Storia
Giove è noto sin dalla preistoria prende il nome dal dio romano Giove
(chiamato Zeus dai Greci); il suo simbolo astronomico è una
rappresentazione stilizzata del fulmine del dio.
Nel 1610 Galileo, osservandolo al telescopio, scoprì i satelliti medicei,
chiamati così in onore di Cosimo II de Medici; questi però sono passati
alla storia come satelliti galileiani (Io, Europa, Ganimede, Callisto) essi
diedero una delle prime conferme della teoria copernicana e con il loro
moto hanno permesso di misurare la massa di Giove, che è risultata la
maggiore fra tutti i pianeti .
Aspetto esteriore
Al telescopio si presenta di un giallo sfavillante, dominato da una
coloratissima atmosfera, costituita per il 90% da idrogeno e il 10% di elio,
con varie tracce di metano, ammoniaca e acqua. Queste due,
combinandosi con gli atomi di idrogeno, danno alle nubi il loro colore
caratteristico.
Le nubi si dispongono in bande orizzontali di vari colori che si muovono in
senso opposto l’una all’altra alternando bande chiare, dette zone, ad altre
scure, dette fasce, caratterizzate rispettivamente da nubi ascendenti
calde e nubi discendenti fredde.
Una tale configurazione è il risultato della prevalenza, almeno fino a
latitudine 60°, di correnti zonali, ovvero venti diretti verso levante o
ponente capaci di raggiungere velocità maggiori di 600 Km/h.
L’attrito fra le diverse bande produce vortici, che all’occhio appaiono
come macchie di forma ovale.
La più evidente è la cosiddetta Grande Macchia Rossa: una tempesta
anticiclonica posta a 22° sotto l'equatore, osservata per la prima volta da
Cassini e da Hooke attorno al 1665, presente perciò da almeno 340 anni.
La longevità può essere attribuita a diversi fattori, come il fatto che il suo
moto è sospinto dal calore interno del pianeta e che possa assorbire
tempeste più piccole.
Ha un colore rosso perché si pensa contenga un gas ricco di
metano, che proviene dagli strati sottostanti dell'atmosfera; ha una forma
ovale e le sue dimensioni, piuttosto variabili, sono 24-40.000 km per 1214.000 km.
Essa si muove solo longitudinalmente alla velocità di circa 1 m/s. In
questo modo deve aver compiuto diverse volte il giro del pianeta; inoltre
ruota su se stessa in senso antiorario con un periodo di 12 giorni terrestri
disperdendo parte della sua energia nell’ambiente.
Pare che essa si stia riducendo ad un ritmo di 100 Km all’anno,
attualmente è grande circa la metà di come era 100 anni fa; le variazioni
di colore, invece, sembrano seguire un ciclo trentennale con passaggi da
un rosso mattone acceso ad un rosa verdastro appena percettibile.
Nel settembre 2008 la NASA scopre un'altra nuova frammentazione della
grande macchia rossa: si tratta della cosiddetta Baby macchia rossa, una
piccolissima formazione ciclonica distaccatasi dalla grande macchia rossa
ed all'inizio di ottobre 2008 riassorbita nuovamente dopo un transito.
Non si sa quanto la Grande Macchia durerà, o se questi cambiamenti
sono il risultato di normali fluttuazioni.
Esplorazione dell’atmosfera
Per esplorare in modo diretto Giove sono state lanciate
complessivamente sei sonde.
La prima, Pioneer 10, ha fatto un flyby di Giove nel mese di dicembre del
1973, seguita dalla Pioneer 11 esattamente un anno più tardi; le due
missioni hanno fotografato per la prima volta la superficie del pianeta
gassoso.
In seguito furono lanciate in orbita la Voyager 1 e la Voyager 2 che
effettuarono un flyby rispettivamente nel marzo del 1979 e nel luglio
dello stesso anno. Grazie alle missioni Voyager venne scoperta la
presenza di anelli attorno al pianeta, aumentò enormemente la
conoscenza delle lune galileiane e furono fotografati lampi molto intensi
sul lato non illuminato del pianeta (la loro esistenza unita ai principali
elementi costituenti la Grande Macchia Rossa, in seguito ad esperimenti
di laboratorio, hanno rivelato la presenza di nitrile, costituente degli
amminoacidi )
La sonda Galileo fu lanciata il 18 ottobre 1989 tramite lo Space Shuttle
Atlantis e raggiunse l'orbita di Giove il 7 dicembre 1995 grazie ad una
speciale traiettoria denominata "V.E.E.G.A." (Venus - Earth - Earth Gravity
Assist).
