PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO COGNITIVO

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PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO COGNITIVO - SVILUPPO DELLA MEMORIA
Le principali spiegazioni dell’oblio
due concezioni:
• una passiva, che spiega l’oblio col deterioramento della traccia in assenza di esercizio (disuso)
• una attiva, articolata in diverse formulazioni che attribuiscono l’oblio all’interferenza di un’attività
interpolata (neo-associazionisti) o alle modifiche autonome della traccia (Gestaltisti).
La teoria del disuso è stata abbandonata, però è servita di base alla formulazione delle teorie sulla memoria a breve
termine.
Teorie attive: l’interferenza
Secondo la definizione dei comportamentisti, il ricordo non è altro che una risposta a uno stimolo (riconoscimento)
e differisce dall’apprendimento solo per la distanza di tempo. Dimenticare vuol dire estinguere una risposta che è
stata associata a uno stimolo;
l’estinzione avverrà per le attività interpolate che determinano una competizione di risposte, un dis-apprendimento,
un’inibizione reciproca
Teorie attive: le modificazioni autonome
I Gestaltisti attribuiscono alla memoria le stesse caratteristiche della percezione estendendo al campo temporale le
tendenze dinamiche che si manifestano in campo percettivo e spaziale, per cui non si percepiscono unità singole ma
configurazioni globali; gli stimoli già a livello cerebrale, vengono organizzati in un campo dinamico con tendenza
verso la “buona forma”, la regolarizzazione, la chiusura.
I metodi quantitativi: Ebbinghaus
Fin dal 1885 Ebbinghaus aveva introdotto un metodo scientifico per lo studio del ricordo.
Riuscì a misurare, ad esempio:
Il grado di apprendimento attraverso il metodo del risparmio
La forza dell’apprendimento ripetuto (Overlearning)
l’apprendimento seriale (ricordare l’ordine di posizione )
Fra tutti i metodi introdotti da Ebbinghaus è fondamentale il metodo “del risparmio” che permette di vedere la
quantità di ricordo attraverso il confronto tra il numero e il tempo dei tentativi nel primo apprendimento e il tempo
del riapprendimento misurato a vari intervalli rispetto all’apprendimento iniziale. Infatti in questo modo si ottiene
una misura indiretta, ma precisa della quantità di ricordo che è rimasta al di sotto di un apparente oblio, totale o
parziale.
Questa osservazione verrà ripresa recentemente sotto altra forma negli studi sulla memoria implicita.
I metodi qualitativi: Bartlett e Piaget
Il concetto di schema: Bartlett (anni 30)
Bartlett contrappone alla concezione dei ricordi intesa come collezione di riproduzioni immobili una visione dei
ricordi come legati alle esperienze dell’individuo; la memoria è un processo dinamico in relazione da un lato con la
percezione, dall’altro con l’immaginazione e con i vari processi costruttivi del pensiero.
Il concetto di schema è importante perché segna il passaggio allo psicologia cognitivista, mettendo in rilievo i
processi attivi del soggetto quando si avvicina alla realtà esterna. In generale per schema si intende
un’organizzazione di dati interna all’individuo, ma abbastanza astratta, generale, flessibile da poter essere utilizzata
in contesti diversi
Gli schemi logici: Piaget
Piaget accoglie anche nel suo modello lo spostamento dell’interesse sull’attività di codificazione del soggetto
rispetto all’interesse centrato sul materiale: privilegia quindi l’attività costruttiva sia nella fase della codifica, sia in
quella del richiamo e della rievocazione.
Egli osserva: “l’ipotesi è che il codice stesso utilizzato dalla memoria dipenda dalle operazioni del soggetto e
perciò si modifichi nel corso dello sviluppo”. Egli suppone quindi che i ricordi siano legati agli schemi caratteristici
di un certo stadio mentale e ne seguano le sorti, tendendo perciò a migliorarsi man mano nei bambini secondo le
linee di sviluppo
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Piaget e la sua stretta collaboratrice Inhelder studiavano i ricordi dei soggetti a diversi intervalli di tempo,
confrontando la memoria immediata con quella a breve e lunga distanza (dopo un’ora, una settimana, sei mesi). Il
materiale era costituito da configurazioni di tipo logico, da strutture logiche moltiplicative, da strutture di relazioni
spaziali e causali.
Poiché i soggetti erano bambini dai cinque anni in su, la prova di ricordo a lunga distanza corrispondeva anche a
uno stadio di maggiore maturazione intellettuale: il codice utilizzato modificava il materiale presentato adattandolo
al nuovo livello operatorio del soggetto
Benché Piaget sia spesso accusato di astrattismo e razionalismo eccessivi, perché centra il suo interesse sulla
trasformazione delle operazioni logiche, la sua esperienza di osservazione naturalistica lo porta a superare tali
confini; così egli rileva la continuità tra ricordi “falsi” e ricordi “veri”: sia l’evocazione spontanea, sia il richiamo e
la rievocazione, sia il falso ricordo rappresentano delle costruzioni su un continuum psicologico.
