La figura di Maria nella Liturgia 4. Madre di Dio Paolo VI nella Marialis cultus scrive: «Il tempo di Natale costituisce una prolungata memoria della maternità divina, verginale, salvifica di colei la cui “ illibata verginità diede al mondo il Salvatore” […]. Nel ricomposto ordinamento del periodo natalizio ci sembra che la comune attenzione debba essere rivolta alla ripristinata solennità di Maria santissima Madre di Dio: essa, collocata secondo l’ antico suggerimento della liturgia dell’ Urbe al primo giorno di gennaio, è destinata a celebrare la parte avuta da Maria in questo mistero di salvezza e ad esaltare la singolare dignità che ne deriva per la “ madre santa…, per mezzo della quale abbiamo ricevuto l’ Autore della vita” […]» (MC 5). Due sono le puntualizzazioni che emergono da questo testo: 1) la Madre di Dio è una festa ripristinata; 2) oggetto proprio della festa è Maria nel mistero dell’ incarnazione, la dignità di Madre di Dio. Più in dettaglio, queste due puntualizzazioni offerteci da Paolo VI ci dicono altre cose. 1) Una festa ripristinata La Marialis cultus, precisando che la festa «collocata secondo l’ antico suggerimento della liturgia dell’ Urbe al primo giorno di gennaio», svela che a Roma l’ ottava di Natale veniva già celebrata come giorno commemorativo di Maria e del suo ruolo materno nell’ incarnazione, ancora prima che entrassero nella liturgia romana (sec. VII ca) quattro festività mariane di origine orientale: Natività, Annunciazione, Purificazione e Assunzione della Vergine. Infatti, dai libri liturgici, risulta che il 1° gennaio a S. Maria ad Martyres, veniva celebrata una solenne stazione liturgica dal titolo “ in octabas Domin” , nella quale veniva rivolta particolare attenzione alla Vergine madre. Solo in un secondo tempo, e sotto l’ influsso della liturgia gallicana, l’ ottava di Natale assunse anche il carattere di «festa della circoncisione del Signore», aspetto questo che venne conservato nel messale tridentino di Pio V, nonostante i testi biblici adottati avessero una spiccata tonalità mariana. Solamente nel secolo XVIII nasce in Portogallo un movimento tendente ad ottenere una speciale festa mariana riferita alla divina maternità di Maria, dimenticando la celebrazione del 1° gennaio e spostando l’ accento dalla realtà misterica che in essa vi veniva celebrata al titolo mariano in astratto. Benedetto XIV, nel 1751, accogliendo le istanze portoghesi concedeva a queste diocesi di celebrare nella prima domenica di maggio tale privilegio mariano utilizzando testi propri composti da lui stesso. Più tardi la festa della maternità di Maria venne estesa ad altre diocesi e ordini religiosi, e nel 1914 gli venne data una nuova data l’ 11 ottobre. Nel 1931, Pio XI, a ricordo del quindicesimo centenario del concilio di Efeso, nel quale venne proclamato il titolo di Madre di Dio, estese la festa a tutta la chiesa occidentale, conservando la data dell’ 11 ottobre. Il riformato calendario liturgico, del 1969, ripristina l’ antica festa del 1° gennaio, lasciando cadere quella più tardiva dell’ 11 ottobre e le da un nuovo e più significativo nome “ Solennità di Maria ss.ma Madre di Dio” . È significato l’ aver riportato la festa all’ antica data, perché, anche se i tradizionali testi della liturgia romana dell’ ottava del Natale, celebravano la maternità verginale di Maria, la data del 1° gennaio permette anche di celebrare questo fondamentale privilegio nel tempo natalizio, cioè la celebrazione della Madre di Dio, viene a trovarsi celebrata nel cuore delle celebrazioni dell’ incarnazione. Non va inoltre dimenticato anche l’ importanza ecumenica di questo ripristino, perché tutte le liturgie, che ruotano attorno al tempo natalizio, hanno una commemorazione specificatamente mariano, e sono incentrate soprattutto sulla maternità prodigiosa della Vergine di Nazaret. La “ Sinassi della ss.ma Madre di Dio” celebrata il 26 dicembre dalle chiese bizantina e siriana, è una se non la più antica festa mariana, questa solenne memoria della Theotokos corrisponde all’ uso orientale di festeggiare all’ indomani di una solennità il personaggio secondario di essa, tale liturgia è presente anche in occidente nei calendari non romani. Ad esempio a Milano dal V secolo la domenica successiva la 25 dicembre si celebrava la festa di Maria madre di Dio, così in Gallia, dove dai tempi di Gregorio di Tours, come lui stesso testimonia, il 18 gennaio si celebrava tale festa, pure in Spagna è presente tale memoria celebrata all’ incirca verso la metà di dicembre, data in seguito spostata dal X concilio di Toledo, nel 656, al 18 dicembre, questo per evitare contestazioni. Tuttavia è bene precisare che il ripristino dell’ antica festa mariana, da parte della Marialis cultus, non è stata un’ operazione archeologica, bensì un’ importante recupero teologico, cultuale ed ecumenico. 