CORSO DI PSICHIATRIA APPUNTI DALLE LEZIONI DEL PROF. PAOLO SANTONASTASO E DELLA DOTT.SSA ANGELA FAVERO Anno accademico 2003 -2004 Sommario: 1. nosografia psichiatrica 2. disturbi cognitivi e mentali dovuti a una condizione medica generale 3. disturbi da abuso di alcool e sostanze 4. schizofrenia ed altri disturbi psicotici 3 47 63 83 5. disturbi dell’umore 6. disturbi d’ansia 7. dissociativi 104 145 169 8. disturbi somatoformi e fittizi 9. disturbi alimentari 10. disturbi di personalità 171 180 212 11. suicidio e violenza 12. psicoterapia 13. psicofarmacologia 202 NO SBOB 228 Lezione 01 – 1/03/2004 Nosografia Psichiatrica Andrea Gloria NOSOGRAFIA1 PSICHIATRICA L’Argomento della lezione di oggi è la nosografia psichiatrica; prima di parlarne è opportuno dare qualche idea di quella che è la funzione storica della psichiatria nel corso del tempo e come questa si collochi in relazione alle altre specialità mediche. Storia della Psichiatria Come per tutta la cultura occidentale, anche per la psichiatria le radici si trovano nella cultura greca, cultura che ha prodotto importanti filosofi che a quel tempo erano anche degli scienziati. Le prime definizioni di quello che, ancora oggi, rientra nella patologia psichiatrica le possiamo trovare in Platone. Platone aveva, per esempio, definito in modo abbastanza accurato le manifestazioni di quello che allora era chiamato Furore, il cui sinonimo può essere la parola Mania. Quest’ultima, che troviamo nella nosografia psichiatrica, fa parte, di uno dei due poli del cosiddetto disturbo bipolare, cioè la mania che si alterna alla depressione. Altri sinonimi di Furore sono il termine Estasi ed Entusiasmo; in particolare Estasi è più vicino alla psicopatologia ed è formata da due parole congiunte che significano “fuori” e “modo di essere”, quindi la sua etimologia è “essere fuori di sé”. Questa è un’alterazione dello stato di coscienza che troviamo in specifici disturbi psichiatrici, come i disturbi dissociativi che sono il modo in cui oggi si definisce l’antico termine di Isteria. Tale termine riunisce in sé una patologia somatica, con sintomi come paralisi ed agitazione ed alcuni termini psicologici, definiti come alterazioni degli stati di coscienza.1 Lo stato di coscienza, per esempio, che si presenta nei fenomeni dissociativi non è né quello della veglia normale, né il termine sonno, dove la coscienza di sé e della realtà esterna ha una sospensione. Allora dovremo dire, grossolanamente, che le alterazioni di coscienza, proprie degli stati dissociativi, sono una via di mezzo tra lo stato di coscienza proprio della veglia e lo stato di non coscienza proprio del sonno. Le prime definizioni di Platone, allora, si riferiscono ad una serie di comportamenti che oggi potrebbero essere definiti come patologia psichiatrica. Il Furore descritto da Platone è un furore di diverso tipo: 1. Furore Eroico: è quello tipico di molti eroi della mitologia greca e dell’atteggiamento psicologico presente nel corso della battaglia. Il rendimento dal punto di vista dell’efficacia aggressiva può dipendere da un’alterazione dello stato di coscienza. Per 1 Nosografia: descrizione delle malattie e delle loro manifestazioni. 3 Lezione 01 – 1/03/2004 Nosografia Psichiatrica esempio nel film “Barry Lindon” ci sono delle descrizioni di battaglie molto cruente in cui vengono suonate delle musiche e sono prodotti dei ritmi. Tali ritmi, hanno lo scopo di alterare lo stato di coscienza del combattente, rendendolo particolarmente capace e disponibile al combattimento. In un certo senso, sia l’eroe mitico, sia l’eroe umano che combatte nelle battaglie, produce uno sforzo per superare la finitezza del proprio essere, quindi i propri limiti, rendendosi simile ad un dio. Egli s’identifica in qualcun altro che è famoso per la propria forza, per il proprio successo in battaglia. 2. Furore Poetico: per produrre un linguaggio poetico e comunicare immagini, sentimenti, emozioni, il poeta s’immerge in un’altra identità che è particolarmente carica dal punto di vista visivo e del ricordo del passato. Il poeta ha delle particolari capacità di immaginare e di ricordare il passato delle proprie esperienze, capacità che lo rendono in grado di produrre un linguaggio particolarmente comunicativo con cui riesce a descrivere le emozioni ed i sentimenti umani come un “non-poeta” non potrebbe fare. 3. Furore Rituale: caratteristico dei riti dionisiaci, ben noti nell’Atene del V secolo, in cui si producevano degli stati di alterazione di coscienza indotti, ad esempio, da sostanze come il vino che contemporaneamente curavano anche queste alterazioni degli stati di coscienza. È il dio che produce la malattia ed è il dio l’unico che la può curare. 4. Furore Mantico o Profetico: consente al sacerdote di produrre una divinazione. Uno dei modi in cui venivano prodotte le alterazioni degli stati di coscienza, caratteristiche di queste divinazioni di sacerdoti poteva essere quello dell’isolamento sensoriale. I sacerdoti venivano sepolti in una piccolissima caverna, chiusa e sigillata, in cui non avevano né percezione visiva, né uditiva. La deprivazione sensoriale poteva produrre uno stato di alterazione di coscienza per cui il sacerdote, il divinante, usciva da sé, s’immedesimava nella identità divina ed in questa poteva conoscere il passato, il presente ed il futuro. Anche qui, si tratta di un’alterazione dello stato di coscienza che predispone una persona ad avere particolari capacità e, nello stesso tempo, a privarsi di altre. Per esempio, uno che è in uno stato di coscienza alterato ha delle capacità percettive della realtà esterna ridotte, ma può, anche, avere delle capacità percettive della realtà interna aumentate. 5. Furore Erotico: sempre secondo Platone, corrisponde alla perdita della propria identità attraverso l’identificazione nell’altra persona. Anche nella dimensione delle fasi iniziali dell’innamoramento possono esserci delle alterazioni dello stato di coscienza, alterazioni, che predispongono una persona ad essere recettiva nei confronti di alcune percezioni e molto meno nei confronti di altre. 4 Lezione 01 – 1/03/2004 Nosografia Psichiatrica A Platone dobbiamo, tra l’altro, il termine anamnesi che utilizziamo quotidianamente nelle analisi mediche; questo significa “il modo di ricordare”, cioè l’anamnesi, il ricordo, è l’unico modo in cui si produce la conoscenza. Per Platone, il mondo delle idee è molto diverso da quello della realtà che noi vediamo quotidianamente, un mondo in cui siamo stati immersi in un lontanissimo passato; di queste idee di mondo ideale abbiamo avuto una pallida coscienza; è l’esperienza quotidiana che non fa che ricordarci quest’esperienza primaria dell’idea di Platone. Un altro filosofo che è molto più vicino a quelle che oggi definiamo scienze naturali è Aristotele. Esaminiamo un testo di Aristotele sulla Melanconia che abbiamo detto è l’altra faccia della Mania, cioè del Furore di cui abbiamo precedentemente parlato. Vediamo che il modo di approcciare la descrizione stessa della Melanconia secondo Aristotele è completamente diversa dalla Mania di Platone. Aristotele si basa molto di più sulla conoscenza dei fenomeni naturali, sulla possibilità che l’esperienza percettiva ci possa dare delle importanti conoscenze senza dover ricorrere al mondo delle idee platonico. Per Platone l’esperienza emotiva e percettiva del soggetto ha un ruolo molto meno importante di quanto non sia in Aristotele. Per quest’ultimo, la Melanconia è una caratteristica propria degli uomini eccezionali ed è dovuta ad uno squilibrio degli Umori con un eccesso di Bile Nera. Dalla storia della medicina ricordiamo la Teoria degli Umori di Ippocrate, grande medico greco, che aveva fondato una scuola, tuttora intesa come riferimento di formazione per la pratica medica. In questa teoria Aristotele attribuiva alle diverse malattie una causa legata ad una qualche variazione nell’equilibrio tra i diversi Umori: il Sangue, la Bile Nera, la Bile Gialla e la Linfa. Nella Melanconia ciò che viene alterata è l’eccessiva produzione di Bile Nera che determina delle alterazioni non solo nel corpo, ma anche nelle capacità mentali della persona. Il termine Melanconia è la traduzione esatta di Bile Nera. Gli esempi che Aristotele cita nel breve scritto, intitolato la “Malinconia dell’uomo di genio”, sono quello di Eracle che andò in escandescenza massacrando i suoi figli. Basti pensare a quello che si legge spesso nei giornali, cioè di qualche padre o madre depressi che uccidono non solo se stessi ma anche i propri figli. Altro esempio è quello di Aiace che si uccise per essere stato giudicato inferiore ad Odisseo; Bellerofonte che, divenuto odioso agli dei, vagava da solo rodendosi l’anima ed evitando il passo degli uomini; ed ancora quelli di Empedocle, Platone, famosi melanconici ma anche uomini eccezionali. Aristotele dice che tutti questi sono tali, cioè melanconici, per natura. 5 Lezione 01 – 1/03/2004 Nosografia Psichiatrica Si Vede che il concetto di Aristotele sia fondamentalmente diverso da quello di Platone, in cui la follia è determinata dalla presenza o dalla lontananza del dio, una follia determinata dall’esterno. Per Aristotele la melanconia è tale per natura, cioè è un fenomeno naturale con alcune alterazioni che determinano un comportamento diverso. Questa è una delle frasi conclusive del testo di Aristotele che dice: ” L'atrabile, dunque, che è fredda per natura e non sale alla superficie, quando si mantiene così come si è detto, genera apoplessie,torpori, depressioni, fobie, se la quantità nel corpo è eccessiva; quando invece si surriscalda, genera stati euforici accompagnati da effusioni canore, straniamento da sé, eruzioni di piaghe et similia.” Si vede, quindi, come Aristotele già nel IV secolo a.C. abbia descritto in modo abbastanza appropriato quella che è una patologia tuttora presente nei testi psichiatrici e che è, oggi, nota come disturbo bipolare, mentre 30 anni fa veniva chiamata psicosi maniacodepressiva. La capacità di mettere accanto due fenomeni così diversi, come uno stato di eccitamento maniacale ed uno stato di depressione melanconica, deriva dalle osservazioni che i primi medici di allora avevano descritto, osservando comportamenti, che potevano presentarsi in fasi successive, talora anche contemporaneamente nella stessa persona. Alcuni secoli dopo troviamo Areteo di Cappadocia, un altro medico famoso che si è occupato di malinconia. Egli opera una distinzione tra la melanconia determinata per natura dall’eccesso di Bile Nera e quella provocata dalla passione intemperante. In un certo senso Areteo opera una sintesi tra il concetto di follia di Platone (Furore) e il concetto di follia di Aristotele, che è quello del fenomeno naturale dovuto ad un’alterazione degli Umori. Areteo dice che accanto alla malinconia prodotta da un eccesso di Bile Nera, c’è anche una malinconia o depressione che si produce per eccesso di passione intemperante. Cioè si tratta di una patologia legata all’emozione, o all’emotività. Areteo esprime questa melanconia con questi aggettivi: “soggetti inattivi, depressi, senza motivo oppure irascibili, scostanti, insonni, agitati nel sonno o ipogenerosi, non per virtù d’animo ma per la mutabilità della malattia”. Così è la malattia che conduce a certi comportamenti. Ad esempio, è noto, e descritto fin dai primi autori classici, il comportamento di sperperare in pochissimi giorni enormi sostanze; questo si manifesta nella fase di eccitamento maniacale del disturbo bipolare, ed è la vera ed unica caratteristica di pericolosità di questi soggetti. Cosi per Areteo la generosità esprime una realtà clinica che sembra essersi conservata immutata nel corso dei secoli. 6 Lezione 01 – 1/03/2004 Nosografia Psichiatrica La malinconia è un concetto clinico pochissimo variato nel corso della storia della medicina. Altri concetti di malattia in ambito psichiatrico hanno subito enormi variazioni nosografiche. Altra caratteristica della Melanconia di Areteo è l’odio, la fuga dal consorzio umano, descritto come isolamento sociale: tali soggetti maledicono la vita, amano la morte. Areteo sostiene che quando parliamo di Bile, definiamo contemporaneamente, per traslato, non solo la Bile Nera, come fenomeno naturale, ma anche la passione che ad essa si associa. Egli utilizza il termine melanconia e non la ritiene soltanto un fenomeno prodotto da alterazioni naturali, ma da emozioni o accadimenti esterni alla vita di relazione. Areteo conclude il suo studio sulla malinconia dicendo: “si dice che uno di essi, vistosamente ammalato, amasse una ragazza. Mentre a nulla gli giovavano i medici, fu curato dall'amore. Ritengo che fosse avvilito e scoraggiato per mancanza di successo con l’amata, e che sembrasse soltanto, ma non fosse ammalato della melanconia aristotelica. Tant’è vero che egli stesso non riconosceva l’amore ma quando con esso contagiò la fanciulla, la sua depressione sparì, si dileguarono ira e dolore ed egli arse nella gioia la sua tristezza e diede pace alla propria mente: medico l’amore”. Bella definizione che ci anticipa una dicotomia da sempre presente nella storia della psichiatria: il modo di vedere la malattia mentale, oggi modernamente vista come una malattia del cervello o come una malattia della relazione con la realtà, cioè della relazione del soggetto con l’ambiente esterno e con gli altri. Questa antitesi ha attraversato tutta la storia della psichiatria e nei diversi periodi l’uno o l’altro modo ha prevalso sull’altro. Analizzando le diverse patologie psichiatriche, cercherò di darvi anche un’idea di quello che è un approccio integrato alla malattia mentale, che tenga conto, sia delle alterazioni anatomo-patologiche, o meglio neuro-chimiche, che sono presenti nel cervello e sono in grado di determinare delle alterazioni del comportamento, sia delle relazioni interpersonali, o di un intero sistema culturale, che possono condizionare, favorire o sfavorire l’insorgenza di disturbi mentali. Per riassumere, possiamo dire che la malattia mentale nel corso della storia può essere stata vista come intervento o punizione divina che altera l’identità, oppue come un’alterazione dei fenomeni naturali, cioè fisiologici, o come prodotta da eventi esterni, o anche come possessione demoniaca. A questo proposito sarebbe da aprire una parentesi sul periodo, che va dal 1300 al 1700, in cui molto spesso le alterazioni del comportamento erano intese come risultato di una possessione demoniaca. Alcuni ritengono che il primo trattato di nosografia psichiatrica 7 Lezione 01 – 1/03/2004 Nosografia Psichiatrica sia il cosiddetto Malleus Maleficarum, che era un manuale degli inquisitori. Questo consentiva di identificare, con una semeiotica ben precisa, le caratteristiche dei segni ed i sintomi di un’alterazione della persona, che potevano essere ricondotti ad una possessione demoniaca. Ad esempio, erano descritti i diversi tipi di anestesia, parziale o totale, che quando presenti erano indicativi di una possessione demoniaca. C’è tutto il capitolo della caccia alle streghe, cioè del contenimento e della punizione di moltissime donne che avevano comportamenti alterati, intesi come possessione demoniaca, e che, nell’800, sarebbero stati definiti come isterici. Altro modo di considerare la malattia mentale, contemporaneo a quello della possessione demoniaca, era la perdita del contatto con Dio. Qui si possono citare le alterazioni del comportamento e dell’affettività, come “accidia” o “acedia”, che erano state descritte nei monaci dei monasteri nel tardo Medioevo e nel Rinascimento. L’accidia, o acedia, nelle sue manifestazioni assomiglia alla depressione moderna e veniva descritta in quei monaci, che erano incapaci di mantenere attraverso la preghiera, il contatto con Dio e, quindi, si ammalavano proprio perché Dio era troppo lontano da loro. È evidente che il modo di vedere la malattia mentale si sia continuamente modificato fino ad arrivare, infine, a quello che viene considerato consensualmente l’inizio della psichiatria contemporanea, cioè quando il medico e filosofo francese, Philippe Pinel, durante la rivoluzione francese, sciolse i folli dalle catene e stabilì che queste persone erano diverse dai ladri, assassini e prostitute, persone con cui erano reclusi. Egli affermò, inoltre, che tali persone soffrivano di una malattia e che questa poteva essere curata. È opportuno aprire un’altra parentesi storica, ricordando che a partire dal 1600-1700, in tutta Europa si erano sviluppati i cosiddetti ospedali generali, diffusi inizialmente in Francia, e confinati al di fuori della città. Ivi erano recluse tutta una serie di persone che oggi potrebbero essere definite come “devianti rispetto ad una norma di comportamento”. Questi “devianti” erano confusi, posti l’uno accanto all’altro, non secondo una norma biologica, come s’intende in medicina, ma secondo una norma di comportamento. La trasgressione, più o meno esplicita o provocatoria, di una norma di comportamento ne determinava la reclusione negli ospedali generali. Quindi, la popolazione ospitata in queste strutture era estremamente eterogenea e non le veniva riconosciuta una malattia, ma semplicemente un comportamento alterato. Pinel, che durante la rivoluzione francese entrò nel più grande ospedale generale di Parigi, compì questo gesto simbolico di liberare i folli dalle catene. 8 Lezione 01 – 1/03/2004 Nosografia Psichiatrica In tal modo gli ospedali generali persero la loro funzione principale di contenimento sociale della devianza e vennero trasformati in istituzioni di cura. Pinel era tra quei medici-filosofi che ritenevano che la follia fosse dovuta ad un eccesso delle passioni umane, e proprio per questo si poteva anche pensare ad una cura della follia attraverso un trattamento morale, che era come una sorta di trattamento pedagogico: si insegnava alle persone ad apprendere dei comportamenti più corretti e più consoni a quelli che la società richiedeva. Bisogna osservare un problema teorico di grande importanza: qual è il confine tra una deviazione di una norma biologica, come una iperglicemia, e una deviazione dalla norma, intesa come normalità di comportamento? Oggi la psichiatria è una branca specialistica della medicina, ma nella sua storia paga il tributo al fatto di essere stata uno strumento di controllo sociale della devianza. Chi non si comporta come la maggior parte delle persone viene isolato dal contesto della ragione, (l’età della ragione di Michelle Foucault); da ciò si deduce che il compito principale della psichiatria è il contenimento del comportamento deviante. La storia degli ospedali psichiatrici, successivamente a Pinel, è stata per molto tempo nell’ambiguità tra una funzione terapeutica della malattia e una funzione di contenimento del soggetto, ritenuto pericoloso a livello sociale. Il trattamento morale, elaborato da Pinel, aveva degli aspetti positivi; lo scopo, infatti, di questo trattamento mirava al reinserimento della persona in un contesto sociale attraverso la possibilità di portare via una persona da un ambiente considerato patogeno, come quello della povertà. Bisognava successivamente, mettere il malato in un ambiente che lo riportasse alla normalità e, una volta tornato normale, rimetterlo nell’ambiente che lo aveva escluso. Il trattamento morale, cui ancora oggi certi trattamenti s’ispirano, aveva degli aspetti pedagogici d’insegnamento che possono essere considerati molto repressivi. Uno dei metodi, tra i più usati per la cura della malattia mentale, nell’ambito degli ospedali generali, erano le cosiddette “docce fredde”. Queste consistevano nell’emissione di un getto di acqua gelata, ad alta pressione che doveva avere l’effetto di moderare e di calmare il soggetto. “Siccome i matti sono matti ma non sono stupidi”, spesso essi capivano che tanto più riferivano di avere delle allucinazioni, tanto più subivano le docce fredde. Ciò portava al fatto che le persone non riferissero più questi sintomi e da ciò nasceva la convinzione che le docce fredde giovassero alla scomparsa di tali allucinazioni. Accanto a questi aspetti negativi ce n’erano altri positivi, come l’educazione e il favorire l’apprendimento di comportamenti sociali più adeguati a quelli pretesi dalla società contemporanea. 9 Lezione 01 – 1/03/2004 Nosografia Psichiatrica Prima di addentrarci nella nosografia psichiatrica, facciamo una breve allusione a quelli che sono i modelli interpretativi della malattia mentale. Per Aristotele la malattia mentale è essenzialmente biologica mentre per Areteo più psicogena che biologica, cioè la malattia mentale è prodotta da eventi psichici che possono essere sia interni che esterni. Nel corso della storia della psichiatria vi è stata un’alternanza di questi modelli a seconda del predominio storico e culturale. Oggi si è affermato un modello bio-psico-sociale in cui la malattia mentale è vista sia come un’alterazione di parametri biologici, che possono determinare alterazioni del comportamento, della percezione e dell’intelligenza, sia come una manifestazione di un comportamento patologico, che è il risultato di un singolo o di una serie di eventi esterni, determinati da un certo ambiente. Il prototipo di questo tipo di patologia è il “disturbo postraumatico da stress” che è l’unica malattia descritta dal DSM-IV, che è il manuale diagnostico e biostatistico delle malattie mentali, in cui nella definizione stessa della malattia viene inclusa la sua causa. Questo disturbo si sviluppa in conseguenza di un grave evento di vita, come il partecipare ad una guerra in cui sono morti molti commilitoni, oppure essere vittima di una violenza sessuale, o reclusi in un campo di concentramento. Tutti questi esempi possono essere in grado di generare una patologia, attribuita essenzialmente ad un fattore esterno. Nell’ambito psicologico, bisogna considerare che gli eventi di vita, soprattutto nella prima infanzia, possono avere un ruolo molto importante nel determinare alterazioni della personalità e, quindi del comportamento. La malattia mentale, inoltre, può essere culturalmente determinata. Ci sono delle malattie mentali che sono molto più frequenti in certi ambienti sociali rispetto ad altri. Se si fa, ad esempio, una ricerca epidemiologica sulla depressione e sui tentativi di suicidio in un’area ad alta frequenza di emigrazione, si troverà che, per questi ha un’incidenza più elevata. Si comprende, così, che le condizioni di vita, in cui una persona è immersa, possono condizionare l’insorgenza di un disturbo mentale su coloro che possono avere una predisposizione biologica su base genetica. Il diverso succedersi di modelli teorici, interpretativi della malattia mentale nel corso dei secoli, ha dato luogo ad una estrema incertezza nella definizione delle malattie mentali. Si è arrivati, per esempio, tra le due metà del ‘900, sotto l’influenza delle scoperte psicanalitiche, al fatto che alcuni arrivassero a negare, addirittura, la malattia mentale, vedendola come il prodotto di una società malata che, per particolari meccanismi, produce emarginazione, devianza e follia. 