ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 DPTS semplice e complesso nell’abuso in età infantile Giuditta Saba I bambini non sono capaci di capire che esiste la possibilità di altri tipi di rapporto, per loro esiste solo quello che vivono. Paola Di Blasio Introduzione Sempre più spesso, in psicoterapia, accade di trovarsi di fronte agli effetti a lungo termine del trauma e non è detto che sia così immediato riconoscerli come tali. In particolar modo, il riferimento è alle patologie gravi che si manifestano in età adulta, ma che affondano le loro radici in uno sviluppo ostacolato dal quotidiano vivere in un contesto fisicamente e/o psicologicamente violento, dove la relazione tra genitori e figli è di tipo abusante. Persone che presentano uno o più tra: disturbi di personalità, soprattutto narcisistica, istrionica, borderline, con sintomi dissociativi, disturbi del comportamento alimentare, disturbi degli impulsi e comportamenti antisociali, dipendenza da sostanze, comportamenti autolesivi o di automutilazione, disturbi delle funzioni cognitive e ritardo mentale, disturbi della socializzazione e delle relazioni sociali, disfunzioni sessuali e 1 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 perversioni del comportamento sessuale, sintomi ansiosi, ipervigilanza, paure, angosce, sintomi depressivi e depressioni croniche, difficoltà nello stabilire e mantenere relazioni intime o il persistere in relazioni perverse o distruttive, comportamenti di evitamento o sintomi ossessivi-compulsivi, distacco ed intorpidimento emozionale, somatizzazioni di vario tipo, praticamente quasi tutto lo spettro di patologie codificate nel DSM-IV e che possono manifestarsi come gli effetti a medio e a lungo termine, sullo sviluppo della personalità e della salute mentale, di un'infanzia maltrattata. Non sempre le persone che chiedono aiuto ad una psicoterapia sono consapevoli di quanto possano essere devastanti le conseguenze di abusi protratti nel tempo, anche di quelli che non assumono quelle caratteristiche di violenza esplicita, riconoscibile e sanzionata dalle leggi e dai codici, ma se questo è comprensibile lo è meno la constatazione che la suddetta consapevolezza è tuttora assente in molti professionisti che quell'aiuto sono deputati a fornire. La presenza di competenze comunicative e cognitive già nei neonati è ormai un risultato acquisito dalla psicologia, insieme alla necessità di interazioni adeguate con adulti significativi e di un ambiente facilitante perché possano esplicitarsi ed evolversi. Invece, quando un bambino cresce con adulti che magari a parole dicono di amarlo e di prodigarsi per il suo bene, ma che quantomeno esprimono questi sentimenti e desideri in modo contraddittorio e a volte perverso, può verificarsi in lui una certa confusione che può alterare la costruzione della sua identità personale e generare una profonda insicurezza e mancanza di fiducia nelle sue capacità personali e negli altri. Nel bambino può formarsi la convinzione che vale poco, non è amato, non è desiderato e che sia lui stesso il responsabile di ciò che vive. Il tentativo di capire quello che succede e perché, chi ne è responsabile e che cosa può fare lui per tranquillizzarsi ed affrontare l'esperienza, superando il terribile senso di impotenza che è sempre presente davanti ad eventi che fanno sentire in pericolo e minacciati, porta il bambino ad attribuirne a sé la responsabilità, al suo comportamento o al suo modo globale di essere, ma attribuire a sé la causa di eventi negativi e incontrollabili induce una bassa autostima, vergogna, confusione, sensi di colpa, autocolpevolizzazione e anche tanta rabbia, come reazione emotiva all'impotenza e al senso di colpa. La gravità delle conseguenze di un'educazione non adeguata, incapace di favorire uno sviluppo globale e armonico della personalità, è uno dei motivi per cui sempre più si tende ad approfondire le conoscenze nel campo degli abusi all'infanzia, cercando di definirne sempre meglio le caratteristiche e le tipologie e di mettere a fuoco i fattori di rischio così come quelli di protezione. Abusi all'infanzia Quando si parla di violenza verso i bambini nasce subito il problema della definizione, in quanto ci si riferisce ad un fenomeno che ha delle componenti storiche e culturali e che si intreccia profondamente con la visione del bambino e del suo ruolo all'interno della famiglia e rispetto alla società degli 2 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 adulti. L'idea del bambino titolare di bisogni e diritti specifici, in quanto persona in evoluzione, si affaccia con la Rivoluzione Francese, ma solo alla fine dell'Ottocento il problema comincia ad essere preso in considerazione nella sua gravità. La prima istituzione ad occuparsi di prevenzione della violenza verso i bambini nasce negli Stati Uniti, dopo un evento storico. Nel 1874, a New York, un'infermiera che chiedeva l'intervento della polizia per salvare una bambina gravemente picchiata dai genitori, si sentì rispondere che secondo le leggi USA i genitori avevano diritto assoluto sui figli e potevano allevarli come meglio credevano, allora si rivolse alla Società per la Protezione degli Animali che riconobbe il proprio diritto ad intervenire e riuscì a salvare la bambina. In seguito a questo venne istituita, a New York, la New Society for the Reformation of Juvenile Delinquents e si cominciò a riconoscere che i diritti dei minori devono essere tutelati non solo dai genitori, ma da tutta la società (Montecchi, 1991). Solo nella seconda metà del Novecento, il concetto di maltrattamento infantile verrà esteso alle condizioni di malnutrizione, di mancanza di cure familiari e al maltrattamento psicologico. L'abuso all'infanzia può essere definito come un disturbo dell'empatia nel primo rapporto madre-bambino, come se la funzione genitoriale, disturbata, venisse a mancare. Il genitore maltrattante non è solo quello che picchia o abusa fisicamente o sessualmente dei figli, ma è quello che si rapporta senza empatia e fa mancare i contatti primari di pelle, di sguardi, di parole calde e cariche di affetto e non ha pensiero sulla nuova creatura (Montecchi, 1994). Molto spesso, quello che nei genitori abusanti manca massicciamente è proprio la capacità di formarsi e mantenere un pensiero attento, affettuoso e aperto sui figli, pensiero inteso come immagine e preoccupazione, come considerazione del bambino quale essere umano, portatore di bisogni e di diritti umani e sociali, non necessariamente giuridici, fin dal primo momento di vita, intrauterina. Le modalità violente o abusanti implicano sempre forme di distorsione nella percezione che gli adulti hanno dei bambini, indifferenza o disinteresse dei genitori per le caratteristiche dello sviluppo e per le conquiste del bambino durante la crescita, che possono causare una mancanza di sincronia interattiva, una assenza di intersoggettività nella relazione, che rende carente la funzione socializzante precoce di supportare il bambino ad attribuire significato alle proprie esperienze ed emozioni e a quelle degli altri (Di Blasio, 2000). L'abuso psicologico è una forma di violenza all'infanzia più subdola di quella fisica o sessuale, ma le sue conseguenze sugli aspetti strutturali della psiche infantile sono molto più profonde e, sul piano del normale processo evolutivo del minore, sono più distruttive. Questa forma di violenza si caratterizza per il suo inizio precoce e per il fatto di essere messa in atto per un lungo periodo di tempo, quasi mai in modo diretto, ma attraverso messaggi ambigui e paradossali, dai quali il bambino non è assolutamente in grado di difendersi (Marinucci, 1994). Un bambino può strutturare una propria personalità, sia pure in termini oppositivi, di fronte ad una violenza chiara e definita, ma quando si trova di fronte a qualcosa che si presenta in modo ambiguo, sfuggente, incomprensibile e indefinito, il processo evolutivo subisce una profonda 3 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 distorsione e il bambino trova difficoltà insormontabili nella strutturazione del proprio Sé. Inoltre, poiché lo sviluppo delle emozioni è strettamente connesso alle interazioni con gli adulti, alcuni tra i principali meccanismi di regolazione e di acquisizione delle competenze emotive vengono intaccati nei primi rapporti se il bambino vive a contatto con una madre trascurante o maltrattante. Il rifiuto emotivo provoca, anche nei piccoli di tre mesi, alti livelli di rabbia, attività ridotta, disforia e ritiro