2) Il significato liturgico-pastorale della celebrazione La Chiesa nel simbolo di fede apostolico afferma la sua convinzione: «Credo […] in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nostro Signore, il quale fu concepito di Spirito Santo e nacque da Maria vergine». È questa un’ esplicitazione del pensiero che è proprio di tutte le confessioni di fede cristiane, per le quali, la divina maternità verginale costituisce l’ evento centrale della vita e della missione di Maria. La verginale maternità di Maria è il tema dominante, tema che nonostante il calendario liturgico rinnovato ha promosso al grado di solennità (è così per tutti quattro i dogmi mariani), non è stato ancora ben assimilato dai fedeli sia per la lentezza che si può definire naturale per un simile processo innovatore, sia per la ricchezza di varie motivazioni contenute in questo primo girono dell’ anno. Infatti, il 1° gennaio è: - il giorno dell’ ottava del Natale, virtuale prolungamento del 25 dicembre, e quindi con l’ attenzione rivolta ancora al Verbo incarnato; - il giorno ottavo dalla nascita, giorno in Gesù è stato circonciso, è il tema del vangelo relativo a questa solennità, ripresa di quello della messa del giorno di Natale; - il giorno in cui al Figlio di Dio viene imposto il nome di Gesù, per cui questa festa del primo gennaio ha assorbito quella del nome di Gesù, già fissata, in modo autonomo, per secoli prima al 14 gennaio, poi alla seconda domenica dello stesso mese, in seguito alla prima; - il primo giorno dell’ anno civile, giorno in cui il tradizionale scambio di auguri la liturgia attraverso la lettura tratta dal Libro dei Numeri («Il Signore aggiunse a Mosè: “ Parla ad Aronne e ai suoi figli e riferisci loro: Voi benedirete così gli Israeliti; direte loro: Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò” ». Nm 6, 22-27) diventano benedizione sacre; - Paolo VI ha fatto di questo giorno “ la giornata mondiale della pace” , ancora nella Marialis cultus si legge: «È altresì un’ occasione propizia per rinnovare l’ adorazione al neonato Principe della pace, per riascoltare il lieto annunzio angelico (cf. Lc 2, 14), per implorare da Dio – mediatrice la Regina della pace – il dono supremo della pace: per questo, nella felice coincidenza dell’ ottava del Natale con il giorno augurale del 1° gennaio, abbiamo istituito la “ giornata mondiale della pace” , che raccoglie crescenti adesioni e matura già nel cuore di molti uomini frutti di pace» (MC 5). Nonostante tutti questi motivi, nella rinnovata liturgia del 1° gennaio il tema della maternità divina e verginale di Maria è quello centrale, e a questo orientano tutti i testi. Questo il senso liturgico della solennità della Madre di Dio, ma come si è sviluppata tale memoria, quale la sua storia, quale la teologia. Cerchiamo di vederla brevemente. Non va dimenticato che la divina maternità, il più antico mistero concernente la persona e il ruolo di Maria nella storia della salvezza, ha da sempre costituito un punto centrale della ricerca. Lo dimostra il fatto che al di là della dichiarazione dogmatica (Efeso 431), questo tema è stato oggetto di discussione nei quattro più importanti concili ecumenici, che sono: Costantinopolino I (381), Efeso (431),Calcedonia (451), Vaticano II (1962-65). Questi si possono considerare pietre miliari per lo sviluppo storico dottrinale della divina maternità, perché oltre ad dibattuto il privilegio hanno apportato elementi essenziali e definitivi per le definizioni dogmatiche (il dogma dell’ Assunta si fonda pure sulla maternità divina). Costantinopolitano I (381) Il simbolo di fede espresso da questo concilio sintetizza molto bene la propria dottrina mariana, in esso si legge: «Per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso da cielo, si è incarnato dallo Spirito santo e da Maria vergine e si è fatto uomo». Questa formula conserva in modo arcaico le più antiche formule simboliche sintetizzanti la fede della chiesa primitiva, legata alla rivelazione biblica e alla tradizione fedele del dato apostolico, ed esprime essenzialmente il dato dottrinale circa l’ apporto materno dato