Vincent Peirani istantanea di un fisarmonicista di Andrew Rigmore e Antonio Terzo foto di Davide Susa Per qualunque strumento viene il momento in cui un musicista apporta innovazioni stilistiche che segnano il passo rispetto ai precedenti maestri: con Vincent Peirani è la volta della fisarmonica. Forte di una formazione classica, le sue dita volano sui bottoni per portarlo a fianco di Louis Sclavis, nei gruppi di Daniel Humair, con Youn Sun Nah e Ulf Wakenius, fino all’attuale duo con Michel Portal. Che fa capolino, insieme al sopranista Emile Parisien, nel suo album di debutto con la ACT in trio. Cosa ha — o cosa non ha — la musica classica che ti ha fatto preferire concentrarti sul jazz e sulla musica improvvisata e cosa deve avere un buon musicista classico per diventare un buon jazzista improvvisatore? Non faccio differenza fra jazz e musica classica, per cominciare. È solo che il jazz occupa un posto importante nella mia vita, ma la classica è ugualmente molto presente — con François Salque, Laurent Korcia, Quatuor Ebène. Per me suonare e lavorare su questi due stili di musica sono cose complementari. Cerco di miscelare insieme i due tipi di pratica per farne una sola. Per diventare un buon improvvisatore, che si venga dalla classica o da un altro ambito, credo che la cosa migliore da fare sia innanzitutto ascoltare il più possibile questa musica e praticarla, sia attraverso i dischi che soprattutto in gruppo. Quale particolare incontro o ascolto o concerto ti ha fatto virare verso il jazz e la musica improvvisata? Ho subìto un doppio choc grazie ad un amico che mi ha fatto ascoltare due dischi: il primo con Bill Evans nel cofanetto “Turn out the Star” ed il secondo con un gruppo di fusion francese Sixun, con, fra gli altri, Paco Sery, Louis Winsberg, Jean Pierre Como. Oltre ovviamente ai fisarmonicisti, guardi anche ai pianisti e ai tastieristi di jazz? Non ho praticamente ascoltato fisarmonicisti! Ci sono stati sicuramente [degli album di] Galliano, Azzola, Sivuca, Art Van Damme, ma ho ascoltato soprattutto altri strumentisti, pianisti quali Bill Evans, Herbie Nichols, Lennie Tristano, Wynton Kelly, chitarristi tipo Frisell, Metheny, Marc Ribot, Benson, trombettisti come Miles, Chet Baker, Enrico Rava, Fresu, ma anche non pochi batteristi come Art Blakey, Peter Erskine, Manolo Badrena, Paco Sery. E da dove provengono le nuance gitane del tuo stile? Ho suonato in un gruppo di musica dell’Est Europa per quasi 5 anni, si chiamava Les Yeux Noirs: era un mélange fra la musica dell’Est, essenzialmente rumena, e la musica yiddish, il tutto arricchito di un suono un po’ rock. Abbiamo girato tutto il mondo con quel gruppo lì e fatto centinaia di concerti: è stato il primo vero gruppo con il quale ho lavorato e questo mi ha fortemente marcato. Cosa pensi d’aver dato e di star dando alla tradizione della fisarmonica in termini di innovazione e nuovo sound? È strano rispondere a questa domanda perché per JazzColours | novembre ’13 19 foto Jens Vajen parte mia non ho fatto altro che seguire il mio percorso, nutrendomi di musicisti e di musiche straordinarie. Poi ho voluto esprimere le sensazioni che sentivo, e [questo] è avvenuto con la fisarmonica. Ho solo cercato d’essere più vicino o musicalmente più giusto a quel certo suono o sentimento che potevo aver ascoltato o provato. Non so se il pubblico italiano si ricorda di te come vincitore del Festival della fisarmonica di Castelfidardo, ma sicuramente quello del jazz ha iniziato a conoscerti grazie al tour con Louis Sclavis “Dans la Nuit”, qualche anno fa, e poi ad apprezzarti attraverso la tua presenza nei gruppi di Youn Sun Nah e Ulf Wakenius: cosa ti è rimasto di ognuna di queste diverse esperienze? Che si tratti di Louis Sclavis, Youn Sun Nah o Ulf Wakenius, sono già degli artisti immensi, ognuno nel proprio stile. Con Louis siamo su un versante più libero, più improvvisato, ho imparato tantissimo a quel livello e continuo a farlo. Con Youn, quel suo mélange fra chanson, jazz e pop mi seduce completamente. Lavoriamo molto sulle forme, sul suono complessivo del gruppo. Quanto a Ulf, ascoltandolo suonare ed aprendo al massimo le orecchie apprendo tantissimo. 