio senso di circolazione sulla quale era imposto, nel suo senso di marcia, il limite massimo di 40 Km/h effettuava, in ora notturna e a ridosso di un centro abitato, una manovra di sorpasso in prossimità di una curva e in presenza di un espresso divieto, invadendo del tutto l’opposta semicarreggiata e così travolgendo un ciclomotore a bordo del quale viaggiavano, in senso contrario, le due vittime indicate. 1.1. La Corte d’appello di Napoli, investita dell’appello proposto da Izzo Lorenzo, con sentenza del 18 febbraio 2013, sostituita la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida con la sospensione della stessa per la durata di quattro anni, confermava nel resto la sentenza di primo grado. 2. L’imputato propone ricorso per cassazione corredato da sette motivi di censura. 2.1. Con il primo motivo viene dedotta violazione di legge in relazione all’art. 420 ter, c.p.p. Assume il ricorrente che il giudice per le indagini preliminari era incorso in una ipotesi di nullità per avere dichiarato, all’udienza del 1°ottobre 2007, la contumacia dell’imputato in assenza dell’avviso previsto dall’art. 420 ter del codice di rito. Alla prima udienza del 29 giugno 2007 il processo non era stato trattato per l’adesione del difensore ad un’astensione proclamata “dagli avvocati pena listi di Napoli” e il Gip, rinviando all’udienza dello ottobre 2007, senza dichiarare la contumacia, non aveva disposto darsi avviso all’imputato. A quest’ultima udienza il Gip, vista la regolarità della notifica per l’udienza del 29 giugno 2007, aveva dichiarato la contumacia e poiché la contumacia non era stata accertata all’udienza del 29 giugno 2007 il giudice non avrebbe potuto dichiararla all’udienza successiva, senza che fosse stato effettuata una nuova citazione dell’imputato. giur L e g i t t i m i tà 2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotto vizio motivazionale in relazione al comma 5 dell’art. 420 ter c.p.p. Il Tribunale aveva disatteso l’istanza di rinvio per legittimo impedimento derivante da concomitante impegno professionale del difensore per l’udienza del 10 dicembre 2008. L’istanza in parola, fatta pervenire cinque giorni prima, illustrava i plurimi impegni professionali del titolare della difesa, taluni dei quali concernenti imputati detenuti, e affermava l’impossibilità di nominare sostituti ma era stata ingiustamente disattesa e il difensore, impegnato dinanzi alla Corte d’appello di Napoli in difesa di tale Manno Antonio, non era stato in grado di raggiungere Pozzuoli, a cagione del ritardo che aveva interessato la causa del Manno. 2.3. Con il terzo motivo viene allegato vizio motivazionale in ordine all’affermata penale responsabilità per la violazione dell’art. 189, cod. strada. Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che l’imputato, in preda a forte stato confusionale per l’accaduto, sceso dalla propria autovettura, si era fatto accompagnare da un passante in ospedale, ove gli era stata medicata una ferita alla fronte, presentandosi, poco dopo, del tutto spontaneamente, al Commissariato di P.S. Inoltre, soggiunge il ricorrente, non essendovi alcuno da soccorrere, in quanto due ragazzi erano deceduti sul colpo, il reato ipotizzato non era configurabile. 2.4. Con il successivo motivo viene denunziato vizio motivazionale in ordine alla ritenuta aggravante della colpa cosciente o con previsione. Le potenzialità dell’autovettura, le buone condizioni dell’asfalto e quelle del conducente facevano escludere che costui si fosse reso conto della possibilità di un simile accadimento. La noncuranza di quanto può avvenire agli altri utenti della strada configura una colpa grave ma non una colpa cosciente. 2.5. Con il quinto motivo, denunziando vizio motivazionale, l’imputato si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e della quantificazione della pena, giudicata eccessiva. La Corte territoriale, nel disattendere lo specifico motivo, si era limitata a richiamare la motivazione del Tribunale, senza aver preso in seria considerazione gli elementi che avrebbero dovuto controbilanciare, in favore del ricorrente, il giudizio negativo (giovane età, incensuratezza, ammissione dei fatti, corretto comportamento tenuto dopo il sinistro). 2.6. Con il sesto motivo si assume che la Corte partenopea aveva incongruamente disatteso la richiesta di riduzione delle provvisionali, pur in presenza di colpa concorrente delle vittime le quali non indossavano il casco e prendevano posto in due su un veicolo abilitato al trasporto di una sola persona. 2.7. Infine, con l’ultimo motivo, viene denunziata violazione di legge in quanto il giudice di secondo grado aveva applicato la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, peraltro per la durata massima di legge, senza alcuna richiesta da parte del P.M. Motivi della decisione 3. Il ricorso è fondato limitatamente alla riconosciuta esistenza dell’aggravante della colpa con previsione mentre i restanti motivi sono infondati o inammissibili. 3.1. Preliminarmente deve essere ritenuto infondato il primo motivo di ricorso che si riferisce alla irregolare costituzione del giudizio nell’udienza preliminare per non essere stato dato avviso all’imputato, regolarmente citato ma non ancora dichiarato contumace, del rinvio ad una successiva udienza. È anzitutto necessario, per valutare la fondatezza del motivo, descrivere la fattispecie in concreto verificatasi con l’esame degli atti richiamati nel ricorso trattandosi di dedotta violazione di natura processuale per il cui esame il giudice di legittimità è giudice del fatto. Non è contestato che all’imputato sia stato regolarmente notificato l’avviso per l’udienza preliminare fissata per il giorno 29 giugno 2007. In questa udienza l’imputato Izzo Lorenzo non è comparso e il suo difensore di fiducia, avv. Diego Di Bonito, ha dichiarato di aderire all’astensione dalle udienze proclamata dalla camera penale di Napoli. Il giudice ha rinviato l’udienza al 1° ottobre 2007 e in questa udienza, alla quale l’imputato non era presente, il difensore ha eccepito il mancato avviso al suo assistito della nuova udienza fissata. Il giudice, dopo aver disatteso l’eccezione sottolineando che l’avviso per l’udienza preliminare era stato regolarmente notificato per la precedente udienza alla quale l’imputato non era comparso senza addurre alcun legittimo impedimento, ha disposto la prosecuzione del processo previa dichiarazione della contumacia dell’imputato. La Corte non ignora che, secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità, la fattispecie accertata integra un’ipotesi di nullità che, pur non rientrando tra quelle previste dall’art. 179 c.p.p. (in particolare non potendosi considerare omessa la citazione, in effetti già regolarmente effettuata, ma trattandosi di sua omessa rinnovazione), integra un’ipotesi di nullità a regime intermedio che deve essere eccepita nei termini previsti dall’art. 182 comma 20 del codice di rito (cfr. Cass., sez. II, 19 maggio 2009 n. 25675, Furgone, rv. 244170; 12 marzo 2008 n. 15417, Cattaneo, rv. 239793). Nel caso di specie risulta che l’eccezione sia stata proposta all’udienza del 1° ottobre 2007 - e riproposta con i motivi di appello - per cui la nullità, se esistente, non potrebbe ritenersi sanata e quindi poteva essere dedotta anche con il ricorso in cassazione. Ma la Corte. ritiene di dover richiamare un diverso orientamento di legittimità già fatto proprio da questa sezione con la recente sentenza 17 ottobre 2013 n. 1497), Alimi, Rv. 258563. In base a questa decisione la mancata formale dichiarazione di contumacia dell’imputato non comparso all’udienza, per la quale abbia regolarmente ricevuto la notificazione della richiesta di rinvio a giudizio, e senza che sia stato indicata alcuna ragione di impedimento a comparire, non impedisce di ritenere l’imputato contumace già alla prima udienza anche se la contumacia non sia stata formalmente dichiarata. Va infatti distinta Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 697 giur L e g i t t i m i tà l’ipotesi nella quale l’imputato abbia addotto un legittimo impedimento a comparire - nel qual caso incombe sul giudice l’obbligo di verificare l’esistenza dell’impedimento che, se accertato, impone di rinotificare l’atto di evocazione in giudizio (art. 420 ter, comma 1, c.p.p.) dal caso in cui alcun legittimo impedimento sia stato addotto o la verifica sulla sua esistenza abbia avuto esito negativo. In questa seconda ipotesi (inesistenza del legittimo impedimento perchè non eccepito o non provato) esistono i presupposti per la dichiarazione di contumacia e alcun effetto può derivare dalla circostanza che tale dichiarazione non sia formalmente avvenuta o che avvenga solo successivamente. L’ordinamento processuale si va infatti sempre più orientando verso un sistema di garanzie “sostanziali” che hanno come riferimento la conoscenza effettiva dei dati necessari alla difesa e non l’astratta garanzia del rispetto formale delle norme e, proprio in tema di mancata dichiarazione di contumacia, in presenza dei presupposti per questa dichiarazione, la giurisprudenza di legittimità si è in prevalenza orientata nel senso di ritenere irrilevante la mancata dichiarazione sia perchè questa causa di nullità non è prevista dalla legge sia perchè dalla situazione indicata non deriva alcun pregiudizio all’imputato (solo semplificativamente si richiamano, oltre alla già citata sentenza Alimi, sez. V, 4 giugno 2008, n. 36651, Ventola, Rv. 241634; sez. IV, 15 novembre 2006, n. 41981, Marzotto). Consegue alle considerazioni svolte che già all’udienza del 29 giugno 2007 esistevano i presupposti per la dichiarazione di contumacia dell’imputato e quindi diveniva applicabile il disposto dell’art. 420 quater, comma 1, c.p.p. che attribuisce al difensore la rappresentanza dell’imputato contumace. 3.2. Esiste un diverso aspetto del problema che peraltro non è stato evidenziato dalla difesa del ricorrente ma si ritiene opportuno esaminare perchè astrattamente idoneo a produrre una nullità assoluta e insanabile rilevabile d’ufficio. All’udienza del 29 giugno 2007 il giudice provvide, a norma dell’art. 420 c.p.p., agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti e in questa fase non rilevò alcun vizio nelle notificazioni e comunicazioni alle parti. In questo momento, in mancanza della deduzione di una ragione di impedimento a comparire dell’imputato, esistevano quindi i presupposti per la dichiarazione di contumacia. Subito dopo però il difensore manifestò la sua volontà di aderire alla sospensione dalle udienze proclamata dall’Unione delle camere penali. Orbene, anche a voler prescindere dal dato formale che, prima di tale dichiarazione, si erano già verificati i presupposti per la dichiarazione di contumacia si osserva che il caso non è equiparabile a quello dell’impedimento riconosciuto del difensore che non consente - per il combinato disposto dei commi 1 e 5 dell’art. 420 ter c.p.p. - di trattare anche le questioni pregiudiziali e impone la rinnovazione dell’avviso. L’adesione all’astensione proclamata da un organismo sindacale non costituisce infatti un impedimento ma l’esercizio di una libertà con la conseguente necessità di 698 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. contemperare le contrapposte esigenze (in questo senso, sia pure ai diversi fini del calcolo della durata della sospensione della prescrizione per il disposto dell’art. 169 comma 3 c.p., v. sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 10621, M., Rv. 256067; sez. II, 12 febbraio 2008, n. 20574, Rosano, Rv. 239890); con la conseguenza che non può essere inibito al giudice in presenza dell’astensione di pronunziare un provvedimento ordinatorio (peraltro sempre revocabile) quale la dichiarazione della contumacia; pronuncia vietata solo in caso di impedimento (sulla possibilità di dichiarare la contumacia dell’imputato anche in caso di adesione del difensore all’astensione proclamata dall’organismo di categoria v. sez. IV, 28 settembre 2010, n. 37933, Mancuso, Rv. 248452; 12 ottobre 2005, n. 44657, Ferraro, Rv. 232373; sez. III, 18 dicembre 2000, n. 5941, Fazio, Rv. 218701; analogamente, per la revoca della contumacia, v. sez. I, 28 ottobre 2009, n. 44202, G., Rv. 245680). 3.2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso. L’impedimento del difensore di fiducia, già regolato dall’abrogato art. 486 comma 50 c.p.p., è ora disciplinato dall’art. 420, ter, comma 50, del codice di rito che impone la sospensione o il rinvio del dibattimento “nel caso di assenza del difensore quando risulta che l’assenza stessa è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento, purchè prontamente comunicato.” Grava pertanto sul difensore (o sull’imputato) l’onere di dimostrare l’assoluta impossibilità di comparire per espletare il mandato difensivo e non v’è dubbio che il concomitante impegno difensivo possa integrare il legittimo impedimento. In questo caso però il difensore dovrà dimostrare l’esistenza dell’impegno concomitante e indicare le ragioni che lo inducono a privilegiare una difesa rispetto ad un’altra e su questa scelta, a meno che sia fondata su criteri incongrui, il potere di sindacato del giudice è assai limitato. Va ancora rilevato peraltro che, anche in presenza di legittimo impedimento, il giudice, in base al principio del bilanciamento degli interessi in gioco, può respingere l’istanza qualora lo impongano ragionevoli ragioni attinenti alla corretta amministrazione della funzione giudiziaria (per es. il prossimo maturare della prescrizione). In ogni caso costituisce presupposto per l’applicazione dell’istituto, ai fini della concessione della sospensione o del rinvio, la tempestiva comunicazione dell’impedimento. Questa tempestività è ovviamente riferita al momento in cui il difensore viene a conoscenza del concomitante impegno difensivo ed ha lo scopo di consentire al giudice del processo di cui si chiede il rinvio di riprogrammare il ruolo di udienza inserendo, ove possibile, la trattazione di altri processi. Nel caso in esame il giudice di merito ha fatto buon governo di questi principi rilevando (in un caso in cui il legittimo impedimento era documentato e la scelta di privilegiare l’altro processo poteva apparire in astratto motivata) che il difensore non aveva documentato la contestuale trattazione dei procedimenti nei confronti di Avallone Carlo e Panico Antonio ma solo la qualità di difensore dei predetti; che, per quanto riguarda il procedimento nei confronti di giur L e g i t t i m i tà Manno Antonio, non era dato desumere dalla documentazione prodotta lo stato di detenzione; che l’impossibilità di sostituzione era solo apoditticamente affermata senza che venissero spiegate le ragioni di tale impossibilità. Trattasi di motivazione adeguata ed esente da alcun vizio logico che conseguentemente si sottrae al sindacato di legittimità; in particolare, per quanto riguarda la possibilità di sostituzione, si osserva che la decisione è rispettosa dell’orientamento uniforme del giudice di legittimità secondo cui il difensore ha l’onere di indicare le ragioni che giustificano l’affermata impossibilità di sostituzione (cfr. sez. V, 28 ottobre 2010, n. 41148, Cutrale; Rv. 248905; sez. I, 11 febbraio 2004, n. 13351, Appio, Rv. 228160). 4. Passando all’esame dei motivi di merito deve anzitutto rilevarsi l’inammissibilità del terzo motivo riguardante l’affermata responsabilità per il delitto previsto dall’art. 189 del codice della strada. Il ricorrente, con la censura in esame, pretende infatti di fornire del fatto che lo ha riguardato una lettura difforme da quella logicamente argomentata dal giudice di appello e senza neppure confrontarsi con le argomentazioni da questi fornite. In particolare i giudici di secondo grado hanno accertato che le ferite subite da Izzo Lorenzo erano superficiali e non tali comunque da provocare uno stato mentale di natura patologica che potesse influire sulla percezione dell’incidente e della sua gravità. Questa valutazione è stata fornita all’esito dell’esame della condotta tenuta dall’imputato subito dopo l’incidente e nelle ore successive e la sentenza impugnata ha tratto conferma del suo convincimento anche dal contenuto delle dichiarazioni rese nell’interrogatorio dal medesimo imputato. Irrilevante è poi la circostanza che, al momento dell’allontanamento, i due motociclisti investiti fossero già morti posto che all’imputato è stato contestato il reato di fuga di cui al comma sesto dell’art. 189 codice della strada e non anche quello di omissione di soccorso di cui al comma 7. 4.2 È invece fondato, come si è già accennato, il motivo che si riferisce alla riconosciuta esistenza dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 3 c.p. (colpa con previsione o colpa “cosciente”). Va premesso che la natura normativa della colpa, ormai generalmente riconosciuta, trova una significativa deroga nel caso della colpa con previsione o “colpa cosciente” nella quale la componente psicologica è non solo ineliminabile ma addirittura preponderante anche se la componente normativa è parimenti essenziale (è pur sempre necessario, nella colpa con previsione, che l’agente violi una regola cautelare). Tradizionalmente si afferma che, nella colpa cosciente (che il legislatore considera un’aggravante: art. 61 n. 3 c.p.) l’agente prevede che la sua condotta possa cagionare l’evento ma ha il convincimento di poterlo evitare. Questa forma di colpa è contigua ad un’ipotesi di dolo, il dolo eventuale; ciò che distingue la colpa cosciente dal dolo eventuale è che, in questo secondo caso (dolo eventuale) l’agente non ha la convinzione di poter evitare l’evento ma accetta il rischio che l’evento si verifichi. Tanto che - si è affermato in dottrina nel caso della colpa con previsione, se l’agente avesse saputo che l’evento si sarebbe verificato si sarebbe astenuto mentre, nel caso del dolo eventuale, avrebbe agito ugualmente. Inutile aggiungere che la distinzione tra le due ipotesi assume un rilievo ben maggiore quando il fatto non sia previsto come reato nella forma colposa. In questi casi un fatto reato previsto soltanto come doloso difetta di tipicità se è possibile provare esclusivamente la colpa, sia pure con la previsione dell’evento, e non il dolo eventuale (e tanto meno il dolo diretto o quello intenzionale). Nel caso, poi, di colpa per omissione sarà anche necessario individuare l’esistenza di una posizione di garanzia per poter addebitare l’evento, anche da un punto di vista oggettivo, all’agente. Dunque ciò che contraddistingue la colpa con previsione è la circostanza che l’agente prevede l’evento dannoso ma (a differenza di quanto avviene per il dolo eventuale) è convinto di poterlo evitare. Non è dunque sufficiente che l’evento sia prevedibile - perchè la prevedibilità dell’evento costituisce elemento ineludibile ed essenziale per poter ritenere esistente l’elemento soggettivo per ogni forma di reato colposo - ma è necessario che l’agente l’abbia previsto in concreto sia pure con il convincimento di cui si è detto. In realtà le opzioni dottrinarie e giurisprudenziali sono più estese e si rinvengono definizioni di maggiore ampiezza che fanno riferimento non solo al caso in cui l’agente abbia escluso la possibilità del verificarsi dell’evento ma altresì nei casi in cui si sia rappresentato la realizzazione dell’evento quale mera ipotesi astratta ovvero abbia agito nella ragionevole speranza che l’evento non si verifichi; anche se non sembra priva di fondamento la critica rivolta alle sentenze che hanno ravvisato la colpa cosciente in queste ultime due ipotesi. Nella prima occorre infatti verificare se l’ipotesi astratta coincida con la previsione effettiva perchè viene posta in dubbio la rappresentazione anticipata dell’evento da parte dell’agente. Nel secondo caso (ragionevole speranza) ci si potrebbe addirittura chiedere che questa ipotesi non si risolva nel dolo eventuale (accetto che l’evento dannoso si verifichi, pur non volendolo, ma spero che non si verifichi). Sembra quindi più ragionevole rifarsi al concetto tradizionale della previsione dell’evento con il convincimento di evitarlo. Ovviamente, come spesso avviene per gli elementi della condotta che hanno una connotazione di natura psicologica, il problema più complesso in queste fattispecie è quello dell’accertamento degli elementi, per lo più di natura sintomatica e quindi indiziaria, dai quali sia possibile dedurre che l’agente aveva previsto, sia pure genericamente, un evento dannoso del tipo di quello effettivamente provocato. 4.2. Alla luce dei principi esposti non è possibile affermare che le due decisioni di merito, pur ampiamente argomentate anche sotto il profilo in esame, li abbiano correttamente applicati al caso oggetto del presente giudizio. Le due sentenze, infatti, fondano la loro valutazione su elementi certamente idonei a dimostrare l’esistenza della prevedibilità dell’evento e a confermare l’elevatissimo grado di colpa da parte dell’imputato che ha agito in violazione di numerose regole di comportamento. Ma Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 699 giur L e g i t t i m i tà la colpa con previsione è un’altra cosa: non è, ovviamente, la prevedibilità dell’evento e prescinde dalla gravità della colpa. Ciò che è richiesto è che l’agente si sia concretamente rappresentato la possibilità del verificarsi di un evento dannoso sia pure con la convinzione di evitare che si verifichi. Non basta dunque che l’evento sia prevedibile ma occorre che l’agente lo abbia concretamente previsto. Come sono pervenuti i giudici di merito ad accertare la concreta rappresentazione dell’evento? Il giudice di primo grado sottolinea il “quadro di un giovane spericolato ed eccitato, con una condotta di guida estremamente imprudente e negligente, intesa a rimarcare la propria sicurezza, il predominio e la padronanza dell’auto e della strada”; rimarca come queste circostanze abbiano “contribuito ad ingenerare nell’agente un senso di onnipotenza, che, in uno alla giovane età, ha evidentemente consentito di agire convinto di non correre rischi di sorta, confidando nelle proprie capacità di guida, forse convinto che nulla sarebbe potuto accadere”; e rileva come “la giovane età dell’imputato deve ritenersi l’elemento preponderante tra quelli che hanno condotto a sopravvalutare le proprie capacità e agire con incoscienza, nel senso di colpevole noncuranza delle regole di comportamento stradale e di avventatezza, quindi del tutto compatibile con la ritenuta sussistenza di una colpa con previsione”. Questa sentenza, con le argomentazioni riportate, nella sostanza esclude la colpa “cosciente” laddove afferma l’esistenza di un senso di “onnipotenza” e afferma che l’imputato ha agito “convinto di non correre rischi di sorta”: dunque non ha previsto alcunché e tanto meno la possibilità di provocare un incidente mortale. La sentenza di appello ha ben compreso la contradditorietà in cui è incorso il giudice di primo grado (come può aversi colpa cosciente se l’agente neppure prevede la possibilità di un incidente ?) ma nella sostanza non si discosta da questa impostazione perchè la previsione dell’evento è fondata su una serie di elementi congetturali e solamente affermati ma non dimostrati neppure in via indiziaria. La sentenza sottolinea infatti che l’imputato, tenendo una velocità ben al di sopra del limite consentito e “impegnandosi in una manovra di sorpasso pur in presenza di espresso divieto, a ridosso di una curva e, dunque, in condizioni di ridotta visibilità, invadendo integralmente l’opposta corsia di marcia........ha consapevolmente e volontariamente accettato la situazione di concreto pericolo della propria condotta, rappresentandosi la probabilità o anche la sola possibilità di rischio di collisione frontale con veicolo procedente nell’opposta direzione di marcia, ma confidando nella propria capacità di controllare l’azione con imprudente e negligente valutazione delle circostanze di fatto e, segnatamente, della ridotta o nulla possibilità di effettuare manovre di emergenza per evitare l’impatto.” 4.2. Che cosa manca nella ricostruzione dei giudici di merito (in particolare in quella oggi impugnata) per poter ritenere realizzati gli elementi dell’aggravante in questione? Manca l’indicazione degli elementi sintomatici che consentano di ritenere previsto - e non solo prevedibile - 700 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. l’evento. Non è sufficiente affermare la gravità, peraltro indiscussa, delle violazioni compiute né che tale condotta gravemente inosservante rendesse prevedibile (ma la sentenza impugnata parla anche della mera possibilità) il verificarsi di un evento dannoso; la colpa, per la sua natura normativa, si fonda sulla violazione di regole cautelari che si formano su base normativa o tenendo conto dell’esperienza che consente di attribuire carattere di prevedibilità a certe violazioni. Non solo; la prevedibilità degli eventi dannosi sta alla base della formazione della regola cautelare ma è richiesta anche la prevedibilità dell’evento in concreto verificatosi. Se si prende a parametro della colpa con previsione la prevedibilità dell’evento si è fuori strada perchè la prevedibilità è il fondamento della colpa; non è sufficiente che l’agente abbia violato una regola cautelare, che da questa violazione sia derivato l’evento dannoso e che questo evento fosse prevedibile; è necessario che questo evento fosse previsto dall’agente. Deve quindi esistere, perchè l’evento possa essere ritenuto “previsto”, un dippiù rispetto alla sua mera prevedibilità e ciò non può essere costituito dalla gravità delle violazioni compiute (si può avere previsione dell’evento anche in presenza di lievi trasgressioni delle regole di prudenza o diligenza) bensì da elementi - ovviamente, nella generalità dei casi, di natura sintomatica - che consentano di affermare che l’evento è stato effettivamente previsto dall’agente. Non sono ipotesi di scuola: per rimanere al tema del sorpasso in situazione di pericolo oggetto di questo processo potrebbe affermarsi l’esistenza della colpa “cosciente” nel caso in cui un automobilista esegua un sorpasso, confidando nella rapidità della sua manovra, pur essendosi accorto che la corsia che deve impegnare per il sorpasso è già occupata da un’autovettura che proviene dal senso inverso; o, nel caso in cui il sorpasso avvenga in curva, se l’altra corsia appaia impegnata da una serie di veicoli che la stanno percorrendo; o, ancora, quando l’agente, conscio della brevità del tratto libero nel quale può eseguire il sorpasso, lo compia ugualmente trovandosi nella necessità di rientrare anzitempo e vada ad urtare contro il veicolo che stava sorpassando). Anche al di fuori della circolazione stradale possono agevolmente individuarsi casi di colpa con previsione: il medico che esegua un intervento chirurgico non urgente che sa non rientrare nelle sue competenze professionali e lo esegua in modo imperito con la consapevolezza dei danni che può provocare un intervento errato; il datore di lavoro che, avvertito di una situazione di grave e attuale pericolo per l’incolumità dei lavoratori (per es. che una superficie di passaggio non è in grado di sopportare il peso delle persone), insista per la prosecuzione delle attività lavorative senza l’adozione di alcuna cautela. E poiché, malgrado gli sforzi motivazionali dei giudici di merito, alcun elemento sintomatico è stato individuato per ritenere provata la previsione dell’evento la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente al riconoscimento della contestata aggravante con le conseguenze di seguito indicate. giur L e g i t t i m i tà 5. Il quinto motivo, con il quale ci si duole del trattamento sanzionatorio, è inammissibile perchè proposto per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità. Il trattamento sanzionatorio - comprensivo del riconoscimento delle circostanze attenuanti e della loro comparazione con le eventuali aggravanti e della concessione dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione - rientra nelle attribuzioni esclusive del giudice di merito e così anche la determinazione della pena da infliggere in concreto che, per l’art. 132 c.p., è applicata discrezionalmente dal giudice che deve indicare i motivi che giustificano l’uso di tale potere. In sede di legittimità è invece consentito esclusivamente valutare se il giudice, nell’uso del suo potere discrezionale, si sia attenuto a corretti criteri logico giuridici e abbia motivato adeguatamente il suo convincimento. Nel caso in esame la sentenza impugnata si è attenuta ai criteri indicati facendo riferimento - per motivare il diniego sulle richieste formulate di riduzione della pena e di concessione delle attenuanti generiche - alla negativa personalità dell’imputato, alla condotta successiva all’incidente, alle gravi modalità dell’azione (ritenuta “spavalda, sconsiderata” imprudente, azzardata”) caratterizzata, oltre che dall’elevato grado della colpa, da”riprovevole insensibilità dimostrata contro l’altrui incolumità e dalla glaciale indifferenza rispetto agli esiti e conseguenze della propria condotta”. Questa valutazione, essendo congruamente e logicamente motivata, si sottrae ad ogni censura in sede di legittimità. 6. Infondata è la censura (sesto motivo di ricorso) che si riferisce alla richiesta di riduzione delle provvisionali, pur in presenza di colpa concorrente delle vittime, le quali non indossavano il casco e prendevano posto in due su un veicolo abilitato al trasporto di una sola persona. La Corte di merito ha infatti motivatamente escluso l’efficienza causale del mancato uso del casco ritenendo accertato che le conseguenze dell’impatto sarebbero state le stesse, in considerazione della violenza dell’impatto tra i veicoli, anche se le due vittime avessero utilizzato il mezzo protettivo (la sentenza precisa che questa valutazione è stata fornita dai consulenti tecnici). Quanto all’aver viaggiato irregolarmente in due persone su un veicolo abilitato a trasportarne uno la Corte esclude che questa condotta possa considerarsi concausa dell’evento e afferma che la condotta dell’imputato - che ha invaso ad elevata velocità la corsia percorsa dalle vittime - costituisce causa sopravvenuta che esclude il rapporto di causalità con la condotta colposa che costituisce astratta concausa dell’evento. Con questa affermazione il ricorrente non si confronta limitandosi alla richiesta di riduzione delle provvisionali senza addurre alcun argomento idoneo a contrastare le ragioni indicate per fondare il diniego della richiesta. 7. Inammissibile è infine l’ultimo motivo di ricorso che si riferisce alla sospensione della patente di guida nella misura massima (quattro anni) prevista dalla legge. Il motivo è generico perchè non spiega le ragioni della richiesta e si fonda su un presupposto errato: che la Corte abbia di sua iniziativa applicato l’indicata sanzione ammi- nistrativa accessoria mentre, in realtà, la Corte ha accolto il motivo di appello - con il quale si era contestata la possibilità di applicare, nel caso in esame, la revoca della patente di guida - e ha sostituito la revoca con la sospensione motivando adeguatamente sulla sua durata. 8. In base alle considerazioni svolte il ricorso va accolto limitatamente alla ravvisata esistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 3 c.p. Aggravante che deve essere eliminata con conseguente rideterminazione della pena cui può direttamente procedere questa Corte - ai sensi dell’art. 620 lett. I del codice di rito - eliminando l’aumento di anni uno e mesi quattro applicato per l’indicata aggravante dal primo giudice e confermato dal giudice di appello. La pena definitiva è dunque quella di anni cinque e mesi otto di reclusione. Restando al tema della determinazione della pena rileva la Corte che il primo giudice aveva riconosciuto la continuazione tra i due reati per i quali è stata affermata la responsabilità dell’imputato malgrado la natura colposa di uno di essi. Posto che è da escludere che ci si trovi in presenza di concorso formale di reati è da ritenere che la statuizione (immotivata sul punto) sia fondata sulla ritenuta esistenza della colpa con previsione che, in base ad un precedente di questa sezione (n. 3579 del 29 novembre 2006, Galluzzo, Rv. 236018), consente di ritenere applicabile la continuazione. Venuta meno l’aggravante viene meno anche la possibilità di applicare la continuazione e l’aumento di pena è divenuto illegale perchè inferiore al minimo di legge. Peraltro la mancanza di impugnazione da parte del pubblico ministero rende non modificabile la statuizione sul trattamento sanzionatorio. (Omissis) Corte di cassazione civile sez. V, 11 giugno 2014, n. 13147 Pres. Merone – Est. Bruschetta – P.M. Sepe (conf.) – Ric. Min. Economia e Finanze (Avv. Gen. Stato) c. International Car S.r.l. (avv.ti Licciardello e Grasso) Veicoli y Tassa di circolazione y Ingiunzione di pagamento y Redazione del verbale di accertamento ex art. 2 L. n. 27/1978 e notifica dello stesso y Necessità y Esclusione. . In tema di tassa di circolazione, in caso di comunicazione ai sensi dell’art. 5, comma 39, della legge 28 febbraio 1983, n. 53, da parte dell’ufficio che cura la tenuta del pubblico registro automobilistico, all’amministrazione finanziaria, delle notizie occorrenti per l’applicazione del tributo e per la individuazione del proprietario del veicolo, non ricorre l’obbligo, previsto dall’art. 2 della legge 24 gennaio 1978, n. 27, di redigere specifico processo verbale di accertamento della violazione e di notificarlo all’interessato anteriormente alla notificazione dell’ingiunzione, atteso che la menzionata tassa non colpisce più l’illecita circolazione del veicolo, essendone diverso il presupposto, ora consistente Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 701 giur L e g i t t i m i tà nel possesso dello stesso, e che l’ACI non è più titolare dello specifico potere impositivo. (l. 24 gennaio 1978, n. 27, art. 2; l. 28 febbraio 1983, n. 53, art. 5) (1) (1) In senso conforme si veda Cass. civ. 16 febbraio 1998, n. 1649, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna. In senso difforme si esprime Cass. civ. 14 novembre 1997, n. 11273, ivi 1998, 1045, che sostiene la necessità della notifica all’interessato di copia del processo verbale di accertamento ex art. 2 della legge 24 gennaio 1978, n. 27, nonostante l’avvenuta trasformazione della tassa di circolazione degli autoveicoli in imposta di proprietà, di cui al D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, art. 5, al fine di conservare una minima funzione di garanzia per la “parte lesa”. Svolgimento del processo Con l’impugnata sentenza n. 797/07, depositata il 27 settembre 2007, la Corte d’Appello di Brescia, parzialmente riformando la decisione n. 1057/04 del Tribunale della stessa città, giudicava preliminarmente che l’Ufficio fosse decaduto dalla pretesa impositiva perchè gli avvisi di liquidazione emessi nei confronti della contribuente International Car S.r.l. a recupero di tasse automobilistiche non erano stati preceduti dalla tempestiva notificazione dei processi verbali di accertamento dell’infrazione. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, proponevano ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. La contribuente resisteva con controricorso. Motivi della decisione 1. Con l’unico mezzo le ricorrenti Amministrazioni censuravano la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., denunciando, in rubrica, “Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 31, 32 e 51 del d.l. 30 dicembre 1982, n. 953, conv. in L. 28 febbraio 1983, n. 53; e dell’art. 2 L n. 27 del 24 gennaio 1978, n. 27”; secondo le ricorrenti Amministrazioni, difatti, la Corte d’Appello erroneamente aveva ritenuto estinte le pretese fiscali per non essere stati notificati verbali di accertamento della ricordata infrazione, entro il termine di 90 giorni stabilito dall’art., comma 3, L. n. 27 cit.; questo perchè, sostenevano le ricorrenti Amministrazioni, a seguito della riforma della tassa automobilistica, la notifica dei ridetti processi verbali non era più necessaria. 2. Disattesa l’eccezione d’inammissibilità del motivo, trattandosi non di quesito multiplo, ma di formulazione, in due parti, di due distinti profili di violazione di legge, ed essendo censurata l’intera ratio decidendi dell’impugnata sentenza (sia sotto il profilo dell’omessa tempestiva notifica del processo verbale dell’accertamento che della necessità della sua redazione e notificazione prima del procedimento di riscossione), il motivo è fondato. 3. In effetti, questa Corte ritiene di dover dare continuità a quanto statuito da Cass. sez. trib. n. 1649 del 1998, secondo cui: “Nel caso di (rilevazione, e quindi di) comunicazione, ai sensi dell’articolo 5, comma 39 , della L. n. 53/1983, da parte degli uffici che curano la tenuta del pubblico registro automobilistico e degli altri registri di immatricolazione per veicoli e autoscafi, all’amministrazione 702 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. finanziaria, delle notizie occorrenti per l’applicazione del tributo e per la individuazione del proprietario del veicolo o dell’autoscafo (nonché le relative variazioni), non ricorre l’obbligo - previsto nell’art. 2 della legge n. 27/1978 - di redigere specifico processo verbale di accertamento della violazione e (quindi) di notificare lo stesso all’interessato anteriormente alla notificazione dell’ingiunzione” (parzialmente conforme, nel senso di confermare che la pretesa tributaria non dipende più dalla notifica del processo verbale, ma solo l’irrogazione delle sanzioni, Cass. sez. trib. n. 4137 del 1999; contraria, la meno recente Cass. sez. trib. n. 11273 del 1997). E, questo, sia perchè la tassa non colpisce più l’illecita circolazione delle autovetture, con la conseguenza che non occorre più accertare la detta infrazione, essendo diverso il presupposto dell’imposta, che ora consiste nel possesso dell’autoveicolo; sia perchè l’ACI non è più titolare dello specifico potere impositivo. 4. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata e la causa rinviata ad altro giudice, il quale valuterà le ulteriori questioni ritenute assorbite. (Omissis) Corte di cassazione civile sez. lav, 26 maggio 2014, n. 11715 Pres. Stile – Est. Tria – P.M. Matera (diff.) – Ric. Ama Azienda Municipale Ambiente (avv. Pallini) c. Grassi (avv.ti De Angelis e De Marinis) Lavoro subordinato y Estinzione del rapporto (recesso e risoluzione) y Licenziamento per giusta causa y Condizioni y Onere della prova y Fattispecie in tema di licenziamento di lavoratore con mansioni di autista risultato consumatore di sostanze stupefacenti. . Nella valutazione della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento di un lavoratore avente le mansioni di guida di automezzi pesanti di trasporto di rifiuti sulla pubblica via, il quale, con sentenza penale di condanna, sia risultato consumatore di sostanze stupefacenti, è necessario - nella situazione normativa antecedente l’emanazione della disciplina attuativa dei primi due commi dell’art. 125 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 - che il lavoratore fornisca piena prova, attraverso la produzione dell’esito di esami tossicologici “ad hoc”, del proprio avvenuto pieno recupero, con conseguente dismissione dell’abitudine al consumo di sostanze stupefacenti, la quale, anche al di sotto della soglia della “tossicodipendenza”, è da sola sufficiente ad inibire la guida di veicoli su strada (ex art. 187 del codice della strada) e ad esporre il datore di lavoro al rischio di essere chiamato a rispondere di eventuali danni cagionati a terzi. (l. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3; c.c., art. 2049; c.c., art. 2697; d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 125; nuovo c.s., art. 187) (1) (1) Per utili riferimenti in merito alla giusta causa di licenziamento si veda Cass. civ. 15 maggio 2004, n. 9299, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna. giur L e g i t t i m i tà Svolgimento del processo 1. - La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di AMA - Azienda Municipale Ambiente s.p.a. (d’ora in poi: AMA) avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data 7 febbraio 2008, che, in accoglimento della domanda di Giuseppe Grassi, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente il 7 febbraio 2007 e, per l’effetto, ha condannato la suddetta società a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a corrispondergli l’importo delle retribuzioni dalla data del licenziamento fino all’effettiva reintegra, oltre al versamento dei contributi e agli accessori di legge. La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che: a) il Tribunale ha rilevato che il licenziamento in oggetto è stato motivato dal consumo di sostanze stupefacenti da parte del lavoratore, accertato con sentenza penale di condanna della Corte d’appello di Roma del 28 giugno 2006 per il reato di detenzione illegale di sostanze stupefacenti, nonché dalla mancata disponibilità manifestata dall’interessato ad effettuare un programma di riabilitazione, cui era stato avviato dalla datrice di lavoro ai sensi dell’art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE e che tali circostanze hanno indotto l’AMA a ritenere il dipendente sostanzialmente inidoneo allo svolgimento delle proprie mansioni di autista di mezzi pesanti e a licenziarlo, data l’impossibilità di adibirlo a mansioni equivalenti; b) la prospettazione della società appellante muove dal presupposto della sussistenza dello stato di tossicodipendenza del lavoratore in epoca prossima all’intimazione del licenziamento; c) tale presupposto, però, è rimasto del tutto indimostrato nel giudizio, mentre era onere della società provarne la sussistenza, perchè esso costituiva il giustificato motivo oggettivo del recesso; d) infatti, il Grassi, dopo essere stato tratto in arresto per possesso di sostanze stupefacenti ed essere stato cautelativamente sospeso dal servizio, chiese nel luglio 2006 di essere riammesso in servizio perchè la pena detentiva di tre anni di reclusione inflittagli era stata in parte già espiata agli arresti domiciliari e per il resto era stata sostituita dall’obbligo di firma; e) in risposta a tale richiesta l’AMA, nel settembre 2006, contattò il lavoratore invitando lo ad un colloquio con un assistente sociale della cooperativa sociale MAGLIANA 80; f) nel corso dell’incontro il Grassi dichiarò di non avere bisogno della struttura di sostegno avendo ormai superato lo stato di tossicodipendente; g) quattro mesi dopo il suddetto incontro venne intimato il licenziamento, per le anzidette ragioni; h) è incontestato che l’unica prova dello stato di tossicodipendenza è costituita dalle dichiarazioni autoaccusatorie rese dal lavoratore in sede penale, supportate da quelle della sua domestica, mentre è certo che non è stato eseguito alcun accertamento sanitario per verificare lo stato di tossicodipendenza (che è condizione di operatività dell’art. 44 del CCNL cit.) né al momento dell’arre- sto, né all’epoca dell’invito a sottoporsi al programma di recupero, né in prossimità del licenziamento; i) a tale riguardo, anche se all’epoca non era prevista per legge la possibilità di sottoporre il dipendente a specifici accertamenti di tipo tossicologico, l’AMA avrebbe comunque potuto avvalersi degli accertamenti previsti dagli artt. 16 e 17 D.L.vo n. 626 del 1994, effettuando esami clinici, biologici e indagini diagnostiche “mirati al rischio” della tossicodipendenza; l) in questa situazione non si vede perchè si dovrebbe attribuire valenza probatoria alle dichiarazioni autoaccusatorie rese dall’interessato in sede penale (costituenti tesi difensiva, a fronte dell’accusa di detenzione di sostanze stupefacenti a scopo di spaccio) - richiamate nel provvedimento di licenziamento - escludendo qualsiasi rilevanza alle dichiarazioni rese dal lavoratore in merito all’avvenuto superamento di ogni problematica relativa all’uso di stupefacenti; m) l’AMA, cui incombeva l’onere di provare i presupposti di fatto giustificativi del licenziamento, ha sostanzialmente addossato al lavoratore le conseguenze del difetto di prova derivante dal mancato accertamento sanitario, sostenendo che l’interessato non ha dimostrato il superamento dello stato di tossico dipendenza; n) invece, è stata la società a non fornire la prova di entrambe le circostanze giustificative del licenziamento, cioè: l’attualità dello stato di tossicodipendenza al momento del licenziamento e il rifiuto del lavoratore di sottoporsi al programma di recupero cui era stato avviato su iniziativa dell’AMA, rifiuto che avrebbe potuto considerarsi illegittimo solo a condizione dell’avvenuto accertamento in sede sanitaria dello stato di tossicodipendenza; o) neppure può condividersi la tesi dell’AMA secondo cui, pur se i primi due commi dell’art. 125 del D.P.R. n. 308 del 1990 non erano all’epoca dei fatti ancora applicabili in assenza del decreto ministeriale attuativo - comunque si poteva fare applicazione del successivo comma 3, in base al quale il datore di lavoro è tenuto a far cessare l’espletamento di mansioni che comportino rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi, ove sia accertato, nel corso del rapporto di lavoro, lo stato di tossicodipendenza del lavoratore che le esercita; p) infatti, la disposizione del comma 3 presuppone l’operatività di quelle dei due commi precedenti, cioè: la individuazione delle categorie dei destinatari e l’effettuazione dell’accertamento da parte delle competenti strutture sanitarie; q) in ogni caso, il comma 3 non prevede il licenziamento, ma solo la rimozione, sicché, anche volendo aderire alla tesi interpretativa dell’AMA, sarebbe stato onere della società stessa di dimostrare di avere tentato di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle cui era addetto, mentre l’AMA ha sottolineato di non aver effettuato alcuna ricerca in tal senso, sostenendo di considerare lo stato di tossicodipendenza di per sé radicalmente ostativo alla conservazione del posto di lavoro; r) infine, è inammissibile la richiesta subordinata relativa alla detraibilità dell’aliunde perceptum perchè è stata Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 703 giur L e g i t t i m i tà prospettata in modo generico, senza l’allegazione di fatti specifici, tali da consentire l’esercizio del potere officioso del giudice ai sensi dell’art. 421 c.p.c. 2. - Il ricorso di AMA-Azienda Municipale Ambiente s.p.a., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per quattro motivi; resiste, con controricorso, Giuseppe Grassi. Motivi della decisione I - Sintesi dei motivi di ricorso 1.- Il ricorso è articolato in quattro motivi. 1.1.- Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, dell’art. 125 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, degli artt. 16 e 17 del D.L.vo 19 settembre 1994, n. 626. Si rileva che la Corte d’appello - al pari del giudice di primo grado - ha ravvisato il giustificato motivo oggettivo del licenziamento nello stato di tossicodipendenza del lavoratore, così incorrendo in un errore di diritto. Infatti, come si desume dal provvedimento di risoluzione del rapporto, tale giustificato motivo era, invece, costituito dalla situazione di impossibilità oggettiva di continuare ad assegnare al dipendente le mansioni di guida di automezzi pesanti di trasporto rifiuti sulla pubblica via (proprie della sua qualifica di autista inquadrato nel IV livello del CCNL FEDERAMBIENTE) nella quale l’azienda si venuta a trovare dopo avere preso visione degli atti e della sentenza del procedimento penale a carico del lavoratore, ove risultava che egli era un consumatore di cocaina, circostanza confermata nell’atto introduttivo del presente giudizio. L’AMA, non potendo all’epoca chiedere al lavoratore di sottoporsi agli accertamenti sanitari diretti specificamente a verificarne lo stato di tossicodipendenza - non essendo stata ancora emanata la normativa attuativa dei primi due commi dell’art. 125 D.P.R. n. 309 del 1990 - non era in condizione di conoscere se la sua abitudine al consumo di sostanze stupefacenti era persistente, mentre doveva avere la certezza che non vi fosse alcun pericolo nel mettere alla guida degli automezzi aziendali il lavoratore. Invero, l’azienda non poteva chiedere al dipendente di sottoporsi ad accertamenti sanitari tossicologici (in conformità con l’art. 32 Cost. e con il D.P.R. n. 309 del 1990) e, d’altra parte, l’interessato si era limitato a dichiarare di non avere bisogno della terapia di recupero senza produrre l’esito di accertamenti sanitari specifici idonei a supportare la sua tesi dell’avvenuto effettivo recupero della piena idoneità psico-fisica. Al tale riguardo la ricorrente sostiene che sia “completamente errata in diritto” l’affermazione della Corte romana secondo cui l’AMA avrebbe potuto avvalersi degli artt. 16 e 17 del D.L.vo n. 66 del 1994 per far controllare dal medico competente la idoneità o meno alle mansioni derivante dalla tossicodipendenza. All’epoca, infatti, i medici competenti non erano abilitati ad effettuare esami “mirati” alla valutazione della idoneità del lavoratore alla mansione, in quanto la relativa competenza era attribuita esclusivamente alle strutture 704 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. sanitarie pubbliche di cui all’art. 5 della legge n. 300 del 1970. I medici competenti non potevano effettuare esami tossicologici o altri esami volti a rilevare la sussistenza dello stato di tossicodipendenza e anche per gli autisti i protocolli sanitari non consentivano alcun accertamento del suddetto tipo. In questa situazione, l’azienda non aveva altra scelta che quella di proporre al lavoratore di avvalersi della disciplina prevista dall’art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE. Il Grassi ha rifiutato tale proposta, come era suo diritto, ma non ha prodotto l’esito di esami tossicologici in grado di dimostrare l’avvenuto recupero, sicché l’azienda, anche per non rischiare di essere esposta a gravi responsabilità in base all’art. 2049 c.c., non ha avuto altra scelta che quella del licenziamento, stante la perdurante situazione di incertezza in merito alla persistente abitudine del dipendente di consumare cocaina. 1.2. - Con il secondo motivo si denuncia insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa “un motivo” (recte: punto) decisivo del giudizio. Si contesta il punto della decisione nel quale la Corte d’appello ha fatto riferimento alla mancata applicazione degli artt. 16 e 17 D.L.vo n. 626 del 1994 (impropriamente, come si è detto nel primo motivo), ritenendo inidonea la scelta dell’AMA di fare applicazione dell’art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE, al fine di ottenere, con il consenso dell’interessato, l’accertamento delle effettive condizioni psico-fisiche del dipendente. 1.3. - Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’ art. 5 della legge n. 604 del 1966. Si sostiene che la Corte territoriale abbia violato i criteri di distribuzione dell’onere della prova dettati dal combinato disposto delle suindicate disposizioni. Infatti, nella specie, il giustificato motivo oggettivo di licenziamento deve ravvisarsi nella condizione di oggettiva impossibilità della utilizzazione del lavoratore nelle sue mansioni di autista che si è venuta a creare dopo che l’AMA è venuta a conoscenza del fatto che il dipendente era un consumatore abituale di cocaina e non ha avuto dal lavoratore né la collaborazione a sottoporsi al percorso riabilitativo offertogli né la produzione di esami tossicologici idonei a dimostrare che tale situazione era venuta meno. Del resto, l’azienda dopo essere venuta a conoscenza dello stato di tossicodipendente o di consumatore di cocaina del lavoratore certamente non avrebbe potuto riammetterlo in servizio con le mansioni che svolgeva in precedenza, in quanto ciò sarebbe stato contrario al principio generale di responsabilità di cui all’art. 2049 c.c. Ne consegue che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, era onere del lavoratore eccepire e dimostrare l’insussistenza della condizione di non conoscenza o conoscibilità da parte dell’azienda della sua condizione di consumatore di droga, che è alla base dell’impossibilità oggettiva della utilizzazione del lavoratore, costituente il giustificato motivo oggettivo di licenziamento. giur L e g i t t i m i tà 1.4. - Con il quarto motivo si denunciano: a) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 420, 421 e 210 c.p.c.; b) omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Si sottolinea che la Corte romana non ha offerto alcuna motivazione circa l’inammissibilità o l’irrilevanza della richiesta della esibizione delle denunce dei redditi del lavoratore per gli anni intercorsi tra il licenziamento e la riammissione in servizio, effettuata dall’AMA al fine di ottenere che il risarcimento del danno riconosciuto al lavoratore fosse decurtato dell’aliunde perceptum. Si sostiene che la suddetta richiesta di esibizione è uno strumento di prova posto a disposizione della parte per accertare l’effettiva entità del danno patito dal lavoratore, sicché il giudice “non ha piena discrezionalità” in ordine alla sua ammissione, in quanto non gli si chiede di ricorrere ai suoi poteri officiosi ai sensi dell’art. 421 c.p.c., ma solo di valutare la rilevanza della richiesta stessa ai fini dell’ammissibilità in base all’art. 420 c.p.c. II - Esame delle censure 2. - I primi tre motivi del ricorso - da esammare congiuntamente, data la loro intima connessione - sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte. 2.1. - Va, infatti, osservato che dalla sentenza impugnata risulta, con evidenza, che la Corte d’appello, nell’esaminare la fattispecie, è partita da un presupposto erroneo, non avendo considerato che per lo svolgimento delle mansioni di guida di automezzi pesanti di trasporto rifiuti sulla pubblica via (proprie dalla qualifica del Grassi, di autista inquadrato nel IV livello del CCNL FEDERAMBIENTE) non si trattava di stabilire se il lavoratore era “tossicodipendente”, ma di avere la certezza che egli avesse dismesso la abitudine al consumo di stupefacenti - anche al di sotto della soglia della “dipendenza”- abitudine che era stata pacificamente accertata nella sentenza penale di condanna. Del resto, ai fini della configurazione del reato di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti (ovvero “in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti”, secondo il testo introdotto dalla legge 29 luglio 2010, n. 120, attualmente vigente ma non applicabile nella specie) previsto dall’art. 187 del codice della strada (di cui al D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285) non si richiede lo stato di tossicodipendenza, ma semplicemente quello di assunzione di stupefacenti e/o sostanze psicotrope, nel presupposto di evitare che ci si metta consapevolmente alla guida nello stato di alterazione psico-fisica prodotto dall’assunzione -anche sono sporadica - di sostanze che menomano la concentrazione e prontezza di riflessi. Ne consegue che nel caso in cui un lavoratore dipendente nell’esercizio delle proprie mansioni di autista oltre tutto di mezzi pesanti, come nella specie - si ponga alla guida trovandosi nel suddetto stato di alterazione e cagioni dei danni a terzi, la datrice di lavoro può essere chiamata a risponderne ex art. 2049 c.c. Né va omesso di considerare - come significativa linea di tendenza legislativa - che sia pure con una normativa inapplicabile nella specie (di cui alla citata legge n. 120 del 2010, entrata in vigore il 13 agosto 2010) è stato in- trodotto, tramite modifica del citato art. 187 cod. strada, un inasprimento sanzionatorio della guida in condizioni alterate dall’uso di stupefacenti, ove ascrivibile a soggetti appartenenti a particolari categorie di conducenti, ritenute “a rischio elevato”, tra i quali rientrano le “persone che esercitano professionalmente l’attività di trasporto di persone o cose, conducenti di mezzi pesanti o autobus”. 