Dove si va? Nuovi orientamenti dell`arte contemporanea

LXI Lezione – Mercoledì 16 maggio 2007
Dove si va? Nuovi orientamenti dell’arte contemporanea
Angela Vettese
Dopo questo ampio ciclo di conversazioni sull’arte contemporanea, molti degli spettatori potrebbero essere
sconcertati e pensare che l’ “arte”, nel senso in cui l’abbiamo sempre concepita, non esista sostanzialmente
più; che sia diventata appannaggio di persone che non sanno usare la tecnica, che non hanno imparato un
linguaggio, che non lasciano giudicare le loro opere al pubblico, che spesso speculano a tavolino sul loro
stesso tipo di strategia e di promozione.
L’arte è morta, si diceva un tempo, diceva Giulio Carlo Argan peraltro in un contesto di filosofia della storia
marxista. Ricordo che la morte dell’arte è una espressione che non venne mai usata da Hegel, a cui invece
viene ascritta, e che comunque il filosofo tedesco riteneva che essa non sarebbe affatto scomparsa ma
sarebbe stata superata dall’espressione umana fatta attraverso la pura filosofia.
Certamente ci troviamo in imbarazzo di fronte al divorzio tra arte e bellezza, tra arte e tecnica, tra arte e
rappresentazione.
Ma abbiamo alle spalle un intero secolo in cui queste cose sono accadute, e lo sono ormai irreversibilmente.
Dire che oggi l’arte sia in via di estinzione contraddice lo stesso vasto pubblico che ha avuto questo ciclo di
conversazioni.
In generale, come mai stanno proliferando i musei come mai prima, sta aumentando il numero delle mostre
importanti, sta diventando significativo avere un minimo di cultura e di aggiornamento anche in questo
campo?
Evidentemente sentiamo che l’arte visiva ci può essere di aiuto. Certamente c’è una parte di “moda” dell’arte
contemporanea che va ascritta anche allo sviluppo della cultura del lusso, di una civiltà che tende di nuovo a
dividere la fascia alta da quella bassa della popolazione attraverso la conoscenza e il possesso di beni difficili
sia da capire che da possedere.
D’altra parte ormai le immagini sono uno dei linguaggi con i quali, anche se ci sembra di no, dialoghiamo
meglio: la televisione, il computer e persino il telefono ci hanno fatto tornare in un’epoca in cui l’iconico è
importante almeno quanto la scrittura aniconica. Dobbiamo immaginare uno sviluppo ancora più radicale in
questa direzione. La società sarà sempre più “always on”, cioè sempre connessa a una rete telematica che ci
trasmetterà soprattutto immagini commerciali.
Di qui un grande bisogno di immagini non commerciali, cioè nate non per fare pubblicità. Di qui una
dimestichezza che io immagino crescente con l’arte visiva. Di qui il bisogno di uscire da un’estetica fatta
solo per sollecitare il consumo, abbracciando invece produzioni artistiche fatte per stimolare il pensiero.
Il mio è forse un eccesso di idealismo e leggo spesso messaggi di caduta e di perdita che riguardano l’arte.
Ma a me sembra la prima cosa che ha distinto l’uomo e credo che sarà anche l’ultima ad andare perduta. Può
cambiare il linguaggio, la tecnica, il contenuto relativo al presente. Ma non cambia la necessità di riflettere
sul presente medesimo e soprattutto su ciò che stiamo diventando, noi uomini, nell’epoca che maggiormente
vede mutare il nostro modo di essere. Ci sarà bisogno di più filosofia, di più musica, di più arte visiva e non
visiva, per capire assorbire attutire e godere i cambiamenti ai quali andiamo inesorabilmente incontro.