La psicologia cognitivista
I vari autori identificano diversi aspetti relativi alla memoria:
l’uso del codice verbale o visivo (Paivio)
la profondità dell’elaborazione (Craik e Tulving, Craik e Lockart)
i contenuti (memoria episodica e semantica, Tulving, Fatti e strategie, Anderson),
l’attivazione automatica e controllata delle risorse attentive,
i sistemi implicati nelle varie fasi (registrazione, conservazione, recupero)
e nei vari metodi di rievocazione (riconoscimento e richiamo).
Neisser riprende esplicitamente le idee dei Gestaltisti sulla percezione del tutto che precede quella delle parti e
prevale su di esse, sull’importanza delle strutture, sugli aspetti dinamici delle tracce: a proposito della memoria
sostiene che le tracce non sono copie “dormienti” che aspettano di essere riportate alla coscienza, bensì tracce di
atti costruttivi che nel ricordo a lungo termine vengono nuovamente associati, raggruppati, riorganizzati,
gerarchizzati, in una parola ricostruiti.
La memoria non è quindi un magazzino, ma un processo cognitivo di ricostruzione in cui il soggetto opera come
l’archeologo che da alcuni frammenti di ossa ricostruisce un dinosauro.
Neisser confuta pertanto l’ipotesi dinamica della “riapparizione”, per cui i ricordi sarebbero solo informazioni
conservate nei tessuti organici e riattivati; le contrappone l’idea che attenzione, percezione e memoria sono
processi costruttivi in cui la variazione adattiva è la regola e non l’eccezione: i frammenti di informazione non sono
semplicemente attivati, ma utilizzati in un processo che ricostruisce non solo gli oggetti ma anche il loro sfondo,
cioè uno schema spaziale, temporale e concettuale.
Working Memory
Negli anni 70 gli esperimenti dedicati alle primissime fasi del ricordo mostrano due aspetti apparentemente
contraddittori della memoria: la vulnerabilità e la fragilità della memoria a breve termine rispetto alla
conservazione a lunghissima distanza e magari per tutta la vita, di certe esperienze infantili, abilità e conoscenze,
come il linguaggio appreso da bambini che ricompare anche dopo molto tempo o dopo certe malattie, anche se non
lo si è esercitato.
Si dimostra l’esistenza di almeno due sistemi di memoria, a breve e lungo termine
Nel 1968 e poi nel 1971 Atkinson e Shiffrin forniscono un nuovo modello di memoria a breve termine che ipotizza
tre diversi magazzini, quello del registro sensoriale, quello della M.B.T., quello della M.L.T..
ll modello ipotizza che l’informazione proveniente dall’ambiente passi attraverso una serie di sistemi sensoriali
paralleli per poi entrare in un magazzino a breve termine da cui può uscire subito una risposta immediata, oppure
può essere trattenuto per breve tempo attraverso meccanismi di ripetizione e richiamo, fino a entrare nella M.L.T..
Tuttavia il modello non spiega come mai certi item vengano ricordati a lungo indipendentemente dal tempo in cui
sono stati trattenuti dalla memoria di lavoro e neanche come mai certi pazienti che hanno danni alla memoria a
breve termine (e quindi non dovrebbero essere in grado di apprendere nessuno stimolo nuovo) riescano a vivere
una vita quasi normale
Baddeley, concentrando i suoi studi sulle differenti modalità di registro sensoriale e sui tipi di codifica, propose di
sostituire un modello multi-componenti a quello di una singola memoria breve unitaria: è questo il modello della
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working memory (Baddeley-Hitch, 1974) in cui il ricordo è regolato da un esecutivo centrale con due servo-sistemi,
il circuito fonologico e il taccuino visivo spaziale.
Questo modello è stato integrato e sviluppato fino ad oggi (cfr. Vecchi, Cornoldi).
Il punto che differenzia questo modello dai precedenti di Atkinson e Shiffrin, è che non vi più la distinzione così
netta tra depositi a breve e a lungo termine, ma vi è la possibilità di trattenere (probabilmente in molte piccole
regioni) le informazioni ricevute con diverse modalità sensoriali, e poi lasciarle cadere o passarle nella M.L.T..
In questo caso però è necessaria un’elaborazione più profonda (nel senso di Tulving e Craik) che connette
l’informazione con le altre conoscenze già presenti. Questa elaborazione più profonda è probabilmente compiuta
dall’esecutivo centrale, che sarebbe regolato dalle aree pre-frontali e comunque è un processo che non riguarda solo
la memoria, ma implica vari processi cognitivi come la categorizzazione, la costruzione di concetti, la
riorganizzazione in schemi.
Memoria episodica e semantica
Nel 1972 Tulving introdusse la distinzione tra memoria episodica, come ricordo di un episodio specifico ben
identificato nelle sue caratteristiche e ben localizzato nel tempo e nello spazio e memoria semantica, che
comprende il complesso della nostra conoscenza del mondo (“l’enciclopedia mentale, la conoscenza organizzativa
che una persona possiede intorno alle parole e altri simboli verbali, il loro significato e referenti, le relazioni tra di
loro: il significato delle parole e la conoscenza di regole e situazioni che noi possediamo senza però ricordare
quando le abbiamo apprese.
