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Semestrale di Informazione Medica
Tratto dal portale web www.cristinaselvi.it
Psichiatria . Psicoterapia . Omotossicologia
#2 |
Giugno 2014
Dottoressa Cristina Selvi
Medico Chirurgo, Psichiatra, Psicoterapeuta, Omotossicologa
Laurea del 1990 presso l’Università
Domicilio Professionale
. www.cristinaselvi.it
Statale di Milano.
Studio Psichiatria Integrata
. www.psichiatriaintegrata.it
Ordine Medici Milano n° 30878.
Piazza Gorini, 6 - Milano
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Elenco Psicoterapeuti n° 1000.
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realizzato da
DOTT.SSA CRISTINA SELVI
Medico Chirurgo . Psichiatra . Psicoterapeuta . Omotossicologa
Ordine Medici Milano n. 30878
Elenco Psicoterapeuti n. 1000
© Copyright 2012-2014 . dott.ssa cristina selvi . Tutti i diritti sono riservati
STUDIO PSICHIATRIA INTEGRATA
Milano - Piazza Paolo Gorini 6
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Tel 02. 97699214
SEMESTRALE DI INFORMAZIONE MEDICA
TRATTO DAL PORTALE WEB WWW.CRISTINASELVI.IT
STUDIO PSICHIATRIA INTEGRATA - GIUGNO 2014
ARGOMENTI: PSICHIATRIA . PSICOTERAPIA . MEDICINA OMOTOSSICOLOGICA
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DOTT.SSA CRISTINA SELVI
Psichiatra, Psicoterapeuta e Omotossicologa
formazione
H
o scelto di occuparmi di psichiatria abbastanza avanti nel mio corso di
studi, anche grazie all’incontro con una persona speciale che mi ha preso per mano e mi ha portato verso questo mondo.
Ho iniziato la mia professione occupandomi di ragazzi tossicodipendenti e lavorando presso strutture di ricovero, strutture residenziali e comunità terapeutiche
per pazienti affetti da gravi patologie .
Nel corso degli anni ho poi scelto di specializzarmi nella cura della Depressione
e dei Disturbi d’Ansia perché ho potuto constatare come in queste situazioni si
possa davvero aiutare il paziente a superare una situazione di grande sofferenza e
ritornare allo stato di benessere.
Nel corso della mia formazione e della mia professione ho sempre sentito la
necessità personale e la curiosità di andare a conoscere diversi paradigmi per la
comprensione della sofferenza psichica e psicologica e per le possibili strategie di
terapia. Questo mi ha portato a considerare la cura della persona che soffre come
un percorso di comprensione a vari livelli del disagio del singolo paziente in un
modello di Psichiatria Integrata che mi permetta di utilizzare e modulare gli interventi di cura in modo più flessibile e quindi più efficace.
dove svolgo la mia professione
S
volgo attività libero professionale a Milano presso il mio studio in Piazzale Gorini 6, come medico psichiatra per quanto concerne la terapia
farmacologica dei Disturbi d’Ansia e della Depressione integrando, dove
è possibile, l’approccio tradizionale con quello acquisito nell’ambito della Medicina
non Convenzionale, e come psicoterapeuta ad orientamento analitico, modulando
la mia pratica clinica con le conoscenze acquisite all’estero riguardanti le tecniche
cognitivo-comportamentali.
Lavoro inoltre come medico psichiatra presso la Comunità Terapeutica Teseo
del Crest di Milano. Questa struttura residenziale si occupa della cura e della
riabilitazione di pazienti inviati dai servizi e affetti da disturbi psichici quali
Schizofrenia, Disturbo Schizoaffettivo e Disturbo Bipolare.
© Copyright 2014
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dott.ssa Cristina Selvi
Milano - Piazza Gorini 6
Disclaimer • Questo periodico, in formato digitale e cartaceo, contiene una raccolta degli
articoli informativi tratti dal sito web www.cristinaselvi.it | www.psichiatriaintegrata.it.
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e/o soggetti terzi nè avere qualsivoglia intento pubblicitario.
I contenuti hanno un carattere puramente informativo e NON devono essere in
alcun modo interpretati come sostituenti la visita medica, ossia consigli, diagnosi,
prognosi e/o indicazioni di trattamento da parte di medici, operatori sanitari e specialisti, ai quali è sempre opportuno e doveroso fare riferimento per qualsivoglia
problema di salute.
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Copyright © 2012-2014 Dottoressa Cristina Selvi
Tutti i diritti sono riservati.
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della dott.ssa Cristina Selvi e sono distribuiti con una licenza Creative Commons di tipo CC BY-NC-ND 3.0.
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commerciale, se viene incluso questo box di copyright, il soprastante disclaimer e previa richiesta all’autore ([email protected]). Le immagini NON sono modificabili nè riproducibili nè redistribuibili.
Ulteriori permessi possono essere richiesti all’autrice via e-mail.
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a Giancristoforo Trogu
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Contenuti
Presentazione9
Introduzione11
Psichiatria14
Il Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD) 16
Gli Psicofarmaci nella terapia dell’ansia 20
I farmaci antidepressivi 24
Gli Psicofarmaci in Gravidanza 29
La Depressione nell’anziano 33
Psicoterapia37
Psicologo o Psichiatra, chi può aiutarmi? 39
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo 44
Il malato immaginario 48
Il Disturbo Evitante di Personalità 52
Omotossicologia56
L’Ignatia amara contro l’ansia 59
Vitamina D e Depressione 63
Un caso di depressione 67
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Presentazione
Lo Studio Psichiatria Integrata
è presente sul web
all’indirizzo
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Sul Portale Web
sono presenti sezioni infromative
in materia di Psichiatria, Psicoterapia e Medicina
Omotossicologica.
Lo Studio di Psichiatria Integrata si prefigge lo scopo di
proporre un modello efficace e completo d’intervento per
il disagio sia psicologico che psichico.
Nell’incontro con il paziente ciò che conta è riconoscere
l’origine della sua sofferenza. Il malessere scaturisce da un
insieme di fattori BIO-PSICO-SOCIALI e su tutti questi versanti deve indirizzarsi l’attenzione e la competenza
dello psichiatra, al fine di poter scegliere la corretta impostazione terapeutica.
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dott.ssa Cristina Selvi
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La dott.ssa Cristina Selvi, Psichiatra e Psicoterapeuta,
integra l’approccio psicologico a quello farmacologico, e
all’interno di questo propone sia l’utilizzo della terapia
tradizionale allopatica che un’impostazione innovativa
secondo il paradigma della Medicina non Convenzionale
applicata alla psichiatria, sempre comunque tenendo presenti le corrette indicazioni terapeutiche e le inclinazioni
personali del paziente.
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Presentazione 10
La dott.ssa Cristina Selvi scrive
settimanalmente
articoli informativi sul portale
online.
E’ possibile ricevere gli articoli
dello Studio Psichiatria Integrata
comodamente
nella tua casella
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stesso in cui vengono pubblicati.
Puoi cancellarti
dal servizio quando vuoi.
Introduzione
Ho desiderato un portale che rispecchi la caratteristica
della mia preparazione professionale, che ha spaziato nel
tempo dalla psichiatria medica alla psicoterapia anaLa dottoressa
Cristina Selvi,
Medico Chirurgo, si occupa
di Psichiatria,
Psicoterapia e
Medicina Omotossicologica a
Milano, in Piazza
Paolo Gorini 6.
Tiene aggiornata
settimanalmente
una Sezione di
Articoli Informativi sul Portale
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litica, all’approccio cognitivo fino a, più recentemente,
l’omotossicologia, anche questa applicata alla cura del
disagio psichico o psicologico. Potrebbe sembrare una formazione un po’ eclettica e in effetti lo è, sebbene nell’accezione più positiva del termine.
In realtà anch’io cercando le parole giuste per presentarmi
ho riflettuto su come abbia sempre soddisfatto il mio bisogno di apprendere più modelli di cura che mi permettesse-
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11
dott.ssa Cristina Selvi
Milano - Piazza Gorini 6
ro di declinare al meglio la mia professione e poter fornire
una risposta terapeutica più ampia e più adattabile alla
soggettività delle persone che portano i loro problemi alla
mia attenzione.
Non ritengo necessario sapere applicare tutte le cure e le
terapie, è però essenziale essere in grado di fare una diagnosi corretta e sapere consigliare al paziente il professionista che si possa occupare al meglio del suo problema.
Questo è quello che io mi prefiggo di fare quotidianamente
e vorrei che Psichiatriaintegrata diventasse un raccoglitore d’informazioni fornite da me, ma anche da altri colleghi che si occupano del disagio psicologico e che offrono
altri tipi di intervento, i quali possono essere combinati e
integrati, quando è necessario, con gli interventi più noti
e tradizionali.
Gli articoli che ho scritto nelle tre sezioni del sito web in
questi mesi scaturiscono in parte da interesse personale e
in parte da richieste che mi sono pervenute dai miei pa-
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Introduzione 12
zienti, oltre che dall’osservazione delle più frequenti patologie che incontro nella mia pratica clinica quotidiana.
Vorrei nel tempo sempre più affinare questo modello d’intervento integrato che valorizzi una conoscenza globale
della persona, del suo malessere e della cura, senza scivolare in approcci superficiali e non scientificamente fondati che spesso e giustamente sono causa di un giudizio
svalutativo su ogni approccio di terapia che non sia accademicamente ortodosso.
DOTTORESSA CRISTINA SELVI
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Introduzione 13
Il sito internet
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e fare la sua parte
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il riscaldamento
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Le emissioni derivanti dalle vostre
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se fatta da molti
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consapevolezza
e fare del bene
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soprattutto vi permette di navigare
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piena tranquillità!
SEZIONE I
Psichiatria
La Depressione, gli Attacchi di Panico e alcune forme di
Disturbo d’Ansia sono situazioni cliniche che richiedono
la prescrizione di una terapia farmacologica adeguata
che risolva o comunque permetta di attenuare in modo significativo i sintomi che disturbano il paziente. I farmaci
disponibili oggi sono molto più sofisticati di quelli di una
volta i quali erano altrettanto efficaci ma presentavano
un maggior numero di effetti collaterali e di controindicazioni.
14
dott.ssa Cristina Selvi
Milano - Piazza Gorini 6
La terapia medica dell’ansia e della depressione oggi si
basa su molecole molto evolute e selettive che risolvono,
nella maggioranza dei casi, la patologia. Una terapia prescritta nei modi e nei tempi corretti non da e non deve
dare alcun disturbo al paziente ma deve limitarsi a risol-
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riguardo agli ultimi articoli scritti
dalla dottoressa
Cristina Selvi
sull’argomento
Psichiatria tramite il Portale Web
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vere la sintomatologia. Purtroppo ancora troppo spesso
la terapia farmacologica dei disturbi psichiatrici subisce l’influenza negativa di antichi pregiudizi e soprattutto
dell’assenza di una corretta informazione.
Per questo il medico deve essere competente nel differenziare e diagnosticare correttamente quelle situazioni cliniche che, interferendo gravemente con la vita lavorativa
e personale del paziente, possono essere trattate con successo con i farmaci, associati eventualmente a seconda del
singolo caso, con una terapia di supporto psicologico.
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Psichiatria 15
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Il Disturbo d'Ansia
Generalizzato (GAD)
Il termine ansia è solitamente utilizzato per descrivere un’emozione negativa, uno
stato d’animo spesso reattivo a situazioni ambientali che ci spaventano o preoccupano. Quando l’ansia si aggrava può diventare un sintomo ed anche un vero e proprio
disturbo psichiatrico.
L’ansia può quindi essere fisiologica e avere una funzione protettiva, di allarme
ma può diventare tanto intensa da configurare una patologia.
Definiamo ansia fisiologica quella diretta verso un oggetto o una situazione reale
e potenzialmente difficile, sconosciuta o pericolosa, è un campanello di allarme che
ha lo scopo di attivare le risorse e le capacità dell’individuo al fine di superare la
difficoltà contingente.
Quando l’ansia diventa troppo intensa, o è diretta verso stimoli immaginari o
irrazionali, riduce le capacità personali di fare fronte alla situazione, tende a paralizzare l’azione e riduce la prestazione, diventa quindi patologica e va curata.
Cosa è il Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)
La diagnosi di Disturbo d’Ansia Generalizzato si fa quando le preoccupazioni e lo
stato ansioso sono presenti tutti i giorni, per la maggior parte del giorno e possono
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Psichiatria 16
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riguardare qualsiasi situazione, attività o evento che abbiano a che fare con la quotidianità della persona.
A differenza di ciò che accade nei disturbi fobici, la paura non è rivolta verso
uno specifico oggetto o una particolare situazione ma il soggetto vive uno stato di
preoccupazione continua, la sensazione di un pericolo imminente o che qualcosa
di negativo possa accadere nella propria vita o in quella dei propri cari. E’ quindi
un’ansia meno intensa di quella che è sperimentata durante un attacco di panico ma
è cronica nel tempo, rendendo impossibile per il soggetto rilassarsi ed essere sereno.
Lo stato di ansia continuo causa nella maggior parte delle persone un costante
nervosismo con irritabilità, tensione muscolare, stanchezza fisica, difficoltà di concentrazione e memoria e disturbi del sonno. Non sono rari i casi in cui viene riferita
sensazione di camminare in modo incerto e con un equilibrio poco stabile.