da Maria al compiersi dell’ incarnazione del Verbo. È formula essenziale che denuncia il fatto, senza tuttavia indicare ne la natura ne la modalità della partecipazione materna di Maria, e quale il suo rapporto con lo Spirito santo. Inoltre Maria non viene chiamata Madre, anche se tuttavia se ne indica la funzione. Pur essendo un’ aggiunta esplicativa all’ articolo cristologico del simbolo niceno, diventa la chiave di volta per comprendere le modalità dell’ umanizzazione del Verbo e le tappe storiche della sua missione salvifica. La formula mariana, viene così inserita fra gli articoli di fede che riguardano il mistero di Cristo salvatore, non è quindi un discorso autonomo sulla divina maternità, ciò spiega la povertà espositiva dell’ inciso, tuttavia l’ affermazione circa la funzione materna di Maria nell’ incarnazione del Figlio di Dio è esplicita e sicura, priva di qualunque accenno di polemica a livello teologico. In questa brevità formulistica di grande rilievo è il termine vergine legato alla persona di Maria, il quel non è un attributo o un aggettivo ma un’ apposizione, per cui indica la caratteristica essenziale di Maria, la quale diventa la Vergine per antonomasia, qualificandone il determinante apporto dato sia per l’ incarnazione in sé stessa sia per la salvezza che ne consegue, come la interpreta l’ evangelista Matteo alla luce della profezia messianica di Isaia, altri avverbi come sempre, santa, immacolata non serve aggiungerli, perché niente dicono in più di quanto la formula mariana del Costantinopolitano I già afferma circa il privilegio mariano. Efeso (431) Al concilio di Efeso viene dibattuta ed approvata la dottrina cirilliana, questa è essenzialmente cristologica, e costituisce il più profondo tentativo d’ interpretazione dell’ incarnazione del Verbo come viene enunciata dal simbolo niceno. Per quanto riguarda la dottrina mariologica relativa alla divina maternità di Maria, cioè il suo essere legittimamente Theotokos, va rilevato che è l’ essenziale chiave interpretativa del mistero dell’ incarnazione, è ciò che spiega e rende possibile l’ unione delle due nature secondo l’ ipostasi. È nella seconda lettera che Cirillo esplicita la divina maternità di Maria: «Questo predica la dottrina della fede più sicura; questo troviamo che abbiano ritenuto i santi padri: infatti non dubitarono di chiamare la santa vergine Theotokos (genitrice di Dio), non nel senso che la natura del Verbo e la sua divinità abbiano avuto dalla s. Vergine il principio della loro origine, ma che avendo tratto da lei quel sacro corpo perfezionato dall’ anima intelligente, al quale il Verbo di Dio era unito secondo l’ ipostasi si dice nato secondo la carne». Calcedonia (451) Anche in questo concilio la dottrina mariana è legata a quella cristologia, e anche qui la dottrina mariana più che corollario è chiave interpretativa. Ecco il testo: «Il Figlio, “ che prima dei secoli è generato dal Padre secondo la divinità, negli ultimi giorni, lo stesso, per noi e per la nostra salvezza, è generato da Maria vergine madre di Dio secondo l’ umanità» . In questa formula il nome proprio di Maria personalizza il termine madre e specifica la Vergine che genera, inoltre c’ è un’ ulteriore specificazione rispetto ad Efeso, infatti se il termine Theotokos ad Efeso indica la maternità in senso proprio, a Calcedonia lo stesso termine indica la maternità in senso vero. Il concilio di Calcedonia alla dottrina della maternità divina non ha portato nessuna nuova esplicitazione dogmatica rispetto ad Efeso, ha solo contribuito a darle una veste formale e giuridica, cioè una formulazione verbale con valore dogmatico espressamente dichiarato. Il Vaticano II (1962-65) Il concilio Vaticano II nella costituzione dogmatica Lumen gentium ripropone tutta la dottrina mariana della divina maternità, ma non si ferma solo a questo, ma rilegge questo fondamentale mistero della Vergine nel più vasto contesto dottrinale dell’ intera missione di Maria, all’ interno della storia della salvezza, cioè alla luce del mistero di Cristo e della Chiesa. Questa la dottrina del Vaticano II. - La maternità divina nel mistero di Cristo. Il titolo del capitolo VIII della Lumen gentium specifica come la divina maternità di Maria sia il fulcro dottrinale, per il Vaticano II, di tutto il mistero e della missione di Maria, ciò indicato anche dai numerosi termini che si riferiscono a tale tema presenti in quasi tutti i numeri del capitolo VIII (Madre di Dio, Madre del Salvatore, Madre