2.2. - In questa situazione, la Corte d’appello, ha, in un primo luogo, rilevato che il licenziamento in oggetto è stato motivato: a) dal “consumo di sostanze stupefacenti da parte del lavoratore”, accertato con sentenza penale di condanna della Corte d’appello di Roma del 28 giugno 2006 per il reato di detenzione illegale di sostanze stupefacenti; b) nonché dalla mancata disponibilità manifestata dall’interessato ad effettuare un programma di riabilitazione, cui era stato avviato dalla datrice di lavoro ai sensi dell’art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE; c) dal fatto che tali circostanze hanno indotto l’AMA a ritenere il dipendente sostanzialmente inidoneo allo svolgimento delle proprie mansioni di autista di mezzi pesanti e a licenziarlo, data l’impossibilità di adibirlo a mansioni equivalenti. Ma da questa esatta ricostruzione la Corte territoriale si è poi discostata affermando che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento era costituito dalla sussistenza dello “stato di tossicodipendenza” del lavoratore in epoca prossima all’intimazione del licenziamento medesimo che la società non ha dimostrato, pur avendone l’onere. Viceversa, il giustificato motivo oggettivo del recesso datoriale era costituito non dalla sussistenza dello stato di tossicodipendenza, ma dall’incertezza in merito alla persistenza dell’abitudine di consumare stupefacenti, quale risultante dalla sentenza penale e dalla conseguente dichiarata impossibilità di adibizione del dipendente a mansioni diverse, da quelle, di per sé pericolose, di autista di automezzi pesanti di trasporto rifiuti sulla pubblica via. Il lavoratore avrebbe potuto contestare entrambi questi elementi: a) dimostrando, con la produzione dell’esito di esami tossicologici ad hoc, il proprio avvenuto pieno recupero; b) offrendo la sua collaborazione per il repechage ed, eventualmente, dichiarandosi disponibile a svolgere anche mansioni diverse, anche inferiori, nel caso di persistente consumo di droghe (vedi, sul punto, fra le altre: (Cass. 8 febbraio 2011, n. 3040; Cass. 18 marzo 2010, n. 6559; Cass. 20 gennaio 2003, n. 777; Cass. 3 ottobre 2000, n. 13134; Cass. 22 ottobre 2009, n. 22417; Cass. 12 giugno 2002, n. 8396). Il Grassi, invece, nel corso del colloquio con un assistente sociale della cooperativa sociale MAGLIANA 80 cui è stato invitato dall’AMA, si è limitato a “dichiarare” di “essere in piena ripresa”, grazie all’aiuto dei genitori, e a rifiutare il programma di recupero offertogli (vedi pag. 4 del controricorso), senza produrre alcuna prova al riguardo e senza fare altro. La Corte romana - sempre sulla base del suddetto erroneo presupposto, di sovrapporre i differenti concetti di tossicodipendenza (che è la “condizione di dipendenza fisica e psicologica dall’uso di sostanze stupefacenti”) e di “consumo di stupefacenti” (da sola sufficiente per inibire la guida di veicoli su strada) - ha dato rilievo prevalente Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 705 giur L e g i t t i m i tà a tale ultima dichiarazione, benché vaga e priva di alcuna dimostrazione, rispetto a quella risultante dalla sentenza penale di condanna (suffragata dalla testimonianza della domestica del Grassi) e poi ha affermato che l’AMA aveva l’onere di effettuare gli esami clinici, senza considerare che all’epoca non vi era alcuna specifica normativa al riguardo, il lavoratore inoltre era sospeso dal servizio e l’art. 32 Cost., come regola, vieta di effettuare esami clinici su altri senza il loro consenso. Ne consegue che, appare del tutto ultroneo il riferimento contenuto nella sentenza impugnata alla possibilità dell’AMA di avvalersi degli artt. 16 e 17 del D.L.vo n. 626 del 1994 per far controllare dal medico competente la idoneità o meno alle mansioni derivante dalla “tossicodipendenza”, in quanto all’epoca dei fatti i medici competenti non erano abilitati ad effettuare esami “mirati” alla valutazione della idoneità del lavoratore alla mansione, essendo la relativa competenza attribuita esclusivamente alle strutture sanitarie pubbliche di cui all’art. 5 della legge n. 300 del 1970 e non consentendo i protocolli sanitari ai medici competenti la possibilità di effettuare esami tossicologici o altri esami volti a rilevare la sussistenza dello stato di “tossicodipendenza” o di consumo di sostanze stupefacenti, neppure per gli autisti. Sicché, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, l’azienda non aveva altra scelta che quella di proporre al lavoratore di avvalersi della disciplina prevista dall’art. 44 CCNL FEDERAMBIENTE. Le suesposte ragioni portano all’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso, con conseguente assorbimento del quarto motivo. III - Conclusioni 3. - In sintesi, i primi tre motivi di ricorso devono essere accolti, per le ragioni dianzi esposte e con assorbimento del quarto motivo. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi, anche al seguente: «nella valutazione della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento di un lavoratore avente le mansioni di guida di automezzi pesanti di trasporto di rifiuti sulla pubblica via, il quale, con sentenza penale di condanna per il reato di detenzione illegale di sostanze stupefacenti sia risultato consumatore di sostanze stupefacenti, è necessario - nella situazione normativa antecedente l’emanazione della disciplina attuativa dei primi due commi dell’art. 125 del D.P.R. n. 308 del 1990 -che il lavoratore fornisca piena prova, attraverso la produzione dell’esito di esami tossico logici ad hoc - del proprio avvenuto pieno recupero, con la conseguente dismissione dell’abitudine al consumo di sostanze stupefacenti, la quale - anche al di sotto della soglia della “tossicodipendenza”- è da sola sufficiente ad inibire la guida di veicoli su strada (ex art. 187 del codice della strada) e ad esporre il datore di lavoro al rischio di essere chiamato a rispondere di eventuali danni cagionati a terzi». (Omissis) 706 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Corte di cassazione civile sez. III, 26 maggio 2014, n. 11698 Pres. Segreto – Est. Rubino – P.M. Giacalone (conf.) – Ric. Tomassi (avv. Raccuglia) c. Ina Assitalia S.p.a. ed altri Risarcimento del danno y Concorso del fatto colposo del creditore o del danneggiato y Consapevole esposizione a rischio del danneggiato y Concorso di colpa per i danni subiti y Configurabilità y Fondamento y Fattispecie in tema di concorso di colpa del danneggiato per aver partecipato come passeggero ad una gara automobilistica clandestina. . L’esposizione volontaria ad un rischio, o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell’evento, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., e, a livello costituzionale, risponde al principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. avuto riguardo alle esigenze di allocazione dei rischi (riferibili, nella specie, all’ambito della circolazione stradale) secondo una finalità comune di prevenzione, nonché al correlato obbligo di ciascuno di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti. (Nella specie, in applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa del danneggiato per aver partecipato come passeggero ad una gara automobilistica clandestina). (c.c., art. 1227; c.c., art. 2054) (1) (1) Sostanzialmente nel medesimo senso, v. Cass. civ., sez. un., 21 novembre 2011, n. 24406, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna; Cass. civ. 13 maggio 2011, n. 10526, in questa Rivista 2011, 906 e Cass. civ. 7 dicembre 2005, n. 27010, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna. Svolgimento del processo Tomassi Mario, Alessandro e Marco, nonché Germani Maria Teresa convenivano in giudizio Miccadei Stefano, la Universo Ass.ni s.p.a. e L’Assitalia - Le Ass.ni d’Italia s.p.a. per sentirli condannare al risarcimento dei danni loro dovuti a seguito della morte di Paolo Tomassi, rispettivamente fratello e figlio delle parti, avvenuta nella notte del 28 agosto 1992, allorchè l’auto di proprietà e condotta dal Miccadei, sulla quale il Tomassi era trasportato, si ribaltava nel corso di una gara clandestina di velocità tra veicoli. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 2000, condannava in solido il Miccadei e la compagnia di assicurazioni Assitalia, quale impresa designata, essendo il veicolo del Miccadei risultato privo di copertura assicurativa, a risarcire il danno nella misura del 50% del totale, ritenuto un pari contributo causale da parte dell’infortunato nel verificarsi dell’evento, avendo il Tomassi scientemente preso parte alla gara di velocità vietata. giur L e g i t t i m i tà I Tomassi proponevano appello, anche nella qualità di eredi della Germani, nel frattempo defunta, e la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 2520 del 2007 impugnata, rigettava il gravame confermando integralmente la sentenza di primo grado e compensando le spese di lite. Alessandro Tomassi e Marco Tomassi, in proprio e quali eredi di Tomassi Paolo, Tomassi Mario e Germani Maria Teresa, propongono un motivo di ricorso per cassazione (al termine del quale sottopongono alla Corte due distinti quesiti di diritto) avverso la sentenza n. 2520 del 2007, emessa in data 5 giugno 2007 dalla Corte d’Appello di Roma nei confronti dell’Ina Assitalia s.p.a. (già Assitalia -Le Assicurazioni d’Italia s.p.a.) nonché di Miccadei Stefano e della Universo Ass.ni s.p.a. L’Ina Assitalia resiste con controricorso. Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva. I ricorrenti hanno depositato memorie illustrative. Motivi della decisione Con l’unico motivo di ricorso i Tomassi deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2054 c.c., 1 e 4 della legge n. 990 del 1969, 112, 115 e 116 c.p.c. nonché il vizio di carente, illogica e contraddittoria motivazione, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, 4 e 5 c.p.c. laddove la sentenza di appello ha rigettato la loro impugnazione sull’assunto che al Tomassi Paolo, terzo trasportato deceduto in occasione della gara automobilistica vietata, si dovesse attribuire un concorso di colpa al 50% in quanto, con la sua volontaria scelta di partecipare ad una gara di velocità, al fianco del conducente Miccadei, poneva in essere uno dei presupposti causali per il verificarsi dell’incidente in cui lui stesso rimase ucciso, non potendogli essere sfuggito il rischio a cui si sottoponeva, in relazione al quale poteva ritenersi o che l’avesse preventivamente accettato, o quanto meno che non l’avesse debitamente evitato pur essendone consapevole. I ricorrenti contestano le affermazioni contenute nella sentenza di merito in quanto le ritengono contrastanti con le norme di cui agli artt. 1 e 4 della legge n. 990 del 1969, in base alle quali il terzo trasportato ha sempre diritto all’integrale risarcimento del danno da parte del responsabile del sinistro. Contestano inoltre che il comportamento del Tomassi, quand’anche questi fosse stato consapevole del rischio al quale andava a sottoporsi partecipando al fianco dell’amico alla gara notturna e lo avesse scientemente accettato, potesse esplicare alcun contributo causale nel verificarsi del sinistro, essendo stato il sinistro esclusivamente provocato dalla condotta del conducente, pure descritta nella sentenza impugnata. Evidenziano che la sentenza di merito ha errato anche laddove ha ritenuto che la presunzione di responsabilità in capo al conducente del veicolo ed in favore del terzo trasportato, ex art. 2054 primo comma c.c., possa essere superata pur in difetto della prova, da parte del conducente, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Sostengono anche l’esistenza di una carenza di motivazione, laddove la corte territoriale non spiega in che modo la consapevolezza di sottoporsi al rischio, da parte del trasportato, possa aver contribuito a determinare l’evento dannoso, incidendo sulla imprudenza e imperizia alla guida di un altro soggetto. Infine, denunciano una carenza di motivazione, ed anche una omessa pronuncia, laddove la corte territoriale, senza tener conto della loro domanda subordinata, ha quantificato il concorso di colpa del trasportato nel 50% piuttosto che in altra percentuale. A conclusione dei loro rilievi, i ricorrenti sottopongono alla Corte un duplice quesito: 1) se la mera contezza della più o meno elevata probabilità che si produca un evento dannoso possa, allorquando ad essa non si riconnetta alcuna azione od omissione riconducibile entro il materiale iter causativo dell’evento stesso, integrare responsabilità o corresponsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c.; 2) se, nell’irrisultanza di condotte del terzo trasportato materialmente interferenti sulle operazioni di guida di un veicolo, possa ritenersi inoperante la presunzione di cui al primo comma dell’art. 2054 c.c. L’Ina Assitalia s.p.a. nel suo controricorso osserva che i ricorrenti trascurano di considerare che la corte d’appello ha fondato la sua decisione su un coinvolgimento effettivo nella gara del Tomassi, che non era un semplice trasportato di cortesia ma che aveva concordato con gli altri partecipanti le regole di ingaggio e quindi, posto a fianco del conducente, aveva agito come navigatore o secondo pilota, come nella gare di rally. Non poteva quindi considerarsi un mero trasportato di cortesia, cui si applica la presunzione di cui all’art. 2054 primo comma c.c. ma piuttosto un attivo compartecipe rispetto ad una competizione automobilistica particolarmente rischiosa. Sostiene pertanto la compagnia di assicurazioni che il giovane trasportato non potesse giovarsi della presunzione ma, al contrario, che il suo comportamento era stato riconosciuto come eziologicamente rilevante ai fini del verificarsi dell’evento dannoso. In merito al quantum della responsabilità, osserva la compagnia di assicurazione che la corte d’appello, avendo ritenuto infondati i motivi d’appello, aveva confermato integralmente la sentenza di primo grado. Il ricorso non può essere accolto. La sentenza impugnata va confermata, avendo fatto corretto uso del principio di diritto secondo il quale il concorso colposo del danneggiato, che comporta ex art. 1227 primo comma c.c. la conseguente e proporzionale riduzione della responsabilità del danneggiante, è configurabile non solamente in caso di cooperazione attiva del danneggiato nel fatto dannoso posto in essere dal danneggiante ma in tutti i casi in cui il danneggiato si esponga volontariamente ad un rischio superiore alla norma, in violazione di norme giuridiche o di regole comportamentali di prudenza avvertite come vincolanti dalla coscienza sociale del suo tempo, con una condotta (attiva o omissiva che sia) che si inserisca come antecedente causale necessario nel processo causale che culmina con il danno da lui subito. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 707 giur L e g i t t i m i tà La fattispecie sottoposta all’esame della Corte concerne la vicenda di un giovane che, salito di sua volontà sulla vettura condotta da un amico per partecipare ad una gara clandestina e notturna tra automobili, rimaneva ucciso a seguito delle ferite riportate nell’incidente verificatosi allorchè il conducente della vettura sulla quale era trasportato perdeva il controllo della macchina, che usciva di strada ribaltandosi. La questione da esaminare è quindi se il comportamento del soggetto danneggiato che consiste nella sua volontaria esposizione al rischio possa integrare il concorso di colpa del danneggiato, rilevante ai sensi dell’art. 1227 primo comma c.c. ai fini della proporzionale riduzione della responsabilità del danneggiante, anche se rimanga accertato che il danneggiato non abbia influito sulla condotta di guida del conducente, contribuendo positivamente al verificarsi dell’incidente e quindi se, con riguardo alla fattispecie concreta, la scelta imprudente del trasportato di partecipare ad una corsa vietata possa superare in tutto o in parte la presunzione di responsabilità esclusiva del conducente e del proprietario dettate dall’art. 2054 c.c. a tutela della posizione del trasportato stesso. Qualora si ritenesse di affermare che la esposizione volontaria al rischio può concorrere a causare il danno subito da un soggetto, dovrà poi individuarsi la soglia del rischio superata la quale ciascuno può essere ritenuto responsabile - almeno in parte - dei danni che subisce per un accadimento non direttamente da lui provocato, ma al quale si espone. Deve ritenersi, sulla base delle considerazioni che seguono, che anche la mera consapevolezza da parte di un soggetto di porsi in una situazione da cui consegua una più o meno elevata probabilità che si produca a suo danno un evento pregiudizievole ovvero l’esposizione volontaria al rischio -, a cui non sia collegata alcuna azione o omissione di un comportamento avente un diretto apporto causale rispetto al verificarsi del sinistro, possa integrare una corresponsabilità del danneggiato. Nel caso di specie, poiché l’evento infausto si è verificato in conseguenza di una gara vietata di autoveicoli, e quindi si applicano le norme sulla responsabilità civile automobilistica, l’esposizione volontaria al rischio del trasportato rileva non fino al punto di rendere inoperante la presunzione di responsabilità in capo al conducente, di cui all’art. 2054 primo comma c.c., ma nel senso di ridurre proporzionalmente l’area di responsabilità del danneggiante, in quanto essa viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell’evento. Occorre infatti collocarsi nella corretta prospettiva secondo la quale con l’accettazione consapevole del rischio il trasportato ha posto in essere un antecedente causale non del fatto dannoso complessivo, ovvero del sinistro in cui sono rimasti coinvolti lui e il danneggiante (nel caso di specie, dell’incidente stradale) ma dell’evento che si è verificato a suo carico (la lesione alla propria integrità fisica) e pertanto non ne può far gravare tutta la responsabilità su altro soggetto. 708 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Non si ritiene di poter condividere quanto affermato dall’unico precedente specifico di questa Corte sul punto (Cass. n. 27010\2005), anch’esso relativo ad un incidente stradale con accettazione del rischio in capo al trasportato da un conducente che si trovava in quel caso in stato di ebbrezza, la cui massima così recita: “Il primo comma dell’art. 1227 c.c. concerne il concorso colposo del danneggiato, configurabile solamente in caso di cooperazione attiva nel fatto colposo del danneggiante (Nell’affermare il suindicato principio la S.C. ha escluso la configurabilità di un concorso colposo del danneggiato nella mera accettazione, da parte del medesimo, del trasporto su autovettura con alla guida conducente in evidente stato di ebbrezza, non assurgendo tale condotta a comportamento materiale di cooperazione incidente nella determinazione dell’evento dannoso)”. Tale sentenza in primo luogo traeva le mosse da una nozione di concorso di colpa del danneggiato eccessivamente ristretta alla luce della consolidata giurisprudenza in materia, in quanto ridotta alla sola azione positiva, con esclusione della rilevanza del comportamento omissivo (nel senso che il concorso di colpa del danneggiato possa conseguire sia ad una azione che ad una omissione v. per tutte, da ultimo, Sezioni Unite, sent. n. 24406 del 2011 nonché, in materia di circolazione stradale, la cospicua giurisprudenza che costantemente riconosce il concorso di colpa del passeggero che non abbia allacciato le cinture di sicurezza). Inoltre, la suddetta sentenza identificava l’evento dannoso subito dal danneggiato, rispetto al quale soltanto poteva rilevare un comportamento concausale, nel sinistro stradale stesso, con la conseguenza che la responsabilità dell’incidente non potesse essere addebitata che al solo conducente dell’auto (o eventualmente ad altri soggetti esterni all’auto che avevano dato causa al verificarsi dell’incidente), e non al trasportato che nell’occorso non si ingeriva in alcun modo nella conduzione dell’auto e rivestiva un ruolo puramente passivo. Senonchè ai fini di individuare correttamente l’evento dannoso, in relazione al quale si pone il problema del concorso di colpa del soggetto danneggiato, occorre avere riguardo non solo all’incidente stradale in sé considerato, con la conclusione che esso si sarebbe in ogni caso verificato, anche se il trasportato non fosse salito in macchina adottando un’evidente regola prudenziale, ma occorre considerare l’intera serie causale all’interno della quale occorre individuare l’evento dannoso da lui subito (la lesione), da cui consegue poi il danno risarcibile per cui egli ha instaurato la causa. L’evento dannoso per il danneggiato non si esaurisce e non si identifica con il segmento causale attinente al momento cinematico dei fatti ovvero all’incidente, la cui responsabilità è addebitabile esclusivamente al conducente, ma occorre prendere in considerazione come segmento terminale e quindi di perfezionamento del fatto storico, la “lesione del bene giudico tutelato” e quindi nel caso del trasportato la lesione della sua integrità fisica (da cui poi deriva il danno conseguenziale risarcibile). giur L e g i t t i m i tà Orbene tale lesione (evento dannoso) non si sarebbe verificata se non si fossero realizzati diversi antecedenti causali: se il conducente avesse guidato l’auto rispettando le regole del codice della strada e le regole generali di prudenza (evitando nel caso in esame di impegnarla in una corsa clandestina), e se, a monte, il trasportato si fosse astenuto dal salire in macchina, ben sapendo in che attività sarebbe stata da li a breve impegnata la vettura, secondo una regola prudenziale. È proprio il comportamento del trasportato che si pone all’inizio della sequela eziologica che si è conclusa per lui con l’evento dannoso più gravoso, la morte, in quanto egli, pur accorgendosi a tempo debito nel caso esaminato dalla sentenza del 2005 dello stato di ebbrezza del conducente dell’auto su cui si accingeva a salire, nel caso in esame essendo consapevole della partecipazione della vettura ad una corsa clandestina e quindi consapevole in entrambi i casi che il suo conducente si apprestava a tenere una condotta illecita e contraria alle regole di prudenza - tuttavia si esponeva volontariamente al rischio salendo sull’auto, in violazione di norme comportamentali comunemente adottate dalla coscienza sociale oltre che di precise regole del codice stradale. Con l’accettazione consapevole del rischio cui andava a sottoporsi il trasportato ha posto in essere un antecedente causale necessario quindi non del fatto dannoso incidente stradale, ma dell’evento che si è verificato a suo danno (lesioni all’integrità fisica), e pertanto, nella misura in cui quell’evento è addebitabile al suo apporto causale non se ne può far gravare la responsabilità su un altro soggetto. Prendendo in considerazione non l’evento incidente stradale nel suo complesso, rispetto al quale non si può dire che il trasportato abbia tenuto un comportamento avente una qualche incidenza causale, ma l’evento lesivo subito dal trasportato stesso, quindi focalizzando l’attenzione sulla sua posizione e sul suo diritto al risarcimento del danno, i danni conseguenza che in base alle regole generali della responsabilità civile automobilistica dovrebbero gravare sul conducente e sul proprietario del veicolo e sulla sua assicurazione per la responsabilità civile automobilistica in base alla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c., devono essere proporzionalmente ridotti nella misura in cui sono stati provocati anche dall’apporto causale del danneggiato stesso, e in quella misura devono rimanere a suo carico. La misura della ripartizione è poi oggetto di giudizio in fatto eseguito dal giudice di merito e non rinnovabile in questa sede. Il fondamento normativo del concorso di colpa del danneggiato in caso di sua esposizione volontaria al rischio si rinviene quindi nell’art. 1227, primo comma, c.c. (in questo senso, per una ipotesi di accettazione del rischio del trasporto associato in quel caso ad un suo comportamento attivo tra le altre v. da ultimo Cass. n. 10526 del 2011). A livello costituzionale il fondamento normativo si identifica nel principio generale di solidarietà sociale dettato l’art. 2 della Costituzione (per la riconduzione del fondamento costituzionale dell’art. 1227, primo comma, c.c. all’art. 2 Cost. v., tra le altre, Cass. n. 5348 2009 ). Se tale principio generale di solidarietà sociale nell’ambito contrattuale, costituisce il fondamento dell’obbligo di reciproca lealtà di condotta che deve presiedere sia all’esecuzione del contratto che alla sua formazione ed interpretazione, accompagnandolo, in definitiva, in ogni sua fase, in campo extracontrattuale (ove l’art. 1227 c.c. opera per espresso richiamo normativo contenuto nell’art. 2056 c.c.) esso va inteso come fondante al tempo stesso le scelte di politica sociale di allocazione del rischio in determinati settori (quale quello appunto della circolazione stradale) su una categoria di soggetti istituzionalmente deputata a sostenere tale rischio, ma anche l’obbligo di ciascuno di essere responsabile e valutare le conseguenze dei propri atti, in definitiva contempera le scelte di dislocazione del rischio con il principio di precauzione al fine di realizzare una finalità comune di prevenzione. Si può aggiungere che questa lettura del principio secondo il quale ciascuno deve essere chiamato a rispondere dalla parte di danno che ha concorso a provocare, anche laddove ci siano dei sistemi di allocazione della responsabilità (come in materia di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile automobilistica) non si pone in contrasto, ma al contrario va di pari passo con l’evoluzione della giurisprudenza comunitaria in materia. Infatti la Corte di Giustizia, con sentenza 30 giugno 2005, in causa C-537/03, rispondendo ad una domanda di interpretazione pregiudiziale della legislazione comunitaria sollevata dalla corte suprema finlandese, ha in sintesi affermato che l’obiettivo delle direttive comunitarie in materia di assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli è quello di consentire a tutti i passeggeri vittime di un incidente causato dal veicolo di essere risarciti dei danni dai medesimi subiti, e pertanto che le disposizioni nazionali che disciplinano il risarcimento dei sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli, non possono privare le dette disposizioni del loro effetto utile. La Corte di Giustizia prosegue affermando che ciò si verificherebbe, segnatamente, se una normativa nazionale, in base a criteri generali ed astratti, negasse al passeggero il diritto al risarcimento da parte dell’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli, ovvero limitasse tale diritto in misura sproporzionata, esclusivamente sulla base della corresponsabilità del passeggero stesso nella realizzazione del danno. Solo al verificarsi di circostanze eccezionali, in base ad una valutazione caso per caso, l’entità del risarcimento della vittima potrebbe essere limitata. La Corte puntualizza che la valutazione della sussistenza di tali circostanze e del carattere di proporzionalità del limite al risarcimento spetta al giudice nazionale. Con una più recente sentenza tuttavia, sempre resa in sede di rinvio pregiudiziale (Corte di giustizia, 3° sezione, sentenza n. 409 del 9 giugno 2011, C-409\2009) la Corte di Lussemburgo distribuisce diversamente gli equilibri tra l’esigenza di tutela del trasportato e la necessità che ciascuno sia chiamato a rispondere delle conseguenze delle proprie azioni dichiarando che le tre direttive del Consiglio concernenti il ravvicinamento delle legislazioni degli Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 709 giur L e g i t t i m i tà Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli devono essere interpretate nel senso che esse non ostano a disposizioni nazionali rientranti nella disciplina della responsabilità civile, le quali consentano di escludere o di limitare il diritto della vittima di un incidente a pretendere un risarcimento a titolo dell’assicurazione della responsabilità civile dell’autoveicolo implicato nel sinistro, sulla base di una valutazione caso per caso della responsabilità esclusiva o parziale di detta vittima nella causazione del danno da essa subito. Tale ipotesi si verifica, in particolare, nel caso di una normativa nazionale che intenda escludere la responsabilità oggettiva del conducente del veicolo coinvolto nel sinistro solo qualora tale sinistro sia imputabile in modo esclusivo alla vittima e che preveda, inoltre, nel caso in cui la vittima abbia colpevolmente contribuito alla genesi o all’aggravamento del suo danno, che il risarcimento ad essa spettante sia ridotto in misura proporzionale al grado di gravità di tale colpa. La Corte di Lussemburgo chiarisce che una normativa siffatta non ha come effetto, in caso di responsabilità della vittima nella causazione del danno da essa subito, di escludere ipso iure o di limitare in misura sproporzionata il diritto di quest’ultima ad ottenere un risarcimento da parte dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile del conducente del veicolo coinvolto nel sinistro e non pregiudica quindi la garanzia, sancita dal diritto dell’Unione, che la responsabilità civile, determinata secondo il diritto nazionale applicabile, sia coperta da un’assicurazione conforme alle tre direttive summenzionate. Autorevole dottrina in passato ha ricondotto il principio del concorso di colpa del danneggiato, che costituiva una novità introdotta dal codice del ‘42, al principio di autoresponsabilità (per un richiamo più recente al principio di autoresponsabilità v. Corte cost., sentenza n. 156 del 1999), che imporrebbe ai potenziali danneggiati doveri di attenzione e diligenza allo scopo di prevenire eventuali danni; la dottrina più recente ravvisa piuttosto in esso un corollario del principio della causalità, per cui al danneggiante non può far carico quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile. Può ritenersi che la colpa, cui fa riferimento l’art. 1227 c.c., vada intesa non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perchè il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all’art. 2043 c.c.), bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato. Ovvero il comportamento del danneggiato, attivo o omissivo, può rilevare come concausa di produzione del danno a suo carico. Una volta riconosciuta all’art. 1227, comma 1, c.c., la funzione di regolare, ai fini della causalità di fatto, l’efficienza causale del fatto colposo del soggetto leso, con conseguenze sulla determinazione dell’entità del risarcimento, ed una volta ritenuto che detta norma trova il suo inquadramento nel principio causalistico, secondo cui se tutto l’evento lesivo è conseguenza del comportamento colposo del danneggiato, risulta interrotto il nesso di causalità con le possibili cause precedenti, mentre se egli ha in parte 710 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. dato causa al verificarsi dell’evento dannoso, la responsabilità dell’autore materiale va ridotta in proporzione, rimane da esaminare quando il comportamento omissivo del danneggiato possa essere idoneo a costituire causa esclusiva o concausa dell’evento lesivo, ovvero quale sia la soglia di rilevanza causale della esposizione volontaria al rischio. Nella convivenza civile non si può pretendere dai soggetti che vivono ed operano nella società di attenersi alla massima regola di prudenza, che comporta la tendenziale esclusione del rischio, ovvero il sistematico tentativo di sottrarsi ad ogni possibile fonte di rischio, perchè da ciò conseguirebbero delle limitazioni nelle scelte di vita, la partecipazione alle quali comporta sempre un “normale rischio”, incompatibili con la stessa vita sociale. Quindi non si può porre a carico di chi non viola regole fissate dalla legge o il cui rispetto sia imposto dalla coscienza sociale, e ciò non di meno si sottopone ai normali rischi che la vita nel contesto sociale impone, di sottostare alle eventuali conseguenze negative di tale esposizione al rischio, che non soltanto è consapevole ma in taluni casi necessitata o obbligata, o comunque inevitabile. La sottrazione totale al rischio in assoluto è infatti da un lato impossibile, non essendo tutti i rischi prevedibili ed evitabili, e dall’altro contrasta con il vivere nella società e con l’esigenza di assolvere senza sottrarvisi ai vari compiti che la società stessa ci impone, lavorativi, relazionali, parentali, di sopravvivenza. Quindi, vivere e svolgere il proprio ruolo, qualunque esso sia, nel contesto sociale, non prevede che ci si debba attenere alla massima regola di prudenza evitando ogni occasione di rischio, ma al contrario comporta e spesso impone la sottoposizione ad un “normale rischio” proprio per non sottrarsi alle varie funzioni che necessariamente conseguono al partecipare alla vita della società civile (paradossalmente, sarebbe assurdo ritenere responsabile dei danni subiti in un sinistro un pedone per il solo fatto che abbia attraversato la strada, in tal modo esponendosi ai rischi del traffico, ma senza violare le regole di prudenza codificate e non). Occorre allora individuare quando la esposizione consapevole o volontaria, al rischio possa essere fonte di responsabilità per chi vi si espone. È semplice individuare la condotta, attiva o omissiva del danneggiato, che comporta esposizione volontaria al rischio e sia al contempo fonte di responsabilità quando essa sia posta in essere in precisa violazione di norme giuridiche (ad esempio, per rimanere nell’ambito della circolazione stradale, il trasportato che non allacci le cinture di sicurezza). Meno immediata è la collocazione della soglia di rilevanza di tale comportamento quando sia posta in essere una violazione non di norme giuridiche ma di regole di prudenza: a questo scopo occorre distinguere tra comportamento solo genericamente imprudente del danneggiato che di per sé non può essere ritenuto fonte di responsabilità, da quelle condotte che integrino violazione di norme comportamentali che, benché non accompagnate da sanzione, siano individuate come vincolanti non dalla legge ma dalla coscienza sociale del tempo, che il giudice si limita a registrare facendosene interprete. giur L e g i t t i m i tà Non ogni comportamento imprudente può essere fonte di responsabilità per il danneggiato quindi, ma si ha esposizione volontaria al rischio, idonea a rilevare come fattore concausale del danno quando il soggetto assuma un rischio che si pone ingiustificatamente sopra la soglia della normalità, e si caratterizza per essere un rischio anormale o anomalo. Si può ritenere quindi che il danneggiato ponga in essere una condotta - attiva o omissiva - causalmente rilevante in tutti i casi in cui accetti volontariamente di esporsi ad un rischio gratuito, cioè non necessitato e neppure giustificato dall’attività che egli debba svolgere (ad esempio una attività sportiva, pericolosa ma svolta secondo le regole), violando una norma giuridica o ponendosi consapevolmente in contrapposizione ad una regola di prudenza comportamentale avvertita come vincolante dalla comunità sottoponendosi in tal modo ad un rischio anormale, quindi ad un rischio gratuito, consapevole, dovuto ad una scelta voluttuaria e gravemente imprudente. Si ha in questi casi una accettazione consapevole che si traduce nella partecipazione anche senza un ruolo attivo ad una attività contra legem, o anche se non vietata dalla legge contraria ad una regola di prudenza avvertita come esistente e vincolante nella coscienza sociale del tempo, che il giudice si limita a registrare. In questo caso, l’esposizione volontaria al rischio anche se passiva, ovvero non associata ad un comportamento attivo idoneo a provocare il possibile evento dannoso supera la soglia del comportamento consentito e può rilevare come colposa, e come tale è compiuta sotto la responsabilità di ciascuno di noi, ovvero le eventuali conseguenze dannose non possono essere fatte ricadere integralmente su un altro soggetto, in quanto il comportamento tenuto si inserisce nel processo causale che porta all’evento dannoso divenendo un segmento della catena causale. Solo in questo caso la condotta si può considerare colposa e rilevare per far gravare almeno in parte la responsabilità del danno provocato non sul soggetto che normalmente ne risponderebbe in quanto autore materiale dell’evento dannoso, ma su altro soggetto, il danneggiato, che con la sua scelta imprudente si sia inserito in una situazione a rischio che avrebbe agevolmente potuto evitare con una scelta più prudente. Calando questo ragionamento nel contesto di regole applicabili al caso di specie, ovvero nella materia della circolazione stradale, non è più giustificata l’applicazione a vantaggio del trasportato che si esponga volontariamente ed ingiustificatamente ad un trasporto in violazione per il conducente delle norme del codice della strada (nel caso di specie, la partecipazione ad una gara automobilistica non autorizzata è sanzionata come reato dall’art. 9 ter del codice della strada) e per lui delle più elementari regole di prudenza, della presunzione di responsabilità del conducente come unica regola di responsabilità, dettata a tutela di un soggetto che, nell’id quod plerumque accidit, subisce un danno senza poter fare nulla per opporvisi, ovvero il trasportato. La particolare tutela del trasportato si spiega perchè questi è di solito il soggetto debole che si affida ad altri per lo svolgimento di una attività che comporta un certo rischio socialmente accettato in quanto “normale” ed utile, a cui la vita sociale rende ormai necessario esporsi ed anzi protetto anche a mezzo della assicurazione obbligatoria. Tale particolare protezione si giustifica proprio perchè egli di solito nessun apporto causale dà e soprattutto nessun apporto causale può dare per evitare il verificarsi dell’eventuale incidente, del quale è esclusivamente vittima e di regola mai artefice (salvo eccezionali e comprovati casi in cui è il trasportato a dar causa in tutto o in parte all’incidente intromettendosi nella guida). In caso di accettazione consapevole del rischio nella partecipazione anche senza comportamento attivo ad una attività che si sa rischiosa e contra legem, o contrastante con le regole della coscienza sociale, viene meno la ragione per fornire al soggetto trasportato una particolare tutela. Il principio di diritto affermato - che in caso di esposizione volontaria al rischio richiama ciascuno all’obbligo di sottostare alle relative conseguenze - segnala la necessità dell’assunzione consapevole delle responsabilità da parte di ciascuno all’interno delle innumerevoli occasioni di rischio che la società ci propone, e trova il suo fondamento costituzionale negli inderogabili doveri di solidarietà sociale, imposti dall’art. 2 Cost. ed è volto a richiamare l’attenzione sul fatto che l’aumento della sicurezza complessiva passa non solo attraverso la responsabilizzazione del danneggiante, o la individuazione di un soggetto a carico del quale vengano allocati economicamente i rischi (l’assicurazione) ma anche attraverso la consapevolezza della necessità che tutti i soggetti coinvolti in una attività che presenti margini di rischio si attengano ad un principio di precauzione. Nella fattispecie quindi può ritenersi che correttamente il giudice di merito abbia accertato la sussistenza di un concorso di colpa del danneggiato, che volontariamente si è esposto al rischio violando il precetto comportamentale di non partecipare, neppure come passeggero, a gare automobilistiche clandestine ed abbia di conseguenza ritenuto di superare la presunzione di colpa posta a carico del conducente dall’art. 2054 primo comma c.c. nei limiti percentuali di ripartizione delle responsabilità accertati in concreto. La particolarità della questione costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese di lite tra le parti. (Omissis) Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 711 giur L e g i t t i m i tà Corte di cassazione civile sez. II, 23 maggio 2014, n. 11537 Pres. Bucciante – Est. Parziale – P.M. Patrone (diff.) – Ric. Di Quinzio ed altro (avv. D’Aloisio) c. Prefettura Pescara Carico y Tolleranza y Trasporto eccezionale y Margine di tolleranza del due per cento ex art. 10, comma 24, c. s. y Applicazione y Condizioni. . In tema di circolazione stradale, il margine di tolleranza del due per cento, ai sensi dell’art. 10, comma 24, cod. strada, si applica solo nel trasporto eccezionale perché eseguito con veicolo di lunghezza totale superiore ai dodici metri, non anche nell’ipotesi di lunghezza totale inferiore, in quanto il trasporto eccezionale si svolge con modalità di sicurezza diverse dall’ordinario, che giustificano una differente regolamentazione dell’eccedenza di carico. (nuovo c.s., art. 10; nuovo c.s., art. 61) (1) (1) Non risultano precedenti che affrontino la medesima fattispecie. Per utili riferimenti sul tema si veda Cass. civ. 15 giugno 2007, n. 14032, in questa Rivista 2007, 1150. Svolgimento del processo 1. Gli odierni ricorrenti, proprietario e conducente dell’autocarro Fiat 190 PE 158359, proponevano opposizione avverso verbali di contravvenzione elevati dalla Polizia stradale di Pescara il 27 settembre 2005. La contestazione riguardava la mancata autorizzazione al trasporto eccezionale in conseguenza del trasporto di un carico che eccedeva di metri 2,80 la sagoma del veicolo e di oltre cm 25 i tre decimi della lunghezza del veicolo (violazione del terzo comma, lettera a, dell’articolo 10 codice della strada). Eccepivano i ricorrenti che la lunghezza del veicolo, risultante dalla carta di circolazione, era pari a metri 8,67, la lunghezza del carico (barre di ferro) era stata accertata in metri 11,30 e di conseguenza la sporgenza era pari a metri 2,63 (e non già come contestato 2,80) con la conseguenza che la non consentita eccedenza, oltre i tre decimi della lunghezza del camion, era pari a centimetri 3 e non già 25 come contestato. I ricorrenti invocavano l’applicazione al caso di specie del comma 24 dell’articolo 10 del codice della strada (“non si procede all’applicazione delle sanzioni se le dimensioni del carico non risultano superiori di oltre il 2%”), posto che la sporgenza di oltre i tre decimi era pari a solo 3 cm, mentre il 2% dell’eccedenza (metri 2,60) sarebbe stato pari a 5 cm. 2. Il giudice di pace di Pianella, effettuata istruttoria testimoniale, rigettava l’opposizione. 3. Il Tribunale di Pescara, sezione distaccata di Penne, adito dagli odierni ricorrenti, rigettava l’appello. Al riguardo, osservava che non risultavano contestate, in punto di fatto, le seguenti circostanze: il carico trasportato misurava 11,30 metri; la sporgenza effettiva di quest’ultimo era pari a metri 2,63 e non, come contestato, a metri 2,80; la sporgenza del carico oltre il consentito (metri 2,60) era di soli 3 cm e non di 25 come contestato. 712 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. La Prefettura di Pescara si costituiva, eccependo tra l’altro l’inesistenza della notifica effettuata nei suoi confronti e nella sua sede, anziché nei confronti del Ministero dell’Interno e presso l’Avvocatura dello Stato. Il giudice unico del tribunale riteneva sanabile l’eventuale vizio di notifica nei confronti della Prefettura, anziché del “Ministero dell’Interno, risultando tale vizio sanato per effetto della avvenuta costituzione della Avvocatura dello Stato (Cass. 2003 n. 11174). Nel merito rigettava l’impugnazione perchè riteneva non applicabile il margine di tolleranza del 2% previsto dal comma 24 dell’articolo 10 del codice della strada ed invocato dagli appellanti. Attraverso un’analisi dettagliata della norma di cui all’articolo 10 del codice la strada, il giudice unico giungeva a tale conclusione rilevando che i margini di tolleranza di cui al comma 24 dell’articolo 10 restano applicabili soltanto alle «fattispecie di illecito di trasporto eccezionale, o meglio “in condizioni di eccezionalità”, e di circolazione con veicoli eccezionali, in cui è elemento costitutivo il superamento dei limiti di massa di cui all’articolo 62 ovvero dei limiti di sagoma di cui all’articolo 61, questi ultimi, come si è visto, riferiti alla lunghezza del veicolo di cui trattasi, compreso il carico, pari a metri 12». Con le seguenti conseguenze, secondo il giudice dell’appello «(Dunque, per rimanere alle prime due fattispecie di trasporto in condizioni di eccezionalità previsto dal comma 2, in quella di cui alla lettera a), che è quella in contestazione, assume rilevanza unicamente il fatto che, pur nel rispetto della sagoma limite in lunghezza di m. 12, le barre di ferro trasportate lunghe m. 11,30 sporgessero posteriormente dal veicolo, anche se di poco, più dei 3/10 della sua lunghezza di m. 8,67; il margine di tolleranza non viene dunque in considerazione. Ove le dimensioni del carico avessero invece determinato una sporgenza posteriore dal veicolo nei limiti dei 3/10 della sua lunghezza, ma avessero tuttavia comportato il superamento della sagoma limite in lunghezza di m. 12, integrata la fattispecie di cui alla lettera b), avrebbe trovato applicazione il margine di tolleranza in questione, dovendosi accertare se tuttavia le dimensioni del carico non superassero del 2 per cento detta sagoma limite; rimanendo nell’esempio, rapportandolo al caso di specie, le barre di ferro avrebbero potuto avere lunghezza fino a m. 12,24 se il camion avesse avuto lunghezza di m. 9,50, giacché in tal caso la sporgenza posteriore di m. 2,74 sarebbe stata inferiore al limite consentito dei 3/ 10 della lunghezza del veicolo, pari a m, 2,85, mentre il superamento di cm. 24 della sagoma limite sarebbe rimasto nel margine di tolleranza (2 % di m. 12 = cm. 24)». 4. -I ricorrenti impugnano tale decisione, formulando due motivi. 5. All’esito della pubblica udienza del 12 marzo 2013 è stata disposta la rinnovazione della notifica, presso l’Avvocatura generale dello Stato, alla Prefettura intimata. Effettuato regolarmente tale adempimento, la causa è stata trattata all’udienza pubblica del 21 gennaio 2014. giur L e g i t t i m i tà Motivi della decisione 1. I motivi del ricorso. 1.1 - Col primo motivo di ricorso si deduce: «violazione e falsa applicazione della norma di cui al comma 24 dell’articolo 10 del codice della strada in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c.». Secondo i ricorrenti, dovrebbe trovare applicazione nel caso in questione la norma di cui al comma 24 dell’articolo 10 del codice della strada, esclusa dai giudici di merito in ragione della sua interpretazione letterale. Secondo il giudice dell’appello, infatti, la tolleranza del 2% sulla sporgenza sarebbe consentita nel solo caso di trasporto in condizioni di eccezionalità o di circolazione con veicoli eccezionali nel caso di superamento della lunghezza totale di metri 12 e non già nelle ipotesi meno grave di una lunghezza totale inferiore». Tale interpretazione, strettamente letterale, sarebbe non conforme alla “intenzione del legislatore”, che ha così inteso prevedere una tolleranza nel calcolo della sporgenza, che non può non ricomprendere tutte le ipotesi di eccedenza del trasporto, profilandosi diversamente aspetti di incostituzionalità della norma. Al termine dell’esposizione del motivo i ricorrenti affermano quanto segue: (la tolleranza sino al 2 % in più, prevista dal comma 24 dell’art. 10 c.d.s. con specifico riferimento al superamento, a causa d’un eccesso di sporgenza del carico, dei limiti di sagoma del veicolo di cui al successivo art. 61, non deve essere applicata anche all’altra ipotesi che al comma 3 del medesimo art. 10 è stata a quella espressamente equiparata, del “trasporto in condizioni di eccezionalità”, in cui peraltro il superamento della lunghezza, pur sempre inferiore ai 12 metri costituenti il limite massimo in assoluto, è legato semplicemente ad un calcolo di sproporzioni tra la sagoma d’un veicolo ed il relativo carico?». 1.2 - Col secondo motivo di ricorso si deduce: «Violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 della legge 24 novembre 1982 n. 689 e di ogni altra norma in tema di responsabilità). Il giudice dell’appello nella sua motivazione ha dato atto che l’eccedenza verificata era pari a soli 3 cm, rilevando altresì che dal verbale e dall’istruttoria svolta era risultato che gli agenti erano incorsi in un errore di misurazione del veicolo (rilevato pari a 8,50 metri a fronte dei 8,670 metri risultante dalla carta di circolazione), così ponendosi anche dubbi sulla correttezza delle misurazioni effettuate. In tale situazione, secondo i ricorrenti, ben poteva essersi verificato «un involontario errore di misurazione del carico all’origine), oppure tale minima eccedenza del carico poteva essere riferibile «ad una sua iniziale non perfetta aderenza al cassone del veicolo o ad un suo impercettibile scivolamento durante il percorso, ma in ogni caso senza colpa di alcuno). Al termine dell’esposizione del motivo i ricorrenti in conclusione, affermano quanto segue: «Potrebbe essere ascritta ad una condotta volontaria e cosciente per basarvi un’affermazione di responsabilità, piuttosto che ad un incolpevole errore o a mera accidentalità per farne discendere invece una decisione assolutoria, una eccedenza in lunghezza di soli 3 cm., riscontrata in un carico di m. 11,30 nel corso del suo trasporto?». 2. Il ricorso è infondato e va rigettato. 2.1 È infondato il primo motivo che deduce violazione e falsa interpretazione dell’art. 10, comma 24, Codice della Strada. Correttamente il giudice dell’appello ha rilevato la differente ratio delle norme e il conseguente diverso ambito di applicazione, posto che il trasporto eccezionale si svolge con modalità ben diverse da quello ordinario, proprio allo scopo di garantire una adeguata sicurezza nella circolazione. Proprio tali specifiche modalità ulteriori giustificano una diversa regolamentazione dell’eccedenza di carico. Si tratta di due ben distinte ipotesi, che escludono all’evidenza i dedotti profili di incostituzionalità. Per il resto l’argomentazione del giudice dell’appello è interamente condivisibile, così come corretta è stata l’applicazione e l’interpretazione della norma. 2.2 Parimenti infondato è il secondo motivo, che si limita a denunciare la violazione e la falsa interpretazione dell’art. 3 della legge 689 del 1981. Non sono state contestate specificamente in appello le questioni di fatto relative alle misurazioni, mentre è stata dedotta, così come in questa sede, la violazione di legge. Al riguardo, non può che rilevarsi la correttezza dell’applicazione ed interpretazione della norma che si afferma violata, posto che, come più volte affermato da questa Corte, «l’errore sulla liceità della condotta, correntemente indicato come “buona fede”, può rilevare in termini di esclusione della responsabilità amministrativa, al pari di quanto avviene per la responsabilità penale in materia di contravvenzioni, solo quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della sopra riferita liceità, oltre alla condizione che da parte dell’autore sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l’errore sia stato incolpevole, non suscettibile cioè di essere impedito dall’interessato con l’ordinana diligenza» (Cass. n. 16320 del 12 luglio 2010, Rv. 614381). I ricorrenti non hanno fornito alcuna prova al riguardo, non potendo la sia pur minima entità dell’eccedenza di per sé escludere la relativa responsabilità, in assenza appunto di prova quanto alle verifiche, preventive e successive, effettuate ed agli accorgimenti adottati per evitare l’accertata eccedenza. 3. Nulla per le spese in mancanza di attività in questa sede della parte intimata. (Omissis) Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 713 giur L e g i t t i m i tà Corte di cassazione civile sez. VI, ord. 21 maggio 2014, n. 11288 Pres. Piccialli – Est. D’ascola – Ric. Uff. Terr. Gov. Prefettura Matera (Avv. Gen. Stato) c. FavalE Depenalizzazione y Accertamento delle violazioni amministrative y Contestazione y Verbale y Impugnazione y Violazioni del Codice della strada y Violazioni che non ammettono il pagamento in misura ridotta y Mancata impugnazione del verbale y Conseguenze. . In tema di violazioni del codice della strada, quando non sia possibile il pagamento in misura ridotta della sanzione pecuniaria ex art. 202 cod. strada, la mancata impugnazione del verbale non determina la formazione del titolo esecutivo, essendo impugnabile, in questa tipologia di sanzione, esclusivamente l’ordinanza ingiunzione, secondo la disciplina generale desumibile dagli artt. 18 e 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Ne consegue che l’emissione dell’ordinanza ingiunzione non è assoggettata ad alcun termine di decadenza, trovando come unico limite temporale il termine di prescrizione del diritto alla riscossione della sanzione. (nuovo c.s., art. 194; nuovo c.s., art. 202; l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 16; l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 18; l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22; l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 28) (1) (1) In senso conforme si segnala Cass. civ. 12 giugno 2008, n. 15841, in questa Rivista 2008, 1026. Per utili riferimenti in materia cfr. Cass. civ. 16 ottobre 2006, n. 22120, ivi 2007, 524. Svolgimento del processo e motivi della decisione Emidio Favale proponeva opposizione ex art. 23 L. 689/81 avverso l’ordinanza ingiunzione prot 30436/06 emessa dalla Prefettura di Matera in relazione al verbale di contestazione del 19 ottobre 2005 con cui gli veniva contestata l’infrazione di cui all’art. 116/13 c.d.s. (guida senza patente). Esponeva che altra sanzione relativa a violazione di cui all’art. 116/12 (affidamento di vettura a persona sprovvista di patente) era stata “regolarmente pagata”. Il Giudice di pace di Pisticci con sentenza 27 dicembre 2006 accoglieva l’opposizione. 2) Il Tribunale di Potenza con sentenza 25 giugno 2010 rigettava l’appello dell’Ufficio territoriale del Governo. Rilevava che il Prefetto di Matera non aveva emesso il provvedimento sanzionatorio entro il termine di conclusione del procedimento, giacchè il verbale gli era stato trasmesso il 2 novembre 2005 mentre il provvedimento era stato emesso il 28 giugno 2006, in data nella quale il termine di 180 giorni risultante dal cumulo del termine di cui al comma primo dell’art. 204 Codice della Strada (120 giorni) e quello di 60 giorni previsto dal precedente articolo 201 (recte 203) era già scaduto. 2.1) Secondo il tribunale, la regola generale dell’inapplicabilità alle sanzioni amministrative del termine di cui all’art. 2 L. 241/90 e della possibilità di notificare la 714 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. pretesa entro il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 non riguardano le violazioni di norme sulla circolazione stradale, soggette esclusivamente al termine perentorio di cui all’art. 204 del c.d.s. Il tribunale reputava anche insussistente ogni distinzione tra sanzioni relative al codice della strada per le quali è ammesso o precluso il pagamento in misura ridotta. 3)La Prefettura di Matera ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 29 luglio 2011. L’intimato Favale non ha svolto attività difensiva. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. Con l’unico motivo di ricorso l’avvocatura dello Stato lamenta la violazione degli artt. 116, 202 e 204 del codice stradale e degli artt. 16 e 28 della legge 689/81. Sostiene che per la violazione contestata nella specie, prevista dall’art. 116 comma 13 del codice, non è ammesso il pagamento in misura ridotta della sanzione, con la conseguenza della inapplicabilità dei termini applicati dalla sentenza impugnata. Il ricorso è fondato. 4) L’art. 202 comma 3 bis del codice esclude il pagamento in misura ridotta per la violazione prevista dall’art. 116 comma 13. La Corte di Cassazione nell’esaminare la problematica che ne scaturisce, dopo qualche esitazione che ha dato luogo ai precedenti invocati dal Tribunale di Potenza, è pervenuta ad affermare stabilmente un orientamento contrario a quello manifestato dal giudici di merito lucani. Si è affermato che: «In tema di violazioni del codice della strada, quando non sia possibile il pagamento in misura ridotta della sanzione pecuniaria ex art. 202 cod. strada, la mancata impugnazione del verbale non determina la formazione del titolo esecutivo, essendo impugnabile, in questa tipologia di sanzione, esclusivamente l’ordinanza ingiunzione, secondo la disciplina generale desumibile dagli artt. 18 e 22 legge n. 689 del 1981. Ne consegue che l’emissione dell’ordinanza ingiunzione non è assoggettata ad alcun termine di decadenza trovando come unico limite temporale il termine di prescrizione del diritto alla riscossione della sanzione» (Cass. 4832/08; 15841/08; 5784/09; 23544/09). Alle motivazioni svolte in queste sentenze, il Collegio ritiene di aderire pienamente, recependo la relazione preliminare depositata ex art. 380 bis c.p.c. Quest’ultima ha opportunamente precisato che restano assorbiti gli errori, oltre quello indicato al § 2, che costellano la sentenza impugnata: - l’accoglimento del ricorso da parte del giudice di pace e non, come si legge, il rigetto (pag. 2); - la data della sentenza del g.d.p (pag. 3) che è 27 dicembre 2006 e non 2007; -la competenza territoriale del tribunale circondariale - e non di quello del capoluogo del distretto sulle impugnazioni delle sentenze del giudice di pace nelle cause in cui sia parte l’avvocatura erariale (sez. un. 23825/10), questione opportunamente non riproposta nell’odierno giur L e g i t t i m i tà ricorso. Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata. La cognizione va rimessa al Tribunale di Potenza, in diversa composizione, per lo svolgimento del giudizio di appello e l’eventuale esame dei residui motivi di opposizione, la cui esistenza è menzionata a pag. 2 e soprattutto a pag. 6 della sentenza impugnata, ove si legge che l’accoglimento del motivo imperniato sul termine per emettere l’ordinanza «esime questo Giudice dalla disamina di quelli ulteriori». Il giudice di rinvio provvederà alla liquidazione delle spese di questo giudizio. (Omissis) Corte di cassazione civile sez. III, 21 maggio 2014, n. 11270 Pres. Segreto – Est. D’Alessandro – P.M. Basile (conf.) – Ric. Del Prete (avv. Fortunato) c. Milano Assic.ni S.p.a. ed altri Responsabilità da sinistri stradali y Presunzio- ne di colpa nel caso di scontro tra veicoli y Persone trasportate y Prova liberatoria. . In materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’art. 2054 cod. civ. esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni e, quindi, anche ai trasportati, qualunque sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale, oneroso o gratuito, potendo il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto, invocare i primi due commi dell’art. 2054 cod. civ. per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il comma terzo per far valere quella solidale del proprietario, il quale può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà, ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno o, ancora, in caso di guasto tecnico, dando prova del caso fortuito o dell’inesistenza del vizio di manutenzione o costruzione. (c.c., art. 2054) (1) (1) Sostanzialmente in termini si esprime Cass. civ. 22 agosto 2007, n. 17848, in questa Rivista 2008, 146. Nello stesso senso si veda Cass. civ. 9 marzo 2004, n. 4754, ivi 2008, 874. Svolgimento del processo Emilia Irene Del Prete propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che ha rigettato il suo gravame contro la sentenza di primo grado del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, che aveva rigettato la domanda risarcitoria da lei proposta contro Mele Giovanni, Mele Giuseppe e la Lloyd Internazionale S.p.A., in relazione ad un sinistro, accaduto il 25 giugno 1986, nel quale lei era trasportata su un’autovettura di proprietà di Mele Giovanni, condotta da Mele Giuseppe ed assicurata con la Lloyd Internazionale, ritenendo raggiunta la prova del fortuito. Gli intimati non si sono costituiti. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente contesta alla Corte di Appello di aver considerato il guasto meccanico come prova dell’esimente del caso fortuito. 1.1. - Il primo motivo è fondato. Premesso che la sentenza impugnata si fonda proprio sul riconoscimento del guasto come prova del fortuito, va considerato che il trasportato, anche se a titolo di cortesia, è assistito dalla presunzione di colpa a carico dell’autista e del proprietario, per i commi 1 e 2 dell’art. 2054 c.c. Se poi il sinistro non è dovuto a condotta di guida ma a guasto tecnico, egli è assistito da presunzione di responsabilità e, quindi, da responsabilità oggettiva, ex art. 2054, ult. comma, c.c. Questa Corte ha affermato (sentenza n. 17848 del 2007) che, in materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’art. 2054 c.c. esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni e, quindi, anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale, oneroso o gratuito. Da ciò consegue che il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto, può invocare i primi due commi della disposizione citata per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il comma terzo per far valere quella solidale del proprietario che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno. Ai fini dell’affermazione della responsabilità solidale del proprietario, ai sensi del citato comma terzo dell’art. 2054, è irrilevante che quella del conducente sia riconosciuta in via presuntiva, ai sensi dei primi due commi dell’art. 2054, ovvero sulla base di un accertamento in concreto della colpa, ai sensi dell’art. 2043 c.c., giacché l’estensione della responsabilità al proprietario mira a soddisfare l’esigenza di carattere generale di garantire il risarcimento del danno al danneggiato. Ed ancora (sentenza n. 4754 del 2004) che in virtù del disposto dell’art. 2054, ultimo comma, c.c., il proprietario o il conducente dell’auto è responsabile dei danni derivanti da vizi di manutenzione o di costruzione dell’autoveicolo, indipendentemente da un suo comportamento colpevole; tuttavia, pur avendo questa responsabilità natura oggettiva, il nesso causale tra il guasto e la responsabilità del danno può essere interrotto se interviene un fattore esterno che, con propria autonoma ed esclusiva efficienza causale, determina il verificarsi del danno, nel qual caso unico responsabile di esso sarà il soggetto cui va ascritta la responsabilità in ordine al fattore sopraggiunto. Ne consegue che competeva ai convenuti superare la presunzione di colpa del conducente, dimostrando che l’incidente non era dipeso da tale presunta condotta colposa del conducente. Se, invece era ipotizzabile un guasto tecnico, competeva al proprietario custode ed al conducente provare il fortuito e la non esistenza del vizio di manutenzione o costruzione. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 715 giur L e g i t t i m i tà Erroneamente, invece, la Corte di Appello fa ricadere sulla trasportata danneggiata la mancanza di prova di come si sia verificato l’incidente, ritenendo superate le due presunzioni dette, pur in assenza di prove liberatorie da parte dei convenuti, gravati dalle presunzioni. 2. - Con il secondo motivo la ricorrente lamenta vizio di motivazione quanto alla relazione tra l’art. 2051 e l’art. 2054 c.c. 2.1. - Il mezzo è assorbito. 3. - Accolto il primo motivo e dichiarato assorbito il secondo, la sentenza deve essere cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione. (Omissis) Corte di cassazione civile sez. VI, ord. 20 maggio 2014, n. 11018 Pres. Piccialli – Est. D’Ascola – Ric. Genovese (avv.ti Caracciolo e Valensise) c. Comune di Portigliola ed altri Segnaletica stradale y Segnale di limitazione della velocità y Ripetizione dopo l’intersezione y Necessità y Fondamento y Omissione y Conseguenze. . In tema di segnaletica stradale, poiché, ai sensi dell’art. 104 reg. esec. cod. strada, i segnali di divieto devono essere ripetuti dopo ogni intersezione, la limitazione di velocità imposta da un segnale precedente l’intersezione viene meno dopo il superamento dell’incrocio, qualora non sia ribadita da un nuovo apposito segnale, in mancanza del quale rivive la prescrizione generale dei limiti di velocità relativi al tipo di strada, salvo quanto disposto da segnali a validità zonale o da altre condizioni specifiche. (nuovo c.s., art. 142; d.p.r. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 104; d.p.r. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 119) (1) (1) Analoga fattispecie si rinviene in Cass. civ. ord. 15 novembre 2013, n. 25769, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna. Svolgimento del processo e motivi della decisione 1) Il 23 agosto 2006 Francesco Genovese percorreva la strada statale 106, in comune di Portigliola, conducendo vettura Opel di cui a mezzo autovelox veniva rilevata al km 94, 600 la velocità di 60 kmh. Sanzionato dal comune oggi resistente, il conducente proponeva opposizione in sede giurisdizionale lamentando, per quanto ancora qui interessa, la insussistenza del limite di velocità di 50 km, giacchè il segnale che poneva questo limite era apposto 200 metri prima dello svincolo in direzione Portigliola, mentre l’apparecchio rilevatore era posizionato 150 metri dopo lo svincolo. Sosteneva che, dopo l’intersezione, il segnale di limite di velocità avrebbe dovuto essere ripetuto, valendo altrimenti il limite ordinario previsto per il tipo di strada, fissato in 90 km/h. 1.1) Il giudice di pace di Locri rigettava l’opposizione, accogliendo il rilievo dell’amministrazione, secondo la quale ai sensi dell’art. 119 del Reg. c.d.s. era da ritene- 716 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. re vigente il limite dei 50 km orari imposto dal segnale anteriore allo svincolo, giacchè per ripristinare i limiti generalizzati di velocità valevoli per “quel tipo di strada” deve essere usato il segnale “fine limitazione velocità” (assente nel caso di specie), salva l’imposizione di un diverso limite (cfr., in questi termini il controricorso del Comune, che a pag. 2 - punto 3 - riassume le difese svolte davanti al giudice di pace, confermando quanto sul punto esposto dal ricorrente). 1. 2) Il tribunale di Locri con sentenza 2 febbraio 2012 ha rigettato l’appello. Ha osservato che il ricorrente non aveva fornito prova dell’insussistenza del limite di velocità nel tratto di strada e che il comune aveva assolto, mediante la verbalizzazione degli agenti accertatori, il superamento dei limiti di velocità. Genovese ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi. Il Comune ha resistito con controricorso. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, proponendo l’accoglimento del ricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria. 2) Primo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente, denunciano in rubrica violazione, in relazione all’art. 360 n. 3, dell’art. 115 c.p.c e dell’art. 119 del Regolamento c.d.s. Si sostiene con il primo motivo, il quale si risolve in una denuncia di vizio motivazionale, che dagli atti risultava, mediante documentazione fotografica non contestata, l’assenza di segnale limitativo di velocità dopo l’intersezione marcata dallo svincolo verso Portigliola. Con il terzo motivo, il ricorrente, sul presupposto di fatto di cui sopra, afferma che il caso non è regolato all’art. 119 Reg., ma dall’art. 104 Reg. In sostanza il ricorso ritiene che ai sensi di quest’ultima norma del regolamento, che prescrive la ripetizione dei segnali dopo ogni intersezione, il segnale di limite di velocità di 50 km orari avrebbe dovuto essere ripetuto dopo l’incrocio per lo svincolo. In mancanza, superata l’intersezione, restava inefficace il limite apposto 200 mt prima dell’intersezione e riprendeva vigore il normale limite di velocità - di 90 km orari - previsto per quel tipo di strada, con la conseguenza che l’automobilista non era incorso in alcuna violazione, poiché procedeva a 60 km orari. 2.1)Nel controricorso il comune deduce che il Tribunale ha omesso di porre a fondamento della decisione la determinante prova da esso offerta, costituita da una delibera municipale con la quale era stato dimostrato che il tratto di strada de qua era parte del centro abitato (denominata Torre) e quindi era sottomesso al limite di 50 km orari prescritto in via generale dall’art. 142 c. 1 c.d.s. 3) I motivi di ricorso appaiono fondati. Il controricorso (pag. 2) dà atto e conferma che è incontroverso che, dopo l’intersezione, erano posti il rilevatore automatico di velocità e, successivamente, il segnale di divieto (art. 115 e 116 lett. e del Regolamento n. 495/92) che prescriveva il limite massimo di velocità. giur L e g i t t i m i tà Dunque il rilevamento con apparecchiatura elettronica è avvenuto prima che il segnale fosse ripetuto. L’art. 104 c. 2 del Regolamento stabilisce che: «Lungo il tratto stradale interessato da una prescrizione i segnali di divieto e di obbligo, nonchè quelli di diritto di precedenza, devono essere ripetuti dopo ogni intersezione. Tale obbligo non sussiste per segnali a validità zonale.» L’art. 119 del regolamento disciplina “i segnali che indicano la fine di un divieto” e al punto b) “il segnale fine limitazione di velocità”. Prevede che detto segnale «Deve essere usato ogniqualvolta si vogliano ripristinare i limiti generalizzati di velocità vigenti per quel tipo di strada. Qualora si voglia imporre un diverso limite di velocità inferiore ai limiti suddetti, in luogo del segnale fine limitazione di velocità deve essere usato il segnale limite massimo di velocità indicante il nuovo limite». Nel caso di specie, poiché è pacifico che era stata superata un’intersezione e che non era stato ripetuto il segnale, i giudici di merito avrebbero dovuto verificare se la strada percorsa fosse soggetta, per tipologia, al limite di 90 km orari, come dedotto in ricorso, o ad altro limite adeguatamente segnalato, come dedotto dalle difese del Comune. Va infatti ritenuto che la mancanza della ripetizione del segnale poteva indurre il conducente a credere che la riduzione del limite di velocità disposta prima dell’intersezione fosse venuta meno, giacchè il coordinamento tra l’art. 119 e l’art. 104 del Regolamento è da formulare nel senso che il limite di velocità imposto da un segnale cessi, per effetto del segnale di fine del limite (tesi sostenuta dal Comune nelle sue difese), solo se ci si trova in presenza di un tratto di strada continuo. Per contro, stando a quanto previsto dal Regolamento, la presenza di intersezione fa ritenere che la limitazione, imposta in relazione alla presenza dell’intersezione stessa, venga meno dopo il superamento dell’incrocio, giacchè dopo di esso dovrebbe esservi un nuovo cartello limitatore, secondo la previsione dell’art. 104; in mancanza di tale nuovo cartello, rivive la prescrizione generale relativa al tipo di strada. Ciò non vale, secondo l’art. 104, per i segnali a validità zonale, che non necessitano di ripetizione. 4) I giudici di merito non hanno però accertato la eventuale sussistenza di questa peculiare situazione, né, come detto, hanno preso in considerazione la argomentazione fattuale, esposta in controricorso, circa l’inclusione del tratto stradale in zona centro abitato e la connessa segnalazione, verificando la corrispondenza al vero di quanto in proposito dedotto in controricorso. Trattasi di accertamenti di merito che sono sottratti ai poteri del giudice di legittimità e che dovranno essere esperiti in sede di rinvio, previa verifica della tempestiva introduzione in giudizio, in fase di merito, delle risultanze e delle deduzioni ora invocate dal Comune (v. Cass. 8892/09). Alla luce dell’accoglimento della tesi interpretativa sostenuta dal ricorrente, viene chiarita la questione relativa all’onere probatorio, su cui il giudice di appello ha incentrato la motivazione. Il tribunale ha verificato l’esistenza di un verbale di infrazione, che è in astratto sufficiente, in difetto di idonea prova contraria, a dar prova della sussistenza degli estremi di fatto per irrogare la sanzione (Cass. 25844/08; 17355/09). Il tribunale ha però fondato la pronuncia di rigetto dell’appello in relazione alla persistenza del limite di velocità di 50 km orari, limite che, secondo la ricostruzione dei fatti offerta concordemente dalle parti (assenza del segnale di limite velocità dopo l’intersezione), era da riconsiderare in ottica più complessa, dovendosi interpretare il disposto di cui all’art. 104 nel senso della insussistenza, di regola, del limite stesso qualora il segnale non venga ripetuto dopo l’intersezione, contrariamente a quanto affermato dal Comune e ritenuto dal giudice di primo grado. 4.1) Erano pertanto irrilevanti le argomentazioni svolte in sentenza di appello in ordine al funzionamento degli apparecchi rilevatori. Erano invece erronee le considerazioni relative alla prova dell’insussistenza del limite di velocità di 50 km orari: in base alla ricostruzione dei fatti su cui le parti concordano (si veda ancora il § 3 supra e la argomentazione del Comune sub § 1.1) risultavano infatti provati i fatti su cui si fonda la tesi di parte ricorrente, disattesa dalla sentenza di primo grado, che il giudice di appello ha confermato. Il secondo motivo di ricorso, chiarito con la memoria depositata in vista dell’udienza, è da ritenere fondato in questi limiti. 5) Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata. La cognizione va rimessa al tribunale di Locri in diversa composizione, affinchè riesamini l’appello attenendosi al seguente principio di diritto: “Poiché, ai sensi dell’art. 104 Reg. codice della strada, i segnali di divieto devono essere ripetuti dopo ogni intersezione, la limitazione di velocità imposta da un segnale precedente l’intersezione stessa viene meno dopo il superamento dell’incrocio, qualora non venga ribadita da nuovo apposito segnale; in mancanza di tale nuovo segnale, rivive la prescrizione generale dei limiti di velocità relativi al tipo di strada, salvo quanto disposto da segnali a validità zonale o da altre condizioni specifiche”. (Omissis) Corte di cassazione civile sez. un, 14 maggio 2014, n. 10406 Pres. Rovelli – Est. San Giorgio – P.M. Ciccolo (conf.) – Ric. Deriu (avv. Caria) c. Prefettura Nuoro Patente y Revoca e sospensione y Revoca y Provvedimento del prefetto in seguito a sottoposizione del titolare alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza y Natura di sanzione amministrativa accessoria y Esclusione y Constatazione dell’insussistenza dei requisiti morali per il conseguimento del titolo alla guida y Sussistenza y ConseArch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 717 giur L e g i t t i m i tà guenze y Giudizio di opposizione y Competenza del tribunale ai sensi dell’art. 9 c.p.c. y Fondamento. . Il provvedimento prefettizio con il quale, ai sensi degli artt. 120 e 219 cod. strada venga disposta la revoca della patente di guida a seguito della irrogazione, a carico del titolare, della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, non può essere assimilato alle sanzioni amministrative per le quali è previsto, in via generale, il regime di impugnazione di cui all’art. 22 bis, legge 24 novembre 1981, n. 689, poiché esso non costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, bensì la constatazione dell’insussistenza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti morali prescritti per il conseguimento del titolo di abilitazione alla guida. Ne consegue che il giudizio di opposizione avverso tale provvedimento, non rientrando nella competenza per materia del giudice di pace, è devoluto alla competenza ordinaria del tribunale, ai sensi dell’art. 9 cod. proc. civ. (nuovo c.s., art. 120; nuovo c.s., art. 219; c.p.c., art. 9; l. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 3; l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22; l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22 bis) (1) (1) La questione è già stata sostanzialmente oggetto di altra pronuncia di queste stesse Sezioni. Infatti, con sentenza 6 agosto 2006, n. 2446, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna, le S.S. UU. hanno statuito che «La domanda rivolta a denunciare la illegittimità del provvedimento di revoca della patente di guida, reso dal Prefetto a carico di persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, si ricollega ad un diritto soggettivo, e, di conseguenza, in difetto di deroghe ai comuni canoni sul riparto di giurisdizione, spetta alla cognizione del giudice ordinario.». Negli stessi termini della massima in commento si è espressa Cass. civ. 4 novembre 2010, n. 22491, in questa Rivista 2011, 314. Svolgimento del processo e motivi della decisione 1. - Ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata depositata presso la cancelleria della Sesta Sezione civile - Sottosezione II – la seguente relazione: «1. - Con ricorso depositato il 23 dicembre 2010 Francesco Oeriu proponeva opposizione ai sensi degli artt. 22 e ss. legge n. 689/81 e 120 c.d.s., avverso l’ordinanza con la quale il Prefetto di Nuoro gli aveva revocato la patente di guida essendo persona sottoposta alla misura della sorveglianza speciale. Con “decreto-ordinanza” del 28 dicembre 2010 il Giudice di pace di Macomer dichiarava inammissibile il ricorso ritenendo competente a provvedere il Ministro dell’Interno, di concerto col Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, in base all’art. 120, comma 4 c.d.s., come modificato dall’art. 3, comma 52, lett. a) della legge n. 94/09. 2. - Avverso detto provvedimento Francesco Deriu propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. 2.1. - La Prefettura di Nuoro è rimasta intimata. 3. - L’unico motivo d’annullamento deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 120, comma 4 c.d.s., in relazione al n. 1 dell’art. 360 c.p.c., per motivi attinenti alla giurisdizione, sostenendo - mediante il richiamo a Cass. sez. un. n. 2446/06 - che il provvedimento di revoca della patente di abilitazione alla guida si ricollega ad un diritto 718 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. soggettivo, per cui, in difetto di deroghe ai comuni criteri di riparto, la giurisdizione compete al giudice ordinario. 4. - In punto di ammissibilità del ricorso deve premettersi che la prevalente giurisprudenza di questa Corte formatasi sull’interpretazione dell’art. 23, primo comma legge n. 689/81, come modificato dall’art. 99 D.L.vo n. 507/99, ritiene che detta norma - la quale stabilisce la ricorribilità per cassazione dell’ordinanza che dichiari inammissibile il ricorso perchè proposto oltre il termine di cui all’art. 22 stessa legge - sia rimasta immutata anche dopo le modifiche arrecate dal D.L.vo 40/06, che ha generalizzato l’appello avverso le sentenze pronunciate in primo grado in materia di opposizione a sanzione amministrativa, nonché avverso le ordinanze di cui al quinto comma dello stesso art. 23 (Cass. nn. 1717/12, 182/11, 9667/10 e 18009/10; contra, n. 4355/10). In particolare, è stato osservato che qualora il provvedimento d’inammissibilità venga emesso, inaudita altera parte, con ordinanza, il mezzo d’impugnazione, ai sensi dell’art. 23, primo comma della L. n. 689 del 1981, anche dopo la modifica del regime delle impugnazioni introdotto con la L. n. 40 del 2006, - in vigore dal 3 marzo 2006, è il ricorso per cassazione. Al contrario nell’ipotesi in cui la pronuncia intervenga all’esito di un giudizio instaurato, nelle forme ordinarie, previa convocazione delle parti, il provvedimento ha natura di sentenza ed è impugnabile mediante l’appello (Cass. n. 9667/10). 4.1. - Tale principio appare estensibile ad ogni ipotesi in cui - come nella fattispecie - l’opposizione sia rivolta avverso una pronuncia d’inammissibilità resa ante portas, vale a dire con provvedimento emesso ancor prima che, fissata l’udienza di comparizione e notificato il ricorso, sia stato istituito il contraddittorio fra le parti e instaurato il giudizio. 4.2. - Ciò premesso, il motivo è fondato. Come rilevato da Cass. sez. un. n. 2446/06, menzionata nello stesso ricorso, “il citato art. 120 c.d.s., comma 1, nel testo risultante a seguito delle sentenze della Corte costituzionale 21 ottobre 1998, n. 354, 18 ottobre 2000 n. 427 e 17 luglio 2001 n. 251, contempla la revoca della patente di guida, quando il titolare sia sottoposto a determinate misure di prevenzione in corso di applicazione, sulla scorta di una diretta valutazione di pericolosità del protrarsi del godimento della relativa abilitazione nel periodo di vigenza di dette misure, mentre non richiede alcun apprezzamento da parte dell’autorità amministrativa circa il verificarsi di detta pericolosità nel singolo caso (apprezzamento che era invece previsto dallo stesso art. 120 c.d.s., con disposizione che è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con sentenza 15 luglio 2003 n. 239, per la revoca della patente nei confronti del condannato a pena detentiva non inferiore a tre anni). Detto provvedimento prefettizio di revoca della patente in dipendenza di misure di prevenzione non esprime quindi esercizio di discrezionalità amministrativa, cioè di potere idoneo a degradare la posizione di diritto soggettivo della persona abilitata alla guida, ma è un atto dovuto, nel concorso delle condizioni all’uopo stabilite dalla norma (caratteristica ritenuta anche nella citata pronuncia della Corte costituzionale n. 427 del 2000, e del resto non contestata dal ricorrente). Pertanto, in sintonia con quanto ritenutosi per similari interventi sulla patente di guida (sospensivi od giur L e g i t t i m i tà ablativi) a seconda che siano vincolati a circostanze prestabilite o passino attraverso valutazioni discrezionali degli organi amministrativi (cfr., per le rispettive ipotesi, Cass. sez. un. 27 aprile 2005 n. 8693, nonché Cass. sez. un. 29 aprile 2003 n. 6630 e 20 maggio 2003 n. 7898), si deve affermare che la domanda rivolta a denunciare l’illegittimità del provvedimento di revoca della patente di guida, reso dal prefetto a carico di persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, si ricollega ad un diritto soggettivo, e di conseguenza, in difetto di deroghe ai comuni canoni sul riparto della giurisdizione, spetta alla cognizione del Giudice ordinario (al quale compete, nell’eventualità del fondamento della denuncia, di tutelare il diritto stesso disapplicando l’atto lesivo)” 5. - Per le considerazioni svolte, si propone la decisione del ricorso con ordinanza, nei sensi di cui sopra, a termini dell’art. 375, n.5 c.p.c.». 2. - All’adunanza camerale del 14 febbraio 2013, il Collegio, ritenuto che la fattispecie in esame non sia perfettamente coincidente con quella oggetto della citata sez. un. n. 2446/06, con ordinanza interlocutoria n. 15236 del 2013, ha rimesso il ricorso al Primo Presidente per la eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Il Primo Presidente ha disposto in tal senso. 3. - Il ricorso merita accoglimento. È sufficiente, al riguardo, richiamare l’orientamento già espresso da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 2446 del 2006, menzionata anche nella sopra trascritta relazione, secondo la quale la domanda rivolta a denunciare la illegittimità del provvedimento di revoca della patente di guida, reso dal prefetto a carico di persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, si ricollega ad un diritto soggettivo, e, di conseguenza, in difetto di deroghe ai comuni canoni sul riparto di giurisdizione, spetta alla cognizione del giudice ordinario. 4. - Ai fini, poi, della individuazione del giudice funzionalmente competente, deve sottolinearsi che il provvedimento prefettizio col quale, ai sensi degli artt. 120 e 219 del codice della strada, viene disposta la revoca della patente di guida a seguito dell’irrogazione, a carico del titolare, della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, non può essere assimilato alle sanzioni amministrative per le quali è previsto, in via generale, il regime di impugnazione di cui all’art. 22-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689, poiché esso non costituisce conseguenza accessoria della violazione di una disposizione in tema di circolazione stradale, bensì la constatazione dell’insussistenza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti morali prescritti per il conseguimento del titolo di abilitazione alla guida. Ne consegue che il giudizio di opposizione avverso tale provvedimento, non rientrando nella competenza per materia del giudice di pace, è devoluto alla competenza ordinaria del tribunale, ai sensi dell’art. 9 del codice di procedura civile (v. Cass., Sez. II, ord. n. 22491 del 2010). 5. - Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto. Il provvedimento impugnato, deve essere cassato e la causa rinviata, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio, al Tribunale ordinario territorialmente competente. (Omissis) Corte di cassazione civile sez. V, 9 maggio 2014, n. 10067 Pres. Di Blasi – Est. Meloni – P.M. Gambardella (conf.) – Ric. Regione Lazio (avv. Uricchio) c. Marinucci ed altra Veicoli y Tassa di circolazione y Riscossione y Termine di prescrizione triennale y Disciplina ex art. 3 del D.L. n. 2/1986 y Applicabilità y Decorrenza y Individuazione del “dies a quo”. . La prescrizione triennale del credito erariale avente ad oggetto il pagamento della tassa di circolazione dei veicoli inizia a decorrere non dalla scadenza del termine sancito per tale pagamento, ma dall’inizio dell’anno successivo, in virtù della previsione di cui all’art. 3 del d.l. 6 gennaio 1986, n. 2 (convertito, con modificazioni, dalla legge 7 marzo 1986, n. 60), che non si è limitato a disporre in via generale l’allungamento del termine biennale originariamente previsto dalla previgente disciplina (art. 5, comma 31, del d.l. 30 dicembre 1982, n. 953, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1983, n. 53), ma ha inteso assicurare in ogni caso la riscossione, entro il nuovo termine di tre anni, della tassa di circolazione dovuta per il 1983 con applicazione retroattiva. (l. 28 febbraio 1983, n. 53; l. 7 marzo 1986, n. 60; d.l. 30 dicembre 1982, n. 953, art. 5; d.l. 6 gennaio 1986, n. 2) (1) (1) In senso conforme sull’argomento si esprimono Cass. civ. 17 aprile 2009, n. 9120, in questa Rivista 2010, 347 e Cass. civ. 8 febbraio 2008, n. 3048, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna. Svolgimento del processo Marinucci Silvio impugnava la cartella esattoriale con la quale il concessionario per la riscossione della provincia di Viterbo aveva chiesto il pagamento della tassa automobilistica evasa nell’anno 1999 oltre sanzioni, interessi e spese, eccependo la prescrizione del credito ed il vizio di irrituale ed illegittima notifica della cartella esattoriale per mancanza di elementi essenziali nella relazione di notifica. La Commissione Tributaria provinciale di Viterbo accoglieva il ricorso e su ricorso in appello proposto dalla Regione Lazio, la Commissione tributaria regionale del Lazio con sentenza nr. 156/5/07 depositata in data 7 giugno 2007, confermava la sentenza di primo grado e dichiarava prescritto il credito per decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento. Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale del Lazio ha proposto ricorso per cassazione la Regione Lazio con un motivo, Marinucci Silvio non ha spiegato difese. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso la ricorrente Regione Lazio lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 5 D.L. 953 del 30 dicembre 1982, in riferimento all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in quanto il giudice di appello ha ritenuto prescritto il credito mentre al contrario il decorso del terzo Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 719 giur L e g i t t i m i tà anno successivo si riferisce al compimento dell’annualità interessata. Pertanto poiché la tassa dovuta si riferisce all’anno 1999, il termine finale di prescrizione andava a coincidere con la data del 31 dicembre 2002. Il ricorso è fondato e deve essere accolto. Sul punto si è pronunciata questa Corte con sez. V, sentenza n. 3048 del 8 febbraio 2008 secondo la quale: “La prescrizione triennale del credito erariale avente ad oggetto il pagamento della tassa di circolazione dei veicoli inizia a decorrere non dalla scadenza del termine previsto per il pagamento della tassa, ma dall’inizio dell’anno successivo, in virtù della previsione di cui all’art. 2 del D.L. 6 gennaio 1986, n. 2 (convertito nella L. 7 marzo 1986, n. 60) (in applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto che il suddetto termine triennale spirasse, per un pagamento scadente il 31 gennaio 1996, non già il 31 gennaio 1999, ma il 31 dicembre 1999)” Infatti in tema di tassa di possesso sugli autoveicoli, l’art. 3 del D.L. 6 gennaio 1986 n. 2 , convertito nella legge 7 marzo 1986 n. 60, che ha sostituito l’art. 5, trentunesimo comma, del D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, convertito con modificazioni nella legge 28 febbraio 1983, n. 53, non si è limitato a disporre, in via generale, l’allungamento del termine prescrizionale biennale stabilito nel testo originario, ma ha inteso, altresì, assicurare in ogni caso la riscossione, entro il nuovo termine di tre anni, della tassa di circolazione dovuta per il 1983 con applicazione retroattiva. (sez. I, sentenza n. 3658 del 28 aprile 1997). Per quanto sopra deve essere accolto il ricorso proposto e cassata la sentenza impugnata. La causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. non richiedendo ulteriori accertamenti in punto di fatto, con rigetto del ricorso introduttivo. Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese dei gradi del giudizio di merito e di legittimità, stante l’evolversi della vicenda processuale. (Omissis) Corte di cassazione civile sez. II, 7 maggio 2014, n. 9889 Pres. Goldoni – Est. Proto – P.M. Capasso (conf.) – Ric. Agnesi ed altro (avv. Minella) c. Autostrade Concessioni Costr. Autostrade (avv. ti Petitti e Ponzanelli) Strade y Autostrade y Distanza di rispetto y “Piattaforma” da cui si calcola la fascia di rispetto y Area di servizio carburante y Inclusione y Fondamento. . La “piattaforma stradale” da cui si calcola la fascia di rispetto autostradale, ai sensi dell’art. 9 della legge 21 luglio 1961, n. 729, ed art. 2 del d.m. 1° aprile 1968, ha la finalità di assicurare uno spazio libero utilizzabile dal concessionario per eseguire lavori, impiantare cantieri, depositare materiali e realizzare opere accessorie, sicché essa comprende l’area di servizio per rifornimento di carburante, in tale area verificandosi la circolazione di veicoli e pedoni. (l. 21 luglio 1961, n. 729, art. 9; d.m. 21 luglio 1961 art. 729) (1) 720 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. (1) Interessante pronuncia in merito alla quale non risultano editi precedenti. In senso analogo, facendo riferimento alla funzione della “distanza di rispetto” e all’utilizzo da parte del concessionario dello spazio da questa delimitato per l’impianto di cantieri o il deposito di materiali, si veda Cass. civ. 3 febbraio 2005, n. 2164, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna. Svolgimento del processo Nel 1992 la società Autostrade conveniva in giudizio Del Signore Luigi per sentirlo condannare alla demolizione della sopraelevazione di un fabbricato effettuata in violazione delle norme sulle distanze dalle autostrade. Con sentenza del 1995 il convenuto era condannato alla demolizione della sopraelevazione, ma la sentenza era dichiarata nulla dalla Corte di Appello di Milano in quanto pronunciata senza che al giudizio avesse partecipato Marina Agnesi, madre del convenuto e litisconsorte necessaria in quanto proprietaria dell’immobile da demolire. Con citazione in riassunzione del 16 dicembre 1999 la società Autostrade riassumeva il giudizio provvedendo all’integrazione del contraddittorio. Con sentenza del 6 dicembre 2005 il Tribunale di Como, dopo altra riassunzione da parte di Autostrade per l’Italia S.p.A. (successore a titolo universale della società Autostrade a seguito fusione per incorporazione ), accertava la violazione delle distanze legali da parte della proprietaria che aveva sopraelevato e ordinava la demolizione; escludeva la responsabilità di Del Signore perchè non proprietario e perchè non era provato che fosse l’esecutore dei lavori; compensava le spese tra tutte le parti. La sentenza era appellata dalla Agnesi e, con appello incidentale, anche dalla società Autostrade che chiedeva l’estensione della pronuncia di accertamento e condanna anche nei confronti di Del Signore il quale si costituiva e con appello incidentale impugnava la statuizione sulla compensazione delle spese chiedendo che Autostrade fosse condannata alle spese del primo grado. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 30 giugno 2007, rigettava gli appelli e compensava integralmente le spese del grado. La Corte di Appello, per quanto qui interessa in relazione ai motivi di ricorso, rilevava: - che dallo spigolo di maggiore sporgenza della costruzione fino al piazzale di servizio dell’autostrada, destinato al rifornimento di carburante la distanza dall’autostrada era inferiore ai 60 metri (40 metri che si riducevano progressivamente a 32 metri); - che l’area di rifornimento doveva essere considerata sede viabile dalla quale calcolare le distanze perchè, come previsto dal D.M. 1 aprile 1968, per ciglio della strada deve intendersi il limite della sede stradale, comprendente tutte le sedi viabili sia veicolari che pedonali, incluse le banchine o altre strutture di delimitazione; - che, come precisato dalla circolare del 30 dicembre 1970, le autostrade sono costituite non solo dal nastro viabile, ma anche dai servizi e dalle altre pertinenze, così come confermato dalla successiva disciplina delle zone di rispetto di cui al D.L.vo n. 285/1992 e dal regolamento di attuazione; giur L e g i t t i m i tà - che inoltre, come risultava dal certificato di destinazione urbanistica quanto ai mappali interessati alla costruzione, il mappale 1654 era zona di rispetto autostradale e il mappale 1758 era in parte zona El per attività agricole e in parte zona di rispetto autostradale, né potevano assumere rilevanza le ulteriori e parzialmente discordanti certificazioni del Comune in quanto inidonee ad incidere sulla valutazione propria del giudizio, circa il rispetto delle distanze; - che doveva essere rigettato l’appello incidentale di Del Signore in quanto egli, qualificandosi figlio della proprietaria, aveva svolto difese producendo dossier fotografico e controdeducendo così che l’azione proposta nei suoi confronti non poteva ritenersi azione che avesse irragionevolmente coinvolto un soggetto del tutto estraneo alla vicenda; - che per la soccombenza reciproca dovevano essere compensate anche le spese del grado di appello Marina Agnesi rappresentata dal figlio Del Signore Luigi quale amministratore di sostegno nonché Del Signore Luigi in proprio hanno proposto ricorso con un primo motivo riguardante Del Signore in proprio e con due motivi riguardanti Marina Agnesi; i ricorrenti hanno depositato memoria. Autostrade per l’Italia S.p.A. ha resistito con controricorso. Motivi della decisione l. Con il primo motivo di ricorso, costituente l’unico motivo proposto dal ricorrente Del Signore Luigi in proprio, questi deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e il vizio di motivazione lamentando che la compensazione delle spese sarebbe stata decisa in violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. perchè nei propri confronti Autostrade era stata pienamente soccombente e non erano stati enunciati giusti motivi per la compensazione, mentre la norma richiede l’espressa enunciazione dei giusti motivi, nella specie insussistenti non potendo essere ravvisati con il grado di parentela e con l’esercizio del diritto di difesa mediante produzioni e deduzioni. 1.1 Il motivo è infondato sia con riferimento alla compensazione delle spese del grado di appello, sia con riferimento al rigetto dell’appello incidentale proposto per la riforma della compensazione disposta in primo grado. 1.2 Quanto alla compensazione disposta dal giudice di primo grado con la sentenza del 6 dicembre 2005, si osserva che il giudizio ha avuto inizio nel 1992 e che pertanto l’art. 92 c.p.c. all’epoca vigente e nella specie applicabile, non solo non richiedeva, per la legittimità della compensazione, gravi ed eccezionali ragioni (come richiesto solo a seguito della riforma del 2009), ma non richiedeva neppure l’esplicita indicazione dei giusti motivi di compensazione, obbligo introdotto solo per effetto della modifica dell’art. 92 c.p.c, introdotta dalla legge n. 263/2005 per i procedimenti iniziati dopo il primo marzo 2006. Secondo l’orientamento di questa Corte di legittimità, formatosi nella vigenza del testo originario dell’art. 92 c.p.c., trova applicazione il principio secondo il quale la relativa statuizione è sindacabile in sede di legittimità, nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa; la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra invece nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della sussistenza di giusti motivi e, pertanto, esula dal sindacato di legittimità, salva la possibilità di censurarne la motivazione basata su ragioni illogiche o contraddittorie (Cass. 17 novembre 2006 n. 24495; Cass. 31 gennaio 2008 n. 2397). I suddetti principi sono stati ribaditi da Cass. sez. un. 30 luglio 2008 n. 2059 con la quale si è affermato che per la normativa all’epoca vigente non era neppure necessaria una motivazione specificamente riferita al provvedimento di compensazione, essendo sufficiente che le ragioni fossero desumibili dalle argomentazioni svolte per decidere il merito della causa, pur con la precisazione che la norma non attribuisce al giudice un potere arbitrario e cioè svincolato dal rispetto della regola che, impone in linea di principio di addossare al soccombente il costo del giudizio così che devono essere espresse o, comunque, intellegibili le ragioni che hanno ispirato il concreto esercizio di quel potere derogatorio rispetto al principio della soccombenza riconosciuto al giudice dall’art. 92 c.p.c., onde consentirne l’effettivo controllo di legalità. Orbene la Corte di Appello, quale giudice del merito al quale era integralmente devoluta per effetto dell’appello, la decisione sulle spese del primo grado, ha espressamente motivato in merito alla conferma della statuizione appellata spiegando di avere valutato la complessiva condotta del Del Signore che, qualificandosi figlio della proprietaria dei mappali, aveva presentato un dossier fotografico e controdeduzioni e, sulla base di questa considerazione, ha valutato che l’azione promossa dalla società poi soccombente (la quale sosteneva il coinvolgimento del figlio della proprietaria quale esecutore dei lavori) non irragionevolmente aveva coinvolto un soggetto che non era del tutto estraneo alla vicenda. In estrema sintesi la Corte territoriale ha ravvisato una responsabilità di Del Signore e le ragioni poste a fondamento della decisione non appaiono nè illogiche nè contraddittorie; pertanto, con riferimento al rigetto dell’appello incidentale sulle spese, il motivo è infondato. 1.3 La compensazione delle spese del grado di appello è ragionevolmente fondata sulla reciproca soccombenza ed in effetti il rigetto dell’appello incidentale di Del Signore lo rende a sua volta soccombente nei confronti di Autostrade così che il motivo anche per quanto riguarda la compensazione in appello è del tutto infondato. 2. Con il secondo motivo la ricorrente Marina Agnesi deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 4 D.M. 1 aprile 1968, dell’art. 19 legge 6 agosto 1967 n. 765 e dell’art. 3 del codice della strada con riferimento alla circolare ministeriale 30 dicembre 1970 e D.L.vo n. 285/1992. La ricorrente sostiene che la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato le norme richiamate perchè Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 721 giur L e g i t t i m i tà ha calcolato la distanza inferiore ai 60 metri della costruzione dall’autostrada dall’area di servizio, da intendersi come area commerciale al servizio degli automobilisti in transito e quindi non piazzola di sosta o arginella o banchina e simili. L’area in questione, secondo la ricorrente, non avrebbe dovuto essere considerata come il limite della sede stradale, ma pertinenza di servizio (come tutte le aree di servizio) e non di esercizio, mentre ai sensi dell’art. 24 D.L.vo n. 285/1992 solo le pertinenze di esercizio costituiscono parte integrante della strada. La ricorrente, formulando il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. ora abrogato, ma applicabile ratione temporis, chiede: se ai sensi del combinato disposto dell’art. 3 del D.M. 1 aprile 1968 e delle disposizioni del D.L.vo n. 285/1992 e del relativo regolamento, deve considerarsi sede viabile l’area commerciale di servizio (stazione di servizio autogrill) con il relativo obbligo di rispetto delle distanze; - se le distanze indicate nell’art. 3 D.M. 1 aprile 1968 devono ritenersi applicabili alle aree di servizio (aree commerciali) o alle sole aree di esercizio, alla luce della sistematica interpretazione normativa e dell’art. 21 e 24 c.d.s. 2.1 L’art. 19 legge n. 765/1967 stabiliva che fuori del perimetro dei centri abitati dovessero osservarsi, nella edificazione, distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada e che dette distanze dovevano essere stabilite con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per trasporti e per l’interno. È poi intervenuto il D.M. del primo aprile 1968 che ha previsto le distanze minime che vanno osservate fuori dal perimetro urbano; la distanza dal nastro autostradale (strada di tipo A) è stata fissata in metri 60, da misurarsi in proiezione orizzontale, dal ciglio stradale, che è definito dall’art. 2 del D.M. “la linea di limite della sede o piattaforma stradale comprendente tutte le sedi viabili, sia veicolari che pedonali, ivi incluse le banchine od altre strutture laterali alle predette sedi quando queste siano transitabili, nonché le strutture di delimitazione non transitabili” (parapetti, arginelle e simili). In sintesi, secondo la richiamata normativa, la distanza deve essere misurata partendo dal limite della zona di occupazione della autostrada, con l’aggiunta della larghezza dovuta alla proiezione di eventuali scarpate, fossi, fasce di espropriazione risultanti da progetti approvati (Cass. 17 giugno 1997 n. 5401). Questa Corte ha già evidenziato che l’obbligo di osservare la fascia di rispetto non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare uno spazio libero utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizza- 722 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. zione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni (v. Cass. n. 2164 del 2005; Cass. n. 22422 del 2010 che ha precisato che in caso di violazione del divieto è inammissibile la sanatoria di cui alla legge n. 47 del 1985). Infine, ai sensi dell’art. 2 c.d.s., ai fini dell’applicazione delle norme dello stesso codice si definisce “strada” l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali. La Corte di Appello ha calcolato la distanza intercorrente tra il caposaldo 16 bis individuato dal CTU (lo spigolo della costruzione di maggior sporgenza verso ovest) e il piazzale di servizio destinato alle operazioni di rifornimento e ha accertato che la distanza era sempre inferiore ai 60 metri (da 40, fino a ridursi a 32 metri). Tanto premesso, appare indubitabile che il piazzale di servizio destinato alle operazioni di rifornimento fa parte integrante della “piattaforma stradale comprendente tutte le sedi viabili, sia veicolari che pedonali” (art. 2 del citato D.M.), posto che nell’area si realizza la circolazione di veicoli (seppure attenuata) e pedoni (art. 2 c.d.s.) e l’interpretazione della ricorrente che, solo perchè destinata ad un servizio, esclude quell’area dalla “piattaforma stradale” e dal calcolo delle distanze costituisce interpretazione che contrasta sia con l’interpretazione letterale delle norme, sia con la loro finalità di assicurare (come già detto) uno spazio libero utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni. Il motivo deve quindi essere rigettato per manifesta infondatezza e al quesito deve rispondersi che la piattaforma stradale dalla quale calcolare se la costruzione ha violato la fascia di rispetto comprende l’area di servizio adibita a rifornimento di carburante. 3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine alla destinazione urbanistica dell’area sulla quale è stata eseguita la costruzione; la ricorrente sostiene che l’area era esterna alla zona di rispetto autostradale contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, sulla base di una erronea interpretazione di una certificazione comunale, smentita da altre certificazioni. 3.1 Il motivo è infondato perchè la Corte di Appello ha preso in considerazione e motivato sulle ulteriori certificazioni del Comune reputandole solo parzialmente discordanti e inidonee a modificare la valutazione propria dello specifico giudizio circa il (mancato) rispetto delle distanze. La ricorrente richiama documenti e cartografie di cui non riporta il contenuto e richiama una affermazione del CTU secondo la quale l’area apparirebbe esterna alla zona di rispetto; la genericità delle censure non consente neppure di apprezzarne la rilevanza. 4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato; le spese di questo giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti. (Omissis) giur L e g i t t i m i tà I Corte di cassazione penale sez. IV, 5 maggio 2014, n. 18442 (ud. 5 dicembre 2013) Pres. Sirena – Est. Casella – P.M. Stabile (conf.) – Ric. P.G. in proc. Scarchini Guida in stato di ebbrezza y Patteggiamento y Omessa confisca del veicolo y Annullamento senza rinvio con contestuale disposizione della confisca. . In tema di guida in stato di ebbrezza, deve essere an- nullata senza rinvio la sentenza con cui il giudice, applicando la pena su richiesta delle parti, ometta di disporre la confisca del veicolo utilizzato per commettere il reato, potendo il giudice di legittimità applicare direttamente detta sanzione amministrativa accessoria, ai sensi dell’art. 620, comma primo, lett. l), cod. proc. pen. (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 620; c.p., art. 240) (1) II Corte di cassazione penale sez. IV, 7 aprile 2014, n. 15510 (c.c. 4 dicembre 2013) Pres. Romis – Est. Foti – P.M. Geraci (conf.) – Ric. P.G. in proc. Fabrizi Guida in stato di ebbrezza y Patteggiamento y Omessa confisca del veicolo y Annullamento con rinvio al giudice limitatamente a tale aspetto. . In tema di guida in stato di ebbrezza, la sentenza con cui il giudice, applicando la pena su richiesta delle parti, ometta di disporre la confisca del veicolo utilizzato per commettere il reato deve essere annullata, limitatamente a tale aspetto, con rinvio al giudice di merito affinché vi provveda. (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 444; c.p. art. 240) (2) (1, 2) Giurisprudenza contrastante in punto di diritto. In termini, relativamente alla prima massima, si esprime Cass. pen., sez. IV, 2 dicembre 2013, n. 47916, in questa Rivista 2014, 513 e Cass. pen., sez. IV, 17 ottobre 2013 n. 42662, ivi 2014, 428. In senso conforme si veda anche Cass. pen., sez. IV, 12 dicembre 2012, n. 48000, ivi 2013, 824. Seguono l’orientamento espresso dalla seconda massima: Cass. pen., sez. IV, 6 novembre 2013, n. 44783, ivi 2014, 324 e Cass. pen., sez. IV, 31 luglio 2013, n. 33209, ivi 2014, 27, secondo le quali la sentenza con cui il giudice, applicando la pena su richiesta delle parti, ometta di disporre la confisca del veicolo utilizzato per commettere il reato deve essere annullata limitatamente a tale aspetto, con rinvio al giudice di merito affinchè vi provveda. I Svolgimento del processo Ricorre per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Ancona avverso la sentenza pronunziata in data 23 aprile 2013 dal Tribunale di Ancona - Sezione staccata di Senigallia con la quale Scarchini Luca fu dichiarato responsabile della contravvenzione di cui all’art. 186, comma 2°, cod. strada, per aver guidato, in Senigallia il 3 maggio 2009, l’autocarro Mercedes tg. CE 126 PN, in stato di ebbrezza alcoolica accertato in g/lt. 1,70 - alla prima prova - ed in 1,77 gr/l -alla seconda - e per l’effetto, condannato, concesse le attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 1.000,00; pena sostituita da 124 giorni di lavoro di pubblica utilità presso il Comitato provinciale di Perugia della Croce Rossa Italiana, con la conseguente irrogazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un anno. Lamenta il ricorrente l’omessa applicazione della confisca dell’autoveicolo, risultato di proprietà dell’imputato (come è detto nel capo di imputazione ) benchè obbligatoriamente prevista ex lege, attesa la violazione dell’art. 186, comma 2 lett. c) cod. strada, in presenza di tasso etilico superiore a 1,5 gr/l. Motivi della decisione Il ricorso è fondato e va accolto. L’art.186, comma 2° lett. c) del codice della strada, come novellato dall’art. 4 D.L. n. 92 del 2008 convertito, con modificazioni, nella L. n.125 del 2008, in vigore dal 27 maggio 2008 (e quindi in vigore all’epoca del fatto: 3 maggio 2009) già prevedeva la confisca dell’autoveicolo appartenente a colui che si fosse reso responsabile della contravvenzione di guida in stato di ebbrezza con tasso alcoolemico accertato in misura superiore a 1,5 gr/l. Nel caso di specie, a seguito delle due successive prove eseguite con l’etilometro, si accertò che l’imputato presentava un tasso alcoolemico superiore al suddetto limite di legge, come precisato in narrativa. La richiamata disposizione sancisce, ricorrendo detti presupposti, l’obbligatorietà dell’applicazione della confisca del veicolo. Tutto ciò premesso, essendo pacifica la proprietà in capo all’imputato del veicolo dallo stesso condotto all’atto della commissione del reato, come rimarca il ricorrente sulla base dell’enunciato del capo di imputazione, questa Corte, esulando dalla fattispecie qualsivoglia margine di discrezionalità, previo annullamento della sentenza impugnata in punto all’omessa irrogazione della sanzione amministrativa accessoria,può direttamente disporre la confisca dell’autocarro targato CE126PN, a norma dell’art.620 lett.l) c.p.p. apparendo quindi superfluo far luogo al rinvio del procedimento. (Omissis) Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 723 giur L e g i t t i m i tà II Svolgimento del processo Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Ancona ricorre a questa Corte avverso la sentenza del Gup del Tribunale di Camerino, del 21 gennaio 2013, che, su richiesta delle parti, ex art. 444 c.p.p., ha applicato a Fabrizi Andrea, imputato del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica e di rifiuto di sottoporsi all’alcoltest (art. 186 comma 2 lett. c), 2 sexies e comma 7 del codice della strada) la pena concordata, sostituita con il lavoro di pubblica utilità; con sospensione dalla patente di guida per sei mesi. Lamenta il ricorrente la mancata confisca dell’auto, di proprietà dell’imputato, alla cui guida lo stesso si trovava al momento dei controlli. Motivi della decisione Il ricorso è fondato. L’art. 186 del c.d.s., come novellato dal d.l. n. 92 del 2008, convertito nella legge n. 125/2008, prevede per il reato di guida in stato di ebbrezza alcolica ex art. 186 comma 2 lett. c) ove anche il procedimento sia definito con pena patteggiata o sia disposta la sospensione condizionale della pena - la confisca del veicolo con il quale è stata commessa l’infrazione, salvo che esso appartenga a persona estranea al reato. Analoga disposizione reca il 7° comma dello stesso art. 186, il quale dispone che la condanna per il rifiuto di sottoporsi al predetto accertamento comporta la confisca del veicolo, con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2 lett. c), salvo che lo stesso appartenga a persona estranea alla violazione. Circostanza, quest’ultima, che sembra doversi escludere, sulla base di quanto risulta dalla lettura del capo d’imputazione. A tale statuizione non può sottrarsi il giudice penale pur dopo le modifiche apportate alla predetta norma dalla legge n. 120 del 2010, per effetto delle quali alla confisca è stata attribuita la natura di sanzione amministrativa accessoria. Invero, la diversa qualificazione della confisca da sanzione penale accessoria - come ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (sez un. n. 23428/10) e dalla stessa Corte Costituzionale - a sanzione amministrativa, non incide sulla competenza del giudice penale ad irrogarla nel definire il procedimento penale. La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata, limitatamente al punto concernente l’omessa confisca del veicolo, con rinvio al Tribunale di Camerino. (Omissis) Corte di cassazione civile sez. un, 5 maggio 2014, n. 9568 Pres. Adamo – Est. Di Blasi – P.M. Ceniccola (diff.) – Ric. Di Febo (avv. D’Amore) c. Equitalia Pragma S.p.A. ed altri Giurisdizione civile y Giurisdizione ordinaria o amministrativa y Giurisdizione del giudice ordinario y Fermo amministrativo del veicolo ex art. 86 724 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. D.P.R. n. 602/1973 y Preavviso di fermo y Controversia relativa ad opposizione avverso fermo amministrativo di veicolo y Appartenenza al giudice tributario y Limiti. . La controversia relativa alla opposizione avverso il fermo amministrativo del veicolo ed il relativo preavviso ex art. 86, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come interpretato dall’art. 35, comma 25 quinquies, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 convertito dalla legge n. 248 del 2006, appartiene al giudice tributario, salvo che l’Amministrazione abbia riconosciuto formalmente l’inesistenza del credito ovvero il diritto allo sgravio delle somme pretese, dovendosi, in tali evenienze, riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario, riguardando la controversia un mero indebito oggettivo di diritto comune. (d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, art. 86; d.l. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35) (1) (1) Interpretazione difforme proviene da Cass. civ. 30 marzo 2009, n. 7580, in questa Rivista 2010, 260 che nega la competenza del giudice tributario a decidere una controversia relativa ad una sanzione amministrativa rilevata da un ufficio finanziario, sostenendo invece, per tale ipotesi, la necessarietà che la sanzione amministrativa consegua alla violazione di disposizioni attinenti tributi. Svolgimento del processo Di Febo Paolo impugnava in sede giurisdizionale, il preavviso di fermo amministrativo dell’autovettura, per asserito omesso pagamento di somme, deducendo l’inesistenza di un valido titolo, legittimante la pretesa nei propri confronti. Evidenziava di avere, in precedenza, ricevuto una cartella esattoriale, erroneamente indirizzatagli quale erede di tale Fiore Di Girolamo, del quale, in realtà, era stato solo curatore della relativa eredità giacente, e che tale erroneo operato aveva tempestivamente segnalato alla competente Agenzia, che ne aveva preso atto. Nell’incoato giudizio, si costituiva l’Agenzia Entrate, mentre non svolgeva difese l’intimata concessionaria. L’adito Giudice di Pace di Pescara, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, opinando che, poiché il fermo amministrativo impugnato afferiva a credito tributario per IRPEF, lo stesso risultava impugnabile davanti al Giudice Tributario. Il Di Febo, proponeva appello, deducendo la giurisdizione del Giudice Ordinario e la fondatezza, nel merito, dell’impugnazione, per essere estraneo alla pretesa impositiva, ed il Tribunale di Pescara, con la sentenza in epigrafe indicata ed in questa sede impugnata, lo rigettava, confermando la decisione di primo grado. È stato, quindi, proposto il ricorso di legittimità, di che trattasi, che il Di Febo ha affidato ad un mezzo. L’Agenzia Entrate, difende le proprie ragioni, con controricorso. Motivi della decisione Con l’unico mezzo, il ricorrente ha censurato l’impugnata decisione per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, deducendo che le argomentazioni nella stessa giur L e g i t t i m i tà svolte si porrebbero in contraddizione con “quanto documentato e provato” in atti e che, alla relativa stregua, è a ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice ordinario. Deduce, pure che l’ente impositore e la concessionaria avrebbero agito con malafede e colpa grave, ragion per cui ne chiede la condanna al risarcimento dei danni ai sensi degli artt. 96 c.p.c. e 2043 c.c. Ritiene il Collegio che il ricorso vada rigettato, tenuto conto che la sentenza del Tribunale di Pescara, che ha riconosciuto e dichiarato la giurisdizione del giudice tributario, è in linea con l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, e che, d’altronde, il mezzo risulta inidoneamente formulato. In vero, la CTR è pervenuta alla decisione, con argomentazione sul piano giuridico e logico formale corretta, richiamando, per un verso, il consolidato orientamento, secondo cui l’opposizione avverso fermo amministrativo di veicolo e del relativo preavviso ex art. 86 del D.P.R. n. 602/1973, come interpretato dall’art. 35 comma 25°quinquies del D.L. n. 223/2006 convertito con legge n. 248/2006, resta, per principio generale, attribuito al Giudice tributario salvo il caso eccettuato che l’ente impositore abbia formalmente riconosciuto il diritto allo sgravio, dovendo, in tal caso, riconoscersi la giurisdizione del giudice ordinario, non riguardando, in tal caso, più la controversia una questione tributaria, bensì un mero indebito oggettivo di diritto comune e, sotto altro profilo, rilevando che, nel caso, la P.A. non aveva effettuato alcun riconoscimento formale dell’inesistenza del credito nei confronti del Di Febo e, neppure, aveva disposto alcuno sgravio della somma pretesa e, d’altronde, che la Concessionaria non aveva mai rinunciato alla pretesa fiscale nella quale aveva insistito, continuando a pretenderne il soddisfacimento dal Di Febo, quale curatore dell’eredità giacente e non già quale erede del de cuius Fiore Girolamo. In buona sostanza, il riconoscimento dell’Ente impositore aveva riguardato, non già l’insussistenza della pretesa nei confronti del Di Febo, bensì solo la diversa qualità in base alla quale lo stesso era richiesto del pagamento e ciò era conclamato dalla posizione processualmente assunta dall’Agenzia delle Entrate, la quale costituendosi in sede di opposizione, aveva dedotto “la legittimità della pretesa nei confronti dell’opponente quale curatore dell’eredità giacente ex art.131 (ora 187) D.P.R. 917/1986” e non già quale erede. A fronte di tale ratio decidendi, il Di Febo ha sostenuto l’erroneità della decisione di appello, limitandosi a dedurre che non era stata valorizzata la circostanza fattuale che tanto l’ente impositore come pure la concessionaria, avevano riconosciuto “l’erroneità e la non riferibilità della cartella esattoriale” ad esso ricorrente. Il ricorrente, infatti, non muove critiche puntuali e specifiche alla argomentazione, che costituisce ratio della decisione impugnata, secondo cui nessun riconoscimento dell’inesistenza del credito aveva operato l’Amministrazione Finanziaria, la quale non aveva neppure disposto alcuno sgravio della somma pretesa, essendosi la stessa limitata a prendere e dare atto che il Di Febo era tenuto al pagamento non già quale erede del de cuius, bensì quale curatore della relativa eredita giacente, ferma re- stando, quindi, la legittimità della pretesa nei confronti dello stesso. In concreto, il tessuto argomentativo della ratio dell’impugnata decisione, non risulta incrinato dalle censure svolte, che risultano generiche, prive di specifica attinenza al decisum (Cass. 20652/2009, n. 13259/2006, n. 21490/2005) e sottese ad ottenere una decisione di segno opposto sulla base dei medesimi elementi già esaminati e diversamente valutati dai giudici di merito. Peraltro, il motivo disattende, pure, il principio secondo cui la parte, in sede di ricorso per cassazione, “ha l’onere di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, in quanto il detto ricorso deve risultare autosufficiente e, segnatamente “per potersi configurare il vizio di motivazione è necessaria non solo la puntuale indicazione dei fatti controversi rilevanti e del successivo momento di sintesi (Cass. sez. un. n. 16528/2008, n. 254117/2008) ma pure un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza”(Cass. n. 9368/2006, n. 21249/2006, n. l014/2006, n. 22979/2004). Ritiene, altresì, il Collegio che l’altro profilo di censura, con cui si contesta la responsabilità aggravata delle intimate e se ne chiede la condanna al risarcimento danni, non risulta scrutinabile per il carattere della novità. In base all’art. 345 c.p.c. e per consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, in vero, è inammissibile la proposizione di domande nuove in appello e la relativa questione, anche se non dedotta dalla controparte, va rilevata d’ufficio dal giudice adito ed, in ipotesi, anche in Cassazione, salvo solo il giudicato (Cass. n. 28302/2005, n. 273432/2005). Dall’esame comparativo dell’impugnata sentenza e del ricorso, si evince, inequivocamente, che la questione, prospettata in questa sede, non era stata dedotta davanti ai precedenti giudici, dove il Di Febo si era affidato ad altre ragioni, per l’appunto, con le quali aveva sostenuto la giurisdizione del giudice ordinario e la fondatezza del ricorso nel merito, per essere personalmente estraneo alla pretesa esattoriale. Stante, dunque, l’incontestata natura tributaria della pretesa, trattandosi di credito per IRPEF, e l’insussistenza dei peculiari presupposti (riconoscimento del diritto del contribuente da parte dell’ente impositore) per riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario, si ritiene che la causa sia stata, erroneamente, introdotta davanti al giudice ordinario e che, quindi, hanno ben deciso i Giudici di merito nel declinare la propria giurisdizione in favore del giudice tributario. Ritiene, conclusivamente, il Collegio che il ricorso del contribuente vada rigettato per inammissibilità delle censure e che meriti conferma la decisione di appello, che ha riconosciuto ed affermato la giurisdizione del giudice tributario. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in complessivi euro mille, oltre spese prenotate a debito, in favore dell’Agenzia controricorrente, mentre non sussistono i presupposti per una pronuncia sulle spese in favore dell’intimata Equitalia Pragma spa. (Omissis) Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 725 giur L e g i t t i m i tà Corte di cassazione civile sez. I, 24 aprile 2014, n. 9276 Pres. Vitrone – Est. Macioce – P.M. Del Core (conf.) – Ric. Lancia ed altro (avv. Iannozzi) c. RegIONE Abruzzo (Avv. Gen. Stato) Responsabilità civile y Animali y Danni cagionati ai veicoli in circolazione dalla fauna selvatica y Risarcibilità da parte della P.A. ex art. 2052 c. c. y Esclusione y Fattispecie in tema di risarcimento danni cagionati a vettura da collisione con un cinghiale. . In tema di responsabilità extracontrattuale, il danno cagionato dalla fauna selvatica ai veicoli in circolazione non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art. 2052 c. c., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall’art. 2043 c. c., anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti di una Regione per il risarcimento dei danni conseguenti alla collisione tra una vettura e un cinghiale, ritenendo non fossero emerse prove di addebitabilità del sinistro a comportamenti imputabili alla Regione o all’Anas, non potendo costituire oggetto di obbligo giuridico per entrambe la recinzione e la segnalazione generalizzate di tutti i perimetri boschivi, quest’ultima, peraltro, di spettanza specifica dell’Anas). (l. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 1; c.c., art. 2043; c.c., art. 2052) (1) (1) In senso conforme si vedano Cass. civ. 21 novembre 2008, n. 27673, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna e Cass. civ. 28 marzo 2006, n. 7080, ibidem. Svolgimento del processo Lancia Luigi e Lancia Pierluigi, sull’assunto di aver patito un danno alla vettura di proprietà del primo e condotta dal secondo quando, il 28 agosto 2003, essa era venuta inopinatamente a collidere con un cinghiale proveniente dai boschi appartenenti alla Regione Abruzzo, convennero l’Ente innanzi al Giudice di Pace di Sulmona per il risarcimento dei danni alla vettura. L’adìto Giudice, esclusa la invocata legittimazione passiva della Provincia di Sulmona, con sentenza 308 del 2004, condannò la Regione al risarcimento del danno determinato in € 930 in favore dei Lancia. La pronunzia venne appellata dalla Regione Abruzzo, reiterante la propria tesi per la quale le norme regionali avrebbe posto in capo alla Provincia gli obblighi di tutela e controllo della fauna selvetica e nel merito deducente la inesistenza di alcun profilo di propria colpa nella vicenda in disamina. Il Tribunale, con sentenza 7 marzo 2006, ha accolto l’appello e rigettato la domanda risarcitoria dei Lancia proposta a carico della Regione Abruzzo. Ha invero sostenuto il Tribunale che, se non aveva fondamento il motivo di gravame teso a negare la propria legittimazione, essendo le norme regionali indicative 726 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. di un obbligo dell’Ente di tutela, gestione, controllo della fauna selvatica (alla Provincia, di contro, incombendo le funzioni delegate afferenti la caccia e la protezione della fauna stessa), era invece fondato il secondo motivo. Premesso che per il ristoro dei danni provocati da fauna selvatica non poteva trovare applicazione l’art. 2052 c.c. ma solo il canone generale dell’art. 2043 c.c., sarebbe certamente spettato a parte attrice indicare e provare con precisione la condotta omissiva addebitabile alla Regione e fonte del sinistro; di contro non essendo configurabile alcuna presunzione di omessa vigilanza per il transito su quella strada di un animale selvatico (la cui omessa segnalazione sarebbe in realtà gravata sul gestore ANAS), e nessun addebito specifico di errore nella gestione della fauna essendo stato addotto, ne risultava la insussistenza di profili di responsabilità a carico della Regione. Per la cassazione di tale sentenza i Lancia hanno proposto ricorso il 5 aprile 2007 al quale ha resistito la Regione Abruzzo con controricorso del 22 maggio 2007 contenente incidentale condizionato, reiterante la propria deduzione di incombenza sulla sola Provincia di alcun onere prevenzionale in proposito. Il difensore dei Lancia ha discusso oralmente. Motivi della decisione I due ricorsi vanno riuniti ex art. 335 c.p.c. Il ricorso principale - nel suo unico articolato motivo - prende atto della conformità del decisum al principio più volte statuito da questa Corte ma dissente dalla sua interpretazione rigorosa là dove finirebbe per accollare al danneggiato una prova impossibile ed anche dimenticando che sarebbe stato possibile e prudente per la Regione collocare al di fuori dei centri abitati della zona (ove insistevano ben due parchi naturali) la ripetuta segnalazione di presenza di animali selvatici. Il ricorso incidentale condizionato ripropone la tesi per la quale graverebbe sulla Provincia la gestione delle misure precauzionali e non solo i compiti afferenti caccia e tutela della fauna nei parchi di appartenenza. Il ricorso principale è infondato. Si ricorda, in premessa, che si tratta di una domanda in materia risarcitoria affatto devoluta alla cognizione del G.O. (sez. un. 25764 del 2011). Venendo al merito, osserva il Collegio che la sentenza ha rettamente e logicamente applicato il principio di diritto posto da Cass. 7080 del 2006 (e seguito da Cass. 27673 del 2008, 24547 del 2009 ed 80 del 2010) per il quale il danno cagionato dalla fauna selvatica ai veicoli in circolazione non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dall’art. 2052 c.c., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, ma solo alla stregua dei principi generali sanciti dall’art. 2043, anche in tema di onere della prova, e perciò richiede l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico: resta pertanto immune da censure la decisione di rigetto della domanda proposta nei confronti della Regione per il risarcimento dei danni conseguenti alla collisione tra una vettura e un cinghiale, non essendo emerse prove dell’addebitabilità giur L e g i t t i m i tà del sinistro a comportamenti imputabili alla Regione o all’Anas, non potendo costituire oggetto di obbligo giuridico per entrambe la recinzione di tutte le strade e la segnalazione generalizzata di tutti i perimetri boschivi. Al riportato principio il Collegio intende dare piena adesione. La sentenza impugnata ha notato poi, esattamente, che la segnaletica della fauna selvatica libera, la cui apposizione il motivo di ricorso afferma essere imposta alla Regione, sarebbe spettata semmai all’ANAS e non alla Regione Abruzzo. Ed ha esattamente soggiunto che la gestione della fauna incombente sulla Regione (alla stregua della legge 157 del 1992 che all’art. 26 prevede la costituzione di fondo per il risarcimento dei danni alle coltivazioni cagionati dalla detta fauna) non comporta ex se che qualunque danno a vetture circolanti cagionato da essa sia addebitabile alla Regione, occorrendo la allegazione o quantomeno la specifica indicazione di una condotta omissiva efficiente sul piano della presumibile ricollegabilità del danno (quale la anomala incontrollata presenza di molti animali selvatici sul posto - l’esistenza di fonti incontrollate di richiamo di detta selvaggina verso la sede stradale - la mancata adozione di tecniche di captazione degli animali verso le aree boscose e lontane da strade e agglomerati urbani etc.). Il ricorso si limita a prospettare che la negligenza della Regione sarebbe consistita nella omessa apposizione di segnalazioni di possibile attraversamento di animali né considerando come tal obbligo gravava sull’Ente tenuto ad apprestare la segnaletica su strada statale (qual era la n. 75, ove avvenne la collisione) né valutando che la condotta omissiva in concreto predicabile sarebbe stata, semmai, quella afferente la inadeguata “gestione” della fauna, sulla quale nulla l’azione prospettava, e non l’adozione di mezzi di mero avvertimento, certamente di assai scarsa efficacia causale. Non sussistono pertanto ragioni per accogliere il ricorso. Il ricorso incidentale condizionato (peraltro infondato avendo la sentenza applicato il principio posto da questa Corte, e ribadito sino a Cass. 4202 del 2011) resta assorbito. I ricorrenti dovranno alla Regione le spese di giudizio, ragguagliate al modestissimo valore della controversia. (Omissis) Corte di cassazione civile sez. VI, ord. 23 aprile 2014, n. 9112 Pres. Finocchiaro – Est. De Stefano – Ric. Possenti Castelli Tiberi (avv.ti Morbiducci F. Morbiducci P.) c. Carige Assicurazioni S.p.a. (avv. Tentindo) Assicurazione obbligatoria y Risarcimento danni y Azione diretta nei confronti dell’assicuratore y Litisconsorzio del proprietario del veicolo y Necessità. . In tema di assicurazione obbligatoria per responsabilità civile da circolazione di veicoli a motore, allorché l’assicuratore proponga appello, sia pure limitato al “quantum debeatur”, nei confronti del solo danneggiato, che aveva promosso azione diretta, si impone sempre il litisconsorzio necessario del proprietario del veicolo assicurato, essendo evidente l’interesse di questo a prendere parte al processo allo scopo di influire sulla concreta entità del danno, di cui egli potrebbe rispondere in via di rivalsa verso il medesimo assicuratore. (c.p.c., art. 102; c.p.c., art. 331; l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18; l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 23) (1) (1) Nello stesso senso si veda Cass. civ. 17 febbraio 2014, n. 3621, in questa Rivista 2014, 625. In senso conforme si esprime Cass. civ. 8 febbraio 2006, n. 2665, ivi 2007, 167. Svolgimento del processo È stata depositata in cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. e datata 25 gennaio 2013, regolarmente comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti, relativa al ricorso avverso la sentenza della corte di appello di Ancona n. 12 del 14 gennaio 2012: «l. - Fabrizio Possenti Castelli Tiberi ricorre, affidandosi a quattro motivi, per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con cui è stata, in riforma della sentenza di primo grado, ridotta la condanna della CA.RI.GE. ass.ni e di Onelio Signoracci in suo favore al risarcimento dei danni da lui patiti per un sinistro stradale del 6 marzo 1999, sull’appello proposto e coltivato dalla CA.RI.GE. nei confronti del solo odierno ricorrente. L’intimata resiste con controricorso. 2. - Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio - ai sensi degli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., essendo soggetto alla disciplina dell’art. 360-bis c.p.c. - per essere ivi accolto. 3. - Il ricorrente si duole: col primo motivo, di nullità della sentenza, per mancata partecipazione al grado di appello del proprietario del veicolo assicurato, litisconsorte necessario quindi pretermesso; col secondo motivo, dell’erroneità dell’esclusione del risarcimento del danno da incapacità lavorativa specifica; col terzo motivo, della riduzione del risarcimento del danno da spese mediche future; col quarto motivo, di carenza di motivazione sulla limitazione al 25% del danno biologico della liquidazione di quello non patrimoniale. 4. - La contro ricorrente argomenta per la piena legittimità della partecipazione al giudizio di appello del solo assicuratore, ove - come nella specie - si verta ormai solo in tema di quantum debeatur, e, sulla liquidazione delle voci di danno, contesta partitamente le singole doglianze avversarie. 5. - Deve rilevarsi la fondatezza del primo motivo, con conseguente assorbimento degli altri: nonostante l’indicazione, nell’impugnata sentenza (v. pag. 6, righe quarta e quinta), della rituale citazione del Signoracci anche in appello, le parti concordano sul fatto che egli non sia mai stato citato per il relativo grado di giudizio, sicché egli, benché destinatario di una condanna - quand’anche ridotta rispetto a quella di primo grado - in favore dell’odierno ricorrente ed in solido con la sola appellante, è stato in quel grado pretermesso. Ma, al riguardo: 5.1. in tema di assicurazione obbligatoria della r.c.a., nel giudizio di risarcimento del danno promosso dal Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 727 giur L e g i t t i m i tà danneggiato con l’azione diretta contro l’assicuratore, è necessaria, ai fini dell’integrità del contraddittorio, la presenza in processo del responsabile del danno e del proprietario del veicolo danneggiante, tanto in primo grado che nei successivi eventuali gradi di giudizio, senza che, atteso il disposto letterale dell’art. 23 legge 24 dicembre 1969, n. 990, assuma rilevanza il fatto che si sia formato il giudicato interno implicito in ordine all’accertamento della responsabilità (Cass. 29 settembre 2005, n. 26041; sulla qualifica di litisconsorte necessario del proprietario, V. pure, incidentalmente e tra le ultime: Cass. 26 febbraio 2003, n. 2888; Cass. 27 luglio 2005, n. 15675; Cass., sez. un., 5 maggio 2006, n. 10311; Cass 3 luglio 2008, n. 18242); 5.2. inoltre, il responsabile del danno, che a norma dell’art. 23 legge cit., deve essere chiamato in causa come litisconsorte necessario nel giudizio promosso dal danneggiato contro l’assicuratore con azione diretta, in deroga al principio della facoltatività del litisconsorzio in materia di obbligazioni solidali, è unicamente il proprietario - e non quindi il conducente - del veicolo assicurato, trovando detta deroga giustificazione nell’esigenza di rafforzare la posizione processuale dell’assicuratore (evidentemente a parziale compensazione della sua immediata esposizione verso il danneggiato con l’azione diretta riconosciuta a quest’ultimo), consentendogli di opporre l’accertamento di responsabilità al proprietario del veicolo, quale soggetto del rapporto assicurativo, ai fini dell’esercizio dei diritti nascenti da tale rapporto, ed in particolare, dall’azione di rivalsa ex art. 18 della legge citata (Cass. 8 febbraio 2006, n. 2665; Cass. 14 giugno 2007, n. 13955; Cass. 9 marzo 2011, n. 5538); 5.3. la diversa giurisprudenza invocata dalla controricorrente non convince, per il sacrificio intollerabile del diritto di difesa del responsabile del danno in ordine all’interlocuzione sull’entità di questi, visto che di essi, a maggior ragione ove potesse dirsi passato in giudicato l’accertamento della sua responsabilità, egli potrebbe essere chiamato a rispondere in via di rivalsa verso l’assicuratore. 6. - Una volta rilevato che il proprietario del veicolo la cui circolazione si assume avere causato il danno è rimasto pretermesso nel giudizio di secondo grado, in applicazione del principio generale desumibile dal combinato disposto degli artt. 331 e 383 c.p.c. (per casi analoghi di pretermissione in appello, v. ad es. Cass. 5 luglio 1995, n. 7416), della sentenza di secondo grado deve proporsi la cassazione, restando precluso l’esame degli altri motivi di doglianza, tutti attinenti al merito, con rinvio alla medesima corte territoriale, affinché riesamini il gravame della CA.RI.GE. nel contraddittorio anche del Signoracci e provveda pure sulle spese del presente giudizio di legittimità». Motivi della decisione II. Non sono state presentate conclusioni scritte, ma entrambe le parti hanno depositato memoria ed il difensore del ricorrente è inoltre comparso in camera di consiglio per essere ascoltato. 728 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. III. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella su trascritta relazione e di doverne fare proprie le conclusioni, non comportandone il superamento gli argomenti sviluppati nella memoria depositata dalla controricorrente. Invero, in forza proprio dei principi ribaditi nella giurisprudenza richiamata in relazione e nonostante la controricorrente li ritenga inapplicabili alla fattispecie, è sempre interesse del litisconsorte necessario danneggiante prendere parte ai gradi successivi del processo in cui egli sia stato già ritenuto responsabile del fatto dannoso e perfino ove egli non possa subire un peggioramento della sua situazione all’esito del primo grado, in dipendenza degli sviluppi del grado di impugnazione. È già di per sé in astratto scorretto configurare, come pretende la contro ricorrente, il carattere necessario o meno del contraddittorio secundum eventum litis: quello dipendendo invece dal concreto ambito della domanda come originariamente proposta nei suoi confronti, fino a quando sulla medesima, nel suo complesso considerata, non si formi un giudicato. Del resto, è impossibile, senza un’espressa lesione degli artt. 3 e 24 Cost., precludere (a differenza che nel giudizio di legittimità, ove si riconosce un opposto principio fin da Cass., sez. un., ord. 22 marzo 2010, n. 6826, confermata da copiosa giurisprudenza successiva: e tanto, perchè il principio è affermato solo in caso di inammissibilità o di rigetto e perchè un tale giudizio è connotato da peculiari finalità e struttura, di revisione critica, tuttavia mai di merito, di una precedente decisione) a chicchessia il diritto ad un grado di processo di merito ed alle ampie difese ivi suscettibili di dispiegamento, normalmente spettantegli, solo per una previsione di inutilità della sua partecipazione, fondata su elementi aleatori e su di una prognosi soggettiva, in quanto tali tutti arbitrari ed inaffidabili. Ma anche con riferimento alla peculiarità della fattispecie, in cui l’appello è stato proposto soltanto dall’assicuratrice della RCA in punto di quantum debeatur e quindi è certo preclusa ogni ulteriore indagine ed ogni pronunzia maggiormente pregiudizievole per quegli sul punto - in ordine al c.d. an debeatur, è evidente l’interesse pure del danneggiante a prendere parte al processo: potendo egli in astratto influire, pure con le sue iniziative processuali non precluse, del resto anche e tuttora potenzialmente ampie in relazione alle mere difese, sulla determinazione della concreta entità del quantum del risarcimento dovuto alla controparte appellata, riguardo al quale egli potrebbe poi rispondere, in minor misura, nei confronti della sua stessa assicuratrice. In tanto va confermata, a convinto avviso del Collegio, la conclusione della non tollerabilità del sacrificio che l’opposta tesi della controricorrente imporrebbe al detto diritto dellitisconsorte necessario danneggiante, pretermesso nel giudizio di appello intentato dalla sola assicuratrice. IV. Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 c.p.c., il ricorso va accolto e la gravata sentenza cassata, con rinvio alla medesima corte territoriale, ma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. (Omissis) giur L e g i t t i m i tà Corte di cassazione civile sez. III, 14 marzo 2014, n. 5944 Pres. Petti – Est. Chiarini – P.M. Carestia (conf.) – Ric. Mosca ed altro (avv. Agnello) c. Fondiaria SAI S.p.a. ed altro Assicurazione obbligatoria y Mancato pagamento della seconda rata di premio alla scadenza del termine y Sospensione dell’assicurazione opponibile anche ai terzi y Accettazione del pagamento tardivo da parte dell’assicuratore y Limiti. . Nei contratti di assicurazione della r.c.a. con rateizzazione del premio, una volta scaduto il termine di pagamento della seconda rata, l’efficacia del contratto resta sospesa a partire dal quindicesimo giorno successivo alla scadenza, e tale sospensione è opponibile anche ai terzi danneggiati, ai sensi dell’art. 1901 c. c., dovendosi ritenere il veicolo sprovvisto di assicurazione, senza che rilevi l’accettazione, da parte dell’assicuratore, di un pagamento tardivo, che non costituisce rinunzia alla sospensione della garanzia assicurativa, ma impedisce solo la risoluzione di diritto del contratto. (c.c., art. 1901; l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 7; d.l.vo 7 settembre 2005, n. 209, art. 127) (1) (1) Sostanzialmente conforme alla pronuncia in commento si veda Cass. civ. 30 novembre 2012, n. 21571, in questa Rivista 2013, 244. Cfr. inoltre Cass. civ. 19 dicembre 2006, n. 27132, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna. Svolgimento del processo Con sentenza del 29 settembre 2009 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado che, condannata la Sai Assicurazioni s.p.a., in qualità di impresa designata per le vittime della strada, e Maria Francesca Mosca, in qualità di proprietaria dell’auto investitrice del ciclomotore guidato da Salvatore Gandolfo a risarcirgli i danni nella misura del 50% a norma dell’art. 2054 secondo comma, c.c., e accolta la domanda di regresso della Sai nei confronti della Mosca, ha invece respinto la domanda di garanzia di costei nei confronti della Mapfre Progress s.p.a., assicuratrice dell’auto, sulle seguenti considerazioni: 1) correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto la corresponsabilità della Mosca nella determinazione del sinistro, sì che il relativo motivo di appello doveva esser respinto; 2) per effetto del combinato disposto degli artt. 7 della legge n. 990 del 1969 e dell’art. 1901 c.c., in presenza di un certificato assicurativo e del relativo contrassegno, l’assicuratore risponde nei confronti del danneggiato entro il periodo di scadenza o nel termine di tolleranza di cui all’art. 1901 c.c., anche se non sia stato pagato il nuovo premio; 3) nella fattispecie il sinistro era avvenuto il 15 giugno 1998, alle ore 12,50, il periodo assicurativo era scaduto il 24 aprile 1998 ed il premio per il secondo periodo - fino al 24 ottobre 1998 - era stato pagato alle ore 17 dello stesso giorno del sinistro, allorché dunque era già avvenuto; 4) pertanto l’assicurazione non era operativa e la domanda di garanzia dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore era infondata. Ricorrono per cassazione Maria Francesca Mosca e Francesco Giannettino. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva, ma successivamente alla notifica del ricorso la società Progress è stata posta in l. c. a., secondo la dichiarazione del difensore dei ricorrenti, depositata il 26 ottobre 2012, che pertanto ha chiesto un termine, nelle more della fissazione dell’udienza di discussione, per integrare il contraddittorio nei confronti del commissario liquidatore. Motivi della decisione 1. - Questa Corte ha anche recentemente (sez. un. 21670 del 2013) ribadito che la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c., in forza del principio della ragionevole durata del processo, può ritenersi superflua ove il gravame appaia “prima facie” infondato, e l’integrazione del contraddittorio riveli, perciò, attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento. 1.1 - Con il primo motivo i ricorrenti deducono: “Violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 1901 secondo comma c.c.). Omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, e lamentano che, avendo l’agente assicuratore rilasciato il contrassegno assicurativo per il periodo 24 aprile 24 ottobre 1998, ancorché dopo il verificarsi del sinistro, perciò solo il danneggiato non aveva azione nei confronti della società assicuratrice designata per le vittime della strada, bensì doveva agire direttamente nei confronti della Mapfre Progress s.p.a., che infatti non ha agito in rivalsa né nei confronti del suo agente assicuratore, né nei confronti dell’assicurata e concludono con i seguenti quesiti di diritto: “A) Quando l’assicuratore rilascia un certificato assicurativo con vigenza dalla data della sua scadenza e non dalle 24 ore del giorno di pagamento è tenuto o non a risarcire il terzo danneggiato? B) Può in tal caso l’assicuratore provare nei confronti del terzo danneggiato che il pagamento del premio non è avvenuto o è avvenuto in ritardo? C) In tali casi il certificato assicurativo r.c.a. una volta rilasciato dall’assicuratore acquista o no efficacia costitutiva a tutela del terzo che non può esser esposto a eccezioni che tendano ad invalidare le risultanze di un certificato apparentemente regolare?; D) Il certificato assicurativo r.c.a. impegna o non l’impresa assicuratrice nei confronti dei terzi danneggiati in modo inderogabile entro la scadenza del periodo di assicurazione risultante dal certificato indipendentemente dalla circostanza che sia stato o meno pagato il premio relativo a quel periodo attestato come pagato?; E) Una volta rilasciato il certificato assicurativo r.c.a. per l’assicuratore è o non è più possibile opporre alcuna eccezione relativa al previo adempimento alle proprie obbligazioni da parte dell’assicurato? F) Può in tali casi assimilarsi l’efficacia probatoria del certificato assicurativo a quella che caratterizza la cartolarità dei titoli di credito? G) L’art. 1901 coma 2 c.c. costituisce o non applicazione dell’istituto generale dell’eccezione di inadempimento di cui Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 729 giur L e g i t t i m i tà all’art. 1460 c.c.? H) In applicazione del secondo comma dell’art. 1460 c.c. deve negarsi all’assicuratore la facoltà di rifiutare la garanzia assicurativa ove ciò sia contrario a buona fede, come nel caso in cui l’assicuratore medesimo abbia, sia pure tacitamente, manifestato la facoltà di rinunziare alla sospensione della garanzia per effetto del mancato pagamento del premio alle scadenze convenute, ad esempio tramite la ricognizione del diritto all’indennizzo ovvero con l’ accettazione del versamento tardivo?; I) Nel caso giuridico di cui all’art. 1901 comma 2 c.c. nel momento in cui l’assicuratore appone sulla quietanza di premio/contrassegno quale data di vigenza della garanzia quella della sua effettiva scadenza senza effettuazione di riserve e non anche quella di effettivo pagamento, la polizza r.c.a. è o no pienamente operante nei rapporti tra assicurato e compagnia assicurativa?”. Il motivo è infondato. Va riaffermato infatti che nei contratti di assicurazione della r.c.a. con rateizzazione del premio, una volta scaduto il termine di pagamento della seconda rata di premio, l’efficacia del contratto resta sospesa a partire dal quindicesimo giorno successivo alla scadenza, e tale sospensione è opponibile anche ai terzi danneggiati, ai sensi dell’art. 1901 c.c.. Ne consegue che, una volta spirato il suddetto termine, il veicolo deve ritenersi sprovvisto di assicurazione - e chi l’ha messo in circolazione incorrerà nella relativa sanzione amministrativa a nulla rilevando che l’assicuratore abbia accettato un pagamento tardivo, che non costituisce rinunzia alla sospensione della garanzia assicurativa ma impedisce la risoluzione di diritto del contratto (art. 1901, terzo comma, c.c.). Conseguentemente la domanda di regresso dell’assicurata nei confronti dell’assicurazione per la somma che è stata condannata a pagare al danneggiato da sinistro stradale è infondata (Cass. 16726 del 2009), come correttamente deciso dai giudici di merito. 2. - Con il secondo motivo lamentano: “Violazione art. 91 c.p.c. in riferimento all’art. 92 stesso codice” per non avere giudici di secondo grado compensato le spese con Salvatore Gandolfo benché il giudice di secondo grado abbia escluso il concorso di colpa di costui, affermato dal giudice di primo grado, pur in mancanza di appello incidentale sul punto, ma richiesto soltanto in comparsa conclusionale. Il motivo è infondato, in fatto e in diritto. Dalla narrativa emerge che i giudici di appello hanno confermato la corresponsabilità della Mosca e del Gandolfo affermata dalla sentenza di primo grado respingendo l’appello di costei e del Giannettino sul punto. Pertanto, in applicazione del principio della soccombenza, li hanno condannati a rimborsare le spese all’appellato Gandolfo. 3. - Concludendo il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese non avendo gli intimati espletato attività difensiva. (Omissis) 730 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Corte di cassazione penale sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 8022 (c.c. 28 gennaio 2014) Pres. Romis – Est. Serrao – P.M. Scardaccione (parz. diff.) – Ric. P.G. in proc. Giannella Patente y Revoca e sospensione y Revoca y Sanzione amministrativa accessoria y Patteggiamento y Applicabilità di diritto y Configurabilità. . Alla revoca della patente di guida, in caso di omissione da parte del giudice di merito, può provvedere direttamente la Corte di cassazione, trattandosi di sanzione amministrativa accessoria da applicarsi obbligatoriamente anche nell’ipotesi di sentenza di patteggiamento, indipendentemente dall’accordo intercorso tra le parti. (In applicazione del principio, la Corte ha disposto direttamente la sanzione amministrativa in questione, annullando la sentenza di patteggiamento impugnata nella parte in cui il giudice di merito, erroneamente, aveva disposto la sospensione della patente di guida). (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 444) (1) (1) In senso conforme si veda Cass. pen., sez. IV, 18 dicembre 2012, n. 49221, in questa Rivista 2013, 518. Sul tema cfr. Cass. pen., sez. IV, 3 luglio 2012, n. 25707, ivi 2013, 290 e Cass. pen., sez. IV, 25 gennaio 2006, n. 2863, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna. Svolgimento del processo 1. In data 19 dicembre 2012 il Tribunale di Trieste ha pronunciato sentenza ai sensi dell’art. 444 c.p.p. applicando a Giannella Walter la pena di anni 1 mesi 1 di arresto ed euro 3.000,00 di ammenda, con sospensione condizionale e con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per 2 anni in relazione al reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c) D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285 ed al reato di cui all’art. 187, comma l-bis, cod. strada per aver circolato alla guida di un motociclo in stato di ebbrezza per abuso di sostanze alcoliche con tasso alcolemico di g/l 3,7 nonché in stato di alterazione per l’assunzione di sostanze stupefacenti, con l’aggravante di aver cagionato un incidente. 2. Ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Trieste, deducendo violazione di legge per avere il giudice applicato la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente anziché quella della revoca del titolo abitativo alla guida, che consegue automaticamente all’accertamento della guida in stato di ebbrezza da parte di chi, circolando in stato di intossicazione alcolica superiore a g/l 1,5, abbia provocato un incidente stradale, come si desume dal tenore dell’art. 186, comma 2-bis, cod. strada e, con formula analoga, dall’art. 187, comma l-bis, cod. strada, con riferimento alla guida in stato di alterazione dovuta al consumo di sostanze stupefacenti. 3. Il Procuratore Generale, nella persona del dotto Eduardo Scardaccione, nella sua requisitoria scritta, ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata. giur L e g i t t i m i tà Motivi della decisione 1. Il ricorso è fondato. 2. Con la sentenza impugnata è stata applicata la pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada, aggravato ai sensi del comma 2-bis dello stesso articolo, in continuazione con il reato di cui all’art.187 cod. strada, aggravato ai sensi dell’art.187, comma l-bis, cod. strada per aver provocato un incidente, e tale aggravante è stata ritenuta in sentenza, come si desume dalla misura della pena base. 3. L’art.186, comma 2-bis, citato stabilisce che, se il conducente in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l provoca un incidente, oltre al raddoppio della pena, è disposta anche la revoca della patente. Trattasi di sanzione amministrativa accessoria introdotta con lo 29 luglio 2010, n.120, dunque già in vigore al momento del fatto commesso da Giannella Walter (23 aprile 2012), che, per la sua natura, deve essere applicata obbligatoriamente (al C pari delle altre sanzioni amministrative accessorie) anche nell’ipotesi di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 del codice di rito. 4. L’impugnata sentenza deve essere pertanto annullata, senza rinvio, limitatamente alla sospensione della patente di guida per la durata di 2 anni, statuizione che va pertanto eliminata. Deve essere, invece, disposta la revoca della patente di guida di Giannella Walter; sanzione che, in quanto obbligatoria e non compresa nel patto tra le parti ai fini dell’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. e nemmeno suscettibile di apprezzamenti discrezionali di merito, può ben essere applicata direttamente da questa Corte. (Omissis) Corte di cassazione penale sez. VI, 17 febbraio 2014, n. 7389 (UD. 24 gennaio 2014) Pres. Di Virginio – Est. De Amicis – P.M. Selvaggi (conf.) – Ric. Bertocco Lesioni personali y Volontarie y Elemento sogget- tivo y Dolo eventuale y Sufficienza y Fattispecie in materia di investimento di un poliziotto da parte dell’agente, intenzionato a forzare il posto di blocco con il proprio ciclomotore. . Integra l’elemento psicologico del delitto di lesioni volontarie anche il dolo eventuale, ossia la mera accettazione del rischio che dalla propria azione derivino o possano derivare danni fisici alla vittima. (Fattispecie relativa all’investimento di un poliziotto da parte dell’agente, intenzionato a forzare il posto di blocco con il proprio ciclomotore). (c.p., art. 43; c.p., art. 582; c.p., art. 583) (1) (1) In senso conforme, anche se si esprime in termini generali, si veda Cass. pen., sez. V, 29 settembre 2010, n. 35075, in Riv. pen. 2011, 1213. Per un inquadramento del delitto di lesioni volontarie, si veda Cass. pen., sez. V, 30 aprile 2009, n. 17985, ivi 2010, 558. Svolgimento del processo 1. Con sentenza dell’11 aprile - 2 maggio 2013 la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Cosenza in data 4 ottobre 2012, che, dichiarate equivalenti le attenuanti generiche alle contestate aggravanti, condannava Bertocco Giovanni alla pena di anni due e mesi due di reclusione ed euro 1.000,00 di multa, ritenendolo colpevole dei reati di cui agli artt. 337 (capo sub A), 61, n. 2, 582-585 c.p. (capo sub B), 2, 4 e 7 della L. n. 895/67 (capo sub C) e 648 c.p. (capo sub D), commessi in Cosenza l’11 aprile 2012. 1.1. Il Giudice di primo grado riteneva integrati tutti i reati in contestazione, ed in particolare quello di resistenza a pubblico ufficiale, posto in essere mediante la forzatura del posto di blocco ed effettuando una manovra di guida pericolosa, le lesioni volontarie commesse per opporsi al controllo dei militari operanti e, quanto meno, con l’accettazione del rischio di investire il poliziotto che aveva intimato l’alt, il porto illegale della pistola e la sua detenzione, quest’ultima provata anche dalle fotografie rinvenute nel computer, nonché la ricettazione dell’arma, in considerazione della provata disponibilità della stessa in capo all’imputato almeno dal 17 febbraio 2012 e della sua provenienza furtiva. Durante un ordinario servizio di vigilanza stradale veniva predisposto un primo luogo di controllo e gli Ufficiali di P.G. operanti nella circostanza intimavano inutilmente l’alt ad un ciclomotore con due giovani a bordo, che cambiavano strada riuscendo a sottrarsi al controllo. Predisposto un secondo blocco stradale, lo stesso ciclomotore, condotto dal Bertocco, all’intimazione dell’alt da parte dei militari accelerava repentinamente, investendo l’assistente capo Sorrentino Francesco e rovinando sulla sede stradale. I due giovani, quindi, tentavano di sottrarsi al blocco reagendo violentemente, ed al termine della colluttazione venivano fermati e sottoposti a perquisizione, durante la quale veniva rinvenuta nella tasca interna del giubbotto del Bertocco una pistola Beretta cal. 22, con cinque cartucce nel caricatore, che risultava oggetto di un furto denunziato in data 4 novembre 2004. A seguito dell’investimento, il Sorrentino riportava lesioni giudicate guaribili in gg. 15. 2. Avverso la su indicata pronuncia della Corte d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore del Bertocco, deducendo due motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente riassunto. 2.1. Vizi motivazionali e di erronea applicazione della legge penale (art. 606, lett. b) ed e), c.p.p.), in relazione al reato di cui agli artt. 582-585 e 61, n. 2, c.p., sotto il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo, avendo la Corte d’appello erroneamente ricondotto la fattispecie concreta nell’ambito del dolo eventuale, sulla scorta della possibilità, per il Bertocco, di fuggire a piedi, ovvero di montare nuovamente sul ciclomotore una volta investito l’agente, tenuto conto che dalla relazione di servizio dell’11 aprile 2012 - redatta dall’Assistente capo Sorrentino - si evince chiaramente come l’intervento degli altri Ufficiali di P.G. (Assistente capo Costa e Vice-Sovrintendente De Lio) sia avvenuto contestualmente all’evento lesivo, in tal modo rappresentando la presenza degli ausiliari sui luoghi già al momento del verificarsi dei fatti. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 731 giur L e g i t t i m i tà È inverosimile, infatti, che il Bertocco abbia cercato di sfuggire alle forze di Polizia rappresentandosi e perseguendo la verificazione di un evento che, al contrario, avrebbe inevitabilmente determinato un’interruzione di marcia, con conseguente impossibilità di darsi alla fuga. In definitiva, deve ritenersi maggiormente verosimile una ricostruzione secondo la quale l’imputato avrebbe avuto tutto l’interesse a forzare il posto di blocco mantenendo una velocità elevata in modo da aumentare il più possibile le probabilità di elidere il controllo predisposto. 2.2. Vizi motivazionali e di erronea applicazione della legge penale (art. 606, lett. b) ed e), c.p.p.) in relazione al giudizio di bilanciamento delle attenuanti generiche, operato in regime di equivalenza rispetto alla contestata recidiva, sebbene la tipologia di quest’ultima, propriamente riconducibile alla previsione del terzo comma dell’art. 99 c.p. (recidiva specifica ed infraquinquennale), non determinasse una preclusione oggettiva a norma dell’art. 69, comma 4, c.p. Su tali basi, infatti, la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto assorbita ogni considerazione di merito, confermando la statuizione del Giudice di primo grado e omettendo di ripercorrere l’invocato giudizio di bilanciamento. Motivi della decisione 3. Il ricorso è inammissibile, in quanto sostanzialmente orientato a riprodurre un quadro di argomentazioni già esposte in sede di appello - e finanche dinanzi al Giudice di prime cure - che risultano, tuttavia, ampiamente vagliate e correttamente disattese dalla Corte distrettuale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, imperniata sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, in tal guisa richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione. Il ricorso, dunque, non è volto a rilevare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice d’appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento dei temi d’accusa, traendone conseguenze logicamente coerenti con il complesso delle emergenze probatorie, sia analiticamente che globalmente valutate. Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del giudice di prime cure, la cui struttura motivazionale viene sul punto a saldarsi perfettamente con quella di secondo grado, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, la corte di merito ha puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa, ponendo in evidenza, segnatamente: a) che, sebbene fosse stato intimato l’alt con la paletta in dotazione delle forze dell’ordine, il Bertocco, giunto a pochi metri dalla pattuglia, accelerava in modo repentino con l’evidente intenzione di non fermarsi; b) che l’assistente Sorrentino, percepita l’intenzione del Bertocco di non fermarsi, cercava di spostarsi dalla traiettoria del ciclomotore per evitare di es- 732 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. sere investito, ma il conducente, nonostante avesse uno spazio sufficiente per passare, con una manovra repentina lo investiva, cadendo rovinosamente sulla sede stradale; c) che, contestualmente, l’assistente capo Costa cercava di bloccare il conducente ed il passeggero del ciclomotore, i quali, però, reagivano con violenza, provocando la colluttazione il cui esito è stato sopra descritto. Evidente è stata ritenuta dai giudici di merito, sulla base di tali univoche risultanze probatorie, l’intenzione dell’imputato di eludere il controllo sul posto di blocco, accettando anche il rischio di investire il militare che gli stava intimando di fermarsi: ciò hanno desunto dalle su esposte circostanze di fatto, ed in particolare dall’improvvisa accelerazione impressa alla velocità del ciclomotore a pochi metri dall’operante, oltre che dal repentino cambio di traiettoria, nonostante vi fosse uno spazio sufficiente per il passaggio, valorizzando non solo il rilievo che il controllo avrebbe portato le forze dell’ordine a rinvenire l’arma di cui il Bertocco era illecitamente in possesso, ma anche la circostanza che egli, stante l’imprevedibile intervento di altri tre militari usciti in soccorso dei colleghi dalla vicina caserma, non poteva certo rappresentarsi l’impossibilità di una fuga a piedi, ovvero di risalire sul suo ciclomotore. Corretta deve ritenersi, dunque, l’applicazione della contestata fattispecie incriminatrice, trattandosi, all’evidenza, di una condotta il cui profilo soggettivo la Corte di merito ha coerentemente sussunto nel relativo schema descrittivo, facendo buon governo del quadro di principii ormai da tempo delineato da questa Suprema Corte, secondo cui integra l’elemento psicologico del delitto di lesioni volontarie anche il dolo eventuale, ossia la mera accettazione del rischio che la manomissione fisica della persona altrui possa determinare effetti lesivi (sez. V, n. 35075 del 21 aprile 2010, dep. 29 settembre 2010, Rv. 248394). È sufficiente, pertanto, che l’agente abbia previsto come probabile l’evento lesivo, accettandone il rischio della concreta verificazione. Il delitto di lesioni volontarie, infatti, richiede un dolo generico, consistente nella consapevolezza che la propria azione provochi o possa provocare danni fisici alla vittima, mentre non occorre affatto che la volontà dell’agente sia diretta alla produzione di determinate conseguenze lesive (sez. V, n. 17985 del 9 gennaio 2009,dep. 30 aprile 2009, Rv. 243973; sez. I, n. 6773 del 7 giugno 1996, dep. 4 luglio 1996, Rv. 205178). 4. La Corte d’appello, pertanto, ha compiutamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione delle contestate ipotesi delittuose, ed ha evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione che gli argomenti prospettati dalla difesa erano in realtà privi di ogni aggancio probatorio e si ponevano solo quali mere ipotesi alternative, peraltro smentite dal complesso degli elementi di prova processualmente acquisiti. La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio giudicato completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. giur L e g i t t i m i tà In questa sede, invero, a fronte di una corretta ricostruzione del compendio storico - fattuale, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti oggetto della regiudicanda, dovendo la corte di legittimità limitarsi a ripercorrere l’iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle correlative acquisizioni processuali. 5. Analoghi profili di inammissibilità, infine, investono la seconda censura, ove si consideri che, nonostante l’improprio riferimento letterale al disposto normativo di cui all’art. 69, comma 4, c.p., la corte d’appello non ha ritenuto operante la preclusione ivi posta, ma ha mostrato di condividere i criteri direttivi e l’esito del giudizio di bilanciamento operato dal giudice di prime cure, richiamandosi alle congrue ed esaustive giustificazioni al riguardo espresse in merito all’affermata valutazione di equivalenza delle attenuanti generiche rispetto alle aggravanti contestate ed alla recidiva, nella sua forma, per l’appunto, specifica ed infraquinquennale. Valutazioni, quelle or ora richiamate, che devono ritenersi del tutto legittimamente operate dalla corte distrettuale, essendosi questa fedelmente attenuta alla linea interpretativa in questa sede tracciata, secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora, come avvenuto nel caso in esame, non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, La cessione del credito e il sistema del risarcimento diretto del Codice delle Assicurazioni di Tiziana Maria Ritunno SOMMARIO 1. Premessa. 2. La cessione del crerdito del diritto delle obbligazioni. 3. Oggetto della cessione del credito. 4. Cessione del credito da R.C.A. 5. Il patto di non cedibilità nei contratti di assicurazione obbligatoria; 5-1) L’Autorità Garante per la Concorrenza e del Mercato ed il sistema del risarcimento diretto. 6. Conclusioni. 1. Premessa Da tempo le compagnie di assicurazione mantengono un atteggiamento restrittivo nei confronti della cedibilità ma siano sorrette da una sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (sez. un., n. 10713 del 25 febbraio 2010, dep. 18 marzo 2010, Rv. 245931). 6. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo quantificare nella misura di euro mille. (Omissis) Corte di cassazione civile sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22601 (*) Pres. Amatucci – Est. Svarano – P.M. Sgroi (diff.) – Ric. Orlandi (avv.ti De Stefano e Porta) c. Tossani ed altri (avv. Scagliarini) Obbligazioni in genere y Cessione dei crediti y Risarcimento del danno non patrimoniale y Danno biologico e morale conseguente a sinistro stradale y Credito relativo y Cessione y Ammisibilità. . Il diritto di credito relativo al risarcimento del danno non patrimoniale, così come risulta trasmissibile “iure hereditatis”, può anche formare oggetto di cessione per atto “inter vivos”, non presentando carattere strettamente personale. (c.c., art. 1260; c.c., art. 2059) (*) La sentenza in epigrafe è stata pubblicata in questa Rivista 2014, 64 con nota di M. Senzacqua. Se ne ripubblica solamente la massima con nota di T. M. Ritunno. a terzi del credito da R.C.A. vantato dal danneggiato, cercando addirittura di ricondurlo alla categoria dei crediti incedibili. Tale atteggiamento si ripercuote soprattutto sul piano della tutela del danneggiato, privandolo della possibilità di soddisfare il proprio interesse leso mediante la cessione del credito anziché l’adempimento del soggetto obbligato. In altre parole, sostenere l’incedibilità del credito derivante da R.C.A. impedisce, ad esempio, al danneggiato, di recarsi in una autofficina o una carrozzeria per far riparare il proprio mezzo incidentato e di pagare l’importo dovuto al riparatore mediante la cessione del credito risarcitorio in luogo di un esborso monetario che rappresenterebbe per la vittima un ulteriore costo da supportare oltre il danno subito. Il presente lavoro si sofferma dapprima sull’analisi dell’istituto della cessione del credito e sulla possibilità di applicare detto istituto in materia di R.C.A. Nel prosieguo si affronta il tema dell’efficacia ed opponibilità delle clausole di incedibilità del credito da R.C.A., previsto nei contratti di assicurazione obbligatoria, cercando di capire la ragione dell’ostilità da parte delle compagnie assicurative all’applicazione di un istituto di carattere generale quale la cessione del credito. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 733 giur L e g i t t i m i tà 2. La cessione del crerdito del diritto delle obbligazioni Il diritto di avere, per qualunque causa, una somma di denaro o una prestazione, che in essa possa convertirsi, dicesi credito. Il proprietario di tale diritto ne può disporre come di ogni altra proprietà corporale, a titolo gratuito od oneroso, in base alle norme sulla cessione del credito contenute nel libro IV del codice civile (1). Le norme sulla cessione del credito rappresentano un radicale progresso rispetto al diritto romano antico, che come modo di trasferimento del credito a titolo particolare conosceva solo la novazione soggettiva del credito, ossia l’estinzione del precedente rapporto con la nascita di uno nuovo in capo ad un altro creditore (2). Ciò in quanto l’obbligazione si considerava come un vincolo di una persona verso un’altra, costituito per l’adempimento di una prestazione, pertanto il creditore non poteva trasmettere il suo credito ad altra persona. Il legislatore del 1942, superando la concezione del rapporto obbligatorio come uno status personale, tratta il credito come una merce, come un oggetto a sé, indipendente dalla persona dell’obbligato, ed il diritto su di esso come su una cosa corporale; sicché nella trasmissione e nell’acquisto del credito non è necessario il consenso del debitore (3), in virtù del principio della libera cessione dei crediti. È indifferente per il debitore adempiere la propria obbligazione nei confronti del creditore originario o di un suo avente diritto, dato che la sua prestazione non muta. Si consente in questo modo di assolvere ad un’esigenza di rapida circolazione dei beni, dato che il credito svolge un ruolo centrale negli scambi commerciali. La nozione di cessione del credito impressa nell’art. 1260 c.c. realizza una forma di sostituzione soggettiva nella titolarità del credito (4). Questo istituto quale negozio di trasferimento a titolo oneroso o gratuito segue il generale principio consensualistico (5). Fin qui procede come in tutti gli atti di trasferimento, se non che nella cessione vi è un terzo termine obiettivo cioè il debitore ceduto. Questo termine è estraneo alla convenzione passata tra il cedente ed il cessionario, però la cessione per poter produrre effetti nei suoi confronti, ossia per obbligarlo ad eseguire la prestazione al cessionario anziché al cedente, non basta che il contratto sia stato concluso (6). La cessione costituisce un vinculum iuris tra cedente e cessionario e per il debitore ceduto è “res inter alios acta tertiis neque prodest neque nocet”, rimanendo quindi estraneo al rapporto in questione. L’oggetto della convenzione è sempre uno, il trasferimento di un diritto di credito dal cedente al cessionario che interessa un terzo, il debitore ceduto. Questo trasferimento produce effetti nei confronti del debitore ceduto solo se questi ne è a conoscenza. Il ceduto non può respingere la cessione, non può ricusarla, ma è necessario che ne sia a conoscenza affinchè il 734 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. cessionario possa pretendere la prestazione, realizzando a pieno la modificazione dal lato attivo del rapporto obbligatorio. Tale conoscenza deve essere certa, pertanto deve risultare da atto di notificazione o dall’accettazione dichiarata del debitore del diritto ceduto, ai sensi dell’art. 1264 c.c. Senza detta notificazione (7) o accettazione (8) il ceduto resta terzo verso il cessionario, l’unico suo creditore è tuttavia il cedente ed egli è validamente liberato se paga a lui il suo debito prima che venga a conoscenza dell’avvenuta cessione (9). Lo scopo dell’art. 1264 c.c. risiede nell’esigenza di tutelare la buona fede del debitore. Se questi, però, anche prima della notifica o della accettazione, paghi al cedente, non può dirsi liberato se il cessionario dimostra la mala fede del ceduto, ossia che il debitore era a conoscenza dell’avvenuta cessione. Sul piano degli effetti, di regola, col perfezionamento si produce anche l’effetto traslativo. Tuttavia, non è escluso che nel momento di conclusione del contratto si producono solo effetti obbligatori. Esempio tipico è la cessione dei crediti futuri (10). In questo caso il contratto si perfeziona per effetto del solo consenso tra cedente e cessionario, ma in quest’ipotesi il trasferimento del credito avverrà solo al momento in cui lo stesso verrà ad esistenza. Prima di questo momento la cessione, pur essendo perfetta, esplica efficacia meramente obbligatoria (11). La cessione è, quindi, un negozio di alienazione che si caratterizza per il suo oggetto a prescindere da una determinata causa (12). La causa della cessione è l’interesse che di volta in volta l’atto è diretto a realizzare e che giustifica l’atto medesimo. Si tratta, pertanto, di un contratto a causa variabile (13), come risulta dalla stessa disciplina contenuta nell’articolo 1260, 1° comma, c.c., che espressamente ammette sia il titolo oneroso che quello gratuito. La cessione del credito, quindi, come ogni alienazione può ricondursi a qualunque schema contrattuale compatibile con l’effetto traslativo. Il credito rappresenta l’oggetto della cessione. È proprio per le peculiari caratteristiche del credito che il legislatore detta alcune norme specifiche che si aggiungono a quelle dello schema negoziale utilizzato per realizzare la cessione del credito. In caso di cessione onerosa, obbligo del cedente è prestare la garanzia dell’esistenza del credito o diritto ceduto. Questa garanzia dell’esistenza del credito sussiste di diritto anche quando nell’atto di cessione non se ne faccia espressa menzione (14). Un contratto a vuoto non è possibile, non vi è contratto sul nulla, la garanzia del credito però non è garanzia della solvenza del debitore. Quest’ultima, invece, è un fatto puramente convenzionale, non sussiste se non convenuta, e, comunque, non si estende oltre il prezzo riscosso per la cessione ai sensi dell’articolo 1267 c.c. Il cessionario è proprietario del credito trasferito con la cessione, ed anche di tutte gli accessori, privilegi, garanzie personali e reali (15) ad esso collegati (16). L’art. 1263 c.c. ha previsto il subentro del cessionario nell’integrale situazione creditoria ceduta. giur L e g i t t i m i tà Il termine “accessori” (17) è riferito anche alle azioni e alle eccezioni relative al credito ceduto. In merito alle azioni giudiziarie si è soliti distingue quelle volte a conservare ed a realizzare il credito, da quelle che incidono sulla fonte del credito. Le prime (18) non vi è dubbio che si trasferiscono con il credito al cessionario in quanto sono gli strumenti che gli consentono di ottenere il pagamento. Diversamente le azioni che incidono sulla fonte del credito (19) non sono oggetto di cessione in quanto manca nel cessionario l’interesse ad agire, dato che il loro esercizio comporta l’estinzione del credito stesso. In relazione alle eccezioni, il principio da seguire è che la posizione del debitore ceduto non può essere aggravata dalla cessione. Il debitore ceduto, pertanto, potrà opporre al cessionario sia le eccezioni relative alla fonte del credito sia quelle relative alla realizzazione del credito. La forma del contratto di cessione è libera, salvo che non sia diversamente previsto da speciali disposizioni di legge (20). L’eventuale stipula del contratto sotto forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata rende, però, immediatamente opponibile al creditore cedente l’intervenuta cessione ed integra prova piena dell’intervenuta cessione nel processo (21). 3. Oggetto della cessione del credito Come già specificato, oggetto dell’istituto in commento è il diritto di credito. Il contenuto di tale diritto si sostanzia solo nella somma di utilità che il creditore può ottenere dall’esercizio dello stesso, ossia la prestazione (22) e non l’obbligazione nel suo complesso (23). L’art. 1260 c.c. dispone che “Il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge”. Detta disposizione sancisce il principio generale della cedibilità di tutti i diritti di credito, tanto nascenti da un rapporto di natura contrattuale che da altra fonte di obbligazioni, quali ad es. la legge, l’atto unilaterale o il fatto illecito. Sulla base di detto assunto la giurisprudenza si è mostrata favorevole alla cessione dei crediti di natura risarcitoria, tanto derivati da responsabilità contrattuale (24), che da responsabilità aquiliana (25). Il rimedio risarcitorio consente la monetizzazione del danno, facendo così sorgere un diritto di credito in capo al danneggiato. La funzione di arrecare adeguato ristoro al danneggiato non è, in sé, ragione sufficiente a giustificare il carattere strettamente personale del credito, in quanto il danneggiato stesso può trarre efficace consolazione per il pregiudizio subito disponendo del credito stesso onde ottenere immediatamente l’utilità desiderata, ancorché decurtata a causa della minor somma offerta, come corrispettivo, dal cessionario. L’ammissibilità della cessione del credito risarcitorio comporta che la sua esistenza ed il suo ammontare viene accertato e determinato in sede giudiziale. L’apparente incertezza del diritto di credito, però, inerisce esclusivamente l’aspetto processuale della controversia. Sotto il profilo sostanziale, infatti, la pretesa o è fondata o è infondata ed il giudice, nel pronunciare la sentenza, si limita a fotografare una realtà giuridica certa ab origine, anche se contestata nell’ambito della dinamica del processo. Il solo fatto che questi crediti presuppongono un accertamento giudiziale non è sufficiente per ricondurli alla categoria dei crediti futuri ovvero indeterminati. Il credito risarcitorio è da considerarsi valido ed attuale ed è, infatti, riconducibile al patrimonio del danneggiato fin dal momento in cui si è verificato l’evento generatore della responsabilità civile. Ciò è confermato anche dal fatto che gli interessi decorrono dal momento dell’evento dannoso e non già del relativo accertamento giudiziale, ed inoltre, dal presupposto che tutte le sentenze in materia risarcitoria non siano pronuncia di natura costitutiva bensì di mero accertamento (26). Il credito risarcitorio manca del requisito di liquidità ma ciò non osta alla sua cedibilità. I crediti risarcitori sono un tipico esempio di crediti di valore, ossia commisurati al valore del bene danneggiato, da valutare in sede extragiudiziale o giudiziale, e quindi, si tratta di crediti non liquidi. Il principio generale della libera cedibilità del credito incontra dei limiti o nella natura stessa del credito o in un divieto di legge. All’art. 1260 c.c., diversamente dal codice civile francese e da quello italiano del 1865, sono elencate delle categorie di crediti incedibili. Sono per loro natura incedibili tutti i crediti aventi carattere strettamente personale, ossia tutti quei crediti che non si prestano a mutare creditore. Lo scopo dell’obbligazione, infatti, può essere pienamente realizzato solo mediante l’adempimento a favore di quello specifico soggetto, e ciò quando la persona del creditore qualifichi il contenuto stesso dell’obbligazione in modo tale che il mutamento del creditore implicherebbe necessariamente la modifica anche dell’oggetto dell’obbligazione, oppure nel caso in cui venga in rilievo il particolare interesse del debitore a non eseguire la prestazione nei confronti di un soggetto diverso (27). Si parla di incedibilità oggettiva, ad esempio, per la prestazione del socio nei confronti della società, per la prestazione artistica-intellettuale, e per la prestazione di assistenza della persona. È evidente che i casi di incedibilità oggettiva sono eccezionali e di stretta interpretazione. (28) Si parla di incedibilità soggettiva quando il divieto di cessione trova la sua fonte nella legge e si collega a ragioni soggettive, cioè a quei soggetti individuati a monte dal legislatore che non hanno legittimazione a ricevere come cessionari (29). Sicchè il credito è intrasferibile solo nei Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 735 giur L e g i t t i m i tà confronti di determinati soggetti. Diversamente, i divieti del primo genere attenendo alla natura del bene oggetto di cessione è incedibile nei confronti di chiunque. Il 2° comma dell’art. 1260 c.c. prevede la possibilità per le parti di convenire l’incedibilità del credito tra essi trasferito. Si tratta, quindi, di incedibilità convenzionale. Tale patto ha efficacia esclusivamente obbligatoria tra le parti, pertanto, in virtù del principio della tutela dell’affidamento del terzo, non è opponibile al terzo cessionario se non si dimostra che questi ne era a conoscenza al momento della cessione, ai sensi dell’art. 1260, 2° comma, c.c. Per la validità del patto d’incedibilità che intercorre tra debitore e creditore è richiesta la presenza del requisito della meritevolezza di tutela, in relazione alla sua estensione temporale ed in considerazione della particolarità del credito e del regolamento di interessi in cui si inserisce (30). 4. Cessione del credito da R.C.A. Le considerazioni generali che precedono trovano applicazione anche per il diritto di credito risarcitorio derivante da incidente stradale. Vige, anche in materia di R.C.A., il principio della libera cedibilità del credito ai sensi dell’art. 1260 c.c. (31). Per effetto del contratto di cessione, il diritto di credito trasmigra al cessionario con tutte le azioni dirette ad ottenerne la realizzazione e nell’ipotesi dell’esercizio di tali azioni da parte del cessionario contro il debitore ceduto non è necessaria la partecipazione al processo del cedente (32). Tale principio è stato ribadito dalla giurisprudenza che ha riconosciuto la cedibilità del credito risarcitorio ad un terzo e nella specie ad un carrozziere incaricato della riparazione dei danni patiti dal veicolo. La Suprema Corte ha, infatti, rilevato come nell’ipotesi in esame non si parla di un diritto a carattere strettamente personale e che non esistono al riguardo diretti od indiretti divieti normativi. Il riparatore è, pertanto, legittimato ad agire, in luogo del cedente, in sede giudiziaria (33). Lo stesso si è detto per il credito di risarcimento da c.d. fermo tecnico (34). Non sussistendo alcun divieto normativo in ordine alla cedibilità del credito risarcitorio, il suddetto credito è suscettibile di cessione, ai sensi dell’art. 1260 c.c., ed il cessionario può in base al tale titolo, domandarne anche giudizialmente il pagamento al debitore ceduto, pure se si tratta di un assicuratore per la R.C.A. (35). In entrambi i casi quindi il cessionario potrà rivolgersi direttamente all’impresa assicurativa del responsabile civile, non già in base alle norme sull’azione diretta previste nel C.d.A., per le quali non può propriamente parlarsi di cessione, ma in ragione del titolo costitutivo del contratto di cessione, quale effetto naturale del medesimo ai sensi dell’art. 1374 c.c. (36). La cessione del credito, infatti, integra un’ipotesi di successione dal lato attivo dell’obbligazione, incidendo così anche sull’esercizio delle facoltà inerenti al diritto ceduto. 736 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Non solo il credito da risarcimento del “danno patrimoniale” da sinistro stradale è suscettibile di cessione ex artt. 1260 ss. c.c., ma anche il credito da risarcimento del “danno non patrimoniale”. Ad avviso di una recente sentenza della Suprema Corte (37), anche questa tipologia di credito non rientra nei divieti di cui all’art, 1260 c.c. Non è espressamente previsto nei divieti di legge di cui all’art. 1261 c.c., né può considerarsi come un credito a natura strettamente personale. La Suprema Corte spiega che il carattere strettamente personale della lesione di un diritto fondamentale dell’individuo non comporta l’indisponibilità del credito avente ad oggetto il risarcimento del danno derivante dalla lesione del detto diritto. L’obbligazione risarcitoria, infatti, è autonoma rispetto al titolo da cui essa scaturisce (38). Il divieto di cedibilità relativo ai crediti strettamente personali soggiace ad esigenze che non sussistono in ordine al diritto di credito al risarcimento del danno non patrimoniale, il quale è quindi liberamente cedibile. Ciò risulta evidente, inoltre, se si guarda al piano della trasmissibilità mortis causa del credito di cui si discorre. È un principio ormai consolidato quello della trasmissibilità iure hereditatis del danno morale terminale (39) o anche c.d. catastrofale o catastrofico (40), nonché del danno biologico terminale (41), una volta acquisiti dalla vittima nel proprio patrimonio. Come è noto nei casi del danno non patrimoniale, il diritto leso è indisponibile e, pertanto, non suscettibile di successione mortis causa. Tale indisponibilità rimane estranea al sussidiario e conseguenziale diritto al risarcimento, che avendo natura non personale, ma pecuniaria, una volta entrato a far parte del patrimonio del soggetto leso, è trasmissibile agli eredi (42). Si conferma così la corrispondente possibilità di alienabilità anche mediante atti inter vivos (43) il diritto di credito derivante da R.C.A. 5. Il patto di non cedibilità nei contratti di assicurazione obbligatoria È prassi per gli operatori economici apporre dei divieti di origine pattizia quando non desiderano che i propri debiti possano essere trasferiti a soggetti terzi, per intuibili ragioni economiche: il terzo creditore, cessionario, potrebbe essere meno tollerante del creditore originario in relazione alla riscossione del debito. È questo il fenomeno che si sta sviluppando nei contratti di assicurazione obbligatoria. Le compagnie assicurative del settore considerano ciò come uno dei modi per arginare i comportamenti opportunistici e fraudolenti da parte delle autofficine e dei riparatori non convenzionati con le assicurazioni che, una volta divenuti titolari dei diritto al risarcimento del danno a seguito della cessione, possono incrementare l’ammontare del quantum spettante per il danno subito dal veicolo, tra l’altro, aggiungendo altre voci di costo (es. spese legali, danno da fermo tecnico, auto sostitutiva) che l’assicura- giur L e g i t t i m i tà tore è tenuto a risarcire, con conseguente pregiudizio economico per l’impresa di assicurazioni e recupero – in termini di aumento – dei maggiori costi con l’aumento del premio delle polizze per gli assicurati (44). Alcune clausole di incedibilità previste nei contratti di assicurazione obbligatoria sono state oggetto di esame da parte dell’autorità giudiziaria o dell’Autorità Garante per la Concorrenza e del Mercato. Il caso sottoposto al vaglio del Giudice di Pace di Torino (45) si conclude con la condanna della Compagnia Assicurativa per vessatorietà della clausola in esame. Il giudice di merito chiarita la liceità della cessione del credito anche quando trova la sua fonte nel fatto illecito procede ad esaminare l’efficacia di una clausola contrattuale che vieterebbe la cessione del credito risarcitorio (46). Una clausola del suddetto tenore comporta per l’assicurato una limitazione della sua libertà contrattuale impedendogli di stipulare un negozio perfettamente lecito, quale la cessione del credito da R.C.A. Detta situazione è inquadrabile nella disciplina contemplata dall’art. 33 del codice del consumo. Questa disciplina è volta a garantire il consumatore-assicurato dalla unilaterale predisposizione e sostanziale imposizione del contenuto contrattuale da parte del professionista-assicuratore, quale possibile fonte di abuso, con la conseguenza che la clausola è da considerarsi vessatoria e quindi nulla. Il giudice di merito si chiede, inoltre, se la clausola di incedibilità preclude al cessionario la possibilità di esperire azione diretta verso la compagnia assicuratrice del danneggiante. L’obbligazione risarcitoria a carico dell’assicuratore del danneggiato trova la sua causa nella responsabilità da circolazione di veicoli ed è quindi un’obbligazione autonoma e non accessoria al contratto di assicurazione che si invoca per agire ai sensi degli artt. 149 e 150 del C.d.A. In altre parole non si tratta di un’azione sorgente da contratto, ma da fatto illecito, motivo per cui l’assicuratore convenuto in giudizio a questo fine, non potrà, in ogni caso, opporre eccezioni derivanti da contratto, ma soltanto eccezioni derivanti dal fatto illecito genetico del sinistro (47). In realtà, quindi, il contratto di assicurazione si pone come “occasione per l’azione che viene fatta valere che ha la sua causa nel fatto illecito e non si vede per quale motivo chi ha un diritto in forza di un contratto ed un altro derivante da obbligazione da fatto illecito non possa cedere entrambi i suoi diritti ad altro soggetto che a sua volta li faccia valere nei confronti del soggetto come l’assicuratore che può essere tenuto a dover intervenire in forza di entrambi tali titoli (48)”. Come già specificato, in forza della cessione del credito risarcitorio, il cessionario si pone nella stessa posizione giuridica dell’assicurato-danneggiato, agendo giudizialmente in sua vece. Pertanto non è possibile sostenere che l’art. 149 del C.d.A. impedisca all’assicurato la cessione del credito perché l’art. 2 del D.P.R. 254/2006, definendo i danneggiati, fa riferimento “solo” al proprietario od al conducente del veicolo che abbia subito danni a seguito del sinistro. Il predetto D.P.R., infatti, disciplina unicamente le modalità attuative del sistema del risarcimento diretto non potendo costituire una norma di carattere generale. Dal condivisibile ragionamento del Giudice di Pace di Torino si deve ammettere sia la liceità della cessione, che la legittimazione attiva del cessionario, in qualità di successore del danneggiato, all’esercizio dell’azione ex art. 149 del C.d.A., nonostante la previsione di una clausola di incedibilità nel contratto di assicurazione sottoscritto dal danneggiato-cedente. Il tutto, ad avviso di chi scrive, trova conferma nel disposto del 2° comma dell’art. 1260 c.c., cioè che il patto non è opponibile al cessionario in quanto ha efficacia meramente obbligatoria. Il contratto di assicurazione consentirà solo un’eventuale azione per inadempimento sempre se non è stata dichiarata la nullità della stessa clausola di incedibilità in quanto vessatoria. 5-1. L’Autorità Garante per la Concorrenza e del Mercato ed il sistema del risarcimento diretto Ai sensi dell’art. 37-bis del Codice del Consumo, l’Autorità Garante per la Concorrenza e del Mercato è stata chiamata da una Compagnia Assicurativa ad esaminare la clausola contrattuale di incedibilità del credito da R.C.A. contenuta nel suo formulario (49). L’autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (50), diversamente dal giudice di merito, considera la clausola sottoposta al suo esame non vessatoria, in quanto la limitazione in essa contemplata opera solo laddove l’assicurato danneggiato rivolga la richiesta di risarcimento al proprio assicuratore. Resta ferma la possibilità per il cessionario di richiedere il risarcimento al soggetto civilmente responsabile o/e alla sua compagnia di assicurazione. Questa affermazione non tiene conto della prassi corrente, nel senso che la convenzione tra assicuratori per il risarcimento diretto, c.d. CARD, prevede espressamente che le compagnie si impegnino fra loro e in ogni caso a rendere obbligatoria convenzionalmente la prassi dell’indennizzo diretto, cercando così di evitare che la compagnia del responsabile possa gestire il sinistro tutte le volte in cui sussistono i presupposti per attivare la procedura di risarcimento diretto (51). Nei fatti, l’assicurato subisce una limitazione della sua libertà contrattuale perché, sia in sede stragiudiziale che in sede giudiziale, la sua compagnia cercherà di instaurare dinnanzi a lei, o comunque di gestire, la procedura di risarcimento diretto, inibendo al proprio assicurato la possibilità di richiedere il risarcimento al soggetto civilmente responsabile o/e all’impresa di assicurazione di quest’ultimo. Tale affermazione ha suscitato molte discussioni ancora aperte ma ai fini dell’analisi in questione ci limitiamo ad analizzare un filone giurisprudenziale di merito (52) che afferma l’ammissibilità della costituzione in giudizio Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 737 giur L e g i t t i m i tà dell’impresa assicurativa dell’assicurato danneggiato nell’ambito di un giudizio incardinato contro quest’ultima per il risarcimento del danno da R.C.A. È noto che con l’entrata in vigore del C.d.A. accanto all’azione che il danneggiato può esercitare nei confronti dell’impresa del responsabile del danno, ai sensi dell’art. 144 del C.d.A., si sono poste altre azioni dirette, tra le quali spicca quella esercitabile dal danneggiato avverso la propria assicurazione, ai sensi dell’art. 149 del C.d.A. (53) Nel caso in cui il danneggiato agisca ai sensi dell’art. 149 del C.d.A., è la sua impresa di assicurazione a gestire la procedura risarcitoria ed a liquidargli la somma dovuta, in ragione di un’obbligazione costituita ex lege posta a suo carico. L’assicurazione del danneggiato opera quale sostituto ex lege dell’istituto assicurativo del danneggiante. Quest’ultimo rimane, però, il soggetto che in definitiva sopporta il peso finale del risarcimento, mediante il meccanismo della stanza di compensazione è infatti obbligato ad effettuare il rimborso in favore dell’impresa del danneggiato (54). La legge ha così individuato un diverso soggetto giuridico che è il legittimato passivo nella procedura stragiudiziale e nell’eventuale successiva fase giudiziale. In forza dell’art. 150 del C.d.A. e del D.P.R. 254/2006, le imprese di assicurazione operanti sul territorio italiano hanno stipulato tra loro una convenzione CARD che disciplina i rapporti organizzativi, e che istituisce una “stanza di compensazione” per la regolazione dei rapporti economici intercorrenti tra le stesse. Detto accordo comporta che ogni impresa di assicurazione è chiamata ad assumere una duplice veste: quella di “gestionaria”, quando il risarcimento venga effettuato in tutto o in parte per conto dell’impresa assicuratrice del veicolo civilmente responsabile del sinistro, e quella di “debitrice”, quando i danni provocati dal proprio assicurato responsabile siano risarciti per suo conto da un’altra impresa che avrà diritto di essere rimborsata secondo la quota di responsabilità attribuibile al proprio assicurato. La vittima del sinistro rimane totalmente estranea al rapporto giuridico che si instaura tra il proprio assicuratore e la compagnia che copre la responsabilità del responsabile civile. Il meccanismo della “stanza di compensazione”, scelto per la regolazione contabile dei rapporti economici intercorrenti tra gli istituti di assicurazione aderenti al sistema del risarcimento diretto, opera mediante un meccanismo di rimborsi forfettari. Semplificando, l’impresa gestionaria in questo modo non viene rimborsata di quanto effettivamente versato al soggetto danneggiato, bensì nella misura del “forfait” che può essere inferiore a quanto corrisposto e quindi per l’eccedenza il danno rimane completamente a carico della gestionaria o superiore all’importo del risarcimento danno, comportando così un lucro per l’assicuratore (55). Il rapporto che intercorre tra le imprese va inquadrato nella figura giuridica del mandato ex lege senza rappresentanza (56), imposto e disciplinato dalla legge (57), e successivamente “inglobato” nella Convenzione CARD 738 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. (58). La domanda della vittima viene rivolta al proprio assicuratore che diviene parte del processo “in nome proprio”, anche se lo stesso si difende nell’interesse altrui in vista della successiva regolazione dei rapporti con la debitrice “per conto” della quale gestisce il sinistro. L’assicuratore del danneggiato, anche se nel liquidare il sinistro adempie un’obbligazione propria, nel contempo provvede nell’interesse dell’istituto assicuratore del responsabile del danno. Il mandato in questione, essendo privo di rappresentanza, produce i suoi effetti tipici in capo alla società assicuratrice del responsabile civile solamente a seguito della richiesta di rimborso presentata all’impresa assicurativa del danneggiato alla “stanza di compensazione”. Ciò è ammissibile grazie alla previsione normativa contenuta nell’art. 149 del C.d.A. L’orientamento giurisprudenziale in commento arriva ad ammettere l’intervento dell’impresa assicurativa del danneggiato in un giudizio istaurato per ottenere l’accertamento della responsabilità civile del danneggiante e la conseguente condanna al risarcimento dello stesso in solido con la propria compagnia assicurativa, ai sensi dell’art. 144 del C.d.A. Una parte dell’orientamento in commento (59) ritiene che, grazie alla CARD, è configurabile un intervento litisconsortile (60) della Gestionaria, con conseguente automatica estensione della domanda attorea anche nei confronti dell’impresa del danneggiato (61). La CARD - rapporto di provvista - consente una delegazione cumulativa non liberatoria ai sensi dell’art. 1268 c.c., che giustifica, in termini di legittimazione ad agire, l’intervento in giudizio della Gestoria. Per effetto dell’atto d’intervento l’impresa del danneggiato manifesta la sua volontà di obbligarsi e dunque la stessa è considerata solidalmente responsabile, insieme all’impresa Debitrice, per la soddisfazione degli eventuali crediti risarcitori che dovessero essere riconosciuti al danneggiato (62). L’istituto della delegazione, disciplinato dagli art. 1268 ss. c.c., è un operazione giuridica mediante il quale il delegante fa promettere, cd. delegazione di debito, o fa eseguire, cd. delegazione di pagamento, con effetto sul suo patrimonio una determinata prestazione al delegato verso il delegatario. Tra questi soggetti preesistono necessariamente dei rapporti, rispetto alla delegazione. In particolare, tra delegante e delegato esiste il rapporto di provvista, per cui il delegato è debitore del delegante e tra delegante e delegatario esiste il rapporto di valuta, per cui il delegante è debitore del delegatario. Attraverso tale istituto, l’ordinamento consente di estinguere due rapporti obbligatori con un unico adempimento: il delegato paga direttamente al delegatario anziché al delegante, estinguendo così contemporaneamente il diritto di credito del delegatario nei confronti del delegante, rapporto di valuta, ed il diritto di credito che vanta il delegante nei suoi confronti in forza del rapporto di provvista. giur L e g i t t i m i tà Tornando all’opinione in esame, si rileva che gli accordi interni tra le compagnie, cui il creditore è estraneo, non hanno ad oggetto l’assunzione del debito altrui, con subentro nella medesima posizione del debitore originario (non essendo espressamente pattuita tale assunzione dell’obbligazione), ma un semplice ‘rinvio’ del danneggiato al suo assicuratore (63). Il mandato contenuto nella CARD, quindi, non fa sorgere in capo alla Gestionaria-delegata alcuna posizione debitoria, non è quindi possibile considerarlo come un rapporto di provvista. L’unico rapporto giuridico sostanziale di coobbligazione solidale è quello che intercorre tra il responsabile civile e la sua assicurazione dal quale la Gestionaria è totalmente estranea e pertanto non legittimata ad intervenire in giudizio. Il rapporto consacrato nella CARD, è accessorio e strumentale rispetto al rapporto giuridico principale che sorge tra il danneggiato e la sua assicurazione quando agisce per ottenere il risarcimento ai sensi dell’art. 149 del C.d.A. La caratteristica di accessorietà è che il primo rapporto è subordinato al secondo e, nei limiti della subordinazione, ne segue le sorti, mentre le quelle del rapporto principale sono indipendenti dalle sorti del rapporto accessorio (64). È nel momento in cui la Gestionaria liquida la somma dovuta al danneggiato, in ragione di un’obbligazione costituita ex lege (rapporto giuridico principale) posta a suo carico, che entra in gioco la CARD (rapporto giuridico accessorio) che le consente di ottenere il rimborso di quanto anticipato a favore della Debitrice. Altre pronunce (65) giustificano l’intervento della Gestionaria come una ipotesi di intervento volontario adesivo dipendente. Ai sensi dell’art. 105, 2° comma, c.p.c., un terzo, pur non essendo titolare di una posizione autonoma, può partecipare al giudizio per sostenere le ragioni di una delle parti quando vi ha un proprio interesse. Per poter intervenire in giudizio è necessario che il soggetto risulti titolare di un proprio interesse non meramente di fatto ma giuridico. Il terzo, cioè, deve presentarsi come titolare di un rapporto giuridico connesso con quello dedotto in lite da una delle parti originarie contro l’altra o da esso dipendente. Tale connessione deve comportare un pregiudizio totale o parziale del diritto di cui il terzo stesso si asserisca titolare nell’ipotesi di soccombenza della parte originaria: è necessaria, cioè, la titolarità di una situazione sostanziale collegata al rapporto dedotto in giudizio, tale da esporre il terzo agli effetti riflessi del giudicato. Se, invece, il terzo ha un interesse di mero fatto a che una delle parti del rapporto principale risulti vittoriosa, non può essere riconosciuta alcuna legittimazione ad intervenire “ad adiuvandum” (66). La domanda è se nell’ipotesi in esame è possibile individuare una situazione giuridico soggettiva in capo all’impresa assicurativa tale da giustificarne il suo intervento in un processo instaurato tra la vittima, il responsabile civile e la sua assicurazione. L’orientamento giurisprudenziale in esame individua il rapporto giuridico sostanziale nella CARD, in quanto in forza di detto accordo della soccombenza della Debitrice potrebbe derivare pregiudizio alla Gestionaria. Il pregiudizio si realizzerebbe se il giudice liquida un importo superiore alla somma forfettaria che gli verrà rimborsata mediante la stanza di compensazione. Secondo i giudici di merito, infatti, dalla lettura della CARD si evince che la Gestionaria è tenuta alla gestione del contenzioso e deve costituirsi in giudizio, anche se l’azione è stata promossa solo contro la Debitrice. In particolare - tanto nel caso in cui l’intervento viene accettato quanto respinto dal giudice - sulla Gestionaria grava l’obbligo di provvedere al risarcimento, salvo successivo rimborso tramite la stanza di compensazione. In realtà non esiste alcun interesse giuridico tutelabile in capo all’impresa assicuratrice del danneggiato, ma solo di mero fatto. Il pregiudizio economico che rischia di subire la Gestionaria non è tale da configurare un interesse giuridico dello stesso alla soccombenza del proprio assicurato rispetto al responsabile civile convenuto in giudizio, o almeno così non dovrebbe essere. Avallando l’orientamento dei giudici di merito si consentirebbe l’intervento in giudizio dell’impresa del danneggiato, ogni qual volta la prima sia stata evocata in giudizio a fronte di un sinistro che avrebbe potuto soggiacere alla disciplina del risarcimento diretto ai sensi e per gli effetti dell’art. 149 del C.d.A., anche se nel concreto viene instaurato un giudizio ex art. 144 C.d.A. È vero che in questo modo da un lato si è assicurata una unitaria gestione dei sinistri rientranti nell’ambito dell’indennizzo diretto, dall’altro però fa venire meno nel concreto la libera scelta del danneggiato di agire ex art. 144 oppure ex art. 149 del C.d.A. Si dà vita in questo modo ad una situazione in totale contrasto con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza emessa in data 19 giugno 2009 n. 180 (67) la quale ha qualificato la disciplina del risarcimento diretto come una procedura facoltativa e non obbligatoria (68) per il danneggiato (69). La Corte Costituzionale, contrastando la prassi del mercato assicurativo della r.c.a, che aveva favorevolmente accolto la tesi del carattere obbligatorio dell’indennizzo diretto, ha evidenziato come l’effettiva finalità che ha voluto perseguire il legislatore con Codice delle Assicurazioni è quella di garantire un rafforzamento della tutela dei consumatori e dei contraenti deboli nel processo di liquidazione dei sinistri attraverso il riconoscimento di una ulteriore modalità di tutela, adeguandosi alla normativa comunitaria ed ai principî e criteri direttivi della legge delega. Accanto alla nuova azione diretta ex art. 149 del C.d.A. contro il proprio assicuratore, si deve ammette l’esperibilità dell’azione ex art. 2054 c.c. e dell’azione diretta contro l’assicuratore del responsabile civile. L’interesse fatto valere dall’assicuratore del danneggiato e ravvisato dal giudice di merito appare in totale contrasto con la ratio del D. L.vo 209/2005. Il sistema delineato Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 739 giur L e g i t t i m i tà con il Codice delle assicurazione si propone di tutelare il danneggiato in quanto soggetto debole e non solo di garantire un risparmio dei costi per le imprese assicuratrici. “Risparmio” che nel concreto, grazie al meccanismo della stanza di compensazione può tradursi addirittura in un “lucro”. Il sistema della stanza di compensazione, infatti, consente all’impresa Gestionaria un guadagno nel caso in cui riesca a liquidare al danneggiato un importo inferiore al valore del “forfait” che gli verrà rimborsato. È evidente come il meccanismo della stanza di compensazione potrebbe spingere gli assicuratori a formulare delle offerte risarcitorie per importi inferiori rispetto all’effettiva entità dei danni patiti dalla vittima a seguito del sinistro senza favorire in alcun modo il danneggiato. Come può dirsi rispettato il “rafforzamento di tutela” previsto a favore del danneggiato, soggetto debole, se poi nel giudizio attivato ai sensi dell’art. 2054 c.c. e art. 144 del C.d.A. la “normativa convenzionale della CARD” costringe il danneggiato a difendersi contro un soggetto che ha consapevolmente scelto di non evocare in giudizio. Si aggiunge, infine, che l’accordo CARD è un semplice accordo privatistico tra compagnie assicuratrici regolare i rapporti economici tra le imprese nel sistema di risarcimento diretto e che non ha efficacia esterna verso i terzi e che quindi non può legittimare una distorsione in concreto del sistema previsto dal legislatore, nè giustificare l’esercizio in giudizio in proprio di un diritto altrui. La disposizione della CARD che espressamente prevede che l’impresa gestionaria nell’ambito del sistema del risarcimento diretto deve gestire il contenzioso e costituirsi in giudizio, “anche se l’azione è stata promossa solo contro la debitrice”. La qualità di mandataria senza rappresentanza attribuita alla gestionaria, in forza della CARD, non si può estendere a livello processuale in quanto l’art. 1705, comma 2, c.c. conferisce al solo mandante la posizione di sostituto processuale, per consentirgli di esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato (70). La possibilità di gestire il sinistro “per conto” della Debitrice anche in giudizio promosso solo nei confronti di quest’ultima, al di fuori della concreta attivazione dell’azione ai sensi dell’art. 149 del C.d.A. comporta una violazione dell’art. 81 c.p.c. che espressamente vieta la c.d. “sostituzione processuale volontaria”: all’autonomia delle parti non è, infatti, consentito di trasferire la legittimazione processuale se non come conseguenza del trasferimento della titolarità del diritto sostanziale (71). Questo può portare addirittura a qualificare quella parte della convenzione CARD relativa alla gestione del sinistro, anche quando è volto all’impresa assicuratrice del responsabile civile, a configurare un negozio in frode alla legge ai sensi dell’art. 1344 c.c. o con causa illecita ai sensi dell’art. 1343 c.c. 6. Conclusioni Lo scenario sopra delineato con riguardo al meccanismo delle compensazioni consente di rilevare il fallimento legi- 740 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. slativo. Come detto, la ratio posta alla base del codice delle assicurazione è la tutela del soggetto debole, in particolare del danneggiato, ma in concreto il sistema che si è creato produce vantaggi solo sul versante assicurativo. Il meccanismo della “stanza di compensazione” consente agli assicuratori la possibilità di “lucrare” sulla differenza tra la somma esborsata e quella in seguito rimborsata dall’impresa di assicurazione del responsabile civile per il tramite della stanza di compensazione, superando così l’intento legislativo. È questa nuova fonte di “guadagno” ha indotto il mercato assicurativo a formulare delle offerte risarcitorie per importi inferiori rispetto all’effettiva entità dei danni patiti dalla vittima, a scapito del solo danneggiato e a dar corso agli accordi convenzionali che provano ad estendersi oltre l’ipotesi dell’indennizzo diretto ex art. 149 del C.d.A. giustificandosi dietro una riduzione dei costi assicurativi che dovrebbe giovare all’assicurato. È questa fonte di “lucro” che genera un atteggiamento ostativo da parte dell’imprese assicuratrici verso la cessione del credito da R.C.A. al meccanico o altro terzo. Tornando al provvedimento dall’Autorità Garante per la Concorrenza e Mercato (72), nel quale si dà per scontato che, lì dove il riparatore interviene a fare la riparazione e poi dopo rileva il credito, esistono fenomeni speculativi, ma alla luce di quanto rilevato ciò non appare conforme alla realtà. L’operato del riparato è sempre sottoposto al controllo peritale della compagnia assicurativa ai sensi dell’art. 148 del C.d.A., pertanto, non è chiaro come lo stesso possa aggravare la valutazione del sinistro, senza poi portare ad un insuccesso giudiziale. È più probabile invece che sia l’assicuratore del danneggiato a porre in essere comportamenti speculativi, che più facilmente attecchiscono sull’assicurato, di regola soggetto inesperto della disciplina assicurativa, al fine di liquidare un risarcimento del danno inferiore a quello effettivo o almeno congruo, sempre inferiore alla somma forfettaria che ottiene dalla stanza di compensazione. Di regola il danneggiato, per evitare di attivare la macchina processuale, accetta la proposta stragiudiziale della propria compagnia assicurativa, anche considerando il rapporto di fiducia che intercorre tra gli stessi, senza mai poter immaginare che sulla somma che gli verrà liquidata, con alta probabilità, l’impresa ne ricaverà un guadagno. Tale risultato è più difficile da raggiungere, se ad interloquire con l’impresa assicuratrice del danneggiato è il cessionario-riparatore, il quale dovendo recuperare il corrispettivo della prestazione effettuata è ben consapevole del danno effettivamente subito dal cedente. Il cessionario, quindi, non ha difficoltà nel comprendere se la proposta dell’assicuratore è congrua o meno ai costi sostenuti ed ai danni subiti. Infine, mancando il rapporto di fiducia, con la compagnia stessa è più propenso a procedere, se necessario, anche per via giudiziale. Per questo motivo in materia assicurativa cambia per il debitore il soggetto a cui adempiere perché con buona probabilità se il suo creditore resta il danneggiato la somma da giur L e g i t t i m i tà liquidare a titolo di risarcimento del danno sarà inferiore a quella che dovrebbe corrispondere al terzo cessionario, aumentando così la possibilità di ottenere un guadagno. In conclusione, la cedibilità del credito da R.C.A. non incontra limiti a livello generale dell’ordinamento, i limiti pattizi trovano la sua reale ragione nel possibile guadagno delle assicurazione e non in una forma di contrasto della speculazione del mercato dei riparatori. L’attuale sistema dell’indennizzo diretto non solo non riesce a tutelare il soggetto debole, in quanto la somma che gli verrà liquidata potrebbe non corrispondere alla riparazione del danno effettivamente subito, ma il povero danneggiato si vede molte volte privato, a causa delle clausole di incedibilità, della possibilità di soddisfare il proprio interesse mediante la cessione del credito anziché l’adempimento del soggetto obbligato. Note (1) La sua disciplina è oggi giustamente collocata dal codice civile nella disciplina generale delle obbligazioni e non più nel titolo della compravendita come nel codice civile del 1865. Cfr. RICCARDO CAPOBIANCO, Giurisprudenza sulla cessione del credito, Banca e Borsa, 1961, I, 252 ss., il quale afferma “Tale ricostruzione non solo deriva dalla concezione tradizionale, ma era affermata dalla topografia del codice – che inseriva le disposizioni sulla cessione fra quelle relative alla vendita – e dalla stessa formulazione degli articoli, nei quali il concetto di cessione era espresso come equipollente a quello della vendita”. L’odierno codice civile eleva l’istituto in esame ad un negozio di trasferimento a titolo oneroso o gratuito e non più ad un uno strumento equipollente alla vendita. Ciò trova conferma nella relazione ministeriale n. 578, la quale sottolinea come il codice civile previgente non tenesse conto della genericità della causa traslativa propria della cessione del credito, la quale infatti non è riconducibile ad alcun tipo concreto di negozio di trasferimento. La causa venditionis è quella più frequente nella cessione del credito ma non è l’unica, perché la cessione può essere sorretta anche da una causa donativa, di solvenza ect. Cfr. RICCARDO CAPOBIANCO, Giurisprudenza sulla cessione del credito, cit., 252 ss. (2) Nell’antico diritto romano Gaio, 2,38, osserva che la mancipatio e l’in iure cessio non potevano essere applicati alle obligationes, quindi non potevano essere trasferibili. Ciò vale tanto in senso attivo, ossia il credito, che in quello passivo, ossia il debito. Il passaggio di un rapporto obbligatorio, in senso attivo o passivo, da un soggetto ad un altro poteva avvenire solo con la successio e non anche a titolo particolare, se non col commettergli a suo vantaggio l’azione nascente dall’obbligazione. In questo modo il terzo, quale procurator in rem suam intentava l’azione in luogo del creditore e tratteneva per sé ciò che acquistava. Cfr. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, Torino, 1998, 478 ss. Questo veniva chiamato dai romani cessio nominis, obligationis ovvero actionis. Cfr. A. HAINBERGER, Il diritto romano, Bellinzona, 1851, 473, nota b). (3) Sul punto si è pronunciata la Corte costituzionale che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata rispetto all’art. 1260 c.c., per contrasto con gli artt. 2, 3 e 41 Cost., nella parte in cui esclude la necessità del consenso del debitore ceduto, affermando che il credito costituisce un bene, come tale idoneo a circolare senza coinvolgimento della persona del debitore e dei suoi diritti inviolabili, laddove la cessione del contratto (assunta come tertium, comparationis) presuppone l’esistenza, al momento della cessione stessa, in capo ad entrambe le parti di un complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive e, pertanto, la necessità del consenso del contraente ceduto, in quanto titolare delle situazioni attive corrispondenti agli obblighi gravanti sul cedente (Corte cost. 10 marzo 2006, n. 95, in Giur. cost., 2006, 2). (4) MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, II, 2, Milano 1950, 189. (5) Cass. civ., sez. I, 16 giugno 2006 n. 13954 ritiene che il principio consensualistico trova conferma anche nell’art. 1264 c.c., il quale prevedendo la produzione degli effetti verso il debitore ceduto al momento della “denuntiatio” implicitamente conferma che tra il cessionario ed il cedente il contratto si conclude col semplice consenso e da quel momento si producono anche i suoi effetti. In giurisprudenza, riguardo al principio consensuale in tema di cessione del credito, si veda anche Cass. civ., sez. III, 5 novembre 2009 n. 23463, Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2007 n. 15364, Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 2007 n. 2746, Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 2005 n. 1312, Cass. civ., sez. III, 22 giugno 2004 n. 11612, Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2004 n. 7919, Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2001 n. 8333, Cass. civ., 2 febbraio 2001, n. 1510, Cass. civ., sez. III, 17 marzo 1995 n. 3099. (6) È discusso se la cessione del credito sia dotata di efficacia traslativa immediata, o se il trasferimento del credito avvenga al momento della liberazione del debitore ceduto. Cfr. PANUCCIO, Cessione dei crediti, in Enc. Dir., VI, Milano, 1960, 851; PERLINGIERI, La cessione dei crediti ordinari e ‘’d’impresa’’, Napoli, 1993, 1. (7) L’art. 1264 non intende, con l’espressione “notificazione”, la forma di comunicazione rituale prevista dal codice di procedura civile (Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2012 n. 1684), essendo sufficiente a tal fine la semplice raccomandata (Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 2013 n. 2636), un telegramma (Cass. civ., sez. III, 18 ottobre 2005 n. 20144), e caso più ricorrente degli altri, l’atto di citazione (Cass. civ., sez. III, 31 luglio 2012 n. 13691). La notificazione è da intendersi in senso lato, come qualsiasi atto a forma libera idoneo a porre il debitore ceduto nella consapevolezza della mutata titolarità attiva del rapporto obbligatorio, Cfr. Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 2011 n. 27782, Cass. 16 giugno 2006 n. 13954, Cass. 21 dicembre 2005 n. 28300, Cass. civ., sez. III, 18 ottobre 2005 n. 20143, Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2005 n. 9761, Cass. 22 aprile 2004 n. 7919, Cass. 28 gennaio 2002, n. 981, Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 2001 n. 1510, Cass. 29 settembre 1999 n. 10788, Cass. 12 maggio 1998 n. 4774, anche se alle volte la giurisprudenza richiede il requisito della forma scritta, Cfr. Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 2001 n. 798, Cass. civ. 2 settembre 1997, n. 8387. La notificazione, affinchè realizzi il suo scopo, è sufficiente che contenga l’indicazione di tutti gli elementi essenziali dell’atto di cessione senza che ne sia necessaria la sua allegazione, cfr. Cass. 16 giugno 2006 n. 13954 e Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2005 n. 9761. (8) L’accettazione della cessione da parte del debitore ha portato parte della dottrina a ritenere che l’istituto in commento abbia una doppia configurazione dogmatica, ossia acquista una struttura bilaterale o trilaterale a seconda se il debitore non interviene all’atto o intervenga ed accetti la modificazione soggettiva. In contrario si è sottolineato che lo stesso negozio non può avere una diversa struttura a seconda dell’accettazione o meno del debitore ceduto. Il legislatore ha previsto l’accettazione del debitore come una dichiarazione di scienza che evita la notificazione ed inoltre svolge la funzione di riconoscimento del debito. Cfr. Cass. civ., sez. 20 ottobre 2004 n. 21548. (9) L’origine storica della denuntiatio al debitore è nella L. 3, Cod. de novat. dell’imperatore Gordiano “Si delegatio non est interposita debitoris tui, ac propterea actiones apud te remanserunt, quamvis creditori tuo ad eum mandaveris actiones, tamen antequam lis contestetur, vel aliquid ex debito accipiat vel debitori tuo denuntiaverit, exigere a debitore tuo debitam quantitatem non vetaris, et eo modo tui creditoris exationem contra inhibere”. Al fine di agevolare il commercio dei crediti, nasce l’esigenza di superare la concezione romanistica del rapporto obbligatori così si escogito il mandato in rem propria, ossia il novello creditore si costituiva mandatario del creditore per esigere la somma, che poi faceva sua, senza obbligo di rendiconto. Poiché la durata del mandato dipendeva dalla volontà del creditore mandante e dalla sua vita, a mano a mano si andarono accettando espedienti tali superano questo pericolo di estinzione: e fra questi espedienti vi è la denuntiatio. Se si fosse fatta una delegazione senza il consenso del debitore il delegante avrebbe potuto revocare il mandato, esigere dal debitore e vietargli di pagare al delegato. Scopo dunque della denuntiatio era quello Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 741 giur L e g i t t i m i tà di privare il delegante della facoltà di revocare il mandato e d’impedire al debitore di potersi liberare pagando nelle mani del delegante. Alla denunciatio si è equiparata l’accettazione fatta dal debitore la quale trae la sua prima origine dalla stessa legge di Gordiano. Cfr. MIRABELLI, Del diritto dei terzi secondo il codice civile italiano, Torino 1889, 328 ss. (10) Cass. civ. sez. III, 2 febbraio 2001, n. 1510; Cass. civ., sez. III, 10 gennaio 2012, n. 52; Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2001 n. 8333. (11) Preme ricordare che la disciplina della cessione va integrata caso per caso con quella propria del tipo di contratto adottato, pertanto, se la cessione avente ad oggetto un credito futuro è sorretta da una causa donandi è nulla ai sensi dell’art. 771 c.c. cfr. Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2001 n. 8333. (12) La dottrina italiana ha rilevato la distinzione tra astrattezza ed autonomia nel senso che la cessione non è un negozio astratto che prescinde dalla causa ma solo autonomo rispetto alla causa che lo ha determinato. Cfr. PANUCCIO, La cessione volontaria dei crediti nella teoria del trasferimento, Milano, 1955, 59 ss., ID. Cessione dei crediti, cit., 846. In giurisprudenza v. Trib. Perugia, 20 giugno 1955, Rep. Foro It., 1955, voce Cessione, n.3. (13) Cass. civ. 2009 n. 8145; Cass. civ., 2005 n. 15955; Cass. civ. 2002 n. 17162, Cass. civ. 2001 n. 4796. (14) È possibile ai sensi dell’art. 1266 c.c. che le parti convengano di escludere detta garanzia ma il cedente resta sempre obbligato per fatto proprio. (15) Per poter trasferire al cessionario il possesso della cosa ricevuta in pegno a garanzia del credito ceduto è necessario il consenso del costituente, quindi se quest’ultimo non acconsente il cedente rimarrà il custode del pegno. Se il credito è assistito da ipoteca questa per potersi trasferire al cessionario è necessario richiederne l’annotamento a margine dell’iscrizione nei Registri Immobiliari, ai sensi dell’art. 2843, 2 comma, c.c. (16) La cessione, ai sensi dell’art. 1263 c.c. non comprende i frutti scaduti salvo che non sia stato previsto diversamente questi ultimi sia di origine pattizia sia di origine normativa. (17) Cass. civ., sez. I, 15 settembre 1999 n. 9823 evidenzia che con il termine «altri accessori» si voglia intendere che nell’oggetto della cessione rientri l’insieme di tutte le utilità che il creditore può trarre dall’esercizio del diritto ceduto, “cioè ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto stesso, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione, nonché alla tutela del credito”. (18) Ad es. sequestro, azione surrogatoria, azione revocatoria, azione esecutiva. (19) Quali ad es. azione di annullamento, di rescissione, risoluzione (20) Ad esempio, ai sensi dell’art. dell’art. 69 del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 la cessione del credito IVA deve risultare da atto pubblico o scrittura privata autentica da notaio affinchè abbia effetto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. (21) Cfr. Cass., sez. III, 6 giugno 2006, n. 13253, Cass. civ., sez. III, 18 ottobre 2005 n. 20143, Cass. civ., sez. III, 30 luglio 2004, n. 14610. Consolidato orientamento giurisprudenziale sostiene che ricade sul creditore-cessionario l’onere di provare il perfezionamento della cessione del credito, pertanto, se la cessione del credito è stata stipulata con atto pubblico o scrittura privata autenticata, la fede pubblica dell’atto integra prova piena della volontà delle parti. Diversamente quando la cessione del credito è stata stipulata con scrittura privata semplice, acquista un rilievo fondamentale, ai sensi del combinato disposto degli articoli 2697, comma 1 e 2729, comma 1, c.c. il possesso dei documenti inerenti l’insorgenza e la consistenza del credito quali ad es. il contratto, le dichiarazioni scritte del debitore, eventuali rapporti di pubbliche autorità, fotografie. Ai sensi dell’articolo 2702 c.c., la scrittura privata semplice costituisce prova piena dell’intervenuta cessione solo se la sottoscrizione del creditore cedente sia dallo stesso legalmente riconosciuta in giudizio ai sensi dell’articolo 215 c.p.c.; se il creditore cedente non è parte in causa, la sola scrittura privata non integra prova piena. 