Più frequentemente le preoccupazioni riguardano fatti e abitudini che appartengono alla vita di tutti i giorni. Possono quindi riguardare il lavoro, le faccende domestiche, questioni di natura economica, così come piccole incombenze o appuntamenti.
Quali sono i sintomi del Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)
L’ansia psichica è accompagnata da sintomi dovuti all’attivazione del Sistema
Neurovegetativo, cioè quella parte del Sistema Nervoso che non è sotto il nostro
controllo cosciente e che innerva cute, muscoli, cuore, organi interni e le pareti dei
vasi sanguigni.
Ciò determina la comparsa di sintomi fisici come sensazione di freddo, bisogno
frequente di urinare (pollacchiuria), sudorazione eccessiva per lo più a livello dei
palmi delle mani, disturbi intestinali, “nodo alla gola” o mancanza d’aria, sensazioni
strane come testa vuota e capogiri, tachicardia, palpitazioni, piccole aritmie e ipertensione.
Molto frequentemente i pazienti riferiscono tensione muscolare localizzata soprattutto alle spalle e al collo, con dolori a livello cervicale anche dovuti alla tendenza, non consapevole, a serrare i denti.
Questo disturbo è piuttosto comune e colpisce maggiormente il sesso femminile,
circa il 60% dei malati sono, infatti, donne. Come in altri Disturbi d’Ansia è presente
una predisposizione famigliare a sviluppare la malattia, più frequente nei soggetti
che hanno un parente di primo grado affetto da Depressione o da Ansia.
Il Disturbo d’Ansia Generalizzato è tendenzialmente cronico, ha un andamento
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Psichiatria 17
oscillante nel tempo con periodi di maggiore benessere e, a volte, anche periodi di
remissione.
Certamente la comparsa o l’aggravamento del disturbo sono più probabili in momenti di transizione particolari della vita o in momenti di crisi caratterizzati dalla
necessità di fare scelte importanti.
Questo disturbo non causa solitamente compromissione grave dell’attività lavorativa o delle relazioni interpersonali, quanto un disagio soggettivo che è il motivo per
cui i pazienti richiedono l’aiuto del medico.
La terapia del Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD)
Il trattamento di questo disturbo dovrebbe prevedere l’integrazione di una terapia
farmacologica, protratta per qualche mese, con un trattamento di tipo non farmacologico, come la psicoterapia o pratiche che favoriscano il rilassamento.
E’ compito del medico psichiatra suggerire l’approccio più indicato per il singolo
paziente, in relazione alla gravità e alla entità dei sintomi esposti e rilevati durante
la visita.
I farmaci di elezione sono i Serotoninergici o SSRI, cioè molecole che agiscono
potenziando le vie nervose che usano il neuro-trasmettitore serotonina. Questi farmaci sono dotati di un’azione anti-ansia oltre al loro utilizzo come antidepressivi.
Nelle prime settimane della terapia è sempre necessario associare al farmaco principale una benzodiazepina, questo perché l’effetto ansiolitico non è immediato ma
richiede circa 4-6 settimane per comparire e consolidarsi e anche perché all’inizio i
sintomi ansiosi possono lievemente peggiorare.
La terapia a regime è solitamente ben tollerata e non dovrebbe determinare effetti
collaterali disturbanti, soprattutto se si adatta bene la scelta della molecola sul singolo paziente.
In alcune situazioni si possono utilizzare farmaci Beta-bloccanti che agiscono a
livello periferico, quindi su quelli che sono i sintomi somatici come il tremore, la
sudorazione, il rossore, le palpitazioni.
La terapia non farmacologica è altrettanto importante, soprattutto allo scopo di
rendere duraturi i risultati terapeutici dopo la sospensione del farmaco.
Le scelte possibili sono la psicoterapia psicodinamica o cognitivo-comportamentale, di gruppo o individuale. La scelta della forma di terapia psicologica più indicata
per il paziente dipenderà dal medico e da tutta una serie di valutazioni e approfondimenti che completano la conoscenza del paziente, del suo ambiente famigliare e
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Psichiatria 18
della sua vita presente e passata.
Attraverso la psicoterapia il paziente può indagare, conoscere e correggere quegli
aspetti psicologici disfunzionali che alimentano il suo sintomo ansioso.
Anche le Tecniche di Rilassamento sono oggi molto usate per curare, a lungo termine, alcune forme di ansia. Sono oramai moltissimi gli studi scientifici che confermano la validità di queste pratiche nel modulare la risposta agli stimoli che provocano stress, inducendo delle vere e proprie modifiche strutturali a livello del cervello.
L’ ottimo potenziale di quest’approccio sta anche nel fatto che è facile da apprendere ed è praticabile per conto proprio, a domicilio, risultando quindi anche economico.
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Psichiatria 19
Gli Psicofarmaci nella
terapia dell’ansia
L’ansia è uno stato emotivo noto a tutti, chiunque può sperimentare nella sua
esistenza situazioni o problemi che generano uno stato ansioso di preoccupazione
mentale e di disagio fisico. Può anche essere un sintomo, spesso presente in molte
forme cliniche di malattia psichiatrica o medica, ad esempio alcune forme di depressione sono accompagnate da evidenti sintomi ansiosi. Infine esiste il vasto capitolo
dei Disturbi d’Ansia nei quali, ovviamente, questo sintomo caratterizza il quadro
clinico, pur declinandosi in modi differenti.
La Classificazione dei Disturbi d’ansia
Disturbo da attacchi di panico;
Agorafobia;
Disturbo ossessivo-compulsivo;
Fobia sociale;
Disturbo post-traumatico da stress;
Disturbo d’ansia generalizzato;
Fobie e sindromi fobiche.
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Si è portati a credere che l’ansia si curi esclusivamente con i calmanti, invece i
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Psichiatria 20
farmaci a disposizione del medico per curare il sintomo ansia, o un vero e proprio
Disturbo d’Ansia, sono diversi:
le benzodiazepine;
gli antidepressivi;
gli antipsicotici;
gli anticonvulsivanti.
Le benzodiazepine nella terapia dei Disturbi d’ansia
Oggi parliamo delle Benzodiazepine. Questo è il nome scientifico di quei farmaci
che sono normalmente conosciuti come ansiolitici o calmanti. Questi farmaci hanno azione ansiolitica ma anche ipnoinducente, miorilassante e anticonvulsivante e
si utilizzano quindi anche in altre condizioni patologiche.
E’ un gruppo composto da molte molecole diverse, che, sebbene abbiano tutte
la stessa funzione, si differenziano per la durata di azione e cioè per il tempo che
rimangono nell’organismo una volta assunti.
La scelta tra le diverse benzodiazepine nella terapia dell’ansia
Si distinguono benzodiazepine ad emivita lunga, che vengono eliminate lentamente dall’organismo, svolgendo la loro azione anche per 24 ore (ad es. En, Valium,
Dalmadorm, Felison, Prazene), ad emivita intermedia (ad es. Xanax, Tavor, Lexotan) che vengono eliminate dall’organismo entro le 24 ore e ad emivita breve (ad es.
Lendormin, Minias) che svolgono la loro azione soltanto per poche ore.
L’emivita di un farmaco è un parametro molto importante che indica il tempo di
durata di azione di un farmaco nell’organismo e varia notevolmente da molecola a
molecola. Dall’emivita dipende non solo l’azione terapeutica ma anche gli eventuali
effetti collaterali indesiderati.
La scelta del farmaco più opportuno al singolo paziente e alla situazione clinica
che presenta prevede quindi delle conoscenze specifiche, anche perché il metabolismo dei farmaci può subire importanti modifiche in alcune situazioni. Ad esempio
alcuni di questi farmaci sono particolarmente controindicati negli anziani, nei quali
i fenomeni di accumulo sono più frequenti a causa del metabolismo epatico rallentato fisiologicamente dall’età e anche da eventuali altre terapie assunte. Anche per
i pazienti affetti da malattie epatiche o con alterata funzionalità del fegato e renale
vanno scelte molecole con un’emivita media o breve.
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Psichiatria 21
I possibili effetti indesiderati delle benzodiazepine, soprattutto quando non sono
adeguatamente dosate, sono sonnolenza, astenia, disturbi della memoria e rallentamento psico-motorio.
I meccanismi di azione delle benzodiazepine nella terapia dell’ansia
Le benzodiazepine agiscono potenziando l’azione di un neurotrasmettitore che si
chiama acido gamma-aminobutirrico o GABA e, fissandosi ai suoi recettori a livello
dei neuroni, svolgono effetto sedativo.
Le benzodiazepine rappresentano l’intervento sintomatico del fenomeno ansioso,
controllano sia i sintomi psichici sia quelli fisici dell’ansia. Sono più adatte nelle
forme di ansia acuta o anticipatoria, meno nelle forme di ansia cronica. L’utilizzo a
lungo termine va valutato con attenzione dal medico curante. Il dosaggio e la durata
del trattamento vanno individualizzate a seconda delle caratteristiche dell’ansia, di
quelle del paziente e monitorando la risposta clinica. A scopo indicativo possiamo
dire che un trattamento protratto per qualche settimana, purché monitorato, non
genera problemi.
L’utilizzo di questi farmaci è importante soprattutto nelle prime fasi del trattamento, quando è necessario ottenere un controllo sintomatico del disagio del paziente in attesa che altri farmaci svolgano la loro funzione. Questo perché i Disturbi
d’Ansia si curano con i farmaci Serotoninergici i quali però hanno una latenza di
azione di qualche settimana.
Gli effetti indesiderati delle benzodiazepine nella terapia dell’ansia
Molte persone a cui vengono prescritti questi farmaci temono il fenomeno della
dipendenza. Come per tutti gli psicofarmaci c’è molto allarmismo, pregiudizio e
mancanza di adeguata conoscenza e informazione. Va specificato che una terapia
prescritta con criterio, quando è necessaria, dosata attentamente e monitorata periodicamente non può arrecare danni ma deve portare solo benefici, inoltre non
causerà dipendenza, sempre se prescritta e assunta nel modo idoneo.
Ad ogni modo la sospensione del farmaco deve avvenire in modo graduale e deve
seguire dei criteri che dipendono dalla dose iniziale e dal tempo per il quale il farmaco è stato assunto, con queste accortezze non si avranno problemi di astinenza e
il paziente sarà in grado di sospendere la terapia senza particolari difficoltà. Eventuali piccoli disagi svaniscono nel giro di pochi giorni.
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Psichiatria 22
La sospensione brusca del farmaco, invece, può causare fenomeni di rebound
come irritabilità, ansia, insonnia, tremori, sudorazioni e tachicardia. Anche questi
comunque transitori e non pericolosi.
Un buon utilizzo di questi psicofarmaci è di grande sollievo per il paziente che
soffre di ansia e non può essere dannoso. Purtroppo capita spesso che queste medicine vengono utilizzate senza una prescrizione medica ma assunte per auto-somministrazione: in questo modo i possibili effetti indesiderati o i sintomi di astinenza e
la dipendenza sono più frequenti.
Le benzodiazepine possono provocare qualche lieve effetto indesiderato, più che
altro all’inizio della terapia. I più frequenti sono sedazione, sonnolenza, debolezza
muscolare, stanchezza fisica e diminuzione della memoria. Tutti questi effetti spariscono aggiustando la dose in base alla reattività individuale al farmaco, che è molto
variabile da soggetto a soggetto.
Le benzodiazepine sono farmaci molto maneggevoli e sicuri, anche l’intossicazione acuta da ingestione accidentale o volontaria non porta solitamente al decesso.
L’utilizzo incongruo di questi farmaci può invece di diventare pericoloso se vi è un
abuso concomitante di alcool o di altre sostanze che agiscono a livello del sistema nervoso centrale, come le sostanze stupefacenti assunte a scopo voluttuario. In
questi casi di poli-abuso possono essere inibiti alcuni importanti centri cerebrali,
soprattutto quelli che controllano la frequenza del respiro e ciò può portare a grave
pericolo per la vita a causa della depressione respiratoria.
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Psichiatria 23
I farmaci antidepressivi
A cosa servono gli antidepressivi
Questi farmaci, come indica il loro nome, sono utilizzati nella cura della depressione e della fase depressiva del disturbo bipolare. In verità sono molecole indispensabili anche nella terapia dei disturbi d’ansia. Gli attacchi di panico, il disturbo
ossessivo-compulsivo, l’agorafobia e la fobia sociale sono tutte forme di ansia che
devono essere curate con un farmaco antidepressivo. La regolazione del tono del
neurotrasmettitore serotonina ha, infatti, in aggiunta all’effetto antidepressivo, anche un potenziale ansiolitico, anti-fobico e anti-ossessivo.
Quali sono le classi più importanti di antidepressivi
Gli antidepressivi più utilizzati nella pratica medica, oggigiorno, sono i Serotoninergici o SSRI (inibitori del re-uptake della serotonina). Questi sono farmaci molto
maneggevoli che risolvono il più delle volte il quadro clinico. Nel caso in cui la
risposta a questi non sia sufficiente, si possono utilizzare antidepressivi triciclici,
ambedue queste classi di farmaci sono molto efficaci. Si predilige iniziare con i serotoninergici in quanto sono molecole di formulazione più recente che solitamente
generano meno effetti collaterali e hanno poche controindicazioni.