Memoria episodica
È’ accompagnata dal riferimento alle
circostanze in cui l’episodio si è verificato la
prima volta
È tipica della memoria autobiografica,
è datata, ma si dimentica facilmente se non
viene raccontata
Memoria semantica
Non ci si ricorda come si è appresa
ma è molto durevole: comprende le parole,
le norme sociali, le conoscenze del mondo
da esperienze dirette, le conoscenze
del mondo che abbiamo appreso da altri
Si può osservare che nei bambini al di sotto dei 3-5 anni si ha una certa incapacità per la memoria episodica mentre
vi è una ricchissima capacità di formare e accrescere la memoria semantica: tra 1 e 2 anni il bambino impara
centinaia di parole, regole linguistiche, informazioni su oggetti, animali, persone, luoghi, mentre di rado è capace di
rievocare bene e con completezza un singolo episodio.
La Nelson ha mostrato che è più frequente il ricordo di uno script, per esempio “Che cosa si fa solitamente
all’asilo” piuttosto che il ricordo di un evento singolo “Che cosa è successo ieri all’asilo?”. Ciò è tanto più
notevole perché anche bambini di 2 –3 anni sono capaci di ripetere una serie di azioni che hanno osservato molto
tempo prima; ciò che manca loro è la capacità di riflettere sui propri ricordi ed organizzarli.
Neisser richiama la distinzione di Tulving tra memoria episodica e semantica (1972) che introduce varie ricerche
sull’organizzazione delle conoscenze. Queste dimostrano che alcuni ricordi vengono conservati non solo per tempi
più lunghi o lunghissimi, ma addirittura per sempre: così le lingue apprese da bambini, le categorie di oggetti,
animali, eventi che raggruppano esperienze singole in categorie concettuali, ma anche le regole di comportamento
sociale.
In tutti questi casi il ricordo dei singoli episodi scompare per dare luogo a una conoscenza generale quasi
indistruttibile; la memoria episodica si trasforma in semantica e viene riorganizzata in un sistema di conoscenze.
Concetti principali dell’orientamento ”Ciclo di vita”
I principali concetti su cui si basa questo orientamento sono:
lo sviluppo dura per tutta la vita e include una serie di adattamenti e ristrutturazioni dei periodi precedenti
esso va visto non solo come espressione di principi ontogenetici, ma anche di cambiamenti storici,
culturali. Le ricerche cross–sectional (che studiano gruppi di età formati da diversi soggetti), rischiano di
confondere gli aspetti dell’età con quelli della generazione storica, mentre è importante tenerli distinti.
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Lo sviluppo non è un cambiamento unidirezionale e cumulativo ma i diversi tipi di comportamento possono
iniziare e estinguersi in diversi periodi e anche le curve perciò possono essere diverse: un esempio tipico sono
quelle dell’intelligenza fluida e cristallizzata. Probabilmente anche la memoria può avere diversa velocità di
sviluppo e declino nelle diverse componenti.
Anche le spiegazioni dei cambiamenti sono pluralistiche perché alcuni di essi si devono a fattori biologici,
altri a influenze storiche, come i mutamenti sociali, altri infine a eventi individuali cruciali come i traumi,
perdite di persone care, cambiamenti radicali di professione e di status.
Può essere diverso il peso delle varie influenze secondo l’età: è infatti probabile, come suggeriscono
Baltes e Reese (1986) che i fattori biologici siano prevalente nell’infanzia e nella vecchiaia, mentre gli
eventi storici e le vicende individuali anche casuali prevalgono nell’adolescenza e nell’età adulta.
La memoria autobiografica dell’infanzia negli anziani
L’oggetto della ricerca sono i ricordi autobiografici dell’infanzia, rievocati da soggetti adulti ed anziani.
Il campione è costituito da soggetti dai 60 agli 80 anni, stratificati per età, sesso e istruzione, e da un gruppo di
adulti dai 40 ai 44 anni
La ricerca comprendeva una serie di test verbali e visivi, a breve e lungo termine, un test di ricordo di eventi storici
e un colloquio condotto in casa del soggetto.
si chiedeva al soggetto di rievocare i ricordi della propria infanzia, cominciando dal più lontano.
L’età del ricordo più lontano è 5,3 nel gruppo di 70-79 anni, mentre negli adulti è 4,5; per i soggetti meno colti è
6, mentre è 4,5 nei soggetti con istruzione superiore.
Questo dato, unito al minor numero di episodi e di temi, depone per una maggiore difficoltà di ricupero nei soggetti
più vecchi e con livello culturale basso.
forti differenze tra individui e tra coorti nella presenza di eventi memorabili nell’infanzia: in effetti, i soggetti in cui
l’infanzia coincideva con la guerra avevano ricordi più vividi degli altri sullo stesso periodo di vita.