sociale. I bambini maltrattati sviluppano una immagine negativa di sé, come indicano le intense reazioni emotive negative che possono presentare davanti alla propria immagine allo specchio, già all'età di due o tre anni, come se già fossero riluttanti ad accettare se stessi in termini positivi (Schaffer, 1996). Tutte le violenze, ma in particolare le forme di abuso psicologico, nascono da una insufficiente o alterata percezione delle reali esigenze del figlio, della sue caratteristiche individuali, delle difficoltà che egli incontra e che, da solo, non è in grado di superare. Nella maggior parte dei casi, all'origine del comportamento abusante dei genitori c'è la fantasia che il bambino sia un oggetto, una cosa e non una persona a tutti gli effetti, con i suoi desideri, bisogni, paure, necessità; l'idea più o meno consapevole che il figlio non sia una persona separata, ma una espansione narcisistica, considerato solo come prolungamento della propria vita e quindi uno strumento per risolvere i propri problemi e conflitti. In quest'ottica il figlio non è mai l'altro, non è soggetto egualitario di un rapporto interpersonale, ma è una materia malleabile e manipolabile all'infinito, a proprio piacimento, un semplice contenitore dove può essere versato qualunque contenuto predeterminato (ibidem). Il bambino non sarà amato per quello che è, nella sua realtà personale e specifica, ma per quello che può rappresentare agli occhi degli altri, sarà gratificato se si adatterà ai modelli proposti, sarà rimproverato se non raggiunge le prestazioni richieste, sarà ricattato affettivamente se si presenta debole, incapace, schivo o se risulta comunque inadeguato rispetto alle attese dei genitori. Al bambino reale verrà sovrapposta una immagine ideale che non tiene conto delle sue caratteristiche individuali, capacità potenziali e desideri; il bambino reale non esisterà più agli occhi del genitore e, in queste condizioni, la mancanza di una fiducia di base e di un senso di Sé stabilizzato creeranno un vuoto interiore, che lo costringerà ad orientarsi continuamente verso il mondo esterno per cercare di capire cosa l'altro desideri da lui, pronto ad adattarsi a qualunque richiesta pur di mantenere il rapporto e la sensazione di sicurezza, per quanto possano essere illusori; prevarrà un locus of control orientato verso l'esterno. La personalità del bambino si strutturerà secondo quello che Winnicott (1975) definisce un Falso Sé che lentamente distrugge il mondo interiore del bambino reale, il suo Vero Sé, non esisteranno più sensazioni proprie, bisogni propri, desideri propri, fino ad una totale inibizione, ad una crescita priva di slancio vitale. L'autostima sarà quasi inesistente e legata ad una continua conferma da parte del mondo esterno. Le tendenza all'autonomia e all'indipendenza saranno vissute con grande senso di colpa, in quanto pericolose per la falsa identità e per la separazione dall'altro a cui possono portare. In questo modo viene coinvolta anche l'area intellettiva e si spiegano 4 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 i disturbi di simbolizzazione, le difficoltà di apprendimento e gli abbandoni scolastici, così frequenti nei bambini abusati. Quando un bambino viene abusato dai genitori i suoi normali processi di identificazione vengono profondamente disturbati, perché non è possibile l'interiorizzazione di figure di riferimento e questo permette il solo comportamento imitativo che assicura, attraverso l'adesione a modelli programmati, la coesione del Sé. La socializzazione viene spesso ostacolata dai genitori ed è sentita come pericolosa dal bambino stesso, perché il contatto con qualcosa di diverso è un rischio troppo grande per un sé così fragile. Il bambino dovrà comunque lottare per far emergere la sua personalità individuale, non conformista ma autonoma e creativa, capace di superare le inevitabili ansie, sofferenze e lutti che la crescita impone. Anche nelle situazioni normali i bambini crescono tra tensioni e difficoltà, avendo come unico aiuto le capacità empatiche dei genitori, la loro disponibilità a contenerne le emozioni, ad aiutarli ad elaborare l'angoscia e sviluppare il potenziale umano di cui dispongono per costruire un Sé stabile, ben differenziato ed integrato. Quando questo non succede i bambini vivono tutte le contraddizioni e i conflitti delle relazioni interpersonali, in particolare con la figura materna; si scontrano continuamente con il rischio del fallimento e con l'angoscia di essere distrutti, sperimentano l'impotenza di percepire l'incapacità personale e la dipendenza totale da chi dovrebbe aiutarli e proteggerli. È molto difficile sottrarsi alla tirannia psicologica e al potere dei genitori quando si sente che crescere come individui autonomi significherebbe correre il rischio di non essere più amati; per questo ci si può trovare di fronte, nell'età adulta, a psicopatologie molto gravi che vanno dalle psicosi simbiotiche alle depressioni gravi, dalle patologie psicosomatiche impegnative come l'anoressia mentale ai break down adolescenziali, per finire con le ristrutturazioni in senso borderline della personalità (Montecchi, 1994). Tra le forme di violenza all'infanzia che oggi dobbiamo considerare non si può dimenticare il valore dato alla competitività in tutti i campi in funzione del successo, l'utilizzazione dei minori nello spettacolo, nello sport e nella pubblicità, così come la notevole diffusione delle adozioni su scala nazionale e internazionale. Ai ragazzi in crescita vengono a mancare momenti importanti per lo sviluppo, mentre alcuni aspetti della personalità vengono esasperati, generando uno squilibrio evolutivo globale; si riducono gli spazi di gioco libero e creativo a favore di attività finalizzate alla competizione e al successo; si riducono i contatti sociali e prevale l'immagine sociale e il ruolo, a scapito dell'interiorità e dell'autonomia. Molti bambini crescono paurosi, ripiegati su se stessi, insicuri oppure, al contrario, aggressivi, proprio per la negazione della prima infanzia e per la negazione di un armonico processo evolutivo; inoltre si evidenziano molte difficoltà nelle relazioni cooperative tra pari. Nella maggioranza delle situazioni l'abuso si presenta sotto una varietà di aspetti e di azioni fisiche e psicologiche, ed è sempre presente la violenza psicologica intesa come manipolazione affettiva, imbroglio e inganno, confusione delle emozioni, ma per ragioni di studio e per le diverse modalità 5 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 di intervento, sia di protezione che di terapia, è stata messa a punto una definizione delle diverse forme: - trascuratezza o negligenza, quando comporta un danno significativo per la salute o lo sviluppo, compreso un ritardo della crescita in assenza di cause organiche; - maltrattamento fisico, in tutte le forme e i gradi, compreso il fallimento nel prevenirlo e le pratiche rituali; - abuso sessuale, inteso come sfruttamento sessuale di una persona minorenne o immatura, con o senza violenza o coercizione di alcun tipo, comprese tutte le pratiche sessuali manifeste o mascherate, la pornografia e la prostituzione infantile; - abuso emozionale o maltrattamento psicologico, che si riferisce a maltrattamenti emotivi e atteggiamenti di rifiuto e denigrazione con conseguenze negative sullo sviluppo affettivo e comportamentale; nel primo caso si intende una reazione emozionale stabile, ripetitiva e inappropriata alle esperienze del bambino e alle sue espressioni comportamentali, nel secondo, si intende una risposta comportamentale stabile, ripetitiva e inappropriata, nella forma di denigrazioni verbali, critiche e svalutazioni, che danneggia o inibisce lo sviluppo di alcune facoltà cognitivo-emotive quali intelligenza, attenzione, percezione, memoria (Di Blasio, 2000). In aggiunta a tutto questo, oggi si lavora molto alla definizione del concetto di violenza assistita, intendendo con questo termine tutte le situazioni in cui i bambini non sono oggetto diretto di un atto violento o di una minaccia all'integrità fisica e/o psicologica, ma vi assistono come testimoni oculari quando la vittima dei suddetti comportamenti è un altro componente del nucleo familiare o anche un animale o un oggetto a cui il bambino è affezionato; anche quando non direttamente testimoni, i bambini possono essere comunque consapevoli e vittime della violenza in quanto partecipi di un clima di intimidazione psicologica o di minaccia per la salute e l'integrità propria o di persone care e