10 Lezione 01 – 1/03/2004 Nosografia Psichiatrica Su base psicanalitica, si è arrivati a descrivere alcuni grandi gruppi diagnostici, come le nevrosi e le psicosi, affermando che non aveva tanto importanza la definizione di una patologia rispetto ad un’altra, quanto piuttosto era importante la definizione dei meccanismi psicodinamici con cui questa malattia si produceva. Questo ha portato verso gli anni ’50, al fatto che in diversi paesi vi fosse una diversa incidenza nella diagnosi di schizofrenia; tale diagnosi, per esempio era molto più elevata negli Stati Uniti, rispetto all’Europa. Da un’accurata valutazione di questo fenomeno è derivata la considerazione che gli schizofrenici non erano in numero maggiore negli Stati Uniti rispetto all’Europa, ma che negli USA venivano utilizzati dei criteri diagnostici molto più estesi e meno rigidi e, quindi, il fenomeno schizofrenia appariva essere più diffuso di quanto non fosse in realtà. Succedeva quindi, che chi veniva diagnosticato come schizofrenico negli Stati Uniti, poteva essere diagnosticato come nevrotico, o con un disturbo di personalità, in Europa o viceversa. L’attendibilità delle diagnosi psichiatriche era molto scarsa. La disciplina psichiatrica, oggi ha cercato di ovviare al problema, arrivando all’identificazione di criteri diagnostici più rigorosi e più universalmente condivisi. Da qui inizia il problema della classificazione dei disturbi mentali, cioè il problema della nosografia psichiatrica, che non può basarsi su un modello teorico diverso nei diversi paesi, ma richiede una riunificazione dei criteri. Il problema della diagnosi in psichiatria è diverso, quindi, da quello della diagnosi in medicina. Fino a pochi anni fa, purtroppo, mancava qualsiasi riferimento anatomo-patologico alla diagnosi e quindi le diagnosi psichiatriche erano essenzialmente poste su base sindromica. In altre parole, succedeva che alcuni sintomi si presentassero caratteristicamente associati tra loro senza necessariamente avere un’unica causa. La sindrome si caratterizza per la compresenza di determinati sintomi. La sindrome non corrisponde necessariamente ad una determinata malattia, cioè ad un preciso e definito fenomeno patologico, fisiopatologico e anatomo-patologico. Oggi la psichiatria biologica ha fatto innumerevoli progressi, per cui per molti disturbi psichiatrici si cominciano ad intravedere alterazioni, sia a livello fisiologico, neurochimico e anatomico. Tuttora, comunque, esiste una grossa incertezza sulla corrispondenza tra le lesioni osservate ed i sintomi associati a quel tipo di alterazione. La diagnosi psichiatrica deve essere caratterizzata da: 1. Attendibilità, cioè da un elevato grado di concordanza tra valutatori indipendenti (USA ed Europa per esempio). 11 Lezione 01 – 1/03/2004 Nosografia Psichiatrica 2. Validità, cioè la capacità di riferirsi, in effetti, ad una determinata malattia e non ad altre. In altre parole la validità è data dalla specificità, cioè dalla capacità di uno strumento diagnostico di identificare e differenziare i soggetti senza diagnosi e dalla capacità di identificare i soggetti con diagnosi. Cioè, i falsi positivi e i falsi negativi. Posso avere uno strumento diagnostico che mi dà un’alta percentuale di falsi positivi, cioè di quei soggetti che solo apparentemente presentano le stesse caratteristiche dei soggetti che hanno quella malattia; ciò è dovuto ad un artefatto dello strumento che viene utilizzato per fare la diagnosi. Se si fa un'indagine epidemiologica per capire quante persone sono ammalate di anoressia nervosa, si posso avere, usando per identificare queste persone uno strumento diagnostico come un’intervista o un questionario, sia dei falsi positivi (persone che sono a dieta e non sono anoressiche), sia dei falsi negativi, se il questionario non riesce ad identificare le persone anoressiche perché queste tendono a negare la loro malattia. Una diagnosi, per essere efficace dal punto di vista scientifico deve avere una buona attendibilità ed una buona validità. 12 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica SARA ZARDO DI AGNOSI Riprendiamo il discorso della volta precedente riguardo alla nosografia psichiatrica e in particolar modo alla diagnosi psichiatrica. Le diagnosi psichiatriche, fino a qualche anno fa, avevano il limite di essere poco attendibili, ovvero il grado di concordanza tra operatori diversi era molto scarso. Per ovviare a questa difficoltà sono state elaborate delle interviste strutturate. L’ intervista psichiatrica può essere fatta in diversi modi (ce ne occuperemo più precisamente nella seconda parte della lezione). Può essere fatta in modo: • Direttivo cioè facendo delle domande (un po’ come quando si fa un’anamnesi medica). • Non direttivo cioè lasciando al paziente la libertà di decidere quali sono gli argomenti e i problemi più importanti che preferisce trattare. L’anamnesi medica è un modello di intervista un po’ strutturata perché suddivisa in argomenti (a. familiare, a. patologica prossima, remota etc.)ognuno dei quali prevede un certo numero di diagnosi. Il modo in cui viene fatta un’anamnesi in ambito medico dipende anche dal contesto in cui ci si trova e spesso a causa di questo viene fatta in modo rapido e talvolta non seguendo uno schema preciso (per es. in pronto soccorso può non esserci il tempo per fare un’accurata anamnesi che risulterà invece rapida, sintetica e incisiva; diverso sarà il caso dell’anamnesi di un paziente ricoverato). La cosa importante da tener presente è che l’anamnesi medica è un modello di intervista semistrutturato, cioè abbastanza direttiva. Al contrario, per ovviare alla disomogeneità e poca attendibilità delle diagnosi psichiatriche, sono state modellate delle interviste diagnostiche molto strutturate che utilizzano il modello dell’albero decisionale. Queste consistono nel formulare al paziente delle domande prestabilite più importanti alle quali seguono ulteriori domande di approfondimento, sempre secondo un criterio diagnostico predefinito. Se il paziente risponde “no” ad una delle prime domande è possibile evitare di proseguire l’intervista a proposito di quel determinato problema, altrimenti è necessario compiere tutto il percorso, il che comporta interviste che possono durare anche 1-2 ore. Le interviste diagnostiche strutturate sono utilizzate soprattutto nella ricerca, quando per esempio si fanno delle diagnosi di gruppo che devono necessariamente essere precise, mentre vengono sostanzialmente evitate in ambito clinico, dove è necessario essere più sintetici. 13 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica Le diverse interviste psichiatriche producono delle diagnosi per determinati sistemi diagnostici, per determinati metodi di classificazione. I più importanti sono: • ICD 10: è la classificazione internazionale delle malattie dell’ OMS (organizzazione mondiale della sanità) ed è valido per tutti i disturbi dell’area medica, non solo per quelli psichiatrici. • DSM IV: è il manuale diagnostico e statistico per i disturbi mentali dell’associazione psichiatrica americana. E’ stato elaborato solo per diagnosi psichiatriche e più dell’ ICD 10 risponde alle esigenze di ricerca. Si basa su un approccio statistico e descrittivo che nasce dall’esigenza di migliorare l’affidabilità della diagnosi e utilizza un metodo categoriale cioè prevede una serie di criteri diagnostici. Per esempio se il disturbo depressivo maggiore è caratterizzato da 7 criteri diagnostici, solo se sono presenti tutti e 7 viene fatta la diagnosi (ho esemplificato, non so se siano realmente 7 – alcuni di questi sono: umore depresso per gran parte della giornata, insonnia, possibili tentativi di suicidio, mancanza di iniziativa); al contrario la mancanza di uno solo dei criteri impedisce di fare la diagnosi. Questo implica che il metodo categoriale è particolarmente indicato per identificare dei gruppi omogenei di malattie, mentre non è particolarmente adatto a descrivere i casi di confine, cioè quei casi che pure sono casi clinici, ma che per esempio presentano 5 o 6 criteri diagnostici su 7 e che presentano comunque una rilevanza clinica e devono essere trattati. Il fatto che spesso una malattia sia data da un insieme di sintomi diversi e che a questo proposito venga spesso utilizzato il concetto di sindrome implica che ci sia un ampio utilizzo di diagnosi di comorbilità psichiatrica (=presenza di più diagnosi). Ciò significa che per esempio a un paziente con diagnosi di depressione maggiore è probabile che vengano attribuite delle altre diagnosi associate alla depressione (come disturbi d’ ansia o disturbo post-traumatico da stress). Questo è dovuto al fatto che le malattie psichiatriche sono identificate, per il momento, non tanto sulla base di criteri diagnostici di tipo anatomopatologici o fisiopatologici, ma attraverso la compresenza di determinati sintomi, cioè attraverso la presentazione di una sindrome. Il DSM IV utilizza 5 assi diagnostici, i più importanti sono i primi due: 14 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica - ASSE I: riguarda i disturbi clinici (per esempio la diagnosi di anoressia nervosa, il panico o la depressione) che sono caratterizzati da un esordio e un’evoluzione. - ASSE II: riguarda i disturbi di personalità che non sono dei disturbi clinici specifici né hanno un esordio ben preciso, ma riguardano lo sviluppo della personalità e compaiono quantomeno in età adolescenziale, manifestandosi come difficoltà nella relazione con gli altri, associata a caratteristiche di impulsività, di chiusura o timidezza. In questo asse si colloca anche il ritardo mentale che si manifesta precocemente e può essere una conseguenza di infezioni perinatali, traumi del parto etc. - ASSE III: definisce le condizioni mediche generali del paziente. E’ importante perché in una popolazione di pazienti psichiatrici è molto più frequente la presenza di disturbi organici, cioè di malattie “mediche”, che non nella popolazione generale. Data la frequenza delle malattie organiche in ambito psichiatrico è opportuno esplorare la presenza di queste condizioni mediche. - ASSE IV: segnala la presenza di problemi psicosociali e ambientali il che è molto importante nella prospettiva della prognosi. Per esempio l’evoluzione di un disturbo psichiatrico come la schizofrenia dipende molto dal contesto sociale e dal supporto che questo può fornire al paziente. Se questi è sposato, ha una famiglia, è riuscito a mantenere il proprio lavoro, l’evoluzione della malattia sarà molto migliore che non in un paziente che vive solo, non ha famiglia o vive in condizioni molto disagiate. - ASSE V: è la valutazione globale del funzionamento, cioè un’ indicazione generale sui limiti che il disturbo psichiatrico pone nella vita quotidiana di una persona. Disturbi anche importanti possono non incidere più di tanto sulla quotidianità di un paziente, mentre altri apparentemente banali possono rovinare l’esistenza a una persona. Questi 5 assi non hanno niente a che fare con i criteri diagnostici (per es. i 7 accennati prima per la depressione maggiore), ma per es. il disturbo depressivo maggiore è un 15 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica disturbo dell’asse I, il disturbo di border-line della personalità è un disturbo dell’asse II e così via. COM ORBILITA ’ PSICH IATRICA Consiste nella presenza di più diagnosi nello stesso paziente e tanto più frequente è nell’ambito di un sistema diagnostico tanto più è bassa la validità di questo sistema. Quando ci troviamo di fronte a un paziente che ha due diagnosi, cioè per esempio ha una depressione maggiore e un disturbo post traumatico da stress, non diciamo nulla sui rapporti esistenti tra queste due diverse diagnosi (se una dipende dall’altra, se sono in relazione entrambe con lo stesso fattore etc.). Per spiegare il concetto di comorbidità è importante considerare tre punti: 1) Più della metà dei pazienti psichiatrici ha più di due diagnosi; 2) La presenza di specifiche comorbidità influenza la risposta al trattamento e lo rende più difficile; 3) La comorbidità tra i pazienti che chiedono un trattamento non è la stessa della popolazione generale. Per esempio esistono molte persone che hanno tutti i criteri diagnostici per il disturbo depressivo maggiore, ma che non hanno mai chiesto un aiuto medico o psicologico per questo problema. Ciò significa che la presenza di più diagnosi induce più facilmente il paziente a chiedere un trattamento. Se un soggetto ha un disturbo ossessivo-convulsivo e anche una depressione maggiore è più facile che chieda aiuto rispetto a un soggetto che ha solo uno dei due. Questo è il cosiddetto “bias di Berkson” (più alto è il numero delle diagnosi in uno stesso paziente, più alta è la probabilità che questi chieda un trattamento poiché la sofferenza soggettiva in questo paziente sarà proporzionata ai propri disturbi). L’alta frequenza di comorbidità può essere spiegata dal fatto che il disturbo psichiatrico può influire direttamente sull’insorgenza di un altro disturbo, può condizionarlo in modo diretto oppure due disturbi presenti contemporaneamente possono avere delle cause comuni. Alcuni esempi sono: attacchi di panico come conseguenza dell’ agorafobia ( il panico è secondario a un altro disturbo); oppure il panico può derivare dall’uso di 16 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica cocaina; la depressione può essere secondaria alla perdita di peso o viceversa; i disturbi depressivo-ansiosi possono essere causati da disturbi d’ ansia cronici. Ci sono poi delle situazioni in cui la presenza di un determinato disturbo aumenta indirettamente il rischio che ne insorga un altro; per esempio un soggetto depresso per cercare di uscire da questa situazione può abusare di alcol o altre sostanze. INTERVISTA PSICH IATR ICA Un’ intervista psichiatrica per essere attendibile e affidabile deve valutare: - la presenza/assenza di una diagnosi psichiatrica e quindi esplorare accuratamente la presenza di segni e di sintomi - il profilo psicologico della persona - i bisogni e il motivo per cui la persona si presenta all’osservazione - il rapporto di questa persona con l’ambiente - le motivazioni che il soggetto può avere per un trattamento in quanto molto spesso la terapia psichiatrica richiede un alto livello di collaborazione da parte del paziente e quindi un alto livello di motivazione. Di contro molto spesso la patologia psichiatrica compromette la capacità di collaborazione del paziente. Esistono molte diagnosi psichiatriche che includono in sé, per esempio, il criterio della scarsa consapevolezza di malattia il che comporta inevitabilmente una scarsa collaborazione da parte del paziente che non riconosce nemmeno di avere la malattia e quindi il bisogno di essere curato. - il supporto da parte dell’ambiente come dicevamo prima riferendoci agli assi del DSM IV - le circostanze che hanno indotto il paziente all’osservazione - precedenti trattamenti - aspettative - condizioni mediche concomitanti in quanto abbiamo visto prima che in parte molti aspetti dell’anamnesi psichiatrica sono simili a quelli dell’ anamnesi medica. Colloquio in psichiatria Le caratteristiche del colloquio che si ha con il paziente devono essere quelle di attenzione ed empatia; deve esserci il rispetto (molti pazienti hanno dei comportamenti 17 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica abbastanza strani, il che però non deve indurci ad allontanare il paziente da un punto di vista empatico) e ovviamente un certo grado di competenza da parte dell’osservatore. Tornando al concetto dell’intervista psichiatrica, abbiamo già detto che può essere condotta seguendo due modalità (direttiva o non direttiva) ognuna delle quali presenta vantaggi e svantaggi. Per esempio un’intervista di tipo direttivo ci dà la certezza di aver fatto tutte le domande necessarie per produrre una diagnosi; molto spesso però, proprio a causa delle caratteristiche della psicopatologia di un soggetto, il fatto di fare troppe domande può rendere il paziente più inibito, non collaborante e portarlo a rispondere solo con un sì o un no dandoci poche informazioni sulla sua vita sociale, i suoi disagi, le sue sofferenze etc. Quindi se da un lato con questo tipo di intervista si guadagna nel rigore della sequenza delle domande, dall’altro si perde molto in spontaneità, cioè possono venir meno alcuni aspetti del profilo psicologico del paziente che pur non essendo veri e propri sintomi possono condizionare i sintomi stessi. Per ovviare a questo problema molto spesso in ambito clinico, ma soprattutto psichiatrico, vengono utilizzati entrambi i tipi di intervista. Consideriamo per esempio i pazienti che hanno un disturbo di tipo alimentare. Sono pazienti su cui noi concentriamo la maggior parte delle nostre ricerche pertanto abbiamo bisogno di una diagnosi altamente affidabile e attendibile che otteniamo solo attraverso un’intervista di tipo direttivo. Questa infatti ci permette di evidenziare dei sintomi che spesso il paziente non riferisce spontaneamente. Per esempio una paziente con bulimia nervosa non sempre riferisce spontaneamente di vomitare più volte la settimana. Per questo motivo devo formulare la domanda specifica ed essere sicuro che sia un sì o un no per poter utilizzare questi sintomi per stendere un profilo prognostico e fare una diagnosi. Quando ci troviamo di fronte a questo tipo di pazienti, la prima parte del colloquio è non direttiva, mentre nella seconda parte dell’intervista si pongono tutte le domande che sono indispensabili per poter accertare la presenza/assenza di quel particolare problema diagnostico (intervista direttiva). Le principali interviste strutturate utilizzate nell’ambito clinico e della ricerca sono: • SCID (Structured Clinical Interview for DSM IV) che produce una diagnosi per il DSM IV. • PSE (Present State Examination) che produce diagnosi per ICD 9 e ICD 10. • DIS produce anch’essa diagnosi per il DSM IV, ma può essere fatta anche da persone che non sono laureate in medicina o in psicologia e che hanno tutto sommato una competenza psichiatrica piuttosto scarsa. Questo succede soprattutto quando si fanno degli studi su una popolazione molto estesa (per es. 18 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica studi epidemiologici); gli intervistatori in questo caso devono essere numerosi e possono non essere tutti laureati. Sono state quindi elaborate delle interviste diagnostiche molto specifiche che non richiedono una particolare competenza medica. • SADS (Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia) • EDE (Eating Disorders Examination) TEST M ENTALI Per la valutazione del paziente psichiatrico vengono fatti un’anamnesi psichiatrica e un esame psichico con lo scopo di valutare alcune caratteristiche così come l’E.O valuta certi sintomi in medicina interna; ci sono poi tutta una serie di test mentali che vengono utilizzati per scopi diversi. Sono dei questionari e possono valutare: a) Il livello intellettivo b) La personalità c) La presenza e l’entità di un disturbo psichiatrico (per es. se c’è una forma depressiva e di che grado è). Questi test possono essere eterosomministrati cioè proposti dall’esaminatore, oppure autosomministrati cioè compilati direttamente dal paziente. Studente: “Come posso essere sicura che il paziente risponda sinceramente alle mie domande nel corso dell’intervista?” Docente: “Quando si hanno dei dubbi sull’attendibilità del paziente, si può condurre una parte dell’anamnesi con i familiari e la competenza dello psichiatra dovrebbe essere sufficiente per individuare questo rischio”. ESAM E PSICHICO Quando si fa un’ anamnesi psichiatrica si accerta una storia clinica (anche da un p.d.v temporale) cioè si esamina l’evoluzione nel tempo dei sintomi che si osservano al momento dell’incontro (a partire dall’infanzia, dal passato seguendone poi l’evoluzione nel tempo. Si insiste molto su quelle che sono state le prime manifestazioni del disturbo). L’esame psichico viene spesso fatto contestualmente all’intervista psichiatrica ed è l’equivalente dell’E.O in medicina interna. 