La ricerca indica in modo evidente l’età media di 4-5 anni come data dei ricordi più lontani, confermando altre
ricerche della letteratura scientifica: la perdita dei ricordi prima dei 5 anni è maggiore di quella attesa in base alla
frequenza negli altri periodi e alla normale curva dell’oblio: ma questo non dimostra che la causa sia la rimozione e
che i ricordi siano in realtà conservati e recuperabili nella forma originaria (ipotesi freudiana).
I dati mostrano che dopo i 70 anni vi è una perdita progressiva anche dei ricordi di infanzia, che deve essere
attribuita a un declino della efficienza mnestica nel ricordo a lunga distanza: ciò è confermato dai test di M.L.T.
La tesi della rimozione implicherebbe invece che il deficit dei ricordi infantili fosse uguale nei giovani, negli adulti
e negli anziani di diversi livelli culturali; mentre l’ipotesi di un deficit nella codifica iniziale, cioè di un minore
capacità di codifica nei bambini piccoli, si spiega facilmente con l’uso del solo codice per immagini, che
porterebbe a ricordi meno resistenti di quelli conservati anche col codice verbale. Si accorda con questa ipotesi
anche l’osservazione che i pochi ricordi situati nel periodi 2-3 anni si configurano come frammenti di episodi,
immagini che sono state contestualizzate solo con l’aiuto di altri adulti, ed emergono come flash-bulb memories
destrutturate:
Donna 68 anni:
“Avrò avuto 3 anni anzi sicuramente quell’età perché poi ci siamo trasferiti – (ma che ci siamo trasferiti me lo hanno detto i
miei genitori), e ricordo il rosso, il rosso del cancello della nostra casa di Bergamo, poi vagamente ricordo una stanza, ricordo
bene le pareti gialle, ma solo quello, proprio ne ho l’immagine come del cancello, però non ricordo che stanza fosse, i mobili o
altro, solo il colore delle pareti, e il mio ricordo comunque è veritiero”;
Inoltre il fatto che il gruppo a cultura più bassa collochi il ricordo più lontano in età più alta depone pure a favore di
un deficit di codifica: infatti i soggetti con istruzione elementare hanno ricordi che iniziano appunto dai 6-7 anni
quando la scuola incoraggia il bambino a raccontare eventi che lo riguardano; per i soggetti più colti il ricordo
iniziale è precedente (4-5 anni) perché questo ruolo di stimolo è assolto dalla famiglia, in genere dalle
conversazioni con le madri.
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Effetti dell’istruzione
l’istruzione agisce sulla ricchezza tematica del ricordo oltre che sulla sua sistematicità. Tale ricchezza può anche
dipendere dal diverso tipo di vita. Quest’interpretazione pare adatta soprattutto per gli anziani con basso livello
culturale, che rievocano la loro infanzia come piuttosto uniforme, abitudinaria, senza eventi di spicco (niente
viaggi, vacanze, regali, ecc. da ricordare).
Gli anziani che non hanno finito le elementari, cioè i più poveri, descrivono spesso un’infanzia piena di privazioni e
di umiliazioni, segnata dal lavoro precoce e priva di divertimenti, ed una disciplina spesso molto dura sia in
famiglia che a scuola.
Ricordi autobiografici dei bambini
Le ricerche mostrano l’esistenza di due fenomeni significativi nell’arco di vita: il “reminiscence bump”, cioè la
maggiore frequenza dei ricordi che si addensano sull’età giovanile (20-25 anni) e l’amnesia infantile, cioè l’assenza
quasi totale di ricordi che risalgano ad età inferiori a 3-4 anni.
Mentre il primo dato si può spiegare con l’importanza dell’età giovanile per la formazione della personalità, il
secondo sembra contrastare con le ricerche sullo sviluppo dei bambini condotte con metodi sperimentali: infatti è
noto che nella prima infanzia i bambini mostrano una forte capacità di apprendimento e memoria, come si vede
dallo sviluppo straordinario del linguaggio, delle abilità delle coordinazione motoria, del comportamento sociale.
Tuttavia la M.A. è un tipo particolare di memoria, diversa da quelle che abbiamo citato, perché implica
un’organizzazione selettiva degli stimoli e una narrazione rivolta agli altri.
Le interpretazioni possibili per spiegare il fenomeno cosiddetto dell’amnesia infantile sono:
1. La grande distanza di tempo dal momento della rievocazione all’età in cui il fatto è avvenuto.
In questo caso si dovrebbe trovare una correlazione negativa lineare tra l’età del soggetto e la quantità del
ricordo, che dovrebbe essere molto minore nei vecchi.
2. Scarsa capacità mnestica del bambino nei primi 2 anni di vita, ma soprattutto nell’organizzazione del materiale
e nell’uso del linguaggio: perciò la memoria autobiografica non può esistere prima dei 5-7 anni.
3. Influenze sociali e culturali soprattutto della famiglia che esercita una selezione e un modellamento dei primi
ricordi.
Per verificare la terza ipotesi abbiamo fatto un confronto tra materiale da organizzare, come la memoria
autobiografica (M.A.) che richiede una selezione degli episodi, riflessioni su se stesso e sugli eventi personali, e la
memoria di eventi pubblici (eventi scolastici, festa), che sono già organizzati in episodi e non richiedono capacità
riflessive, in quanto sono già certamente mediati dai discorsi degli adulti (insegnati, genitori).