Esistono anche antidepressivi che agiscono sia sulla serotonina sia sulla noradre-
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Psichiatria 24
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nalina, chiamati SNRI (inibitori del re-uptake di serotonina e noradrenalina), di
cui il più noto è la Venlafaxina, antidepressivo anch’esso molto valido ed efficace, se
prescritto nelle giuste situazioni e al dosaggio corretto.
In passato venivano usati anche altri tipi di farmaci a scopo antidepressivo ma il
loro uso oggi è stato quasi completamente abbandonato, tra questi gli inibitori delle
monoamino-ossidasi o IMAO, oramai in disuso per gli affetti collaterali e le possibili interazioni dannose, anche con alcuni cibi.
Come funzionano gli antidepressivi
Gli antidepressivi svolgono la loro azione terapeutica modulando e potenziando
la disponibilità di alcuni neurotrasmettitori nello spazio inter-sinaptico, cioè in quel
minuscolo spazio che divide un neurone dall’altro. Per aumentare la disponibilità di
neurotrasmettitore utilizzano meccanismi differenti: possono influire sul rilascio,
sul catabolismo, sulla ricaptazione e sull’attività del neurotrasmettitore. Gli SSRI, ad
esempio, agiscono potenziando la trasmissione serotoninergica attraverso il blocco
della ricaptazione della serotonina, lasciandone quindi una quantità maggiore a disposizione nello spazio tra una cellula nervosa e l’altra. Si intende per re-uptake il
riassorbimento della molecola all’interno del neurone. I triciclici agiscono inibendo
la ricaptazione di serotonina ma anche di adrenalina e dopamina.Gli IMAO, invece, agiscono inibendo l’azione degli enzimi che catabolizzano e cioè distruggono la
molecola di neurotrasmettitore.
I neurotrasmettitori implicati nella genesi della depressione e dei disturbi d’ansia
sono diversi, modulare il tono di un neurotrasmettitore spesso influisce indirettamente sugli altri, alla fine si ottiene un buon equilibrio che porta alla risoluzione del
quadro clinico.
Quanto tempo è necessario per sentire l’effetto antidepressivo
La caratteristica tipica di questi farmaci è di avere un tempo di latenza, cioè un
certo numero di giorni necessari prima di poter avvertire l’effetto desiderato. E’ perciò molto importante informare il paziente che la terapia antidepressiva non ha un
effetto immediato. Questi farmaci iniziano a dare i primi benefici in un periodo
che va dalle due alle quattro settimane nella Depressione ma può essere anche più
lungo nei Disturbi d’Ansia. Il paziente informato adeguatamente sarà più motivato
a tollerare questo periodo di latenza senza preoccupazione. A volte può essere utile
supportare il paziente, nelle prime fasi della terapia, con farmaci ad azione ansioliti-
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Psichiatria 25
ca o per favorire il sonno, che è spesso disturbato in queste situazioni.
E’ buona regola rivedere il paziente a breve, dopo la prima prescrizione del farmaco, per valutare gli effetti collaterali e la risposta clinica e comunque fino a che il
quadro clinico non sarà del tutto risolto. In seguito le visite potranno essere diradate
nel tempo.
Quali effetti collaterali possono causare gli antidepressivi
Gli effetti collaterali più fastidiosi si manifestano solitamente all’inizio della terapia e tendono a regredire dopo il periodo di latenza necessario per avere l’effetto
desiderato, quindi circa da 2 a 4 settimane. Inizialmente il paziente potrebbe riferire
una leggera nausea e un lieve aumento dell’ansia. Questi effetti sono del tutto transitori e sono ben controllati se le dosi vengono aumentate con gradualità e il farmaco
viene assunto a stomaco pieno.
Effetti collaterali più duraturi possono essere la stipsi, l’aumento del peso corporeo, che è più frequente con alcune molecole e più raro con altre, il ritardo dell’eiaculazione. Nei soggetti con un’ipertrofia prostatica ancora non sintomatica ci può
essere una maggiore difficoltà alla minzione. Altri possibili effetti sono l’ipotensione
ortostatica e soprattutto con la venlafaxina un aumento della pressione arteriosa.
Con i farmaci triciclici è possibile avere una riduzione della produzione di saliva e
quindi secchezza a livello della mucosa della bocca.
Alcuni farmaci che hanno un profilo più sedativo possono causare una sensazione di sonnolenza diurna. E’ necessario precisare che la giusta terapia non deve causare affetti collaterali disturbanti nella quotidianità del paziente, per questo motivo è
importante monitorare che il singolo soggetto tolleri la terapia prescritta nelle prime
fasi. Un eccesso di effetti collaterali può significare che quel paziente non sopporta
quella specifica molecola e impone al medico di modificare la terapia. Questo è
un’evenienza abbastanza comune, di facile riconoscimento e gestione per il medico
specialista.
Quanto deve durare la terapia con gli antidepressivi
E’ importante che la terapia con antidepressivi venga prescritta al dosaggio corretto, non troppo alto da indurre effetti collaterali ma nemmeno troppo basso, con
il rischio di non ottenere l’effetto desiderato. Inoltre la cura deve essere protratta
per il giusto tempo, anche dopo la risoluzione del quadro clinico. Soltanto in que-
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sto modo si possono avere risultati e mantenerli nel tempo. L’episodio depressivo
si deve risolvere completamente altrimenti è più probabile una ricaduta. La terapia
andrà proseguita per alcuni mesi e quindi ridotta per un periodo di mantenimento.
Dopo la fase di attacco acuta e il mantenimento si potrà concludere la terapia,
avendo cura di ridurre il farmaco seguendo i criteri clinici per non esporre il paziente ai sintomi da sospensione.
Gli antidepressivi possono essere assunti insieme ad altri farmaci
Nella pratica clinica è molto comune prescrivere antidepressivi a pazienti che
stanno già assumendo terapie farmacologiche per altre patologie. Frequentemente
i pazienti assumono farmaci, quotidianamente, per il controllo della pressione arteriosa o per problemi cardiaci.
Altre patologie per le quali i pazienti sono spesso già in terapia sono l’ipertrofia
della prostata, il glaucoma oculare, l’aumento dei livelli di glicemia o di colesterolo.
Ovviamente il medico deve indagare ed essere informato adeguatamente sulla presenza di eventuali patologie o terapie già assunte dal paziente. In linea di massima
le controindicazioni assolute sono molto poche. La terapia con più farmaci contemporaneamente può essere effettuata comunemente, scegliendo la molecola più
adatta e monitorando attentamente i dosaggi del farmaco e gli effetti terapeutici o
collaterali del singolo paziente.
Eventuali terapie che dovessero rendersi necessarie durante l’assunzione dell’antidepressivo non solo solitamente controindicate, ad esempio antinfiammatori, antipiretici o antibiotici.
Gli antidepressivi possono essere assunti in gravidanza
Durante la gravidanza vale la regola di utilizzare il minor numero di farmaci possibile. E’ anche vero però che alcune situazioni di ansia e di depressione possono essere tanto intense da risultare a loro volta problematiche per lo svolgimento naturale
della gravidanza, del parto e per la formazione di un buon legame tra la mamma e il
suo bambino. Sarà quindi il medico specialista a valutare le situazioni in cui l’utilizzo del farmaco è adeguato e necessario. Gli studi più recenti segnalano che seguendo
alcuni semplici criteri di sicurezza la terapia non determina danno al nascituro.
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Chi deve prescrivere gli antidepressivi
Gli antidepressivi possono e devono essere prescritti soltanto da un medico. Se
il medico di base ha una competenza in questo senso, potrà consigliare il paziente
sulla terapia adatta, oppure sarà sempre il medico di base a fare da primo filtro, riconoscendo la presenza di un disturbo depressivo o ansioso e indirizzando il paziente
verso lo specialista psichiatra.
E’ necessario eseguire controlli prima o durante l’assunzione di antidepressivi
E’ buona norma eseguire un elettrocardiogramma e la valutazione degli esami
ematici di routine, in particolare la funzionalità epatica e renale, una volta all’anno.
Queste precauzioni sono più che sufficienti e si rendono soprattutto necessarie nei
soggetti anziani. Quando per la terapia si utilizzano antidepressivi triciclici va sempre eseguito un controllo elettrocardiografico annuale.
Come si sospende la terapia con gli antidepressivi
Seguendo alcuni semplici principi la sospensione di questi farmaci non deve
generare problemi al paziente. La prima regola è sicuramente quella di ridurre il
farmaco in modo graduale. La sospensione inoltre, non dovrebbe mai avvenire durante i cambi di stagione, specialmente in primavera e in autunno o se il paziente sta
attraversando un momento complesso della propria esistenza come ad esempio un
cambio di lavoro, un trasloco o difficoltà personali o relazionali.
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Gli Psicofarmaci
in Gravidanza
L’utilizzo di una terapia con farmaci antidepressivi può rendersi a volte necessaria
durante la gravidanza. Questo accade soprattutto nelle donne che hanno già avuto
episodi depressivi importanti nella loro vita o, più raramente, per la comparsa di
depressione proprio durante la gestazione.
Gli studi più recenti sono rassicuranti rispetto alla possibilità di curare la
depressione farmacologicamente in questo particolare periodo della vita.
Nell’ultimo decennio le conoscenze scientifiche su questo tema sono migliorate e
si è passati da un atteggiamento giustamente molto cauto a una gestione più sicura
della donna depressa in gravidanza e la prescrizione di farmaci per la depressione
può non essere dannosa, se viene effettuata secondo precisi criteri. Queste terapie
vanno comunque riservate ai casi di vera necessità e permettono una gravidanza
non solo più serena ma anche più sicura e un post-partum privo di rischi.
Valutazione dei rischi e dei benefici
La decisione di prescrivere un antidepressivo deve basarsi su una corretta
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Psichiatria 29
valutazione dei rischi e dei benefici, ricordando che, se è bene non esporre il feto
alla possibile azione dannosa di sostanze farmacologiche, è altrettanto accertato che
una gravidanza vissuta durante un periodo di importante depressione può avere
conseguenze dannose per il bambino stesso, oltre che per la madre e per la loro
futura relazione, da cui deriva uno sviluppo psichico e fisico sano del bambino.
Come per le altre forme depressive la causa scatenante è di tipo bio-psico-sociale, ciò significa che la depressione può scatenarsi per fattori di tipo biologico,
in associazione o meno con fattori ambientali e personali, anche se solitamente
nelle forme gravi che richiedono terapia farmacologica i fattori neurobiologici sono
preponderanti.
Il primo paramento da considerare è la gravità della depressione, cioè l’entità dei
sintomi riferiti dalla paziente ma anche dei segni valutati dal medico psichiatra
durante la visita. Forme di lieve o moderata entità, soprattutto se non vi è una
storia pregressa di depressione, possono essere trattate con terapie di supporto
psicologico. Nelle forme severe o ricorrenti, fortunatamente più rare, il trattamento
farmacologico si rende necessario.
Fattori da considerare nell’utilizzo degli psicofarmaci in gravidanza
Se l’utilizzo del farmaco si rende indispensabile, bisogna considerare alcuni
fattori importanti che avvengono nell’organismo della donna durante la gravidanza
e che portano alla momentanea modifica del metabolismo dei farmaci. Durante la
gestazione si raggiunge, infatti, una maggiore concentrazione di farmaco plasmatico,
a parità di dosaggio assunto.
Inoltre bisogna valutare la possibilità del passaggio di una sua parte nel sangue
fetale attraverso il filtro placentare e le conseguenze che possono derivare al bambino.
Esistono sostanzialmente due tipi di possibili effetti dannosi da considerare: il rischio
di malformazioni (teratogenesi) e gli eventuali effetti tossici che possono essere
indotti nel bambino. Ovviamente questi sono proporzionali al dosaggio del farmaco
assunto e anche alla durata del trattamento, parametri su cui il medico dovrà vigilare
con attenzione valutando la paziente e il quadro clinico con la frequenza adeguata.
In linea generale i rischi di malformazione sono più probabili nei primi tre mesi
di gravidanza, periodo in cui avviene la formazione degli organi e degli apparati,
mentre negli ultimi mesi prevalgono i rischi legati agli effetti sul bambino, come
anche i sintomi da astinenza dopo la nascita.
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In ultimo non va trascurata la grande importanza del monitoraggio di una donna
in gravidanza che abbia avuto nella sua vita episodi di Depressione Maggiore poiché
la probabilità di sviluppare una depressione post-partum è decisamente più elevata.
Criteri di scelta e monitoraggio durante la terapia
Nella depressione si utilizzano diverse classi di farmaci: antidepressivi triciclici,
serotoninergici, benzodiazepine e stabilizzanti del tono dell’umore come i sali di
litio, l’acido valproico e la carbamazepina. Alcuni sono sicuramente controindicati
in gravidanza altri invece non hanno dimostrato problematiche statisticamente
significative rispetto alle donne che non assumono terapia. In particolare, gli
antidepressivi serotoninergici non hanno dimostrato rischi rilevanti.