19 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica SECONDA PARTE DELLA LEZIONE Dott.ssa Angela Favaro L’esame psichico è un’analisi che ha lo scopo di venire il più possibile a conoscenza di quello che è lo stato psicologico della persona, il suo benessere o malessere psicologico. Comprende diversi aspetti, alcuni più facili da indagare, altri meno; sono comunque i fattori che ci permettono di fare una valutazione psichiatrica dal momento che in psichiatria non ci sono esami di laboratorio, tranne rare eccezioni che comunque non sono mai diagnostiche. E’ fondamentale capire la persona che abbiamo di fronte anche se i sintomi possono non essere in un primo momento così evidenti. Analizziamo quindi uno alla volta gli aspetti dell’esame psichico. Esso indaga: Lo stato di coscienza, quindi insieme a questo l’orientamento nel tempo e nello spazio. E’ l’aspetto più importante che deve sempre precedere qualsiasi altra fase dell’esame psichico, dato che la coscienza ci permette prima di tutto di distinguere le patologie psichiatriche organiche da quelle che non lo sono. Il comportamento (apatia, agitazione, inibizione). Affettività, tono dell’umore, ansia. L’alterazioni della forma e del contenuto del pensiero; alterazioni percettive. La capacità di giudizio, di critica e di fare un esame della realtà. Memoria, attenzione e capacità di concentrazione. Altri aspetti non primari, ma secondari nell’esame psichico e più legati al lato esteriore sono: L’aspetto, cioè cosa ci trasmette della persona (è una persona curata? E’ sorridente?) La pulizia personale L’abbigliamento (è curato? E’ congruo al clima?) L’attività motoria Il linguaggio (anche non verbale) Mimica Atteggiamento nei confronti del medico 20 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica Analizziamo più in dettaglio questi aspetti, iniziando dalla coscienza. Coscienza Si può definire come lo stato di consapevolezza di una persona, cioè quanto una persona è consapevole di ciò che accade intorno a sé, del tempo e dello spazio in cui si trova e vive. Una delle prime valutazioni che si fa è infatti quella di capire quanto un paziente è vigile, lucida, sveglia e capace di orientarsi nello spazio. I disturbi della coscienza possono essere suddivisi in: o disturbi della coscienza veri e propri o disturbi dell’attenzione, cioè la capacità di focalizzare la propria attenzione su un determinato argomento. o disturbi da suggestionabilità. Di solito i disturbi della coscienza sono associati a patologie organiche. I disturbi della coscienza veri e propri possono essere di due tipi: da un lato ci può essere una riduzione “quantitativa” dello stato di coscienza, che va dall’ fino alla fase più estrema che è l’obnubilamento fino al vero e proprio coma. L’obnubilamento che è una situazione in cui la persona riesce a percepire poco dell’ambiente circostante, non capisce di essere in ospedale, di avere di fronte un interlocutore, non è consapevole di cosa sta facendo (per esempio alla domanda “dove ti trovi in questo momento?” può rispondere “in una nave” anziché “in ospedale”). In genere i pazienti con uno stato di coscienza così alterato sono ricoverati. Una via di mezzo è lo stato stuporoso che è una parziale vigilanza in cui però non c’è nessun tipo di reazione all’ambiente. Può precedere lo stato di coma. Più interessante dal p.d.v psichiatrico è il restringimento dello stato di coscienza o quello che viene definito anche stato crepuscolare. Questo è uno stato di vigilanza in cui però a consapevolezza è ristretta a determinati aspetti, a volte anche a pochissimi. Sono esempi lo stato di trance, il sonnambulismo o le fughe dissociative (in queste ultime forme la persona ha una completa amnesia della sua vita passata ritrovandosi quindi in una realtà e in un contesto di cui non ha consapevolezza). Oltre a questi due aspetti, possiamo avere anche una disorganizzazione della coscienza che è tipica degli stati onirici, stati crepuscolari o simil-crepuscolare in cui c’è 21 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica anche un disorientamento vero e proprio. Per esempio una persona che ha un sonnambulismo non è completamente disorientata e sa dove dirigersi, mentre nello stato onirico il soggetto ha sia delle dispercezioni, cioè delle alterazioni come allucinazioni, sia è disorientato quindi in uno stato di maggiore confusione. Infine c’è il delirium, cioè uno stato organico di confusione caratterizzato da un’alterazione dello stato di coscienza caratterizzato e da disorientamento. Infine ci sono delle alterazioni della coscienza dell’io che vedrete quando farete i disturbi dissociativi. I sintomi classicamente dissociativi sono due: 1) la depersonalizzazione e 2) la derealizzazione; la prima si ha quando una persona vive il proprio io in modo distaccato, come se si guardasse dall’esterno, come se vedesse un film senza sentirsi all’interno della propria persona. E’ una sensazione molto spiacevole che può capitare per esempio dopo un trauma molto grave (soprattutto nei bambini) o che può portare ad altri disturbi psichiatrici come la depressione. Di solito la depersonalizzazione dura qualche tempo poi si risolve, ma in alcuni casi può durare più a lungo. Non tutti però di fronte a un trauma grave andranno incontro a una depersonalizzazione; dipenderà da fattori genetici, dal tipo di personalità, dai traumi subiti precedentemente etc. Diventa però una forma patologica nel momento in cui si parla di “status mentis” cioè un disturbo che ci condiziona a tal punto da diventare un ostacolo per la nostra vita. Questo vale per tutti i disturbi psichiatrici, per esempio anche per la depressione. La derealizzazione è un concetto simile, ma il soggetto non ha la sensazione di vivere al di fuori di sé, bensì di aver perso il contatto con la realtà esterna, cioè che la realtà sia il “film” e il soggetto consapevole di sé ne sia lo spettatore. Tra i disturbi che possono avere anche un’origine organica ci sono i disturbi dell’attenzione. L’attenzione può essere definita come la quantità di sforzo che noi riusciamo a esercitare per concentrarci su un determinato argomento. I disturbi dell’attenzione sono un’alta distraibilità, una disattenzione selettiva che può esserci per alcuni disturbi d’ ansia come per es. il disturbo post traumatico. Disattenzione selettiva significa che non si riesce a concentrarsi su un determinato tipo di cosa che sappiamo ci angoscia o ci fa soffrire o che per qualche motivo non riusciamo ad affrontare. Può esserci infine una ipervigilanza cioè una esagerata attenzione per determinati stimoli. Questo è tipico dei pazienti deliranti che tendono a interpretare tutto quello che succede nella realtà esterna in un determinato modo e quindi sono ipervigili su tutto quello che succede attorno a loro. Infine anche la trance può essere considerata un disturbo dell’attenzione. Essa è una attenzione focalizzata su quelle che sono le alterazioni della coscienza , le alterazioni di tutto quello che riguarda l’extra. Infine i disturbi della suggestionabilità. Il classico è la 22 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica folie à deux (o à trois) cioè la trasmissione o la suggestione di un disturbo emotivo. A volte si trovano casi di disturbi molto gravi come può essere la schizofrenia o a volte ci sono stati casi di anoressia nervosa in cui vivere con una persona che ha questo disturbo e che ha su di noi un certo ascendente psicologico fa si che anche l’altra persona si ammali. Quindi al di là della genetica, della trasmissione, della vulnerabilità c’è qualcosa che a livello di suggestione fa sì che anche la persona che è vicina si ammali. Infine il disturbo da “suggestionabilità” lo stato di ipnosi, che è un esempio di come agisce la suggestionabilità. Si tratta di una modificazione artificiale della coscienza che può essere usato a scopo terapeutico. Studente: “E’ possibile che la televisione o un film, horror etc, possano suggestionare una persona?” Docente: “ Bisogna distinguere la suggestione, che è un qualcosa che passa attraverso la coscienza, da quella che è l’imitazione che è più caratteristica degli adolescenti che tendono ad imitare alcuni aspetti degli adulti, della TV per trovare la loro identità. In questa fase della vita e della crescita c’è bisogno di provare diversi modelli per poi trovare il proprio. La suggestione è qualcosa che va più in là. Nei bambini è diverso perché spesso non distinguono la realtà dalla finzione, quindi la televisione da quella che è la vita reale o addirittura un sogno/incubo dalla realtà. Nei bambini in effetti ci può essere una suggestionabilità maggiore. Anche noi adulti, per es. nella fase di addormentamento, siamo più suggestionabili, infatti è facile sognare alcune delle cose che ci vengono dette in quel particolare momento del sonno perché siamo più suggestionabili in quella fase. Anche delle situazioni psicologiche particolari, come un lutto, un trauma etc, possono renderci più fragili e quindi più suggestionabili, ma in condizioni normali non siamo così suggestionabili, bensì ci deve essere qualcosa che ci rende tali (lo stato di ipnosi, o un particolare caso della nostra vita) 23 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica Studente: ”Quando ci troviamo di fronte a delitti passionali, omicidi, suicidi, i cosiddetti raptus di follia, spesso facciamo riferimento all’influenza negativa dei mass media, dato che molte volte questi avvenimenti seguono schemi proposti continuamente dai film, dalla televisione etc. In questo caso si parla di suggestionabilità o di imitazione?” Docente: ”Quello dell’effetto dei mass media su questi episodi di omicidio/suicidio è un caso un po’ particolare e bisognerebbe considerare caso per caso. Sicuramente una persona che sta premeditando una cosa del genere e vede che succede a un altro ha in qualche modo uno stimolo in più a pensare di poterci riuscire perché trova un “modello” da seguire. Di fatto però questa persona si trova già in uno stato gravemente alterata dal punto di vista psicologico. Em ozioni Comprende tutta quella serie di sentimenti che ha sia una componente psicologica che somatica comportamentali Molti di noi esprimono anche somaticamente alcune emozioni come l’ansia, la tensione, la paura etc. (c’è che risente della tensione da esame a livello dello stomaco, chi della testa etc.). 1. Affettività L’affettività è il modo in cui noi esprimiamo le nostre emozioni. Questa può essere: appropriata alle situazioni, (di fronte a una cosa triste ci sentiamo tristi, di fronte a una cosa bella siamo contenti)ovvero c’è armonia tra quello che sentiamo e il modo in cui lo esprimiamo con le parole, con la mimica etc. Parliamo invece di disturbi dell’affettività quando essa è: inappropriata (una persona ride di fronte a un evento triste, oppure ci sono persone che a parole esprimono la tristezza, ma il loro atteggiamento è incoerente perché mentre dicono queste cose tristi ridono!). coartata (riduzione dell’intensità del tono dei sentimenti, è come se la persona non sentisse l’intensità delle proprie emozioni, come se fossero tutte represse. Questo succede per es. nei casi di depressione). appiattita (la totale indifferenza nei confronti dell’affettività). 24 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica labile (cioè estremamente dipendente da quello che succede all’esterno. Un soggetto può essere felice perché ha incontrato per strada un amico, un minuto dopo piange per una cosa banalissima, non necessariamente correlati a stimoli esterni. Una persona cambia rapidamente d’umore sia in assenza di stimoli o di fronte a stimoli minimi). 2. Umore E’ lo stato emotivo che pervade il nostro essere, quello più generalizzato e che di solito è persistente che viene sia vissuto dal soggetto che osservato dagli altri. Alterazioni dell’umore sono sia la depressione, sia un’ipertimia (euforia) che rappresentano le condizioni limite dell’umore. Elenchiamo quindi vari tipi di alterazione dell’umore: Depressione, cioè l’abbassamento dell’umore. Disforia che è uno stato in genere depressivo, ma caratterizzato anche da instabilità e/o irritabilità. Ipertimia (innalzamento del tono dell’umore, euforia, esaltazione) Anedonia cioè l’assenza di piacere per le cose che di solito ci piace fare. Alessitimia è l’incapacità di comunicare le proprie alterazioni dell’umore. Si diceva una volta dei pazienti psico-somatici, cioè di coloro che esprimono somaticamente i loro sintomi psichici che erano alessitimici in quanto a parole sembravano non avere problemi, mentre somaticamente manifestavano il disturbo psichico. 3. Altre Emozioni Ci sono infine altri tipi di emozioni: - Ansia L’ansia è per certi aspetti fisiologica perché è qualcosa che ci prepara al pericolo o alla novità. E’ normale essere ansiosi prima di un esame , di una prova importante, o prima di conoscere una persona nuova; anzi normalmente un certo stato di ansia aumenta la nostra performance e ci rende più vigili, più attenti e più pronti. Ovviamente l’eccesso di ansia ha l’effetto contrario. L’ansia può essere: 25 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica Ansia libera quando si manifesta in assenza di un evento scatenante (non c’è l’esame, ma la persona si sveglia sentendosi ansiosa e senza trovare una spiegazione). Questa è in genere la caratteristica principale dei disturbi d’ansia, cioè una paura generalizzata senza oggetto. Paura è l’ansia causata da un pericolo o un problema reale. Agitazione cioè ansia con irrequietezza motoria. Panico è una crisi d’ansia molto acuta, che di solito insorge nell’arco di 10 minuti. E’ accompagnata anche da sintomi somatici oltre che da aspetti come la depersonalizzazione. E’ un’ansia fortissima, la persona è convinta di essere sul punto di morire. Fobia cioè la paura di un oggetto in cui vengono simbolizzate delle nostre paure. Le classiche sono la fobia dei ragni, degli uccelli etc. La fobia va al di là del pericolo effettivo che la cosa potrebbe comportare. Una persona fobica vede un piccolo ragno o un serpente in una teca di un museo e ha una crisi di panico! Questa è una fobia e la sua origine è difficilmente identificabile, si trova nel nostro inconscio. Studente: “C’è un criterio per distinguere quella che può essere una crisi d’ansia, da una fobia e da un attacco di panico?” Docente: “Di solito l’attacco di panico avviene improvvisamente e senza un motivo scatenante; la crisi d’ansia che si può avere di fronte a un oggetto fobico e che in alcuni casi può diventare panico è una fobia. Studente: “Abbiamo detto prima che la fobia è sempre associata a un problema che inconsciamente abbiamo; ma se per esempio io ho la fobia degli uccelli e come me anche un’altra persona, il problema “interiore” sarà lo stesso?” Docente: “No, è sempre diverso. In genere per quanto riguarda le fobie è sempre valida la teoria psicoanalitica classica di Freud in cui la fobia è un disturbo che insorge solitamente nel corso dell’infanzia, non nell’adulto. I bambini di fronte a determinati conflitti relativi al rapporto con i genitori, la sessualità etc. focalizzano le loro angosce e le spostano anziché sull’oggetto amato (la mamma o il papà per es.) su un altro oggetto che viene investito di tutta una serie di significati diversi e diventa motivo di angoscia. E’ un meccanismo di difesa grazie al quale il bambino concentra le sue angosce solo su un particolare oggetto circoscrivendo le sue paure, ma investendo quell’oggetto di un significato diverso e angoscioso. 26 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica Studente: “Può essere che una fobia subentri anche dopo l’infanzia o se si manifesta in età adulta significa che non è una fobia?” Docente: “Le fobie classiche sono quelle che insorgono nell’infanzia e vengono definite semplici; talvolta permangono nella vita adulta, altre volte invece spariscono con il tempo o subiscono dei cambiamenti. Ci sono poi delle fobie cosiddette sociali legate a particolari situazioni che esordiscono in genere nell’adolescenza.” - Apatia Appiattimento del tono affettivo e indifferenza. Questo disturbo è tipico dei disturbi psicotici. - Ambivalenza Coesistenza di impulsi opposti. Anche questo tipo di emozione fino a un certo limite è “fisiologica” cioè è normale essere un po’ aggressivi e affettuosi nei confronti di una stessa persona, mentre un’ambivalenza estrema può essere considerata patologica. - Abreazione E’ quella scarica emotiva che si ha quando si ricorda un evento particolare che si era cercato di rimuovere - Vergogna, Colpa, Noia, Invidia, Fatuità Sono tutte emozioni che sono normali fintanto che non diventano un ostacolo per la nostra vita e il nostro benessere. Per fatuità si intende esattamente l’incapacità di andare a fondo nelle cose e di provare emozioni per cose importanti. Anche questa può essere una forma di difesa in qualche modo e quindi nascondere un disturbo. 4. Disturbi somatici legati all’umore Sempre alla sfera delle emozioni appartengono i disturbi fisiologici legati all’umore, quali: Anoressia (perdita o riduzione dell’appetito) Iperfagia (aumento dell’appetito) In genere di fronte a un calo del tono dell’umore è più facile che i maschi rispondano con un calo dell’ appetito e le donne con un aumento, ma non è una regola fissa. Anche in risposta all’ansia ci può essere un’alterazione dell’appetito. 27 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica Insonnia Ipersonnia Variazioni diurne del tono dell’umore Riduzione della libido, cala il desiderio sessuale. Motilità del tratto GI con stipsi o altro. Com portam ento m otorio Un altro aspetto importante da prendere in considerazione durante l’esame psichico è il comportamento motorio. Esso comprende gli impulsi, le motivazioni, i desideri e gli istinti espressi dal comportamento o dall’attività motoria del soggetto. Dall’attività motoria possiamo osservare e capire diverse cose, per esempio la tendenza all’impulsività di un soggetto, capire quali sono i suoi desideri, i suoi istinti, le sue motivazioni, ovviamente basandoci su quello che vediamo in quel momento, ma anche su quella che è la vita passata del soggetto e che ci verrà raccontato, sul suo comportamento con le altre persone, sul suo autocontrollo etc. Sono disturbi del comportamento motorio: Rallentamento e arresto psicomotorio cosa che accade spesso nei soggetti depressi o in altre psicopatologie. Una persona gravemente depressa è una persona anche rallentata. Ipereattività che è il contrario del precedente (per esempio nei casi gravi di anoressia nervosa) e può portare anche allo stato di agitazione. A questo disturbo possono associarsi dei tic o accentuarsi. Abulia è un ridotto impulso ad agire e pensare spesso associato a indifferenza e quindi all’apatia. Impulsività: una persona compie un’azione senza premeditarla o pensarla. Una persona molto impulsiva si trova ad avere dei comportamenti che non riesce a controllare. Esempi classici di impulsività sono la crisi bulimica, la cleptomania o la tricotillomania, cioè lo strapparsi i capelli. Una persona si rende conto di ciò che ha fatto solo ad azione conclusa. Aggressività: una persona che è impulsiva può essere anche aggressiva proprio perché non è in grado di controllare le proprie azioni. Può diventare aggressivo nei confronti degli altri o di se stesso (strapparsi i capelli). 28 Lezione 03 – 10/03/2004 Nosografia Psichiatrica Compulsioni, comportamenti che si attuano in genere in risposta a un’ossessione. L’ossessione si ha quando un soggetto ha un pensiero dominante che non vorrebbe avere e che però lo perseguita. La classica ossessione è la paura di aver lasciato acceso il gas, o l’ossessione dell’ordine, della pulizia. (Anche dopo aver controllato più volte il gas, il soggetto può essere ancora ossessionato dal timore di non averlo spento e se non torna a controllare sta male!) Catatonia: è un sintomo tipico della schizofrenia grave, fortunatamente adesso meno frequente. E’ un comportamento estremo che può andare dalla rigidità catatonica, cioè assoluta e non legata a fattori organici, fino all’eccitamento catatonico. La prima è caratterizzato dalla cosiddetta flessibilità cerea, cioè se al soggetto viene sollevato un braccio questo rimane in quella posizione. Il secondo si manifesta con una serie di movimenti senza nessun fine, completamente disorganizzati. E’ più comune la rigidità. Stereotipia: è la ripetizione continua di un movimento (il paziente ripetutamente si toglie gli occhiali, si mette il cappello, si mette gli occhiali, si toglie il cappello etc.) Manierismo: è anche questo un movimento ripetuto più volte, però di solito più artificioso e stravagante. Automatismo: esecuzione automatica di un movimento in seguito a un determinato stimolo. Tutti questi sono disturbi tipici della schizofrenia istituzionalizzata, ovvero si riscontravano più spesso quando c’erano i cosiddetti manicomi, oggi si vedono solo in rari casi. Ecoprassia, cioè l’imitazione patologica dei movimenti altrui. Negativismo che può presentarsi anche in alcune forme di depressione, una passività e resistenza completa alle sollecitazioni. Disturbi dell’eloquio (mutismo, ecolalia (= tu mi chiedi “Che cos’è questo?” e io ti rispondo “Che cos’è questo?), bradilalia (= rallentamento dell’eloquio). Disturbi della mimica soprattutto riferiti a espressioni del volto. 29 Lezione 04 – 15/03/2004 Nosografia Psichiatrica Mariangela Marangon ESAME PSICHICO DISTURBI DEL PENSIERO I disturbi del pensiero vanno distinti in 2 gruppi:disturbi della FORMA e disturbi del CONTENUTO. DISTURBI DELLA FORMA 1. Accelerazione del pensiero(fuga o affollamento delle idee) 2. Rallentamento del pensiero 3. Pensiero circostanziato 4. [...] perseverante” 5. [...] confuso o incoerente e caratterizzato da fenomeni di confusione o condensazione ; tangenzialità ,illogicità , blocco del pensiero,neologismi , assonanza. 6.Pensiero concreto 7.Pensiero povero 8.[...] dominante o fisso 9.[...] bizzarro 1. Il pensiero accelerato è tipico degli stati maniacali , anche parlando dei disturbi del tono dell’umore avevamo accennato all’innalzamento del tono come stato di euforia tipico dello stato maniacale . In questi pz si può presentare un pensiero così accelerato da dare la sensazione che scappi ( fuga delle idee ) . Altro fenomeno è l’affollamento delle idee , in questo caso si crea una sorta di intasamento per cui i pz tendono a spezzare le frasi o mettono insieme pezzi di frasi diverse perché il pensiero corre troppo veloce , ma loro non si sentono confusi . 2. Il pensiero può essere rallentato nella depressione . 3. Il pensiero è circostanziato quando continua a girare intorno a dettagli e non riesce a smuoversi da un contesto . 4. Il pensiero perseverante è un pensiero stereotipato che continua ad essere presente nonostante le critiche fatte al pz. 5. Il pensiero confuso o incoerente è tipico del pz con delirium , cioè uno stato di confusione mentale supportato da patologie organiche . Può essere un pensiero così incoerente da sfociare nella creazione di neologismi o in fenomeni di condensazione ovvero esprimere tutto il pensiero con una parola , può verificarsi anche l’assonanza , per es. il pz dice una parola che inizia con “s” e fa seguire tutte parole che iniziano con s . 30 Lezione 04 – 15/03/2004 Nosografia Psichiatrica 6. Il pensiero concreto non prevede capacità di astrazione , di generalizzazione o l’uso di simbolismi. 7. Il pensiero eccessivamente povero . 8. Il pensiero dominante o fisso ha 2 tipologie: IDEA PREVALENTE: è un pensiero che il pz vive in sintonia con il proprio io (egosintonica). Qui si stanziano la gelosia patologica e l’ipocondriacioè c’è un contenuto affettivo in cui si crede. IDEA OSSESSIVA: è vissuta come qualcosa che non appartiene, che non si vorrebbe avere. E’ qualcosa che dà ansia al pz (egodistonica) fino a che il sogg. fa qualcosa per fermare questa ansia. Es.: nell’idea della contaminazione il pz. Sta bene dopo che si è lavato le mani dieci volte. L’idea è vissuta come qualcosa di estraneo, ma che va assecondato. Es2.: altra ossessione può essere quella di aver lasciato il gas acceso. Es3.: ossessione fobica. Evitare un particolare luogo o situazione A tutte queste ossesioni: ideative Dubitative Fobiche Impulsive Il pz deve rispondere con una compulsione (controllare il gas 10 volte, lavarsi le mani dieci volte). 