Si sono utilizzati colloqui guidati.
Per i ricordi autobiografici si partiva dal passato più recente (“Che cosa hai fatto ieri a scuola?….Nel
pomeriggio?….Che cosa hai mangiato ieri sera?) per risalire all’indietro sempre più lontano (“Che cosa ti è
successo la settimana scorsa?…Che cosa ti ha portato Santa Lucia quest’anno?…e L’anno scorso?…E tre anni
fa?….Dove sei andato in vacanza l’estate scorsa?). Se il bambino rispondeva si ritornava sempre più indietro fino
alla richiesta di raccontare “Qualcosa di quando eri piccolo piccolo” e addirittura si chiedeva se si ricordasse la
propria nascita, per vedere se il bambino cercava veramente di ricordare o stava inventando in base a discorsi
sentiti dai genitori.
Con l’aumentare dell’età aumentano i ricordi circoscritti (cioè gli episodi) e diminuiscono quelli ricorrenti (cioè gli
eventi di routine): anche questo conferma la tesi di Neisser e della Nelson per cui i bambini molto piccoli ricordano
degli script, cioè eventi che si ripetono con una certa uniformità, mentre quelli più grandi (7 e 9 anni) sono già
capaci di ricostruire una esperienza originale producendo un ricordo personale con caratteristiche di episodio.
Tale capacità per i più piccoli arriva solo fino alla ricostruzione di episodi vicinissimi (che infatti sono in
prevalenza circoscritti); nel gruppo dei 5 anni appena si supera la distanza di una settimana prevalgono gli episodi
ricorrenti, cioè gli script, i copioni di routine.
Benché i contenuti siano molto distanti dalle esperienze di Piaget, che riguardavano problemi logici, si conferma la
sua tesi che gli schemi operatori con l’età modificano il ricordo: sembra che i bambini maggiori di 7 anni in un
certo senso migliorino i ricordi precedenti, nel caso di Piaget rendendo più logiche e più plausibili le sequenze,
perché usano degli schemi operatori più avanzati; nel caso degli eventi personali organizzando una ricostruzione
più plausibile e più significativa perché hanno acquisito la struttura narrativa.
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Modalità dominante
prevale una modalità percettiva che si basa prevalentemente su immagini visive ma anche in molti casi tattili,
olfattive, gustative e acustiche: essi sono più frequenti che nei gruppi di adulti, i quali ricostruiscono i ricordi con
più modalità narrative e quindi verbali e con uno schema di ricostruzione del significato.
1.
I ricordi riferiti ad eventi precedenti ai 3 anni (qui classificati come “molto lontani”) sono più frequenti nei
bambini più grandi che hanno una maggior distanza temporale: quindi non è tanto la vicinanza di età quanto la
capacità di ricostruire un ricordo che ne aumenta la frequenza: molto spesso però la ricostruzione è fatta con
l’intervento dei genitori, che solo quando il bambino è più maturo viene distinto dal proprio ricordo autonomo.
2.
i bambini più piccoli man mano che si risale nel tempo non rispondono oppure inventano, basandosi sulle
narrazioni ascoltate dai genitori, che però a 5 anni nella maggior parte dei casi vengono confuse con le proprie e
danno luogo a ricordi quasi confabulatori,.
Viceversa i bambini di 7 e 9 anni rispondono francamente “Non ricordo” alla domanda “Raccontami quando eri
piccolissimo” o “quando sei nato”; in qualche caso, a 9 anni si identifica la fonte dell’informazione: “La mamma
mi raccontava…”
Nel complesso:
Certamente esistono nuclei di ricordi che arrivano in genere fino a 3-4 anni, a volte un po’ più lontano, ma non
sono mai precedenti ad un buon uso del linguaggio. Questi nuclei, di solito relativi ad esperienze specialmente
visive, cioè ad immagini, ma anche all’esperienza del proprio corpo, cioè emozioni legate a temi come il cibo, il
movimento, ferite o incidenti vengono poi costruiti in episodi che si arricchiscono man mano con il crescere
dell’età: i giovani li rivestono di aspetti affettivi e i vecchi li collegano ad una narrazione di vita.
Nei bambini benché la memoria si sviluppi molto presto manca la rievocazione conscia delle esperienze con la
distinzione della fonte e del contesto del ricordo, fino a quando essi non diventano capaci di riflessione e di
autocoscienza; per cui i ricordi riferiti in forma di episodi autobiografici sono per lo più l’effetto di un racconto di
familiari oppure sono ricostruzioni prodotte con l’aiuto di altri adulti, per esempio gli insegnanti, che
involontariamente le indirizzano verso certi modelli sociali o miti familiari.
In sintesi nei bambini sotto i 7 anni vi sono ricordi di immagini e di emozioni, ma manca ancora la componente
narrativa che è essenziale per la M.A.