significative, in particolare quando il bersaglio diretto della violenza, fisica o psicologica, è la propria madre o chi ne fa le funzioni. La violenza assistita determina delle conseguenze sulla psiche dei bambini in tutto equivalenti all'abuso fisico o sessuale, interferendo pesantemente con lo sviluppo fisico, cognitivo, emotivo, sociale e delle relazioni intime; gli effetti a lungo termine della permanenza in questi contesti familiari sono pesanti e difficilmente risanabili. In base a considerazioni di questo tipo, oggi molti studiosi concordano nel ritenere che la violenza assistita sia una delle forme gravi in cui viene attuato l'abuso all'infanzia. Per quanto riguarda il maltrattamento psicologico, viene considerato come reiterazione di pattern comportamentali o modelli relazionali che fanno arrivare al bambino l'idea che vale poco, non è amato, non è desiderato, ma anche la presenza di biasimo, critiche, isolamento forzato, disparità o preferenze rispetto ai fratelli, minacce verbali, assistere ad atti di violenza su altri familiari. Per poter valutare meglio le conseguenze di alcuni atti, che possono presentarsi in forma diretta o indiretta, esplicita o larvata, sono state proposte cinque categorie comportamentali distinte: • disprezzare, • terrorizzare, 6 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 • isolare, • sfruttare e/o corrompere, • mancare di responsività emozionale. Viene poi aggiunta una sesta categoria: • trascuratezza nella salute psicologica, medica, educativa. Le conseguenze possono essere di tipo fisico o psicologico, intaccando le competenze emotive, cognitive, sociali e dando luogo a problemi in tutte le aree personali e relazionali, a breve, medio e lungo termine (Di Blasio, 2000). Nei bambini maltrattati compaiono reazioni immediate di disorganizzazione, disorientamento, incredulità, senso di vulnerabilità e di annichilimento, bisogno di isolarsi; a breve termine emergono emozioni più articolate ma ambivalenti come paura e rabbia, percezione di sé come inadeguati e conseguente autocolpevolizzazione, umiliazione e vergogna. La collera e i sentimenti ambivalenti che non possono essere espressi esplicitamente emergono attraverso i giochi, i comportamenti, i disegni. La rabbia viene canalizzata contro un Sé sempre più sentito come svalutato, denigrato, incapace, nasce la preoccupazione per il giudizio degli altri e il desiderio di nascondersi e svanire. Si attivano difese di evitamento, non solo dell'esperienza subita, ma anche di alcuni aspetti del Sé, percepito come sgradevole, ripugnante, mostruoso, fino alla possibilità della scissione tra osservante e osservato che disgrega l'unità del Sé e della coscienza (ibidem). Nell'ambito dell'abuso sessuale si attiva la sessualizzazione traumatica che si manifesta in molte forme, da quelle meno conosciute e più insidiose in quanto non immediatamente evidenti, come l'alterazione dei concetti di bene e male e l'inversione del senso morale, a quelle più evidenti e che maggiormente attirano l'attenzione, quali i comportamenti sessualizzati, veri e propri sintomi di uno specifico trauma sessuale subito e come tali preziosi nell'attirare l'attenzione su eventi che con molte difficoltà riescono a venire alla luce, soprattutto quando le vittime del trauma sono minori e gli autori dell'abuso sono persone molto vicine alle piccole vittime se non addirittura ne sono i genitori o adulti di riferimento. Normalmente i bambini manifestano interessi sessuali che si esprimono in vari modi, sia come attività masturbatorie sia come giochi d'esplorazione, ma che sono solitamente accompagnati da emozioni positive, i bambini sono spontanei, ridono, non mostrano imbarazzo, per questo è importante valutare le caratteristiche e le dinamiche dei giochi infantili quando si parla di comportamenti sessualizzati. Bisogna considerare che, ad ogni età, i bambini non hanno la capacità di immaginare quanto va oltre il proprio bagaglio esperienziale, quindi non sono in grado di inferire esperienze sessuali che non abbiano appreso in qualche modo, perciò bisogna approfondire quando essi rappresentano, nei giochi o nei racconti, attività che legittimamente non dovrebbero conoscere, soprattutto quando c'è compulsività, coercizione, ansia, agitazione e persistenza in caso di dolore. Pertanto, è necessario saper distinguere i comportamenti di curiosità sessuale, normalmente presenti nei bambini, dai comportamenti sessualizzati rari e molto rari, valutando soprattutto le emozioni che li accompagnano e in quali situazioni si presentano. Ad esempio, è normale: 7 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 • usare giocattoli del sesso opposto, spogliarsi e toccarsi le parti sessuali in casa, cercare di guardare persone che si svestono, interessarsi al sesso opposto, masturbarsi, parlare seduttivamente, usare parolacce, etc. Sono comportamenti rari, con percentuali tra l'1 e il 3%: • imitare il rapporto sessuale adulto, emettere suoni sessuali, mostrare i propri genitali, spogliare altre persone, chiedere di vedere programmi esplicitamente sessuali. Sono comportamenti molto rari, con percentuali inferiori all'1%: • toccare i genitali degli adulti, cercare di farsi toccare i genitali dagli adulti, richiedere rapporti sessuali, masturbarsi ossessivamente senza piacere e con dolore, utilizzare o introdurre oggetti sui genitali o sull'ano propri o altrui (Malacrea e Seassaro,1999). I bambini sessualmente abusati imparano ad usare il comportamento sessuale per soddisfare bisogni non sessuali e ad erotizzare i rapporti sociali per avere affetto, con uno stravolgimento di tutte le relazioni intime. I risultati di tutti gli studi sono concordi nell'evidenziare che, al di là delle caratteristiche dell'abuso subito, esiste una percentuale di circa il 48-50% di bambini che non manifesta effetti a lungo termine, perché i fattori di rischio e quelli protettivi agiscono in continua interazione e non sulle singole funzioni ma sui processi evolutivi, riducendo o potenziando le diverse competenze che sono sottese all'adattamento; d'altra parte è noto che molte persone presentano la capacità di mantenere un discreto adattamento anche in condizioni di vita particolarmente sfavorevoli. Un fattore che durante lo sviluppo può assumere una valenza protettiva o aggravante il rischio è dato dalla possibilità o meno di condividere le esperienze, cosa che, all'interno di una famiglia, può succedere per alcune esperienze e non per altre; le esperienze non condivise vengono giudicate più importanti e capaci di esercitare un maggior peso nello sviluppo della personalità di quanto avvenga per le esperienze condivise, pertanto il rischio di conseguenze negative aumenta se al maltrattamento si accompagna una situazione di isolamento, sia all'interno della famiglia che al suo esterno. Quando si parla di esperienze condivise non ci si riferisce al semplice vivere gli stessi eventi, ma alla possibilità di comunicare, capire e confrontare le emozioni e i vissuti propri e delle altre persone coinvolte, ad una attribuzione di significato che sia costruita insieme e condivisa, perché è proprio la sensazione di non essere le uniche vittime di eventi incontrollabili che può aiutare a sopportarli e a superarli senza conseguenze troppo pesanti. Un esempio molto significativo, per capire come può funzionare in negativo questo fattore, ci viene dalle vittime di maltrattamenti familiari, fisici, sessuali o psicologici, dove uno dei più perversi meccanismi che spesso si manifesta è quello che pone le vittime, soprattutto i giovani componenti delle fratrie, una contro l'altra, la solidarietà viene spazzata via e gli stessi comportamenti violenti o abusanti dei genitori vengono agiti dai figli tra di loro; non è raro che dove c'è un padre violento ci sia almeno uno dei figli che lo è, così come l'abuso sessuale paterno viene spesso ripetuto dai figli tra di loro, a volte consenzientemente a volte no. La possibilità di condivisione sociale di esperienze negative può contrastare la tendenza alla ruminazione mentale che implica il ripetersi di 8 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 reminiscenze involontarie che invadono la persona, nonostante gli sforzi per evitarle. Questo fenomeno, che nasce dalla minaccia al concetto di sé e dall'improvvisa falsificazione delle convinzioni e dei presupposti esistenziali precedenti l'esperienza traumatica, può persistere per periodi molto lunghi e risponde al bisogno soggettivo di riorganizzare la gerarchia di piani e mete. La condivisione