commentary Commentary,11febbraio2016 PRIMAVERE ARABE: CHE FINE HA FATTO L’ISLAM POLITICO? MASSIMO CAMPANINI una domanda nevralgica a cui non si può non dare una risposta in qualche modo ideologica. I moltissimi avversari dell’islamismo si augurano che sia finalmente e definitivamente defunto, soprattutto perché operano, più o meno consapevolmente, l’arbitraria equazione islamismo politico uguale a terrorismo. L’equazione è stata a lungo applicata ai Fratelli Musulmani a causa di una conoscenza superficiale e approssimativa non solo della ormai quasi secolare storia del movimento (sono nati nel 1928), ma soprattutto dei complessi meccanismi organizzativi interni. I Fratelli Musulmani sono sempre stati un movimento dalle molte anime: le correnti radicali non sono mancate, anche estreme come quelle ispirate da Sayyid Qutb (morto nel 1966), ma il mainstream della dirigenza ha sempre preferito la tattica dell’islamizzazione dal basso, addirittura il compromesso coi regimi al potere. Ai tempi di Sadat (1970-1981) e di Mubarak (1981-2011), le guide supreme hanno negoziato una partecipazione politica, e soprattutto una presenza sociale, che ha portato i Fratelli anche in parlamento. ©ISPI2016 È Oggi, nella patria dei Fratelli Musulmani, l’Egitto, il movimento è stato pressoché azzerato da una durissima repressione militare dopo il colpo di stato del 3 luglio 2013 e non è possibile arguire quale sia davvero, anche in clandestinità, la sua forza e la sua capacità di riorganizzarsi. D’altro canto, partiti di ispirazione islamista, più o meno germinati dal tronco della Fratellanza o comunque rapportabili a un comune orizzonte ideologico, sono al governo o cooptati nell’agone politico o comunque presenti sulla scena istituzionale: dal Partito giustizia e sviluppo in Marocco a Ennahda in Tunisia, dalla Giordania al Sudan dove la dialettica delle organizzazioni islamiste è potenzialmente più difficile pur in relazione a una monarchia a legittimità religiosa (quella di ‘Abdallah II in Giordania) o a un regime dichiaratamente islamista (quello di al-Bashir in Sudan). Lo stesso “modello turco” dell’AKP di Tayyip Erdoğan – ricordiamo da più di un decennio trionfatore alle elezioni – prefigura una sorta di islamismo politico che, pur avendo radici e modelli non del tutto dissimili dalla Fratellanza Musulmana originale, rivendica caratteristiche sue proprie Massimo Campanini, Università degli Studi di Trento 1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. commentary zione” (shura) o “consenso” (ijma‘), pur nella rivendicazione del carattere “civile” e non teocratico del (presunto) stato islamico. Le nuove generazioni di pensatori islamisti dovranno senza dubbio rinfrescare un patrimonio ricco di potenzialità, ma apparentemente arrivato a un punto di stasi. legate allo specifico contesto turco, che è comunque segnato da un forte nazionalismo e da un retaggio secolarista che non può non lasciare tracce. L’islam politico dunque è tutt’altro che morto, almeno nella sua emergenza epifenomenica. I profeti del post-islamismo hanno dato il fenomeno in esaurimento già nei primi anni Novanta e poi durante le primavere arabe, ma la questione è più complessa di siffatte tesi sensazionalistiche, e deve essere affrontata da diversi punti di vista. Il vero terrorismo, quello di al-Qaeda e dell’Isis, non è omologabile all’islamismo politico grass-roots, ed anzi getta discredito sull’islam tutto e rischia di marginalizzare l’islamismo che non è violenza armata, ma, appunto, politica. Il terrorismo ha opacizzato l’alternativa islamica, quell’indirizzo riformista o rivoluzionario che si è verticizzato negli ultimi decenni del XX secolo nella Sinistra islamica (al-yasar al-islami) in campo sunnita, e nel khomeinismo in campo sciita. L’alternativa islamica è stata scavalcata sia dalla barbarie terroristica sia dal miope conservatorismo di bastioni ‘ortodossi’ come l’Arabia Saudita. Il salafismo (in brevi parole, la tendenza a richiamarsi strettamente alle fonti e all’esempio del Profeta e dei compagni) è attualmente il fenomeno di islamismo più visibile e, probabilmente, più in crescita. Il salafismo tuttavia è bensì islamismo, ma non necessariamente politico. Anzi, credo che la corrente maggioritaria del salafismo sia a-politica, sebbene esistano salafiti impegnati in politica (e in questo alternativi o addirittura nemici dei Fratelli Musulmani) e salafiti estremisti jihadisti. Il fenomeno tuttavia è ancora mal conosciuto dal punto di vista scientifico e, in certo senso, si è ancora in cerca di paradigmi di interpretazione esaustivi. Le variabili fin qui accennate dimostrano che l’islamismo politico presenta aspetti contraddittori. Il radicamento popolare dell’islam in quanto concezione del mondo più che religione nel senso occidentale del termine dovrebbe, anche a distanza, essere una cartina al tornasole della sopravvivenza dell’islam politico. Tutte le società musulmane sono soggette a un forte processo di secolarizzazione che minaccia i fondamenti tradizionali. Nella misura in cui questi fondamenti reggeranno e soprattutto sapranno rimodellarsi e rinnovarsi si saprà se l’islamismo politico ha un futuro. ©ISPI2016 L’esaurirsi dell’originalità del pensiero politico è una caratteristica soprattutto delle vecchie generazioni di islamisti. Uomini come Yusuf al-Qaradawi, Salim al-‘Awa, Hasan al-Turabi o Rashid Gnannushi hanno ormai dato quel che potevano sul piano teorico, in realtà mancando di definire in senso davvero operativo e moderno termini cruciali come quelli di “consulta- 2