Sviluppo della memoria nei bambini
In genere in tutte le prove si osserva una forte crescita tra i 6-9 anni, un leggero rallentamento tra i 9 e i 13, fino a
raggiungere quasi un plateau durante l’adolescenza; questo livello poi si conserverebbe per tutta l’età adulta e
subirebbe un declino con l’inizio dell’invecchiamento, più rapido dopo i 65-70 anni con l’eccezione della maggiore
frequenza e resistenza al tempo dei ricordi relativi alla giovinezza 18-25 anni.
Nei primi mesi di vita i neonati mostrano memoria di riconoscimento, che a 6 e a 9 mesi si mantiene già per periodi
abbastanza lunghi e si mostra attraverso l’imitazione differita.
A 6 mesi i bambini mostrano possibilità di richiamo dopo un breve periodo, a 9 mesi dopo un periodo più lungo e
con conservazione dell’ordine di presentazione (di sequenza). Tra 2, 3 anni si consolidano processi che dimostrano
memoria dichiarativa.
Gli intervalli di ritenzione aumentano rapidamente dopo i 9 mesi, e ancor più dopo i 18 con l’inizio del linguaggio:
questo diventa importantissimo sia per il recupero dei ricordi attraverso la ripetizione e l’associazione con indizi,
sia per la ricostruzione attraverso la conversazione e la narrazione.
Vi è l’aumento dello span (tra i 5 e i 6 anni), mentre categorizzazione e organizzazione aumentano
progressivamente (tra i 6 e i 7 anni); l’incremento che continua negli anni seguenti riguarda le prove più complesse,
compiti cognitivi che richiedono controllo e rielaborazione dell’informazione, schemi anticipatori e strategie. È’
pertanto molto influenzato dalla cultura e dall’ambiente familiare: la crescita della memoria è data non solo dalla
capacità del sistema di memoria di lavoro, ma anche dalle conoscenze generali del mondo contenute nella memoria
a lungo termine.
Nei compiti che richiedono immagini mentali attive e insieme sono più complessi avviene un forte miglioramento
tra i 6 e i 12 anni, mentre gli stessi compiti incontrano difficoltà di esecuzione durante l’invecchiamento. (es. di
compiti che richiedono processi attivi: le rotazioni mentali di immagini, la ricostruzione di una figura da frammenti
di immagini; i percorsi immaginari).
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Meccanismi che stanno alla base dell’aumento delle capacità mestiche:
Capacità di base: di solito misurata con prove di span (numero di item che resta nella memoria di lavoro).
Strategie: sono deliberate e consce dopo i 5 anni sia nella fase di apprendimento in cui si forma la codifica,
sia in quella di richiamo o rievocazione. Qui c’è l’influenza degli adulti e della scuola, che rendono esplicite
queste strategie
il miglioramento nelle strategie di codifica e organizzazione risente molto di fattori culturali, come
l’incontro con buoni maestri e la crescita di conoscenze dei bambini in diversi campi
con l’aumento dell’età dall’infanzia all’adolescenza esse diventano sempre meno fattori specifici della
memoria e sempre più operano come componenti della intelligenza.
I meccanismi sottostanti ai processi mnestici sono comunque gli stessi nei bambini e negli adulti: i ricordi sono
dimenticati gradualmente, recuperati attraverso indizi e modificati da nuove informazioni
Il sistema di memoria già nel primo anno di vita si differenzia in più sistemi che includono la memoria semantica e
quella episodica, la memoria dichiarativa e quella procedurale, la memoria implicita ed esplicita.
Risultati come quelli attribuiti generalmente all’amnesia infantile si potrebbero meglio definire come memoria
implicita, che non viene ripetuta perché manca il linguaggio verbale, ma tuttavia persiste anche per qualche mese
come è dimostrato dal riconoscimento o dall’attivazione di una serie di azioni a partire da un indizio che viene
riconosciuto: i ricordi conservati in questo modo non possono costituire dei veri ricordi autobiografici, sia perché
hanno durata non superiore a pochi mesi, sia perché vengono subito sostituiti da altri ricordi che possono essere
verbalizzati.
le esperienze del primo anno di vita possono influenzare gli apprendimenti e i comportamenti seguenti anche se il
ricordo del singolo evento non viene conservato intatto in forma episodica.
Ontogenesi della memoria degli eventi reali
la Nelson ha mostrato che sono molto più numerosi gli script generali rispetto ai ricordi episodici; sono inoltre
spesso più lunghi e più dettagliati, confermando l’ipotesi che gli schemi generali vengono formati prima dei ricordi
specifici.
spesso l’episodio specifico viene ricostruito in base allo script, magari mescolando episodi diversi e riempendo gli
spazi vuoti con qualche dettaglio di un altro episodio.
Quando si introducono gli elementi sociali nella valutazione dell’episodio occorso, diventa determinante il carattere
sociale dell’esperienza e quindi la funzione del linguaggio: l’organizzazione dell’informazione derivante dagli
episodi personali attraverso i racconti ripetuti da e ai genitori costruisce il sistema della memoria autobiografica,
che a differenza del sistema mnestico generale si appoggia sulla comunicazione verbale delle esperienze e sulla
condivisione sociale di un certo modello della realtà.