742 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. (22) PERLINGERI, Della cessione dei crediti (artt. 1260-1267), Comm. SCIALOJA-BRANCA, Bologna-Roma, 1982, 12, il quale considera credito cedibile ogni situazione soggettiva giuridicamente rilevante che, a prescindere dalla fonte, costituisca titolo ad una prestazione od anche un comportamento di semplice astensione, matrimonialmente valutabile. Secondo tale impostazione quindi possono essere oggetto di cessione di credito anche i diritti potestativi ed i diritti personali di godimento. (23) PANUCCIO, Cessione dei crediti, cit., 849. (24) Cass. Civ., 21 aprile 1986, n. 2812, Cass., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13765. (25) Cass. civ. 5 novembre 2004 n. 21192, Cass. civ., sez. I, 13 giugno 2006, n. 13676. (26) Il diritto al risarcimento del danno è maturato in favore del danneggiato al momento del fatto illecito, divenendo perciò solo un diritto patrimoniale attuale e disponibile. Sul punto vedi Trib. Roma, sez. XII, 8 marzo 2010, n. 7412; Cass. civ., sez. III, 10 gennaio 2012, n. 52. Vedi, inoltre, Cass. civ. 5 novembre 2004, n. 21192 la quale ritiene che anche se il debito ex delicto non sia riconosciuto ciò non incide sugli effetti della cessione, perché questa forma d’invalidità opera in tema di garanzia che il cedente può prestare ex art. 1266 c.c. e si traduce nell’obbligo di quest’ultimo di risarcire il danno al cessionario. (27) CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, art. 1260 c.c., Padova, 2011. (28) Cfr. PANUCCIO, Cessione dei crediti, cit. 857. (29) Un’ipotesi specifica di tale incedibilità si rinviene nell’art. 1261 c.c. (30) PERLINGERI, Della cessione dei crediti, cit., 21 ss. (31) Cfr. Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013 n. 22601, Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2012 n. 3965, Cass. civ., sez. III, 10 gennaio 2012 n. 51, Cass. civ., sez. III, 10 gennaio 2012 n. 52, Cass., 13 maggio 2009, n. 11095, Cass. civ., 5 novembre 2004, n. 21192 e Cass. civ., 21 aprile 1986, n. 2812. Dette pronunce affermano tale principio riguardo alla cedibilità del credito risarcitorio derivante nello specifico dal sinistro stradale. In particolare, si specifica che detta tipologia di credito non rientra: nè nella categoria dei crediti vietati dalla legge, non trovando limitazione nel disposto dell’art. 1261 c.c. che non contempla questa ipotesi tra quelle in relazione a cui opera di divieto di cedibilità; nè in quella dal carattere strettamente personale, essendo il credito ceduto privo di tale natura, non sussistendo l’interesse del debitore a soddisfare pretese vantate da un soggetto diverso da quello inizialmente accettato come creditore, come avviene, ad esempio, nel caso di credito alimentare. (32) Cass. civ., 18 luglio 2006 n.16383. (33) Cass. civ., 13 maggio 2009 n. 11095. Si veda inoltre Cass. civ., 10 gennaio 2012 n. 52. (34) Il credito di risarcimento da c.d. fermo tecnico, consistente nel costo del noleggio di auto sostitutiva per il tempo occorrente ai fini della riparazione dell’autovettura incidentata. (35) Cass. civ. 10 gennaio 2012 n. 51. La sentenza affronta una peculiare ipotesi applicativa nella quale una società di rent auto consegna al danneggiato dal sinistro stradale un veicolo sostituivo, da utilizzare nel periodo strettamente necessario alle riparazioni di quello incidentato, proponendo contestualmente la sottoscrizione, da parte di quest’ultimo di un contratto di cessione del credito in proprio favore, individuato nel corrispettivo del noleggio del mezzo. (36) Mancato rispetto di tale principio comporta una sostanziale incedibilità del credito derivante da R.C.A. Cfr. Cass. civ., 10 gennaio 2012 n. 51. (37) Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013 n. 22601. (38) Cass. civ., 21 aprile 1986, n. 2812. (39) Cass., 22 febbraio 2012, n. 2564, Cass., 20 settembre 2011, n. 19133, Cass., 17 dicembre 2009, n. 26605, Cass., 6 agosto 2007, n. 17177, Cass., 19 febbraio 2007, n. 3720, Cass., 31 maggio 2005, n. 11601. (40) Il danno catastrofale è quel danno conseguente alla sofferenza dalla stessa patita - a causa delle lesioni riportate - nell’assistere, nel lasso di tempo compreso tra l’evento che le ha provocate e la morte, alla perdita della propria vita, cfr. Cass., 21 marzo 2013, n. 7126 e Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972. giur L e g i t t i m i tà (41) Cfr. Cass., sez. un., 2 luglio 1955, n. 2034, Cass., 23 maggio 2003, n. 8204, Cass., 28 aprile 2006, n. 9959, Cass., 22 marzo 2007, n. 6946, Cass., 28 agosto 2007, n. 18163, Cass., 17 gennaio 2008, n. 870, Cass., 30 ottobre 2009, n. 23053, Cass., 21 marzo 2013, n. 7126. (42) Trib. Roma 3 maggio 1988, in Foro it., 1989, I, 892 ss.; Assicurazioni, 1988, II.2, 222 ss.; Foro pad., 1989, I, 42; Resp. civ. e prev., 1989, 135; Trib. Napoli 18 maggio 1988, in questa Rivista 1989, 789 ss. (43) Cassazione 3 ottobre 2013 n. 22601 afferma che “Del diritto (o della ragione) di credito al risarcimento del danno non patrimoniale deve dunque ammettersi l’alienabilità, e in particolare la cedibilità da parte del titolare, anche anteriormente e a prescindere dalla sua successione. Al riguardo, si noti, si tratta semmai di verificare quale dei vari aspetti di cui si compendia la unitaria ma composita categoria del danno non patrimoniale sia entrato nel patrimonio del cedente al momento della cessione, giacché diverso può essere il momento di relativa insorgenza”. (44) Questa è la ratio sostenuta da una Compagnia di Assicurazioni come risulta dal Provvedimento dell’Autorità Garante per la concorrenza e del mercato emesso in data 15 marzo 2012 n. 24268. (45) La controversia oggetto della pronuncia del Giudice di Pace di Torino, emessa in data 15 luglio 2012 n. 6288, www.dirittoitaliano. com, tra l’altro, verte sulla legittimità della cessione del credito da R.C.A. Ad avviso della Compagnia assicuratrice la cessione “sarebbe in contrasto con precisa clausola contrattuale e comunque non potrebbe essere fatta valere in sede di procedura di risarcimento diretto posto che tale procedura potrebbe essere avviata solo dal danneggiato diretto e cioè dall’assicurato e non da altri soggetti come un cessionario, eccependosi quindi la carenza di legittimazione passiva di essa convenuta”. (46) La clausola all’esame del Giudice di Pace di Torino, 15 luglio 2012 n. 6288, aveva il seguente tenore “Le parti pattuiscono che, ai sensi degli artt. 1341-1342 comma 2 codice civile, l’assicurato non potrà cedere a terzi i crediti derivanti dal presente contratto, a meno che l’assicuratore abbia prestato il proprio consenso a tale cessione.” (47) La Corte di Cassazione con un’ordinanza del 13 aprile 2012 n. 5928, ha affermato che l’azione diretta di cui all’art. 149 del C.d.A. non ha origine contrattuale. (48) Giudice di Pace di Torino, 15 luglio 2012 n. 6288. (49) Cfr. provvedimento emesso dall’Autorità in data 15 marzo 2012 n. 24268 che contiene in allegato le clausole contrattuali sottoposte al suo esame. (50) Con provvedimento emesso in data 15 marzo 2012 n. 24268. (51) In particolare al nuovo art. 1-bis della CARD si prevede espressamente che le imprese aderenti alla convenzione riconoscono e comunque dichiarano di ritenere la procedura di risarcimento diretto come obbligatoria. Ciò è confermato da altre norme contenute nella CARD quali, ad es. gli artt. 1, 2, 9 e 15, norma operativa. (52) Trib. Milano 28 ottobre 2011, in Foro it., 2012, I, 946, Trib. Palermo, sez. dist. di Bagheria, 8 maggio 2012, Trib. Termini Imerese, 4 dicembre 2013. In senso contrario si veda Giudice di Pace di Mascalucia, 1 luglio 2010, in questa Rivista 2010, 727 ss., Giudice di Pace di Torino, sez. V, 7 giugno 2010, n. 7436, ivi 2010, 727 ss., Giudice di Pace di Verona, 10 febbraio 2011, ivi 2011, 495 ss., Trib. Padova, ord. 25 luglio 2011, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 148 ss. (53) GALLONE, Commentario al codice delle assicurazioni. R.C.A.–Tutela legale, art. 149, Piacenza, 2009, 744. (54) Per un approfondimento sul punto v. GALLONE, Commentario al codice delle assicurazioni. R.C.A.–Tutela legale, art. 149, Piacenza, 2009. (55) GALLONE, Commentario al codice delle assicurazioni. R.C.A.– Tutela legale, art. 150, Piacenza, 2009, 767 ss. (56) Per una disamina completa sulla natura giuridica del rapporto che intercorre tra le imprese di assicurazioni si v. GALLONE, Commentario al codice delle assicurazioni. R.C.A.–Tutela legale, art. 149, cit., 741 ss. Nonostante la previsione dell’art. 1-bis della CARD si ritiene non mutata la natura giuridica del rapporto in esame v. PERRINI, Ancora in tema di interventi volontari: le nuove “procure” ANIA, www.unarca.it. (57) È disciplinato dal III comma dell’art. 149, I comma, lett. e), dell’art. 150, del C.d.A. ed art. 13 del D.P.R. n. 254/2006. (58) GALLONE, Commentario al codice delle assicurazioni. R.C.A.–Tutela legale, art. 149, cit., 742. (59) Trib. Milano 28 ottobre 2011, Foro it., 2012, I, 946, e Trib. Termini Imerese, 4 dicembre 2013. (60) Si è in presenza di un intervento volontario adesivo autonomo o litisconsortile, quando l’interveniente, facendo valere un diritto autonomo soltanto nei confronti di una o di alcune delle parti, assume comunque posizione uguale o parallela a quella di una delle altre parti originarie pur rimanendo in posizione diversa; sicché la sua difesa rimarrà distinta da quella della parte originaria, Trib. Milano 28 ottobre 2011, Foro it., 2012, I, 946. Cfr. PUNZI, Il processo civile sistema e problematiche, Vol. I, Torino, 2008, 327. (61) Trib. Termini Imerese, 4 dicembre 2013. (62) Trib. Termini Imerese, 4 dicembre 2013. (63) Trib. Torino, sez. IV, 22 gennaio 2013, in Danno e Resp., 2013, 10, 997. (64) FRANCESCO SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli 1954, 66-67. (65) Trib. Palermo, sez. dist. di Bagheria, 8 maggio 2012. (66) Cfr. Cass., sez. III, 22 agosto 2007, n. 17877, Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 2003, n. 1111, Cass. 27 febbraio 2001 n. 2842, Cass., sez. III, 23 febbraio 1999, n. 1529. (67) Successivamente alla sent. del 16 giugno 2009 n. 180, la Corte Costituzionale ha mantenuto fermo il suo orientamento con tutte le successive pronunce, quali Corte Cost., ord. 26 giugno 2009 n. 191, Corte Cost., 24 giugno 2010 n. 230, Corte Cost. 21 giugno 2013 n. 157. (68) Lo stesso rilievo viene fatto dal Giudice di Pace di Torino, sez. V, 7 giugno 2010, in questa Rivista 2010, 732. (69) L’orientamento della Corte Costituzionale trova conferma anche nell’art. 149, VI comma del C.d.A. non obbliga il danneggiato a proporre l’azione diretta nei confronti della propria impresa di assicurazione, bensì afferma testualmente che l’interessato “può” agire solo contro l’impresa che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato (art. 144, I e III comma, C.d.A.) sul punto v. GALLONE, Commentario al codice delle assicurazioni. R.C.A.–Tutela legale, art. 149, cit., 748. (70) Trib. Padova, ord. 25 luglio 2011, Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 151. (71) Preme inoltre precisare che la situazione descritta non muta a seguito dell’introduzione nel nuovo accordo CARD del c.d. “mandato con rappresentanza” sia in sede stragiudiziale che giudiziale. Cfr. Giudice di Pace di Fidenza 24 gennaio 2012, in Il giudice di pace, 2012, con commento di ANTONIO SCARPA, Azione diretta del danneggiato e costituzione dell’assicuratore mandatario: un aggiramento di Corte cost. n. 180/2009? Giurisprudenza conforme Giudice di Pace di Piacenza 11 aprile 2012 n. 282, www.iusexplorer.it, il quale afferma che con tale procura e/o mandato le imprese di fatto non si conferiscono alcuna procura o mandato poiché l’oggetto della procura riguarda sempre e comunque solo l’attività che la Gestionaria e comunque obbligata dalla legge a compiere in nome proprio (e non in nome della debitrice) e delle cui obbligazioni risponde in proprio, difatti la “procura” recitano di regola: “ ... conferisce ad ognuna delle imprese di seguito indicate ... un mandato irrevocabile a compiere ogni attività, nessuna esclusa, che si renda necessaria per la gestione e la liquidazione del danno dei sinistri rientranti nell’ambito di applicazione degli articoli 141 149. Tale attività dal 2007 vengono costantemente svolte dalla Gestionaria non certo in forza di un inesistente mandato gratuito ma in forza di precisi obblighi di legge, e questo è evidente dal momento che anche in assenza di mandato i danneggiati che legittimamente ritenevano di optare per attivare la procedura di risarcimento diretto ai sensi della norma in commento, lo fanno citando direttamente in giudizio in nome proprio la propria impresa assicuratrice. In caso di soccombenza, peraltro, è la Gestionaria ad essere obbligata ad adempiere, ed in caso di inadempimento è lei ad essere considerata come soggetto debitore e non certo la presunta mandante. A ciò si aggiunge che il rimborso di quanto pagato avviene in via forfettaria e di regola, non corrispondere agli esborsi effettivi e quindi non si verte neanche nella reclamata ipotesi di mandato gratuito. (72) Provvedimento emesso dall’Autorità in data 15 marzo 2012 n. 24268. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 743 Merito I Tribunale civile di Termini Imerese 4 dicembre 2013, n. 1334 Est. Piraino – Ric. Unipol Ass.ni Spa (avv. Anselmo) c. Esposito ed altro (avv. Barrale) Assicurazione obbligatoria y Risarcimento danni y Risarcimento diretto y Azione ordinaria nei confronti del responsabile del danno e del suo assicuratore y Possibilità y Intervento volontario dell’assicuratore del danneggiato y Ammissibilità y Sussistenza. . In tema di sinistro stradale soggetto alla disciplina del risarcimento diretto, nel giudizio che il soggetto danneggiato abbia promosso nei confronti dell’assicuratore del responsabile del danno, è ammissibile, e ha natura litisconsortile, l’intervento volontario dell’assicuratore del danneggiato, che con tale atto manifesta la volontà di obbligarsi verso lo stesso, in forza della convenzione sottoscritta tra le imprese assicuratrici per la soddisfazione degli eventuali crediti risarcitori e la gestione di tutti i debiti futuri che possono sorgere in capo all’impresa assicuratrice del danneggiante. (d.p.r. 18 luglio 2006, n. 254, art. 13; d.l.vo 7 settembre 2005, n. 209, art. 141; d.l.vo 7 settembre 2005, n. 209, art. 144; d.l.vo 7 settembre 2005, n. 209, art. 149) (1) II Tribunale civile di Palermo sez. dist. di Bagheria 18 giugno 2012, n. 176 Est. Ruvolo – Ric. Unipol Ass.ni Spa (avv. Anselmo) c. Romano ed altri (avv. Barrale) Assicurazione obbligatoria y Risarcimento danni y Risarcimento diretto y Azione nei confronti del responsabile del danno e del suo assicuratore y Possibilità y Intervento volontario dell’assicuratore del danneggiato y Ammissibilità y Sussistenza. . In materia di risarcimento danni conseguenti a sinistri stradali, nel caso in cui sia stata esercitata l’azione ordinaria di cui all’art. 144 cod. ass. nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile, in forza dell’accordo CARD, di cui al D.P.R. 245/2006 tra le società assicuratrici, è pienamente ammissibile l’intervento ad adiuvandum dell’assicuratore del danneggiato (d.p.r. 18 luglio 2006, n. 254, art. 13; d.l.vo 7 settembre 2005, n. 209, art. 141; d.l.vo 7 settembre 2005, n. 209, art. 144; d.l.vo 7 settembre 2005, n. 209, art. 149) (2) (1, 2) Le pronunce in commento aderiscono a quello che, in materia, è sempre risultato un orientamento minoritario. In senso conforme si esprimono Trib. civ. Milano 28 ottobre 2011, n. 13052, su www. unarca.it e Giud. pace civ. Tortona 31 maggio 2012, in questa Rivista 2012, 797. In senso difforme si vedano Trib. civ. Torino 27 giugno 2013, n. 4618 e 22 gennaio 2013, su www.unarca.it; Trib. civ. Prato 6 giugno 2013, n. 774, ibidem e Trib. civ. Genova 10 giugno 2011, n. 2415, in questa Rivista 2012, 797, tutte a favore dell’inammissibilità dell’intervento volontario dell’assicuratore del danneggiato. Si ricordi inoltre, che la Corte cost., con sentenza 19 giugno 2009, n. 180, pubblicata ivi 2009, 683, ha escluso la necessarietà del risarcimento diretto, sottolineandone il carattere alternativo. I Svolgimento del processo e motivi della decisione Con atto di citazione notificato in data 1 dicembre 2009 la società UNIPOL Assicurazioni Spa in proprio e quale procuratore speciale di AXA Assicurazioni Spa ha proposto appello avverso la sentenza non definitiva indicata in oggetto evidenziando: - che con atto di citazione notificato in data 12 maggio 2011 gli appellati Esposito Gaetano e Multiservice Company Srl avevano convenuto in giudizio la compagnia di assicurazioni Salamone Filippo Antonio e la compagnia di assicurazioni AXA Assicurazioni Spa in qualità di assicuratrice del veicolo di proprietà del medesimo al fine di sentirli condannare in solido al risarcimento del danno subito a causa dell’incidente stradale verificatosi in Cerda in data 29 gennaio 2011; - che nell’ambito del giudizio all’udienza del 7 luglio 2011 si era costituita la compagnia di assicurazioni UNIPOL Assicurazioni Spa (già UGF Assicurazioni Spa) sia nella qualità di procuratrice della compagnia di assicurazioni AXA Assicurazioni Spa, sia in proprio, quale interveniente volontaria in quanto assicuratrice del veicolo di proprietà dell’attore Esposito Gaetano nonché incaricata della gestione del sinistro in virtù di apposita convenzione intercorrente con la società rappresentata; - che il giudice di prime cure con la sentenza non definitiva oggetto di appello aveva dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio proposto dalla UNIPOL Assicurazioni Spa (già UGF Assicurazioni Spa) sulla base del rilieArch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 745 giur Me r i t o vo secondo il quale la richiesta di risarcimento diretto alla compagnia assicuratrice del veicolo danneggiato ex art. 149 cod. ass. e la richiesta di risarcimento ordinaria nei confronti dell’autore del danno e della compagnia assicuratrice di quest’ultimo ex art. 144 cod. ass. si sarebbero poste tra di loro in rapporto di alternatività e che in assenza di richiesta di risarcimento diretto la sussistenza di un accordo interno tra le due compagnie assicuratrici per la gestione del sinistro non avrebbe comunque dato luogo ad un valido interesse della compagnia di assicurazioni del veicolo danneggiato ad intervenire nel giudizio; - che il giudice di prime cure aveva, inoltre, ha ritenuto non valida la procura notarile in virtù della quale la società UNIPOL Assicurazioni Spa (già UGF Assicurazioni Spa) si era costituita in giudizio in nome e per conto della società AXA Assicurazioni Spa sulla base dell’erroneo rilievo secondo cui il mandato irrevocabile di rappresentanza prodotto in atti, facendo espresso riferimento alla convenzione CARD sarebbe stato applicabile esclusivamente all’ipotesi di risarcimento diretto e non avrebbe avuto efficacia nel rapporto processuale relativo all’azione ordinaria di risarcimento del danno. Ha chiesto, pertanto, in integrale riforma della sentenza oggetto di appello, la declaratoria di legittimità dell’intervento proposto nonché di validità della costituzione in giudizio in nome e per conto della società AXA Assicurazioni Spa con il favore delle spese processuali. Regolarmente instaurato il contraddittorio si sono costituiti in giudizio gli appellati Esposito Gaetano e Multiservice Company Srl invocando il rigetto proposto e rilevando che in considerazione del carattere alternativo dell’azione di indennizzo diretto rispetto all’azione risarcitoria ordinaria correttamente il giudice di prime cure aveva dichiarato sia la carenza di interesse ad agire della società UNIPOL Assicurazioni Spa (già UGF Assicurazioni Spa) sia la inapplicabilità al caso di specie della procura rilasciata dalla AXA Assicurazioni Spa e la conseguente invalidità della costituzione in giudizio in nome per conto di tale ultima società in assenza di un valido potere di rappresentanza. L’appello proposto è fondato e va, sulla scorta delle brevi considerazioni che seguono, accolto. Questo Tribunale ritiene di dover aderire alla giurisprudenza di merito secondo cui “nel giudizio che il soggetto danneggiato in occasione di un sinistro stradale, al quale risulta applicabile la procedura di risarcimento diretto, abbia promosso nei confronti dell’assicuratore del responsabile, è ammissibile, e ha natura litisconsortile, l’intervento volontario dell’assicuratore del danneggiato che con tale atto manifesta, in forza della convenzione sottoscritta dalle imprese assicuratrici ai fini della regolazione dei rapporti relativi alla gestione del risarcimento diretto dove si prevede la delegazione di debiti futuri, la volontà di obbligarsi verso il danneggiato medesimo, assumendo le obbligazioni risarcitorie asseritamente sorte in capo all’altro assicuratore” (Trib. Milano 28 ottobre 2011, n. 13052). 746 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Ora, nel caso in esame, risulta incontestato che tra le due compagnie di assicurazioni sia intervenuto un accordo (CARD) in forza del quale l’impresa “gestionaria” (ovvero la UNIPOL già UFG) si è obbligata alla gestione del sinistro e del conseguente contenzione giudiziale, nonché alla liquidazione dell’eventuale danno riconosciuto in favore del danneggiato, con successivo addebito all’impresa debitrice (ovvero all’assicurazione del danneggiate AXA Assicurazioni) di quanto corrisposto dal danneggiato. Come questo Tribunale ha già avuto modo di precisare in fattispecie analoga (cfr. sentenza di questo Tribunale, sez. dist. di Cefalù del 13 dicembre 2012 Mazzola + 1 Muscarella e altri), tale accordo, stipulato in attuazione dell’art. 13 D.P.R. n. 254/2006, ed obbligatorio per tutte le imprese assicuratrici, introducendo l’obbligo dell’assicurazione del danneggiato di provvedere alla liquidazione del pregiudizio patito dal proprio assicurato, configura una delegazione cumulativa non liberatoria, che giustifica, in termini di legittimazione ed interesse ad agire, l’intervento in giudizio dell’assicurazione gestionaria. Ed infatti ai sensi dell’art. 1268, c.c. “se il debitore assegna al creditore un nuovo debitore il quale si obbliga verso il creditore originario non è liberato, salvo che il creditore dichiari espressamente di liberarlo”. Per effetto dell’atto di intervento l’impresa gestionaria ha manifestato la sua volontà di obbligarsi nei confronti del danneggiato e, dunque, la stessa va considerata solidalmente responsabile, insieme all’impresa debitrice, per la soddisfazione degli eventuali crediti risarcitori che dovessero essere riconosciuti in favore del soggetto danneggiato. Da ciò ulteriormente consegue la qualificazione dell’intervento dell’UFG assicurazioni Spa in termini di intervento litisconsortile, con conseguente automatica estensione della domanda attorea anche nei confronti della terza interveniente (cf. in tal senso Cass. civ., sent. n. 17954 dell’1 luglio 2008). Né può ritenersi, come affermato dalla difesa degli appellati, che per tale via si giunga, di fatto, ad imporre al danneggiato una procedura di indennizzo diretto, contro la sua volontà, perché l’intervento in giudizio della compagnia di assicurazioni gestionaria trae origine dal rapporto di provvista consistente in un rapporto contrattuale di mandato tra le due compagnie di assicurazioni, e non possono applicarsi al relativo giudizio i limiti cui all’art. 149 cod. ass. condiziona l’esperibilità dell’azione di indennizzo diretto, consistenti nell’assenza di responsabilità del danneggiato e nel limite del danno subito entro i valori previsti dall’art. 139 cod. ass. Conclusioni differenti si impongono, viceversa, in relazione al secondo motivo di appello con il quale l’odierno appellante hanno contestato la erroneità della valutazione del giudice di prime cure circa la insussistenza di un valido potere rappresentativo in capo alla UNIPOL Assicurazioni Spa (già UGF Assicurazioni Spa) al fine di costituirsi in giudizio in nome e per conto della compagnia di assicurazioni AXA Assicurazioni Spa. giur Me r i t o Dall’esame della procura notarile prodotta in atti, infatti, si evince chiaramente che il mandato irrevocabile di rappresentanza conferito dalla società AXA Assicurazioni Spa a varie compagnie di assicurazioni, tra le quali vi è la società UNIPOL Assicurazioni Spa (già UGF Assicurazioni Spa) in data 24 gennaio 2011 prevede espressamente il potere di “compiere ogni attività che si rende necessaria per la gestione e la liquidazione del danno dei sinistri rientranti nell’ambito di applicazione degli articoli 141 e 149 del Codice delle assicurazioni, ferma la successiva regolazione dei rapporti economici tra imprese secondo quanto previsto dall’articolo 13 del D.P.R. n. 254/2006”, e viene ulteriormente precisato che “il mandato di cui al comma precedente, attribuisce all’impresa assicuratrice del danneggiato (“Mandataria” o “Gestionaria”) il potere di agire, a seconda dei casi, in nome e per conto o solo per conto dell’impresa (“Mandante” o “Debitrice”) che risulti, di volta in volta, essere assicuratrice del responsabile, sia in fase extragiudiziale sia in fase giudiziale”. Dall’esame del tenore letterale del mandato in questione si evince, dunque, che il potere di rappresentanza è stato conferito dalla AXA Assicurazioni Spa all’odierna appellante Unipol Assicurazioni Spa limitatamente alle procedure di risarcimento diretto e per il risarcimento dei terzi trasportati rispettivamente previsti dagli articoli 141 e 149 del codice delle assicurazioni, mentre nessun potere rappresentativo viene conferito espressamente con riferimento alla diversa azione di risarcimento diretta ordinaria prevista dall’articolo 144 del codice delle assicurazioni. La parte interveniente non ha fornito, dunque, una prova idonea ad attestare la sussistenza di un valido potere rappresentativo che consenta alla compagnia di assicurazioni UNIPOL Assicurazioni Spa di costituirsi in giudizio anche in nome e per conto della compagnia di assicurazioni AXA Assicurazioni Spa e la decisione adottata al riguardo dal giudice di prime cure, cui è conseguita la declaratoria di contumacia della compagnia di assicurazioni convenuta AXA Assicurazioni Spa va, pertanto, confermata. All’accoglimento del primo motivo di appello ed alla conseguente riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio della compagnia di assicurazioni UNIPOL Assicurazioni Spa consegue, altresì, la declaratoria di nullità degli atti processuali compiuti successivamente alla pronuncia della sentenza non definitiva oggetto di riforma, in quanto compiuti in lesione del diritto di difesa della parte ingiustamente estromessa dal giudizio. In considerazione della natura controversa delle questioni di diritto oggetto del presente giudizio con riferimento al primo motivo di appello e della soccombenza della parte appellante con riferimento al secondo motivo di appello sussistono i presupposti di cui all’articolo 92 c.p.c. per la declaratoria di integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. (Omissis) II Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato nel marzo 2011 UGF Assicurazioni Spa oggi UNIPOL Assicurazioni Spa proponeva appello avverso la sentenza n. 233/2010 del Giudice di pace di Bagheria censurandola per i seguenti motivi: 1) avrebbe errato il giudice di pace a ritenere insussistente l’interesse ad intervenire dell’appellante nel giudizio di primo grado; 2) avrebbe errato il giudice di pace a ritenere illegittimo l’intervento spiegato dall’appellante ex art. 105, comma II, c.p.c. Si costituivano in giudizio Romano Caterina e la Multiservice Assistance Spa, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, quest’ultima quale cessionaria del credito vantato dalla Romano, chiedendo il rigetto dell’appello e formulando appello incidentale, assumendo che avrebbe errato il giudice di pace a compensare le spese di lite di primo grado e chiedendo perciò la condanna dell’appellante alla rifusione delle stesse. All’udienza del 29 febbraio 2012, precisate le conclusioni, la causa veniva posta in decisione con assegnazione del termine di giorni 20 per il deposito delle comparse conclusionali ed, a seguire, di giorni 20 per il deposito di memorie di replica. Motivi della decisione L’appello è fondato. Giova ripercorrere brevemente le vicende occorse in primo grado. La sig.ra Romano Caterina e la Multiservice Assistance S.r.l. - odierne appellate, la seconda quale cessionaria del credito della prima - convenivano in giudizio la sig.ra Lo Galbo Mattea e la Ergo Assicurazioni Spa per sentire dichiarare la responsabilità della prima in ordine ad un sinistro stradale verificatosi in data 14 agosto 2009 con conseguente condanna della stessa, in solido con la propria compagnia assicuratrice, la Ergo Assicurazioni, a risarcire il danno provocato. La UGF Assicurazioni, oggi UNIPOL Assicurazioni, compagnia assicuratrice della Sig.ra Romano Caterina, spiegava intervento volontario ex art. 105, comma II, c.p.c. nel giudizio di prime cure. La UGF nell’atto di intervento esponeva il proprio interesse all’intervento, in quanto aderente alla convenzione CARD, per danni a cose e danno alle persone nei limiti di cui all’art. 139 D.L.vo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni). L’adesione a tale convenzione - a dire della UGF obbligatoria ex lege ai sensi degli artt. 149, 150 cod. ass., e 13 D.P.R. 254/2006 - comportava, tra l’altro, la gestione del sinistro de quo in capo all’interveniente, legittimandone per tale via l’intervento. Il giudice di pace, con la sentenza in questa sede impugnata, dichiarava inammissibile il predetto intervento. Il giudice di prime cure assumeva, innanzitutto, che l’intervento volontario è previsto dall’art. 149, comma VI, cod. ass. nella procura di risarcimento diretto. Nel caso portato al suo esame, invece, era stata attivata la procedura di cui all’art. 144 cod. ass. nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 747 giur Me r i t o In secondo luogo nell’impugnata sentenza si evidenziava che il predetto art. 149 cod. ass. prevede, al comma VI, l’intervento dell’impresa di assicurazione del veicolo responsabile, che può anche estromettere l’altra impresa riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato, fermo restando la successiva regolazione dei rapporti tra le imprese nell’ambito del sistema del risarcimento diretto. Tale norma non prevede invece il contrario, cioè la possibilità per l’impresa di assicurazione del danneggiato di intervenire. Secondo il giudice di pace “trattandosi di norma di carattere processuale non può trovare applicazione analoga per un caso non disciplinato espressamente”. Infine, ad avviso del primo giudice, non era ravvisabile l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. in capo all’interveniente UGF, in quanto “mirato alla esclusiva tutela di interessi associativi privati quali quelli espressi con la c.d. CARD, nell’ambito di accordi tra aziende associate all’Ania e non promosso per far valere un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo nei confronti di altre parti”. Le argomentazioni svolte dal giudice di pace non possono essere condivise. In primo luogo occorre soffermarsi sulla possibilità dal punto di vista processuale per l’impresa di assicurazione del danneggiato di intervenire nel giudizio promosso contro il responsabile civile e l’impresa di assicurazioni di questi. A tale proposito vale la pena rimarcare preliminarmente che la Corte costituzionale con sentenza n. 180 del 2009, ha chiarito che nei sinistri aventi ad oggetto danni al veicolo o alle persone nei limiti di cui all’art. 139 cod. ass. (postumi non superiori al 9%) l’azione di risarcimento proposta dal danneggiato solo nei confronti del proprio assicuratore ex art. 149 cod. ass. è una facoltà che costituisce uno strumento di tutela aggiuntivo e non esclusivo rispetto alle azioni contro il responsabile civile ex art. 2054 c.c. e contro l’impresa di assicurazione di questi ex art. 144 cod. ass. Come già in precedenza accennato, l’art. 149, comma VI, cod. ass. prevede che, nel caso in cui il danneggiato abbia promosso azione contro il proprio assicuratore, l’impresa di assicurazione del responsabile civile possa intervenire nel giudizio e può anche estromettere l’altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato, fermo restando la successiva regolazione dei rapporti tra le imprese nell’ambito del sistema del risarcimento diretto. Ora, è vero che, come ha rilevato il Giudice di pace di Bagheria l’art. 149 cod. ass. non prevede la possibilità inversa, e cioè la possibilità per l’assicuratore del danneggiato di intervenire nel giudizio instaurato contro l’assicuratore del responsabile civile. È anche vero, però, che tale possibilità non è neppure esclusa. Si deve allora ritenere che in questo caso debba trovare applicazione l’ordinaria disciplina codicistica, non espressamente derogata. Invero la semplice circostanza che il codice delle assicurazioni private non abbia previsto la possibilità per l’assicuratore del danneggiato di intervenire nel giudizio promosso contro l’assicuratore del responsabile civile non preclude certo l’operatività degli ordinari meccanismi del codice di procedura civile, se questi non sono espressamente esclusi dalla legge speciale. 748 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Ecco pertanto che, almeno in via teorica e sussistendone i presupposti, può reputarsi conforme alla disciplina processuale l’intervento dell’impresa di assicurazione del danneggiato nel giudizio promosso contro l’assicuratore del responsabile civile. Occorre a questo punto verificare se nel caso di specie ricorrano i requisiti per ritenere ammissibile l’intervento spiegato dalla UNIPOL assicurazioni Spa ai sensi dell’art. 105, comma II, c.p.c. Si tratta del c.d. intervento adesivo dipendente, in virtù del quale un soggetto può intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti (anche non costituite, dovendosi ammettere l’intervento adesivo dipendente pure nei giudizi contumaciali) quando vi ha un proprio interesse. Al riguardo mette appena conto precisare che nell’atto di intervento del primo grado di giudizio la Unipol non ha fatto valere un proprio diritto (nei confronti di nessuna delle parti), non avendo proposto alcuna domanda e non essendo stata avanzata alcuna richiesta nei suoi confronti. Si è limitata a fare valere le ragioni dei convenuti in vista delle possibili ripercussioni negative del giudicato nella sua sfera giuridica. Va invero osservato, in ordine all’interesse ad intervenire ad adiuvandum che la giurisprudenza di legittimità si è così espressa: “l’interesse richiesto per la legittimazione all’intervento adesivo dipendente nel processo in corso fra altri soggetti (art. 105, comma 2, c.p.c.), deve essere non di mero fatto, ma giuridico, nel senso che tra adiuvante e adiuvato deve sussistere un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tal che la posizione soggettiva del primo in questo rapporto possa essere - anche solo in via indiretta o riflessa - regiudicata dal disconoscimento delle ragioni che il secondo sostiene contro il suo avversario in causa” (Cass., sez. III, 24 gennaio 2003, n. 1111). Ebbene, nel caso di specie l’interesse della UNIPOL Assicurazioni Spa ad intervenire ad adiuvandum nei confronti della Ergo assicurazioni è fondato proprio su un rapporto giuridico sostanziale in virtù del quale dalla soccombenza della seconda potrebbe derivare un pregiudizio alla prima. Infatti, come già in precedenza rilevato, la controversia instaurata in primo grado innanzi al Giudice di pace di Bagheria rientra nell’ambito di applicazione del sistema di risarcimento diretto. Si tratta, cioè, di una controversia su sinistri aventi ad oggetto danni al veicolo o alle persone nei limiti di cui all’art. 139 cod. ass. (postumi non superiori al 9%). In via di estrema sintesi, il sistema di risarcimento diretto - così come sagomato dagli artt. 149, 150 cod. ass., 13 D.P.R. 18 luglio 2006, n. 254 e come concretamente attuato dalla Convenzione CARD - prevede che sia l’impresa di assicurazione del danneggiato (società gestionaria) a provvedere alla gestione del sinistro ed al risarcimento del danno salvo poi successiva regolazione dei rapporti con l’impresa di assicurazione del danneggiante (società debitrice). Tale successiva regolazione avviene sulla base di un sistema forfettario (la c.d. stanza di compensazione). Vale la pena precisare che l’adesione alla convenzione Card è obbligatoria per le imprese aventi sede legale in Italia giur Me r i t o (cfr. art. 13, comma I e II D.P.R. 254/2006 e art. comma II convenzione Card). Tale adesione costituisce perciò frutto di un obbligo che ha fonte di carattere pubblicistico e non meramente privatistico. Inoltre, un semplice interesse privatistico potrebbe essere idoneo a fondare l’interesse all’intervento. Con particolare riferimento all’interesse della Unipol ad intervenire si noti, in dettaglio, che l’art. 13, comma I e II, del D.P.R. 254/2006 prevede: «1. Le imprese di assicurazione stipulano fra loro una convenzione ai fini della regolazione dei rapporti organizzativi ed economici per la gestione del risarcimento diretto. 2. Per la regolazione contabile dei rapporti economici, la convenzione deve prevedere una stanza di compensazione dei risarcimenti effettuati. Le compensazioni avvengono sulla base di costi medi che possono essere differenziati per grandi tipologie di veicoli assicurati e per danni a cose e danni alle persone, nonchè, limitatamente ai danni a cose, per macroaree territorialmente omogenee in numero non superiore a tre. I predetti criteri di differenziazione, applicati alternativamente o congiuntamente, non devono determinare una eccessiva frammentazione dei costi medi da prendere a base per le compensazioni. Le compensazioni possono avvenire anche sulla base di meccanismi che prevedano l’applicazione di franchigie a carico dell’impresa che ha risarcito il danno, secondo le regole definite dalla convenzione». A sua volta, la norma operativa allegata all’art. 20 della convenzione Card, a proposito della gestione del contenzioso, stabilisce che “la Gestionaria è convenzionalmente tenuta alla gestione del contenzioso per conto della Debitrice. Eventuali citazioni indirizzate esclusivamente alla Debitrice, devono essere notificate alla Gestionaria, affinché la stessa si costituisca in giudizio”. La Convenzione prevede espressamente che l’impresa gestionaria nell’ambito del sistema del risarcimento diretto deve gestire il contenzioso e deve costituirsi in giudizio, anche se l’azione è stata promossa solo contro la debitrice. Nel caso che ci occupa, UGF era convenzionalmente tenuta a costituirsi in giudizio. Più avanti la stessa norma esemplifica alcune possibilità che possono verificarsi nella pratica tra cui proprio alcune inerenti all’intervento: Avvenuta costituzione della Gestionaria in giudizio Qualora il giudice accetti l’intervento volontario dell’impresa gestionaria, quest’ultima provvederà alla liquidazione del sinistro e all’addebito alla Debitrice secondo le modalità previste dalla normativa Card. I costi sostenuti dalla gestionaria potranno essere addebitati in stanza di compensazione nella misura in cui la stessa ne abbia diritto. Intervento volontario della gestionaria non accettato dal Giudice - la gestionaria, attraverso la medesima funzione del Responline dovrà comunicare alla debitrice entro 60 gg dal provvedimento del giudice l’esito negativo della sua costituzione in giudizio. In questa ipotesi la debitrice deve costituirsi in giudizio e tentare di definire al meglio la vertenza. L’importo del danno successivamente risarcito dalla debitrice e le relative spese di resistenza verranno addebitate all’impresa gestionaria fuori Stanza di compensazione. Se la debitrice è stata regolarmente informata dalla gestionaria in merito al rifiuto della costituzione in giudizio, non le sono dovuti i diritti di gestione. Se la debitrice, opportunamente informata dalla gestionaria non si è costituita in giudizio, nonostante fosse ancora possibile costituirsi, perde il diritto alla rivalsa. Successivamente a tale rimborso, la gestionaria avrà la possibilità di addebitare in stanza di compensazione all’impresa Debitrice il forfait di competenza. Quello che preme rilevare è che in entrambi i casi presi in considerazione dalla CARD - intervento accettato oppure respinto - grava sulla gestionaria l’obbligo di provvedere al risarcimento, salvo successivo rimborso tramite stanza di compensazione. Ma tale rimborso, come accennato, è forfettario: ne segue che la sua misura potrà in concreto essere inferiore alla somma versata al danneggiato a titolo di risarcimento. Ecco allora emergere l’interesse della gestionaria ad intervenire nel procedimento instaurato dal danneggiato contro la società debitrice: infatti la gestionaria potrebbe vedersi costretta, sulla base del rapporto giuridico sostanziale che la lega alla società debitrice in virtù della Convenzione Card, a versare un importo a titolo di risarcimento del danno anche superiore al rimborso forfettario da conseguire tramite stanza di compensazione. Ne segue che la gestionaria - nel caso che ci occupa la UNIPOL Assicurazioni S.p.a. - ha tutto l’interesse a svolgere, le sue difese, sia pure ad adiuvandum, nel giudizio, onde evitare una condanna ad un risarcimento che superi l’importo del forfait, residuo che rimarrebbe a carico di essa gestionaria, con pregiudizio al suo patrimonio. Pertanto, alla luce delle superiori considerazioni, l’intervento volontario adesivo dipendente della UNIPOL Assicurazioni Spa deve ritenersi pienamente ammissibile, con conseguente riforma della sentenza appellata. In ordine infine alle spese del presente giudizio, si noti che - in considerazione della complessità delle questioni trattate - sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio. Vista la riforma della sentenza di primo grado si deve statuire anche sulle spese di primo grado dovendo il relativo onere essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite (v. Cass. 15557/06; 58/04; 9783/03). Pertanto, per le medesime ragioni deve ritenersi che bene ha fatto il giudice di primo grado a compensare le spese di lite. (Omissis) Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 749 giur Me r i t o Giudice di pace civile di Torino sez. III, 25 maggio 2014, n. 3008 Est. Facci – Ric. Bergamasco (avv. Ceccanti) c. Prefetto di Torino Depenalizzazione y Ordinanza-ingiunzione y Emissione y Sottoscrizione y Violazioni del Codice della strada y Sostituzione della sottoscrizione autografa con una mera indicazione a stampa ai sensi dell’art. 3, comma 2, D.L.vo n. 39/93 y Nullità. . Poichè un’ordinanza-ingiunzione richiede una motivazione in relazione al singolo caso concreto e non è, quindi, suscettibile d’essere direttamente ed automaticamente elaborata da un sistema informatico, stante il carattere estremamente ristretto della delega conferita al governo con l’art. 2, comma 1, lett. mm), della legge n. 421/92, deve ritenersi afflitta da nullità quella in calce alla quale la sottoscrizione autografa sia sostituita con una mera indicazione a stampa ai sensi dell’art. 3, comma 2, D.L.vo n. 39/93. (nuovo c.s., art. 204; d.l.vo 12 febbraio 1993, n. 39, art. 3; l. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 2) (1) (1) Nello stesso senso v. Cass. civ. 28 dicembre 2000, n. 16204, in questa Rivista 2001, 291, secondo cui deve escludersi la validità, sulla base dell’art. 3 del D.L.vo n. 39 del 1993, di ordinanze ingiunzioni irrogative di sanzioni amministrative per violazione dell’art. 204 del codice della strada, ove prive di firma autografa, in quanto costituenti provvedimenti amministrativi non suscettibili di automatica elaborazione informatica e richiedenti, a norma degli artt. 18 della legge n. 689 del 1981 e 3 della legge n. 241, specifica motivazione in relazione alle particolarità del singolo caso concreto. E peraltro gli atti in questione debbono considerarsi comunque validi ove, pur in mancanza dell’autografia della sottoscrizione, i dati estrinsecati nel contesto documentativo degli stessi, consentano comunque di accertare aliunde la sicura attribuibilità, dell’atto a chi, secondo le norme positive, debba esserne l’autore. Svolgimento del processo e motivi della decisione Al ricorrente, quale proprietario del veicolo targato CLS62CS , è stato notificato il verbale 12/20110182 del 21 agosto 2012 con il quale la Polizia Municipale di Torino gli contestava la violazione dell’art. 142 c.s. Contro il verbale, il medesimo faceva ricorso al Prefetto che con ordinanza 145561/R/07VV.UU.TO dell’8 marzo 20l3 lo respingeva. Contro l’ordinanza fa ora opposizione e ne chiede l’annullamento per i motivi che vanno esaminati di seguito. All’udienza presente per il ricorrente l’avv. Ceccanti e la dott. Devito della Polizia Municipale di Torino in rappresentanza del Prefetto costituitosi con deposito di comparsa e documenti di rito. Il giudice procede all’esame dei motivi del ricorso (capi da 1 a 5) e ritiene di esaminare per primo il motivo 4) che se provato determina l’accoglimento del ricorso e superfluo l’esame degli altri motivi. Dunque con il motivo 4) il ricorrente lamenta “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 312 D.L.vo 39/93 e degli art. 20-23 D.L.vo 82/05”, lamentando che l’ordinanza impugnata non reca la firma autografa del Prefetto o chi per esso, ma solo una indicazione a stampa “Il presente provvedimento è stato redatto con sistemi meccanizzati. La firma autrografa del 750 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. rappresentante dell’Ufficio, che ha redatto il presente atto, è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile ai sensi dell’art. 3 D.L.vo 12 febbraio 1993 n. 39”. La S.C. con sent. 16204/2000 osserva che “L’art. 3 D.L.vo 39/93 dispone che gli atti amministrativi adottati da tutte le pubbliche amministrazioni sono di norma predisposti tramite sistemi informatici automatizzati e che l’immissione, la riproduzione su qualsiasi supporto e la trasmissione di dati, informazioni e documenti mediante sistemi informatici o telematici nonché l’emanazione di atti amministrativi attraverso i medesimi sistemi, debbono essere accompagnate dall’indicazione della fonte del responsabile dell’immissione, riproduzione, trasmissione o emanazione. Dispone altresì che se per la validità di tali operazioni e degli atti emessi sia prevista l’apposizione di firma autografa, la stessa è sostituita dall’indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile” prosegue “L’individuazione dell’esatta sfera di operatività dell’art. 3 D.L.vo 39/1993 non è agevole, in relazione alla sua applicabilità o non applicabilità fuori dell’ambito degli atti amministrativi informatici in senso stretto, cioè di quegli atti provenienti dalla pubblica amministrazione direttamente ed automaticamente elaborati dal sistema informatico in quanto non richiedono valutazioni discrezionali e motivazioni correlate alle particolarità del caso concreto. Detta interpretazione investe la tematica generale degli scopi e dei limiti della informatizzazione degli atti della pubblica amministrazione diretta in primo luogo alla utilizzazione degli strumenti dell’informatica per semplificare e accelerare la emanazione degli atti amministrativi seriali, che non necessitano di specifica motivazione pertanto suscettibili di una completa elaborazione informatica che non può invece attuarsi di regola in correlazione con i provvedimenti amministrativi, che normalmente involgono valutazioni e motivazioni differenziate in relazione alle particolarità delle singole fattispecie, rispetto ai quali lo strumento informatico può essere utilizzato solo come mezzo di documentazione supporto dell’attività degli organi della pubblica amministrazione continua”. Il carattere estremamente ristretto della delega conferita al Governo dal sopra menzionato art. 2, comma 1, lett. mm della L. 421/l992, fa propendere per una interpretazione restrittiva della norma, da ritenersi riferibile ai soli atti amministrativi suscettibili di una completa e automatica elaborazione informatica mentre essa non può ritenersi riferibile ai procedimenti amministrativi in generale, che dovendo essere specificamente motivati in relazione al singolo caso concreto, non sono suscettibili di informatizzazione automatica ed in relazione ai quali la legge di delegazione non avrebbe potuto prescindere dalla formulazione di specifici principi e criteri direttivi, con riferimento alle caratteristiche di tali atti, riguardo alle procedura, ai limiti ed agli effetti della loro informatizzazione, così come la norma delegata non avrebbe potuto esimersi dal dettare una particolareggiata disciplina in proposito” e conclude “non potendosi ritenere la validità, sulla base dell’art. 3 D.L.vo 39/1993 di giur Me r i t o ordinanze-ingiunzione irrogative di sanzioni amministrative, ove prive dì firma autografa, in quanto provvedimenti amministrativi non suscettibili di automatica elaborazione informatica, che a norma degli artt. l8 L. 689/81, 3 L. 241/90 e 204 Codice Strada, specificamente applicabile nella fattispecie, debbono essere motivati in relazione alle particolarità del singolo caso concreto e, in quanto tali, non rientrano nella disciplina dell’art. 3 D.L.vo 39/1993”. In conclusione le ordinanze-ingiunzione emesse dal Prefetto a seguito di opposizione ai sensi dell’art. 18 L. 689/81 e art. 204 c.s. , devono recare la firma autografa del Prefetto o chi per esso ha provveduto a pena di invalidità dell’atto, di conseguenza le ordinanze che invece della firma recano in calce la formula di cui all’art. 3 D.L.vo 39/93 sono invalide e quindi annullabili dietro opposizione degli interessati. La dott. Devito ha prodotto una copia della ordinanza in questione recante in calce la firma autografa della dott. Buffa Vice Prefetto, con annotazione “Al comando di P.M. di Torino per la notifica ed esecuzione al sig. Bergamasco” mentre la copia notificata al sig. Bergamasco non reca la firma autografa ma la formula ex art. 3 D.L.vo 39/93. Ci si chiede se per la validità del provvedimento sia sufficiente la firma solo in calce alla copia originale, o sia invece necessaria per tutte le copie, in particolare quella notificata all’interessato perché nella prima ipotesi, firma in calce all’originale, per le altre copie sarebbe valida l’apposizione della formula ex art. 3 suddetto, considerato altresì che le copie dell’originale sono suscettibili di riproduzione con i sistemi informatici ecc. La domanda resta in sospeso in attesa di autorevoli risposte e nel frattempo nel dubbio si ritiene di accogliere il motivo esaminato che assorbe tutti gli altri e di annullare il provvedimento prefettizio impugnato con compensazione delle spese del processo e così il giudice decide dando lettura del dispositivo. (Omissis) Giudice di pace civile di Chieri 24 marzo 2014, n. 98 Est. Gotta – Ric. Agostinis c. Uff. Terr. Gov. Prefettura Provincia di Torino Velocità y Limiti fissi y Apparecchi rilevatori y Art. 4 del D.L. n. 121/2002, convertito, con modif., nella L. n. 168/2002 y Strada inclusa nell’elenco predisposto dal Prefetto y Strada non appartenente alla categoria delle “strade urbane di scorrimento”, ovvero delle “strade extraurbane secondarie” y Contestazione a distanza y Illegittimità. . Al fine della disapplicazione in via incidentale (ex artt. 4 e 5 L. 2248/1865 all. E) dell’atto o del provvedimento amministrativo (nella fattispecie decreto prefettizio di individuazione delle strade su cui poter installare i rilevatori di velocità), il giudice ordinario può sindacare tutti i possibili vizi di illegittimità - incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere - estendendo il proprio controllo alla rispondenza delle finalità perseguite dall’Amministrazione con quelle indicate dalla legge. Pertanto, ove, dall’esame delle sue caratteristiche tecnico/giuridiche, emerga che la strada, su cui era stato effettuato un rilevamento a distanza della velocità, sia stata inclusa nell’elenco predisposto dal Prefetto ai sensi dell’art. 4 L.168/02 pur non appartenendo alla categoria delle “strade urbane di scorrimento”, ovvero delle “strade extraurbane secondarie”, detto rilevamento “a distanza” dev’essere considerato illegittimo, al pari dell’ordinanza-ingiunzione con cui sia stato respinto un ricorso con cui tale eccezione era stata puntualmente proposta. (nuovo c.s., art. 2; nuovo c.s., art. 142; d.l. 20 giugno 2002, n. 121, art. 4) (1) (1) Nella pronuncia in epigrafe il Giudice, ai fini della disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo, ha effettuato una dettagliata disamina delle caratteristiche della strada sulla quale il prefetto di Torino aveva illegittimamente autorizzato l’installazione d’un dispositivo per il rilevamento a distanza ex art. 4 L.168/02. Il Giudice di pace di Torino ha affrontato analoga fattispecie con decisione 23 settembre 2011, n. 8305, pubblicata in questa Rivista 2012, 159, sentenza quest’ultima nel solco di Cass. civ. 6 aprile 2011, n. 7872, ivi 2011, 798, In genere, nel senso che, al fine della disapplicazione , in via incidentale, dell’atto amministrativo, il giudice ordinario può sindacare tutti i possibili vizi di legittimità del provvedimento incompetenza, violazione di legge e eccesso di potere ma non ha il potere di sostituire l’amministrazione negli accertamenti e valutazioni di merito che sono di sua esclusiva competenza, v. Cass. civ. 26 giugno 2006, n. 14728, in Ius&Lex dvd n. 5/2014, ed. La Tribuna. In dottrina, utili riferimenti si rinvengono in C. BRUNO, Velocità: per una interpretazione sistematica dell’art. 4 L. 168/2002, in questa Rivista 2007, 1009; ID., Gli accertamenti in deroga al principio di contestazione immediata ex art. 4 L. 1 agosto 2002, n. 168, ivi 2005, 801; P. BIANCHETTO, La L. 1º agosto 2002, n. 168 e il controllo remoto delle violazioni al codice della strada, ivi 2003, 183. Svolgimento del processo e motivi della decisione Appare necessario premettere che il ricorso è avverso la contestazione della violazione si tratta dell’art. 142 c.d.s. accertata attraverso una postazione fissa di rilevatore di velocità posta a Chieri (TO) in Strada Fontaneto all’altezza del n. civico 131 - Postazione che era stata individuata dal Prefetto della Provincia di Torino fra le direttrici ove è possibile installare una postazione fissa per la rilevazione della velocità con il suo decreto n. 105736/Auto/Area III del 28 aprile 2009. Avverso questa individuazione è stato proposto ricorso al T.A.R. Piemonte avverso la Prefettura di Torino ed avverso il contro interessato Comune di Chieri (TO) ritenendo il decreto illegittimo nella parte individuante Strada Fontaneto. Occorre anche rilevare il ricorso amministrativo appare essere stato proposto, almeno da oltre due anni e non pare che si sia provveduto al “prelievo” e quindi si può ritenere che l’esito di questo ricorso sia indifferente alle parti anche perché nel frattempo il rilevatore della velocità di Strada Fontaneto è fuori esercizio e pertanto si ritiene di dover giudicare sui ricorsi proposti al di là della decisione amministrativa giudicando che, aderendo alle motivazioni della sentenza della Suprema Corte (n. 3701/2011) al fine della disapplicazione, in via incidentale, dell’atto o del provvedimento amministrativo, il giudice ordinario può sindacare tutti i possibili vizi di legittimità-incompetenza, Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 751 giur Me r i t o violazione di legge ed eccesso di potere estendendo il proprio controllo alla rispondenza delle finalità perseguite dall’Amministrazione con quelle indicate dalla legge, In questa fattispecie regolata dall’art. 4 del decreto legge 20 giugno 2002, n. 121, è rimessa al Prefetto, previa consultazione degli organi di Polizia Stradale competenti per territorio e su conforme parere dell’ente proprietario, l’individuazione delle strade (o di singoli tratti di esse), diverse dalle autostrade o dalle strade extraurbane principali, nelle quali è possibile l’installazione di un posto operativo fisso di un rilevatore elettronico della velocità e quindi senza porre in atto la contestazione immediata. I dispositivi di rilevamento elettronico della velocità possono essere installati come sopra detto secondo le disposizioni dell’art. 4 della legge 168/2002: 1. Sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali di cui all’articolo 2, comma 2, lettere A e B, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, gli organi di polizia stradale di cui all’articolo 12, comma 1, del medesimo decreto legislativo, secondo le direttive fornite dal Ministero dell’interno, sentito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, possono utilizzare o installare dispositivi o mezzi tecnici di controllo del traffico, di cui viene data informazione agli automobilisti, finalizzati al rilevamento a distanza delle violazioni alle norme di comportamento di cui agli articoli 142 e 148 dello stesso decreto legislativo, e successive modificazioni. I predetti dispositivi o mezzi tecnici di controllo possono essere altresì utilizzati o installati sulle strade di cui all’articolo 2, comma 2, lettere C e D, del citato decreto legislativo, ovvero su singoli tratti di esse, individuati con apposito decreto del prefetto ai sensi del comma 2. Detti criteri sono tassativi, e finalizzati a garantire che il velox sia utilizzato come concreto strumento di contrasto all’incidentalità ed in situazioni di effettivo pericolo. L’art. 2 del c.d.s. classifica le strade, riguardo alle loro caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, nei seguenti tipi: A - Autostrade; B - Strade extraurbane principali; C - Strade extraurbane secondarie; D - Strade urbane di scorrimento; E - Strade urbane di quartiere; F - Strade locali; F bis - Itinerari ciclopedonali. Escludendo a priori che la Strada Fontaneto di Chieri (TO) sia una autostrada oppure una strada extraurbana principale (lettera B) si deve appurare se questa strada possa essere qualificata come strada extraurbana secondaria (lettera C: strada ad unica carreggiata con almeno una corsia per senso di marcia e banchine) oppure come una strada locale comunale (lettera F). Dalle difese di parte resistente (ordinanza ingiunzione n. 35789/R/10 Er. Prov. Area III Cir. Traff. ed altre) si può rilevare che il n. 131 di Strada Fontaneto è considerato dalla Prefettura di Torino come un luogo che “ricade in ambito urbano ma fuori dal centro abitato”. 