769912289 L’islamismo L’islamismo è un movimento politico e culturale complesso che trova le sue origini all’indomani del primo conflitto mondiale, con la caduta dell’impero ottomano e l’emergere del nazionalismo arabo laico e modernizzatore. Il suo fine è quello di reislamizzare la società e lo stato, minacciati dalla secolarizzazione, frutto dell’egemonia dell’Occidente sui processi di integrazione su scala mondiale dei mercati e delle diverse civiltà. L’integralismo religioso nel mondo islamico I movimenti islamisti sono divisi in due orientamenti principali: neotradizionalisti e radicali. I neotradizionalisti ritengono sia necessario partire dal basso, islamizzando la società: soltanto in un secondo momento, quando la società sia interamente conquistata ai valori e alle regole della religione e della tradizione coranica, si potrà aspirare alla guida dello stato. I radicali, invece, sostengono che occorra conquistare prima il potere statale e poi islamizzare la società dall’alto. I termini correnti impiegati in Occidente per designare questo fenomeno sono fondamentalismo islamico e integralismo islamico. Gli studiosi dell’Islam ritengono più appropriata la definizione di islamismo, in quanto i termini precedenti si riferiscono piuttosto alla tradizione cristiana. La divisione tra radicali e neotradizionalisti attraversa l’universo islamico, che a sua volta è estremamente frammentato e percorso da tradizioni diverse. Alla distinzione classica tra culto sunnita e culto sciita (quest’ultimo in minoranza nel mondo musulmano), si sommano le differenze riscontrabili anche all’interno dello stesso culto sunnita, diviso in quattro scuole giuridiche. La frammentazione presente nel mondo musulmano è conseguente all’assenza di un’istituzione centralizzata come è quella del papato nel culto cattolico. Nell’Islam non esiste un struttura ecclesiastica gerarchica paragonabile alla chiesa cristiana, ma è privilegiato, almeno il teoria, il rapporto tra il singolo e Dio. La commistione tra politica e religione Politica e religione si sono sempre intrecciate strettamente nella storia dell’Islam sin dalle sue origini. I successori di Maometto vennero chiamati califfi ed erano i capi politici e spirituali della comunità islamica. Nel XVI secolo (1517) l’ultimo califfo trasferì il suo potere al sultano ottomano Selim I. I sovrani ottomani non si valsero insistentemente della doppia investitura, temporale e spirituale, tipica della figura del califfo, ma vi ricorsero nei momenti in cui appariva più evidente la perdita del loro potere politico (Abdulhamid II alla fine del XIX secolo e Mehmed VI di fronte agli inglesi dopo la sconfitta nella Grande guerra). Proprio dopo la Prima guerra mondiale la Turchia, prendendo il posto dell’impero ottomano, fu attraversata da un movimento riformatore che abolì prima la monarchia (1922) e poi il titolo di califfo (1924). Si trattò di una svolta fondamentale per il mondo islamico, che va inserita nel processo europeo di laicizzazione iniziato nel XIX secolo. Quasi contemporaneamente all’affermarsi di una tendenza alla laicizzazione (esemplificata dall’opera di Atatürk), non mancarono tuttavia elaborazioni teoriche che andavano nella direzione opposta. E’ il caso di un autore indiano che ebbe notevole influenza nella politica del Pakistan, Abul A’la Mawdudi (190379). Questi, nel 1920, in seguito ai conflitti con gli indù, studiò la dottrina della jihad (sforzo e guerra di difesa) e scrisse La guerra santa nell’Islam. Mawdudi si pose in aperta lotta contro l’Occidente e la Gran Bretagna (che in quel momento occupava la regione indiana) e si batté per la fondazione di uno stato islamico nel Pakistan. La concezione di Mawdudi influenzò tutti i successivi movimenti islamici. Egli concepiva l’Islam come un’ideologia alternativa alle altre ideologie prodotte dal mondo moderno: la liberaldemocrazia e il socialismo Tuttavia, secondo Mawdudi, l’Islam nel corso del tempo ha subito un processo di corruzione e può ritrovare la sua armonia soltanto in uno stato islamico. Nel sistema islamico pensato da Mawdudi riveste un ruolo centrale la