La somministrazione del farmaco deve avvenire solo nei casi più gravi, per il
minor tempo possibile e al dosaggio minimo efficace. Possibilmente è preferibile
una terapia con un solo farmaco, evitando le poli-terapie che invece si utilizzano
spesso per risolvere l’Episodio Depressivo.
Inoltre, l’attento e frequente monitoraggio ecografico e dei paramenti fetali e
materni, può fornire informazioni importanti al medico ginecologo e allo psichiatra
sull’andamento della gravidanza e sullo sviluppo del bambino, al fine di decidere
rispetto alla terapia ed anche per rassicurare la mamma.
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La Depressione
nell’anziano
La depressione nei soggetti di età superiore ai 65-70 anni è un evento piuttosto
frequente ed è importante che venga diagnosticata e curata senza minimizzare il
quadro clinico.
Dai dati risulta, purtroppo, che solo una percentuale molto bassa di questi depressi riceve una diagnosi e un trattamento adeguati, intorno al 10%. Ciò è dovuto
al fatto che la depressione nell’anziano è spesso caratterizzata da sintomi fisici più
che psichici, e questo fatto limita la percentuale dei pazienti che ricevono un reale
aiuto di tipo specialistico psichiatrico. Molti di loro affollano lo studio del medico
di famiglia, segnalando una serie interminabile di sintomi o timori che riguardano
il funzionamento del corpo.
Invecchiamento e depressione
L’invecchiamento è quasi invariabilmente associato dalla comparsa di patologie
e alla riduzione di efficienza e di forza fisica e anche da un fisiologico indebolimento delle funzioni cognitive, tra cui soprattutto la memoria. Numerosi cambiamenti
come il pensionamento, l’allontanamento dei figli dal nucleo famigliare, la vedovanza, rappresentano eventi di vita importanti e stressanti che possono causare timori
di solitudine e tristezza. Ciò nonostante la Depressione Maggiore non va considerata come una normale evoluzione dell’invecchiamento, non va intesa come la fisiolo-
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gica conseguenza dei problemi fisici, relazionali e sociali che possono insorgere con
il passare degli anni.
La terapia farmacologica ben impostata non solo può risolvere la depressione
ma è importante perché la presenza di un quadro depressivo influenza il decorso di
altre possibili patologie fisiche e anche la motivazione del paziente ad assumerne i
medicamenti in modo preciso e regolare.
Inoltre, il rallentamento psichico, fisico e motorio che si associa normalmente
alla depressione è particolarmente deleterio nell’anziano in quanto le possibilità di
ripresa son ridotte e il recupero è spesso più lento e incompleto.
Depressione, deterioramento cognitivo e comorbidità nell’anziano
Gli anziani quasi invariabilmente soffrono di altre patologie internistiche in
trattamento farmacologico, come ad esempio ipertensione, diabete, problemi cardio-vascolari, ipertrofia della prostata o malattie oculari come il glaucoma. Questo
impone al medico di valutare con attenzione eventuali controindicazioni all’utilizzo
del farmaco antidepressivo e di individuare quali molecole non interferiscano con
quelle già assunte dal paziente.
Inoltre, a volte, il paziente anziano può già presentare un certo grado di deterioramento cognitivo, legato ad alterazioni cerebrali e disturbi vascolari. Sono possibili
situazioni para-fisiologiche più sfumate, fino a situazioni più francamente orientate
verso un deterioramento patologico delle funzioni di memoria e concentrazione,
anche per questo motivo è importante valutare il profilo del farmaco prescritto in
modo da non influire ulteriormente sulle capacità cognitive già compromesse.
Trattamento della depressione nell’anziano
I farmaci antidepressivi di ultima generazione (SSRI o serotoninergici) sono i
più indicati nel trattamento della depressione nell’anziano perché le loro proprietà
li rendono maneggevoli per quanto riguarda il profilo degli effetti collaterali, delle
controindicazioni e delle interazioni con gli altri farmaci eventualmente già assunti
dal paziente.
Soltanto in un secondo momento, se la risposta clinica non è adeguata, il medico
valuterà la prescrizione di un antidepressivo di classe differente come i Triciclici.
Questi sono farmaci molto noti e molto efficaci, purtroppo alcune volte non adatti
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Psichiatria 34
nell’anziano per la concomitanza di patologie che ne controindicano l’utilizzo.
Certamente col passare degli anni l’organismo va incontro ad un rallentamento
fisiologico dei processi metabolici a livello epatico e l’escrezione renale può essere
anche rallentata. Per questo motivo i pazienti anziani tendono ad essere maggiormente esposti al rischio di effetti tossici e la terapia va iniziata a dosaggi bassi e
aumentata con cautela, valutando il risultato terapeutico e la eventuale comparsa di
effetti collaterali.
Questi effetti sono dovuti al fatto che il farmaco non è attivo solo sui neurotrasmettitori e i recettori implicati nella comparsa della depressione ma anche su altri
gruppi di recettori che sono responsabili degli effetti indesiderati.
Gli studi stanno, infatti, cercando sempre più di creare molecole efficaci sempre
più selettive sui recettori responsabili dell’effetto terapeutico.
Le caratteristiche cliniche e sintomatologiche della depressione nell’anziano possono differire da quelle nel soggetto adulto, spesso il quadro clinico tende ad avere
delle manifestazioni atipiche. Innanzitutto vi è una percentuale alta di forme cosiddette subcliniche o sub-sindromiche, difficili da riconoscere ma che possono
purtroppo complicare anche il decorso delle malattie fisiche concomitanti, se non
curate.
Nell’anziano sono particolarmente frequenti i sintomi ansiosi, l’agitazione psichica con ideazione ipocondriaca e l’insonnia. A volte, anzi, rappresentano gli unici
problemi lamentati dal paziente. Frequentemente sono riferiti dolori che non possono essere spiegati con alterazioni a livello anatomico. Una delle sedi più frequenti
del dolore sono gli arti inferiori, a questo si associano sensazione di forte debolezza
muscolare e problemi di deambulazione ed equilibrio. Altre manifestazioni tipiche
sono quelli della sfera cognitiva e cioè disturbi dell’attenzione, della concentrazione
e soprattutto della memoria.
Frequenti le preoccupazioni fobiche per le proprie funzioni fisiche, come il ritmo
sonno-veglia, i battiti cardiaci, l’evacuazione e, appunto, la deambulazione.
La Pseudo-demenza Depressiva è una forma particolare di depressione dove prevalgono i deficit cognitivi che scompaiono quando l’antidepressivo risolve il disturbo dell’umore sottostante.
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Psichiatria 35
Viceversa i sintomi depressivi possono rappresentare le prime manifestazioni
all’esordio di una forma di demenza degenerativa.
In questi casi, in cui la diagnosi differenziale è essenziale ai fini dell’impostazione
terapeutica, è di grande importanza la collaborazione tra medico psichiatra e neurologo e la valutazione attraverso i test neuro-psicologici.
La terapia della depressione nell’anziano rappresenta a volte una sfida per il clinico.
Il tessuto del sistema nervoso, come tutti gli altri tessuti ed organi del corpo, va
incontro con il passare degli anni a modifiche anatomiche micro e macroscopiche,
ciò rende a volte il farmaco meno efficace nel risolvere la sintomatologia, mentre gli
effetti avversi si possono presentare con maggiore frequenza.
Concludo ribadendo che, nonostante le difficoltà nella diagnosi e nella terapia, è
sempre determinante approfondire, in ambiente specialistico, se dietro agli aspetti
ansiosi e psico-somatici che gli anziani spesso lamentano sia presente un quadro di
depressione che andrà eventualmente sempre curato, pur con le dovute attenzioni.
Se a volte non sarà possibile la completa risoluzione del quadro clinico, spesso una
terapia ben condotta riduce notevolmente le sofferenze del paziente, sollevando e
aiutando così anche il contesto familiare che si deve occupare di lui.
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SEZIONE II
Psicoterapia
Il termine psicoterapia indica, in senso ampio, una modalità di cura che si basa sull’incontro tra due individui
e che utilizza la parola e la comunicazione interpersonale,
in un clima di alleanza terapeutica, per affrontare le difficoltà che il paziente porta alla attenzione del terapeuta.
Esistono diversi modelli di psicoterapia.
La Psicoterapia Psicodinamica agisce sul profondo e su
aree inconsce del mondo psichico permettendo alla persona una più profonda conoscenza di sé, una maggiore consapevolezza del proprio disagio psicologico e delle
sue origini. Mira a sviluppare un cambiamento stabile e
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dott.ssa Cristina Selvi
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strutturale che sostenga a lungo termine e risolva i conflitti psicologici alla base della sofferenza.
La Psicoterapia Cognitivo – Comportamentale si indirizza maggiormente ad una modulazione dei sintomi at-
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Cristina Selvi
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Psicoterapia
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traverso un approfondimento di modelli di pensiero e di
comportamento che sono disfunzionali, analizza inoltre
lo stile relazionale della persona e le emozioni negative
che da esso derivano al fine di sviluppare migliori capacità interpersonali.
Personalmente ritengo che, a parte alcuni specifici casi,
debba esistere uno spazio di flessibilità tecnica che permetta di comprendere quali sono le vere esigenze del paziente in ogni momento del percorso di cura e quale tipo
di approccio egli sia in grado di utilizzare con efficacia
per il cambiamento verso il ben-essere.
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Psicologo o Psichiatra,
chi può aiutarmi?
Spero con questo breve articolo di potere essere di aiuto a chi si trova a vivere un
momento delicato della sua vita, in cui ritiene di avere bisogno, o di desiderare, un
aiuto per superare una difficoltà di ordine psicologico.
Credo sia un’esperienza comune non sapere a quale dei diversi specialisti sia opportuno rivolgersi. “Meglio lo psicologo o meglio lo psichiatra? E lo psichiatra non
sarà forse un po’ troppo, il medico dei matti. Forse sarebbe giusto che io mi rivolga
al neurologo?”. Questi dubbi sono molto frequenti e anche legittimi perché c’è ancora poca informazione e, per le persone non addette ai lavori, non è facile conoscere
i dettagli che caratterizzano gli specialisti della salute mentale.
I professionisti che si occupano di aiutare le persone in queste circostanze sono
diversi e ciascuno di loro ha svolto un percorso formativo con peculiarità uniche,
che sono proprie della specifica professione. Essi dispongono di conoscenze tecniche diverse attraverso le quali aiutano, sostengono o curano chi vive un disagio
della sfera psicologica, emotiva o psichica.
Sono figure complementari, ciascuna ha cioè una sua area di competenza che può
integrarsi a quella di un’altra, ma mai sostituirsi.
Personalmente ritengo che ognuno di questi specialisti debba essere in grado di
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orientare la persona che si rivolge per un aiuto, cioè di ascoltarla e indirizzarla verso
il professionista che utilizza il metodo di cura più adatto per quel singolo paziente.
Ognuna di queste figure professionali dovrebbe essere quindi capace di riconoscere chi soffre di una problematica psichica, che va affrontata attraverso la prescrizione di una cura farmacologica o chi invece necessita di un approccio psicologico
o psicoterapeutico.
Innanzitutto sgombriamo il campo da alcune credenze profondamente inesatte
da un punto di vista scientifico e terapeutico. Psicologo, psicoterapeuta, neurologo o
psichiatra non sono professioni intercambiabili. Il procedimento di scelta del giusto
professionista deve partire innanzitutto da un dato imprescindibile e importantissimo: la DIAGNOSI.
Intendo, in questo contesto, il termine nel modo più ampio: può essere l’atto di
rilevare la presenza di una malattia psichiatrica come la Depressione, il Disturbo da
Attacchi di Panico o la Fobia Sociale, il Disturbo Bipolare o altre condizioni psicopatologiche di pertinenza medico-psichiatrica ma può essere anche inteso come il
fare chiarezza e approfondire il contesto relazionale e i motivi che stanno alla base
del disagio del paziente, inteso come colui che soffre, anche quando non è presente
una malattia vera e propria.
Dopo questa importante premessa cerchiamo di mettere in evidenza le differenze
e le peculiarità di ciascuna professione.
Lo Psicologo
Lo Psicologo è un laureato in Psicologia che ha svolto il tirocinio pratico della durata di un anno e ha superato l’esame di stato. Solo dopo questi passaggi il laureato in
psicologia è abilitato all’esercizio della professione di Psicologo. Può svolgere la sua
attività nelle scuole, nelle aziende o in ambito sportivo. Si può occupare di diagnosi,
sostegno e prevenzione o consulenze in situazioni di crisi o di cambiamento, quando però non sia evidente uno stato di psicopatologia. Lo psicologo svolge anche
attività di ricerca o di didattica. Un successivo percorso di studi e di preparazione
professionale permette a chi è psicologo di diventare Psicoterapeuta ed esercitare
quindi la Psicoterapia.
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Psicoterapia 40
Lo Psichiatra
Lo Psichiatra può essere esclusivamente un laureato in Medicina e Chirurgia, che
ha superato l’esame di stato ed è iscritto all’Ordine dei Medici. Può essere specializzato in Psichiatria o avere acquisito la specifica di Psichiatra attraverso un percorso
di attività clinica e di formazione valutato e riconosciuto dall’Ordine dei Medici.