Nel luglio del 1995 dalla Galileo è stata lanciata una sonda, Probe, che è
entrata nell'atmosfera di Giove il 7 dicembre. Si è paracadutata per 150
km attraverso l'atmosfera raccogliendo dati per 57,6 minuti, prima di
essere schiacciata dalla pressione a cui era sottoposta.
Probe ha trasmesso dati preziosi, che hanno modificato le nostre
conoscenze di Giove. Le dense nubi sono immerse in un'atmosfera
costituita da idrogeno molecolare, elio e in minima parte da metano,
ammoniaca e acqua. Sono proprio questi ultimi che combinandosi con gli
atomi di idrogeno danno alle nubi il loro colore caratteristico.
Poiché l'accelerazione gravitazionale di Giove è superiore a quella degli
altri pianeti giganti gassosi, la sua atmosfera è la più compressa negli
strati più interni e nello stesso tempo la più sottile in quelli più alti (la
temperatura nella termosfera, al livello corrispondente a 0,1 bar, è di
circa 100 K).
La sonda Galileo ha analizzato l'atmosfera gioviana nell'infrarosso; in base
ai suoi dati si è stimato che alla base dell'atmosfera, cioè a 14.000 km
dalla sommità delle nubi, a causa di alte pressioni (circa 2x1011 Pa) e
densità, esista un oceano di idrogeno molecolare
ed elio atomico liquidi con densità pari a quella
dell'acqua sulla superficie terrestre e
temperatura di 6000 K.
Infatti, in queste condizioni che rendono la
materia degenere, i legami atomici e molecolari
si modificano, gli elettroni non sono più legati ad
un singolo protone e si genera un liquido opaco alla radiazione e
conduttore di corrente, talmente simile ad un metallo fuso da essere
stato chiamato idrogeno metallico liquido.
Un altro risultato è stato l'aver rivelato che la composizione chimica
dell'atmosfera di Giove non è del tutto analoga a quella del Sole, infatti il
rapporto in massa He/H è di 0.156 e sono inoltre presenti molecole di
metano ammoniaca ed acqua.
Nel 1994, mentre si avvicinava a Giove, la sonda ha anche assistito
all'impatto della cometa Shoemaker-Levy 9.
Nel 2000 è stato effettuato un flyby anche dalla sonda Cassini-Huygens e
la NASA sta pianificando una nuova missione per studiare Giove in
dettaglio; la sonda si chiamerà Juno e il suo lancio è previsto per il 2010.
Interno
L'abbondanza di elio è poco più della metà di quella della fotosfera solare
e si è pensato che l'elio mancante si sia spostato lentamente verso il
centro del pianeta aumentando così l'energia irradiata da Giove (circa 2
volte e mezza quella ricevuta dal Sole).
L'eccesso di energia emessa potrebbe anche essere il prodotto residuo
della contrazione seguita al collasso gravitazionale, avvenuto durante il
primo stadio della sua formazione.
Giove è spesso considerato una stella fallita. Infatti, se fosse stato almeno
13 volte più pesante, avrebbe ospitato le condizioni necessarie per
innescare le reazioni di fusione nucleare del Deuterio, Li, Be e B (nana
bruna).
L’interno di Giove ha una triplice struttura.
Si suppone l’esistenza di un piccolo nucleo solido di natura rocciosa (ferro
e silicati) del diametro di circa 12.000 km, ad una temperatura di 25000
K, sulla cui superficie la pressione dovrebbe aggirarsi su 450 milioni di kg
per centimetro quadrato.
Attorno al nucleo per uno spessore di circa 35.000 km vi è il mantello
(shell), uno sconfinato oceano di idrogeno metallico liquido sottoposto ad
alta pressione (superiore a 4 milioni di bar) e che raccoglie la maggior
parte della materia costituente il pianeta. Questo strato contiene
probabilmente anche elio e tracce di vari tipi di "ghiaccio".
Ancora più esternamente, l'idrogeno rimane sotto pressione leggermente
minore e si estende per altri 23.000 km in stato molecolare.
Campo Magnetico
La magnetosfera di Giove è la più grande struttura planetaria dell’intero
sistema solare: è così estesa che, se fosse visibile, apparirebbe nel cielo
più grande della Luna piena.