zakat (l’elemosina, che è uno dei cinque pilastri della fede, assieme alla testimonianza, 1 769912289 alla preghiera, al digiuno e al pellegrinaggio alla Mecca). L’elemosina deve assolvere a un ruolo di giustizia sociale nella società islamica per riequilibrare il divario tra i ricchi e i poveri. L’origine dei movimenti tradizionalisti Il pensiero di Mawdudi ispirò un egiziano, Hasan Al-Bannà (1906-49), che nel 1928 fondò l’associazione dei Fratelli musulmani, il più noto movimento neotradizionalista. Al-Bannà non era un religioso, né un teorico, ma un insegnante. L’obiettivo del movimento era quello di combattere l’occidentalizzazione dei costumi e di islamizzare la società: anche per Al-Bannà, infatti, l’Islam è un sistema globale che interessa tutti gli aspetti della vita e il potere politico è una delle sue radici. Il movimento ottenne un vasto successo, riuscendo a mobilitare un nutrito gruppo di militanti. L’Associazione, però, nel 1954, venne messa fuori legge dal nuovo governo repubblicano guidato da Gamal ’Abd en-Nasser (1918-70), compiutamente laico, sensibile ai richiami della tradizione socialista e ispirato dal progetto “panarabista” di unire tutto il mondo islamico. Ciononostante le idee del movimento non solo continuarono ad avere larghissimo seguito in patria, ma si diffusero anche in Giordania, in Siria, in Palestina, con il movimento di resistenza islamica antisraeliana Hamas (“fervore”), e nel Sudan, dove i movimenti islamisti presero il potere nel 1989. La strategia dei movimenti neotradizionalisti I movimenti neotradizionalisti operano a contatto con i ceti più disagiati, occupandosi di migliorare le loro condizioni sociali attraverso l’assistenza. Laddove lo stato non è in grado di garantire i servizi sociali, questi movimenti surrogano una funzione che spetterebbe allo stato offrendo mense per i poveri, assistenza sanitaria, aiuti per l’istruzione scolastica oltre, naturalmente, all’istruzione religiosa. Il messaggio religioso risulta dunque più efficace, perché è abbinato all’assistenza sociale. Le scuole religiose talvolta sono l’unica possibilità per i bambini di accedere a una forma di istruzione, specie nei paesi più poveri. Si crea così una rete sociale che crea consenso attorno a questi movimenti, che vedono aumentare il loro seguito. I nuovi adepti acquisiscono consapevolezza della propria identità divenendo una sorta di controsocietà che si oppone al potere costituito. Questa opera di assistenza è finanziata dagli stessi organizzatori del movimento, ma può all’occasione contare sul sostegno esterno di un’istituzione internazionale come la Lega islamica mondiale o di un movimento come quello dei Fratelli musulmani o, ancora, sull’intervento di stati da sempre vicini al neotradizionalismo, come l’Arabia Saudita e il Pakistan. Concorrono a diffondere le idee dei movimenti neotradizionalisti i giornali e negli anni novanta – come nel caso della Turchia - anche i canali televisivi. Tuttavia il rapporto dei governi saudita e pakistano con l’islamismo non è stato così lineare come l’erogazione di fondi offerta ai movimenti islamisti esteri potrebbe far pensare. In realtà., i regnanti sauditi della dinastia Saud offrono finanziamenti ai movimenti islamici per neutralizzare le sgradite tendenze islamiste radicali all’interno del loro paese. Lo stesso accade in Pakistan, dove il movimento neotradizionalista deobandi, che ha dato la spinta ideologico-religiosa alla nascita del paese nel 1947, imputava ai governanti l’alleanza filooccidentale, ritenuta estranea allo spirito dell’Islam. Per loro natura i movimenti neotradizionalisti non sono violenti; la loro attività sociale non li poneva, inizialmente, nella competizione politica; ma la crescita del loro seguito ha avuto come sbocco naturale la partecipazione alle elezioni, che avviene o creando un partito o appoggiando un partito già esistente, sempre che il regime al potere lo consenta. Alle volte, come nel caso dei Fratelli musulmani, il seguito dei movimenti neotradizionalisti è così forte, che si dice che governino dall’opposizione, pur senza partecipare alle elezioni. 2