sociale delle esperienze e dei sentimenti ad esse collegati, attraverso il linguaggio e la narrazione, assume un ruolo fondamentale nel prevenire conseguenze negative a lungo termine, perché aiuta a riorganizzare la propria esperienza e a trovare le risorse per farvi fronte. Comunicare le esperienze negative è una modalità abituale per affrontarle, vedi l'elaborazione di un lutto o di una malattia grave, ma emozioni quali rabbia e vergogna vengono di solito espresse con più difficoltà e difficilmente in modo spontaneo e gratificante ed è in questo caso che la ruminazione mentale, non accompagnata da condivisione sociale, ostacola l'elaborazione e l'assimilazione dell'esperienza emotiva e si trasforma in una reiterazione mentale senza fine che impedisce la riorganizzazione emotiva. Le esperienze di violenza, proprio in quanto intrinsecamente intessute di sentimenti di rabbia, vergogna e sensi di colpa che la vittima non riesce o non è autorizzata socialmente ad esprimere, rischiano di bloccare la vita emotiva e di agire negativamente sulla psiche per lungo tempo (Rimé et al., 1995). Violenza e Trauma Trauma: una parola all'apparenza semplice di cui tutti sembrano conoscere il significato, ma il concetto che essa vuole definire, da qualche anno a questa parte, sta diventando sempre più complesso e sta assumendo un'importanza sempre maggiore nell'ambito della eziologia della patologia mentale, nelle diverse modalità in cui questa si manifesta, dal disagio nelle relazioni con gli altri e nel rapporto con se stessi, ai disturbi di personalità, ad alcune forme di ritardo mentale, nonché ai disturbi dell'umore e ai disturbi d'ansia. Trauma: dal greco trauma che significa ferita o lacerazione: • in medicina somatica indica le lesioni provocate da agenti meccanici la cui forza supera la resistenza dei tessuti cutanei o degli organi che incontrano; • in neuropsichiatria indica una lesione del sistema nervoso o una lesione dell'organismo psichico per effetto di eventi che irrompono bruscamente in modo distruttivo; • in psicoanalisi la nozione di trauma elaborata da Sigmund Freud (19151917) si riferisce all'intensità di un evento a cui il soggetto non è in grado di rispondere in modo adeguato (Galimberti, 1999). Sapendo che un evento è traumatico quando è incontrollabile o viene percepito come tale: • cosa significa che il soggetto non è in grado di rispondere in modo adeguato? • qual è la relazione tra violenza e trauma? 9 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 Il DSM-IV, quando parla di trauma, nell'ambito delle cause che possono portare ad un Disturbo Acuto da Stress o ad un Disturbo Post-Traumatico da Stress, si limita ad un elenco di traumi soprattutto di tipo fisico. Gli eventi traumatici vissuti direttamente includono, ma non sono limitati a, combattimenti militari, aggressione personale violenta (violenza sessuale, attacco fisico, scippo, rapina), rapimento, essere presi in ostaggio, attacco terroristico, tortura, incarcerazione come prigioniero di guerra o in un campo di concentramento, disastri naturali o provocati, gravi incidenti automobilistici, ricevere una diagnosi di malattie minacciose per la vita. Per i bambini, gli eventi traumatici dal punto di vista sessuale possono includere le esperienze sessuali inappropriate dal punto di vista dello sviluppo senza violenza o lesioni reali o minacciate. Gli eventi vissuti in qualità di testimoni includono, ma non sono limitati a, l'osservare il ferimento grave o la morte innaturale di un'altra persona dovuti ad assalto violento, incidente, guerra o disastro, o il trovarsi di fronte inaspettatamente a un cadavere o a parti di un corpo. Gli eventi vissuti da altri, ma di cui si è venuti a conoscenza, includono, ma non sono limitati a, aggressione personale violenta, grave incidente, o gravi lesioni subiti da un membro della famiglia o da un amico stretto; il venire a conoscenza della morte improvvisa, inaspettata, di un membro della famiglia o di un amico stretto; oppure il venire a conoscenza di una malattia minacciosa per la vita di un proprio bambino. Il disturbo può risultare particolarmente grave e prolungato quando l'evento stressante è ideato dall'uomo (per es., tortura, rapimento). La probabilità di sviluppare questo disturbo può aumentare proporzionalmente all'intensità e con la prossimità fisica al fattore stressante (DSM-IV, p. 469). Gli ultimi due paragrafi fanno riferimento alle situazioni in cui non si è colpiti direttamente e/o fisicamente da un evento traumatico violento, ma lo si è indirettamente in quanto affettivamente legati alla vittima; in questo caso si può correttamente parlare di trauma psicologico. Quello che colpisce è che, tra le cause di DPST, soprattutto quando si parla di bambini, non sia presente alcun riferimento alla violenza psicologica pura e semplice. È vero che è molto difficile che questa si attui senza l'accompagnamento di una qualche forma di violenza fisica, più o meno evidente e diretta, ma è come se fosse ancora impensabile il danno e la sofferenza che possono essere provocati da eventi quali: il non riconoscimento dell'altra persona, dei suoi bisogni fisici e psichici, la trascuratezza, la denigrazione, la svalutazione, la messa in discussione, il non ascolto. Un rapporto che si stabilisce e si mantiene nel tempo con modalità relazionali di questo tipo è particolarmente disastroso per l'autostima, il senso di sé e del proprio valore, la fiducia in sé e negli altri, ma non è solo questo, quello che quasi sempre si verifica è una difficoltà nella progettualità di vita, fino quasi al blocco della stessa; le persone si ritrovano come intrappolate in una serie di comportamenti e di rapporti problematici di difficile gestione e poco soddisfacenti, ma dai quali sembra assolutamente impossibile uscire. Quando una simile modalità è quella principale nella relazione tra un genitore e un bambino, gli effetti sono assolutamente deleteri, come ben si può evidenziare facendo riferimento alla teoria dell'attaccamento, ma anche in questo caso, come rispetto all'abuso sessuale ancora pochi anni fa, sembra che ci sia una sorta di impossibilità a ipotizzare e a riflettere non tanto sulle conseguenze quanto proprio sulla possibile esistenza di relazioni 10 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 psicologicamente abusanti e quindi traumatizzanti, sia tra genitori e figli sia tra adulti. Come lo stesso DSM-IV chiaramente evidenzia, quando si fa riferimento al trauma è insito il pensare a eventi traumatici, magari ripetuti, ma sempre come eventi al di fuori della quotidiana normalità e non come una possibile forma di relazione, con le sue tipiche caratteristiche di continuità e durata e coinvolgimento affettivo. Per quanto riguarda i bambini abbiamo visto che il DSM-IV fa esclusivo riferimento alle esperienze sessuali inappropriate e l'abuso sessuale è sicuramente uno degli eventi più devastanti e destrutturanti per la psiche in evoluzione dei bambini, ma il tema verso il quale si stanno dirigendo e concentrando gli ultimi studi in fatto di cause in età evolutiva di gravi psicopatologie in età adulta è soprattutto quello della violenza psicologica, quella non brutale né eclatante, che non lascia segni fisici, che non è immediatamente riconoscibile come tale e quindi non permette di difendersi, che può presentarsi come forma autonoma di maltrattamento, ma che è sempre presente in tutte le altre forme, quantomeno come non considerazione e svalutazione dell'altra persona nella sua specificità e nel suo valore individuale. Considerate le conseguenze a cui possono dare adito, oggi esiste una certa concordanza nel ritenere che tutti i diversi tipi di maltrattamento siano dei veri e propri eventi traumatici, che possono assumere le caratteristiche di traumi acuti o cronici e i cui effetti possono perdurare nel tempo e continuare a manifestarsi nell'adolescenza e in età adulta. Nel definire un evento stressante come acuto o cronico si deve tenere conto, oltre che del tipo e della durata oggettiva dell'episodio traumatico, della risposta individuale che dipende anche dalla percezione soggettiva dell'evento e dalla capacità percepita di riuscire a farvi fronte (Di Blasio, 2000). Come ben sappiamo dalla letteratura, un evento stressante non è tale in assoluto né elicita le stesse reazioni in tutte le persone, la maggior parte delle persone non sviluppa un DPTS neanche quando si confronta con traumi orribili, mentre eventi che possono sembrare di modesta gravità possono scatenarlo in certe