Lo psichiatra è l’unica figura professionale che ha la competenza e il titolo per
prescrivere i farmaci specifici per curare i Disturbi d’Ansia, la Depressione, il Disturbo Bipolare, la Schizofrenia o altre situazioni cliniche che richiedano una terapia
farmacologica.
Essendo un medico, lo psichiatra, può inoltre diagnosticare quelle situazioni in
cui i sintomi depressivi o ansiosi sono secondari a problemi tiroidei o di origine
cardiaca o altre patologie mediche che possono generare sintomi di tipo psichico.
Lo psichiatra, secondo il suo orientamento (biologico/dinamico) e dell’approccio
di cura che ha scelto, potrà curare con farmaci o con la psicoterapia. Ovviamente
può anche avere completato una preparazione specifica in ambedue queste discipline. Potrà inoltre avvalersi della collaborazione di un collega psicoterapeuta nel caso
non eserciti lui stesso questa professione.
Lo Psicoterapeuta
Possono diventare Psicoterapeuti i laureati in Medicina e Chirurgia o in Psicologia che abbiano superato i rispettivi esami di stato e siano iscritti ai relativi Ordini
Professionali. Ambedue devono avere anche terminato un percorso di preparazione
professionale, teorica e pratica, che comprende anche l’avere terminato un periodo
di terapia personale, chiamata Analisi Didattica, allo scopo di conoscere e risolvere
i propri conflitti psicologici o le proprie difficoltà, facendo un’esperienza diretta del
lavoro di analisi. Inoltre è previsto che, per un certo periodo, lo psicoterapeuta in
formazione condivida con un collega più esperto la valutazione di alcuni casi clinici,
in gergo si chiama supervisione dei casi clinici. Ovviamente le supervisioni possono
poi continuare o rendersi necessarie in alcuni momenti della propria pratica clinica
e questo spesso avviene nei casi in cui, durante la terapia, si creino dinamiche o difficoltà sulle quali il terapeuta desidera confrontarsi. La richiesta di supervisioni non
è segno di scarsa capacità professionale ma anzi è indice di serietà ed è una prassi
comune che contraddistingue un professionista attento e responsabile. Esiste presso
gli Ordini professionali un Elenco degli Psicoterapeuti attraverso il quale è possibile
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Psicoterapia 41
saper se il professionista cui ci si rivolge possiede il titolo di Psicoterapeuta.
Esistono diversi orientamenti di psicoterapia che differiscono per il loro costrutto
teorico e per gli aspetti tecnici della pratica clinica e ciascuno dei quali ha indicazioni precise.
Lo Psicoanalista
Lo Psicoanalista è a tutti gli effetti uno psicoterapeuta. La distinzione riguarda,
in parte, la cornice della terapia, quella che viene definita come setting e cioè il numero di sedute settimanali e la durata della terapia, che sono solitamente maggiori
nella psicoanalisi. Inoltre il paziente spesso è sdraiato sul lettino invece che seduto
di fronte al terapeuta. Differisce anche per alcune modalità tecniche che sarebbe
troppo complesso da spiegare in questa sede. Lo psicoanalista applica una forma
più complessa di psicoterapia che indaga soprattutto i conflitti inconsci del paziente.
Ciò non significa che la psicoanalisi sia più efficace di altre forme di psicoterapia ma
vale il principio enunciato prima, ogni forma di terapia va valutata attentamente in
base alle indicazioni per quel singolo individuo e il problema che sta vivendo.
Anche lo psicoanalista deve sottoporsi alla sua Analisi personale Didattica.
Il Neurologo
Il Neurologo è un laureato in Medicina e Chirurgia, specializzato in Neurologia.
Si occupa di patologie in cui vi è un’alterazione organica e non solo funzionale del
Sistema nervoso Centrale o Periferico.
Le più note patologie di pertinenza neurologica sono: le Cefalee, l’Epilessia, i Disturbi della Memoria, le Demenze senili, il Morbo di Parkinson, il Morbo di Alzheimer, la Sclerosi Multipla e patologie vascolari come ictus e la Demenza su base
vascolare. Tutte quelle situazioni in cui i sintomi sono causati da alterazioni anatomiche del tessuto nervoso e dei nervi.
A volte il medico neurologo può trattare anche patologie di pertinenza psichiatrica come la Depressione o i Disturbi del Sonno.
Ciò è dovuto al fatto che, fino ad alcuni anni fa, esisteva la specialità di Neuropsichiatria chencomprendeva sia lo studio delle patologie oggi di pertinenza neurologica che quelle di pertinenza psichiatrica.
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Psicoterapia 42
Attualmente, invece, i due percorsi di studio sono distinti anche se qualche specialista neuropsichiatra può essere esperto nella cura dei disturbi psichiatrici.
Inoltre persiste ancora una diffusa resistenza a rivolgersi al medico psichiatra che
viene erroneamente considerato lo specialista che cura soltanto le situazioni più gravi di disagio psichico, come le psicosi schizofreniche.
In alcuni casi, invece, può essere importante la collaborazione tra neurologo e
psichiatra nella fase di diagnosi, poiché esistono patologie neurologiche che esordiscono con sintomi della sfera psichica e, al contrario, una forma particolare di
depressione nota come Pseudodemenza depressiva, che pur mimando i sintomi di
una demenza senile è una malattia di pertinenza psichiatrica.
Basandosi sulla oramai accertata ipotesi BIO-PSICO-SOCIALE dei disturbi psicologici e psichiatrici, possiamo concludere affermando che, nella maggior parte
dei casi, un intervento integrato di psicoterapia associata ad una adeguata terapia
farmacologica rappresenta l’approccio di cura più efficace e risolutivo.
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Il Disturbo Ossessivo
Compulsivo
Cosa è il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC)
Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo è un disturbo d’ansia caratterizzato dalla presenza di sintomi chiamati ossessioni e compulsioni. A causa della loro intensità e
frequenza questi disturbi causano un importante e grave disagio soggettivo e interferiscono con lo svolgimento normale delle attività quotidiane, influenzando negativamente il funzionamento sociale, familiare e lavorativo.
Le Ossessioni sono idee, pensieri o immagini che compaiono alla mente del paziente in modo improvviso e involontario, causando un profondo disagio sia per la
loro intrusività sia, a volte, per il contenuto che può essere fonte di imbarazzo o paura. Alcuni esempi possono essere il timore ossessivo di essere contaminati toccando qualcosa o qualcuno, la paura di aggredire qualcuno o di non poter controllare
l’impulso di dire parole oscene in pubblico, immagini o pensieri a sfondo sessuale
ricorrenti e non desiderati.
Le Compulsioni sono comportamenti maniacali e azioni ripetitive alle quali il paziente non può resistere se non sperimentando una forte ansia. A volte sono contenuti mentali quali ad esempio pregare, fare calcoli, ripetere mentalmente alcune parole o contenuti ritenuti imbarazzanti e sconvenienti come bestemmie o parolacce.
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Se il paziente cerca di resistere ai comportamenti compulsivi o ai pensieri ossessivi, proverà una profonda sensazione di ansia e di disagio psichico.
Tra le compulsioni più frequenti vanno segnalati i rituali di pulizia associati a
pensieri ossessivi di contaminazione e timori fobico-ossessivi dello sporco. Questi
sintomi inducono i pazienti a lavare o disinfettare se stessi, gli oggetti o l’ambiente in
cui abitano in modo eccessivo. Spesso è possibile riscontrare danni cutanei causati
dall’ossessivo lavaggio e uso di detergenti aggressivi per la pelle. Il più delle volte
per questi pazienti è assolutamente impossibile recarsi in bagni pubblici o lo fanno
solo ricorrendo a tutta una serie di strategie per non toccare le maniglie o i rubinetti
e comunque con grande preoccupazione. Altrettanto difficile è toccare denaro o
stringere la mano altrui.
Frequenti sono le ossessioni dubitative che riguardano l’aver chiuso i rubinetti
dell’acqua, del gas o la porta di casa, cui fanno seguito rituali in cui il paziente può
sentirsi obbligato a controllare numerose volte, ad intervalli precisi di tempo e a
volte eseguendo sempre la stessa sequenza ripetitiva di movimenti che si devono
susseguire in modo assolutamente preciso e sempre uguale.
Alcuni pazienti presentano ossessioni numeriche e quindi un bisogno continuo
di svolgere calcoli mentali, che devono riprendere da capo se interrotti per qualsiasi
motivo.
Particolarmente angosciante è la paura di commettere azioni aggressive o lesive.
Si tratta di ossessioni in cui il timore è di poter fare del male a qualcuno o anche a sé
stessi. Spesso questi pazienti non possono tenere in casa coltelli da cucina, temono
particolarmente recarsi sul balcone di casa o vicino alle finestre per il timore di non
poter controllare l’impulso a farsi del male, nei casi più gravi è persino impossibile
sollevare le tapparelle.
Frequenti anche i pensieri ossessivi e i rituali legati al bisogno di avere gli oggetti
in un determinato ordine simmetrico e il disagio estremo provato quando questo
criterio di precisione viene alterato o non può essere raggiunto.
Esiste una rara forma che viene definita Lentezza Ossessiva Primaria. I pazienti
affetti da questa grave condizione necessitano tempi estremamente dilatati, lunghissimi, per compiere le primarie funzioni quotidiane come alzarsi, lavarsi, vestirsi e
svolgere la cura di base del proprio ambiente. Ogni azione e attività deve essere
eseguita con modalità precise, ossessivamente puntigliose, tanto da occupare mentalmente e fisicamente un grande numero di ore quando non la maggior parte della
giornata.
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Psicoterapia 45
Con il termine di “insight” si intende il livello di consapevolezza che il paziente
ha della propria malattia e della reale interferenza che essa esercita sul suo funzionamento sociale, familiare e lavorativo. Il grado di “insight” nei pazienti ossessivo-compulsivi è variabile e nelle forme più gravi può essere nullo. Non tutti i pazienti, quindi, hanno consapevolezza della malattia, per alcuni di loro può essere
particolarmente difficile riconoscere i propri rituali e le proprie idee come esagerati
e irragionevoli e dovuti ad un disturbo. Spesso in questi casi sono i famigliari e le
persone che vivono accanto a loro a chiedere un parere e un aiuto medico.
Frequentemente il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) compare in età precoce,
anche in infanzia o in adolescenza. Ha un andamento per lo più cronico, con fasi di
parziale remissione o riacutizzazione, anche se sono possibili casi in cui la sintomatologia è fluttuante con periodi di totale remissione.
Come si cura il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC)
Il Disturbo Ossessivo-Compulsivo è stato in passato considerato una malattia
mentale difficile da curare e spesso non sensibile al trattamento. Negli ultimi anni la
ricerca clinica ha molto migliorato la conoscenza del DOC e la conseguente terapia
e oggi esistono diverse strategie di cura, spesso efficaci.
Innanzitutto va precisato che il Disturbo-Ossessivo ha sempre bisogno di terapia
farmacologica. Sebbene la terapia cognitivo-comportamentale sia il più delle volte
indicata in associazione al farmaco, non è possibile né corretto prescindere da un
periodo di cura con i farmaci.
Come abbiamo in precedenza detto il DOC è un disturbo d’ansia, ciò nonostante per la sua terapia farmacologica si utilizzano molecole dotate anche di azione
antidepressiva, in sostanza Depressione e Disturbi d’Ansia si curano con gli stessi
farmaci.
I farmaci che si usano per la terapia del Disturbo Ossessivo agiscono tutti potenziando la presenza di serotonina nello spazio inter-sinaptico, cioè tra una cellula
nervosa e l’altra.
Il primo farmaco che è stato riconosciuto dotato di una potente funzione anti-ossessiva è la clomipramina. Questa molecola appartiene ad una classe di antidepressivi chiamati triciclici, farmaci molto conosciuti e molto efficaci. I triciclici
presentano però un profilo di effetti indesiderati collaterali a volte disturbante per
il paziente, ciò può indurre alcuni a non assumere il farmaco regolarmente o addirittura a sospenderlo, soprattutto perché l’effetto anti-ossessivo si ottiene a dosaggi
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Psicoterapia 46
tendenzialmente elevati e protratti per periodi relativamente lunghi.
Più recentemente sono stati introdotti in terapia altri farmaci dotati di azione sul
neurotrasmettitore serotonina, noti con il nome di serotoninergici o SSRI. Alcuni
farmaci appartenenti a questa classe si sono dimostrati particolarmente efficaci nella cura del Disturbo Ossessivo-Compulsivo essendo spesso meglio tollerati rispetto
alla clomipramina. Gli studi effettuati negli anni hanno evidenziato alcune differenze nell’efficacia dei farmaci appartenenti a questa categoria, la Fluvoxamina sembra
il più valido tra questi nella cura del DOC. Ciò non significa che gli altri non abbiano effetto anti-ossessivo ma la percentuale di pazienti che rispondono è minore.
Il dosaggio di fluvoxamina necessario per ottenere una buona risposta terapeutica è solitamente levato e comunque spesso superiore a quello necessario per curare
la depressione, intorno ai 250-300mg.