Si ritiene che l'intenso campo magnetico (pari a 4 Gauss all'equatore), la
cui causa sembrano essere i moti convettivi all'interno dello strato di
idrogeno metallico, faccia da barriera alle particelle cariche del vento
solare e le costringa a deviare per evitare l'invisibile ostacolo.
Sul suo bordo anteriore, volto verso il Sole, si forma un'onda d'urto; dalla
parte opposta il campo magnetico interplanetario trasportato dal vento
solare si fonde con quello di Giove, formando una lunga e turbolenta
"coda magnetica" che si estende fino a intersecare l'orbita di Saturno.
All'interno della magnetosfera le particelle cariche ivi intrappolate
formano delle intense e letali fasce di radiazioni, pericolose perfino per
l'incolumità dei circuiti elettronici delle sonde che vi si sono avventurate.
Tali particelle non sembrano provenire dal vento solare, bensì dalle
emissioni vulcaniche del satellite Io che, come gli altri satelliti galileiani, si
muove all'interno della magnetosfera.
Nelle regioni polari di Giove sono state osservate delle emissioni aurorali
simili alle aurore polari terrestri; esse sono probabilmente dovute a
particelle cariche provenienti dal Sole o dal satellite Io, che si muovono
nel campo magnetico gioviano emettendo radiazione.
Gli Anelli
Il pianeta Giove possiede un debole sistema di anelli planetari composti
da particelle simili a polvere, per la maggior parte provenienti dai satelliti
naturali del pianeta in seguito a violenti impatti meteorici. Si tratta cioè di
silicati (mentre, a titolo di confronto, gli anelli di Saturno sono composti
principalmente di ghiaccio d'acqua).
Gli anelli di Giove sono caratterizzati da un albedo estremamente basso,
mediamente pari a circa 0,05, e furono pertanto scoperti solamente nel
1979, quando la sonda spaziale Voyager 1 effettuò un sorvolo ravvicinato
del pianeta.
I primi indizi della loro esistenza erano emersi nel 1974, quando la sonda
Pioneer 10, nel corso di un fly-by, aveva individuato un intenso campo
magnetico che trattiene particelle cariche in particolari regioni di spazio
più o meno prossime al pianeta, analogamente a quanto avviene nelle
fasce di Van Allen terrestri; vi era tuttavia una inaspettata carenza di
particelle fra i 50.000 e i 55.000 km di altitudine rispetto all'atmosfera del
pianeta, che aveva portato ad ipotizzare l'esistenza di un satellite o di un
anello planetario.
Dopo le osservazioni fortuite da parte del Voyager 1, che scattò una sola
fotografia dei deboli anelli di Giove, il Voyager 2 fu riprogrammato per
predisporre i propri strumenti ad uno studio approfondito degli anelli,
mentre era già in viaggio verso Giove.
Ad oggi conosciamo quattro anelli: l’anello di alone, l’anello principale,
l’anello Gossamer e un ultimo, scoperto dalla sonda Galileo, più esterno,
che ruota in direzione retrograda attorno a Giove e la cui origine è
sconosciuta; si tratta forse di polveri interplanetarie catturate dal pozzo
gravitazionale del pianeta.
L'anello Gossamer è convenzionalmente diviso in due parti, l’ anello
interno o di Amaltea, compreso nell'orbita di Amaltea, e l’anello di Tebe,
più esterno , che si estende fino all'orbita di Tebe; a questi va aggiunta
una nube di pulviscolo (detta Estensione di Tebe) che si prolunga oltre
l'orbita di Tebe, fino a svanire gradualmente nel vuoto interplanetario. Si
può quindi genericamente parlare, al plurale, di anelli Gossamer, in
riferimento alla molteplicità di sottoanelli presenti nel sistema.
L'architettura del sistema gioviano di anelli è il risultato dell'interazione di
un certo numero di forze: la forza gravitazionale esercitata da Giove e dai
suoi satelliti (e in particolare dai satelliti pastore, che orbitano in
prossimità o all'interno degli anelli), la forza elettromagnetica dovuta
all'intenso campo magnetico rotante del pianeta, la forza di attrito dovuta
alla presenza di polveri interplanetarie (più dense in prossimità di Giove).
Gli anelli si compongono di piccole polveri e microscopici detriti che
ruotano attorno al pianeta. Quelli più interni si trovano entro il limite di
Roche di Giove, ovvero la distanza dal centro del pianeta a cui un satellite
può mantenere la propria struttura fisica senza disgregarsi per effetto
delle forze di marea (per corpi aventi la stessa densità del pianeta madre,
questo limite equivale a 2,456 volte il raggio del pianeta).