persone a causa del significato soggettivo assegnato all'evento. In effetti i criteri del DSM-IV focalizzano l'attenzione soprattutto su eventi traumatici circoscritti e non affrontano la forma più complessa del DPTS che si sviluppa nei casi in cui la vittima ha subito traumi prolungati e ripetuti, mentre era prigioniera o comunque sotto il controllo totale di un persecutore (Herman, 1992), una sindrome che comprende somatizzazione, dissociazione, depressione protratta, alterazioni patologiche dell'identità e delle relazioni, ripetizione del danno attraverso automutilazioni e rivittimizzazioni; un quadro polimorfico che può essere interpretato erroneamente come se fosse il carattere della persona e dare adito a diagnosi errate di disturbo di personalità (Gabbard, 1994). Uno dei principali fattori che agisce nel determinare il tipo di stress e la sua qualità, positiva o negativa, è la percezione soggettiva della capacità di essere o meno in grado di farvi fronte e di controllarne il verificarsi e l'evoluzione; quando un evento è tale che, per quanto possa richiedere uno sforzo fisico e/o psichico fuori dalla norma e sia prolungato nel tempo sì da richiedere un certo adeguamento della reazione del sistema nervoso, non 11 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 altera la sensazione di essere in grado di controllarlo, allora è molto difficile che possa portare ad un insieme di sintomi inquadrabili come Disturbo PostTraumatico da Stress. La maggior parte degli studi sui bambini abusati porta a sostenere l'ipotesi che i sintomi presentati rientrino nelle categorie previste dal DSM-IV per il Disturbo Post-Traumatico da Stress: A) La persona è stata esposta ad un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche seguenti: • la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte o minaccia di morte o gravi lesioni o una minaccia all'integrità fisica propria o di altri; • la risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore. Nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato. B) L'evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno o più dei seguenti modi: • ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell'evento, che comprendono immagini, pensieri, o percezioni. Nei bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma; • sogni spiacevoli ricorrenti dell'evento. Nei bambini possono essere presenti sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile; • agire o sentire come se l'evento traumatico si stesse ripresentando (ciò include sensazioni di rivivere l'esperienza, illusioni, allucinazioni ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione). Nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma; • disagio psicologico intenso all'esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell'evento traumatico; • reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell'evento traumatico. C) Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre o più dei seguenti elementi: • sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma; • sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma; • incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma; • riduzione marcata dell'interesse o della partecipazione ad attività significative; • sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri; • affettività ridotta (per es., incapacità di provare sentimenti di amore); • sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della vita). D) Sintomi persistenti di aumentato arousal, non presenti prima del trauma, come indicato da almeno due dei seguenti elementi: • difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno; • irritabilità o scoppi di collera; • difficoltà a concentrarsi; • ipervigilanza; • esagerate risposte di allarme. E) La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese. F) Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti. Specificare se: Acuto: se la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi Cronico: se la durata dei sintomi è 3 mesi o più. Specificare se: Ad esordio ritardato: se l'esordio dei sintomi avviene almeno 6 mesi dopo l'evento stressante (DSM-IV, 1994). 12 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 Nei bambini abusati emergono soprattutto sintomi di evitamento e diminuzione della reattività generale quali: distacco ed estraneità verso gli altri, difficoltà a partecipare alle attività, comportamenti evitanti, depressione, assenza di interesse nelle attività usuali, sintomi di aumentato arousal quali: ipereccitabilità, irritabilità, scoppi di collera, difficoltà di concentrazione, risposte di allerta esagerate e ipervigilanza; oltre a paure, incubi, ansia generalizzata. Sono state fatte alcune specifiche ricerche, esaminando i bambini testimoni di questi eventi, sulla relazione tra disturbo post- traumatico e violenza domestica, con la presenza di minacce e il verificarsi di autocolpevolizzazione ed è emerso che i sintomi erano consistenti e presenti in un'altissima percentuale di bambini, cosa questa che fa riflettere sull'estrema gravità, a breve e a lungo termine, di questo fenomeno troppo spesso sottovalutato, almeno relativamente alla sua capacità di elicitare sintomi post-traumatici. La violenza familiare non è un evento transitorio, ma si ripete più volte, è imprevedibile e non può essere controllata né evitata, inoltre fornisce un modello di relazione di coppia e genitoriale che tenderà ad essere riprodotto in età adulta. Nelle condizioni di reiterazione traumatica vengono messe in atto strategie di adattamento che possono implicare dimenticanza selettiva di alcune informazioni importanti così come, al contrario, l'esercizio dell'attività mentale tipica delle vittime di interrogarsi continuamente sulle ragioni del trauma e sui modi per poterne evitare la ripetizione, tutto nel tentativo di dare un senso a quello che accade e di sottrarsi agli eventi, ma questi tentativi falliscono e una delle vie d'uscita dal senso di impotenza può essere quella di intensificare i ricordi piacevoli associati all'ambiente o all'abusante. Questa ipotesi spiegherebbe il fenomeno dalle minimizzazione e della idealizzazione che si ritrova in molti bambini, ma anche in molti adulti abusati da piccoli dai genitori e che ne ricordano solo gli aspetti positivi. Spiegherebbe anche quel groviglio inestricabile e confondente di emozioni positive e negative verso l'abusante, così spesso rilevato nella pratica clinica con abusati. Se, nell'immediato, questa modalità adattiva risponde ad un bisogno incoercibile di autoprotezione, nel medio e lungo termine essa impedisce una adeguata aderenza alla realtà, perché implica e quasi impone il misconoscimento di quei significati esperienziali che hanno valenza negativa, con pesanti conseguenze negative a lungo termine (Di Blasio, 2000). Un'ipotesi di spiegazione sul persistere nel tempo delle risposte al trauma è basata sulla teoria del condizionamento, che prevede l'associazione di stimoli ambientali neutri a persone o situazioni che provocano paura ed angoscia; un'altra, in parte complementare, prevede che, dopo ripetuti eventi traumatici incontrollabili ed improvvisi, una persona sviluppi un'aspettativa generale di pericolo e di incontrollabilità, capace di influenzare in modo determinante il suo atteggiamento nei confronti degli altri e del mondo. Sarebbe quindi la continua percezione soggettiva di ogni stimolo come negativo a far sì che la sintomatologia post-traumatica perduri nel tempo. Ad esempio, è stata rilevata una percentuale tra il 70 e il 90% di sintomi parziali del disturbo post-traumatico da stress in donne adulte che avevano subito abusi sessuali continuativi per almeno quattro anni nell'infanzia e che 13 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 chiedevano un aiuto psicoterapeutico per disturbi psicologici diversi, accompagnati da sintomi ansiosi, pensieri ed emozioni intrusive, comportamenti di evitamento, distacco ed intorpidimento emozionale. Queste donne possono anche non ricordare l'evento traumatico e non manifestare alcun sintomo per lunghi periodi, ma la sintomatologia si può presentare in seguito all'esperienza di vivere situazioni molto simili all'abuso, quali potrebbero essere quelle di intimità sessuale (ibidem). In estrema sintesi si può notare che le principali categorie di disturbi a lungo termine che colpiscono gli adolescenti e gli adulti sono quelle che derivano dalle conseguenze somatiche, dissociative ed affettive di un trauma prolungato. Ipervigilanza e ansia cronica possono