752 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Ma questo tipo di strada come visto non è elencata nell’art. 2 c.d.s. e neppure è indicata nella norma prevista dall’art. 4 legge 168/2002 e se questa fosse una strada urbana, al fine di poter autorizzare l’installazione fissa del rilevatore elettronico della velocità, con contestazione non immediata, deve essere considerata strada di scorrimento (lettera D) e quindi avere le caratteristiche di questo tipo di strada (strada a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia, ed una eventuale corsia riservata ai mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e marciapiedi, con le eventuali intersezioni a raso semaforizzate; per la sosta sono previste apposite aree o fasce laterali esterne alla carreggiata, entrambe con immissioni ed uscita concentrate); caratteristiche che non fanno parte della Strada Fontaneto di Chieri (TO) per cui si deve giudicare che questa strada non sia una strada urbana di scorrimento. Ai fini della autorizzazione all’installazione della postazione fissa del rilevatore potrebbe essere considerata una strada extraurbana che fa parte del territorio del Comune di Chieri (TO) e quindi appare necessario per valutare se questa strada può essere ritenuta una strada extraurbana secondaria classificata C che deve essere una strada ad unica carreggiata con almeno una corsia per senso di marcia e con banchine. La stessa Provincia di Torino, oltre che il Codice della Strada, con la determinazione n. 18-127560/2006 per il progetto della costruzione della circonvallazione di Chieri indica i parametri con cui si può classificare una strada extraurbana secondaria (lettera C) e, richiamando, altresì, il decreto ministeriale relativo alle costruzioni di strade classifica questa strada come strada extraurbana secondaria (lettera C) indicando quale parametri sono necessari per la classificazione: la strada deve essere larga totalmente 10,50 metri, deve essere composta da due corsie larghe ognuna m. 3.75 oltre alla pendenza massima ed all’altezza massima sul livello di campagna. Neppure queste caratteristiche appaiono far parte del corredo della strada Fontaneto di Chieri (TO) non avendo la larghezza totale necessaria e non avendo la larghezza parziale di ogni corsia necessaria. Si deve quindi ritenere che questa strada sia una strada interlocale e comunale di accesso a breve distanza che può essere collocata sia in ambito urbano di quartiere sia in ambito extraurbano e quindi ex art. 2 c.d.s., può e deve essere posta nella lettera F. Ma in questo caso l’autorizzazione all’installazione della posizione fissa del rilevatore elettronico della velocità non appare essere stata adottata secondo quanto disposto dall’art. 4 della legge 168/2002 per cui si deve disapplicare questo provvedimento amministrativo e ne consegue che gli accertamenti della violazione appaiono essere stati parimenti illegittimi e quindi si deve accogliere il ricorso perché fondato. Visto l’art. 95 secondo comma c.p.c., e ritenuto che l’applicazione della norma non fosse di facile soluzione compensa interamente le spese legali tra le parti. (Omissis) Massimario I testi dei documenti qui riprodotti sono desunti dagli Archivi del Centro elettronico di documentazione della Corte di cassazione. I titoli sono stati elaborati dalla redazione Assicurazione obbligatoria ■ Contratto di assicurazione – Clausola di delimitazione del rischio assicurato – Nullità – Rilevabilità d’ufficio – Condizioni e limiti. Il potere del giudice di rilevare d’ufficio le nullità del contratto di assicurazione (nella specie, per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) o delle singole clausole di esso va coordinato necessariamente con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Ne consegue che il contraente, laddove deduca la nullità di una clausola di delimitazione del rischio, è tenuto ad allegare ritualmente i fatti costitutivi dell’eccezione (ovvero l’esistenza della clausola, la sua inconoscibilità, il suo contenuto in tesi vessatorio) nella comparsa di risposta o con le memorie di cui all’art. 183 cod. proc. civ. F Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5952, Leone c. Ina Assitalia Spa Le Assicurazioni D’Italia Spa (c.p.c., art. 99; c.p.c., art. 112; c.p.c., art. 167; c.p.c., art. 183; c.p.c., art. 416; c.c., art. 1882). [RV630558] ■ Fondo di garanzia per le vittime della strada – Impresa designata – Partecipazione al giudizio nella duplice veste di assicuratrice del responsabile e di impresa designata – Ammissibilità – Fondamento. In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per la circolazione dei veicoli, alla luce della disciplina prevista dagli artt. 19 e 20 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (“ratione temporis”applicabile), è ammissibile che una società assicuratrice venga contemporaneamente evocata in giudizio sia in proprio, quale incorporante l’assicuratore dell’autovettura del responsabile del sinistro, sia quale impresa designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, per l’ipotesi che il veicolo risulti privo di copertura assicurativa,in quanto fra le due posizioni vi è autonomia patrimoniale e autonomia di scopo, agendo essa, quale impresa designata, per conto e con le finalità proprie della Consap-Gestione autonoma del F.G.V.S., su cui ricadono le conseguenze economiche del risarcimento. F Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2014, n. 8136, Fondiaria Sai Spa c. Di Nardo ed altri (c.c., art. 1901; l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19; l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 20; d.l.vo 7 settembre 2005, n. 209, art. 285; d.l.vo 7 settembre 2005, n. 209, art. 286). [RV630408] ■ Risarcimento danni – Azione diretta nei confronti dell’assicuratore – Danneggiante contumace in primo grado – Impugnazione della sentenza che afferma la sua responsabilità ed esclude quella dell’assicuratore – Ammissibilità. Nell’assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli, le posizioni dell’assicuratore e dell’assicurato sono inscindibili rispetto al terzo danneggiato. Ne consegue che l’assicurato è legittimato ad impugnare la sentenza che abbia rigettato l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore, anche se sia rimasto contumace in primo grado ed anche se non abbia formulato alcuna domanda di manleva nei confronti dell’assicuratore. F Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2014, n. 3621, Carpitella c. Comp. Milano Assic. Divisione Nuova Maa ed altri (c.p.c., art. 100; c.p.c., art. 291; c.p.c., art. 323; l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18; d.l.vo 7 settembre 2005, n. 209, art. 144). [RV630355] ■ Risarcimento danni – Azione diretta nei confronti dell’assicuratore – Rivalsa dell’assicuratore verso l’assicurato – Giudizio di rivalsa promosso dall’assicuratore ai sensi dell’art. 18 L.n. 990/1969 – Esistenza e validità della clausola di rivalsa – Onere della prova – Riparto tra assicurato ed assicuratore. In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, nel giudizio di rivalsa, di natura contrattuale, promosso dall’assicuratore, ai sensi dell’art. 18 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (applicabile “ratione temporis”), il convenuto, ove invochi la nullità della clausola di rivalsa, ha l’onere di allegare e provare il fatto costitutivo dell’eccezione, e cioè l’illegittimità della pretesa dell’assicuratore, qualora la predetta clausola non sia stata resa conoscibile (in violazione dell’art. 1341, primo comma, cod. civ.), ovvero non sia stata doppiamente sottoscritta (in violazione dell’art. 1342, secondo comma, cod. civ.), mentre l’assicuratore è tenuto a dimostrare solo l’esistenza del contratto e della clausola legittimante la rivalsa stessa. F Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5952, Leone c. Ina Assitalia Spa Le Assicurazioni D’Italia Spa (c.c., art. 1218; c.c., art. 1341; c.c., art. 1342; c.c., art. 2697; l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 18; l. 7 settembre 2005, n. 209, art. 144). [RV630559] ■ Risarcimento danni – Preventiva richiesta di risarcimento ex art. 22 L. n. 990/1969 – Destinatari – Assicuratore – Sussistenza – Responsabile civile – Esclusione – Fondamento. In tema di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, la richiesta preventiva di risarcimento del danno di cui all’art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, va rivolta nei confronti del solo assicuratore e non anche del responsabile civile nei cui confronti sia stata proposta la domanda giudiziale di risarcimento del danno, trattandosi di condizione di proponibilità dell’azione risarcitoria, volta a garantire all’assicuratore un adeguato “spatium deliberandi” per l’eventuale liquidazione dell’indennizzo senza far luogo alla domanda giudiziale. F Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2014, n. 2827, Parente c. Berriola (l. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 22). [RV630307] Circostanze del reato ■ Attenuanti – Provocazione – Assoluta sproporzione tra il fatto ingiusto altrui e il reato commesso – Nesso causale tra fatto ingiusto ed ira – Esclusione – Fattispecie in tema di irregolare ed imprudente manovra di guida della persona offesa e reazione sproporzionata dell’imputato che mostrando un coltello impediva alla vittima di proseguire la marcia. La circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non sussiste ogni qualvolta la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui ed il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere o lo stato d’ira ovvero il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che una irregolare e imprudente manovra di guida della persona offesa potesse giustificare l’applicazione della invocata attenuante, alla condotta dell’imputato, che aveva reagito mostrando un coltello e posizionando la propria autovettura in modo da impedire alla vittima di proseguire nella marcia). F Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2014, n. 604 (ud. 14 novembre 2013), D’Ambrogi (c.p., art. 62; c.p., art. 610). [RV258678] Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 753 mas Ma s s i m a r i o Depenalizzazione ■ Ordinanza-ingiunzione – Opposizione – Competenza – Giudice ordinario – Fattispecie in tema di opposizioni ad ordinanze-ingiunzioni applicative di sanzioni per violazioni del Codice della strada. La cognizione delle opposizioni alle ordinanze - ingiunzioni applicative di sanzioni per la violazione delle norme che disciplinano la circolazione stradale è attribuita dall’art. 205 del D.L.vo. 30 aprile 1992 n. 285 all’autorità giudiziaria ordinaria, dovendosi escludere la configurabilità di una competenza del giudice tributario trattandosi di sanzioni che, se pure irrogate da uffici finanziari, sono conseguenti a violazioni di disposizioni non aventi natura fiscale, per cui la controversia non ha ad oggetto l’esercizio del potere impositivo, sussumibile nello schema potestà-soggezione, bensì un rapporto, che implica un accertamento meramente incidentale. F Cass. civ., sez. un., 17 aprile 2014, n. 8928, Etr Esazione Tributi Spa c. Petronelli (nuovo c.s., art. 205; l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22; l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 22 bis). [RV630305] Espropriazione per pubblico interesse (o utilità) ■ Occupazione temporanea e d’urgenza – Risarcimento del danno – Liquidazione del danno da occupazione appropriativa – Terreni agricoli – Quantificazione – Art. 3, comma 65, L. n. 662/1996 – Utilizzabilità – Esclusione – Criterio della piena reintegrazione patrimoniale commisurata al prezzo di mercato – Applicabilità – Utilizzo ulteriore a quello agricolo – Oneri probatori del danneggiato – Fattispecie in tema di terreno non edificabile finalizzato alla realizzazione di parcheggi da parte della P.A. In tema di determinazione del risarcimento del danno derivante da occupazione acquisitiva dei suoli non edificabili, per i quali già in passato non era utilizzabile il criterio introdotto dal comma 7 bis dell’art. 5 bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, aggiunto dall’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, l’unico criterio utilizzabile, così come per i suoli edificabili, è quello della piena reintegrazione patrimoniale commisurata al prezzo di mercato, sulla base delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche del suolo, senza che il proprietario abbia l’onere di dimostrare che il fondo è suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo rispecchiante possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria, perché altrimenti si introdurrebbe un inammissibile fattore di correzione del criterio del valore di mercato, con l’effetto indiretto di ripristinare l’applicazione di astratti e imprecisati valori agricoli. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, dopo avere statuito sulla natura non edificabile del terreno espropriato, rientrante in una zona destinata a verde e servizi, specificamente finalizzata alla realizzazione di parcheggi da parte della P.A., ne aveva determinato un valore di mercato eccessivo, in adesione alle erronee indicazioni del c.t.u., basate sulla possibile utilizzazione dell’area per la realizzazione di parcheggi anche da parte di privati e sul più ampio concetto di “comparto urbanistico” anziché su quello, corretto, di “area”). F Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2014, n. 6296, Com. Acquaviva Picena c. Rossi ed altri (c.c., art. 2043; d.l. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis; l. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3). [RV630506] ■ Procedimento – Liquidazione dell’indennità – Determinazione – Indennità di esproprio – Copertura di un edificio destinata a parcheggio – Considerazione aggiuntiva rispetto al valore delle residue potenzialità edificatorie dell’area di sedime – Esclusione – Fondamento. Nel caso in cui l’espropriazione abbia ad oggetto una costruzione, l’indennità di esproprio va determinata in modo unitario sulla base del valore venale dell’edificio, che non può prescindere dalle potenzialità edificatorie dell’area non assorbite 754 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. dalla costruzione, ove la struttura del fabbricato consenta una costruzione in sopraelevazione oppure ove la demolizione del fabbricato (del cui costo si deve ovviamente tenere conto) e la realizzazione di un nuovo edificio siano rese economicamente convenienti da dette potenzialità. Tuttavia, in caso di destinazione della copertura dell’edificio a parcheggio, la considerazione, ai predetti fini, delle potenzialità edificatorie rimaste inespresse non consente di tener conto, contemporaneamente, anche del “quid pluris” derivante, sotto il profilo dell’unitario valore, da tale destinazione, posto che il teorico sfruttamento della residua potenzialità edificatoria dell’area farebbe venire meno la destinazione a parcheggio della copertura o, quanto meno, ne determinerebbe l’assorbimento nel valore di un piano del nuovo edificio. F Cass. civ., sez. I, 14 marzo 2014, n. 6036, Guardincerri ed altro c. Scarpenti ed altri (l. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39; d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37; d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327, art. 38). [RV630536] Guida in stato di ebbrezza ■ Accertamento – Modalità – Alcooltest – Natura – Diritto del difensore di essere previamente avvisato dalla polizia giudiziaria – Sussistenza – Esclusione. In tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, l’accertamento strumentale di tale stato (cosiddetto alcoltest) costituisce atto di polizia giudiziaria urgente ed indifferibile cui il difensore può assistere senza diritto di essere previamente avvisato, dovendo la polizia giudiziaria unicamente avvertire la persona sottoposta alle indagini della facoltà di farsi assistere da difensore di fiducia. F Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 7967 (ud. 6 dicembre 2013), Zanutto (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 354; c.p.p., art. 356; att. c.p.p., art. 114). [RV258614] ■ Accertamento – Modalità – Consumazione di bevande alcoliche – Inalazione di fumi di alcol – Sinergia delle due forme di assunzione di alcol – Reato di guida in stato di ebbrezza – Configurabilità – Sussistenza – Fattispecie in tema di assunzione di bevande alcoliche da parte di soggetto giornalmente sottoposto ai fumi alcolici in ragione della professione di enologo. Il reato di guida in stato di ebbrezza, punibile a titolo sia doloso sia colposo, è configurabile anche nell’ipotesi in cui l’imputato, oltre ad aver assunto bevande alcoliche, abbia inalato fumi di alcol in ragione dell’attività lavorativa da lui svolta, in quanto nel rispetto delle ordinarie regole di diligenza avrebbe dovuto evitare la sinergia tra le sostanze, determinante il superamento del tasso alcolemico consentito. (In motivazione la Corte ha evidenziato che non risulta violato il principio di legalità, perché non viene equiparata l’assunzione di bevande all’inalazione di alcol ma viene rilevato che l’assunzione di bevande non è consentita quanto vi è il rischio che, in sinergia con altre sostanze, si determini il pericolo per l’incolumità pubblica connesso all’ebbrezza alcolica). F Cass. pen., sez. IV, 17 gennaio 2014, n. 1882 (ud. 24 ottobre 2013), Veglio (nuovo c.s., art. 186). [RV258428] ■ Accertamento – Modalità – Prelievo ematico – Mancanza del consenso – Irrilevanza. La mancanza di consenso dell’imputato al prelievo del campione ematico per l’accertamento del reato di guida in stato d’ebbrezza non costituisce una causa di inutilizzabilità patologica degli esami compiuti presso una struttura ospedaliera, posto che la specifica disciplina dettata dall’art. 186 del nuovo codice della strada - nel dare attuazione alla riserva di legge stabilita dall’art. 13, comma secondo Cost. - non prevede alcun preventivo consenso dell’interessato al prelievo dei campioni. F Cass. pen., sez. IV, 15 gennaio 2014, n. 1522 (ud. 10 dicembre 2013), Lo Faro (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 191). [RV258490] mas Ma s s i m a r i o ■ Accertamento – Modalità – Tasso alcoolemico – Superamento delle soglie di punibilità – Valori centesimali – Rilevanza. In tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini del superamento delle soglie di punibilità stabilite dall’art. 186, comma secondo, cod. strada, assumono rilievo anche i valori centesimali. (Nella specie, in presenza del rilievo di un tasso alcoolemico pari a 0,87, superiore al valore soglia di 0,8 g./l., la Corte ha ritenuto configurabile la fattispecie di cui alla lettera b) del citato art. 186). F Cass. pen., sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 5611 (ud. 16 ottobre 2013), Ferrari (nuovo c.s., art. 186). [RV258426] ■ Applicazione del lavoro di pubblica utilità – Disciplina prevista dall’art. 186, comma nono bis, c.d.s. – Deroga alla durata edittale del lavoro di pubblica utilità ex art. 54, comma secondo, D.L.vo n. 274/2000 – Sussistenza – Deroga al criterio di computo della pena sostitutiva ex art. 54, comma quinto, D.L.vo n. 274/2000 – Ammissibilità – Esclusione. In tema di reato di guida in stato di ebbrezza, l’art. 186, comma nono bis, c.d.s. introduce una deroga alla durata edittale della pena del lavoro di pubblica utilità indicata dall’art. 54, comma secondo, D.L.vo n. 274 del 2000, ma non anche al criterio di computo della pena stessa sostitutiva stabilito dal comma quinto dello stesso articolo. F Cass. pen., sez. I, 2 gennaio 2014, n. 64 (c.c. 17 ottobre 2013), P.m. in proc. Piccone (nuovo c.s., art. 186; d.l.vo 28 agosto 2000, n. 274, art. 54; d.l.vo 28 agosto 2000, n. 274, art. 54). [RV258391] ■ Circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale – Sostituzione pena con il lavoro di pubblica utilità – Divieto – Coinvolgimento nel sinistro – Equiparazione – Esclusione. In tema di guida in stato di ebbrezza, costituisce condizione ostativa alla sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità la circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale, situazione alla quale non può equiparasi il mero coinvolgimento nel sinistro. F Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 7969 (ud. 6 dicembre 2013), Ferrari (nuovo c.s., art. 186). [RV258616] ■ Conversione della pena detentiva in quella pecuniaria – Sostituzione di detta pena con quella del lavoro di pubblica utilità – Ammissibilità. Nell’accordo sull’applicazione della pena in ordine al reato di guida in stato di ebbrezza, le parti possono procedere, prima, alla conversione della pena detentiva in quella pecuniaria e, poi, sostituirla con il lavoro di pubblica utilità, trattandosi di disposizione più favorevole applicabile anche senza la richiesta dell’interessato. F Cass. pen., sez. IV, 2 gennaio 2013, n. 71 (c.c. 14 novembre 2012), P.G. in proc. Mancini (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 444). [RV258606] ■ Patteggiamento – Conversione della pena detentiva in quella pecuniaria – Sostituzione di detta pena con quella del lavoro di pubblica utilità – Legittimità – Esclusione. Nell’accordo sull’applicazione della pena in ordine al reato di guida in stato di ebbrezza, le parti non possono procedere, prima, alla conversione della pena detentiva in quella pecuniaria e, poi, sostituirla con il lavoro di pubblica utilità, trattandosi di distinti regimi sanzionatori di adeguamento della sanzione al caso concreto ed alle caratteristiche personali dell’imputato, tra loro non sovrapponibili. F Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 8005 (c.c. 15 novembre 2013), Verdelli (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 444; l. 24 dicembre 1981, n. 689, art. 53). [RV258609] ■ Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo – Annullamento senza rinvio con contestuale disposizione della confisca. In tema di guida in stato di ebbrezza, deve essere annullata senza rinvio la sentenza con cui il giudice, applicando la pena su richiesta delle parti, ometta di disporre la confisca del veicolo utilizzato per commettere il reato, potendo il giudice di legittimità applicare direttamente detta sanzione amministrativa accessoria, ai sensi dell’art. 620, comma primo, lett. l), cod. proc. pen. F Cass. pen., sez. IV, 5 maggio 2014, n. 18442 (ud. 5 dicembre 2013), P.G. in proc. Scarchini (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 620; c.p., art. 240). [RV258624] ■ Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo – Conseguenze – Annullamento con rinvio – Necessità. In tema di guida in stato di ebbrezza, la sentenza con cui il giudice, applicando la pena su richiesta delle parti, ometta di disporre la confisca del veicolo utilizzato per commettere il reato deve essere annullata limitatamente a tale aspetto, con rinvio al giudice di merito affinchè vi provveda. F Cass. pen., sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 2385 (c.c. 6 dicembre 2013), P.G. in proc. Caramuta (nuovo c.s., art. 186; c.p., art. 240). [RV258430] ■ Patteggiamento – Omessa confisca del veicolo – Conseguenze – Annullamento senza rinvio con contestuale applicazione della confisca. In tema di guida in stato di ebbrezza, la sentenza con cui il giudice, applicando la pena su richiesta delle parti, ometta di disporre la confisca del veicolo utilizzato per commettere il reato deve essere annullata limitatamente a tale aspetto senza rinvio, potendo il giudice di legittimità applicare direttamente detta sanzione amministrativa accessoria ai sensi dell’art. 620, comma primo, lett. l), cod. proc. pen. F Cass. pen., sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 2379 (c.c. 6 dicembre 2013), P.G. in proc. Lombardi (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 445; c.p.p., art. 620; c.p., art. 240). [RV258429] Patente ■ Revoca e sospensione – Revoca – Sanzione amministrativa accessoria – Patteggiamento – Applicabilità di diritto – Configurabilità. Alla revoca della patente di guida, in caso di omissione da parte del giudice di merito, può provvedere direttamente la Corte di cassazione, trattandosi di sanzione amministrativa accessoria da applicarsi obbligatoriamente anche nell’ipotesi di sentenza di patteggiamento, indipendentemente dall’accordo intercorso tra le parti. (In applicazione del principio, la Corte ha disposto direttamente la sanzione amministrativa in questione, annullando la sentenza di patteggiamento impugnata nella parte in cui il giudice di merito, erroneamente, aveva disposto la sospensione della patente di guida). F Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 8022 (c.c. 28 gennaio 2014), P.G. in proc. Giannella (nuovo c.s., art. 186; c.p.p., art. 444). [RV258622] Pedoni ■ Investimento pedonale – Comportamento colposo del pedone – Sufficienza ad escludere la colpa dell’automobilista – Esclusione – Riferimento alle circostanze di tempo e di luogo – Necessità. In caso di investimento pedonale, la circostanza che il pedone abbia repentinamente attraversato un incrocio regolato da semaforo per lui rosso non vale ad escludere la responsabilità dell’automobilista, ove tale condotta anomala del pedone fosse - per le circostanze di tempo e di luogo, che avrebbero consigliato una maggiore prudenza e in particolare una minore velocità - ragionevolmente prevedibile. (Nella specie, il conducente si trovava in pieno centro città, in una zona di attraversamento pedonale e in una giornata piovosa). F Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2014, n. 3964, Bonomi ed altro c. Di Marco ed altri (c.c., art. 2054). [RV630412] Precedenza ■ Incroci stradali – Rotatorie – Regole sulla precedenza – Fattispecie in tema di ingresso e/o abbandono della rotatoria. In materia di circolazione stradale, la precedenza sulla rotatoria, quando una autovettura sia già su di essa circolante mentre Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 755 mas Ma s s i m a r i o un’altra si accinge ad immettersi, è regolata in favore di chi provenga da destra, ma solo se per, chi si immette sulla rotatoria manchi la segnalazione dell’obbligo di dare precedenza; laddove, invece, una prima autovettura si accinga ad uscire dalla rotatoria quando la seconda si sia già immessa, trova applicazione l’art. 154 del D.L.vo n. 285 del 30 aprile 1992, con la conseguenza che chi intenda cambiare corsia deve assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada. F Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2014, n. 5511, Idraulica Pennesi Di Pennesi Vittorio c. Taffetani ed altro (nuovo c.s., art. 145; nuovo c.s., art. 154). [RV630210] Prova civile ■ Confessione – Giudiziale – Confessione giudiziale resa dal responsabile del danno non proprietario del veicolo – Valore di prova legale nei confronti del solo confitente – Sussistenza. Nel giudizio promosso dalla vittima di un sinistro stradale nei confronti dell’assicuratore del responsabile, la confessione giudiziale resa dal conducente non proprietario del veicolo (il quale non è litisconsorte necessario) vincola il solo confitente, con la conseguenza che correttamente il giudice può accogliere la domanda nei suoi confronti, e rigettarla nei confronti dell’assicuratore della r.c.a. F Cass. civ., sez. VI, 19 febbraio 2014, n. 3875, Frau c. Groupama Assicurazioni Spa ed altro (c.c., art. 2054; l. 24 dicembre 1990, n. 990, art. 18; l. 24 dicembre 1990, n. 990, art. 23). [RV630217] Responsabilità civile ■ Amministrazione pubblica – Opere pubbliche – Strade – Caduta di un pedone determinata da andatura sostenuta tenuta per sfuggire a cani randagi e da irregolarità del marciapiede – Onere della prova della pericolosità dei cani in capo al pedone – Sussistenza – Conseguenze – Responsabilità del comune per il marciapiede e della asl per i cani – Esclusione. Nel caso in cui una pedone lamenti delle lesioni a causa di una sua caduta che affermi essere stata provocata dal concorso di due cause - l’andatura sostenuta determinata dalla volontà di sfuggire a dei cani randagi e l’irregolarità della superficie del marciapiede - spetta al pedone la prova della pericolosità dei cani, in mancanza della quale non sussiste la responsabilità né del Comune né della ASL (preposta alla prevenzione del randagismo), dovendosi ritenere la caduta esclusivamente determinata dalla suddetta andatura sostenuta del pedone. F Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2014, n. 3965, Oliviero c. Comune di Torre Del Greco ed altri (c.c., art. 2043; c.c., art. 2051). [RV630331] ■ Genitori e tutori – Minori di età – Responsabilità dei genitori – Precoce emancipazione di minori – Prova liberatoria – Insegnamenti ai minori, pur se particolarmente giovani, adeguati ad affrontare autonomamente e in maniera corretta la vita di relazione – Necessità – Fattispecie in tema di sedicenne che, attraversando la strada con il semaforo rosso, aveva provocato un sinistro stradale. La precoce emancipazione dei minori frutto del costume sociale non esclude né attenua la responsabilità che l’art. 2048 cod. civ. pone a carico dei genitori, i quali, proprio in ragione di tale precoce emancipazione, hanno l’onere di impartire ai figli l’educazione necessaria per non recare danni a terzi nella loro vita di relazione, dovendo rispondere delle carenze educative a cui l’illecito commesso dal figlio sia riconducibile. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito la quale aveva escluso la responsabilità dei genitori di una sedicenne che, attraversando la strada con il semaforo rosso, aveva provocato un sinistro stradale). F Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2014, n. 3964 Bonomi ed altro c. Di Marco ed altri (c.c., art. 2048). [RV630413] 756 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Responsabilità da sinistri stradali ■ Presunzione di colpa nel caso di scontro tra veicoli – Tamponamento – Prova liberatoria – Necessità. Per il disposto dell’art. 149, primo comma, del vigente codice della strada (D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285), il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l’arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l’avvenuto tamponamento pone a carico del conducente medesimo una presunzione “de facto” di inosservanza della distanza di sicurezza. Ne consegue che, esclusa l’applicabilità della presunzione di pari colpa di cui all’art. 2054, secondo comma, c. c., egli resta gravato dall’onere di dare la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto dell’automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili. F Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2014, n. 6193, Viviani c. Aig Europe Sa ed altri (c.c., art. 2054; nuovo c.s., art. 149). [RV630499] Riciclaggio ■ Elemento oggettivo – Soggetto sorpreso a smontare un’auto rubata – Riciclaggio consumato – Configurabilità – Ragioni. Risponde del delitto consumato e non tentato di riciclaggio il soggetto sorpreso dalla polizia giudiziaria nell’atto di smontare un’autovettura rubata, in quanto l’art. 648 bis cod. pen. configura un’ipotesi di reato a consumazione anticipata. (In motivazione, la Corte ha giustificato l’indicata natura del reato sulla scorta dell’espressione contenuta nell’art. 648 bis “operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della ... provenienza” che non indica un evento etiologicamente connesso alla condotta, ma descrive le caratteristiche dell’atto punibile). F Cass. pen., sez. II, 4 febbraio 2014, n. 5505 (ud. 22 ottobre 2013), Lumicisi (c.p., art. 648 bis). [RV258340] Risarcimento del danno ■ Danno biologico – Danno alla salute – Danno morale – Liquidazione cosiddetta tabellare – Legittimità – Criteri. In tema di risarcimento del danno alla salute, la necessaria liquidazione unitaria del danno biologico e del danno morale può correttamente effettuarsi mediante l’adozione di tabelle che includano nel punto base la componente prettamente soggettiva data dalla sofferenza morale conseguente alla lesione, operando perciò non sulla percentuale di invalidità, bensì con aumento equitativo della corrispondente quantificazione, nel senso di dare per presunta, secondo l’”id quod plerumque accidit”, quanto meno per le invalidità superiori al dieci per cento, l’esistenza di un tale tipo di pregiudizio, pur se non accertabile per via medico-legale, salvo prova contraria, a sua volta anche presuntiva. F Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2014, n. 5243, Pitissi ed altro c. Nuova Tirrena Assicurazioni Riassicurazioni Capitalizzazioni ed altro (c.c., art. 2056; c.c., art. 2059). [RV630078] ■ Danno biologico – Liquidazione – Tabelle del Tribunale di Milano – Omnicomprensività di tutte le componenti – Mancata applicazione – Non conoscibilità della provenienza della tabella applicata né del suo criterio costruttivo – Incongruità della motivazione. In tema di risarcimento del danno, poiché le tabelle del Tribunale di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale da lesione all’integrità psico-fisica, elaborate successivamente all’esito delle pronunzie delle Sezioni Unite del 2008, determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte la componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di «danno morale», nei sistemi tabellari precedenti liquidata invece separatamente, è incongrua la motivazione della sentenza che liquidi il danno alla salute con l’impiego di tabelle diverse da quelle di Milano, senza renderne nota la provenienza e la cui elaborazione non consideri tutte le componenti non patrimonia- mas Ma s s i m a r i o li di questa tipologia di danno, tra le quali il danno morale. F Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2014, n. 5243, Pitissi ed altro c. Nuova Tirrena Assicurazioni Riassicurazioni Capitalizzazioni ed altro (c.c., art. 1226; c.c., art. 2056; c.c., art. 2059). [RV630077] ■ Danno non patrimoniale – Danno morale – Danno da stress e/o da usura psicofisica – Risarcibilità – Condizioni – Onere di allegazione e prova – Necessità – Fattispecie in tema di mancata fruizione da parte del lavoratore delle pause obbligatorie nella guida di automezzi destinati al trasporto pubblico su tratte urbane ed extraurbane. Il danno da stress, o usura psicofisica, si inscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e la sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto sofferto dal titolare dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso presunzioni semplici. Ne consegue che, ai fini del risarcimento del danno derivante dal mancato riconoscimento delle soste obbligatorie, nella guida per una durata di almeno 15 minuti tra una corsa e quella successiva e, complessivamente, di almeno un’ora per turno giornaliero - previste del Regolamento n. 3820/85/CEE, nonché dall’ art. 14 del Regolamento O.I.L. n. 67 del 1939 e dall’art. 6, primo comma, lett. a) della legge 14 febbraio del 1958, n. 138 -, il lavoratore è tenuto ad allegare e provare il tipo di danno specificamente sofferto ed il nesso eziologico con l’inadempimento del datore di lavoro. F Cass. civ., sez. lav., 10 febbraio 2014, n. 2886, Picale c. Sepsa Spa (l. 14 febbraio 1958, n. 138, art. 6; reg. 20 dicembre 1985, n. 3820; c.c., art. 1218; c.c., art. 2043; c.c., art. 2059). [RV630472] Sentenza civile ■ Motivazione – Riferimento in sentenza alle conclusioni raggiunte dal consulente – Assenza di ulteriori specificazioni – Vizio della sentenza – Motivazione meramente apparente – Sussistenza – Fattispecie in tema di liquidazione del “danno biologico permanente”. È meramente apparente la motivazione della sentenza in cui il giudice richiami le conclusioni raggiunte dal consulente tecnico d’ufficio, senza ulteriori specificazioni, non illustrando né le ragioni né l’”iter” logico seguito per pervenire, partendo da esse, al risultato enunciato in sentenza, ciò che integra una sostanziale inosservanza dell’obbligo imposto dall’art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione. (Principio enunciato dalla S.C. con riferimento ad una pronuncia di merito che, in ordine alla liquidazione del cosiddetto “danno biologico permanente”, nel recepire le indicazioni della consulenza tecnica d’ufficio quanto all’importo da liquidare, non aveva specificato quali fossero le tabelle di calcolo utilizzate per pervenire alla liquidazione e la percentuale d’invalidità permanente riscontrata, non consentendo, pertanto, di ricostruire come e perché fosse arrivata a tale quantificazione). F Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2014, n. 4448, Lanna ed altro c. Ina Assitalia Spa ed altri (c.p.c., art. 132; c.p.c., art. 195; c.c., art. 1226; c.c., art. 2059). [RV630338] Sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a pignoramento o a sequestro ■ Veicolo sottoposto a sequestro amministrativo – Mancata consegna da parte dell’imputato-proprietario a cui era stato dato in custodia – Configurabilità del reato – Sussistenza. Integra il reato di sottrazione di cose sottoposte a sequestro in un procedimento penale e non l’illecito amministrativo previsto dall’art. 213, comma quarto, cod. strada, la condotta dell’imputato che non consegni all’autorità procedente il veicolo sottoposto a sequestro amministrativo ed affidatogli in custodia, in quanto proprietario. F Cass. pen., sez. VI, 2 gennaio 2014, n. 1 (ud. 18 settembre 2013), P.M. in proc. Siligato (nuovo c.s., art. 213; c.p., art. 334). [RV258450] Spese giudiziali civili ■ Liquidazione – Limite sancito dal quarto comma dell’art. 91 c.p.c. – Ambito di applicazione – Giudizi di opposizione per violazioni del Codice della strada – Esclusione – Fondamento. In tema di liquidazione delle spese giudiziali, il limite del valore della domanda, sancito dal quarto comma dell’art. 91 cod. proc. civ., opera soltanto nelle controversie devolute alla giurisdizione equitativa del giudice di pace e non si applica, quindi, nelle controversie di opposizione a ordinanza-ingiunzione o a verbale di accertamento di violazioni del codice della strada, le quali, pur se di competenza del giudice di pace e di valore non superiore ai millecento euro, esigono il giudizio secondo diritto, ciò che giustifica la difesa tecnica e fa apparire ragionevole sul piano costituzionale l’esclusione del limite di liquidazione. F Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2014, n. 9556, Mancini c. Roma Capitale (c.p.c., art. 82; c.p.c., art. 91; c.p.c., art. 113; l. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23). [RV630424] Tributi degli enti pubblici locali ■ Affissioni pubbliche e pubblicità – Disciplina della pubblicità – Oggetto – Segnali stradali di avvio a fabbriche e stabilimenti – Imposta sulla pubblicità – Assoggettabilità. In tema di imposta comunale sulla pubblicità, i segnali di indicazione elencati all’art. 39, lett. c), del nuovo codice della strada, i quali includono i segnali turistici e di territorio che forniscono agli utenti informazioni necessarie o utili per la guida e la individuazione di località, itinerari, servizi e impianti, nonché, in particolare, i segnali di avvio a fabbriche e stabilimenti, ove contengano il riferimento nominativo ad una determinata ditta, svolgono, per la loro sostanziale natura di insegne, anche una funzione pubblicitaria tassabile ai sensi dell’art. 5 del D.L.vo 15 novembre 1993, n. 507. F Cass. civ., sez. VI, 11 aprile 2014, n. 8616, Aipa Spa c. Pulex Srl (nuovo c.s., art. 39; nuovo c.s., art. 134; d.l.vo 15 novembre 1993, n. 507, art. 5; d.l.vo 15 novembre 1993, n. 507, art. 17). [RV630194] Veicoli ■ Limitatore di velocità – Manomissione dei sigilli – Raddoppio di sanzione ex art. 179, comma 2 bis, c.s. – Fondamento. In tema di circolazione dei veicoli, la manomissione dei sigilli del limitatore di velocità è soggetta alla sanzione amministrativa pecuniaria raddoppiata ex art. 179, comma 2 bis, del codice della strada, integrando anch’essa una “alterazione” dell’apparecchiatura. F Cass. civ., sez. VI, 10 marzo 2014, n. 5520, De Felice c. Ministero Interno ed altro (nuovo c.s., art. 179). [RV630161] Velocità ■ Limiti fissi – Apparecchi rilevatori – Autovelox – Natura fissa o mobile della postazione di controllo – Attestazione nel verbale di accertamento – Necessità – Fondamento. In tema di circolazione stradale, il verbale di accertamento della violazione dei limiti di velocità deve attestare il carattere temporaneo o permanente del dispositivo di rilevamento elettronico eventualmente utilizzato, onde consentire al trasgressore di valutare la legittimità dell’accertamento rispetto agli adempimenti regolamentari. F Cass. civ., sez. VI, 14 marzo 2014, n. 5997, Ricci Luppis c. Prefettura Pordenone (nuovo c.s., art. 142; nuovo c.s., art. 200). [RV630160] Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 757 Legislazione e documentazione I D.M. (Min. svil. econ.) 20 giugno 2014. Aggiornamento annuale degli importi per il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, anno 2014 (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 153 del 4 luglio 2014). 1. 1. A decorrere dal mese di aprile 2014, gli importi indicati nel comma 1 dell’art. 139 del Codice delle assicurazioni private e rideterminati, da ultimo, con il decreto ministeriale 6 giugno 2013, sono aggiornati nelle seguenti misure: settecentonovantacinque euro e novantuno centesimi per quanto riguarda l’importo relativo al valore del primo punto di invalidità, di cui alla lettera a); quarantasei euro e quarantatre centesimi per quanto riguarda l’importo relativo ad ogni giorno di inabilità assoluta, di cui alla lettera b). (Omissis) II D.L. 24 giugno 2014, n. 90. Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 144 del 24 giugno 2014) convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 114 (Gazzetta Ufficiale Suppl. ord. - n. 70 del 18 agosto 2014). (Estratto) Titolo II Interventi urgenti di semplificazione Capo I Accesso dei cittadini e delle imprese ai servizi della pubblica amministrazione 25. (Semplificazione per i soggetti con invalidità). 01. All’articolo 330, comma 5, primo periodo, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, dopo le parole: “sia richiesto” sono inserite le seguenti: “da disabili sensoriali o”. 1. All’articolo 330, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, dopo le parole: “laurea in ingegneria” sono inserite le seguenti: “, nonchè dal rappresentante dell’associazione di persone con invalidità individuata dal soggetto sottoposto ad accertamento sanitario. La partecipazione del rappresentante di quest’ultima è comunque a titolo gratuito”. 2. All’articolo 119, comma 4, lettera a), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante nuovo codice della strada, e successive modificazioni e integrazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: “Qualora, all’esito della visita di cui al precedente periodo, la commissione medica locale certifichi che il conducente presenti situazioni di mutilazione o minorazione fisica stabilizzate e non suscettibili di aggravamento nè di modifica delle prescrizioni o delle limitazioni in atto, i successivi rinnovi di validità della patente di guida posseduta potranno es- sere esperiti secondo le procedure di cui al comma 2 e secondo la durata di cui all’articolo 126, commi 2, 3 e 4.”. 3. All’articolo 381, comma 5, terzo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: le parole: “Il comune può inoltre stabilire” sono sostituite dalle seguenti: “Il comune inoltre stabilisce”; dopo le parole: “n. 503, e” è inserita la parola: “può”. Titolo IV Misure per lo snellimento del processo amministrativo e l’attuazione del processo civile telematico Capo II Disposizioni per garantire l’effettività del processo telematico 53. (Norma di copertura finanziaria). 1. Alla copertura delle minori entrate derivanti dall’attuazione delle disposizioni del presente capo, valutate in 18 milioni di euro per l’anno 2014 e 52,53 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015, di cui 3 milioni di euro per l’anno 2014 e 10 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015 per l’attuazione dell’articolo 46, comma 1, lettera d), 15 milioni di euro per l’anno 2014 e 42,53 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015 per l’attuazione dell’articolo 52, comma 2, lettere a), b) e c), si provvede con le maggiori entrate derivanti dall’aumento del contributo unificato di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, al quale sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 13, comma 1, alla lettera a) le parole: «euro 37» sono sostituite dalle seguenti: «euro 43»; b) all’articolo 13, comma 1, alla lettera b) le parole: «euro 85» sono sostituite dalle seguenti: «euro 98»; c) all’articolo 13. comma 1, alla lettera c) le parole: «euro 206» sono sostituite dalle seguenti: «euro 237 »; d) all’articolo 13, comma 1, alla lettera d) le parole: «euro 450» sono sostituite dalle seguenti: «euro 518 »; e) all’articolo 13, comma 1, alla lettera e) le parole: «euro 660» sono sostituite dalle seguenti: «euro 759»; f) all’articolo 13, comma 1, alla lettera f) le parole: «euro 1.056» sono sostituite dalle seguenti: «euro 1.214»; g) all’articolo 13, comma 1, alla lettera g) le parole: «euro 1.466» sono sostituite dalle seguenti: «euro 1.686»; h) all’articolo 13, il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. Per i processi di esecuzione immobiliare il contributo dovuto è pari a euro 278. Per gli altri processi esecutivi lo stesso importo è ridotto della metà. Per i processi esecutivi mobiliari di valore inferiore a 2.500 euro il contributo dovuto è pari a euro 43. Per i processi di opposizione agli atti esecutivi il contributo dovuto è pari a euro 168.»; i) all’articolo 13, comma 5, le parole: «euro 740» sono sostituite dalle seguenti: «euro 851». Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 759 leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e III D.L. 24 giugno 2014, n. 91. Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonchè per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea (Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 144 del 24 giugno 2014), convertito, con modificazioni, nella L. 11 agosto 2014, n. 116 (Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 192 del 20 agosto 2014). (Estratto) Titolo I Misure per la crescita economica Capo I Disposizioni urgenti per il rilancio del settore agricolo 8 bis. (Contributo per il recupero di pneumatici fuori uso). 1. All’articolo 228, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Detto contributo, parte integrante del corrispettivo di vendita, è assoggettato ad IVA ed è riportato nelle fatture in modo chiaro e distinto. Il produttore o l’importatore applicano il rispettivo contributo vigente alla data della immissione del pneumatico nel mercato nazionale del ricambio. Il contributo rimane invariato in tutte le successive fasi di commercializzazione del pneumatico con l’obbligo, per ciascun rivenditore, di indicare in modo chiaro e distinto in fattura il contributo pagato all’atto dell’acquisto dello stesso». IV Dir. (UE) 1° luglio 2014, n. 85. Modifica della direttiva 2006/126/CE del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la patente di guida (Gazzetta Ufficiale U.E. n. L 194 del 2 luglio 2014). 1. Gli allegati II e III della direttiva 2006/126/CE sono modificati conformemente all’allegato della presente direttiva. 2. 1. Gli Stati membri adottano e pubblicano, entro il 31 dicembre 2015, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni e le applicano a decorrere dal 31 dicembre 2015. Le disposizioni adottate dagli Stati membri contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità del riferimento sono decise dagli Stati membri. 2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno adottate nella materia disciplinata dalla presente direttiva. 3. La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea. 4. Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva. (Si omette l’Allegato) V Provv. (IVASS) 5 agosto 2014, n. 18. Criterio per il calcolo dei valori dei costi e delle eventuali franchigie sulla base dei quali vengono definite le compensazioni tra imprese di assicurazione nell’ambito della procedura di risarcimento diretto disci- 760 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. plinato dall’art. 150 del decreto legislativo n. 209 del 2005, in attuazione dell’articolo 29 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività», convertito con legge 24 marzo 2012, n. 27 (Gazzetta Ufficiale Serie gen. n. 75 del 18 agosto 2014). (Estratto) 1. (Definizioni). 1. Ai fini del presente Provvedimento si intendono per: a) «CARD»: la Convenzione tra assicuratori per il risarcimento diretto e per la regolazione dei rimborsi e delle compensazioni conseguenti ai risarcimenti operati ai sensi degli articoli 141, 149 e 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e del decreto del Presidente della Repubblica del 18 luglio 2006, n. 254; b) «CARD-CID»: la parte seconda della CARD per l’indennizzo diretto dei danni relativi ai conducenti, ai veicoli e alle cose trasportate di proprietà dei conducenti o dei proprietari dei veicoli; c) «CARD-CTT»: la parte terza della CARD per l’esercizio del diritto di rivalsa per i danni relativi ai terzi trasportati e alle cose di proprietà dei terzi trasportati; d) «decreto»: il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante il Codice delle Assicurazioni Private; e) «impresa»: la società autorizzata ad esercitare l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile autoveicoli, con i limiti di cui all’art. 150, comma 2 del decreto; f) «forfait»: costo medio del danno stabilito dal Comitato tecnico; g) «impresa debitrice»: l’impresa di assicurazione per la quale i danni provocati, in tutto o in parte, dai propri assicurati sono risarciti da altre imprese per suo conto; h) «impresa gestionaria»: l’impresa di assicurazione che effettua un risarcimento per conto dell’impresa debitrice; i) «IVASS»: l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni; j) «partita di danno»: l’insieme dei danni afferenti il medesimo danneggiato o assicurato o trattati nell’ambito della medesima tipologia di gestione; k) «risarcimento diretto»: la procedura per la regolazione dei risarcimenti prevista dagli articoli 141, 149 e 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209; l) «sinistri CARD»: i sinistri e/o le partite di danno regolati dalla procedura di risarcimento diretto, trattati dall’impresa di assicurazione in qualità di impresa gestionaria per conto delle debitrici. Sono compresi anche i sinistri, regolati dalla procedura di risarcimento diretto, che coinvolgono veicoli assicurati presso la medesima impresa verificatisi a partire dal 1° gennaio 2009; m) «sinistri CARD-CID»: i sinistri e/o le partite di danno regolati dalla procedura di risarcimento diretto, trattati dall’impresa di assicurazione in qualità di impresa gestionaria per conto delle debitrici, rientranti nella gestione CARD-CID; n) «sinistri CARD-CTT»: i sinistri e/o le partite di danno regolati dalla procedura di risarcimento diretto, trattati dall’impresa di assicurazione in qualità di impresa gestionaria per conto delle debitrici, rientranti nella gestione CARD-CTT; o) «Stanza di compensazione»: il complesso di regolazioni contabili dei rapporti economici tra imprese partecipanti alla CARD di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2006, n. 254. 2. (Oggetto del Provvedimento). 1. Il Provvedimento disciplina il criterio di calcolo dei valori dei costi e delle eventuali franchigie sulla base dei quali vengono definite le compensazioni tra L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e compagnie e stabilisce il limite alle stesse, in attuazione dell’art. 29, commi 1 e 2 della legge del 24 marzo 2012, n. 27, nell’ambito della procedura di risarcimento diretto disciplinato dall’art. 150 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209. 3. (Criterio di calcolo per la determinazione delle compensazioni CARD-CID). 1. Le compensazioni per la regolazione contabile dei rapporti economici per i danni al veicolo assicurato, alla persona del conducente e alle cose trasportate di proprietà del conducente o del proprietario del veicolo, sono effettuate nel corso dell’esercizio sulla base di un costo medio unico determinato annualmente. Il costo medio unico è calcolato sulla base dei risarcimenti effettivamente corrisposti nell’esercizio precedente per i sinistri rientranti nell’ambito della CARD-CID in base alle rilevazioni contabili della Stanza di compensazione, per le seguenti grandi tipologie di veicolo: a) «ciclomotori e motocicli»; b) «veicoli diversi da ciclomotori e motocicli». Limitatamente ai danni al veicolo assicurato e alle cose trasportate le compensazioni sono differenziate, con riferimento a ciascuna grande tipologia di veicolo, in tre macroaree territorialmente omogenee. 2. Le imprese che nell’esercizio hanno emesso premi in misura superiore alle soglie individuate ai sensi dell’art. 5, per la macroclasse «ciclomotori e motocicli» o per la macroclasse «veicoli diversi da ciclomotori e motocicli», integrano le compensazioni di cui al comma 1 con i valori degli incentivi e delle penalizzazioni determinati, secondo le modalità descritte nell’allegato 1 in base alle rilevazioni contabili della Stanza di compensazione. 3. I valori degli incentivi e delle penalizzazioni sono calcolati, con riferimento a ciascuna generazione, in funzione dei costi medi differenziati per le grandi tipologie di veicolo e le macroaee territoriali di cui al comma 1, nonchè in funzione della dinamica temporale dei costi e della velocità di liquidazione sinistri differenziata per le grandi tipologie di veicolo di cui al comma 1. Sono considerate nell’ambito di ciascuna macroclasse le sole imprese che superano la corrispondente soglia di cui al comma 2. 4. La Stanza di compensazione, alla chiusura dell’esercizio, determina i valori degli incentivi e delle penalizzazioni tenuto conto dei limiti stabiliti dall’IVASS ai sensi dell’art. 5, comma 1. 4. (Criterio di calcolo per la determinazione delle compensazioni CARD-CTT). 1. Le compensazioni per la regolazione contabile dei rapporti economici per i danni alla persona del terzo trasportato e alle cose di sua proprietà sono effettuate attraverso rimborsi basati sul valore dell’importo risarcito che può essere gravato da una franchigia, assoluta e/o percentuale. 