---> carattere di costruzione sociale della memoria autobiografica (Bruner)
L’inizio della memoria autobiografica risulta dallo sviluppo di capacità narrative (Fivush et al., 1995) e dallo
stabilirsi di un nuovo sistema di memoria basato su contenuti accessibili (Nelson, 1993): perciò un fattore
essenziale è costituito dalla frequenza e dalla qualità delle conversazioni tra genitori e figli.
Il modo di allevare i bambini ha un’influenza determinante, per cui l’attenzione, il tempo, la qualità dei dialoghi coi
genitori incidono fortemente sul formarsi dei primi ricordi e la loro rielaborazione successiva. Si sa ad esempio che
i genitori, specialmente le madri, passano più tempo a parlare col primogenito.
Si può così affermare che:
nei primogeniti e nei figli unici il primo ricordo avrà un’età più bassa, inferiore a tre anni;
così pure nelle famiglie più colte rispetto a quelle di lavoratori che hanno meno tempo disponibile;
nei bambini di famiglie numerose con istruzione bassa i primi ricordi coincideranno con l’ingresso all’asilo
nido o meglio alla scuola materna;
ci saranno differenze tra culture diverse a seconda che la famiglia sia più o meno centrata sul bambino.
Si può quindi affermare che i primi ricordi vanno perduti non perché sono rimossi, ma perché non sono mai esistiti
come ricordi episodici (tranne che come frammenti di immagini, sensazioni, etc.), in quanto incorporati negli
schemi e negli script finché il bambino non sviluppa bene il linguaggio; dopo i 3-4 anni alcuni ricordi episodici
prendono un vero carattere autobiografico perché sono collocati nel tempo e nello spazio, ancorati a indici anche
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interni, ripetuti più volte e organizzati intorno all’immagine di sé: ma la costruzione si arricchisce progressivamente
fino alla gioventù e alla vecchiaia.
ERRORI DI MEMORIA
Errori spontanei
Le distorsioni risultanti dai meccanismi che funzionano normalmente nei ricordi autobiografici in parte sono le
stesse che operano nelle situazioni sperimentali (ad es. fenomeni di “regolarizzazione”, fenomeni di falso
riconoscimento per associazione e familiarità), soltanto sono più appariscenti e più intense:
in circostanze che esigono la ricostruzione di fatti, come le testimonianze prodotte in tribunale oppure la
descrizione di un incidente o ancora la narrazione dei sintomi iniziali di malattia, si verificano non solo molte
omissioni, ma anche piccole distorsioni o veri e propri errori.
Infine ci sono gli errori che dipendono da suggerimenti, dall’aggiunta di informazioni vere o false dopo l’evento,
oppure dall’autorevolezza o autorità di chi interroga, dal confronto con le testimonianze rese da altri.
Se si chiede a bimbi di tre anni il ricordo di un episodio passato, ma importante, come la nascita di un fratellino o
un ricovero in ospedale, in genere lo ricordano ma non sanno dare a questo contenuto una forma narrativa fin verso
i quattro anni, che è appunto l’età critica in cui in genere iniziano i primi ricordi ottenuti col metodo
dell’autobiografia: infatti verso questa età si sviluppa un ordinamento temporale degli eventi e una struttura
cognitiva che permette di ordinarli entro una serie di punti di riferimento, come i compleanni, l’ingresso all’asilo o
scuola materna.
Secondo la Nelson i bambini verso i tre anni sanno riprodurre bene la routine degli eventi quotidiani (script) ma
non il ricordo di singoli episodi: occorre infatti che prima sviluppino uno script per poter riconoscere un evento
come nuovo e insolito.
La capacità di narrare la propria vita si sviluppa anche attraverso le conversazioni coi genitori, è perciò sensibile
alle differenze tra culture, all’ordine di genitura, al livello di istruzione.
Come le storie e i poemi epici sono ricordati meglio dagli esperti narratori e le posizioni delle partite a scacchi dagli
scacchisti esperti, perché ricostruiscono trame verbali e strutture di posizione spaziali entro uno schema saldamente
posseduto, così i ricordi del sé sono un particolare schema narrativo che include alcune credenze, sentimenti,
valutazioni positive o negative fatte dagli altri prima che da noi, e poi ricostruite da noi con una funzione adattativa.