A volte, quando la risposta al farmaco non è sufficiente, il medico potrà valutare
l’associazione con altre molecole che abbiano un’azione adiuvante, cioè che aiutino
potenziando l’effetto del farmaco principale, tra queste i sali di litio e gli antipsicotici
atipici o di nuova generazione.
Una volta ottenuta la risoluzione dei sintomi, il paziente dovrà protrarre la terapia
a dosaggio pieno per alcuni mesi e in un successivo momento si potrà passare alla
terapia di mantenimento, con lo stesso farmaco a dosaggio ridotto. In questo modo
si assicura l’effetto anti-ossessivo e si possono ridurre quegli effetti collaterali che
non si siano risolti dopo i primi mesi di terapia.
Ricordo comunque che il trattamento del disturbo ossessivo prevede e necessita
una terapia integrata, dove accanto al farmaco il medico consigli un approccio di
psicoterapia al fine di imparare tecniche di gestione del pensiero ossessivo e del
comportamento compulsivo che ne consegue che migliorino la sintomatologia e
quindi la qualità di vita del paziente.
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Il malato immaginario
In anatomia il termine ipocondrio è utilizzato per identificare una parte dell’addome, da ciò ha origine della parola ipocondria, che ci segnala quanto frequenti
siano i sintomi a carico dall’apparato gastrointestinale che hanno una genesi di tipo
psicologico.
Il paziente ipocondriaco è preoccupato, o convinto, di soffrire di una malattia
fisica, costantemente concentrato sui messaggi che percepisce dal corpo e che interpreta in modo negativo; qualsiasi percezione, anche fisiologica e normale, genera
la preoccupazione che si tratti del sintomo di una grave malattia. Questo modo di
pensare al proprio corpo come malato o come potenzialmente incline ad ammalarsi,
permane nonostante le numerose rassicurazioni fornite da medici specialisti, visite
mediche o esami diagnostici. L’ansia persiste nonostante il paziente possa, a volte,
comprendere l’infondatezza di tanta preoccupazione. Più tipicamente nell’ipocondria il paziente è non è assolutamente in grado di riconoscere che la sua preoccupazione è infondata e irragionevole.
Le persone ipocondriache sono allarmate da ogni piccola sensazione fisica come
un lieve “dolore”, spesso sono soltanto fisiologiche sensazioni propriocettive di cui
non siamo consapevoli e che rimangono al di sotto del livello di coscienza. E’ caratteristico il bisogno ossessivo di controllare la ritmicità del proprio battito cardiaco
e la funzione del cuore in genere, il paziente può essere preoccupato da un banale
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raffreddore o per disturbo intestinale. Frequente è anche una focalizzazione e un
controllo esagerato delle funzioni evacuative. Un’altra manifestazione dell’ansia ipocondriaca è la paura o la convinzione di avere una parte del corpo fragile e delicata
(schiena, gola, intestino, bronchi) e la conseguente paura di potersi ammalare più
facilmente degli altri. Questi soggetti per esempio tendono ad evitare viaggi e spostamenti, o ad affrontarli con disagio, qualcuno può evitare di andare a mangiare al
ristorante, possono essere preoccupati dalle condizioni del tempo per il timore che
possa aggravare il loro stato di salute. Queste persone avranno quindi un modo di
affrontare la propria ansia che va dall’eccessiva prudenza fino all’evitamento vero e
proprio di tutta una serie di situazioni da loro ritenute potenzialmente pericolose e
dannose.
Nei casi gravi i pazienti possono spendere molto tempo (e denaro) per visite e
consultazioni mediche, possono sottoporsi a diversi controlli strumentali ed esami anche invasivi, che, per quanto negativi, non sono mai risolutivi sull’ansia del
paziente che difficilmente si placa ma piuttosto si sposta da una parte del corpo ad
un’altra. Sono pazienti che tendono a recarsi con notevole frequenza dal proprio
medico di famiglia o anche al pronto soccorso, soprattutto per preoccupazioni che
riguardano la possibilità di avere un infarto.
Per alcuni di loro, anche soltanto sentire parlare di malattie o di qualcuno che
conoscono che si è ammalato, rappresenta fonte di angoscia. Frequentemente i pazienti che soffrono di questa forma di ansia sperimentano un certo livello di preoccupazione anche per quanto riguarda la salute delle persone a loro care. Vanno
considerate come una forma d’ipocondria anche quelle situazioni in cui il timore di
scoprirsi ammalato fa sì che alcune persone tendano a rifiutare o ritardare di rivolgersi al medico, evitando di eseguire gli esami necessari e consigliati.
Le cause dell’ipocondria
La fobia delle malattie può essere causata da esperienze traumatiche e non elaborate, come una malattia importante nella propria infanzia o la malattia di una figura
di riferimento. Anche la morte di un genitore durante l’infanzia può esporre ad un
maggiore probabilità di sviluppare questa forma di ansia.
Importante nella genesi di questo disturbo è anche il clima familiare. Frequentemente queste persone sono cresciute con genitori a loro volta ansiosi e con un
atteggiamento di eccessivo controllo e ipervigilanza, sono genitori che tendono a
comunicare messaggi, verbali e non, di pericolo per la salute e di prudenza ecces-
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Psicoterapia 49
siva, inducendo nel figlio la percezione di essere fragile e costantemente in pericolo.
Come si cura l’ipocondria
L’ipocondriaco presenta un deficit dei processi di mentalizzazione, cioè della capacità di pensare e di dare un nome alla suo disagio emotivo, che quindi somatizza,
esprime cioè attraverso il corpo, per questo motivo può rifiutare a lungo di considerare o accettare l’ipotesi di rivolgersi ad uno psichiatra.
La terapia deve prevedere sempre un approccio integrato farmacologico e una
psicoterapia. Spesso il malessere del paziente è talmente radicato e marcato che la
psicoterapia non può avere effetto se non si cura inizialmente questa forma di ansia con i farmaci. Solo più avanti, quando il paziente avrà stabilito una relazione
terapeutica di fiducia e sostegno, si potrà iniziare a rimodulare e ridurre la terapia
farmacologica.
Da un punto di vista medico l’ipocondria si cura con farmaci serotoninergici, che
regolano la disponibilità di questo neurotrasmettitore, potenziando la sua azione.
Non tutti i serotoninergici sono ugualmente validi in questo disturbo, è preferibile
scegliere una molecola con un profilo non troppo attivante ma piuttosto lievemente
sedativo, come la paroxetina o la fluvoxamina. Come in tutti i disturbi d’ansia la
risposta clinica è buona ma richiede un tempo di latenza di 4/6 settimane, durante
le quali il paziente deve essere ben supportato dal terapeuta e, talvolta, con la prescrizione di benzodiazepine ad azione ansiolitica.
Uno dei problemi più frequenti che il medico psichiatra incontra nel motivare
questi pazienti ad assumere la terapia, è proprio il loro timore che anche le medicine
possano nuocere al loro organismo.
La psicoterapia è un’indicazione assoluta in questa patologia, soprattutto nei soggetti giovani in cui è ancora possibile un cambiamento della struttura fobico-ossessiva. L’obiettivo è di rendere il paziente consapevole dei conflitti che stanno alla base
del disagio somatizzato e anche di modificare i modelli di pensiero e d’interpretazione dei messaggi corporei. Anche tecniche di gestione dell’ansia sono utili e quindi
possiamo dire che la terapia migliore dovrebbe contenere sia tecniche volte al riconoscimento di conflitti inconsci e tecniche di tipo supportivo e cognitivo-comportamentale, quindi un modello di terapia non rigido ma che si adatti di seduta in seduta
al bisogno e alla capacità del singolo paziente.
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Psicoterapia 50
Per questi soggetti sono molto efficaci esperienze che li portino ad usare il loro
corpo in modo attivo e consapevole, come le pratiche di yoga, pilates, tecniche di
rilassamento e in generale ogni sana attività fisica che permetta loro di prendere
contatto con il loro corpo come generatore di benessere e non soltanto di malattia
o preoccupazione.
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Il Disturbo Evitante
di Personalità
La personalità in psichiatria è definita come l’insieme dei modi con cui percepiamo e viviamo la realtà, consideriamo le altre persone e noi stessi, il nostro modo di
metterci in relazione con il mondo esterno e di reagire alle difficoltà della vita, intese
sia sul piano concreto sia sul piano emotivo e affettivo. E’ la risultante del temperamento, che è innato, e di ciò che accade in noi attraverso gli innumerevoli eventi con
i quali ci confrontiamo dal giorno stesso in cui veniamo al mondo.
A volte il processo di costruzione della personalità non avviene in modo adeguato o completo, dando luogo a tratti della personalità troppo rigidi e poco efficaci. Sebbene si confrontino con notevoli difficoltà, è impossibile per questi soggetti
modificare i propri schemi di pensiero, cui fanno seguito comportamenti spesso
disfunzionali e inadatti.
Un soggetto con una personalità adeguatamente strutturata sarà invece capace
di modificare il proprio stile affettivo, cognitivo o di comportamento in base alle
difficoltà o alla situazione che incontra.
Quando questo genera evidenti sofferenze soggettive e relazionali, che si ripetono
simili nel tempo, si può ipotizzare l’esistenza di un Disturbo di Personalità.
I Disturbi di Personalità generano difficoltà nelle relazioni con gli amici, i fami-
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gliari e con i colleghi di lavoro e queste a loro volta espongono maggiormente queste
persone allo sviluppo di Depressione, Disturbi d’Ansia e Disturbi Alimentari. Questi
soggetti possono anche essere inclini all’abuso di alcol, di farmaci o di sostanze stupefacenti, allo scopo di lenire le emozioni sgradevoli che si generano nella loro vita.
Il Disturbo Evitante di Personalità è grave e invalidante, se non curato limita notevolmente la vita e l’autonomia della persona che ne soffre ed è spesso associato ad
altri disturbi di natura psichiatrica. E’ caratterizzato dall’estremo timore del giudizio
negativo, della critica e dell’esclusione e da un profondo senso d’inferiorità e disistima. Queste persone sentono di essere poco interessanti e di non avere quindi nulla
da condividere con l’altro. Faticano a condurre una conversazione per la convinzione di possedere idee di scarso valore, i loro pensieri, desideri e punti di vista non
possono essere condivisi ed esposti per l’estremo timore della critica. Sono soggetti
che desiderano profondamente il contatto sociale ma provano una intensa ansia
nell’esporsi.mStare in mezzo alle persone genera a questi soggetti uno stato di forte
imbarazzo e di ansia sociale, per certi aspetti la sintomatologia è sovrapponibile a
quella della Fobia Sociale. Questi pazienti sono convinti che incontreranno solo rifiuto e giudizio negativo e che ciò li esporrà a sentimenti d’imbarazzo e vergogna. In
questa situazione d’isolamento le persone affette da questo disturbo tendono a sviluppare interessi che possono essere vissuti da soli, come la lettura, i lavori manuali
o il collezionismo. Oggi è frequente che stabiliscano relazioni virtuali attraverso il
social network, sebbene, nei casi più gravi, anche l’esposizione protetta via internet
possa essere troppo ansiogena. Nonostante questi meccanismi di difesa relativamente evoluti, che consentono a questi soggetti di sperimentare sensazioni positive,
il senso di deprivazione e di esclusione può determinare vissuti di vuoto, tristezza e
di solitudine che sono poi l’innesco per la depressione. Le relazioni con i famigliari
più intimi rimangono le uniche fonti di rassicurazione e di contatto e sono spesso
improntate a dipendenza.
Le cause del disturbo evitante di personalità
E’ ipotizzabile un substrato genetico, un’inclinazione biologica ad essere particolarmente intimoriti dalle situazioni sconosciute, che non viene gestita in modo
adeguato dal contesto famigliare durante l’infanzia e si cronicizza, invece di attenuarsi attraverso l’acquisizione di competenze sociali. Da bambini questi soggetti
sono stati poco sostenuti nell’affrontare ed imparare tutte le competenze relazionali
necessarie quando, crescendo, ci si deve confrontare con il mondo sociale.
Spesso questi pazienti hanno avuto esperienze infantili caratterizzate da un am-
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Psicoterapia 53
biente poco accogliente e più incline alla critica e al giudizio negativo o anche alla
distanza affettiva. I genitori sono stati rigidi ed esigenti e fortemente preoccupati di
dare un’immagine sociale di sé e del figlio non criticabile in alcun modo.
La terapia del disturbo evitante di personalità
La richiesta di trattamento si determina quando i sintomi di ansia sociale diventano troppo forti o compare la depressione da isolamento. Più raramente la richiesta
scaturisce da una consapevolezza di un loro modo disfunzionale di affrontare le
relazioni interpersonali. Spesso i meccanismi di difesa rispetto al dolore inducono
questi pazienti a proiettare le colpe dei loro fallimenti e della loro solitudine sull’ambiente esterno: “sono gli altri che non mi capiscono, non mi interessa quello di cui
parlano o come trascorrono la loro vita, mi annoio e non voglio essere obbligato a
trascorrere il mio tempo con loro”.