20 JazzColours | novembre ’13 Hai suonato nello Sweet & Sour Quartet di Daniel Humair con il contrabbassista Jérôme Regard ed il sassofonista Émile Parisien. Oltre ad essere considerato un batterista stellare, Humair è anche un grande band leader: cosa hai carpito da lui come musicista e persona? Con lui è la libertà assoluta, mi ha fatto suonare in modo diverso. Grazie a lui ho preso coraggio. Ero obbligato [a farlo], perché lui mi spinge a suonare, a ricercare, a provocarlo! È incredibile suonare al suo fianco. Ed in più è un piacere viaggiare con lui, in quanto ha sempre delle storie su questo o quel jazzista: in fin dei conti li ha affiancati praticamente tutti! Ha scritto parte della storia del jazz. E questo gruppo con Humair ha favorito il tuo incontro con Parisien, portandovi a formare il vostro duo. Sì, è grazie a Daniel che con Émile ci siamo incontrati. Il nostro posto in seno a quel gruppo ha permesso di scoprirci musicalmente ed umanamente. È in modo molto naturale che abbiamo finito per metter su questo duo. Fra qualche giorno registreremo il nostro primo disco insieme, unicamente in duo. Quando e come è avvenuto invece l’incontro con Michel Portal? Michel mi ha chiamato per la seduta di un film per il quale si stava occupando della musica. Credo che sia stato Daniel — ancora lui! — a parlargli di me. Mi sembra fosse il 2003. In seguito ci siamo incrociati di nuovo in studio, ancora per delle musiche da film, due o tre volte, e successivamente Michel mi ha invitato nel trio a suo nome che all’epoca aveva con Bruno Chevillon ed Eric Echampard. Di chi è stata l’iniziativa di trasformare queste esperienze occasionali nel vostro attuale PortalPeirani duo? Quasi due anni fa, Michel ha avuto una carte blanche all’Europa Jazz Festival di Mans, una serie di 15 concerti in forma esclusivamente ridotta, duo o trio. Mi ha invitato a formare un duo ed è in seguito a quel concerto che abbiamo deciso di continuare. Il repertorio si è in qualche misura sviluppato, ho portato anche alcune mie composizioni ma pure delle reprise da brani che amo molto. Comunque, conoscevo assai bene la musica di Michel per averla ascoltata centinaia di volte, dunque il repertorio varia in funzione dell’umore del giorno, del mood. Il che lo rende qualcosa di molto vivo! Una parola per descriverlo? È divertente, malizioso e soprattutto molto teatrale. Suonare dal vivo a fianco a lui è ogni volta una lezione. Emana qualcosa di unico in scena e gli spettatori lo percepiscono in modo molto forte. Andrete mai ad incidere un disco basato su questo VinCEnt PEirani vostro scoppiettante duo? Al momento siamo concentrati sui concerti dal vivo. Duo, trio, quartetto, quintetto, non si sa, ma spero vivamente che si possa registrare ancora insieme. Non sono molti i fisarmonicisti puri della musica jazz: a parte le ambientazioni argen(aCt - 2013) tine di Piazzolla — che puro non era — e prima di lui, nel 1930, Charles Melrose ed i suoi Cellar Boys, solo negli anni ’80 la fisarmonica si è imposta come strumento con una voce propria in grado di fraseggiare in jazz grazie alle sue peculiari caratteristiche tecnico-sonore, messe in luce dall’argentino Saluzzi, l’americano Klucevsek, il francese Galliano e l’italiano Salis, che l’hanno anche riscattata da certe inflessioni folk-popolari. È per questo che quando un nuovo fisarmonicista si affacVincent Peirani (fis, accordina, vc), Micia sul mondo del jazz suscita subito un certo chael Wollny (pn, Fr), Michel Benita (cb) interesse. Ed il nizzardo Vincent Peirani ha ospiti: Michel Portal (cl.bs, bandn), una personalità musicale talmente peculiare Émile Parisien (ss) che è stato subito notato. Con diversi dischi già all’attivo, debutta ora in casa ACT con Baïlero, Waltz for JB, hypnotic, good“Thrill Box”, album fondamentalmente in trio night irene, B&h, air Song, 3 temps — Michael Wollny al piano e Michel Bénita al pour Michel’P, Shenandoah, i Mean you, throw it away, Balkanski Cocek, contrabbasso — nel quale, però, ha