Errori guidati da suggestioni
Già Binet (1900) e Stern (1910) avevano osservato che i bambini molto facilmente si lasciano suggestionare dalle
domande dell’adulto importante, se credono di dover dare per forza una risposta: così potevano dire di aver visto un
adulto col cappello (che in realtà non aveva), se la domanda era “Dimmi di che colore era il cappello del signor X”
Vi sono errori vistosi prodotti da soggetti che ricordano episodi della vita reale. In particolare, vi sono tre aspetti in
cui si evidenzia maggiormente la suggestionabilità (molti casi interessanti sono descritti vivacemente nel libro di
Schacter “I sette peccati della memoria”):
1. Domande tendenziose che influenzano i testimoni oculari;
2. Sedute di psico-terapia che forzano a ricordare esperienze di infanzia “rimosse”;
3. Ricordi di abusi sessuali prodotti da bambini.
E’ abbastanza facile indurre falsi ricordi d’infanzia:
in una ricerca si era chiesto a soggetti adulti (da 18 a 50 anni) di rievocare degli eventi della loro infanzia; gli eventi
erano presentati brevemente in un libretto che includeva tre eventi veri, raccontati dai genitori o dai fratelli insieme
a uno falso, ma verosimile, come l’essersi perso in un supermercato. Ai soggetti si diceva che tutti e quattro gli
episodi erano stati riferiti dai parenti: circa un terzo dei soggetti raccontava l’evento fittizio come se fosse stato
vero, sforzandosi di immaginarlo con tutti i dettagli.
Sotto l’effetto della pressione suggestiva, i bambini costruiscono ricordi falsi in cui includono i suggerimenti
ricevuti, dimenticando le fonti delle informazioni. Il fenomeno è tanto più intenso quanto più i soggetti sono
sensibili all’autorità di chi li suggestiona e quanto più sono ricchi di immaginazione. Il fenomeno diventa molto
frequente nei bambini che, interrogati da genitori o insegnanti o magistrati, si sentono quasi obbligati a raccontare
qualunque cosa. Ad esempio, nei processi di separazione o divorzio, un coniuge (generalmente la madre) potrebbe
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indurre il bambino a raccontare episodi di abuso sessuale per confermare i suoi sospetti o preconcetti verso il
marito, interpretando alcuni ricordi in un modo che poi li modifica, oppure suggerendone addirittura di falsi.
L’informazione suggestiva non solo accresce il grado di plausibilità di un evento anche se raro, ma in alcuni casi
aumenta anche la credenza di aver assistito all’evento o di averlo sperimentato; questi ricordi sono falsi, anche
quando sono ricchi di immagini flash (flashbulb memories) e di dettagli.
Un altro ambito di falsi ricordi si collega alle teorie implicite possedute da alcuni psicoterapeuti, che partono
dall’assunto della rimozione dei traumi infantili e in base a quelli stimolano, o addirittura inducono, il soggetto a
evocare falsi ricordi di infanzia. Una larga casistica di questo genere è esposta con molta vivacità dalla Loftus nel
suo libro The myth of repressed memory, 1994.
C’è però anche il rischio di sottovalutare delle testimonianze veritiere di bambini sulle violenze che hanno
ripetutamente subito: infatti ci sono dei bambini timidi o insicuri che lungi dall’inventare episodi e dettagli
immaginari, si confondono e si rinchiudono nella negazione, non tanto per un meccanismo di rimozione ma per la
paura di non essere creduti e la difesa dalle critiche degli adulti; occorre concentrarsi sulle modalità degli
interrogatori.
Tecniche per migliorare il ricordo
In genere, i ricordi basati su fonti percettive sono più ricchi di dettagli accurati rispetto alle associazioni semantiche
e altre esperienze mentali indotte dall’immaginazione o da stati affettivi. E’ diverso chiedere al soggetto se ricorda
coscientemente di avere visto o udito uno stimolo in un certo contesto con certi dettagli, oppure se ha un semplice
senso di familiarità del tipo “mi sembra di averlo già visto”.
Secondo la teoria detta del Source Monitoring Frame (S.M.F.) di Johnson, la semplice istruzione di rispondere “sì”
o “no” di fronte all’item che era già stato presentato prima, induce più frequentemente falsi ricordi rispetto a
un’istruzione che richiede di precisare i dettagli, la fonte e il contesto dell’informazione. I ricordi più accurati fanno
anche uso di caratteristiche percettive-uditive e di stati affettivi.
L’intervista cognitiva (cfr. Schacter, I sette peccati della memoria, cap. 5), è una tecnica utilizzata per migliorare la
testimonianza; essa si basa su quattro fasi:
1. Si chiede un ricordo spontaneo del fatto – o delle persone – facendo delle domande molto aperte, del tipo
“Racconta che cosa è successo” oppure “Descrivi la persona che ti ha aggredito”;
2. Si chiede di ricostruire l’ambiente in cui i fatti si sono svolti;
3. Si chiede di rievocare gli eventi secondo un diverso ordine temporale, per esempio cominciando dal fondo;
4. Si chiede di rievocare gli eventi mettendosi da diversi punti di vista delle persone o anche delle posizioni
spaziali.
Il nuovo codice prevede che i magistrati possano servirsi di colloqui condotti anche alla presenza di esperti in
psicologia, fuori dal tribunale, presso servizi di assistenza socio-sanitaria, oppure, se si tratta di bambini molto
piccoli, in casa del soggetto. Manca però ancora nel nostro paese una cultura di base psicologica sui risultati della
ricerca sull’attendibilità e accuratezza dei ricordi, e che permetta di definire meglio le modalità degli interrogatori e
dei colloqui. I periti dovrebbero avere una professionalità specifica all’interno della psicologia, che è a sua volta
specifica rispetto alla psichiatria o alla medicina legale.
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