2. Le compensazioni di cui al comma 1 sono determinate distintamente per le seguenti grandi tipologie di veicolo: a) ciclomotori e motocicli; b) veicoli diversi da ciclomotori e motocicli. 5. (Fissazione dei limiti per il calcolo delle compensazioni). 1. Ai fini dell’applicazione dei criteri di calcolo di cui all’art. 3, l’IVASS in relazione alla CARD-CID fissa per la generazione di riferimento, sulla base dell’andamento effettivo dei costi e dell’esperienza maturata, le soglie minime dei premi raccolti, la misura dei percentili utilizzati per la determinazione dell’importo minimo e di quello massimo dei sinistri da includere nell’algoritmo di calcolo, nonchè i valori massimi dei differenziali percentuali tra incentivi e penalizzazioni adottati per la determinazione dei relativi importi. 2. L’IVASS rende noti, entro il 31 dicembre dell’anno antecedente quello di riferimento, con Provvedimento pubblicato sul proprio sito internet, i valori di cui al comma 1. leg 3. Nel medesimo Provvedimento sono comunicati il livello degli importi minimi e massimi dei sinistri da includere nell’algoritmo di calcolo degli incentivi o penalizzazioni dell’anno di generazione in corso, determinato secondo le modalità descritte nell’allegato 1. 6. (Tenuta dei registri assicurativi e del modulo di sviluppo sinistri) (per le imprese con sede legale in altri Stati membri). 1. Le imprese con sede legale in altri Stati membri che aderiscono alla procedura di risarcimento diretto sono tenute alla compilazione: a) per le sole partite di danno CARD, dei registri dei sinistri di cui agli articoli da 22 a 26 del Regolamento ISVAP n. 27 del 14 ottobre 2008, secondo le modalità previste dal regolamento stesso; b) del modulo 29A.2-SINISTRI CARD e dell’allegato 1 al modulo 29A.2, di cui al Regolamento n. 22 del 4 aprile 2008, secondo le modalità previste dal regolamento stesso. 2. Le imprese assicurano il raccordo tra le totalizzazioni dei registri assicurativi di cui al comma 1, lettera a) e gli importi indicati nel modulo di cui al comma 1, lettera b), secondo le istruzioni dettate nell’allegato 1, lettera C, del Regolamento ISVAP n. 27 del 14 ottobre 2008. Le imprese conservano evidenza degli elementi che determinano gli eventuali disallineamenti. 3. Le imprese operanti in regime di stabilimento conservano i registri assicurativi e il modulo di sviluppo sinistri di cui al comma 1 presso la propria sede in Italia. 4. Le imprese operanti in regime di libera prestazione di servizi conservano i registri assicurativi e il modulo di sviluppo sinistri di cui al comma 1 presso la sede del rappresentante per la gestione dei sinistri di cui all’art. 25 del decreto. 7. (Informazioni sui sinistri di tipologia di gestione CARD). 1. Ai fini della fissazione dei limiti di cui all’art. 5, le imprese trasmettono all’IVASS i dati sui sinistri CARD, secondo gli schemi e le relative istruzioni di compilazione e trasmissione riportati negli allegati 2 e 3. L’invio dell’informativa richiesta avviene entro i termini previsti per la trasmissione delle anticipazioni dei dati del bilancio individuale delle imprese assicurative. Le imprese con sede legale in altri Stati membri provvedono nei medesimi termini alla trasmissione dei dati richiesti. 2. Le imprese che, a seguito di operazioni straordinarie di fusione o trasferimento totale o parziale di portafoglio, hanno acquisito portafogli che hanno dato luogo a sinistri CARD, forniscono le informazioni con riferimento ai sinistri e ai relativi risarcimenti come se gli effetti dell’operazione straordinaria fossero sempre esistiti. 3. Nei medesimi termini e con le medesime finalità di cui al comma 1, le imprese redigono una relazione nella quale sono illustrate le modalità operative seguite per l’elaborazione dei dati e riferiscono in merito all’analisi svolta per verificare che le differenze riscontrate, rispetto ai dati contenuti nella modulistica di vigilanza, siano giustificate dalle differenti modalità di rilevazione delle voci di costo. Nel documento sono, inoltre, fornite adeguate motivazioni in merito a ogni altro eventuale disallineamento rispetto alla modulistica di vigilanza o, per le imprese con sede legale in altri Stati membri, al modulo di cui all’art. 6 comma 1, lettera b). 4. La relazione di cui al comma 3 è sottoscritta, per le imprese di assicurazione autorizzate in Italia, dal responsabile dell’impresa e dall’attuario incaricato ai sensi dell’art. 34, comma 1, del decreto. 5. Le imprese con sede legale in altri Stati membri che aderiscono alla procedura di risaricimento diretto, comunicano all’IVASS il nominativo di un responsabile ai fini dell’adempimento Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 761 leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e degli obblighi di cui ai commi 3 e 4 del presente articolo, entro dieci giorni dalla nomina e comunque entro un mese dall’entrata in vigore del presente Provvedimento. 6. Le imprese conservano presso la propria sede in Italia la relazione di cui al comma 3 comprensiva degli elaborati tecnici utilizzati per la redazione della stessa. Le imprese operanti in regime di libera prestazione di servizi conservano la relazione presso la sede del rappresentante per la gestione dei sinistri. 8. (Modifiche al Regolamento ISVAP n. 22 del 4 aprile del 2008). 1. Le istruzioni relative all’allegato 1 al Modulo 17 del ramo responsabilità civile autoveicoli terrestri (ramo 10), di cui all’allegato 4 al Regolamento ISVAP n. 22 del 4 aprile del 2008, sono modificate come segue: a) con riferimento alla voce 87, di seguito alla frase «La voce accoglie altresì i rimborsi spese costituiti dalle penalità che all’esito della procedura arbitrale prevista dalla CARD sono attribuite all’impresa» è aggiunto «e gli incentivi contabilizzati, alla chiusura dell’esercizio, per la regolazione delle compensazioni CARD-CID.»; b) con riferimento alla voce 88, di seguito alla frase «le altre penalità previste dalla CARD» è aggiunto «e le penalizzazioni contabilizzate, alla chiusura dell’esercizio, per la regolazione delle compensazioni CARD-CID.». 9. (Entrata in vigore). 1. Il presente Provvedimento, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, nel Bollettino e sul sito internet dell’IVASS, entra in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2015. Istruzioni per la compilazione dell’allegato 2 I prospetti di cui all’allegato 2 devono essere compilati sulla base dei soli sinistri CARD gestiti dall’impresa in qualità di gestionaria (CARD Gestionaria), senza considerare gli effetti dei forfait e facendo riferimento, ove non indicato, alle istruzioni per la compilazione del modulo di vigilanza 29A.2. I dati relativi ai sinistri, regolati dalla procedura di risarcimento diretto, che coinvolgono veicoli assicurati presso la medesima impresa verificatisi a partire dal 1 ° gennaio 2009 sono ricompresi nel prospetto 1 e sono forniti in dettaglio nel prospetto 2. Sono definiti: - “sinistri CARD-CID”: i sinistri e/o le partite di danno regolati dalla procedura di risarcimento diretto rientranti nella gestione CARD-CID; - “sinistri CARD-CTT”: i sinistri e/o le partite di danno regolati dalla procedura di risarcimento diretto rientranti nella gestione CARD-CTT. Il numero dei sinistri CARD-CID “con seguito”, della generazione (N) è costituito dal numero dei sinistri accaduti e denunciati nel corso di tale anno cui è sottratto il numero dei sinistri “senza seguito” del medesimo periodo e il numero di quei sinistri ancora “aperti” al 31 dicembre (N) - ossia non pagati a titolo definitivo e non contabilizzati come sinistri “senza seguito” - che a tale data, a seguito dell’interrogazione dell’AIA, presentano un indicatore sintetico (score di sintesi) di livello “alto”. Il numero dei sinistri CARD-CID “con seguito”, delle generazioni (N-1) e (N-2), comprende tutte le denunce, anche tardive, pervenute fino alla data del 31 dicembre (N) cui è sottratto il numero dei sinistri CARD-CID denunciati e successivamente chiusi senza seguito fino al 31 dicembre (N) al netto di eventuali riapertu- 762 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. re degli stessi e il numero di quei sinistri ancora “aperti” al 31 dicembre (N) che, a seguito di interrogazione dell’AIA, alla fine dell’anno di osservazione presentano un indicatore sintetico (score di sintesi) di livello “alto”. Nella colonna “N. sinistri CARD-CID riaperti” è riportato, per ciasuna generazione, il numero complessivo dei sinistri subiti (gestiti) in un certo anno di generazione considerati pagati a titolo definitivo in tale anno (antidurata 0) e successivamente riaperti, fino alla data del 31 dicembre (N). I sinistri sono da considerarsi chiusi, ed i relativi pagamenti riportati nelle colonne dei pagati a titolo definitivo, solo quando siano state pagate tutte le tipologie di danno relative alla gestione CARD, con l’eccezione dei risarcimenti corrisposti al singolo terzo trasportato per i quali si deve fare riferimento, per lo stato aperto/chiuso, al singolo danneggiato considerando i pagamenti a titolo definitivo solo quando non vi siano più partite relative a lesioni fisiche o cose di proprietà trasportate da risarcire ad uno stesso terzo trasportato. In deroga ai principi di redazione del modulo di vigilanza 29A.2, del Regolamento ISVAP n. 22 del 4 aprile 2008, i sinistri per i quali restino da pagare le sole spese dirette devono essere considerati qui come chiusi ed inseriti tra i pagati a titolo definitivo. Gli importi devono essere riferiti alle sole voci di costo previste dalla Convenzione CARD con esclusione delle spese di resistenza, di liquidazione e per i fiduciari. Sono altresì esclusi i contributi al Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada. Nelle colonne dei prospetti deve essere indicato per importo la somma relativa a tutte le partite di danno indicate nelle singole intestazioni delle colonne stesse, mentre per numero deve essere conteggiato un sinistro (pro quota se in coassicurazione), ad eccezione delle informazioni relative al singolo terzo trasportato dove deve essere conteggiata per numero una partita per ogni singolo danneggiato riportando negli importi la somma delle partite per lesioni fisiche e per danni a cose di proprietà trasportate ad esso relative. Ad esempio un sinistro CARD-CID per cui siano presenti importi risarciti o da risarcire per tutte e tre le tipologie di danno (lesioni fisiche/danni al veicolo/danni alle cose trasportate) dovrà figurare come un sinistro nella colonna relativa alle lesioni al conducente e come un sinistro in quella relativa ai danni a veicolo e cose. Per ogni generazione deve essere fornita la situazione aggiornata dei sinistri pagati, indicando nelle relative colonne il cumulo di tutti i pagamenti effettuati fino alla data di aggiornamento. Le imprese di assicurazione autorizzate in Italia, qualora a seguito dei controlli da effettuarsi con la modulistica di bilancio indicati nell’allegato 2 dovessero riscontrare la presenza di errori nella compilazione del Prospetto 1 trasmesso all’Istituto ai sensi dell’art. 7, comma 1 del Provvedimento, dovranno provvedere a rinviare all’indirizzo di posta elettronica “[email protected]” il nuovo prospetto opportunamente corretto, evidenziando le modifiche ivi apportate. Le imprese con sede legale in altri Stati membri saranno tenute ad analoga informativa in relazione ai controlli riguardanti il modulo 29A.2-SINISTRI CARD di cui all’art. 6, comma 1, del Provvedimento. Allegati 1 e 2 (Omissis) leg L e g i s la z i o n e e d o c u m e n t a z i o n e TRIBUNALE DI MILANO TABELLE DANNO NON PATRIMONIALE - 2014 Valori medi di liquidazione (*) (*) Pubblichiamo questi dati, tratti dall'Osservatorio sulla giustizia civile della Corte di appello di Milano. valori medi di liquidazione pro die per danno non patrimoniale da inabilità assoluta (100%) Valori “danno non patrimoniale” per il 2014 (arrotondato alla unità) da a (aumentabile fino al 50%) € 96,00 € 145,00 Rivalutato al 2014 (arrotondato ai 10 euro) Danno non patrimoniale per la morte del congiunto da a A favore di ciascun genitore per la morte di un figlio € 163.990,00 € 327.990,00 A favore del figlio per la morte di un genitore € 163.990,00 € 327.990,00 A favore del coniuge (non separato) o del convivente € 163.990,00 € 327.990,00 A favore del fratello per la morte di un fratello € 23.740,00 € 142.420,00 A favore del nonno per la morte di un nipote € 23.740,00 € 142.420,00 Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 763 Circolari I Circ. (Min. trasp.) 23 giugno 2014, Prot. n. 13753. Richieste di aggiornamento della carta di circolazione a seguito dell’installazione sugli autoveicoli di sistemi idonei alla riduzione della massa di particolato emesso da motori ad accensione spontanea. Elenco dei costruttori dotati di sistemi omologati. Pervengono nuovamente richieste di chiarimento da parte di uffici dell’Amministrazione circa la possibilità di aggiornare la carta di circolazione a seguito di installazione di dispositivi costruiti dalla ditta BRAZZI TWS LIMITED e dalla ditta DUKIC DAY DREAM S.r.l. Al riguardo, si conferma quanto già comunicato con la circolare n. 17638 del 8 luglio 2013 inerente l’elenco completo dei costruttori dotati di sistemi omologati (ai sensi dei decreti: Decreto ministeriale 25 gennaio 2008 n. 39; Decreto ministeriale 1 febbraio 2008 n. 42; Decreto ministeriale 10 agosto 2009) per i quali è possibile procedere all’aggiornamento della carta di circolazione. Dall’elenco pubblicato all’indirizzo internet del portale dell’automobilista si ricava in particolare che i sistemi fino ad oggi omologati ai sensi dei suddetti decreti sono stati accordati ai costruttori di seguito riportati: - IVECO S.p.A.; - PIRELLI & C. ECO TECNOLOGY S.p.A.; - BAUMOT AG; - CLEAN DIESEL TECHNOLOGIES Ltd; - DINEX A/S; - GAT KATALYSATOR GmbH; - HJS GmbH; - HUG ENGINEERING AG; - OBERLAND MANGOLD GmbH; - TWINTEC TECHNOLOGIE GmbH; - VOLKSWAGEN AG. Pertanto si conferma che la ditta BRAZZI TWS LIMITED e la ditta DUKIC DAY DREAM S.r.l. non sono in possesso di omologazioni di sistemi idonei alla riduzione della massa di particolato ai sensi dei citati decreti. Si invitano pertanto gli uffici periferici dell’Amministrazione a prestare attenzione nei riguardi di richieste di aggiornamento della carta di circolazione per sistemi non omologati ai sensi dei suddetti decreti concernenti i sistemi idonei alla riduzione della massa di particolato. Si richiamano gli uffici ad attivarsi a rettificare le carte di circolazione nel caso di errati aggiornamenti delle stesse. Si ricorda infine di attenersi, per gli aggiornamenti delle carte di circolazione, alle procedure specificatamente previste di cui ai files avvisi emessi dal CED dell’Amministrazione n. 50/2008 e n. 54/2008 rispettivamente del 17 settembre 2008 e 14 ottobre 2008. II Circ. (Min. trasp.) 10 luglio 2014, Prot. n. 15513. Art. 94, comma 4-bis, c.d.s. e art. 247-bis, D.P.R. n. 495/1992 - Nuove disposizioni in materia di variazione della denominazione o delle generalità dell’intestatario della carta di circolazione e di intestazione temporanea di veicoli. Premessa Com’è noto, il comma 4-bis dell’art. 94 c.d.s., introdotto dall’art. 12, comma 1, let. a), della legge n. 120/2010, prevede obblighi di comunicazione, finalizzati all’aggiornamento dell’Archivio Nazionale dei Veicoli e dei documenti di circolazione, in caso di atti, diversi da quelli previsti dal comma 1 del medesimo art. 94 c.d.s. (trasferimenti di proprietà, costituzione di usufrutto, contratti di leasing), dai quali derivino variazioni concernenti gli intestatari delle carte di circolazione, ovvero che comportino la disponibilità dei veicoli, per periodi superiori ai 30 giorni, in favore di soggetti diversi dagli intestatari stessi. La medesima norma ha altresì demandato al regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada l’individuazione delle fattispecie ricadenti nella nuova previsione legislativa e, conseguentemente, si è resa necessaria una modifica del D.P.R. n. 495/1992, adottata con il D.P.R. 28 settembre 2012, n. 198 il quale ha introdotto l’art. 247-bis. Detto decreto è stato pubblicato sulla G. U. n. 273 del 22 novembre 2011 ed è in vigore dal 7 dicembre 2012. È altrettanto noto, tuttavia, che si è reso necessario procrastinare la concreta applicazione del richiamato art. 247-bis in attesa della realizzazione delle procedure informatiche indispensabili per dar corso ai procedimenti amministrativi di aggiornamento dell’Archivio Nazionale dei Veicoli e dei documenti di circolazione, così come prescritto dall’art. 94, comma 4-bis, c.d.s.. Ciò premesso, si comunica che la predisposizione delle predette procedure informatiche è stata condotta a termine, con l’avvertenza che le stesse, al momento, non si applicano ai veicoli in disponibilità di soggetti che effettuano attività di autotrasporto sulla base di: - iscrizione al REN o all’albo degli autotrasportatori; - licenza per il trasporto di cose in conto proprio; - autorizzazione al trasporto di persone mediante autobus in uso proprio o mediante autovetture in uso di terzi (taxi e ncc). Con riferimento ai predetti veicoli, infatti, verranno emanate apposite disposizioni. Si evidenzia, inoltre, che le procedure in parola saranno concretamente operative a partire dal 3 novembre 2014, al fine di consentire, in particolare, alle Forze dell’Ordine e all’utenza professionale interessata di adottare le necessarie misure organizzative. Pertanto, fino alla predetta data, resta ferma l’impossibilità di concreta applicazione delle sanzioni previste dall’art. 94 c.d.s. in relazione alle fattispecie per le quali trova applicazione il richiamato comma 4-bis, così come già segnalato al Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno con nota prot. n. 33691 del 6 dicembre 2012. Al riguardo, si precisa che è fatto obbligo di annotare sulla carta di circolazione e nell’Archivio Nazionale dei Veicoli i dati relativi agli atti posti in essere a decorrere dal 3 novembre 2014. Pertanto, in caso di omissione, saranno applicabili nei confronti Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 765 circ C i r c o la r i dell’avente di causa le sanzioni previste dal medesimo art. 94, comma 4-bis, c.d.s.. Laddove richiesto dagli utenti interessati, resta ovviamente salva la possibilità di provvedere all’aggiornamento delle carte di circolazione e dell’Archivio Nazionale dei Veicoli anche con riferimento agli atti insorti anteriormente al 3 novembre 2014, ed in specie quelli posti in essere tra il 7 dicembre 2012 ed il 2 novembre 2014; in tal caso, tuttavia, l’eventuale omissione non dà luogo alla applicazione delle predette sanzioni. Ciò premesso, con la presente circolare si forniscono le necessarie direttive per l’aggiornamento dell’Archivio Nazionale dei Veicoli e per l’emissione dei tagliandi di aggiornamento delle carte di circolazione nelle ipotesi contemplate dalla nuova disciplina. Avvertenze generali Al fine della corretta applicazione delle disposizioni contenute nella presente circolare, si ritiene anzitutto opportuno evidenziare quanto segue. 1. Essendo possibile in ogni momento verificare nell’Archivio Nazionale dei Veicoli tutte le informazioni tecniche e giuridicoamministrative relative ai veicoli circolanti, costituisce un aggravamento del procedimento richiedere, nelle ipotesi previste dalla presente circolare, la produzione della fotocopia della carta di circolazione al fine di espletare le operazioni di aggiornamento della stessa o, a maggior ragione, dei soli dati presenti in Archivio. Pertanto, la fotocopia della carta di circolazione potrà essere richiesta esclusivamente nei casi in cui vengano riscontrate discrepanze tra i dati presenti in archivio e i dati risultanti dalle documentazioni prodotte dagli utenti. 2. Nel caso di istanze cumulative (pluralità di operazioni omogenee riferite ad un medesimo soggetto per n veicoli) è sufficiente produrre, oltre all’elenco dei veicoli, un solo modello TT2120 al fine di comprovare l’affidamento ad uno Studio di consulenza automobilistica dell’incarico di espletare le operazioni di aggiornamento. Allo stesso modo, sempre in caso di istanze cumulative, le eventuali autocertificazioni richieste vanno presentate in un unico esemplare. 3. In tema di autocertificazioni, si coglie anche l’occasione per rammentare che la persona fisica munita di poteri di rappresentanza rende le dichiarazioni sostitutive nell’interesse della persona giuridica rappresentata, ma assumendo direttamente e personalmente le responsabilità che ne derivano; pertanto, ai fini dell’accoglimento dell’istanza, il rappresentante è tenuto a dichiarare, oltre al proprio nome, cognome, data e luogo di nascita, anche la propria residenza anagrafica che non può essere utilmente sostituita con elezione di domicilio presso la sede della persona giuridica rappresentata. A) Ambito oggettivo di applicazione Tenuto conto delle fattispecie individuate dall’art. 247-bis del D.P.R. n. 495/1992 e delle avvertenze illustrate in Premessa, le nuove procedure trovano al momento applicazione esclusivamente con riferimento alle carte di circolazione relative agli autoveicoli, ai motoveicoli ed ai rimorchi, la cui disponibilità non sia assoggettata al possesso di titoli autorizzativi, nel caso in cui: - vi sia una variazione della denominazione dell’ente intestatario; - vi sia una variazione delle generalità della persona fisica intestataria; 766 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. - un soggetto abbia la temporanea disponibilità, per un periodo superiore a 30 giorni, di un veicolo intestato ad un terzo, a titolo di comodato, in forza di un provvedimento di affidamento in custodia giudiziale o di un contratto di locazione senza conducente; - si debba procedere alla intestazione a nome di soggetti giuridicamente incapaci. In tema di ambito oggettivo di applicazione della nuova disciplina, appare altresì necessaria una precisazione con riguardo ai rimorchi di massa complessiva inferiore alle 3,5 t. Infatti, ancorché detti rimorchi siano stati esonerati dal regime dei beni mobili registrati (v. l’art. 1 del R.D. 29 luglio 1927, n. 1814, come modificato dall’art. 10 della legge 8 luglio 2003, n. 172), la disciplina dei mutamenti dell’intestazione degli stessi resta comunque radicata nell’art. 94 c.d.s. il quale, pertanto, continua ad essere applicabile, anche per gli aspetti sanzionatori, con riferimento ai soli adempimenti di motorizzazione. È da ritenere, quindi, che il comma 4-bis dell’art. 94 c.d.s., e conseguentemente l’art. 247-bis del D.P.R. n. 495/1992, si applichino anche ai rimorchi di massa complessiva inferiore alle 3,5 t. B) Ambito soggettivo di applicazione Con riguardo all’ambito soggettivo di applicazione della nuova disciplina, l’art. 94, comma 4-bis, c.d.s. fa riferimento all’intestatario della carta di circolazione, per la cui nozione deve rinviarsi alle disposizioni contenute negli artt. 91 e 93, comma 2, c.d.s., tenuto anche conto del regime della responsabilità solidale sancito dall’art. 196, comma 1, c.d.s.. Pertanto, alla luce delle citate norme, e salve le precisazioni illustrate nei paragrafi seguenti, per “intestatario della carta di circolazione” deve intendersi: - il proprietario del veicolo, ivi compreso il “trustee” (v. paragrafo G), il locatore (nel caso di locazione senza conducente), il nudo proprietario (in caso di usufrutto) e l’acquirente (in caso di acquisto con patto di riservato dominio); - il locatario (nel caso di leasing); - l’usufruttuario. C) Variazione della denominazione o della ragione sociale dell’ente intestatario della carta di circolazione Il nuovo art. 247-bis, comma 1, del D.P.R. n. 495/1992 prevede l’obbligo dell’aggiornamento della carta di circolazione, mediante emissione di apposito tagliando, ogni qualvolta vi sia un mutamento della denominazione o della ragione sociale del soggetto giuridico intestatario della carta di circolazione; ciò anche a seguito di atti di trasformazione o fusione societaria, a condizione che non diano luogo alla creazione di un nuovo soggetto giuridico distinto da quello originario e non necessitino di annotazione nel pubblico registro automobilistico. Al riguardo, si evidenzia che ogni valutazione di merito circa la sussistenza delle predette condizioni esula dalle competenze degli UMC; pertanto le eventuali controversie interpretative dovranno essere sottoposte al parere dei competenti Uffici PRA. La variazione di denominazione può riguardare qualunque dei soggetti indicati nel precedente paragrafo B). Sul tagliando di aggiornamento della carta di circolazione, oltre alla nuova denominazione del soggetto giuridico, è apposta la seguente dicitura: “Variazione della denominazione/ragione sociale dell’intestatario effettuata ai sensi dell’art. 94, comma 4-bis, c.d.s.”. Alla domanda di rilascio del tagliando di aggiornamento deve essere allegata, a seconda dei casi: - la dichiarazione sostitutiva di certificazione (art. 46, D.P.R. n. 445/2000) attestante l’avvenuta variazione della denominazio- circ C i r c o la r i ne o della ragione sociale della società iscritta nel registro delle imprese, specificando che la variazione stessa deriva da atti, anche di trasformazione o di fusione societaria, che non hanno dato luogo alla creazione di un nuovo soggetto giuridico distinto da quello originario e, pertanto, non è soggetta a trascrizione nel pubblico registro automobilistico; - la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (art. 47, D.P.R. n. 445/2000) attestante l’avvenuta variazione della denominazione dell’ente, non iscritto nel registro delle imprese, specificando che la variazione stessa deriva da atti che non hanno dato luogo alla creazione di un nuovo soggetto giuridico distinto da quello originario e, pertanto, non è soggetta a trascrizione nel pubblico registro automobilistico; - l’attestazione di versamento di € 16,00 sul c.c.p. n. 4028 (imposta di bollo dovuta per l’istanza) e di € 9,00 sul c.c.p. n. 9001 (diritti di motorizzazione). Le predette dichiarazioni sostitutive sono rese dalla persona fisica munita del potere di agire in nome e per conto della persona giuridica intestataria della carta di circolazione. Eccezioni La nuova procedura non si applica quando si debba procedere alla correzione di denominazioni o ragioni sociali erroneamente trascritte nella carta di circolazione, nel qual caso occorre procedere alla ristampa della carta di circolazione (sull’argomento, v. circolare prot. n. 27520 dell’11 ottobre 2012 - casi particolari: punto 2). Avvertenza Se l’ente interessato è intestatario di una pluralità di veicoli, l’aggiornamento della denominazione sulla carta di circolazione di un veicolo non produce automaticamente anche l’aggiornamento, nell’Archivio nazionale dei veicoli, della denominazione dello stesso intestatario relativamente ai restanti veicoli. Pertanto, nel caso in esame, l’interessato dovrà richiedere l’aggiornamento delle carte di circolazione di tutti i veicoli dei quali dispone. Trattandosi di una pluralità di operazioni omogenee da effettuare in capo ad un medesimo soggetto, sono ammesse istanze cumulative, secondo le disposizioni generali in materia, con conseguente esborso di un’unica imposta di bollo (per l’istanza) e di n diritti di motorizzazione quante sono le carte di circolazione da aggiornare. Decorrenza Le predette disposizioni si applicano a decorrere dal 3 novembre 2014 a tutte le variazioni che interverranno a decorrere da tale data. D) Variazione delle generalità della persona fisica intestataria della carta di circolazione Analoga ipotesi è prevista dal medesimo art. 247-bis, comma 1, del D.P.R. n. 495/1992, nel caso di variazione delle generalità della persona fisica intestataria del veicolo. Ai fini dell’applicazione della norma, per generalità della persona fisica debbono intendersi: - il nome; - il cognome; - la data di nascita; - il luogo di nascita; - il luogo di residenza. Le ipotesi che danno luogo a variazioni delle predette generalità possono dipendere: - da provvedimenti dell’autorità giudiziaria o degli uffici anagrafici che dispongono correzioni del nome, del cognome, del luogo o della data di nascita; - da variazioni toponomastiche, concernenti la denominazione del Comune o della Provincia di nascita o di residenza e la denominazione o la numerazione civica della strada in cui è ubicata la residenza. Sul tagliando di aggiornamento della carta di circolazione, oltre alle mutate generalità dell’intestatario, è apposta la seguente dicitura: “Variazione delle generalità dell’intestatario effettuata ai sensi dell’art. 94, comma 4-bis, c.d.s.”. La variazione delle generalità può riguardare qualunque dei soggetti indicati nel precedente paragrafo B). Alla domanda di rilascio del tagliando di aggiornamento deve essere allegata: - la dichiarazione sostitutiva di certificazione (art. 46, D.P.R. n. 445/2000 attestante l’avvenuta variazione delle generalità, con indicazione del provvedimento che vi ha dato luogo; - l’attestazione di versamento di € 16,00 sul c.c.p. n. 4028 (imposta di bollo dovuta per l’istanza) e di € 9,00 sul c.c.p. n. 9001 (diritti di motorizzazione). Si fa presente, tuttavia, che laddove si tratti di variazioni della toponomastica, il tagliando di aggiornamento è rilasciato in esenzione sia di imposta di bollo sia dei diritti di motorizzazione; alla domanda, pertanto, andrà allegata esclusivamente la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (art. 47, D.P.R. n. 445/2000) o copia dell’eventuale attestazione rilasciata dal Comune, comprovante la variazione del toponimo. Eccezioni La nuova procedura di aggiornamento della carta di circolazione, ai sensi dell’art. 94, comma 4 bis, c.d.s. e dell’art. 247-bis, comma 1, non si applica: - ai casi di trasferimento della residenza, che continuano ad essere gestiti secondo le procedure in uso all’uopo predisposte; - quando si debba procedere alla correzione di dati anagrafici erroneamente trascritti nella carta di circolazione, nel qual caso occorre la ristampa della carta di circolazione (sull’argomento, v. circolare prot. n. 27520 dell’11 ottobre 2012 - casi particolari: punto 2). Decorrenza Le predette disposizioni si applicano a decorrere dal 3 novembre 2014 a tutte le variazioni che interverranno a decorrere da tale data. E) Intestazione temporanea di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi Come anticipato in Premessa e nel paragrafo A), il comma 2 dell’art. 247-bis del D.P.R. n. 495/1992 individua una serie di fattispecie rispetto alle quali, realizzandosi la condizione della disponibilità temporanea di un veicolo da parte di un soggetto diverso dall’intestatario, per un periodo di tempo superiore a 30 giorni, sono previsti obblighi di comunicazione finalizzati all’aggiornamento dell’Archivio Nazionale dei Veicoli e della carta di circolazione. Al riguardo, a norma dell’art. 94, comma 4-bis, c.d.s., detti obblighi sono posti a carico degli aventi causa, cui vengono riferite le sanzioni previste dal comma 3 del medesimo articolo. Sono da ritenere comunque legittimamente assolti gli obblighi in parola laddove la comunicazione venga effettuata dal dante causa su delega scritta dell’avente causa, fermo restando il rispetto delle regole generali di accesso agli sportelli degli UMC e delle disposizioni contenute nella legge n. 264/1991. Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 767 circ C i r c o la r i A tal fine sono stati predisposti due prototipi di delega esemplificati, rispettivamente nell’Allegato A/1, da compilare quando l’avente causa è una persona fisica, e nell’Allegato A/2, da compilare quando l’avente causa è una persona giuridica. Tenuto conto delle fattispecie al momento disciplinate dalla presente circolare, al fine di prevenire dubbi interpretativi si chiarisce che: per “avente causa” deve intendersi: - il comodatario (v. par. E.1); - l’affidatario, nel caso della custodia giudiziale (v. par. E.2); - il locatario o il sublocatario, in caso di locazione senza conducente (v. par. E.3, E.4); - gli eredi, nei casi descritti nel successivo paragrafo E.6.1; - l’utilizzatore, nel caso di contratto “rent to buy” (v. par. E.6.2); b) per “dante causa” deve intendersi: - uno dei soggetti elencati nel paragrafo B; - il sublocatore, nel caso di sublocazione senza conducente (v. par. E.3). Ciò premesso, si illustrano di seguito le fattispecie individuate dalle nuove disposizioni regolamentari. E.1) Comodato (art. 247-bis, comma 2, let. a) Nel caso in cui l’intestatario della carta di circolazione conceda in comodato l’utilizzo del proprio veicolo ad un terzo, per un periodo superiore a 30 giorni, il comodatario ha l’obbligo di darne comunicazione al competente UMC, richiedendo l’aggiornamento della carta di circolazione. Sono esentati da tale obbligo i componenti del nucleo familiare, purché conviventi. Nulla osta, tuttavia, che anche in tal caso possa essere richiesto l’aggiornamento della carta di circolazione; in assenza di specifico divieto, infatti, è da ritenersi che il comodatario ne abbia facoltà, ferma restando, in caso contrario, l’inapplicabilità delle previste sanzioni. Ciò premesso, e considerato che l’istituto del comodato trova ora per la prima volta ingresso, nell’ambito della disciplina della circolazione stradale, nel novero degli atti in forza dei quali è legittimato l’utilizzo dei veicoli, appaiono opportune alcune precisazioni di carattere generale che attengono, da un lato, alla legittimazione dell’intestatario della carta di circolazione a concedere a terzi la disponibilità del veicolo e, dall’altro, all’uso che il comodatario è legittimato a fare del veicolo stesso. Intestatari legittimati a concedere a terzi veicoli in comodato Sotto il primo aspetto, va detto che i soggetti titolati, in qualità di intestatari della carta di circolazione (v. paragrafo B), a concedere a terzi l’utilizzo del veicolo a titolo di comodato possono essere esclusivamente: - il proprietario (od il “trustee” - v. paragrafo E.6.2); - il locatario, nell’ipotesi di leasing, previo assenso del locatore; - l’usufruttuario; - l’acquirente, nell’ipotesi di acquisto con patto di riservato dominio, previo assenso del venditore. Tale precisazione vale anche ad escludere la possibilità che il comodatario possa a sua volta concedere ad altro soggetto l’uso del veicolo (subcomodato). In ogni caso, va evidenziato che, in sede di rilascio del tagliando di aggiornamento, l’UMC non procederà a verifiche in merito ai rapporti privatistici intercorrenti tra l’intestatario della carta di circolazione ed il comodatario, né in merito alla concreta possibilità per l’intestatario stesso di concedere il veicolo in comodato a terzi, limitandosi a verificare la regolarità formale delle documentazioni di cui si dirà in seguito. 768 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Soggetti legittimati all’utilizzo di veicoli in comodato In assenza di prescrizioni al riguardo, i veicoli possono essere concessi in comodato sia a persone fisiche sia a persone giuridiche. Uso del veicolo da parte del comodatario Tenuto conto di quanto sopra precisato circa la non applicabilità della presente circolare ai veicoli adibiti al trasporto di cose o di persone in base a titolo autorizzativo, al momento viene presa in considerazione unicamente l’ipotesi di veicolo di massa complessiva a pieno carico inferiore o uguale a 6 tonnellate immatricolato in uso proprio e utilizzato dal comodatario per il medesimo uso. In tal caso, viene emesso un tagliando di aggiornamento nel quale è annotato il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita e la residenza del comodatario (ovvero la sede principale o secondaria, se si tratta di persona giuridica), nonché la scadenza del comodato, ed è apposta la dicitura: “Comodato - Intestazione temporanea effettuata ai sensi dell’art. 94, comma 4-bis, c.d.s.”. Alla domanda di rilascio del tagliando di aggiornamento il comodatario deve allegare: - la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (art. 47, D.P.R. n. 445/2000) con la quale il comodante attesta di aver posto il veicolo nella disponibilità del comodatario, alla quale deve essere allegata la fotocopia di un valido documento di identità o di riconoscimento del comodante stesso; - nel caso in cui il comodante abbia la disponibilità del veicolo a titolo di leasing, alla predetta dichiarazione sostitutiva deve altresì essere allegato l’assenso scritto del locatore, acché il veicolo stesso venga concesso in comodato a terzi, sottoscritto da persona fisica munita del potere di agire in nome e per conto della società di leasing; - nel caso in cui il comodante abbia acquistato il veicolo con patto di riservato dominio, alla predetta dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà deve altresì essere allegato l’assenso scritto del venditore acchè il veicolo stesso venga concesso in comodato a terzi; se il venditore con patto di riservato dominio è una persona giuridica, l’assenso è sottoscritto da persona fisica munita del potere di agire in nome e per conto della persona giuridica stessa; - l’attestazione di versamento di € 16,00 sul c.c.p. n. 4028 (imposta di bollo dovuta per l’istanza) e di € 9,00 sul c.c.p. n. 9001 (diritti di motorizzazione). Laddove intervenga la necessità di un aggiornamento dei dati tecnici del veicolo, si dovrà provvedere al rilascio del duplicato della carta di circolazione, su istanza del comodatario, alla quale deve essere allegata, oltre alle descritte documentazioni (se l’aggiornamento tecnico viene effettuato contestualmente alla annotazione del comodato), anche l’espressa autorizzazione del comodante a richiedere il rilascio del duplicato nonché le attestazioni di versamento previste nel caso di specie. Nelle righe descrittive del duplicato saranno trascritte le annotazioni già effettuate sul tagliando di aggiornamento. Variazione delle annotazioni relative al medesimo comodatario Quando si debba annotare una variazione dei dati relativi al medesimo comodatario, ivi compresa l’ipotesi di proroga della scadenza del comodato, si provvederà a rilasciare un nuovo tagliando di aggiornamento. A tal fine, il comodatario è tenuto a presentare istanza allegando: - la propria dichiarazione sostitutiva di certificazione (art. 46, D.P.R. n. 445/2000) attestante i dati oggetto di variazione circ C i r c o la r i ovvero, a seconda dei casi, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (art. 47, D.P.R. n. 445/2000) con la quale il comodante attesta la nuova scadenza del comodato, alla quale deve essere allegata la fotocopia di un valido documento di identità o di riconoscimento del comodante stesso; - l’attestazione di versamento di € 16,00 sul c.c.p. n. 4028 (imposta di bollo dovuta per l’istanza) e di € 9,00 sul c.c.p. n. 9001 (diritti di motorizzazione). Cancellazione dell’annotazione del comodato Quando il veicolo rientra nella piena disponibilità dell’intestatario, in conseguenza della scadenza del comodato, l’intestatario può ottenere la cancellazione dell’annotazione del comodato ed il pieno ripristino dello status quo ante mediante richiesta di duplicato della propria carta di circolazione. Se vi è stata rinuncia del comodatario prima della scadenza del contratto, l’intestatario allega alla istanza di duplicato la propria dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (art. 47, D.P.R. n. 445/2000) attestante detta circostanza. Nuova annotazione di comodato A scadenza del comodato, ovvero prima della scadenza se il comodatario vi rinuncia restituendo il veicolo, l’intestatario può concedere il proprio veicolo in comodato ad un nuovo soggetto, il quale è tenuto a richiedere l’emissione del tagliando di aggiornamento secondo le istruzioni già illustrate. Decorrenza Le procedure di annotazione del comodato, così come descritte nel presente paragrafo, saranno concretamente operative a decorrere dal 3 novembre 2014. E.1.1) Comodato di veicoli aziendali Sebbene non espressamente previsto dall’art. 247-bis, per finalità di semplificazione e ferma restando l’esigenza di tutela dei preminenti interessi di ordine pubblico cui sono preordinate le norme in esame, si ritiene di poter prevedere un particolare regime applicabile nei casi in cui: 1. veicoli di proprietà di Case costruttrici vengano da queste concesse in comodato, per periodi superiori ai 30 giorni, a soggetti esterni alla struttura organizzativa d’impresa (es. giornalisti, istituzioni pubbliche, ecc.) per esigenze di mercato o di rappresentanza connesse a particolari eventi; 2. veicoli in disponibilità di Aziende (comprese le Case costruttrici) o di Enti (pubblici o privati), a titolo di proprietà, di acquisto con patto di riservato dominio, di usufrutto, di leasing o di locazione senza conducente vengano da queste concessi, per periodi superiori a 30 giorni, in comodato d’uso gratuito ai propri dipendenti. In entrambi i casi la persona fisica munita del potere di agire in nome e per conto del comodante (Casa costruttrice, Azienda o Ente), su delega del comodatario redatta conformemente, a seconda dei casi, al prototipo esemplificato nell’Allegato A/1 o nell’Allegato A/2, presenta istanza (redatta conformemente al prototipo esemplificato nell’Allegato B/1) volta alla annotazione nell’Archivio Nazionale dei Veicoli. All’istanza è allegata, oltre alla delega del comodatario, l’attestazione di versamento di € 16,00 sul c.c.p. n. 4028 (imposta di bollo dovuta per l’istanza) e di € 9,00 sul c.c.p. n. 9001 (diritti di motorizzazione). Nel caso di concessione in comodato di una pluralità di veicoli aziendali, il prototipo di cui all’Allegato B/1 tiene conto della possibilità di presentare un’unica istanza cumulativa, alla quale dovrà essere allegata, oltre alla predetta documentazione, anche l’elenco dei veicoli e dei relativi comodatari, una attestazione di versamento di € 16,00 sul c.c.p. n. 4028 (imposta di bollo) e l’attestazione di versamento sul c.c.p. 9001 dei diritti di motorizzazione (€ 9,00 x n veicoli). Trattandosi di veicoli aziendali, nel caso in cui gli stessi siano in disponibilità del comodante a titolo di leasing o di acquisto con patto di riservato dominio non occorre, per l’annotazione, il preventivo assenso del locatore o del venditore. Viceversa, nel caso in cui i veicoli in parola siano in disponibilità del comodante non in proprietà ma a titolo di locazione senza conducente, ed al fine di corrispondere a particolari esigenze di tutela manifestate dalle imprese di settore, ricorre la necessità del preventivo assenso scritto del locatore. A fronte dell’istanza viene rilasciata una attestazione di avvenuta annotazione nell’Archivio Nazionale dei Veicoli delle informazioni contenute nella predetta dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. Al riguardo, si sottolinea che, ai fini della regolarità della circolazione, non è prescritto che la predetta attestazione debba essere tenuta a bordo del veicolo aziendale; pertanto, la sua mancanza non costituisce violazione suscettibile di sanzionamento in sede di controllo su strada da parte dei competenti organi di polizia. La medesima procedura si applica anche in caso di variazione delle annotazioni relative al medesimo comodatario, ivi compresa l’ipotesi di proroga del comodato, e nel caso in cui il veicolo torni nella piena disponibilità del comodante prima della scadenza del comodato (Allegato B/2). Se il comodatario è individuato già in sede di immatricolazione o di trasferimento della proprietà del veicolo a nome del comodante, l’annotazione in Archivio del comodato non è soggetto al pagamento delle predette tariffe in quanto debbono intendersi assorbite nella tariffa applicata alla immatricolazione o al trasferimento della proprietà. Anche in tal caso, le informazioni relative al comodato formano oggetto esclusivamente di aggiornamento della banca dati e non vengono annotate sulla carta di circolazione. Pertanto, unitamente a quest’ultima viene rilasciata l’attestazione di avvenuta annotazione di cui si è già detto. Aggiornamento dei dati tecnici del veicolo Laddove ricorra la necessità di un aggiornamento dei dati tecnici del veicolo, si dovrà procedere, come da disposizioni vigenti, al rilascio del duplicato della carta di circolazione, su istanza del comodante. Decorrenza L’annotazione del comodato in Archivio, secondo le modalità descritte nel presente paragrafo, saranno concretamente operative dal 3 novembre 2014, termine a partire dal quale saranno annotati gli utilizzi di veicoli aziendali disposti a decorrere dalla medesima data. E.2) Custodia giudiziale (art. 247-bis, comma 2, let. a) Anche in presenza di provvedimenti di affidamento di veicoli in custodia giudiziale, per periodi di tempo superiori a 30 giorni, ricorre la necessità, su richiesta dell’affidatario, dell’emissione di un tagliando di aggiornamento ovvero, a seconda dei casi, di un duplicato della carta di circolazione. Tuttavia, tenuto conto che la finalità perseguita dalla disciplina contenuta nell’art. 94, comma 4-bis, c.d.s. e, conseguentemente, nell’art. 247-bis in commento è quella di assicurare certezza nella individuazione dei responsabili della circolazione, è da ritenere che, nel caso di specie, l’obbligo di aggiornamento Arch. giur. circ. e sin. strad. 9/2014 769 circ C i r c o la r i della carta di circolazione ricorra unicamente nei casi di custodia giudiziale con facoltà d’uso del veicolo. All’istanza l’avente titolo (persona fisica o ente affidatario) deve allegare: - una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (art. 47, D.P.R. n. 445/2000) attestante la propria qualità di affidatario e gli estremi del provvedimento con il quale è stata disposta la custodia giudiziale del veicolo; - l’attestazione di versamento di € 16,00 (nel caso di richiesta di tagliando di aggiornamento) ovvero di € 32,00 (nel caso di richiesta di duplicato della carta di circolazione) sul c.c.p. n. 4028 (imposta di bollo dovuta per l’istanza) e di € 9,00 sul c.c.p. n. 9001 (diritti di motorizzazione), salvo espresse esenzioni previste dalle norme vigenti. Uso del veicolo da parte dell’affidatario Considerate le peculiarità dell’istituto della custodia giudiziale, va preliminarmente evidenziato che, in assenza di espressa autorizzazione da parte della competente autorità giudiziaria, l’affidatario non può richiedere che il veicolo venga adibito ad un uso diverso da quello per il quale è stata rilasciata la carta di circolazione né può richiedere il rilascio del duplicato della carta stessa per aggiornamento dei dati tecnici del veicolo. Ciò premesso, e richiamando quanto già precisato con riguardo all’ipotesi del comodato, si prende qui in considerazione il solo caso di veicolo di massa complessiva a pieno carico inferiore o uguale a 6 tonnellate immatricolato in uso proprio e utilizzato dall’affidatario per il medesimo uso. Anche in tal caso è emesso un tagliando di aggiornamento sul quale è annotato il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita e la residenza dell’affidatario, ovvero la denominazione e la sede (principale o secondaria) dell’ente affidatario e gli estremi del provvedimento di affidamento, nonché la dicitura: “Custodia giudiziale - Intestazione temporanea effettuata ai sensi dell’art. 94, comma 4-bis, c.d.s.”. Se interviene la necessità di un aggiornamento dei dati tecnici del veicolo, si dovrà provvedere al rilascio del duplicato della carta di circolazione, alla quale deve essere allegata anche fotocopia del provvedimento di autorizzazione, emesso dalla competente autorità giudiziaria, ad effettuare le modifiche tecniche per le quali viene chiesto l’aggiornamento. Nelle righe descrittive del duplicato saranno trascritte le annotazioni già effettuate sul tagliando di aggiornamento. 770 9/2014 Arch. giur. circ. e sin. strad. Variazione delle annotazioni relative al medesimo affidatario Quando si debba annotare una variazione dei dati relativi al medesimo affidatario, si provvederà a rilasciare un nuovo tagliando di aggiornamento. A tal fine, l’affidatario è tenuto a presentare istanza allegando: - la propria dichiarazione sostitutiva di certificazione (art. 46, D.P.R. n. 445/2000) attestante la variazione del dato oggetto di aggiornamento o, se del caso, fotocopia del provvedimento emesso dalla competente autorità giudiziaria; - l’attestazione di versamento di € 16,00 sul c.c.p. n. 4028 (imposta di bollo dovuta per l’istanza) e di € 9,00 sul c.c.p. n. 9001 (diritti di motorizzazione) salvo espresse esenzioni previste dalle norme vigenti. Durata Non essendo espressamente prescritto dalla norma regolamentare in esame, non ricorre la necessità di annotare, sul tagliando di aggiornamento, l’eventuale scadenza della custodia giudiziale. Cancellazione dell’annotazione della custodia giudiziale Se il veicolo rientra nella piena disponibilità dell’intestatario, in conseguenza di provvedimento della competente autorità giudiziaria, l’intestatario stesso può ottenere la cancellazione dell’annotazione della custodia giudiziale ed il pieno ripristino dello status quo ante mediante richiesta di duplicato della propria carta di circolazione. A tal fine, l’intestatario allega all’istanza fotocopia del provvedimento adottato dal giudice competente. Nuova annotazione di custodia giudiziale In caso di affidamento del medesimo veicolo ad un diverso custode giudiziale, si potrà procedere alla emissione di un nuovo tagliando di aggiornamento recante le annotazioni già evidenziate. Decorrenza Le procedure di annotazione della custodia giudiziale, così come descritte nel presente paragrafo, saranno concretamente operative a decorrere dal 3 novembre 2014, termine a partire dal quale potranno essere annotati anche gli affidamenti disposti anteriormente e per i quali, in base alle disposizioni previgenti, non si è potuto dar luogo all’aggiornamento della carta di circolazione consentendo, in tal modo, il concreto utilizzo dei veicoli da parte degli affidatari. Indice cronologico della giurisprudenza AVVERTENZA: La segnalazione m. sta ad indicare una pronuncia che viene riportata, nella pagina indicata, solo in massima. Trib. civ. Palermo, sez. dist. Bagheria, 18 giugno 2012, n. 176, Unipol Ass.ni Spa c. Romano ed altri, pag. 745 Cass. pen., sez. IV, 2 gennaio 2013, n. 71 (c.c. 14 novembre 2012), P.G. in proc. Mancini, m., pag. 755 Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22601, Orlandi c. Tossani ed altri, pag. 733 Trib. civ. Termini Imerese, 4 dicembre 2013, n. 1334, Unipol Ass.ni Spa c. Esposito ed altro, pag. 745 Cass. pen., sez. VI, 2 gennaio 2014, n. 1 (ud. 18 settembre 2013), P.M. in proc. Siligato, m., pag. 757 Cass. pen., sez. I, 2 gennaio 2014, n. 64 (c.c. 17 ottobre 2013), P.m. in proc. Piccone, m., pag. 755 Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2014, n. 604 (ud. 14 novembre 2013), D’Ambrogi, m., pag. 753 Cass. pen., sez. IV, 15 gennaio 2014, n. 1522 (ud. 10 dicembre 2013), Lo Faro, m., pag. 754 Cass. pen., sez. IV, 17 gennaio 2014, n. 1882 (ud. 24 ottobre 2013), Veglio, m., pag. 754 Cass. pen., sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 2379 (c.c. 6 dicembre 2013), P.G. in proc. Lombardi, m., pag. 755 Cass. pen., sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 2385 (c.c. 6 dicembre 2013), P.G. in proc. Caramuta, m., pag. 755 Cass. pen., sez. II, 4 febbraio 2014, n. 5505 (ud. 22 ottobre 2013), Lumicisi, m., pag. 756 Cass. pen., sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 5611 (ud. 16 ottobre 2013), Ferrari, m., pag. 755 Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2014, n. 2827, Parente c. Berriola, m., pag. 753 Cass. civ., sez. lav., 10 febbraio 2014, n. 2886, Picale c. Sepsa Spa, m., pag. 757 Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 2014, n. 3621, Carpitella c. Comp. Milano Assic. Divisione Nuova Maa ed altri, m., pag. 753 Cass. pen., sez. VI, 17 febbraio 2014, n. 7389 (ud. 24 gennaio 2014), Bertocco, pag. 731 Cass. civ., sez. VI, 19 febbraio 2014, n. 3875, Frau c. Groupama Assicurazioni Spa ed altro, m., pag. 756 Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2014, n. 3964, Bonomi ed altro c. Di Marco ed altri, m., pagg. 755, 756 Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2014, n. 3965, Oliviero c. Comune di Torre Del Greco ed altri, m., pag. 756 Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 7967 (ud. 6 dicembre 2013), Zanutto, m., pag. 754 Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 7969 (ud. 6 dicembre 2013), Ferrari, m., pag. 755 Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 8005 (c.c. 15 novembre 2013), Verdelli, m., pag. 755 Cass. pen., sez. IV, 19 febbraio 2014, n. 8022 (c.c. 28 gennaio 2014), P.G. in proc. Giannella, pag. 730 Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2014, n. 4448, Lanna ed altro c. Ina Assitalia Spa ed altri, m., pag. 757 Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2014, n. 5243, Pitissi ed altro c. Nuova Tirrena Assicurazioni Riassicurazioni Capitalizzazioni ed altro, m., pag. 756 Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2014, n. 5511, Idraulica Pennesi Di Pennesi Vittorio c. Taffetani ed altro, m., pag. 755 Cass. civ., sez. VI, 10 marzo 2014, n. 5520, De Felice c. Ministero Interno ed altro, m., pag. 757 Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5944, Mosca ed altro c. Fondiaria SAI S.p.a. ed altro, pag. 729 Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5952, Leone c. Ina Assitalia Spa Le Assicurazioni D’Italia Spa, m., pag. 753 Cass. civ., sez. VI, 14 marzo 2014, n. 5997, Ricci Luppis c. Prefettura Pordenone, m., pag. 757 Cass. civ., sez. I, 14 marzo 2014, n. 6036, Guardincerri ed altro c. Scarpenti ed altri, m., pag. 754 Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2014, n. 6193, Viviani c. Aig Europe Sa ed altri, m., pag. 756 Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2014, n. 6296, Com. Acquaviva Picena c. Rossi ed altri, m., pag. 754 Giud. pace civ. Chieri, 24 marzo 2014, n. 98, Agostinis c. Uff. Terr. Gov. Prefettura Provincia di Torino, pag. 751 Cass. pen., sez. IV, 7 aprile 2014, n. 15510 (c.c. 4 dicembre 2013), P.G. in proc. Fabrizi, pag. 723 Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2014, n. 8136, Fondiaria Sai Spa c. Di Nardo ed altri, m., pag. 753 Cass. civ., sez. VI, 11 aprile 2014, n. 8616, Aipa Spa c. Pulex Srl, m., pag. 757 Cass. civ., sez. un., 17 aprile 2014, n. 8928, Etr Esazione Tributi Spa c. Petronelli, m., pag. 754 Cass. civ., sez. VI, ord. 23 aprile 2014, n. 9112, Possenti Castelli Tiberi c. Carige Assicurazioni S.p.a., pag. 727 Cass. civ., sez. I, 24 aprile 2014, n. 9276, Lancia ed altro c. Regione Abruzzo, pag. 726 Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2014, n. 9556, Mancini c. Roma Capitale, m., pag. 757 Cass. pen., sez. IV, 5 maggio 2014, n. 18442 (ud. 5 dicembre 2013), P.G. in proc. Scarchini, pag. 723 Cass. civ., sez. un, 5 maggio 2014, n. 9568, Di Febo c. Equitalia Pragma S.p.A. ed altri, pag. 724 Cass. pen., sez. IV, 5 maggio 2014, n. 18442 (ud. 5 dicembre 2013), P.G. in proc. Scarchini, m., pag. 755 Cass. civ., sez. II, 7 maggio 2014, n. 9889, Agnesi ed altro c. Autostrade Concessioni Costr. Autostrade, pag. 720 Cass. civ., sez. V, 9 maggio 2014, n. 10067, Regione Lazio c. Marinucci ed altra, pag. 719 Cass. civ., sez. un, 14 maggio 2014, n. 10406, Deriu c. Prefettura Nuoro, pag. 717 Cass. civ., sez. VI, ord. 20 maggio 2014, n. 11018, Genovese c. Comune di Portigliola ed altri, pag. 716 Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2014, n. 11270, Del Prete c. Milano Assic.ni S.p.a. ed altri, pag. 715 Cass. civ., sez. VI, ord. 21 maggio 2014, n. 11288, Uff. Terr. Gov. Prefettura Matera c. Favale, pag. 714 Cass. civ., sez. II, 23 maggio 2014, n. 11537, Di Quinzio ed altro c. Prefettura Pescara, pag. 712 Giud. pace civ. Torino, sez. III, 25 maggio 2014, n. 3008, Bergamasco c. Prefetto di Torino, pag. 750 Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2014, n. 11698, Tomassi c. Ina Assitalia S.p.a. ed altri, pag. 706 Cass. civ., sez. lav, 26 maggio 2014, n. 11715, Ama Azienda Municipale Ambiente c. Grassi, pag. 702 Cass. civ., sez. V, 11 giugno 2014, n. 13147, Min. Economia e Finanze c. International Car S.r.l., pag. 701 Cass. pen., sez. IV, 11 giugno 2014, n. 24612 (ud. 10 aprile 2014), Izzo, pag. 696 Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2014, n. 13364, G. c. Comune di Sant’Elpidio a Mare ed altro, pag. 694 Cass. civ., sez. III, 27 giugno 2014, n. 14635, Fincom Spa in liq. c. F.F. ed altri, pag. 691