califfato -antiche maometto

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L’islamismo
L’islamismo è un movimento politico e culturale complesso che trova le sue origini all’indomani
del primo conflitto mondiale, con la caduta dell’impero ottomano e l’emergere del nazionalismo
arabo laico e modernizzatore. Il suo fine è quello di reislamizzare la società e lo stato, minacciati
dalla secolarizzazione, frutto dell’egemonia dell’Occidente sui processi di integrazione su scala
mondiale dei mercati e delle diverse civiltà.
L’integralismo religioso nel mondo islamico
I movimenti islamisti sono divisi in due orientamenti principali: neotradizionalisti e radicali. I
neotradizionalisti ritengono sia necessario partire dal basso, islamizzando la società: soltanto in un
secondo momento, quando la società sia interamente conquistata ai valori e alle regole della
religione e della tradizione coranica, si potrà aspirare alla guida dello stato. I radicali, invece,
sostengono che occorra conquistare prima il potere statale e poi islamizzare la società dall’alto. I
termini correnti impiegati in Occidente per designare questo fenomeno sono fondamentalismo
islamico e integralismo islamico. Gli studiosi dell’Islam ritengono più appropriata la definizione di
islamismo, in quanto i termini precedenti si riferiscono piuttosto alla tradizione cristiana. La
divisione tra radicali e neotradizionalisti attraversa l’universo islamico, che a sua volta è
estremamente frammentato e percorso da tradizioni diverse. Alla distinzione classica tra culto
sunnita e culto sciita (quest’ultimo in minoranza nel mondo musulmano), si sommano le differenze
riscontrabili anche all’interno dello stesso culto sunnita, diviso in quattro scuole giuridiche. La
frammentazione presente nel mondo musulmano è conseguente all’assenza di un’istituzione
centralizzata come è quella del papato nel culto cattolico. Nell’Islam non esiste un struttura
ecclesiastica gerarchica paragonabile alla chiesa cristiana, ma è privilegiato, almeno il teoria, il
rapporto tra il singolo e Dio.
La commistione tra politica e religione
Politica e religione si sono sempre intrecciate strettamente nella storia dell’Islam sin dalle sue
origini. I successori di Maometto vennero chiamati califfi ed erano i capi politici e spirituali della
comunità islamica. Nel XVI secolo (1517) l’ultimo califfo trasferì il suo potere al sultano ottomano
Selim I. I sovrani ottomani non si valsero insistentemente della doppia investitura, temporale e
spirituale, tipica della figura del califfo, ma vi ricorsero nei momenti in cui appariva più evidente la
perdita del loro potere politico (Abdulhamid II alla fine del XIX secolo e Mehmed VI di fronte agli
inglesi dopo la sconfitta nella Grande guerra).
Proprio dopo la Prima guerra mondiale la Turchia, prendendo il posto dell’impero ottomano, fu
attraversata da un movimento riformatore che abolì prima la monarchia (1922) e poi il titolo di
califfo (1924). Si trattò di una svolta fondamentale per il mondo islamico, che va inserita nel
processo europeo di laicizzazione iniziato nel XIX secolo. Quasi contemporaneamente
all’affermarsi di una tendenza alla laicizzazione (esemplificata dall’opera di Atatürk), non
mancarono tuttavia elaborazioni teoriche che andavano nella direzione opposta. E’ il caso di un
autore indiano che ebbe notevole influenza nella politica del Pakistan, Abul A’la Mawdudi (190379). Questi, nel 1920, in seguito ai conflitti con gli indù, studiò la dottrina della jihad (sforzo e
guerra di difesa) e scrisse La guerra santa nell’Islam. Mawdudi si pose in aperta lotta contro
l’Occidente e la Gran Bretagna (che in quel momento occupava la regione indiana) e si batté per la
fondazione di uno stato islamico nel Pakistan. La concezione di Mawdudi influenzò tutti i
successivi movimenti islamici. Egli concepiva l’Islam come un’ideologia alternativa alle altre
ideologie prodotte dal mondo moderno: la liberaldemocrazia e il socialismo Tuttavia, secondo
Mawdudi, l’Islam nel corso del tempo ha subito un processo di corruzione e può ritrovare la sua
armonia soltanto in uno stato islamico. Nel sistema islamico pensato da Mawdudi riveste un ruolo
centrale la zakat (l’elemosina, che è uno dei cinque pilastri della fede, assieme alla testimonianza,
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alla preghiera, al digiuno e al pellegrinaggio alla Mecca). L’elemosina deve assolvere a un ruolo di
giustizia sociale nella società islamica per riequilibrare il divario tra i ricchi e i poveri.