tradursi in somatizzazioni varie; la frammentazione mentale, messa in atto per tentare di alterare e controllare una realtà contraddittoria e indesiderata e di far coesistere immagini contrastanti di sé e dei genitori, struttura difese di tipo dissociativo; i disturbi nelle relazioni affettive hanno le loro radici nel tipo di attaccamento, quasi sempre insicuro e instabile di tipo D, nella paura di essere dominati o abbandonati, nell'oscillazione tra passività-sottomissione e ribellione, nella tendenza ad instaurare relazioni di dipendenza da adulti idealizzati. Si verificano compromissioni nell'area che riguarda i cambiamenti nell'identità e nella struttura di personalità, in quanto la violenza prolungata invalida e distrugge l'immagine corporea e l'immagine interiorizzata degli altri, nonché i valori e gli ideali che forniscono un senso di coerenza, fino all'organizzazione di un concetto del Sé contaminato e confuso, colpevole e cattivo. Questo porta a sentimenti di vergogna e impotenza, all'impossibilità di controllare l'ambiente e di proteggere se stessi, che sono tipicamente depressivi e di difficile gestione, che possono consolidarsi e strutturarsi, in età adulta, in una depressione conclamata. Effetti a lungo termine I disturbi post-traumatici da stress sono significativamente presenti nelle situazioni di abuso infantile, sia come configurazioni di risposte immediate sia nell'articolazione a lungo termine; la loro caratteristica è di essere composti di un insieme di reazioni normali ad un evento anormale, quindi si tratta di un processo di adattamento temporaneo ad eventi fortemente stressanti e che, come tale, dovrebbe evolversi secondo fasi prevedibili e poi risolversi, ma qui non siamo di fronte ad eventi circoscritti bensì ripetuti e spesso le vittime sono completamente sotto il controllo del persecutore, dipendono da lui per condizioni psicologiche e/o fisiche e/o economiche, come accade alle donne maltrattate e ai bambini abusati, così come alle persone in stato di prigionia o nella condizione di ostaggi (Di Blasio, 2000). Herman (1992) sostiene che nel caso di traumi prolungati o ripetuti la diagnosi di disturbo post-traumatico da stress non è abbastanza accurata, non riesce a dare un'immagine reale di un quadro sintomatico così complesso e, proprio per tener conto di tutti i possibili esiti di traumi di questo tipo, l'autrice propone la nuova diagnosi di disturbo post-traumatico complesso, allo scopo di poter valutare le risposte personali al trauma lungo 14 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 un continuum che va dalla semplice reazione acuta al trauma, al DPTS classico, fino al quadro complesso (ibidem). Da allora molte ricerche sono state fatte e la nuova diagnosi è sempre più diffusa tra coloro che si occupano di abusi in età infantile. Si parla di disturbo post-traumatico complesso quando i sintomi consistono in una alterazione nella regolazione degli affetti e degli impulsi (depressione, autodistruttività, coinvolgimento in situazioni pericolose), nella somatizzazione (sintomi di conversione, ansia, ipervigilanza), in episodi di dissociazione (depersonalizzazione), in alterazioni patologiche della propria identità e delle relazioni (relazioni instabili, incapacità di provare fiducia negli altri, colpa, vergogna), in una alterazione del sistema dei significati e della percezione del persecutore (perdita di opinioni precedentemente sostenute, idealizzazione del persecutore, distorsione delle proprie convinzioni). Siamo in presenza di sintomi eterogenei, di cambiamenti di personalità e di un'alta probabilità di ripetere l'esperienza attraverso comportamenti aggressivi eterodiretti e autodiretti e, proprio per questa sintomatologia polimorfa, la forma complessa del DPTS rischia di essere erroneamente valutata come disturbo di personalità, in particolare come disturbo borderline di personalità (Di Blasio, 2000). Gelinas (1983) analizza in particolare gli effetti a lungo termine dell'incesto e sottolinea come la maggior parte delle vittime tende a chiedere un aiuto psichiatrico o psicoterapeutico senza rivelare il passato incesto, cosa questa che ostacola una corretta dignosi e rende difficile il successo del trattamento. I quadri sintomatici manifestati da queste persone possono essere composti da: • depressione cronica con una recente esacerbazione, autostima molto bassa, sensi di colpa, • complicazioni di un disturbo cronico dell'umore, con abuso di sostanze, atti autolesionisti o tentativi di suicidio, relazioni povere, disfunzioni sessuali, • elementi dissociativi, episodi di depersonalizzazione, incubi ricorrenti, ricordi spiacevoli intrusivi, • elementi impulsivi, fughe, uso smodato e incontrollato di cibi, alcolici, soldi, incidenti automobilistici, promiscuità sessuale, abuso infantile, • storia di parentificazione, con premature attribuzioni di responsabilità e di compiti e funzioni genitoriali; la presenza di complicazioni depressive con elementi impulsivi e dissociativi può portare a molteplici ed errate diagnosi e le più comuni etichette diagnostiche che erroneamente vengono attribuite sono quelle di: • disturbo borderline di personalità, • schizofrenia latente, • disturbo depressivo bipolare. Così le vittime di incesto ricevono un trattamento inadeguato per i loro problemi. L'autrice sostiene che le vittime di incesto, non-borderline, possono essere differenziate dai veri pazienti borderline; nelle prime l'umore non è instabile, ma tende ad essere stabile e depresso, non c'è rabbia intensa, non c'è un transfert precoce e intenso verso il terapeuta, non ci sono le intense e instabili modalità relazionali tipiche dei borderline, in particolare i rapidi 15 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 cambiamenti tra idealizzazione e svalutazione, non ci sono marcati problemi di noia e vuoto esistenziale, sotto stress tendono a rivivere l'evento traumatico più che a produrre crisi psicotiche (ibidem). Secondo alcuni studiosi il disturbo borderline di personalità in età adulta può essere considerato come una sindrome post-traumatica complessa che ha avuto esito in un funzionamento non adattivo della personalità. Altri ritengono che il DPTS non sia necessariamente connesso a fattori stressanti estremi dato che può manifestarsi anche all'interno di situazioni cronicamente stressanti o di stress lievi, quali la nascita di un figlio o difficoltà coniugali. In questi ultimi anni è presente un'evoluzione delle definizioni nella direzione di cui sopra, tanto che il focus dell'attenzione si è spostato dalle caratteristiche dello stress alla natura e al tipo di percezione della vittima che esperisce l'evento traumatico e risponde con intensa paura e forte ansia. Questa ipotesi è confermata da numerose ricerche sugli effetti di eventi catastrofici, della esposizione a guerre, combattimenti, prigionia, a maltrattamento, abuso sessuale, gravi violenze familiari. L'idea è di introdurre il concetto di malattia post-traumatica come possibile conseguenza dei traumi; diagnosi applicabile a persone con disturbi e una storia di esposizione a eventi traumatici tali che si possa affermare che quegli stessi sintomi si configurino in una malattia che non si sarebbe presentata se non vi fossero state le esperienze traumatiche e che, nel lungo periodo, può facilmente comportare cambiamenti stabili di personalità, cosa che non necessariamente avviene con i disturbi post-traumatici semplici (Di Blasio, 2000). Nel caso dei bambini, oltre alla presenza di sintomi post-traumatici, si verificano delle compromissioni importanti nelle aree dello sviluppo sociale e cognitivo. In età prescolare, è plausibile che la trascuratezza non venga vissuta come tale, ma come la normale condizione di vita, dove l'assenza di soddisfazione dei bisogni primari e la carenza di cure non sono percepite come vuoto o mancanza e questo impedisce la produzione di un racconto che le enunci come esperienze negative, cosa che avviene in bambini più grandi. I bambini abusati mettono in atto massicce modalità difensive e di evitamento, per evitare di rivivere in un qualsiasi modo gli eventi, ma il prezzo da pagare è la riduzione delle occasioni di scambio e di incontro, si impoveriscono le relazioni con i coetanei, verso cui prevalgono sentimenti di distacco, estraneità, ridotta affettività, sono presenti sentimenti negativi verso se stessi e lo spazio progettuale rivolto al futuro sembra restringersi, carico di angosce per l'impossibilità di poter contare sulle relazioni familiari che, per prime, definiscono la continuità storica di ogni persona. Nell'area dei sintomi di aumentato arousal dominano frequenti e improvvisi scoppi di collera, che esprimono ira e rabbia incontenibili e incontrollabili, che invadono la mente e impediscono di concentrarsi sui compiti quotidiani, scolastici e ludici, attraverso cui si consolida la padronanza e la fiducia in se stessi. Molti di questi sentimenti e comportamenti entrano a far parte dello stile relazionale dei piccoli abusati e possono essere i precursori di difficoltà future o di modalità distorte nel modo di percepire e controllare gli impulsi. 