Effetto fotoelettrico Una descrizione completa di questo esperimento si trova ad esempio nel testo di Eisberg Resnick “Quantum physics”. Qui si riprendono solo i punti principali. Nell’esperimento si osserva l'effetto fotoelettrico (spiegato da Einstein nel 1905 ) cioè l’emissione di elettroni da una superficie colpita da radiazione luminosa. Tale fenomeno è una delle prove più convincenti della natura corpuscolare della radiazione elettromagnetica. L’esperimento è schematicamente descritto dalla figura: la luce incide su un fotocatodo, e in determinate condizioni determina la fuoriuscita di elettroni che vengono raccolti da un anodo. Condizione perché ciò avvenga è che ciascun fotone costituente la radiazione luminosa, avendo energia E=h è la frequenza della radiazione incidente ed h è la costante di Planck h=6.626068×10-34 Js) porti con sé sufficiente energia per liberare un elettrone del catodo. In tal caso viene emesso un elettrone avente energia cinetica K pari a K= hW, dove W è l’energia necessaria per estrarre l’elettrone dal fotocatodo, cioè il potenziale di estrazione, caratteristico di ciascun materiale ed influenzato anche dalla natura della superficie (contaminazioni ecc) L’ animazione illustra l’effetto di un campo elettrico applicato tra anodo e catodo , in modo da accelerare gli elettroni oppure da fermarli. In questo caso, dalla misura della differenza di potenziale necessaria per fermare i fotoelettroni quando il catodo è illuminato da luce di lunghezza d’onda nota (potenziale di fermata, stopping potential), si può conoscere il potenziale di estrazione dei medesimi per la particolare sostanza costituente il fotocatodo. I risultati principali dell’esperimento sono: 1. Se si illumina il fotocatodo con luce monocromatica, per un dato voltaggio applicato, l’emissione di fotoelettroni avviene solo se la frequenza della luce è superiore ad una certa soglia, indipendentemente dall’intensità della radiazione. 2. L’intensità della luce incidente influenza solo l’intensità di corrente di fotoelettroni 3. Il potenziale di fermata dipende linearmente dalla frequenza della luce incidente. La costante di proporzionalità è proprio la costante di Planck h. L’esperimento Si impiega un fototubo 1P39 dell’RCA, il cui catodo, è composto da una lega denominata S-4, che è essenzialmente Sb3Cs, le sue caratteristiche spettrali sono riprodotte nella figura adiacente. Anziché variare il potenziale applicato tra catodo ed anodo e misurare la debolissima corrente anodica, risulta conveniente connettere questi in un circuito con un amplificatore a guadagno unitario con altissima impedenza (>1012 ohm, IC OPA128 un Ultralow Input Bias Current Operational Amplifier della Analog Devices, con due FET con buon isolamento all’ingresso). Il suo ingresso si comporta come un condensatore. In questo modo, è la corrente anodica stessa a caricare il condensatore fin tanto che il potenziale non ferma i fotoelettroni. Lo schema elettrico è illustrato nella pagina successiva. Schema del circuito impiegato per misurare il potenziale di fermata Schema semplificato dell’amplificatore operazionale ad alta impedenza d’ingresso OPA128 In questo modo, in uscita (output J1 J2 in figura) abbiamo il potenziale di fermata per la particolare lunghezza d’onda utilizzata. Inoltre, è possibile azzerare l’apparato, scaricando il condensatore e seguirne l’evoluzione temporale della tensione di uscita nel suo ritorno all’equilibrio. La sorgente luminosa è una lampada a vapori di mercurio, che emette luce solo a determinate frequenze, elencate nella sottostante tabella. Principali righe di emissione della lampada a vapori di Hg. Le differenti componenti spettrali sono separabili tramite un reticolo di diffrazione che si può montare di fronte alla lampada. Infine, vengono forniti tre filtri, montati in appositi telaietti ad aggancio magnetico. Due filtri colorati servono a trasmettere, rispettivamente, solo la luce gialla o verde, escludendo le righe ultraviolette del secondo ordine di diffrazione e, quindi, assicurando che la luce entrante è monocromatica. Il terzo filtro è neutro, suddiviso in fasce che trasmettono 80%, il 60%, il 40% e il 20% della luce trasmessa dalla banda più trasparente. Si può quindi misurare il potenziale di fermata Vstop in corrispondenza delle differenti righe di emissione Scriviamo il bilancio energetico per il fotone incidente, che viene assorbito liberando un elettrone (potenziale d’estrazione W) con energia cinetica K: hW+K. Il potenziale di fermata Vstop è pari all’energia cinetica dell’elettrone emesso: K=eVstop , quindi: hW+eVstop ovvero Vstop= h/e W/e Se si riporta in un grafico Vstop in funzione della frequenza della luce incidente i dati dovrebbero quindi giacere su una retta, la cui pendenza deve essere atan(h/e), mentre dall’intercetta si può ricavare il potenziale d’estrazione W per la particolare lega Sb3Cs che costituisce il fotocatodo. Un’altra misura interessante è quella del tempo di ricarica del condensatore dopo avere azzerato l’apparato. In questo caso si ricorda che la ricarica del condensatore avviene attraverso la corrente anodica. Monitorando quindi l’evoluzione temporale della tensione di uscita nel suo ritorno all’equilibrio si può avere un’idea approssimata dell’intensità della corrente anodica al variare dell’intensità dell’illuminazione, oltre che della lunghezza d’onda. Tale misura è solo relativa, mancando una stima attendibile del valore non solo della capacità da caricare ma soprattutto delle resistenze parassite presenti. Tuttavia è ragionevole ritenere che tali parametri non varino nel corso della misura, essendo caratteristici dell’amplificatore operazionale impiegato, e quindi indipendenti dall’intensità e frequenza della luce impiegata. Si può perciò fare una misura relativa, confrontando i tempi di ricarica per diverse intensità luminose, per ciascuna delle frequenze disponibili.