La terapia psicologica più indicata è di tipo individuale. Solo in un secondo momento può essere consigliato per questi pazienti partecipare a sedute di gruppo, ad
esempio di skill-training o training di assertività, per l’acquisizione di migliori competenze sociali. La terapia dovrebbe avere lo scopo di mettere a contatto queste persone con i motivi che, nella loro storia di vita, hanno determinato il loro disturbo e
deve contenere tecniche di ristrutturazione del pensiero e del comportamento. Questi pazienti devono imparare a riconoscere in modo corretto l’atteggiamento degli
altri nei loro confronti, diventando consapevoli del fatto che la disapprovazione o la
critica sono solo una delle possibili realtà con le quali si possono confrontare nella
relazione. Sono importanti le tecniche graduali di esposizione sociale, da applicare
quando il paziente è in grado di tollerare eventuali possibili frustrazioni o critiche,
interpretandole con un assetto cognitivo differente. Ad ogni modo il trattamento
del paziente evitante richiede lunghi periodi di psicoterapia, ipotizzabili in qualche
anno di cura regolare.
La terapia farmacologica può aiutare, sebbene ovviamente non abbia alcun effetto
sulla personalità del paziente. Lo scopo è di ridurre i sintomi che derivano dall’ansia
sociale, grazie al fatto che alcuni antidepressivi serotoninergici possono migliorare
gli aspetti fobico-sociali, diminuendo la sensibilità all’imbarazzo e la vergogna. Altre volte la terapia farmacologica si rende necessaria per trattare la depressione che
consegue all’isolamento e alle difficoltà nel costruirsi un contesto sociale piacevole
e supportivo. In alcune circostanze questi pazienti possono essere supportati con
benzodiazepine, ad esempio in momenti specifici di esposizione a situazioni solitamente evitate.Per questo obiettivo possono essere anche utilizzati i B-bloccanti
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Psicoterapia 54
grazie loro potere sui sintomi periferici dell’ansia come il tremore, la sudorazione e
il rossore.
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Psicoterapia 55
SEZIONE III
Omotossicologia
La Medicina Omotossicologica è l’evoluzione moderna
dell’Omeopatia, basata su evidenze scientifiche e sulle attuali conoscenze biochimiche e biofisiche dell’organismo
umano.
E’ stata di recente riconosciuta dall’Ordine dei Medici di
Milano come una delle sette Medicine Non Convenzionali dotate di efficacia terapeutica comprovata da studi
scientifici.
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Omotossicologia 56
Molte situazioni che presentano una sintomatologia psichica associata ad un corredo di sintomi fisici sono trattabili attraverso questa strategia che si fonda su principi di
base che fanno da ponte tra la Medicina Omeopatica e la
Medicina Accademica.
Condizioni mediche quali la Sindrome Premestruale, la
Menopausa, la Sindrome del Colon Irritabile, alcuni tipi
di cefalea, stanchezza cronica non attribuibile ad alcuna causa medica, la Fibromialgia, possono essere trattate
con un approccio di tipo omotossicologico.
Mentre le terapie tradizionali si indirizzano maggiormente al controllo e alla soppressione del sintomo, l’ Omotossicologia mira a stimolare e a ripristinare le condizioni
fisiologiche dell’organismo e la sua capacità di autoguarigione, al fine di prevenire l’insorgenza della malattia.
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Il sito internet
www.psichiatriaintegrata.it ha
deciso di aderire a
Zero Impact Web
e fare la sua parte
per contrastare
il riscaldamento
globale.
Le emissioni derivanti dalle vostre
visite verranno
compensate attraverso la creazione
e tutela di foreste
in crescita. É una
piccola azione che
se fatta da molti
aiuta a creare
consapevolezza
e fare del bene
all’ambiente. E
soprattutto vi permette di navigare
tra le pagine in
piena tranquillità!
Non tutte le situazioni di Depressione ed Ansia possono
essere trattate con questa metodica e la base di una terapia efficace rimane sempre e comunque una diagnosi iniziale corretta. In psichiatria questo approccio può essere
molto utile nella fase di riduzione e di sospensione della
terapia allopatica, allo scopo di mantenere lo stato di benessere e ridurre l’utilizzo di terapie che, se in alcune fasi
della malattia sono indubbiamente utili, dall’altra sovraccaricano gli organi deputati al metabolismo dei farmaci
come il fegato e i reni.
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Omotossicologia 58
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dalla dottoressa
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L’Ignatia amara
contro l’ansia
L’ansia si cura con la stricnina!
L’Ignatia Amara (strychnos ignatia) è una pianta, una liana, originaria delle isole
Filippine, anche nota come Fava di Sant’Ignazio. Per preparare la tintura madre si
utilizzano i suoi frutti gialli, i cui semi contengono i principi attivi. I semi vengono
essiccati, sminuzzati e poi macerati in alcool per ottenere la tintura madre dalla
quale sono preparate le diluizioni omeopatiche.
Questo è il processo attraverso il quale i principi attivi vengono via via diluiti dando luogo a preparazioni dove queste sostanze possono ancora essere presenti come
molecole o, secondo il principio omeopatico, dove rimane soltanto l’acqua informata delle proprietà terapeutiche. Possono essere preparati, a partire dalla tintura
madre, rimedi a concentrazioni differenti, che il medico potrà scegliere di utilizzare
a seconda dei sintomi e del quadro clinico. Semplificando diciamo che i rimedi più
diluiti vanno bene per il controllo dei sintomi psichici e mentali e quelli più concentrati per i sintomi fisici conseguenti al disagio emotivo.
Ignatia è un rimedio dell’Omeopatia classica ma anche della Medicina Omotossicologica, particolarmente efficace in alcune forme di ansia in quanto molto attivo a
livello del Sistema Nervoso.
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Omotossicologia 59
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Le sostanze farmacologicamente utili presenti nella bacca sono la stricnina e la
brucina, due alcaloidi molto tossici e velenosi se assunti in dosi ponderali dotate di
un effetto specifico sul Sistema Nervoso. L’avvelenamento genera, infatti, una forte
agitazione psichica e difficoltà respiratorie, contratture e spasmi muscolari fino alle
convulsioni.
L’altra pianta da cui sono estratte queste due sostanze è Strychnos Nux-vomica
(nota come albero della stricnina o noce vomica), rimedio anch’esso spesso utilizzato nelle forme di somatizzazione ansiosa a livello dell’apparato digestivo.
E’ doveroso specificare che l’utilizzo di una terapia non convenzionale in stati di
ansia deve essere riservata ad alcuni casi specifici, non è adatta in tutte le forme di
disturbo e non è un’alternativa al trattamento con farmaci tradizionali per il controllo dell’ansia, come gli antidepressivi o le benzodiazepine.
La sua efficacia si manifesta soltanto nelle situazioni che ne possono veramente
beneficiare e la scelta di queste è appannaggio esclusivamente del medico che abbia
una preparazione specifica in medicina non convenzionale e un’approfondita esperienza clinica psichiatrica.
L’utilizzo di rimedi naturali per i disturbi ansiosi va riservato alle forme meno
gravi, dove non sia già strutturato un vero e proprio Disturbo d’Ansia, ad esempio
come supporto, nelle forme di ansia conseguenti ad una struttura di personalità
fragile e sensibile o a situazioni ambientali difficili e momentanee.
Quando è utile prescrivere preparati a base di Ignatia Amara
La prescrizione di rimedi a base di Ignatia può essere utile negli stati di ansia in
cui il paziente riferisce una sensazione di fame d’aria o mancanza di respiro, con il
bisogno di sospirare spesso allo scopo di compiere inspirazioni profonde. Sono soggetti con un’emotività labile e malinconica che si commuovono facilmente.
L’umore è instabile, il paziente è irritabile e ipersensibile a tutti gli stimoli: visivi,
acustici, emotivi e può lamentare un’iperestesia algica, cioè un’aumentata sensibilità
al dolore. Si tratta quindi di una condizione di ipersensibilità sia a livello mentale
che fisico. In effetti, la caratteristica di questi pazienti è di sviluppare sintomi a livello somatico conseguenti ad una condizione di ansia. Ciò avviene soprattutto nei
soggetti che tendono ad esprimere il disagio psichico in modo non verbale, persone
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che faticano a comunicare le proprie emozioni, tendono a reprimerle e a facilitare in
questo modo la comparsa di sintomi fisici. Spesso addirittura questi soggetti hanno
poca consapevolezza del proprio disagio emotivo e dei motivi che stanno alla base
del conflitto psicologico. Caratteristicamente durante il colloquio con il medico riescono a dare voce esclusivamente al loro problema fisico o a qualche superficiale
motivazione ambientale.
Ignatia Amara è il rimedio utile in tutti i casi di Distonia Neurovegetativa.
La Distonia Neurovegetativa è una condizione causata da un non corretto equilibrio e funzionamento del Sistema Nervoso Autonomo o Neurovegetativo, cioè
quella parte nel nostro sistema nervoso che funziona senza il controllo della nostra
volontà, appunto in modo autonomo. Governa e regola diverse funzioni tra le quali
il battito cardiaco, la pressione arteriosa, la dilatazione dei vasi sanguigni, la contrattura della muscolatura liscia degli organi e, di conseguenza, le funzioni digestive
gastriche e intestinali, la dilatazione dei bronchi e la frequenza respiratoria.
E’ costituito da due parti distinte, il sistema ortosimpatico e il sistema parasimpatico (o vagale) che hanno una azione uguale e contraria, dove uno stimola l’altro
inibisce e regola.
Quando il corretto equilibrio del loro funzionamento sinergico si sregola compaiono sintomi a carico di diversi organi ed apparati. Sono sintomi funzionali, cioè
generati da un non corretto funzionamento di questi organi e non da un’alterazione
strutturale, anatomica o del tessuto dell’organo.
E’ però vero che un organo con una funzione cronicamente alterata andrà più facilmente incontro a lesioni. Ad esempio, uno stomaco che produce troppo acido cloridrico può essere suscettibile di gastrite o di ulcera, un intestino con una motilità
alterata potrà nel tempo sviluppare disbiosi, intolleranze alimentari o una malattia
cronica infiammatoria.
Più frequentiamo tutti noi ci troviamo in uno stato di orto-simpatico-tonia, cioè
una situazione in cui prevale l’attività di questa parte del sistema nervoso neurovegetativo, mentre sarebbe opportuno essere in relativa vago-tonia, cioè la situazione
in cui prevale il funzionamento della parte parasimpatica. In questo caso il battito
cardiaco è regolare e non accelerato, il respiro è rilassato, la pressione sanguigna
normale, lo stomaco si svuota regolarmente e non vi è eccesso di produzione acida
e la contrattura delle fasce muscolari della parete intestinale favorisce un adeguato
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svuotamento di quest’organo.
Quando siamo in una situazione di sovraccarico di stimoli e di richieste, quindi
in una situazione di eccessivo stress o distress, siamo in orto-simpatico-tonia.
Eustress è invece il termine con cui si indica un adeguato livello di attivazione e
di stimolazione, al quale siamo ancora in grado di reagire senza esaurire o depauperare le nostre risorse di energia fisica e psichica.
Questa mancata regolazione dell’equilibrio dei due componenti del Sistema Neuro-vegetativo è quindi strettamente correlata allo stato ansioso. Spesso, infatti, chi
soffre di ansia presenta sintomi come la tachicardia, l’aumento della pressione sanguigna, sudorazioni eccessive, disturbi viscerali digestivi o intestinali e senso di respiro difficile.
In Omotossicologia Ignatia Amara è presente in diversi prodotti, sia come rimedio unico che in associazione con altri rimedi che agiscano in modo sinergico. A differenza dell’Omeopatia classica unicista, il rimedio omotossicologico può
contenere più sostanze e ciascuna di queste a diversa diluizione, in modo da poter
agire sia sulla componente mentale del disturbo che sulla sua espressione fisica e
somatica. Esempi di situazioni in cui si può considerare l’utilizzo di una terapia
non convenzionale con farmaci omotossicologici sono le somatizzazioni dell’ansia a
livello gastrico e intestinale, come alcune forme di gastrite e di reflusso gastro-esofageo, eventualmente associando, in un primo momento, anche la terapia allopatica
necessaria.
Anche le coliti spastiche funzionali possono trarre beneficio da una terapia omotossicologica, sempre dopo un attento ed accurato approfondimento diagnostico
che escluda patologie organiche.
Alcune forme di Disturbo dell’Adattamento con ansia o depressione e i sintomi
psichici e fisici che possono accompagnare la menopausa sono altre situazioni cliniche che, dopo attenta valutazione della gravità dei sintomi, potrebbero trarre beneficio da un approccio di cura integrato.
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Vitamina D e Depressione
Molti studi in tutto il mondo stanno cercando di valutare se bassi livelli di Vitamina D possono essere correlati allo sviluppo di Depressione.
Sono in questo periodo in corso numerosissime ricerche scientifiche sul ruolo
della Vitamina D nella salute umana, negli ultimi anni più studi sono stati fatti e
pubblicati su questa vitamina che riguardo a qualsiasi altra.
Al momento non vi sono ancora prove univoche e del tutto soddisfacenti ma
alcuni di questi studi segnalano che, in particolare nei soggetti predisposti o vulnerabili, un basso livello di Vitamina D può essere una concausa nello sviluppo di
depressione.
La correlazione in questo senso è peraltro già nota per altre condizioni cliniche,
non è certo il deficit di vitamina D che causa la malattia, ma in queste patologie è
invariabilmente riscontrabile un basso livello serico di questa vitamina.