9. Pensiero bizzarro: non coerente con la realtà. DISTURBI DEL CONTENUTO Delirio: aspetto sintomatologico molto importante caratteristico delle diagnosi psicotiche. E’ un giudizio errato della realtà, immodificabile anche di fronte all’evidenza dei fatti e a tentativi di convincimento. Il delirio può avere diverse caratteristiche qualitative: • Delirio lucido: molto coerente. Difficile da distinguere da un fatto vero. Es. pz dice di essere perseguitato e lo dimostra seguendo un filo logico. I fatti non sono del tutto inventati ma mal interpretati. I pz possono essere creduti da avvocati o polizia cui si rivolgono. • Delirio bizzarro: o Es1: pz dice di essere figlio del re d’Inghilterra ma nessuno gli crede. o Es2.: pz non vuole togliersi il cappello altrimenti il cervello scappa 31 Lezione 04 – 15/03/2004 o • Es3 : pz pensa di essere controllato da telecamere poste in casa sua. Delirio confuso: tipico delle patologie organiche. o • Nosografia Psichiatrica Es: pz appena operato sostiene che gli infermieri lo torturano. Delirio congruo/incongruo al tono dell’umore: riguarda soprattutto il delirio che troviamo nei disturbi dell’umore. o Es: pz depresso ha delirio congruo se associato a senso di colpa. Il delirio incongruo col tono dell’umore è segno di maggiore gravità. o • Es2: delirio è congruo se in pz in fase maniacale è megalomanico. Delirio acuto o cronico: acuto quando è breve(disturbo psicotico breve) e recede anche spontaneamente. Cronico quando nonostante le terapie non scompare. Contenuti del delirio: • Persecuzione: ( nella schizofrenia è accompagnato da: furto del pensiero, in altre parole l’idea che qualcuno possa rubare le idee; inserzione nel pensiero, in pratica l’idea che qualcuno possa obbligare a pensare determinate cose; diffusione del pensiero, ovvero l’idea di non avere protezione e che il pensiero si liberi nell’ambiente; telepatia cioè l’idea di poter leggere nel pensiero). Il delirio persecutorio è di riferimento quando una persona interpreta come riferiti a se stesso gli eventi che gli succedono. Es1: se due colleghi parlano stanno sparlando di lui. Es2: se alla TV parlano di diabete, allora ha il diabete. Può essere di veneficio: pz ricoverati perché non mangiano poiché pensano di essere avvelenati. Può essere di rivendicazione: pz non si sente mai riconosciuti i meriti • Passionale o di gelosia • Contaminazione/infestazione: idea di essere infettati o infestati. • Depressivo: senso di colpa, rovina, indegnità. • Somatico: es. non togliere cappello se no cervello scappa o ipocondria. • Grandezza: o Megalomanico (faccio affari con Berlusconi) o Genealogico (sono figlio di Berlusconi) o Inventorio (pz pensa che rubino le sue idee per trovare nuove soluzioni o per il cancro). • Erotomanico: convinzione del pz che qualcuno sia innamorato di lui. • Mistico: a carattere religioso. o Es: essere un profeta. 32 Lezione 04 – 15/03/2004 • Nosografia Psichiatrica Di riconoscimento Domanda: quali sono le cause del delirio Risposta: nel delirio è coinvolto l’ippocampo ed esiste un calo della dopamina. Ci sono due teorie, che ci sia un difetto nello sviluppo del cervello o un danno successivo. C’è una base organica, ma questa non è sufficiente a spiegarlo. Il delirio può anche essere una forma di difesa contro qualcosa di peggiore, quindi non bisogna accanirsi contro questo sintomo quando non interferisce significativamente con la vita del pz (delirio fantastico). Ovviamente se c’è delirio persecutorio o pz sente voci che comandano di uccidere bisogna intervenire. DISTURBI DELLA PERCEZIONE 1. Distorsioni percettive: alterazioni quantitative o qualitative della percezione. 2. Falsificazioni percettive. • Illusione: percezione alterata di uno stimolo esistente, es. vedere un’ombra a forma di cuore ove ci sia un’ombra tonda. • Allucinazione: percezione alterata non in relazione ad uno stimolo esistente(vedere l’ombra dove non c’è). i. Visive ii. Uditive (il pz sente la propria voce, il pz sente una voce che dialoga con lui, il pz sente una voce che ripete le sue parole”eco del pensiero”, il pz sente una voce che commenta o critica) iii. Olfattive o gustative. iv. Somatiche (tattili,termiche,viscerali) • Allucinasi: vedere qualcosa che non c’è ma essere consapevoli. Da alcool o sostanze come anticolinergici . DISTURBI DELLA MEMORIA A. Amnesie: deficit della memoria 1. anterograda: per ricordi successivi ad un determinato evento 33 Lezione 04 – 15/03/2004 Nosografia Psichiatrica 2. retrograda: per ricordi precedenti ad un determinato evento B. Paramnesie: alterazioni della memoria 1. illusioni della memoria(deformazione del ricordo) 2. allucinazioni della memoria ( falso ricordo) 3. confabulazione: confusione tra sogno e realtà . si verifica nelle persone con demenza che si vergognano di non ricordare e inventano. DISTURBI DELLA VIGILANZA 1. Disturbi del sonno: a. Insonnie: presente in quasi tutte le patologie psichiatriche a. Primaria b. Secondaria a depressione/ansia i. Precoce: tipica della depressione. È la difficoltà ad addormentarsi. ii. Tardiva: tipica delle sindromi ansiose. Risvegli al mattino presto e incapacità di dormire ancora. iii. Generalizzata: non dormire mai. 2. Ipersonnia: tipica delle depressioni atipiche (secondaria), ma può essere anche primaria (non legata a disturbi psichiatrici). 3. Parasonnie: disturbi del sonno a. risvegli confusionali b. sonnambulismo c. pavor notturno: nella stessa fase del sonnambulismo(prima della fase R.E.M) è un risveglio terrorizzante. d. disturbo alimentare notturno: in fase di sonnambulismo il pz mangia e se ne rende conto quando si sveglia. e. incubi frequenti f. movimenti ritmici nel sonno e mioclono nell’addormentamento. g. sonniloquio: parlare nel sonno. h. bruxismo: digrignare i denti i. enuresi / encopresi: più nei bimbi 34 Lezione 04 – 15/03/2004 Nosografia Psichiatrica DISTURBI DELL’INTELLIGENZA 1. oligofrenia o insufficienza mentale: mancato sviluppo dell’intelligenza a. Vera b. Pseudoinsufficienza: legata ad un ambiente poco stimolante che impedisce o rallenta lo sviluppo dell’intelligenza. i. ii. Gravissima QI sotto i 25 Grave QI tra 25/35 iii. Media QI 35/50 iv. Lieve QI 50/75 2. demenza: perdita dell’intelligenza i. ii. iii. primaria secondari a patologia medica pseudodemenza depressiva(depressione che mima una demenza). iv. pseudodemenza schizofrenica( dopo le terapie permane una demenza residuale) 35 Lezione 04 – 15/03/2004 Disturbi mentali organici: Delirium e Demenze DISTURBI MENTALI ORGANICI: DELIRIUM E DEMENZE I disturbi mentali organici sono: delirium e demenze DELIRIUM Delirium: principale sua caratteristica è la compromissione dello stato di coscienza con deficit delle funzioni cognitive. Sintomi psichiatrici : 1. alterazione dell’umore 2. alterazione della personalità 3. alterazioni comportamentali Sintomi neurologici : 1. temore 2. incoordinazione motoria 3. incontinenza urinaria Caratteristiche : o esordio improvviso o decorso breve e fluttuante nel tempo , cioè può avere livelli di gravità molto diversi a distanza di poche ore o rapido miglioramento dopo rimozione della noxa o cause neurologiche e non o spesso è misconosciuta , sottostimata . Di solito lo psichiatra è chiamato a consulenza nei reparti solo quando il pz porta scompiglio in corsia . Le forme lievi di confusione post-operatoria sono misconosciute. o complicanze legate allo stato confusionale.Es . cadute dal letto. Epidemiologia : coinvolge o 10-15% dei pz ricoverati in chirurgia o 15-25% dei pz in medicina generale o 30% pz in terapia intensiva o 50% pz in ortopedia o 30-40% pz ultra 65enni Il delirium è un fattore prognostico : 36 Lezione 04 – 15/03/2004 Disturbi mentali organici: Delirium e Demenze tasso di mortalità a 3 mesi è 1/3(50%in un anno). Fattori di rischio : età avanzata età infantile presenza di patologia cerebrale preesistente delirium pregresso diabete esotossicosi alcolica cancro compromissione sensoriale ( cecità o sordità) . Mette più a rischio il pz , perché ciò che aiuta un soggetto con delirium sono proprio le stimolazioni esterne denutrizione Eziologia : diminuzione di Ach nella formazione reticolare Cause neurologiche : o epilessia o malattie muscolari o traumi o neoplasie o infezioni o malattie cardiache ( aritmie ) o Encefalopatia metabolica o Malattie endocrine Cause sistemiche : Cause tossiche (uso o astinenza ) : o alcool o Farmaci anticolinergici (antidepressivi) o Antiparkinson o Antipertensivi ) o Salicilati N.B. Alla base del delirium c’è la diminuzione di Ach quindi nella terapia non dobbiamo usare farmaci anticolinergici. 37 Lezione 04 – 15/03/2004 Disturbi mentali organici: Delirium e Demenze Criteri diagnostici DMS-IV : 3 criteri fissi + 1 criterio eziologico-organico (da E.O. o anamnesi o es.laboratorio) 3 criteri fissi : - Alterazione di coscienza . Calo di lucidità . - Modificazioni cognitive .Calo di memoria o di orient.Spazio/tempo - Alterazione si sviluppa in poco tempo e tende a fluttuare Quindi nella classificazione del delirium DMS-IV i primi 3 criteri restano fissi e varia il criterio eziologico . Es. nell’intossicazione o nell’astinenza l’anamnesi e l’E.O ci saranno utili.Es 2 :nel delirium a eziologia multipla ci sono sia l’uso di sostanze che la condizione medica (più grave ),Es 3 ci sono delirium di cui non conosciamo la causa : non altrimenti specificato . Quadro clinico : 1. Obnubilamento dello stato di coscienza con incapacità di prestare attenzione. 2. Alterazione della vigilanza. Es.continou alternarsi sonno veglia o ritmo sonno- veglia alterato . 3. Disorientamento,soprattutto temporale.Pz non sa che anno è , che giorno è… 4. Alterazioni del linguaggio con divagazioni , incoerenza e incapacità di comprensione legata alla difficoltà di prestare attenzione e memorizzare . 5. Presenza di : ansia , agitazione , incubi , segni autonomici ( sudorazione , vomito , rossore e tachicardia ). 6. Alterazioni percettive ( allucinazioni) 7. Sintomi neurologici (incontinenza , tremore ) Trattamento : A. Identificazione e rimozione della causa sottostante . Nel post-operatorio è importante il sostegno fisico e sensoriale per evitare cadute o incidenti . Inoltre è fondamentale (nelle forme lievi anzi già risolutivo ) il mantenimento degli stimoli sensoriali grazie ad un familiare che tenga pz in contatto con la realtà . 38 Lezione 04 – 15/03/2004 Disturbi mentali organici: Delirium e Demenze Terapia farmacologia : 1. Aloperidolo ( neurolettico butirrofenone )2-10 mg IM per 2 :utile per controllare l’agitazione, ha una componente anticolinergica bassa . 2. Evitare farmaci anticolinergici . 3. Evitare barbiturici e benzodiazepine perché aumentano la confusione . 4. Se la causa è intossicazione da anticolinergici si somministra fisostigmina . 39 Lezione 05 – 22/03/2004 Disturbi mentali organici: delirium e demenze DEMENZE Demenza: Sindrome organica caratterizzata da compromissione delle funzioni cognitive senza alterazione dello stato di coscienza. Nel delirium c’è alterazione dello stato di coscienza. Principali funzioni cognitive compromesse: • intelligenza • Apprendimento • Memoria • Linguaggio • Orientamento • Attenzione Epidemiologia : - dopo 65 aa di età 5% pop. ha demenza grave - 15% ha demenza lieve - dopo 80 aa di età 20% pop. ha demenza grave Tipologie : - 50/60% demenze alzheimer - 15/30% demenza vascolare - 1/5% demenza da trauma cranico - da Parkinson - da M. di Pick - da AIDS - da M. di Huntington - da M “mucca pazza” - vista l’epidemiolgia ci si rende conto dell’alto costo sociale della demenza Eziologia demenza Alzheimer : la diagnosi si fa per esclusione di altre forme perché si può confermare solo su piano anatomo patologico. Fattori di rischio: 40 Lezione 05 – 22/03/2004 Disturbi mentali organici: delirium e demenze - essere donna - Storia familiare positiva per demenza - Anamnesi di trauma cranico L’eziologia è multifattoriale ma c’è una dimostrata e importante componente genetica. Alla TAC si presenta un’atrofia cerebrale parieto-temporale e postmortem il reperto classico è quello delle placche senili di amiloide. Il difetto genetico coinvolge il turnover della sostanza amiloide nei neuroni. A seconda del livello del turnover dove il difetto genico colpisce ci sono quadri di Alzheimer con gravità diversa. Ci sono due geni coinvolti: uno è il gene della proteina amiloide(cromosoma 21), se c’è una mutazione questa non è smaltita e quindi è accumulata. Questo è il caso dell’alzheimer senile. Talvolta sono colpiti geni per proteine coinvolte nello smaltimento dell’amiloide, se sono mutati questi geni si hanno forme di Alzheimer più gravi (Alzheimer precoce, verso i 40 anni). Sono state codificate 4-5 di queste mutazioni e danno forme molto gravi. La componente genetica da sola comunque non è sufficiente a dare Alzheimer. Non è ora disponibile un test genetico. Qual è la causa molecolare della demenza? • I neurotrasmettitori maggiormente coinvolti nell’eziopatogenesi dei deficit cognitivi caratteristici della demenza sono acetilcolina e noradrenalina(degenerazione dei neuroni colinergici del nucleus basalis di Meynert). • Inoltre nell’Alzheimer sono diminuiti somatostatina e corticotropina. Eziologia demenza vascolare o multinfartuale: Fattori di rischio: - essere maschi - ipertensione e patologie vascolari. Si tratta di una serie di piccoli infarti che colpiscono vasi di piccolo e medio calibro e portano a lesioni multiple parenchimali in tutto il cervello. All’esame istologico ci sono placche aterosclerotiche o trombo - emboli. E chiamata anche Encefalopatia sottocorticale aterosclerotica o M. di Biswanger. 41 Lezione 05 – 22/03/2004 Disturbi mentali organici: delirium e demenze Demenza di Pick: rappresenta il 5% delle demenze irreversibili(come tutte quelle viste fin qui). Caratterizzata da atrofia delle regioni fronto-temporali. All’esame istopatologico ci sono perdita neuronale e gliosi (aumento di cellule gliali: Corpi di Pick). L’eziologia non è nota. È più colpito il sesso maschile, esiste una difficile diagnosi differenziale con l’Alzheimer perché ci sono solo sfumature cliniche. DSM IV classificazioni demenze: 1. demenza Alzheimer 2. demenza vascolare 3. demenza dovuta ad altre condizioni mediche generali 4. demenza secondaria a sostanze DSM IV Demenza Alzheimer caratterizzata da: A. sviluppo di deficit della memoria + uno fra afasia,aprassia,agnosia. Afasia: non trovare la parola Agnosia: non ricordare a fare qualcosa a livello mentale(es. un calcolo) Aprassia: non ricordare come si fa una cosa che si fa abitualmente(lavarsi i denti) B. deficit deve causare compromissione del funzionamento sociale e lavorativo. C. Decorso caratterizzato da esordio insidioso e decorso progressivo. D. Dobbiamo escludere malattie del SNC E. escludere la presenza di delirium. F. Escludere depressione e schizofrenia Per la demenza vascolare e le altre demenze i primi due cruteri sono gli stessi ma cambia l’eziologia. Cause di disturbi mentali fra le condizioni mediche generali - Malattie degenerative di tipo neurologico - Epilessia(nel 50% dei casi dà problemi psichiatrici.) - Tumori cerebrali ((nel 50% dei casi dà problemi psichiatrici.) - Traumi cranici - Sclerosi multipla - Malattie infettive - Malattie endocrine 42 Lezione 05 – 22/03/2004 Disturbi mentali organici: delirium e demenze Diagnosi differenziale tra pseudodemenze depressive e demenze irreversibili: le cose essenziali: A. esordio brusco fa pensare a causa reversibile (tumore) o causa depressiva I. esordio insidioso fa pensare a demenza irreversibile. B. accettazione del deficit: I. .pz con Alzheimer non accetta il deficit e tende a nasconderlo, infatti confabula. Il suo deficit è nella fissazione quindi nella memoria recente, infatti spara le risposte più probabili in base alla sua memoria passata. II. nella pseudemenza depressiva c’è deficit della memoria recente e remota. Pz accentua i suoi limiti, li mostra, se ne lamenta. C. risposta a terapia antidepressiva: I. demenza pseudodepressiva risponde bene e può essere collegata a eventi spiacevoli scatenanti. II. Demenza irreversibile non risponde a antidepressivi. Nabil lez. 05 Nel decorso della demenza possiamo distinguere due fasi : 1 fase iniziale in cui i sintomi sono molto lievi , questo è sempre il decorso delle demenze tipo Alzheimer : un inizio piuttosto insidioso in cui c’è soprattutto affaticabilità, difficoltà nell’imparare e nell’intraprendere compiti nuovi e un inizio di disturbi cognitivi come per esempio qualche difficoltà mnemonica ; 2 poi man mano che si va avanti cominciano ad essere presenti disturbi più gravi come vere e proprie compromissioni della memoria a partire dalla memoria recente , un disorientamento spazio-temporale , una difficoltà nel linguaggio , nei gesti e a poco a poco modificazioni nella personalità nel senso che si possono accentuare le tendenze paranoidi , perché manca la consapevolezza della malattia e quindi la persona tende ad incolpare gli altri delle proprie mancanze , della propria difficoltà a ricordare , s’incolpano gli altri di non aver detto le cose, non se stessi perché non si riesce a ricordare e questo pu accentuare degli effetti sul carattere. Infine negli stati avanzati della malattia ci possono essere dei veri e propri sintomi psicotici con allucinazioni. All’ esame clinico è importante anzitutto 1 individuare le demenze reversibili che rappresentano il 10/15% dei casi, è quindi 43 Lezione 05 – 22/03/2004 Disturbi mentali organici: delirium e demenze importante per questo ¨ fare bene un esame obiettivo , ¨ applicare la scala MMS per valutare il deficit cognitivo , ¨ rivedere la terapia farmacologia se per esempio il paziente ha una terapia con farmaci che hanno un effetto anticolinergico naturalmente vanno eliminati , ¨ ricercare naturalmente la presenza di alcool , sostanze tossiche che possono essere alla base della demenza , ¨ fare una risonanza magnetica e tutta una serie di analisi di laboratorio che possono essere utili. (NB: la demenza associata ad HIV compare in fase avanzata e non e` sempre presente, deve essere colpito il SNC cosa che non sempre avviene) Diagnosi differenziale Per quanto riguarda la diagnosi differenziale nella diagnosi di pseudodemenza depressiva essa ha 1 2 un inizio meno subdolo, il paziente tende ad accentuare anziché nascondere i propri deficit mnemonici , 3 tende ad avere una storia di pregressi disturbi psichiatrici , 4 tende ad esserci un evento scatenante , un lutto, un evento stressante particolare 5 e la perdita della memoria non è solo quella recente , ma una perdita globale della memoria . In diagnosi di demenza la sopravvivenza va da 1 a 20 anni, in genere quando l’esordio è più precoce il decorso è più rapido, però ci possono essere decorsi variabili , progressivo, oppure può peggiorare , oppure non peggiorare nel caso di crisi provocate da una lesione . Terapia La terapia consiste nella rimozione delle cause della demenza reversibile , nel supporto, nell’aiuto psicologico, nel cercare di stimolare i pazienti che abbiano questo tipo di patologia e anche questo può rallentare il tipo di decorso, ovviamente i familiari vanno supportati per quello che significa avere a carico un paziente di questo tipo perché significa un carico oggettivo e soggettivo rilevante . Sono importanti anche le terapie occupazionali per stimolare il paziente a non perdere le capacità rimanenti , è importante aggiustare la terapia farmacologia , eliminare i farmaci che possono danneggiare e intraprendere le terapie che possono rallentare il decorso . 44 Lezione 05 – 22/03/2004 Disturbi mentali organici: delirium e demenze Per le terapie di tipo psichiatrico, è meglio evitare le benzodiazepine X evitare gli effetti paradossi oppure si devono utilizzare quelle a breve emivita. Utilizziamo antidepressivi se la depressione complica il quadro . Se dobbiamo usare antipsicotici perché sono pazienti con delirio di allucinazioni meglio utilizzare antipsicotici che hanno il meno possibile effetti anticolinergici , come per es. l’aloperidolo o antipsicotici di nuova generazione . Le terapie specifiche hanno due approcci fondamentali , la prevenzione ed il rallentamento della formazione delle placche di amiloide e quindi della morte neuronale dovuta ad esse e dall’altro l’utilizzo di fattori neurotrofici che possano in qualche modo facilitare la rigenerazione o rallentare la degenerazione neuronale ; di questi ci sono diversi tipi anche se non tutti hanno dato un’efficacia clinica ; diciamo che le terapie sono di tipo colinergico, quindi con i precursori dell’acetilcolina che però non hanno dato risultati nei trials controllati, poi con farmaci che potenziano l`uptake della colina , che vengono detti anche farmaci inotropi(?) , che vengono utilizzati per rallentare il decorso soprattutto nelle fasi iniziali , gli inibitori della acetilcolinesterasi, poi sono stati sperimentati farmaci che aumentano il rilascio di acetilcolina anche qui i risultati sono stati negativi , e infine anche gli agonisti dei recettori muscarinici e nicotinici., anche questi con risultati scarsi. X le terapie , invece, non conlinergiche, oltre agli antidepressivi, sono stati cercati approcci farmacologici proprio considerando quelli che erano i peptidi e i neuroormoni che si sono visti essere carenti nella denenza come il TRH che aumenta la produzione colinergica però poi nei trials ha dimostrato scarsa efficacia, idem per la vasopressina e l‘ACTH.Attualmente quello che viene usato di questi farmaci abbastanza correntemente : sulprinmetazone(????????) + VIT E x la sua capacità antiossidante , neuroprotettivo e la ***metidina farmaco nato come antiParkinson, farmaco antiMAO-B. MMSE: è un test che si utilizza nel giro di 10 minuti anche su paziente allettato e valuta un po’ tutte le funzioni cognitive a partire dall’orientamento , si fanno al paziente tutta una serie di domande per valutare il suo orientamento spazio temporale , si dà il punteggio a seconda di quante risposte vengono date , poi si valuta la capacità di registrare, si chiede per es. di nominare tre oggetti ,la capacità di calcoolo , la capacità di richiamo(dopo il calcoolo si chiede al paziente di rinominare gli oggetti di prima ), la capacità di memorizzare, poi si fanno dei brevi test del linguaggio come nominare degli oggetti, dare ordini e vedere se li comprendono , si scrive su un foglio un comando e si vede se il paziente è in grado 45 Lezione 05 – 22/03/2004 Disturbi mentali organici: delirium e demenze di eseguirlo, tutte cose banali ma che servono per valutare eventuali difetti cognitivi ; infine si chiede anche di copiare un disegno e vedere quanto correttamente riesce a copiarlo e in base a questo c’è un punteggio col quale si riesce a valutare la compromissione delle funzioni cognitive. 