TESTAMENTO BIOLOGICO (2009) Nel III Millennio la Medicina e le tecnoscienze hanno assunto un ruolo sempre più importante e significativo. Molte malattie un tempo incurabili sono state debellare, altre, pur non raggiungendo la guarigione, sono curate e permettono una soddisfacente qualità di vita. Tuttavia nascono nuovi problemi e, se da un lato si aprono scenari ricchi di speranza, dall’altro, casi sempre nuovi suscitano perplessità e pongono in essere questioni di fondo su senso della vita, della morte, della salute e della malattia. In tale contesto si colloca la vicenda di Eluana Englaro che con il suo inenarrabile carico di sofferenza sta richiamando da alcuni mesi l’attenzione dei mass media. Giornali e televisioni invadono l’Italia con notizie, riflessioni e considerazioni sulla storia di questa ragazza da oltre sedici anni in stato vegetativo permanente. La crescente paura di fronte a tali situazioni, il diminuito senso della finitudine, l’enfatizzazione intorno ai cosiddetti casi limite, quali Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, hanno ulteriormente favorito la discussione sul testamento biologico o living will. Come precisano le Dichiarazioni anticipate di trattamento del Comitato Nazionale per la bioetica (18 dicembre 2003), il testamento biologico è il «documento con il quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato». Fondato sul principio di autonomia e nato come conseguenza alla diffusione del consenso informato, è sempre revocabile, ha una durata di 3-5 anni e deve essere nuovamente confermato al termine del periodo definito. Anche per queste ragioni l’interessato nomina un tutore come interprete delle sue volontà circa le cure accettate e le eventuali modalità della propria morte. Il testamento biologico è già normato da apposite leggi negli Stati Uniti, Canada, Australia, Francia, Spagna, Belgio, Danimarca, Germania e Olanda. In Inghilterra non c'è una legge specifica a riguardo ma numerose sentenze sull'argomento lo hanno di fatto reso legale. La sua promozione negli Stati Uniti e in altri Paesi anglosassoni viene quasi sempre fatta dai sostenitori dell’eutanasia e dalle associazioni che lavorano per la sua legalizzazione. Sembra più che giustificato, dunque, il sospetto che molte volte il Living Will venga proposto e interpretato come una “punta di lancia” per promuovere la “cultura della morte”. Negli ultimi anni è inoltre stato utilizzato in base a ragioni anche economiche, per giustificare la sospensione dei trattamenti medici in pazienti inabili, ma che non sono malati terminali. I testamenti vigenti nel mondo variano notevolmente sia nello spirito che nello stile e risentono dei diversi orientamenti antropologici e culturali di fondo. Mutano anche le disposizioni contenute in ogni documento: si va dalla domanda dell’eutanasia attiva (Olanda), alla richiesta di terapie intensive per il prolungamento della vita (Stato dell’Indiana), passando per il rifiuto sia dell’eutanasia che dell’accanimento terapeutico (Conferenza episcopale spagnola). Questo acceso clima internazionale ha raggiunto anche l’Italia concretizzandosi in diverse proposte di legge attualmente in fase di discussione ed alle quali le vicissitudini della Englaro ha dato una notevole accelerazione. Alcune proposte sono molto prudenti ed equilibrate, annoverano idratazione e alimentazione tra i doveri di cura e ne impediscono la loro sospensione. Altri disegni di legge, più spregiudicati ed aggressivi, si spingono invece in una direzione pro-eutanasia. L’opinione pubblica si è molto appassionata alla vicenda di Eluana Englaro ed al tema del testamento biologico, ma, occorre dirlo, è difficile farsi idee chiare e distinte. La moda del sensazionalismo, le intromissioni della politica hanno contaminato le notizie e anche i mezzi di informazione non riescono talvolta ad assolvere pienamente il loro compito, fornendo notizie-scoop che soddisfano l’emotività dei lettori ma non la loro autentica sete di sapere. Incontri con esperti possono contribuire a creare una cultura più consapevole. A tal fine il Centro Cattolico di Bioetica, in collaborazione con l’Associazione Medici Cattolici e l’Associazione Bioetica & Persona ha promosso un incontro che si terrà a Torino, mercoledì 18 febbraio 2009, presso l’Istituto Suore di S. Giuseppe, in Via Giolitti, 29. (vedi locandina) Il testamento biologico se da un lato sembra essere, almeno nelle intenzioni, la risposta più soddisfacente ai cosiddetti casi limite della medicina ed a prevenire l’accanimento terapeutico, dall’altro pone in essere problemi di non facile soluzione. Il principio di autonomia può negare la vita ed includere il diritto a morire? Può prevalere sul principio di indisponibilità e intangibilità della vita umana? Le già citate Dichiarazioni anticipate di trattamento del Comitato nazionale per la bioetica (art. 10,b) negano la possibilità di inserire nel testamento biologico indicazioni con finalità eutanasiche e il Codice di deontologia medica all’art. 17 invita il medico a non assecondare disposizioni del malato atte a favorirne la morte. Anche la Costituzione italiana nel sancire la libertà di diritto alle cure afferma l’inviolabilità della vita di ogni essere umano. Ci si deve interrogare soprattutto sul valore morale di una volontà testamentaria espressa in anticipo e fuori dalle concrete situazioni di malattia e del conseguente impoverimento del ruolo del medico che non può essere un mero esecutore delle volontà espresse dal paziente. Il diritto prioritario del malato a gestire la sua cura va coniugato con il dovere di tutelare la vita, poiché questa non si possiede, ma si identifica con la stessa persona. Le aspettative, i bisogni, i desideri sempre in divenire dei malati non possono forse essere racchiusi nella loro complessità in un documento, qualora anche ben articolato ed esaustivo. I temi della fragilità umana ci colgono sempre impreparati. Accompagnare la sofferenza e trarne da essa un senso resta comunque un dovere di tutti, a prescindere dalla fede religiosa o dell’ideologia, anche in un mondo che tende a rimuovere questa realtà ricorrendo, ad esempio, alle direttive anticipate, vissute come antidoto alla sofferenza. Curare adeguatamente non è solo somministrare dei farmaci, ma qualcosa di più, è un rapporto tra esseri umani e come tale non codificabile da regole, norme, codici. Ogni caso è diverso da un altro e soltanto chi possiede un bagaglio umano, culturale e valoriale adeguato può affrontare le varie situazioni e districarsi nel complesso mondo della salute. Il medico ha l’obbligo di prendersi cura del paziente, ma al contempo ha il dovere di rispettarne l’autonomia. Su questo difficile equilibrio si fonda il principio di proporzionalità della cura. Tali sono i presupposti per interpretare il caso di Eluana Englaro ed esprimere opinioni appropriate sul testamento biologico. I Diritti umani e la vita debole devono comunque essere riaffermati con forza, anche e soprattutto quando sono minacciati dal relativismo, da una politica e da un’economia senza scrupoli, da una scienza selvaggia o da un sistema alienante, puramente coercitivo e senza speranza. L’uomo del terzo millennio è chiamato a vivere in una società individualista e frammentata, in cui le responsabilità non vanno oltre le singole decisioni personali ed in cui le scelte morali non scaturiscono dall’incontro del singolo con la collettività, ma dal trionfo di un libero arbitrio votato alla propria autoaffermazione. La Legge, qualora giunga anche a concretizzarsi in un testamento biologico, non può avere altro scopo che la difesa della vita in ogni sua forma e condizione, in perenne tensione verso il bene comune, nella tutela sempre e in ogni caso di tutti gli individui sani e malati, al fine di riscoprire il significato autentico della libertà. Enrico Larghero – Giuseppe Zeppegno