l’opporChoral tunità di chiamare come ospiti alcuni degli amici che ne hanno accompagnato, e in taluni casi anche determinato, l’ascesa. Un suono, quello di Peirani, che sa essere rifinito thrill Box in Baïlero, trascinante su Hypnotic, in un magnifico unisono con Wollny, elegante in Waltz for JB (di Brad Mehldau), misterioso insieme al clarone del grande Michel Portal in B&H, ma anche verace in 3 Temps pour Michel’P, dedica all’ancista che in questa cavalcata in 3/4 lo accompagna al bandoneon. E ancora delicato in Air Song, con il sopranista Émile Parisien, il cui sax si libra sulle armonie tese di Peirani. Toccante anche all’accordina nella ninna-nanna tradizionale Goodnight Irene, Peirani è allo stesso tempo ironico e puntuale quando sfodera la sua abilità interpretativa sulla monkiana I Mean You, ma anche riflessivo in Shenandoah, sentimentale e passionale in Throw It Away, omaggio a Abbey Lincoln, popolare sugli accenti balcanici di Balkanski Cocek affrontata con l’amico Parisien. E se si avessero dubbi sull’espressività della sua fisarmonica si ascolti la solitaria Choral. Un disco che per il trentatreenne Peirani è un modo di raccontare quanto finora avvenuto nella sua carriera artistica e di raccontarsi insieme ai suoi mentori ed amici._An.Rig.&An.Te. JazzColours | novembre ’13 21 “Thrill Box”, il tuo lavoro più recente e debutto con ACT, ti vede impegnato con il pianista tedesco Michael Wollny ed il bassista franco-algerino Michel Bénita, in un trio con alcuni ospiti. Si può dire che hai pensato il disco come una sorta di “stato dell’arte” del tuo percorso? Questo album è stato importante e diverso, dato che ho voluto che l’incontro [fra i musicisti] si facesse direttamente in studio. Conoscevo musicalmente ciascuno di loro, ma non ci conoscevamo tutti. Volevo che ci fosse freschezza, che si sentisse l’eccitazione ed il piacere dell’incontro nella musica. Inoltre, si passa dal solo al quartetto. Mi piace molto quando le cose sono in continuo movimento. Il fatto di cambiare formula su alcuni titoli per me è stata una prova, così da poter davvero incontrare ciascun musicista in duo. Quest’album è come una foto, un’istantanea di musica. Ognuna delle prese di registrazione è stata realizzata esclusivamente in un’unica incisione, in modo da mantenere quella spontaneità, o anche quella fragilità. Sei titolare del gruppo Living Being con Parisien, Tony Paeleman al Fender Rhodes, Julien Herné al basso elettrico e Yoann Serra alla batteria: l’electric side di Vincent Peirani? Assolutamente sì! È il mio lato elettrico. Dirò di più, non ci sono praticamente composizioni in questo progetto. C’è solamente una rilettura, quella di un brano di… Michel Portal: sempre presente con me! In ogni caso, si tratta di un altro aspetto della mia personalità musicale. Mi sento vicino alla musica di “Thrill Box” tanto quanto a quella di Living Being, è in continuità. A parte quello con tua moglie, la vocalist Séréna Fisseau, porti avanti anche alcuni progetti classici, come quello con il violoncellista François Salque. In casi come questi, ti limiti a suonare nel modo classico o c’è spazio anche per qualcosa “fuori dal pentagramma”? Ci sono certi pezzi in repertorio che non oso toccare, ma in generale io, e pure François, cerchiamo di appropriarci dei brani e di farne delle nuove versioni, delle nostre versioni. Comunque, siamo obbligati ad adattarci dal momento che le composizioni precedenti al XX secolo in realtà non sono state scritte per violoncello e fisarmonica! Cosa ne è del tuo progetto in solo L’Ébruiteur? È ancora attivo e se sì quando ne farai un disco? Il mio progetto in solo è sempre in attività, riesco a fare una decina di concerti all’anno, che non è male. Sono felice di poter continuare quest’esperienza con me stesso. Il solo è un esercizio a volte estremamente esigente, ma permette pure grandissima libertà. È un esercizio che adoro praticare perché mi permette di provare nuove cose, di assumere dei rischi e di restare vivo! Per quanto riguarda un eventuale disco, arriverà, un giorno, ne sono certo: si sta a vedere quando.