46 Lezione 05 – 22/03/2004 Disturbi mentali organici dovuti a c.m.g. Altri disturbi organici Tra gli altri disturbi mentali organici troviamo i disturbi amnestici che è l’altro disturbo organico importante insieme a demenza e delirium importante è un disturbo in cui viene compromessa la memoria in assenza della compromissione di altre funzioni cognitive,; questa compromissione della memoria comporta una significativa limitazione della funzionalità sociale-lavorativa; però non si tratta di un’amnesia come abbiamo visto quando parlavamo dell’esame psichico , legata ad eventi traumatici, un’amnesia psicotica; è un’amnesia di cui è comprovata l’origine organica . La frequenza di questo tipo di patologia non è nota , sembra che l’eziologia sia correlata a specifiche strutture neuroanatomiche , come nuclei talamici dprsomediali e della linea mediana e lobo mediotemporale (ippocampo, corpi mammillari,amigdala),in alcuni casi le aree frontali. In genere il danno è sempre bilaterale . Le possibili cause possono essere tutte quelle che danno un danno neurologico , dalle malattie sistemiche, in particolare un deficit di tiamina ( la sindrome di Korsakoff) che vedremo parlando dell’alcool , le ipoglicemie, tutte le affezioni cerebrali primitive Infine assunzione di sostanze o il sovradosaggio da farmaci . Clinicamente i disturbi amnestici si caratterizzano per l’amnesia sia anterograda che retrograda , raramente il riconoscimento delle persone è compromesso: la memoria a lungo termine è quella meno compromessa , mentre quella recente e a brevissimo termine sono molto compromesse .La memoria immediata rimane intatta . Di solito sono patologie con esordio è improvviso, c’è una scarsa consapevolezza del disturbo , può esserci la confabulazione (quando una persona cerca di rimediare il proprio deficit amnesico inventando qualcosa). Tutti i disturbi mentali (disturbo dell’umore, disturbo d’ansia,disturbi del sonno, disturbi psicotici) possono essere associati ad una patologia organica, quindi è importante sempre fare una diagnosi differenziale anche per gli aspetti eziologici quando sia riconoscibile una causa organica . Queste sono le eziologie più comuni di una patologia mentale dinamica : vedete che le malattie degenerative possono essere associate a depressione, demenza o anche psicosi , l’epilessia è associata ad una malattia psichiatrica nel 30, 50% dei casi , le cause sono neurologiche , i tumori celebrali sono associati a patologie psichiatriche nel 50% dei casi, 47 Lezione 05 – 22/03/2004 Disturbi mentali organici dovuti a c.m.g. Poi ci sono i traumi cranici la sclerosi multipla è molto spesso associata alla depressione,non solo per il fatto di avere una malattia così grave ma anche per cause organiche infine malattie infettive e le malattie endocrine . 48 Disturbi da uso di alcool e di sostanze DISTURBI DA USO DI ALCOOL E DI SOSTANZE. E’ importante che ricordiate la distinzione tra disturbi da uso di alcool e di sostanze e invece i disturbi indotti dall’uso di alcool e di sostanze. Che cosa vuol dire questa distinzione? X disturbi da uso di sostanze si intendono due cose: la dipendenza o l’abuso . La definizione di queste patologie è uguale sia che si tratti di alcool sia che si tratti di sostanze. Invece i disturbi indotti da alcool o da sostanze sono l’intossicazione che avrà sintomi specifici per ogni tipo di sostanza (la sindrome da intossicazione è importante perché per chi lavora nelle emergenze per es. riuscire a riconoscere i sintomi di una intossicazione è molto importante) e le astinenze, entrambe (intossicazione e sintomi dell’ astinenza) possono andare fino al delirium, una patologia organica che è caratterizzata da un’alterazione dello stato di coscienza . Infine possono essere indotti da altre sostanze tutti quelli di tipo organico come la demenza i disturbi psichiatrici , sia e i disturbi amnestici, ma anche , vedremo , il disturbo psicotico, il disturbo dell’umore, d‘ansia. Questi disturbi possono essere scatenati da un’intossicazione da alcool o da sostanze o da un’astinenza da alcool, da sostanze . Vediamo quali sono i criteri per definire una dipendenza: la dipendenza che ora definisco è la dipendenza psicologica che può esere o meno accompagnata da dipendenza fisica .La tolleranza e l’astinenza sono segni della presenza di una dipendenza , però può esserci la dipendenza da una sostanza senza che siano presenti né tolleranza né astinenza. La dipendenza viene definita come una modalità patologica di una sostanza che conduca ad un disagio significativo: deve essere accompagnata da tre delle seguenti condizioni in uno stesso periodo . tra queste condizioni ci può essere : la tolleranza , che è il bisogno di aumentare la dose oppure la mancata risposta alla dose sempre uguale di una determinata sostanza, oppure l’astinenza, che è invece la presenza di una sindrome caratteristica di ogni sostanza che si avverte quando viene sospesa bruscamente una sostanza o viene diminuita bruscamente la dose . Perché si verifichino sia tolleranza sia astinenza ci deve essere una uso prolungato e pesante della sostanza . Ci sono sostanze che inducono tolleranza e astinenza in tempi molto brevi e ci sono sostanze che richiedono un uso molto prolungato . Ci sono sostanze che non danno mai dipendenza : Vedremo per ogni sostanza, più o meno il tipo di effetto che dà. 49 Disturbi da uso di alcool e di sostanze Gli altri criteri per individuare la dipendenza sono tutti riguardanti la modalità compulsava di cercare la sostanza , quindi riguardano aspetti psicologici di rinforzo psicologico ad assumere la sostanza .Uno è : la sostanza spesso è assunta in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quelli che il soggetto poteva prevedere quindi il soggetto aumenta spontaneamente la dose senza aver previsto di poterlo fare ; un altro sintomo è il desiderio persistente o comunque tentativi infruottosi di ridurre l’uso della sostanza , una grande quantità di tempo viene speso in attività necessarie a procurarsi la sostanza con l’interruzione o la riduzione d’importanti attività sociali o le lavorative e l’uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di aver un problema persistente o ricorrente causato o esacerbato dalla sostanza. L’importante è che ricordiate il concetto detto prima cioè che tra i criteri della dipendenza due riguardano la dipendenza fisica, ma ci sono anche criteri che riguardano l’aspetto psicologico, il fatto che la persona continui a prendere la sostanza anche se vede che gli provoca un disagio significativo, che per colpa di questa sostanza non riesce a lavorare o non riesce a fare le cose che faceva prima , il fatto di essere portato a continuare ad assumere la sostanza , ad aumentare le dosi per avere lo stesso effetto e questo viene dato dalla capacità di queste sostanze di rinforzare positivamente il comportamento , oppure proprio il tempo speso per procurarsi questa sostanza , quindi il comportamento compulsivo nei confronti dell’assunzione della sostanza Ci può essere senso di consapevolezza..diciamo che è un rinforzo negativo però non necessariamente c’è senso di consapevolezza, però c’è la consapevolezza dei danni arrecati dalla sostanza a sé stessi e agli altri, sia socialmente, xò la persona è incapace di smetter di prendere la sostanza. Tutti gli elementi di rinforzo negativo vanno poi presi in considerazione nell’approccio terapeutico per rinforzare in qulche modo l’astinenza dalla sostanza;la persona cerca in continuazione di controllare la persona inizialmente pensa di avere il controllo dell’assunzione della sostanza , poi si rende conto che i suoi tentativi di rimanere alla stessa dose o alla stessa modalità di assunzione sono infruttuosi, questo xò non significa avere dei sensi di colpa,non è l‘avere i sensi di colpa 50 tra i criteri delladipendenza.) . Disturbi da uso di alcool e di sostanze Che cosa definisce l’abuso di una sostanza o di alcool. Anche qui è una modalità patologica di uso di una sostanza che porta sempre a menomazione, a disagio significativo e deve esserci almeno uno di questi quattro criteri . O l’uso ricorrente della sostanza risultante da un’incapacità di adempiere ai propri ruoli a scuola e a casa o ricorrente uso della sostanza in situazioni rischiose come l’uso di macchinari , oppure ricorrenti problemi legali legati alla sostanza , oppure l’uso continuativo della sostanza con ricorrenti problemi sociali o personali . Non ci devono essere i criteri per la dipendenza . La dipendenza da un punto di vista clinico è caratterizzata da sintomi cognitivi, comportamentali, ma anche fisiologici che sono indicativi del fatto che il soggetto in qualche modo continua a fare uso di questa sostanza nonostante riceva dall’ambiente tutti i messaggi sui danni che procura questa sostanza. Come riconoscere una dipendenza da un abuso : L’abuso è quando l’uso di alcool non da dipendenza fisica o psicologica comunque mette a rischio in qualche modo la condotta del soggetto , quindi una persona che fa uso ricorrente o sporadico ma anche ricorrente in assenza di una dipendenza comunque mette a rischio il soggetto (Guidando la macchina o addormentandosi sulla scrivania in ufficio) , nel momento in cui noi invece vediamo che assieme all’assunzione della sostanza ci sono sintomi di dipendenza o di astinenza quando c’è ricerca compulsiva della sostanza. L’abuso esclude la dipendenza. Anche se c’è un uso patologico della sostanza .La tendenza alla dipendenza sembra avere una base genetica , soprattutto sembra essere stata dimostrata questa tendenza genetica per l’alcool . I soggetti con dipendenza sperimentano quello che viene definito craving termine che è stato usato anche per quei soggetti che fanno abuso di cioccolata; questo termine è usato anche per definire la fame di dolci , cioè l’uso compulsivo del cibo , di questo parleremo quando si tratterà di disturbi alimentari; ci sono alcuni autori che avvicinano il problema di abuso di sostanze al problema dei disturbi alimentari , io non sono molto d’accordo su questo. Il craving è questo bisogno urgente di assumere una determinata sostanza non necessariamente legato ad un’astinenza , cioè non è avere sintomi percé non si assume la sostanza è il bisogno attivo della sostanza assumere la sostanza, l’ossessione cioè la compulsione ad che la sostanza dà. Il craving per es. può esserci per una singola assunzione di cocaina , la persona con una singola assunzione di cocaina può assumere una dipendenza psicologica perché si è sentito con l’assunzione della cocaina in una determinata situazione di benessere , 51 Disturbi da uso di alcool e di sostanze di capacità esaltate tale da volere ,una volta finiti gli effetti, subito ritrovare quella situazione e quindi essere ossessionati dal fatto di dover riprendere la sostanza . Invece i livelli di tolleranza sono molto variabili da sostanza a sostanza e da persona a persona . E’ importante non confondere la tolleranza con quelli che sono gli effetti iniziali della sostanza . Il fatto per es. che una persona vada in balla con un bicchiere di vino non vuol dire che non possa sviluppare una tolleranza e possa berne molto di più seza averne alcun effetto .L’astinenza invece è una modificazione patologica soprattutto del comportamento ma che ha importanti eventi fisiologici che si verifica quando le concentrazioni ematiche di una determinata sostanza vengono a mancare . Diciamo che la persona che avverte i sintomi dell’astinenza riceve lo stimolo a riassumere la sostanza perché in questo modo attenua immediatamente i sintomi . Quindi quando cominciano i sintomi di astinenza dalla sostanza la persona comincia ad assumere la sostanza a tutte le ore del giorno , così una persona che assumeva alcoolici solo alla sera quando si sviluppa l’astinenza nell’ arco delle otto ore essa può manifestarsi e la persona comincia a bere al mattino: è tipico dell’astinenza il fatto che la persona comincia ad assumere la sostanza a qualsiasi ora del giorno soprattutto la mattina . Anche i sintomi di astinenza variano moltissimo da sostanza a sostanza , per alcune sostanze sono completamente assenti come per gli allucinogeni . Né astinenza né tolleranza sono necessarie o sufficienti per la diagnosi di dipendenza , invece la modalità compulsiva per l’uso della sostanza può di per sé essere indice di dipendenza L’Abuso, con una definizione clinica è una modalità patologica d’uso di una sostanza che viene dimostrata dal fatto di andare incontro a conseguenze avverse da uso della sostanza però nonostante questo la si continua ad usare.Non c’è nessuno dei criteri della dipendenza che deve essere per forza presente Può essere un abuso singlo o ripetuto. Questi sono criteri relativi solo all’aspetto psicologico,non è incluso il fatto di avere complicanze mediche. Differenza tra abuso cronico e dipendenza: uno può avere abuso cronico di alcool al sabato sera, avere problemi con la legge ma non sviluppare mai una dipendenza nel senso dei criteri dati.La dipendenza implica che la persona anche se non è tollerante o non ha i sintomi dell’astinenza pensa continuamente a quella sostanza per tutta la settimana. Nell’abuso non c’è il craving dunque. 52 Disturbi da uso di alcool e di sostanze Il fatto che ci siano danni fisici non è determinante nello stabilire se ci sia una dipendenza o un abuso. Patologie + specificamente indotte dall’alcool Aspetti fisiologici dell’alcool (anche se non è così facile capire quanto una persona ha bevuto , perché vino, birra hanno gradi alcoolici molto diversi) . Dopo l’assunzione comunque il picco di concentrazione si ha dopo circa 45 60 minuti e quindi non è vero che dopo un’ ora non si è positivi al palloncino , ma anzi è meglio andare in macchina subito dopo aver bevuto e non aspettare un’ora (ironico). Diciamo che l’assunzione spropositata di alcoolici può dare nausea, vomito come difesa di tipo locale gastro-intestinale perché lo stomaco di fronte ad un’ingestione massiva di alcool produce muco e c’è uno spasmo del piloro , quindi il fatto che alcune persone stanno male è una difesa del nostro organismo per rallentare l’assorbimento. L’assorbimento dell’alcool avviene al 10 % a livello dello stomaco , ma al 90% a livello del primo intestino , l’intestino tenue , quindi con lo spasmo del piloro viene in qualche modo rallentata l’assorbimento dell’alcool ed è una difesa del nostro organismo Una volta assorbito , l’acool viene al 90% metabolizzato a livello epatico e per il 10% eliminato per via renale e polmonare (da cui prova del palloncino) . A livello epatico agiscono alcool deidrogenasi e aldeide deidrogenasi . Uquest’ultima è quella inibita dal farmaco utilizzato per l’alcoolismo (Disulfiram ) Non si sa bene ancora qual sia l’effetto dell’alcool a livello del cervello , quello che si sa è che aumenta la fluidità delle membrane neuronali. ( un uso cronico invece porta indurimento ), ha un effetto depressogeno (come le benzodiazepine e i barbiturici) tende a ridurre la funzionalità del nostro sistema nervoso , a seconda dei livelli ematici produce vari effetti che vanno dall’attenuazione della capacità di giudizio e di coordinazione motoria , l’essere impacciati, infine un’alterazione emotiva con depressione della emotività , dell’ area motoria cerebrale, confusione, coma o morte. L’euforia è ,quando di solito è a basse dosi, in fase iniziale proprio per l’alterazione delle membrane . Xò sempre è una fase iniziale, anche le benzodiazepine a dosi minime possono dare quest’effetto.L’alcool ha un effetto negativo sul sogno , diminuisce il sonno rem e il sonno profondo e aumentano i risvegli ,e il sonno diventa meno ristoratore . Il consumo di vino in Italia è diminuito dagli anni sessanta in poi come anche il consumo di superalcoolici , adesso è aumentato il consumo di vino di migliore 53 Disturbi da uso di alcool e di sostanze qualità , una volta era usato di più il vino prodotto in modo artigianale non sempre conforme alle regole. Il consumo di birra è invece molto aumentato a partire dagli anni settanta . Diciamo che si possono definire consumatori regolari circa il 60% della popolazione , invece i bevitori ossessivi che vanno incontro ad un abuso saltuario possono essere considerati il 7% , i bevitori a rischio di dipendenza sono il 2% . La dipendenza alcoolica in Europa è stata stimata al 3,5% dei maschi , che è moltissimo e circa all’1% delle femmine, sembra in aumento nelle femmine rispetto ai maschi. Negli U.S.A. il problema è molto più grave , coinvolge fino al 10% della popolazione maschile e il 5% della popolazione femminile . Ovviamente il consumo di alcool risente di molti fattori tra cui l’età, il sesso, la cultura, il grande consumatore di vino è in genere un uomo di mezza età., e il problema dell’alcool non appartiene ad una determinato ceto. E’ importante il problema della doppia diagnosi , perché oltre al fatto che l’alcool può causare tutti quei disturbi di cui si parlerà in seguito , è vero che chi assume alcool ha un problema preesistente, per es. il problema depressivo e cerca la soluzione attraverso l’alcool , oppure un problema d’ansia , o di timidezza o di fobia sociale , quindi una persona può assumere alcoolici per il loro effetto pensando in questo modo di risolvere i propri problemi ,invece ne può creare di ben peggiori . Inoltre l’effetto dell’alcool può portare alla disinibizione di aspetti impulsivi e quindi per es. una persona che ha bevuto alcoolici e ha idee autosoppressive diventa molto più a rischio perché si trova ad essere disinibito e questo aumenta tantissimo il rischio. Criteri diagnostici per l’intossicazione alcoolica. In teoria ci sono dei criteri per ognuna delle sostanze perché ogni intossicazione ha i suoi sintomi; la cosa che caratterizza ogni intossicazione è 1-l’assunzione di una determinata sostanza che sia alcool o altro 2-che vi sia un comportamento maladattivo che sia clinicamente significativo perché la persona ha un comportamento comunque alterato e ha dei sintomi psicologici che sono in gnere specifici per quella singola sostanza; in genere ci sarà quasi sempre uno stato di euforia o di disforia o può esserci uno stato depressivo, un’impulsività maggiore, cose di questo tipo che si sviluppano dopo l’ingestione dell’ alcool e poi dei sintomi fisici che in 54 Disturbi da uso di alcool e di sostanze genere sono diversi a seconda della sostanza che è stata assunta; per l’alcool , sono la pronuncia indistinta, l’incordinazione, la marcia instabile, il nistagmo e vi può essere uno stato confusionale o stupor . Ovviamente non tutti i disturbi sono spiegabili su base medica o spiegati da un disturbo mentale che ha la persona ; ovviamente nel caso dell’alcool viene riconosciuto dall’alito alcoolico e poi dall’analisi tossicologica, comunque l’intossicazione da alcool è molto simile a quella da barbiturici o da sedativi. Per l’astinenza, per tutte le sostanze che danno astinenza il primo criterio deve essere che ci deve essere una riduzione o una cessazione dell’assunzione di una sostanza che viene usata in modo continuativo e pesante e poi dei sintomi che anche qui sono specifici per ogni sostanza. Vediamo che i sintomi sono l’iperattività del sistema nervoso autonomo, il tremore, l’insonnia, nausea il vomito,possono esserci allucinazioni, può esserci uno stato di agitazione e di ansia oppure si può arrivare ad avere delle complicanze molto gravi come le crisi di grande male che sono per fortuna rare. I sintomi devono dare assicurazioni che non siano dovuti ad altra situazione medica. L’astinenza alcoolica ha in genere un decorso i cui sintomi iniziano già dopo otto dodici ore dall’assunzione della sostanza, possono passare anche alcuni giorni. In genere noi ci accorgiamo di una dipendenza alcoolica in pazienti che sono ricoverati da qualche giorno e di colpo hanno sintomi di astinenza, una cosa che era stata negata dal paziente nel corso dell’anamnesi e ci troviamo di fronte a un’astinenza, a volte a un delirium da astinenza che vedremo può essere anche molto grave nel caso dell’alcool, può portare addirittura alla morte della persona. Diminuiscono in genere nella seconda giornata e poi c’è un miglioramento nel corso della quarta giornata, alcuni sintomi possono persistere fino a tre, sei mesi, solo il 5% sviluppa un’astinenza con sintomi drammatici come il delirium tremens che è un delirio da astinenza da alcoolici oppure le crisi di grande male. Il delirium tremens è un’emergenza medica, ha una morbidità e mortalità molto significativa (al 20 % se non è trattato) dovuta a complicanze mediche come polmonite, insufficienza renale, scompenso cardiaco. In genere c’è pericolo di morte perché la persona che sviluppa il delirium non è una persona che ha una buona salute. Una persona che ha utilizzato in modo pesante e continuativo l’alcool magari per molto tempo per molti anni ha in genere altre patologie correlate alcool come epatiti, cirrosi,problemi cardiaci. Il delirium fa sì che il soggetto sia difficilmente controllabile, imprevedibile spesso molto agitato con crisi di aggressività e autoaggressività, può essere allucinato , avere delirium di persecuzione, ha un’attivazione del sistema nervoso autonomo , quindi tachicardia, sudorazione, può a volte fluttuare dalla letargia alla gravissima agitazione (come tutti i 55 Disturbi da uso di alcool e di sostanze delirium:andamento molto fluttuante). Sono molto spesso presenti distorsioni percettive, non solo nel senso di allucinazioni, ma anche vedere tutto grande, come attraverso una lente oppure tutto piccolo, lampi, cose di questo tipo, anche allucinazioni uditive che possono essere suoni, voci. Il delirium si verifica in persone che hanno avuto un abuso pesante di alcool o dipendenza cronica che duri da dieci quindici anni e le malattie fisiche aumentano il rischio di sviluppare il delirium. La presenza di una malattia legata all’abuso di alcoolici aumenta il rischio. La terapia del delirium tremens: anzitutto si deve cercare, se sappiamo di trovarci di fronte ad una persona che ha avuto grande abuso, di prevenire i sintomi di astinenza; i sintomi di astinenza si prevengono con benzodiazepine , oppure con altri tipi di farmaci, se c’è un abuso di benzodiazepine, si tende ad usare stabilizzatori dell’umore come l’acido valproico. a volte anche la carbamazepina . Se invece siamo già nella fase del delirium la terapia si basa anche qui essenzialmente sulla somministrazione di benzodiazepine a dosi più alte, diciamo che questo è l’unico delirium che fa eccezione alla regola che dicevamo quando abbiamo parlato di delium di non dare mai benzodiazepine: il delirium alcoolico è l’unica eccezione a questa regola.E’ importante una dieta ipercalorica, iperglucidica, ovviamente idratare il paziente perché a causa della sudorazione può essere molto disidratato ,cerchiamo di non usare antipsicotici perché è un paziente a rischio di crisi epilettica , un paziente in crisi di astinenza alcoolica e quindi tutti gli antipsicotici tendono ad abbassare la soglia convulsivante e quindi vanno usati il meno possibile, poi ovviamente il paziente va supportato dal punto di vista ambientale. Oltre ai sintomi che derivano dall’intossicazione e dall’astinenza nella classificazione ci sono il disturbo psicotico indotto dall’alcool, il disturbo dell’umore, il disturbo da ansia. Il disturbo psicotico è importante e abbastanza tipico il quadro; importante perché ci sono alcune forme di psicosi che vengono scatenate dall’uso di alcool. Possono essere molto simili a quelli della schizofrenia soprattutto di tipo paranoide, però in genere hanno un esordio molto più tardivo . Mentre la schizofrenia ha un esordio nella prima età adulta o addirittura nell’adolescenza la psicosi da alcool ha un esordio più tardivo e legato ad un’assunzione di alcoolici che non deve necessariamente essere così massiccia come per il delirium tremens ecc. Viene classificata in due tipi, un tipo che ha in maniera predominante i sintomi allucinatori e un tipo che ha in maniera predominante anche sintomi di tipo delirante . 