16 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 Subire attacchi all'integrità fisica elicita aggressività, ostilità diffusa, ribellione e il bambino rischia di essere precocemente etichettato come deviante e antisociale. Queste modalità, oltre a suscitare reazioni negative negli altri, rimandano al bambino stesso un'immagine di violenza e cattiveria e praticamente lo intrappolano in modelli comportamentali poveri e privi di alternative. Nei bambini più piccoli l'emozione della colpa, interpersonale, autodiretta, eterodiretta, assume forme e contenuti prevalentemente rivolti verso il Sé, per la propensione a percepirsi come indegni, inadeguati, cattivi e incapaci; nei ragazzi più grandi alla percezione negativa di sé si associa quella di un mondo popolato di aggressori verso cui riversare rabbia e ostilità. In età adolescenziale, possono esplodere quei gravi comportamenti autolesivi e aggressivi che caratterizzano le conseguenze a lungo termine della violenza. Per quanto riguarda l'abuso sessuale, Finkelhor e Browne (1985) hanno proposto un modello per analizzare e comprendere gli effetti di un'esperienza così traumatica, ipotizzando l'azione di quattro fattori, chiamati dinamiche traumatogene, alla base del trauma: • sessualizzazione traumatica, • tradimento, • stigmatizzazione, • impotenza. Secondo gli autori, le quattro dinamiche non sono specifiche e intervengono anche in altri tipi di trauma, ma nell'abuso sessuale esse agiscono congiuntamente e questo ne fa un trauma unico, differente da tutti gli altri che possono aver luogo nell'infanzia. Queste dinamiche, che non sono intese come categorie pure e strettamente definite, ma come un raggruppamento di influenze negative con un tema comune, alterano l'orientamento cognitivo ed emozionale dei bambini verso il mondo e creano un trauma distorcendo il concetto di sé, la visione del mondo e le capacità affettive. Per esempio: • la dinamica della stigmatizzazione distorce nei bambini il senso del loro valore e della loro volontà, • la dinamica dell'impotenza distorce la percezione dell'abilità a controllare la propria vita. La sessualizzazione traumatica è un processo in cui la sessualità del bambino, includendo sentimenti sessuali e attitudini sessuali, viene condizionata in un modo interpersonale, disfunzionale e inappropriato allo sviluppo del bambino, come risultato dell'abuso sessuale, attraverso lo scambio di affetto, attenzioni, privilegi e doni per il comportamento sessuale. Il bambino impara ad usare il comportamento sessuale come strategia per manipolare gli altri e per soddisfare bisogni non appartenenti alla fase di sviluppo in cui si trova, ad alcune parti anatomiche vengono attribuiti importanza e significati distorti, sorgono idee sbagliate e confusione circa il comportamento sessuale, si formano associazioni emozionali inusuali alle attività sessuali, ad esempio con la paura. Da qui può nascere la confusione rispetto alla propria identità sessuale o alle preferenze, concezioni negative rispetto al sesso e alle relazioni sessuali, ma anche rispetto alle relazioni affettive che possono venire impropriamente sessualizzate. I bambini manifestano preoccupazioni e comportamenti sessuali ripetitivi e compulsivi, 17 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 conoscenze e interessi impropri, aggressività e vittimizzazione di compagni più piccoli. Crescendo si pongono domande sull'integrità e la desiderabilità dei loro corpi e degli organi sessuali, può esserci promiscuità e un elevato rischio di prostituzione o, viceversa, un'avversione al sesso, vaginismo, difficoltà di erezione, difficoltà di provare orgasmo e, in generale, attitudini negative verso la propria sessualità e il proprio corpo perché tutto viene associato a sentimenti di repulsione, rabbia, paura, senso di impotenza. Il tradimento nasce nel bambino dallo scoprire che è proprio la persona da cui dipende totalmente o di cui si fida o che ama, la causa della sua sofferenza, fisica o psichica, per questo il tradimento viene sperimentato non solo nei confronti di chi abusa ma anche, se non di più, nei confronti di chi non ha protetto e il suo grado dipende anche dal tipo di rapporto preesistente all'abuso. Il senso del tradimento porta alla depressione e a reazioni negative verso le persone in cui non si ha più fiducia, c'è un senso di profonda disillusione, ma anche l'intenso bisogno di riguadagnare fiducia e sicurezza che si manifesta nell'estrema dipendenza e nella disperata ricerca di riscatto attraverso la relazione, col forte rischio di instaurare sempre relazioni nuovamente di tipo abusante, fisico, sessuale, psicologico. All'opposto, può crearsi una vera e propria barriera alle relazioni intime, come tentativo di proteggersi da ulteriori possibili tradimenti di qualsiasi tipo. L'impotenza, l'incapacità del potere mentale, nasce dal tentativo dell'abusante di rendere la vittima priva di potere, di contrastare o bloccare i suoi voleri, desideri, senso di efficacia. Nell'abuso sessuale è un senso di impotenza di base quello che viene sperimentato dal bambino, perché è il suo territorio più personale, lo spazio del corpo, che viene ripetutamente invaso contro la sua volontà. L'impotenza è rafforzata dalla manipolazione, dal fallimento dei tentativi di fermare l'abuso, dalla paura, dall'incapacità di farsi credere o di far capire cosa è successo o cosa si sta vivendo; paura e ansia sono le reazioni abituali alla percezione dell'incapacità a controllare gli eventi e nei bambini si manifestano con incubi, fobie, ipervigilanza, comportamenti di dondolamento o dolori somatici. Paure e ansie si estendono in età adulta e possono danneggiare il senso dell'autoefficacia, può esserci difficoltà ad agire, in qualsiasi campo, perché l'aspettativa è di essere ancora vittimizzata; il senso di impotenza può essere associato alla disperazione, alla depressione con comportamenti suicidari, così come alla tendenza a sfuggire i problemi o alla difficoltà a trovare impieghi stabili. Il tentativo di sfuggire e superare il senso di impotenza può esprimersi nel bisogno inusuale e disfunzionale di controllare e dominare, in particolare nel caso di vittime maschili per le quali il problema del potere e del controllo è reso particolarmente saliente dal ruolo maschile nella socializzazione; dal desiderio di essere forti, duri, potenti, senza paura, nasce l'aggressività, il bullismo, che è una rimessa in atto del proprio abuso, per tentare di esorcizzarlo. La stigmatizzazione comprende le connotazione negative, come cattiveria, vergogna, colpa, che sono comunicate al bambino attraverso l'esperienza e che vengono incorporate nell'immagine di sé. La comunicazione può essere esplicita e provenire direttamente dall'abusante o implicitamente, ad esempio dalla richiesta di mantenere il segreto su comportamenti particolari, 18 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 ma anche dall'atteggiamento della famiglia e da quello che i bambini imparano negli ambienti che frequentano. La stigmatizzazione può essere rinforzata dalle reazioni dei familiari allo svelamento dell'abuso: shock, biasimo verso la vittima per aver subito o per aver rivelato, far trapelare che essa ha perso valore sia moralmente sia come persona. La stigmatizzazione può essere il risultato del sentirsi diversi da tutti gli altri, del pensare che tutti rifiuteranno di avere contatti con chi ha vissuto simili esperienze, dal sentirsi merce guasta che non merita niente di buono e qui si radica il senso di una bassissima stima di sé che viene continuamente confermata da qualsiasi successiva esperienza e difficilissima da contrastare, anche nel corso di una adeguata psicoterapia. Colpa e vergogna sembrano essere logicamente associati a questa dinamica traumatogena e possono portare all'isolamento sociale, all'abuso di sostanze, ad attività criminali e di prostituzione, a comportamenti autodistruttivi, fino