Si sta, infatti, evidenziando sempre più una carenza di vitamina D in patologie
neurologiche come la Demenza di Alzheimer, il Morbo di Parkinson e la Sclerosi
Multipla, in patologie autoimmuni come l’Artrite Reumatoide, nel Diabete insulino-dipendente, nell’infarto e anche nella Depressione.
Nella Sclerosi Multipla è stato dimostrato che un’insufficiente esposizione ai raggi
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solari e un’ipovitaminosi D sono direttamente correlate allo sviluppo di depressione,
ansia, e deficit cognitivi, questi sintomi cioè compaiono più frequentemente nei pazienti affetti da Sclerosi Multipla che presentano ipovitaminosi D.
Nel morbo di Parkinson è stata accertata una correlazione tra livelli di Vitamina
D e performance cognitive come la memoria verbale, e altre funzioni cerebrali. In
effetti, recettori per questa sostanza sono presenti nel cervello e, in studi su animali,
si è dimostrato il ruolo della vitamina D nei processi di sviluppo neurologico verosimilmente dovuto alla regolazione di fattori neurotrofici.
Sgombriamo innanzitutto il campo da una semplicistica conclusione: questo non
vuole assolutamente dire che queste patologie possano essere curate o prevenute
attraverso la sola integrazione di Vitamina D.
Essendo però la depressione una malattia multifattoriale, trovo interessante divulgare le nozioni che stanno diventano sempre più numerose ed approfondite sui
molteplici aspetti che possono rappresentare un fattore di rischio e che, se corretti,
possono condurre ad una salute generale migliore. Si tratta di quell’insieme di FATTORI EPIGENETICI che modulano la frequenza di comparsa di malattia, nonostante il nostro patrimonio ereditario.
Sono molte le ipotesi sulla genesi della Depressione che gli studi scientifici stanno
approfondendo per chiarire i molteplici fattori che determinano la comparsa della
malattia, tra questi i molti approfondimenti riguardano la Vitamina D.
Questo modo di vedere le cose è un po’ lontano dall’approccio classico del nostro
modo di fare medicina, anche se oramai è frequente anche nelle strutture pubbliche
l’utilizzo di approcci di terapia che fino a pochi anni fa venivano considerati poco
ortodossi. Già in alcuni reparti di cura e studio della Depressione, ad esempio, sono
prescritti gli Omega 3 in associazione ai farmaci antidepressivi, questo per il potere
protettivo antiossidante e antiinfiammatorio di questi acidi grassi.
La medicina tradizionale è sicuramente molto efficace nella Depressione, grazie
ai serotoninergici e ad altre molecole con valenza antidepressiva questa malattia è in
realtà assolutamente ben curabile e guaribile. Nulla vieta però di avere una visione
più ampia e di affiancare al buon utilizzo di una terapia medica farmacologica anche
un insieme di correzioni di stili di vita e di parametri che possono essere importanti
al fine di migliorare lo stato di salute e di resistenza allo sviluppo di malattia.
L’interesse per la Vitamina D deriva inoltre da un’osservazione oggettiva, e cioè
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che una larga fascia di popolazione presenta un deficit dei valori plasmatici che
non genera sintomi conclamati ma che rappresenta un’alterazione di un parametro
fisiologico, e si sta cercando di valutare se ciò può essere una delle concause dello
sviluppo di alcune patologie tra cui quelle psichiche.
Mentre, infatti, sono noti a tutti gli effetti benefici della vitamina D sullo sviluppo
dello scheletro e sul metabolismo osseo e i danni causati da una sua carenza, come
il rachitismo o l’osteoporosi, è meno nota ai non addetti ai lavori l’associazione tra
alcune patologie e la carenza di questo elemento.
Negli ultimi decenni la depressione è aumentata in modo considerevole, questo
certamente è dovuto a numerosi motivi e tra questi certo è che anche la nostra esposizione ai raggi solari è ridotta in modo considerevole rispetto al passato.
Il passaggio da una vita rurale ad una vita cittadina e quindi da un lavoro all’aria
aperta ad un lavoro svolto al chiuso, nonché la assoluta necessità di esporsi ai raggi
solari in modo consapevole, utilizzando protezioni adeguate, è in parte responsabile
dei bassi livelli di vitamina D che si riscontrano nella popolazione generale. Uno
studio recente condotto in Italia, ed in particolare nella regione Campagna, ha messo in luce una percentuale di soggetti con un livello più basso del range di normalità
superiore al 60%, con circa il 15% dei soggetti che presentano un deficit grave, pur in
assenza di sintomi. Il dosaggio del livello nel sangue di questa sostanza è un test che
viene raramente richiesto dal medico a meno di casi specifici, come nella valutazione e il trattamento dell’osteoporosi in menopausa.
Sono proprio i raggi UVB che permettono di sintetizzare la forma attiva di Vitamina D, i raggi UVA sono invece i responsabili dei fenomeni di danneggiamento del
DNA e stress ossidativo collegati all’invecchiamento e al danno cutaneo.
E’ ovvio che di fronte ad un paziente con Depressione Maggiore, si deve ricorrere
all’utilizzo del farmaco, questo però non dovrebbe rimanere l’unico consiglio terapeutico. Almeno a mio parere, lo psichiatra dovrebbe poter indicare al paziente, nelle diverse fasi della malattia e del suo decorso, altre strategie collaterali di supporto
dell’organismo, che si trova in una situazione di disequilibrio e stress, strategie che
da sole non possono certo risolvere e curare la patologia ma che rappresentano, nel
loro insieme, un aiuto essenziale all’omeostasi del nostro corpo e alla nostra salute.
L’ipovitaminosi D è molto frequente nei malati di Depressione e il grande numero di studi scientifici attualmente in corso è orientato proprio a valutare se ciò può
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essere un marker biologico di vulnerabilità alla depressione.
Allo stato dell’arte gli studi suggeriscono una possibilità in questa direzione che
sarà quindi ulteriormente approfondita nei prossimi anni. D’altronde la supplementazione di vitamina D è già indicata per altre patologie nelle quali non rappresenta
l’unico presidio terapeutico o preventivo.
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Un caso di depressione
La paziente che incontro in studio è una donna di 51 anni, è sposata e ha due figli
maschi, di 22 e 19 anni. E’ laureata in Lettere Straniere e ha insegnato inglese, dando
ripetizioni private, fino a circa due anni fa. Nella sua famiglia di origine nessuno ha
sofferto di Depressione o di Disturbi d’Ansia.
La paziente viene da me su suggerimento del suo medico di famiglia, alla quale
si è rivolta per lo stato di malessere depressivo che sta attraversando. La collega ha
preferito prescrivere una terapia solo per controllare l’ansia e l’insonnia rimandando
a me le successive decisioni su una cura più specifica per lo stato depressivo.
Il colloquio, in psichiatria, è il momento in cui il medico “visita” il paziente. Osserva il modo in cui la persona si presenta e si relaziona con il medico, la fluidità nel
parlare, la mimica e la gestualità. Rileva una serie di segni specifici che insieme ai
sintomi e ai disturbi riferiti dal paziente permettono di fare la diagnosi. Questa signora presenta un quadro clinico compatibile con la diagnosi di Episodio Depressivo. Da circa un mese si sente particolarmente stanca e demotivata in tutte le attività
che riguardano la sua vita, sia quelle più strettamente casalinghe sia le sue abituali
occupazioni del tempo libero. Solitamente, infatti, ama praticare regolarmente attività fisica con alcune amiche e lavora come volontaria in una bottega equosolidale.
Il colloquio è un po’ lento e faticoso per le modalità con cui la paziente si esprime.
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Risponde in modo breve e conciso, con un tono della voce basso e poco modulato,
con una certa latenza tra la mia domanda e la risposta, come se necessitasse più
tempo per concentrarsi e trovare le parole giuste. E’ un po’ rallentata non soltanto
nel parlare ma anche nella gestualità del corpo che è anche molto contenuta.
Non conosco bene questa donna, che incontro oggi per la prima volta, e non so
quindi capire se ciò appartenga al suo solito modo di essere, al suo temperamento, o
faccia parte del quadro depressivo. Il rallentamento psicomotorio è, infatti, uno dei
sintomi tipici della depressione.
Mi racconta di essere un soggetto molto sensibile ma di avere in questo periodo
frequenti episodi di pianto che non sa a che cosa attribuire, cosa che generalmente
non accade nonostante la sua sensibilità.
Ciò di cui mi parla mette anche in luce una particolare preoccupazione per la
propria salute fisica. Lamenta, infatti, una lunga serie di timori ansiosi sul suo stato di salute. Alcuni sono descritti in modo più preciso, altri in modo così vago da
segnalare il loro aspetto fobico (“mi sento bruciare tutte le vene del corpo, come se
scoppiassero”). Per questo motivo ha recentemente eseguito una serie di esami che
hanno dato tutti risultati negativi. Il suo corpo è sano.
Mi dice che dorme male (“…e poi non dormo….”), fa fatica a prendere sonno,
anche se le medicine prescritte dalla sua dottoressa di famiglia hanno parzialmente
ridotto questo disagio. Alla mattina, invece, non vorrebbe mai alzarsi dal letto, non
sente di avere l’energia per affrontare la giornata e pensa al momento di coricarsi
come l’unico in cui il suo disagio si attenua. Una volta alzata tende a vagare per casa
indecisa su cosa fare e affrontando con fatica anche la cura del sé, cioè lavarsi, vestirsi e truccarsi, attività che solitamente fa con interesse e gioia.
Negli ultimi tempi ha timore ad allontanarsi dalla propria abitazione per le normali commissioni quotidiane che quindi, da qualche tempo, preferisce fare quando
il marito è disponibile, nei fine settimana. Indagando su questo aspetto mi riferisce
che ha una sensazione vaga di non sentirsi sicura fuori casa, da sola, con la paura
che possa non stare bene e non sapere a chi rivolgersi.
Le pare di “ avere perso la memoria” e non sente più la voglia di leggere un libro
o una rivista, attività che normalmente fa con piacere. Mangia con il solito appetito ma negli ultimi tempi, dopo cena, nota che ha sempre desiderio di mangiare
qualcosa di dolce. Non si sente “in forma” e preferisce in questo periodo rimanere a
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casa piuttosto che uscire con le amiche o con le coppie che normalmente frequenta
insieme al marito.
Il desiderio espresso da questa paziente è di poter curare questo situazione depressiva con una terapia Non Convenzionale, avendo saputo dal medico di base che
mi occupo di Omotossicologia.
Sebbene la comparsa recente dei sintomi, la famigliarità negativa e nessun episodio precedente o nel post partum, possano rappresentare dati favorevoli ad un
approccio più delicato, ho ritenuto che l’entità dei sintomi fosse già piuttosto marcata per orientarmi su un trattamento esclusivamente naturale, ho preferito quindi
suggerire una terapia dove venissero integrati farmaci omotossicologici con un antidepressivo serotoninergico.
Nell’impostare questa terapia ho preso in considerazione anche l’età della paziente, che sebbene ancora mestruata, ha sicuramente in corso una serie di modifiche e
di modulazioni neuro-ormonali della fase di Premenopausa, che potrebbero influire sul tono dell’umore e sull’ansia e che possono rispondere molto bene ad alcuni
preparati omotossicologici.
Come antidepressivo ho scelto il Citalopram perché si tratta, nella mia esperienza,
di una molecola solitamente molto ben tollerata e pressoché priva di effetti collaterali, soprattutto a regime, dopo le prime 2/3 settimane di trattamento. Per questo
primo periodo ho anche mantenuto la terapia con le benzodiazepine che le era stata
prescritta dal suo medico di famiglia, alprazolam per l’ansia diurna e lormetazepam
per favorire l’addormentamento.
I farmaci non convenzionali che ho deciso di aggiungere, ad integrazione della
terapia, sono in parte rimedi omotossicologici e in parte preparati fitoterapici.
L’obiettivo era di regolare l’asse neuro-endocrino parzialmente sbilanciato dall’inevitabile calo degli estrogeni, fatto fisiologico in una donna di 51 anni. Per ottenere
un buon risultato, soprattutto all’inizio, è necessario utilizzare più rimedi che agiscano in modo sinergico.
A questa paziente ho prescritto della serotonina omeopatizzata, o meglio in diluizione low dose, e altri prodotti con lo scopo di controllare i disturbi del climaterio
come il calo del tono dell’umore e l’ansia che alcune donne sperimentano in questo
periodo. Ho prescritto anche un integratore a base di probiotici, calcio, isoflavoni
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di soia e thè verde, la cui azione sinergica è di potenziare il sistema immunitario,
di supporto alla prevenzione dell’osteoporosi, di modulazione del tono dell’umore.
Infine ho suggerito l’assunzione di un integratore ricostituente, allo scopo di dare un
effetto energizzante, riducendo le difficoltà di memoria e concentrazione, nonché la
stanchezza fisica mattutina.
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DOTT.SSA CRISTINA SELVI
Medico Chirurgo . Psichiatra . Psicoterapeuta . Omotossicologa
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© Copyright 2012-2014 . dott.ssa cristina selvi . Tutti i diritti sono riservati
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