56 Disturbi da uso di alcool e di sostanze Per i sintomi allucinatori il primo viene anche detto allucinazione alcoolica perché, paziente è abbastanza consapevole dell’allucinazione percettiva che ha quindi il non è accompagnato come nel caso della schizofrenia da una inconsapevolezza di malattia, ma il paziente sente che c’è qualcosa che non va nelle sue percezioni e i sintomi allucinatori sono in stretta relazione con lo stato di intossicazione o di astinenza. In genere l’episodio è notturno e piuttosto acuto e quindi può inizialmente essere difficile da distinguere dal delirium da intossicazione. In genere le allucinazioni sono soprattutto uditive prima indistinte poi vere e proprie voci però in un primo momento sono criticate ; a lungo andare il paziente può cominciare a credere a queste voci a sentirsi in qualche modo veramente perseguitato dagli altri e quindi il paziente diventa simile a quelli della schizofrenia paranoide . Sono presenti anche allucinazioni visive. e in presenza di queste dobbiamo pensare ad una allucinazione da alcool . sono caratteristiche le microzoopsie cioè il vedere piccoli animali sul muro, scarafaggi, ma anche vedere ombre, lampi oppure delle forme mostruose. Possono anche essere allucinazioni olfattive e gustative, il paziente non mangia perché i cibi diventanomaleodoranti : Queste manifestazioni sono legate ad un danno organico, celebrale , si tratta sempre di malattie organiche . Sono pazienti impulsivi e possono essere aggressivi o autoaggressivi, tendono a regredire abbastanza facilmente con la terapia , con l’astinenza dall’alcool e con le terapie di supporto , però possono cronicizzate se questo non avviene. Nel disturbo psicotico da alcool con deliri troviamo un quadro abbastanza tipico che è quello del delirio di interpretazione o paranoia alcoolica o il cosiddetto delirio da gelosia che è un quadro tipico dell’alcoolista che in qualche modo si trova in uno stato di debilitazione fisica , non si sente più all’altezza nel senso dell’autostima e tende a sviluppare la certezza che le persone intorno a lui non lo vedano più come figura di riferimento da cui il delirio di gelosia . A volte questo può scatenare aggressività, a volte può essere semplicemente accettato dalla persona che lo subisce passivamente , ma più spesso il delirio di gelosia scatena ispezioni, indagini anche se immotivate; questo tipo di disturbo psicotico tende ad avere un decorso piò cronico,ad essere meno sensibile al trattamento. Troviamo poi tra i disturbi da alcool il disturbo amnestico che ha un quadro importante dal punto di vista neurologico è tra le più gravi complicanze dell’alcoolismo cronico e riguarda la compromissione della memoria, soprattutto della memoria recente ; è un disturbo persistente che quindi va al di là delle fasi di intossicazione e di astinenza , provoca dei seri problemi nelle capacità sociali lavorative del soggetto, e si tratta di un quadro sindromico carenziale , soprattutto delle vitamine del gruppo b, che può seguire un episodio di encefalopatia di Wernicke che voi sapete è un quadro di encefalopatia da carenza di vitamina B: è un quadro ad esordio acuto. Nell’alcoolismo cronico si verifica 57 Disturbi da uso di alcool e di sostanze una carenza vitaminica acuta dovuta a compromissione sia dell’alimentazione spontanea che risulta molto impoverita, sia al fatto che l’alcool altera l’assorbimento di queste vitamine , quindi si ha la carenza vitaminica acuta che dà questa encefalopatia caratteristica che ha la triade tipica del disturbo dell’oculomozione atassia cerebellare e stato confusionale. Ha una mortalità del 17% dovuta a infezioni intercorrenti e cirrosi epatica . Nell’80% dei casi all’encefalopatia segue la sindrome di Korsakoff che è un disturbo amnestico che nell’80% dei casi è associato all’ecefalopatia ed è caratterizzato da amnesia e disturbi cognitivi soprattutto con confabulazioni anche non spontanee quando il paziente viene richiesto del confabulare non è presente coscienza di malattia. Questo quadro ha una soluzione favorevole nel 27 % dei casi : La terapia è di supporto , importante è che venga curata l’encefalopatia con la somministrazione di vitamine altrimenti l’evoluzione può essere verso un quadro che tende alla persistenza che solo nel 20% dei casi ha una prognosi favorevole Esiste poi una demenza persistente da alcool, non c’è niente di diverso dalle altre demenze già descritte , una demenza dovuta ai danni cerebrali legati all’alcool: viene sempre più coinvolta l’area della memoria , ma in questo caso abbiamo anche un coinvolgimento di tutte le altre funzioni cognitive. Questo tipo di demenza è anche collegato al tipo di isolamento sociale in cui queste persone si riducono a causa dell’alcoolismo cronico e quindi ha anche delle concause di tipo sociale e psicologico , comunque dovete solo sapere che esiste. L’alcool può dare anche disturbi dell’umore , proprio per l’effetto depressogeno (sedativo), l’uso dell’alcool può avere come effetti sia calo dell’umore sia episodi tipo maniacali. Si discute molto se sia una slatentizzazione dovuta all’alcool oppure se sia un disturbo primario oppure se sia un disturbo secondario solo all’uso dell’alcool, comunque è una manifestazione non così rara. Non è facile la diagnosi differenziale con un disturbo dell’umore primario complicato dall’alcoolismo che colpisce circa il 30, 40 % dei pazienti che vanno incontro a ripetute intossicazioni alcooliche .Anche se una percentuale più bassa ha sintomi di depressione maggiore . Tende ad una regressione spontanea una volta che la persona venga disintossicata dall’alcool . E lo stesso possiamo dire è il disturbo d’ansia. In prevalenza i sintomi sonodi tipo conpulsivo, fobici, anche ansia tipo panico e tende anche qui alla regressione spontanea. associata all’astinenza per i sintomi che dà l’astinenza E‘ spesso e tende alla regressione spontanea una volta che la persona si sia disintossicata. Complicanze dell’alcoolismo cronico: a livello del sistema nervoso centrale , a livello del cuore , dell’esofago, dello stomaco, del pancreas fegato ,ecc.. La terapia per l’alcoolismo cronico : ovviamente non si tratta di disturbi facili da curare e richiedono un aspetto multidisciplinare 58 che da un lato aiuti l’astinenza Disturbi da uso di alcool e di sostanze dall’alcool dall’altro crei delle motivazioni sufficienti per fare a meno di questa sostanza. Quindi quello che caratterizza la terapia è da un lato l’abolizione assoluta dell’alcool, dall’altro aiutare la disontissicazione e la detossificazione e poi gli aspetti psicologici, sostegno sociale , in modo da favorire il reinserimento sociale della persona. Non funziona la semplice riduzione della dose d’alcool , perché continua la dipendenza e l’effetto tossico come per le sigarette . Il problema non è il controllo dell’astinenza che si può fare farmacologicamente,prevenuta con le benzodiazepine , ma l’uso compulsivo della sostanza cioè il craving, e quindi essenziale è curare la dipendenza psicologica per evitare le ricadute che sono frequentissime . I trattamenti psicoterapici possono essere di vario tipo , dalle psicoterapie individuali o anche di gruppo sia di tipo psicodinamico o di tipo cognitivo-comportamentale hanno tutte dimostrato una certa efficacia o anche terapie di rilassamento . Importanti sono i trattamenti di tipo psico-sociale, basati sul volontariato, sul completo anonimato , sia all’esterno del gruppo sia all’interno dove non viene mai fatto il cognome della persona e tutti si chiamano per nome , è tenuto da persone che hanno sofferto di alcoolismo . La filosofia di questo tipo di gruppi è nata negli Stati Uniti , considera l’alcoolismo una malattia incurabile con dipendenza per tutta la vita , quindi l’unico modo per curare questa dipendenza è astenersi completamente , non pensare mai di essere guariti e sostituire la dipendenza dalle sostanze con la dipendenza dal gruppo che dà il supporto per riuscire a mantenere la propria salute fisica . Poi se la persona sta bene e si sente in grado di farlo può aumentare la sua dipendenza dal gruppo che invece può essere il male minore se la persona si mantiene in situazione di rischio..Altro aspetto sono le comunità terapeutiche che vengono utilizzate prevalentemente per la dipendenza da oppioidi, da eroina, possono però venire utilizzate anche da persone con problemi di alcoolismo . Anche qui si cerca di dare un supporto a livello sociale oltrechè psicologico per rinforzare l’astinenza dalle sostanze . Ci sono delle terapie farmacologiche , ci sono dei farmaci che possono aiutare, possono essere di vario tipo: sono farmaci che agiscono sulla dipendenza , oppure per il trattamento dell’intossicazione da astinenza , farmaci che diminuiscono gli effetti rinforzanti, farmaci revulsivanti come quello nominato prima, l’antabuse, il disulfiram, che inibisce uno degli enzimi del metabolismo dell’alcool per cui l’individuo si sente intossicato ad una minima dose di alcool. Farmaci sostitutivi come le benzodiazepine oppure farmaci per la comorbidità pscichiatrica (farmaci usati normalmente). Usate:benzodiazepine, carbamazepine o valproato per la prevenzione dell’astinenza, negli ultimi 20 anni è stato utilizzato anche l’acido gamma-idrossibutirrico come sostanza 59 Disturbi da uso di alcool e di sostanze antiastinenziale e anche anticraving (importante nella terapia dell‘alcoolismo al di là della disintossicazione iniziale); è una sostanza che è il precursore del GABA che è quel neutrasmettittore attraverso il quale agiscono per es. le benzodiazepine ,però è un farmaco che non tende a dare dipendenza . Possono essere usati anche farmaci antidepressivi , alcuni antidepressivi sembrano avere proprietà anticraving soprattutto gli ninibitori dell’uptake della serotonina (SSRI) perché essendo anche antiossessivi tendono a ridurre l’ossessività nella ricerca della sostanza; antagonisti oppiodi possono essere usati che praticamente sono gli antagonisti che si legano degli oppiodi e degli oppiacei aI recettori e sembra che in qualche modo agiscano eliminando il rinforzo positivo , perché secondo alcuni studiosi l’alcool come molte sostanze agirebbero a livello delle endorfine endogene oppure sostituendo le endorfine endogene si legherebbero a questi recettori , quindi , prendendo queste sostanze , la persona non sente quel tipo di rinforzo positivo legato a sensazioni di piacere legato a quella sostanza . Può essere usato anche il Litio se ci sono alterazioni dell‘umore di tipo maniacale;o l’antabuse però va usato non tanto in pazienti che non collaborano, bensì in pazienti che collaborano che abbiano bisogno di un ulteriore rinforzo per essere sicuri di non ricadere nell ‘uso dell’alcool : deve essere comunque un paziente molto collaborante che al 99,9% non assumerà l’alcool ., perché gli effetti , in caso di assunzione dell’alcool, sarebbero molto più rapidi, quindi è un rinforzo negativo all’assunzione dell’alcool in una persona che non vuole più assumerlo. Altre sostanze: l’uso di queste sostanze di per sé, alcune lecite , alcune considerate droga, alcune no, comunque non è un problema medico ; si pone un problema medico nell’abuso di queste sostanze o nei disturbi indotti dall’uso di queste sostanze. Sono sostanze molto diffuse nonostante alcune non siano lecite, questa è l’età media in cui viene iniziato l’uso di queste sostanze : il tabacco 15aa e poi via via altre sostanze. Epidemologia. . Ci sono dati che riguardano gli Stati Uniti, (non ha trovato dati italiani) , mentre in Italia avevamo detto che cira il 60% erano consumatori abituali di alcool, negli U.S.A la percentuale arriva fino al 93%(dati un po’ in eccesso rispetto all‘Italia. iguardo ai tranquillanti, ne tratteremo quando tratteremo le terapie farmacologiche alla fine del corso . Di ogni sostanza mi interessa che voi sappiate più o meno quale è l’effetto farmacologico , non mi interessa che sappiate gli effetti dell’intossicazione dell’astinenza . Fattori di rischio per una pratica tossicomania Raramente questa, anche se qualcuno lo può pensare, è una complicanza in un trattamento medico , per esempio la morfina data come antidolorifico difficilmente dà 60 Disturbi da uso di alcool e di sostanze inizio ad una pratica tossicomanica , è un evento molto raro, eccezione fanno le benzodiazepine , che dopo che sono state prescritte possono diventare sostanze da abuso ; sembra che i sanitari, medici infermieri siano i più a rischio di abuso di sostanze , in genere però l’iniziazione alle sostanze viene nell’adolescenza ad opera delle compagnie . Fattori di rischio sia gli eventi stressanti , difficoltà a livello familiare, anche alcuni disturbi della personalità e sicuramente fattori genetici , non ci sono però studi che identifichino proprio delle caratteristiche per cui una persona è così a rischio, è senza dubbio un insieme di fattori , nonché essere in un ambiente in cui si è esposti a questa sostanza , per cui le persone possono essere a rischio, ma non venire mai a contatto della sostanza e quindi non sviluppare mai problemi di questo tipo. Il mantenimento della pratica tossicomanica è non solo legato ai sintomi di astinenza , ma più a qualcosa di positivo , più al cosiddetto craving, al bisogno di riprodurre quella sensazione piacevole data dalla sostanza e quindi molto importante per la terapia è il rinforzo positivo legato a quegli effetti iniziali, piacevoli e che poi sembrano non venir compensati da tutti gli effetti negativi che derivano dall’assunzione regolare di questa sostanza , è come se queste persone rimanessero fissate sulla prima volta , sull’effetto piacevole iniziale provato durante la somministrazione . Il passaggio dall’uso all’abuso è legato al fenomeno della tolleranza, in genere è molto importante il meccanismo pscicologico x il passaggi dall‘uso all‘abuso , il fatto di attribuire all’uso della sostanza una capacità difensiva rispetto ai problemi , il ricorrere a queste sostanze impoverisce la persona della capacità di reagire , di tollerare ex un’ansia, la depressione e quindi la persona si trova a dover ricorrere alla sostanza per ogni emozione negativa, per ogni emozione particolare . Per quanto riguarda l’astensione ci sono molte ricadute, la disintossicazione non è di per sé sufficiente ad impedire una recidiva , è importante fornire alla persona tanti rinforzi positivi che competano con il rinforzo legato alla sostanza , trovare qualcosa che sia altrettanto importante . Per quanto riguarda il comportamento recidivante , dovete sapere che c’è un’ampia discussione se sia più importante la terapia medica o la terapia svolta in comunità : bisogna un po’ distinguere da caso a caso, da situazione a situazione. Riassuntino delle sostanze: tutte con qualche eccezione , possono dare abuso dipendenza , astinenza intossicazione,e tutti gli altri disturbi: demenza ,disturbo amnestico, disturbo psicotico, disturbo dell’umore, disturbo d’ansia , con eccezioni : gli allucinogeni per es. non danno astinenza e neanche la cannabis , la caffeina non dà mai il delirio. 61 Disturbi da uso di alcool e di sostanze Questi disturbi possono essere associati alle sostanze, dalla dipendenza all’abuso (non legati alla caffeina e nicotina). Non tutte le sostanze danno demenza e disturbo amnestico copersistente , sono solo in alcool inalanti(x la demenza) e sedativi., mentre tutte le sostanze possono dare disturbi psicotici, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia. Effetti delle varie sostanze : le anfetamine sono sostanze nate come farmaci , che vengono ancora impropriamente usate per la cura dell’obesità perché danno anoressiariducono l’appetito, rendono euforici, aumentano il rendimento lavorativo nello studio e nello sport . Hanno un’azione simpatico mimetica,aumentano il rilascio delle catecolamine, soprattutto la dopamina e soprattutto deli neuroni dopaminergici dell‘area tegmentale ventraleche proiettano nella corteccia nelle aree limite.Questa viene chiamata anche la via della ricompensa, e sembra che molte delle sostanze che danno dipendenza attivino questa via della ricompensa e che questo sia uno dei meccanismi per la dipendenza . Alcuni analoghi anfetaminici agiscono anche sulla serotonina , l’ecstasy che è un derivato anfetaminico viene captato dai neuroni seratonergici, la serotonina ha una azione inibente su dopamina e catecolamine ,entra nei neuroni seritoninergici, causa un rilascio in bolo di tutta la serotonina , la serotonina viene anche inibita come produzione e questo fa sì che i neuroni dopaminergici e noradrenergici risultino attivati al massimo; quindi ha comunque un effetto simpatico mimetico ma attraverso il blocco dei neuroni seritonergici . Una cosa interessante è che chi assume gli altri antidepressivi che inibiscono il rilascio della serotonina l’ecstasy non fa nessun effetto perché bloccano il trasportatore della serotonina . Le intossicazioni da anfetamine, da ecstasy possono essere anche mortali, perché può dare una specie di sindrome maligna con iperpiressia ,(ci sono stati morti in discoteca dovuti appunto a ipertermia,a ipertensione e morte). inoltre l’ecstasy all’uso prolungato dà un quadro di atrofia celebrale. Come agisce la cannabis? La sostanza che agisce è il tetraidrocannabinolo si lega a un recettore specifico recentemente scoperto, quindi si immagina che ci sia un analogo endogeno del tetraidrocannabinolo ma non è stato ancora identificato , induce una dipendenza soprattutto psicologica , l’astinenza è praticamente assente o comunque con sintomi molto lievi , irritabilità, insonnia. Ha degli effetti euforizzanti che durano due, quattro ore e alcuni effetti collaterali, tra cui, secondo alcuni, un’atrofia celebrale nell’uso prolungato . L’intossicazione, la cosa più importante è che possa dare disturbo psicotico in alcuni soggetti responsivi a questa sostanza. La cocaina manifesta un’attività simpatico mimetica ,però al contrario non aumenta il rilascio di questi neurotrasmettitori , ma blocca in modo competitivo la ricaptazione quindi i trasmettitori rimangono nella sinapsi . Si ha più o meno lo stesso effetto delle 62 Disturbi da uso di alcool e di sostanze anfetamine con un meccanismo diverso . E’ attiva anche questa nel circuito del rinforzo positivo , può essere inalata, iniettata o fumata e anche sotte forma di crack molto più potenziata . Anche qui ci sono forme d’intossicazione anche molte gravi , molto spesso associate a disturbi psichiatrici , soprattutto dell’umore e disturbi d’ansia . Gli allucinogeni sono oltre 100 , i più comuni sono la dietilammide dell’acido lisergico, LSD, allucinogeni naturali come la mescalina che è quella del peyote, la psilocibina,che è in certi funghi del Sudamerica. Gli effetti sono sul sistema serotoninergico, , LSD probabilmente è un agonista parziale dei recettori postsinaptici. Danno una rapida tolleranza, però non danno astinenza . L’uso prolungato di queste sostanze può portare a psicosi croniche , non solo, l’uso di queste sostanze per alcune persone può essere inaccettabile, può dare cioè un’angoscia molto forte. La presenza di allucinazioni al di fuori dell’assunzione di allucinogeni viene chiamata flash back ed è un segno di danno neurologico: avere gli effetti della sostanza in assenza della sostanza . Gli inalanti: sono una serie di sostanze molto tossiche , che in Italia per fortuna sono poco diffuse, mentre sono diffusi nei paesi dell’est , dove ci sono bambini che sniffano la colla, persone che sniffano la benzina. Come l’alcool e sembra che l’effetto sia come nel caso dell’alcool di fluidificare le membrane cellulari . Sono sostanze volatili molto tossiche . Gli effetti iniziali sono quelli di euforia, eccitazione, senso di galleggiamento, dosi maggiori inducono allucinazioni, distorsione dell’immagine corporea; sono naturalmente sostanze potenzialmente mortali essendo così tossiche . Oppiodi: molto importante è la complicanza dell’associazione alla trasmissione con il virus dell’epatite e dell’HIV; sono oppiacei quelli che derivano direttamente dall’oppio anche per via sintetica, come la morfina, l’eroina, la codeina , sono oppioidi i narcotici di sintesi , si legano agli stessi recettori come il metadone.Ci sono tre tipi di recettori cui si legano gli oppiodi endogeni e hanno effetti importanti anche a livello di dopamina e noradrenalina. 63 Schizofrenia F. Folli LA SCHIZOFRENIA Definizione e classificazione È una delle malattie psichiatriche più gravi, infatti pesa molto sull’economia sanitaria e riguarda un ampio spettro di soggetti ( prevalenza dell’1-2 % in riferimento alla popolazione generale). Si può dire che è il disturbo psichiatrico per il quale sono nati gli ospedali psichiatrici. La schizofrenia è una malattia gravemente invalidante nel senso che buona parte dei soggetti da essa colpiti presenta un decorso cronico durante il quale il paziente perde le proprie competenze (lavoro,…), relazioni sociali e interpersonali (in famiglia, con amici,…) o fa fatica a mantenerle. Contrariamente alla malinconia, disturbo già descritto da filosofi e medici dell’antichità in modo molto simile a quello da noi oggi conosciuto come disturbo depressivo maggiore , la schizofrenia è un termine relativamente nuovo. Esso è stato coniato agli inizi dell’900 e comprendeva diverse manifestazioni di alterazione della capacità di giudizio, dell’affettività,… Verso la metà dell’Ottocento dopo che Pinel aveva “liberato i folli dalle catene”, molti psichiatri sentirono la necessità di classificare i malati ex detenuti negli ospedali psichiatrici. In questo compito nosografico si contrapposero le scuole francese e tedesca: la prima con tendenza ad ampliare il numero di quadri nosografici, la seconda con tendenza ad unificarli. Morel in Francia è stato il primo (1856) a descrivere una condizione psicopatologica con grave deterioramento intellettivo, ad esordio nella tarda adolescenza o nella prima età adulta, molto simile alla perdita/riduzione di alcune facoltà cognitive che colpisce ultrasessantenni. Morel la nomina demence precoce perché come la demenza degli anziani ha andamento cronico ed è caratterizzata da lesioni anatomo-patologiche irreversibili o comunque difficilmente reversibili e che comportano una diminuzione più o meno progressiva delle capacità intellettive. Hecker in Gemania nel 1871 descrive una condizione da lui detta ebefrenia (da Ebe, personificazione della giovinezza fiorente nella mitologia greca) in giovani che presentano nel corso dell’adolescenza un’affettività “fatua”, ovvero un’incongruenza nelle loro manifestazioni emotive, con evoluzione peggiorativa. Kalbaum, altro tedesco, nel 1874 osserva in ragazzi in età scolare vari quadri di stupor e rigidità muscolare non supportati da patologia neurologica e li definisce come catatonia, una sorta di arresto psicomotorio associato ad una rinuncia/rifiuto di qualsiasi attività. 