L’origine dei movimenti tradizionalisti
Il pensiero di Mawdudi ispirò un egiziano, Hasan Al-Bannà (1906-49), che nel 1928 fondò
l’associazione dei Fratelli musulmani, il più noto movimento neotradizionalista. Al-Bannà non era
un religioso, né un teorico, ma un insegnante. L’obiettivo del movimento era quello di combattere
l’occidentalizzazione dei costumi e di islamizzare la società: anche per Al-Bannà, infatti, l’Islam è
un sistema globale che interessa tutti gli aspetti della vita e il potere politico è una delle sue radici.
Il movimento ottenne un vasto successo, riuscendo a mobilitare un nutrito gruppo di militanti.
L’Associazione, però, nel 1954, venne messa fuori legge dal nuovo governo repubblicano guidato
da Gamal ’Abd en-Nasser (1918-70), compiutamente laico, sensibile ai richiami della tradizione
socialista e ispirato dal progetto “panarabista” di unire tutto il mondo islamico. Ciononostante le
idee del movimento non solo continuarono ad avere larghissimo seguito in patria, ma si diffusero
anche in Giordania, in Siria, in Palestina, con il movimento di resistenza islamica antisraeliana
Hamas (“fervore”), e nel Sudan, dove i movimenti islamisti presero il potere nel 1989.
La strategia dei movimenti neotradizionalisti
I movimenti neotradizionalisti operano a contatto con i ceti più disagiati, occupandosi di migliorare
le loro condizioni sociali attraverso l’assistenza. Laddove lo stato non è in grado di garantire i
servizi sociali, questi movimenti surrogano una funzione che spetterebbe allo stato offrendo mense
per i poveri, assistenza sanitaria, aiuti per l’istruzione scolastica oltre, naturalmente, all’istruzione
religiosa. Il messaggio religioso risulta dunque più efficace, perché è abbinato all’assistenza sociale.
Le scuole religiose talvolta sono l’unica possibilità per i bambini di accedere a una forma di
istruzione, specie nei paesi più poveri. Si crea così una rete sociale che crea consenso attorno a
questi movimenti, che vedono aumentare il loro seguito. I nuovi adepti acquisiscono
consapevolezza della propria identità divenendo una sorta di controsocietà che si oppone al potere
costituito. Questa opera di assistenza è finanziata dagli stessi organizzatori del movimento, ma può
all’occasione contare sul sostegno esterno di un’istituzione internazionale come la Lega islamica
mondiale o di un movimento come quello dei Fratelli musulmani o, ancora, sull’intervento di stati
da sempre vicini al neotradizionalismo, come l’Arabia Saudita e il Pakistan. Concorrono a
diffondere le idee dei movimenti neotradizionalisti i giornali e negli anni novanta – come nel caso
della Turchia - anche i canali televisivi. Tuttavia il rapporto dei governi saudita e pakistano con
l’islamismo non è stato così lineare come l’erogazione di fondi offerta ai movimenti islamisti esteri
potrebbe far pensare. In realtà., i regnanti sauditi della dinastia Saud offrono finanziamenti ai
movimenti islamici per neutralizzare le sgradite tendenze islamiste radicali all’interno del loro
paese. Lo stesso accade in Pakistan, dove il movimento neotradizionalista deobandi, che ha dato la
spinta ideologico-religiosa alla nascita del paese nel 1947, imputava ai governanti l’alleanza
filooccidentale, ritenuta estranea allo spirito dell’Islam.
Per loro natura i movimenti neotradizionalisti non sono violenti; la loro attività sociale non li
poneva, inizialmente, nella competizione politica; ma la crescita del loro seguito ha avuto come
sbocco naturale la partecipazione alle elezioni, che avviene o creando un partito o appoggiando un
partito già esistente, sempre che il regime al potere lo consenta. Alle volte, come nel caso dei
Fratelli musulmani, il seguito dei movimenti neotradizionalisti è così forte, che si dice che
governino dall’opposizione, pur senza partecipare alle elezioni.
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