del Redentore, Madre del Signore; Genitrice di Dio), vocaboli quasi sempre abbinati alla qualifica di “ Vergine” o “ sempre Vergine” . Tuttavia con l’ utilizzo di questi titoli più che al contenuto ontologico si intende mettere rilevare la dimensione soteriologia che essi portano in se. Infatti, più che ad indicare che Maria è la vergine che concepisce e partorisce, che il Figlio di Dio assunse da lei la carne, specifica l’ importanza che la divina maternità di Maria ha per la storia della salvezza, quale apporto essa dà alla salvezza dell’ umanità. Di conseguenza e grazie all’ apporto della Scrittura, il concetto della divina maternità non viene limitato al solo momento genetico della concezione e del parto, come avveniva per la storia antica, ma abbraccia tutto l’ arco della vita di Maria con Gesù ed esprime tutto il lungo processo di maturazione materna o di progressiva unione con il Figlio salvatore. Concezione, parto, nutrimento, crescita, costituiscono solo le prime esenziali tappe di questo privilegio, che matura e perfeziona «fino a stabilire una perfetta conformità tra madre e Figlio ed a stabilire una loro intima e costante unione nell’ opera della salvezza, da Nazaret a Betlemme, da Cana a Gerusalemme, dal Calvario all’ assunzione al cielo». In coerenza a questo principio i padri conciliari danno ampio rilievo all’ atteggiamento psicologico e spirituale con il quale Maria ha vissuto la sua maternità, è questo il vero elemento formale della sua maternità salvifica, rilevato già dagli antichi padri e riproposto dall’ attuale riflessione sia teologica che magisteriale. Interpretando allora il consenso di Maria nell’ annunciazione mette in evidenza che esso è dato nella piena libertà e coscienza ed esprime un serio responsabile impegno di fronte all’ invito divino di un servizio totale a Cristo e alla sua opera salvifica (LG 53.56). Insieme a questi valori psicologici vengono rilevati quelli spirituali. Maria vive la sua divina maternità salvifica sotto l’ impulso dello Spirito Santo, dall’ inizio alla fine della sua vita terrena, in un progressivo cammino di fede, di speranza, di obbedienza, di carità, consacrando tutta la sua esistenza all’ opera salvifica del Figlio. Questo aspetto è l’ apporto più originale del magistero conciliare al tema della divina maternità. Un altro elemento teologico desunto dalla Bibbia che specifica “ in novità” questo antico privilegio mariano è il servizio. La Madre di Dio è la serva del Signore (cf. Lc 1, 35), è colei che interpreta la sua missione materna nella linea dei “ servi di Jahvè” , cioè come servizio per il genere umano, affinché si realizzi la volontà salvifica di Dio su di esso (LG 56). Il capitolo VIII pur sottolineando che la divina maternità è un dono, una dignità, concetti mutuati dalla teologia mariana dei primi secoli, tuttavia sottolinea come Maria l’ ha vissuta, come servizio, proprio perché è Madre di Dio è serva. - La maternità divina nel mistero della Chiesa. In due originali paragrafi (LG 63-64) il concilio approfondisce il rapporto divina maternità e chiesa, lo fa mutuando da sant’ Ambrogio il concetto di figura: Maria è figura della chiesa nella sua maternità verginale. Operando questa tipologia il concilio vuole affermare che non è solamente Maria madre e vergine, ma è anche la chiesa è madre e vergine, e che la maternità della prima è figura della maternità della seconda, sia perché questa l’ ha interpretata per prima, sia perché di fatto ne ha dato un esempio eminente e singolare. Per cui si può arrivare ad affermare che l’ evento salvifico della divina maternità di Maria, non va considerato come un evento del passato, riferito solo a Maria, ma è una realtà che si rinnova in tutti i tempi della salvezza ad opera della chiesa, che come Maria vive la sua maternità verginale. Rimane tuttavia chiaro che il tipo di generazione con il quale Cristo nato dalla Vergine e quello con cui continua a nascere dalla chiesa sono di natura e modalità diverse, pur riscontrando ambedue l’ apporto dello Spirito Santo. Ma ciò che più conta è che il Vaticano II ha aperto una nuova pista di approfondimento nella divina maternità, la quale non è più un rapporto Maria – Cristo, ma è anche un intimo rapporto Maria – Chiesa, estendendone il significato a tutta la storia della salvezza. Maria è la Madre nostra. P. Gino Alberto Faccioli, ISSR "Santa Maria di Monte Berico" Leggi le altre riflessioni sulla figura di Maria nella Liturgia » Copyright © 2017 ReteSicomoro