64 Schizofrenia Kraepelin nel 1896 riunisce tutti i quadri nosologico-psicopatologici precedentemente descritti (deterioramento intellettivo, affettività fatua e catatonia) in un unico, definendolo dementia praecox e suddividendolo in tre sottotipi: ◊ ebefrenica: in cui l’esordio è precoce e ben caratterizzato ◊ catatonica: in cui le principali manifestazioni sono quelle di un arresto psicomotorio ◊ paranoide: caratterizzato dalla presenza di deliri (= giudizio rigido ed errato sulla realtà che non può essere modificato dal ragionamento) momentanei, organizzati o con allucinazioni in prevalenza uditive (cioè i pazienti sentono delle voci coerenti con i temi deliranti). Kraepelin inoltre descrive altri due disturbi psichiatrici: la paranoia, simile alla demenza precoce paranoide in quanto caratterizzata da un delirio prevalentemente persecutorio (anche se nella paranoia possono esistere altri deliri organizzati) ma che non insorge in età giovanile e non va incontro ad un deterioramento progressivo; la psicosi maniaco depressiva denominata oggi in clinica psichiatrica come disturbo bipolare. Molti psichiatri non si trovarono concordi con la classificazione di Kraepelin e in particolar modo non ritennero giusto il termine di demenza precoce da lui scelto. Essi infatti avevano osservato che non tutti i dementi precoci peggioravano evolvendo verso una demenza certa e che anzi una non banale percentuale di casi migliorava nel tempo. (Osservazione confermata anche oggi, benché il deterioramento progressivo sia una caratteristica di tutti i pazienti schizofrenici) Tra questi psichiatri spicca il nome dello svizzero Bleuler che nel 1911 propose di sostituire il termine demenza precoce con quello di schizofrenia, [da adesso in poi scz] presto da tutti accettato ed adottato. (Col tempo alle prime manifestazioni raggruppate sotto il termine di scz si sono aggiunti nuovi quadri patologici; questo soprattutto in America rispetto a Inghilterra, Francia e Germania dove gli psichiatri si sono attenuti di più agli originali criteri diagnostici. In questo modo il termine scz ha assunto una valenza più ampia negli Stati Uniti rispetto all’Europa, facendovi cadere all’interno un più ampio numero di pazienti) Anche Bleuler suddivide la scz in sottotipi: ◊ ebefrenica: sovrapponibile a quello descritto da Kraepelin ◊ catatonica: sovrapponibile a quello descritto da Kraepelin ◊ paranoide: sovrapponibile a quello descritto da Kraepelin ◊ simplex: comprendente persone con manifestazioni psicopatologiche molto povere e una sintomatologia che oggi verrebbe definita negativa. Esse infatti non presentavano deliri, né catatonia, né affettività fatua, ma solo una chiusura in se stessi interpretabile dalla maggior parte delle persone come già un deficit intellettivo. Bleuler ha fatto degli approfondimenti psicopatologici sulla scz utili per capirne i sintomi. Il nucleo psicopatologico fondamentale della scz è la dissociazione tra i contenuti ideativi 65 Schizofrenia e l’affettività ad essi correlata (proprio basandosi su questa caratteristica Bleuler ha scelto il termine scz, dove “schizo” vuol dire divido), ovvero i contenuti del pensiero non vanno d’accordo con le emozioni espresse. Esempio: una persona comunica di aver vinto al Totocalcio, se normale lo farà dimostrandosi allegra, se scz lo farà dimostrandosi triste. I sintomi primari che costituiscono il nucleo psicopatologico sono le cosiddette 4 A: ◊ Associazioni (perdita o riduzione delle) ◊ Autismo: la persona non ha più interessi e investimenti nel mondo esterno ed elabora un proprio mondo interiore fantastico e distaccato dalla realtà condivisa dalla maggior parte delle persone (concetto che deriva dal freudiano “autoerotismo” con cui si descriveva l’attitudine di alcuni pazienti scz a trasferire su di sé le attenzioni eroticheaffettive anziché rivolgerle verso persone e oggetti della realtà esterna) ◊ Ambivalenza: caratterizzata dalla presenza contemporanea di due emozioni contrastanti verso cose o persone e percepita dal malato scz come intollerabile, ovvero lo scz è incapace di trattenere dentro di sé sentimenti contrastanti e li esprime contemporaneamente, a volte senza apparenti inibizioni, ad una stessa persona (nelle persone normali può essere presente questa ambivalenza ma è ben tollerata) Esempio: lo scz ama una persona ma contemporaneamente vuole che muoia o le fa del male ◊ Affettività appiattita o inappropriata: la risposta emotiva agli eventi è ridotta o diversa o contraria rispetto a quella che ci si aspetta normalmente Esempio: una reazione triste di fronte ad un evento piacevole o viceversa Sintomi secondari sono la presenza di allucinazioni, deliri, catatonia, disturbi del linguaggio (alogia, aprassia,…) [domanda e risposta: l’affettività fatua di Hecker e l’ambivalenza di Bleuler sono la stessa cosa? NO, in quanto l’affettività fatua descrive genericamente un comportamento percepito, dalla maggior parte delle persone, come una reazione identica del malato a stimoli diversi, mentre l’ambivalenza è un disturbo più specifico e ben circostanziato] Tabella sinottica tra classificazione di Kraepelin e del DSM IV Kraepelin (1896) DSM IV (1994) Dementia precox: Schizofrenia:* - ebefrenica - tipo disorganizzato - paranoide - tipo paranoide - catatonica - tipo catatonico - tipo indifferenziato - tipo residuo Paranoia Disturbo delirante 66 Schizofrenia Psicosi maniaco depressiva Disturbo bipolare * i sottotipi di schizofrenia sono rimasti pressoché invariati nel tempo. Il sottotipo di scz residua si ritrova in persone che manifestano la malattia per oltre 20 anni Criteri diagnostici del DSM IV per diagnosticare la scz sono: A Sintomi: presenza di almeno 2 sintomi tra deliri, allucinazioni, eloquio e comportamento disorganizzati, sintomi negativi (apatia, alogia, abulia) B Funzionamento sociale/lavorativo: inferiore ai livelli precedenti C Durata: sintomi per almeno 6 mesi e compresenza di almeno 2 sintomi per 1 mese D Esclusione: di disturbo dell’umore e schizoaffettivo concomitante (per valutare quale prevale) E Esclusione: di uso di sostanze e condizioni mediche scatenanti sintomi simil scz F Relazione con disturbo autistico: esiste diagnosi solo se si ha allucinazioni o deliri per almeno 1 mese [il prof. dice che è un criterio poco importante e che lo dobbiamo lasciar perdere] In base ai precedenti criteri diagnostici il DSM IV suddivide la scz in 5 sottotipi (modello categoriale): ◊ paranoide: deliri sistematizzati (durano 2-3 mesi e poi cambiano o si esauriscono o rimangono nel tempo. Più frequentemente i deliri vengono accettati nel tempo e si esauriscono. Nei deliri persecutori ben definiti, in cui il malato crede di essere perseguitato da una o più persone coalizzatesi contro di lui, si tende a vedere una trasformazione nel tempo. I deliri rimangono stabili se esiste uno stress o eventi sociali che minacciano l’equilibrio dell’individuo, in quanto il soggetto usa il delirio come una sorta di difesa) e allucinazioni senza disorganizzazione della persona né forme di catatonia ◊ disorganizzata: eloquio e comportamento disorganizzati, cioè non progettuali, con affettività piatta o inadeguata alle circostanze ◊ catatonica: rigidità, arresto psicomotorio, posture bizzarre. Presenza a volte di eccitazione o di negativismo (il paziente si lascia muovere passivamente e mantiene la postura così assunta - fenomeno conosciuto come “Flexibilitas cerea” e dovuto ad un lieve ipertono muscolare – se però lo si stimola esso risponde in modo rapido e spesso violento. Il negativismo si manifesta anche tramite il rifiuto del contatto con la realtà esterna). Oggi questo sottotipo è poco presente, forse perché è l’ospedalizzazione a tempo indeterminato una delle sue cause scatenanti. ◊ indifferenziata: presenza del criterio A ma non soddisfa nessuno dei precedenti sottotipi ◊ residua: dopo almeno 6 mesi di malattia rimangono sintomi negativi o sintomi del criterio A in forma attenuata 67 Schizofrenia Una persona può presentare contemporaneamente più sottotipi di scz e quindi viene definita “schizofrenica indifferenziata”. Clinica È difficile stabilire un contatto con un paziente scz specialmente nelle fasi attive della malattia. L’esordio può essere improvviso con agitazione psicomotoria, delirio a volte scatenato da un evento stressante, allucinazioni, comportamenti aggressivi che preoccupano chi conosce il malato. La diagnosi si pone solo se l’episodio dura per un po’ e se i sintomi tendono a cronicizzare. Se l’attacco dura solo 20 giorni–1 mese si parla di “episodio schizofreniforme” o episodio psicotico acuto. Un esordio acuto, anche se c’è diagnosi di scz avrà sempre una prognosi migliore rispetto al paziente con un esordio subdolo (in cui i sintomi iniziano gradualmente e sono progressivi, portando allo sviluppo di deliri o di sintomi negativi). La scz può essere classificata oltre che per sottotipi anche in base alla prevalenza di sintomi positivi o negativi. Esempio di scz con esordio strisciante: ragazzo di 20 anni che ha un conflitto con la ragazza. 1° sintomo: sintomo somatico con un rifiuto del cibo a causa dell’idea che mangiare lo fa star male. 1a ipotesi: anoressia nervosa, ma il pz non si mostra preoccupato del peso corporeo. 2a ipotesi: delirio ipocondriaco, però il pz non pensa di avere una malattia che gli impedisce di mangiare. Col tempo abbandona il lavoro e reagisce violentemente sia verbalmente che fisicamente a chi lo sprona a mangiare. Mangia pochissimo, si isola e non esce di casa. Altri sintomi d’esordio possono essere: deficit di rendimento scolastico, studio ossessivo di una sola materia senza costrutto. Luca Bello Torniamo a questi 5 sottotipi di diagnosi di schizofrenia. Abbiamo visto che è possibile differenziare da un punto di vista clinico i pazienti secondo un modello dimensionale, che è quello dei sintomi positivi e negativi. Che senso ha questa classificazione? Prima ancora che avere un senso clinico, il primo modo di classificare i pazienti (quello dei sottotipi) è un modo per fare categorie; per es. si dice “Questo paziente appartiene al sottotipo paranoide”, oppure “Questo paziente non appartiene al sottotipo paranoide”; poi c’è l’aspetto clinico, perché le divisioni in sottotipi hanno sì un’importanza clinica, ad es. il 68 Schizofrenia sottotipo paranoide ha un’evoluzione più favorevole del sottotipo “disorganizzato”, per esempio. Invece, il modello dimensionale non dice “Questo paziente ha solo sintomi positivi o solo sintomi negativi”, ma dà una valutazione quantitativa, non di appartenenza o di nonappartenenza. Allora un paziente può avere una prevalenza di sintomi positivi o di negativi. Questo da un punto di vista clinico è ancora più funzionale della sottoclassificazione in categorie, perché mentre con le categorie si può solo definire a che sottotipo appartenga o non appartenga un paziente (ad es. il sottotipo “indifferenziato” è molto eterogeneo, poco si può dire dal punto di vista prognostico), il modello dimensionale ha grande valore prognostico, perché parla di prevalenza di sintomi positivi o di negativi. E bisogna tenere a mente che quando c’è prevalenza di sintomi positivi la prognosi è migliore rispetto a quando c’è prevalenza dei negativi. Un altro dato importante è che in genere i pazienti con prevalenza di sintomi negativi presentano delle alterazioni anatomo-patologiche più evidenti di quelle dei pazienti a prevalenti sintomi positivi (per es. i segni di atrofia cerebrale alla TAC, o di lieve modificazione dei ventricoli cerebrali). Parliamo ora dei fattori eziologici. Ci sono dei fattori di tipo genetico, suddivisibili in tre modelli: gli studi familiari (che valutano la prevalenza del disturbo nei familiari di 1° e 2° grado nei pazienti con diagnosi di schizofrenia; in genere gli studi hanno rivelato che esiste una maggior prevalenza di diagnosi di schizofrenia tra i parenti degli schizofrenici, che non in gruppi di controllo), gli studi sui gemelli (differenza tra omozigoti e dizigoti), e infine gli studi sulle adozioni (ad es. studi che hanno cercato la concordanza della diagnosi tra gemelli e adottati, hanno dimostrato che la concordanza della diagnosi era molto più elevata tra i genitori biologici e tra i parenti biologici che tra i genitori adottivi e i parenti dei genitori adottivi; ciò significa che, in questa prospettiva di studi, la componente genetica è predominante rispetto alla componente ambientale, cioè non sono le relazioni familiari che producono la schizofrenia, quanto piuttosto è la schizofrenia che rende disturbate le relazioni all’interno della famiglia. Ed in effetti nelle famiglie di pazienti schizofrenici esistono delle problematiche molto specifiche che verosimilmente sono una conseguenza dell’insorgenza della malattia e non ne sono la causa). Vi sono dei fattori neurochimici, ed in particolare l’ipotesi dopaminergica, che è quella su cui si basa tra l’altro la terapia farmacologica della schizofrenia. Poi vi sono fattori di neurosviluppo, che individuano come nei pazienti schizofrenici vi siano dei danni perinatali diversi, non necessariamente traumatici, molto più frequenti che nei gruppi controllo. 69 Schizofrenia Esiste anche un’ipotesi virale, legata al riscontro di una stagionalità della nascita dei pazienti schizofrenici. E infine esistono dei fattori psicosociali come lo stress e la classe socio-economica: lo stress, soprattutto se ripetuto, può avere un valore di tipo scatenante; sarebbe azzardato però dire che lo stress abbia propriamente un valore eziologico. Per quanto riguarda la classe socio-economica, gli schizofrenici appartengono sicuramente ad una classe economica più bassa. Questa osservazione potrebbe però dipendere sia dal fatto che chi vive in condizioni più difficili sia più facilmente sottoposto a stress (che favorisce l’insorgere della malattia), ma potrebbe anche voler dire che le persone che hanno una diagnosi di schizofrenia presentano quella che viene chiamata “deriva psicosociale”, cioè chi per es. ha un lavoro soddisfacente ed economicamente solido può compromettere il lavoro a causa della malattia, perdere il lavoro e scendere i gradini della piramide sociale. Quindi in definitiva, che gli schizofrenici appartengano alle classi basse potrebbe essere una conseguenza e non una causa della malattia. Questi sono dati sulla prevalenza della schizofrenia. Riguarda l’1-2% della popolazione generale. La prevalenza aumenta nei gemelli monozigoti fino al 47%. Questo vi dice che la componente genetica è forte, ma non è tutto, perché avendo un patrimonio genetico comune, se la malattia fosse esclusivamente di carattere genetico, la prevalenza sarebbe del 98% circa. Esiste una quota non trascurabile di gemelli monozigoti di cui uno è schizofrenico, e l’altro non si ammala mai di schizofrenia. Quando i due genitori sono entrambi schizofrenici, il 40% dei figli si ammala di schizofrenia. Quindi ripeto, la componente genetica è importante ma non è tutto. Fattori virali e fattori di sofferenza neonatale possono avere lo stesso impatto su alcune vie dopaminergiche e compromettere la funzionalità della trasmissione nervosa. Oggi si ritiene che la schizofrenia, come diceva Kraepelin, sia una malattia del cervello, e che ci siano delle alterazioni che rimangono silenti per molti anni prima di manifestarsi. Ciò perché il neurosviluppo si conclude in una fase molto avanzata, e durante lo sviluppo possono esserci dei deficit cognitivi così parziali che non si manifestano fenotipicamente se non quando c’è una convergenza di diversi deficit neurocognitivi. Quindi, l’1-2% della popolazione generale ha o ha avuto una diagnosi di schizofrenia. La distribuzione della malattia è simile tra maschi e femmine, ma negli uomini l’esordio è precoce rispetto alle donne. La precocità d’esordio è associata ad un tasso più elevato di complicazioni perinatali. Questi tre fattori, l’appartenenza al sesso maschile, la presenza di complicazioni perinatali e l’esordio precoce, sono fattori prognostici negativi. Come in molte patologie psichiatriche, nonostante la gravità del disturbo, solo la metà dei casi riceve un trattamento (patologia sottodiagnosticata, così come il disturbo depressivo maggiore). E 2/3 dei pazienti arrivati all’osservazione vengono ospedalizzati. Quali sono 70 Schizofrenia le indicazioni all’ospedalizzazione oggi? Fino a 30 anni fa lo schizofrenico veniva rinchiuso in ospedale psichiatrico per tutta la vita. Oggi vengono ricoverati nei “Servizi di diagnosi e cura”, che sarebbero deputati al trattamento delle situazioni acute. Talvolta l’ospedalizzazione può avvenire contro la volontà del paziente, attraverso la procedura detta “Trattamento Sanitario Obbligatorio” (1-2% dei pazienti; deve essere autorizzato dal sindaco e firmato da due medici diversi). I ricoveri vengono effettuati o nelle situazioni ad esordio acuto, dove ci sono manifestazioni psicopatologiche clamorose (per es. una situazione delirante o una allucinazione che può portare il paziente ad uno stato di angoscia molto elevato con agitazione psicomotoria, paura nei confronti dei familiari che magari sono inglobati nel delirio - con rischio di aggressività), oppure quando ci sono le riacutizzazioni della malattia (agitazione psico-motoria, delirio, disorientamento…), oppure quando il paziente ha perduto delle competenze sociali, non è più autosufficiente, ed il ricovero avviene perché qualcuno provveda ai bisogni primari, a instaurare e regolare una terapia farmacologica, ed eventualmente a dimettere il paziente con un inserimento in una di quelle strutture intermedie che la legge prevede, ma che non sempre però sono accessibili. L’ospedalizzazione dura da 15-20 giorni a 1-2 mesi. Lo scopo principale è definire correttamente una diagnosi, instaurare un trattamento farmacologico e preparare il paziente alla dimissione (l’ambiente dove il paziente ritorna dopo l’ospedalizzazione deve essere accogliente; ad es. nel caso di una famiglia rifiutante, cosa non rara, bisognerà pensare ad un inserimento in un contesto diverso da quello familiare, anche per un periodo di tempo più lungo di quello ospedaliero). Domanda: “Tornando al discorso che solo metà dei casi riceve un trattamento, è la famiglia quindi che indirizza di solito il paziente all’ospedale?” Risposta: “Nella maggior parte dei casi (60-70% circa) i pazienti schizofrenici non chiedono un aiuto di propria iniziativa, perché spesso non c’è quella che si definisce “coscienza di malattia”. Quando un paziente è delirante e ritiene che i suoi familiari stiano ordendo una congiura nei suoi confronti, egli non si accorge che il proprio modo di pensare è espressione di una patologia, e quindi sono i parenti che lo inviano. Il ricovero è spesso difficile, bisogna convincere il paziente della necessità dell’ospedalizzazione (il paziente schizofrenico non è stupido, si rende conto del fatto che ci sono altre persone intorno a lui che la pensano diversamente, ma cerca comunque di difendere il proprio modo di pensare. Quando proprio è inconvincivibile, si passa al TSO). E ciò forse è alla base del fatto che solo il 50% dei pazienti riceve un trattamento, perché l’altra metà evita il trattamento (alcuni vanno via di casa, magari vivono ai margini della società; per es. la percentuale di schizofrenici tra i “senza tetto” è abbastanza elevata, e la maggior parte 71 Schizofrenia dei barboni sono in genere persone che hanno avuto una rapida caduta sociale, a volte proprio causata dall’insorgere della schizofrenia)”. Domanda: “Può spiegare meglio il concetto di stagionalità della nascita? “ Risposta: “La maggior parte dei pazienti schizofrenici nasce nei mesi invernali. Questa osservazione ha generato alcune ipotesi: la prima è l’ipotesi virale, cioè che ci siano dei virus lenti che colpiscano i soggetti in periodo perinatale (ad es. infezioni materne, le malattie materne durante la gravidanza…cioè danni pre-, durante e post-partum); l’ipotesi quindi è che nei mesi invernali si sviluppino più facilmente malattie virali che colpiscano i soggetti. La seconda ipotesi fa riferimento a qualche componente della dieta invernale, che possa in qualche modo agire; ma evidentemente siamo nel campo di ipotesi, non ci sono certezze”. Continuando a parlare di caratteristiche cliniche, come abbiamo già detto, la prognosi è migliore nelle donne. Un dato molto importante è che il 50% dei soggetti con schizofrenia tenta il suicidio: è un dato molto rilevante, se consideriamo che la percentuale di suicidi tra gli schizofrenici si avvicina a quella dei pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore, che è la malattia che più propriamente porta verso il suicidio. Ma il suicidio degli schizofrenici ha una fenomenologia abbastanza diversa da quella del paziente depresso: il suicidio dello schizofrenico è clamoroso, bizzarro, cruento (ad es. si gettano dai piani alti); nei depressi invece si ha molto di più l’assunzione di sostanze (in genere farmaci, ed i più pericolosi sono certamente i barbiturici, bastandone 20 compresse circa, mentre con le benzodiazepine bisognerebbe prenderne centinaia per avere dei problemi di sopravvivenza). In genere il suicidio del depresso è meditato, e si conclude con un passaggio all’atto che prevede un’organizzazione; mentre il suicidio dello schizofrenico è molto più spesso impulsivo, e quindi non particolarmente progettato. Il 10-15% dei pazienti schizofrenici che tentano il suicidio riesce nell’atto, e questo è un dato preoccupante. La schizofrenia è la malattia psichiatrica che occupa più posti letto ospedalieri, ed è anche quella che dà la maggiore compromissione sociale, scolastica, lavorativa e affettiva. Leggiamo ora una valutazione un po’ sommaria dei dati sull’evoluzione della schizofrenia: il 50% dei pazienti ha una cronicità che presenta periodiche esacerbazioni, c’è poi una percentuale non trascurabile di remissioni totali, ed infine una percentuale di pazienti che presentano sintomi residui, cioè una diminuzione delle proprie competenze sociali e cognitive, senza comunque che il disturbo eserciti un ruolo insostenibile per la loro vita di relazione. 72 Schizofrenia Due parole sul trattamento: il trattamento farmacologico è indispensabile, ma purtroppo non è risolutivo; piuttosto lo potremmo definire “sintomatico”, particolarmente attivo in genere sui sintomi positivi, e meno sui negativi. Antipsicotici classici sono la CLOROPROMAZINA (300-800mg), la TIORIDAZINA (100-500mg) e l’ALOPERIDOLO (630mg). E’ dimostrato che pazienti che seguono un trattamento farmacologico con regolarità presentano minori ricadute nel corso della vita (e quindi meno ospedalizzazioni). Purtroppo l’antipsicotico non fa guarire dalla schizofrenia, ma induce un contenimento dei sintomi più clamorosi; la terapia poi deve essere protratta per molti anni, e ciò fa capire come il farmaco non sia risolutivo. In genere tutti gli antipsicotici hanno un effetto sedativo; per alcuni è noto un effetto per così dire “incisivo”, cioè di efficacia sui sintomi positivi. Gli effetti collaterali più evidenti degli antipsicotici sono i cosiddetti “effetti extrapiramidali”: rallentamento motorio, tremori, aumento dell’ipertono muscolare (i pazienti sotto trattamento “si riconoscono a vista”). Gli antipsicotici di nuova generazione hanno minori effetti collaterali di tipo extrapiramidale, e hanno maggiore attività rispetto agli antipsicotici classici sui sintomi negativi (ad es. hanno un’influenza positiva sulla riduzione dei contatti sociali, sull’apatia, sulla reattività ed affettività RISPERIDONE (6-18mg). 