al suicidio. Il modello concettuale basato sull'azione delle quattro dinamiche traumatogene permette una più completa valutazione del potenziale effetto traumatico di un evento o di una relazione abusante, su quattro dimensioni separate e nel tempo, considerato che si sta parlando di processi attivi anche nelle fasi precedenti e successive all'abuso, quindi anche di fattori di rischio e di fattori protettivi. Il punto cruciale è che il focus della valutazione non è più sulle caratteristiche dell'evento, ma sulla persona che l'ha vissuto e sulle specifiche dinamiche offensive che si sono attivate in lei. In quest'ottica le caratteristiche dell'esperienza possono essere valutate per il loro apporto a ciascuna dinamica, considerando che ogni singolo dettaglio ne può influenzare il grado di presenza; questo può essere molto utile sia in fase di valutazione clinica iniziale rispetto alla messa a punto di un programma terapeutico, sia come base per formulare strategie di interviste iniziali, finali, in itinere (Finkelhor e Browne, 1985). Conclusioni Judith Herman (1992) afferma che la normale risposta all'atrocità è di bandirla dalla coscienza, certe violazioni del patto sociale sono troppo terribili per essere proclamate ad alta voce. questo è il significato della parola: indicibile. Tuttavia le atrocità rifiutano di farsi seppellire. La dialettica centrale del trauma psicologico sta nel conflitto tra il desiderio di negare gli eventi orribili e quello di proclamarli ad alta voce (ibidem). Lenore Terr (1991) definisce il trauma come il risultato di un colpo o di una serie di colpi improvvisi che destabilizzano temporaneamente la persona e fanno fallire le operazioni difensive e le ordinarie strategie con cui si affrontano gli eventi esterni. Tutti i traumi infantili causano una serie di cambiamenti nelle modalità di funzionamento psicologico. L'autrice propone una differenziazione tra traumi di primo tipo, conseguenza di un evento unico e improvviso, e traumi di secondo tipo, derivanti da abuso prolungato 19 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 e ripetuto; nel primo caso prevale la tendenza al continuo ricordo, nel secondo c'è più spesso il diniego e la paralisi psicologica (ibidem). Al trauma psichico sono associate menomazioni nell'espressione e nella tolleranza degli affetti, si nota un'alta prevalenza di malattie psicosomatiche e la maggior parte delle vittime soffre di alessitimia, l'incapacità di identificare o verbalizzare stati affettivi. Un trauma psichico nell'infanzia porta ad un arresto dello sviluppo affettivo, mentre un trauma in età adulta porta ad una regressione dello sviluppo affettivo, in entrambi i casi il risultato è l'impossibilità di usare gli affetti come segnali, qualunque emozione viene vissuta come una minaccia del ritorno del trauma originario. Negli stati post-traumatici le persone possono soffrire di una menomazione della capacità di occuparsi di se stesse e di svolgere funzioni di autoconsolazione, non sono più in grado di rilassarsi e calmarsi autonomamente (Gabbard, 1994). Gli effetti di un evento traumatico come un abuso coinvolgono tutti gli ambiti di vita di una persona, per questo è fondamentale arrivare ad una precisa definizione diagnostica, evitando l'attribuzione di etichette psichiatriche che rischiano di aggiungere ulteriori traumi a quelli già subiti dalle vittime, oltre che a ritardare il ritrovamento della connessione tra sofferenza psicofisica e ciò che l'ha realmente originata. Il riconoscimento del trauma è centrale nel processo terapeutico, quando i pazienti approdano a questa consapevolezza non hanno più bisogno di attribuire i loro problemi ad un difetto interiore del proprio sé, così si apre la possibilità di creare nuovi significati dell'esperienza e una nuova identità non più stigmatizzata. Questa comprensione fornisce le basi per un'alleanza terapeutica cooperativa che normalizzi e validi le reazioni emotive agli eventi passati, permettendo di riconoscere che tali reazioni potrebbero essere maladattive nel presente e quindi contrastando i rischi di ulteriori nuove vittimizzazioni (Malacrea e Lorenzini, 2002). Un importante elemento connesso alle conseguenze psicologiche del trauma infantile è la deformazione dei sentimenti e delle emozioni empatiche, i bambini diventano incapaci di soccorrere e aiutare chi è in difficoltà, di tollerare le manifestazioni di dolore e di sofferenza altrui a cui reagiscono con un misto di rabbia e aggressività tipico di chi vorrebbe rapidamente estinguere il segnale di dolore. La deformazione del sentimento empatico è grave perché l'empatia, come percezione del bisogno dell'altro, è un'emozione precoce e significativa per la socialità, ma anche un mediatore importante per l'attivazione delle capacità prosociali quali la condivisione, la capacità di offrire aiuto, l'altruismo (Di Blasio, 2000). Felicity de Zulueta (1993) afferma che attraverso l'alterazione o il blocco dell'empatia, che non è solo una fonte di altruismo, ma un possibile inibitore del comportamento aggressivo, passa la disumanizzazione dell'altro che sta alle radici di tutta la violenza umana, intesa come interpretazione di una forma di comportamento sociale che dipende essenzialmente dal contesto sociale in cui si vive e differisce dall'aggressività. Solo lo studio degli effetti del trauma psicologico ha permesso di cominciare a districare le diverse componenti delle reazioni violente, confermando che l'essenza della nostra umanità sta nel fatto che investiamo di significato le nostre esperienze e il 20 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 modo in cui le interpretiamo ha un effetto diretto sul modo in cui reagiamo al trauma. Gli esseri umani hanno la necessità di trovare una motivazione alle sofferenze e di sentire, soprattutto quando sono maggiormente minacciati, di avere in qualche modo il controllo della propria esistenza; questo fa sì che ci sia una quasi naturale propensione a sentirsi colpevoli piuttosto che impotenti; accusando se stessa per quanto è accaduto la vittima ottiene un certo senso di controllo sulla propria vita, invece di sentirsi completamente impotente. Una simile forma di pensiero si manifesta nei bambini come pensiero magico e si presenta anche in adulti molto angosciati, tradendo una confusione momentanea tra sé e il mondo esterno. Questo conferma l'importanza delle relazioni tra il bambino e chi si occupa di lui, per lo sviluppo dell'empatia e il suo ruolo nel ridurre la violenza. L'empatia è collegata ad una autostima elevata, perché essa è in parte un'estensione del Sé alle altre persone e un concetto di sé povero rende più difficile estendere i confini del Sé in modo positivo, un senso di sé debole e una bassa autostima contribuiscono enormemente alla violenza umana. Le pratiche che conducono ad un orientamento prosociale e ad un comportamento positivo nei bambini sono simili a quelle che contribuiscono a una buona autostima (Zulueta, 1993). Tutte queste considerazioni portano al massimo grado l'importanza di riconoscere, nel corso del lavoro terapeutico con pazienti che presentano gravi quadri sintomatici o lamentano difficoltà apparentemente semplici ma che non rispondono ai trattamenti solitamente efficaci, l'eventuale azione di un trauma, così da poter intervenire con le modalità terapeutiche più specifiche e maggiormente in grado di aiutare la persona ad elaborare l'esperienza vissuta e attutirne il più possibile le conseguenze. Nell'ottica dell'approccio rogersiano, per definizione centrato sulla persona, il concetto di trauma e di lavoro psicoterapeutico per l'elaborazione dello stesso può trovare uno spazio quasi elettivo, perché laddove la persona è posta al centro dell'attenzione e la sua sofferenza viene accolta e compresa in tutte le sue manifestazioni e sfumature, si possono creare le migliori condizioni affinché il trauma possa essere elaborato ed integrato nella vita della persona senza che continui ad essere operante nell'attivare profonda sofferenza e sintomi invalidanti. 21 ACP – Rivista di Studi Rogersiani – 2003 Bibliografia APA (AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION) (1994), DSM-IV. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Masson, 1996. DI BLASIO P. (2000), Psicologia del bambino maltrattato, Bologna, Il Mulino. FINKELHOR D. E BROWNE A. (1985), The Traumatic Impact of Child Sexual Abuse, «American Journal of Orthopsychiatry», 55 (4), pp. 530-541. FREUD S. 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