73 appiattita): OLANZAPINA (10-20mg) e Schizofrenia LUCIA E MAX TRATTAMENTO FARMACOLOGICO Il trattamento è effettuato attraverso antipsicotici classici e di nuova generazione. I primi si suddividono grossolanamente in fenotiazine (cloropromazina, tioridazina; contengono tiazine) e in butirrofenoni (aloperidolo). Ci sono anche i tioxanteni, poco utilizzati (non inseriti nel lucido). Tutte queste classi esplicano la loro azione perché sono antagonisti dei recettori dopaminergici D2; questo è uno dei fondamenti dell’ipotesi dopaminergica della schizofrenia. Essendo antagonisti di tali recettori, sono tutti accomunati dal fatto di avere effetti collaterali di tipo extrapiramidale abbastanza trattati, come ipertono muscolare, tremori. Le fenotiazine sono anche ipertensive (meno i butirrofenoni). Un altro effetto collaterale marcato degli antipsicotici classici, ma in gran parte comune anche a quelli di nuova generazione, è il marcato aumento di peso: comporta perciò aumento di rischio cardiovascolare; può costituire uno dei motivi per cui il paziente schizofrenico è un paziente con aumentata commotività medica e fisica. In particolare, l’olanzapina (nuova generazione) aumenta il peso mediamente di 5-6 kg (“mediamente” significa che alcuni soggetti possono non aumentare affatto di peso, mentre altri soggetti possono presentare un aumento maggiore al valore su indicato) Si è parlato anche di maggiore rischio di diabete per i pazienti sottoposti a terapia cronica con olanzapina, ma non è un dato ancora del tutto confermato. I farmaci di nuova generazione sono stati sintetizzati a partire dagli anni ’50: il primo, la clozapina, è stato poi abbandonato perché presentava un rischio discreto di granulocitosi (1-5% dei soggetti). Oggi se n’è ripresa l’utilizzazione, sulla base del fatto che monitorando accuratamente il paziente fin dai primi giorni del trattamento l’evenienza di granulocitosi può essere prevenuta mediante la sospensione immediata del farmaco. La clozapina si è mostrata però molto efficace per due motivi: 1) ha degli effetti extrapiramidali molto poco marcati: difatti è debole antagonista dei recettori D2, mentre è forte antagonista dei recettori D4 e della serotonina, in particolare 5HT2A; 2) a livello clinico ha influenza notevole sui “sintomi negativi”2: gli antipsicotici classici esplicano un effetto prevalentemente sedativo, in quanto presentano un effetto maggiore sui “sintomi positivi”; la clozapina, invece, è in grado di esercitare un effetto anche sul paziente 2 Non solo la clozapina, ma tutti i farmaci di “nuova generazione” esercitano un effetto prevalente sui “sintomi negativi” rispetto agli antipsicotici classici. Il risperidone, invece, rispetto agli altri della sua classe, esercita un maggiore antagonismo per i recettori D2, ciò che lo rende più simile agli antipsicotici classici: si possono perciò trovare sintomi extrapiramidali che non si rilevano con clozapina, olanzapina, quetiapina. 74 Schizofrenia apatico, scarsamente produttivo: attraverso il trattamento con tale farmaco, si può ad esempio recuperare una migliore capacità di socializzazione, con risultati positivi a catena sull’evoluzione dell’intera malattia. Gli altri farmaci di nuova generazione (vedi SINOSSI) sono antagonisti prevalentemente dei recettori D1, scarsamente di D2 e di 5HT2A. La terapia continuativa con questi farmaci è certamente efficace nella riduzione della sintomatologia e nel ridurre anche la quantità di recidive. Sono tuttavia dei farmaci abbastanza impegnativi: ad esempio, gli antipsicotici di vecchia generazione sono mal tollerati dai pazienti proprio per gli effetti sedativi extrapiramidali che comportano. La compliance al trattamento da parte dei pazienti schizofrenici può talvolta essere molto scarsa proprio per il tipo di psicopatologia che tali persone presentano; alla sospensione del trattamento o con un trattamento seguito non adeguatamente i problemi clinici possono diventare più rilevanti. SINOSSI FARMACI ANTIPSICOTICI: Antipsicotici classici (antagonisti recettori dopaminergici D2): • Cloropromazina 300-800 mg • Tioridazina 100-500 mg • Aloperidolo 6-30 mg Antipsicotici di nuova generazione: • Clozapina 200-400 mg Debole antagonista D2, antagonista D4 e • Olanzapina 10-20 mg Antagonista D1, D2 e 5HT2A • Risperidone 6-18 mg Antagonista D1, D2 (cfr. nota 1) e 5HT2A • Quetiapina 400-800 mg Antagonista D1, D2 e 5HT2A 5HT2A Ci sono alcuni fattori che possono influenzare la compliance da parte dei pazienti: ad esempio, la semplificazione del numero di prescrizioni facilita l’adesione al trattamento; o un buon sostegno da parte dei familiari, che magari verificano l’adeguato svolgersi della terapia. Esistono poi delle formulazioni di questi farmaci, detti depot: il più utilizzato in questo senso è l’aloperidolo. Vengono praticati con fiala iniettata i.m., e la durata della fiala è di circa 30 gg. Questo pone dei problemi per quanto concerne la possibile comparsa di effetti collaterali che non possono essere ridotti una volta somministrata la fiala: il più grave, legato agli antipsicotici classici, è certamente la sindrome maligna da neurolettici: può comparire in qualsiasi momento del trattamento, comporta una forte 75 Schizofrenia rabdomiolisi, innalzamento febbrile, esito talvolta letale; va riconosciuta con gran rapidità, sospendendo il farmaco, e mettendo in atto terapie adeguate per ridurne gli effetti. Trattamenti non farmacologici Il trattamento farmacologico non è l’unico nella schizofrenia. Va considerata l’ospedalizzazione nel circa 50% dei pazienti: effettuata nelle fasi acute, con durata media di 1-2 mesi, con scopo fondamentale di impostare o re-impostare un trattamento, e di predisporre condizioni psico-sociali che consentono al paziente di ritardare la recidiva o un episodio successivo. La presenza di una patologia mentale come la schizofrenia all’interno di una famiglia è un problema molto grave, nel senso che il carico familiare tollerato con questi pazienti sia per le spese, sia per quanto riguarda il clima sociale e il conseguente l’isolamento3, è molto pesante. Uno dei presidi terapeutici da considerare al momento della dimissione del paziente riguarda il sostegno da dare alla famiglia, affinché riesca a tollerare le problematiche che una situazione schizofrenica può generare; soprattutto va considerato il fatto che tale paziente crea conflitti nell’ambiente familiare, i quali a loro volta possono contribuire alla componente di stress che favorisce una recidiva nel paziente stesso. Fin dagli anni ’60, soprattutto in Inghilterra, sono stati studiati dei programmi informativi nei confronti dei familiari dei pazienti schizofrenici: prescindendo dal descrivere un’ipotesi eziologica sulla malattia, si limitano a fornire tutte le informazioni pratiche che consentono di capire meglio certe situazioni, di sapere in quali di queste bisogna ricorrere alla richiesta di trattamento, e di affrontare il difficile percorso per arrivare a gestire il paziente in casa. Per esempio, è molto importante che i familiari imparino a non etichettare le diverse problematiche del paziente come aspetti negativi del suo stesso carattere: un paziente con prevalenza di “sintomi negativi” corre infatti il rischio di soffrire di notevoli critiche da parte di amici e familiari, i quali possono accusarlo di essere pigro, indolente, privo d’iniziativa… I particolari atteggiamenti assunti dal paziente, cioè, non vengono interpretati come segni di malattia, quali effettivamente sono, bensì come difetti caratteriali che, se adeguatamente rimproverati, possono essere opportunamente modificati e corretti. Considerare certi comportamenti come segni di malattia, invece, permetterebbe ai familiari di tollerare meglio la situazione e di 3 Una famiglia con paziente schizofrenico automaticamente riduce i propri contatti sociali: è difatti difficile lasciare un figlio schizofrenico a casa da solo in certe situazioni, o invitare qualcuno data la sua presenza. 76 Schizofrenia predisporre una risposta corretta ai fini del trattamento. In caso di esplosioni acute spesso i genitori non sanno a chi rivolgersi: si tratta perciò di fornire anche numeri telefonici e recapiti. Alcuni ricercatori si sono accorti che, in relazione a certe condotte o caratteristiche della famiglia, l’evoluzione del disturbo può essere molto diversa: in particolare sono state identificate e quantificate le caratteristiche di expressed emotions. Le famiglie con alta emotività, criticismo, tendenza ad esprimere apertamente le proprie emozioni, sono infatti quelle nelle quali il paziente presenta un’evoluzione meno positiva. I programmi messi a disposizione del pubblico hanno appunto lo scopo di ridurre le “emozioni espresse” all’interno del contesto familiare; si é dimostrato che l’aver seguito questi programmi psico-educativi produce un effetto favorevole nei pazienti: ovvero si osserva una percentuale di recidive minore rispetto a quei pazienti le cui famiglie non si sono sottoposte a tali programmi. Esistono infine strutture intermedie, definite come comunità terapeutiche residenziali, protette o non protette, in cui alcuni pazienti, in numero compreso fra 10 e 15, vivono assieme. Sono protette quando nella comunità c’è presenza continuativa di almeno un infermiere; non protette quando la presenza degli infermieri c’è solo nelle ore diurne. In queste comunità vengono messi in atto programmi di riabilitazione psico-sociale, in cui si cerca di restituire al paziente quelle competenze sociali e lavorative gravemente diminuite a causa della malattia. Si utilizzano tecniche comportamentali, o metodiche più pratiche: aiutare il paziente a prepararsi da mangiare, a stare insieme agli altri, motivarlo ad avere rapporti interpersonali, ecc. Forme attenuate di schizofrenia DISTURBO SCHIZOFRENIFORME Non c’è grave disfunzione sociale e lavorativa, perché la durata del disturbo è breve (superiore al mese, inferiore ai 6 mesi: in questi tempi la compromissione sociale non è pesante). Il D. S. è un episodio acuto con insorgenza rapida – e quanto più rapida è l’insorgenza, tanto più favorevole è la prognosi. La sintomatologia può essere però diagnosticata come tale solo dopo qualche tempo, a posteriori, cioè solo dopo (entro qualche mese, < 6 mesi) la certezza che vi sia stata una remissione totale; diversamente nel caso in cui la durata si prolunga, dacché la sintomatologia non è diversa da quella di un episodio acuto di schizofrenia. I 2/3 dei pazienti hanno un decorso che evolve verso la schizofrenia. 77 Schizofrenia DISTURBO SCHIZOFRENIFORME Disturbo schizo-affettivo Criteri diagnostici DSM IV: Criteri diagnostici DSM IV: A. Assenti i criteri DSM IV per la A. Un periodo di malattia durante il schizofrenia quale B (disfunzione sociale e lavorativa) depressivo maggiore (almeno 15 gg.) eC si manifesta un episodio o un episodio maniacale o misto (durata minima 6 mesi). (almeno 7 gg.) in concomitanza al B. Durata > 1mese, inferiore ai 6 criterio A della schizofrenia mesi. B. Deliri o allucinazioni per almeno 2 sett. senza alterazioni dell’umore. Segni prognostici favorevoli: C. I sintomi dell’alterazione di umore • insorgenza acuta; sono presenti per una considerevole • confusione o perplessità; parte della malattia. • buon funzionamento D. Non è dovuta a condizioni mediche. sociale/lavorativo; • nessun appiattimento affettivo. Disturbo schizo - affettivo Periodo di malattia – per esempio delirio, allucinazioni, - durante il quale si manifesta un episodio depressivo maggiore di almeno 15 gg. o un episodio maniacale di almeno 7 gg., in concomitanza con la presenza almeno 2 sintomi tra deliri, allucinazioni, eloquio e comportamento disorganizzati, sintomi negativi (apatia, alogia, abulia). Durante tale periodo, compare un episodio depressivo della durata di almeno 15 gg., che può durare anche un mese o due e poi esaurirsi. I deliri e le allucinazioni devono essere perdurati senza alterazioni dell’umore, altrimenti prevale la diagnosi di disturbo dell’umore. I sintomi umore sono comunque presenti per una considerevole parte della malattia. Può essere di tipo bipolare – quando sono presenti episodi maniacale misto – o di tipo depressivo – quando è stato presente un episodio di tipo depressivo. E’ maggiormente presente nelle donne. La prognosi è migliore che nella schizofrenia, ma peggiore che negli altri disturbi psico-affettivi. 78 Schizofrenia DISTURBO DELIRANTE (PARANOIA) Rispetto al disturbo schizofreniforme, il disturbo delirante – che deve essere sempre posto in diagnosi differenziale con la schizofrenia – è caratterizzato da una durata protratta nel tempo: è in genere un disturbo cronico, che a differenza della schizofrenia non esordisce in età adolescenziale ma, di solito, intorno ai trent’anni. I deliri che possono essere presenti sono abbastanza lucidi, sistematizzati, non bizzarri4: esempio delirio persecutorio, di essere traditi, ecc. Il delirio non invade tutta la vita della persona, ma resta focalizzato attorno ad un tema: se ad esempio esiste un delirio di gelosia, il paziente ha solo quel delirio e i suoi rapporti interpersonali e con la realtà non sono affatto compromessi. Molto raramente simili pazienti, perciò, ricorrono ad un aiuto professionale. Disturbo delirante significa anche paranoia: un paziente con simile disturbo può avere anche delirio di grandezza. Il rapporto tra paranoia e potere è molto importante. DISTURBO PSICOTICO BREVE Criteri diagnostici DSM IV: A. Almeno uno dei seguenti: deliri, allucinazioni, eloquio disorganizzato, comportamento disorganizzato o catatonico. B. Durata > 1 giorno, < ad 1 mese. C. No: disturbo dell’umore con manifestazioni psicotiche, schizo-affettivo, sostanze, condizioni mediche. • con o senza rilevante fattore di stress • con insorgenza nel post-partum Confronto fra schizofrenia e altri disturbi psicotici PREVALENZA Schizofrenia ETÀ DI INSORGENZA 1% 16-30 4 DECORSO cronico Il delirio della “macchina influenzante” è un esempio di delirio bizzarro: la persona ritiene di essere comandata da fili invisibili che partono da un mobile del suo appartamento ed entrano nel suo cervello. Il suo comportamento è determinato da impulsi che originano da un marchingegno presente nel mobile. 79 Schizofrenia Dist. schizofreniforme 0,2% 16-30 2/3 schizofrenia Dist. schizo-affettivo <1% 18-25 migliore 0,8% 20-50 remissioni, raro 18-24 pochi giorni peggiore d. aff. Dist. delirante cronicizzazione Dist. psicotico breve 80 s., Disturbi dell’umore Sara Zardo DISTURBI DELL’UMORE I disturbi dell’umore comprendono tutti i disturbi depressivi e i disturbi bipolari. Avevamo già detto che l’umore è la coloritura con cui noi affrontiamo la vita di tutti i giorni ed è importante distinguere un momento di tristezza da quello che è il vero disturbo depressivo nel corso del quale l’umore depresso si protrae per diversi giorni (il DSM IV dirà almeno 15 giorni di seguito). Il dispiacere di qualche giorno dovuto alla perdita di una persona cara o ad altri eventi non deve essere inteso come sindrome depressiva e come malattia. Questo è importante perché molto spesso la depressione viene sottovalutata e non considerata una malattia bensì una forma di debolezza di carattere e una reazione normale a determinate situazioni difficili. Di conseguenza non vengono curate delle persone che potrebbero trarre giovamento da un adeguato trattamento. La depressione e disturbi dell’umore in generale colpiscono un’altissima percentuale di persone, più del 10% (prevalentemente le donne: una donna su 5 si ammala di depressione nel corso della vita). Queste malattie hanno un costo economico elevato (negli USA 43 miliardi di dollari l’anno vengono spesi per le cure mediche e la perdita di produttività legata al diminuito rendimento lavorativo dei soggetti malati). La depressione è una complicanza di molte malattie internistiche e aumenta anche il rischio di contrarre altre patologie; per esempio è stato dimostrato che nelle persone che dopo un episodio di infarto o di ictus sviluppano un disturbo depressivo la mortalità aumenta, indipendentemente dalla gravità della precedente patologia. Quindi la depressione è una delle complicanze delle malattie cardiovascolari aumentando la mortalità. Un altro punto molto importante è che la depressione è la malattia che causa il maggior numero di morti per suicidio; nelle depressioni gravi il 15% dei pazienti si toglie la vita. Il suicidio è una delle prime cause di morte nei paesi occidentali e nelle persone giovani; è solitamente più frequente nei maschi nonostante la depressione colpisca maggiormente le donne. Si cerca in tutti i modi quindi di impedire tale esito e il modo migliore è quello di riconoscere e curare la depressione dato che il maggior numero di suicidi si verifica nei casi di depressione non/mal curata. Il fatto che spesso si senta dire che il suicidio si associa all’assunzione di farmaci non significa che siano i farmaci stessi a provocarlo; piuttosto questa associazione statistica ci deve far pensare che la terapia farmacologia può non essere stata adeguata (dosi troppo basse) o comunque conferma il fatto che il soggetto era depresso e che per questo assumeva dei farmaci (la causa del tentativo o del compimento del suicidio quindi sarà la depressione non la terapia!). Altro aspetto 81 Disturbi dell’umore importante è che la depressione predispone all’uso di sostanze e soprattutto di alcol che vengono assunte come automedicazione proprio perché c’è la convinzione che la depressione non sia una malattia bensì una reazione inadeguata della persona di fronte a un determinato evento. Di conseguenza la persona tende ad autocurarsi e se sente che una particolare sostanza allevia la sua sofferenza può anche diventarne dipendente (nella maggior parte dei casi alcol). Qui di seguito vengono elencati i fattori a cui è collegato il costo della depressione quando non viene trattata (dati sempre relativi agli Stati Uniti). I costi della depressione non trattata sono ascrivibili a tre capitoli essenziali, cioè la mortalità, la morbilità e i costi per la società. (vedi diapositiva n° 2, lezione n°12) Qui di seguito invece vengono elencati i dati sulla prevalenza dei disturbi dell’umore. La prevalenza è la presenza della malattia in un determinato momento, mentre la prevalenza lifetime è la presenza di malattia nel corso di tutta la vita.(vedi diapositiva n° 3) I disturbi bipolari sono più rari anche se molto più gravi e non presentano differenze tra sessi diversi. Ciò che determina la depressione sembra essere l’interazione tra alcuni eventi della vita stressanti (una perdita, un divorzio…) e una maggiore vulnerabilità definita geneticamente. Esempi di come un evento di vita può condizionare un disturbo dell’umore: (vedi diapositiva n°4) CLASSIFICAZIONE DEL DSM IV Il DSM IV ha fatto una classificazione dei vari disturbi dell’umore: • Episodio depressivo m aggiore A. Cinque o più dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti per un periodo di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento; almeno uno dei sintomi deve essere: 1)umore depresso o 2) perdita di interesse o piacere (anedonia). N.B: escludere sintomi chiaramente dovuti ad una condizione medica generale, o deliri o allucinazioni incongrui all’umore. Tra gli altri sintomi possono esserci: a) Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutto il giorno 82 Disturbi dell’umore b) Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte le attività per la maggior parte del giorno, q.o.g c) Significativa perdita o aumento di peso, oppure aumento o diminuzione dell’appetito, q.o.g d) Insonnia (il soggetto non riesce a dormire o la mattina si sveglia molto presto) o ipersonnia (il soggetto sta sempre a letto e quando si alza è sonnolento), q.o.g e) Agitazione o rallentamento psicomotorio, q.o.g (oggettivo) f) Affaticabilità e mancanza di energia, q.o.g g) Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati che possono essere deliranti, q.o.g (sintomi più cognitivi ovvero che riguardano il giudizio di sé: senso di colpa, bassa autostima, rassegnazione, motivo per il quale spesso il paziente non cerca aiuto nel trattamento) h) Ridotta capacità di pensare o concentrarsi o indecisione, q.o.g (una persona depressa non riesce a leggere un libro o un giornale perché manca la concentrazione) i) Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico; un tentativo di suicidio; l’ideazione di un piano specifico per commettere un suicidio. E’ molto importante indagare l’ideazione suicidarla, parlandone con il paziente senza evitare l’argomento anzi chiedendogli i particolari. Questo permette la verbalizzazione di tale angoscia e può aiutare il paziente a liberarsene oppure aiutare noi a capire meglio quanto questa intenzione è motivata (ci ha solo pensato? O sta già pensando a come mettere in pratica l’atto del suicidio?). B. I sintomi devono escludere un episodio di tipo misto. C. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti. D. I sintomi non devono essere dovuti all’uso di sostanze o a un’altra malattia (per esempio l’ipotiroidismo può dare depressione). E. Dobbiamo escludere la presenza di un lutto. Una depressione può essere legata alla perdita di una persona cara, il che entro certi limiti è normale; se però i sintomi persistono per più di 2 mesi si definisce “lutto complicato” ovvero che è esitato in una depressione. In quel caso si prende in considerazione il trattamento. Non si interviene subito sulla depressione, piuttosto si fanno dei trattamenti psicoterapici brevi che agiscono sulla crisi 83 Disturbi dell’umore dovuta al lutto. Si cerca di permettere al soggetto di uscirne da solo, altrimenti si interviene con la terapia. Non bisogna medicalizzare qualsiasi situazione. Domanda: “E’ più frequente che sia il soggetto depresso a chiedere aiuto per sconfiggere la depressione o che siano i familiari a rendersi conto che c’è un problema in questa persona?” Risposta: “Normalmente è il medico che si accorge della depressione nel paziente, già il medico di base dovrebbe segnalare il problema. Uno dei problemi fondamentali della psichiatria è che raramente il paziente è consapevole della sua malattia, si rende conto di stare male, ma non la considera una vera malattia e questo è il motivo per cui troppo spesso il soggetto depresso non si sottopone a una terapia adeguata. Il ruolo del medico di base dovrebbe essere proprio quello di diagnosticare per tempo questo disturbo, invece di sottovalutarlo. La diagnosi precoce è molto importante.” • Episodio m aniacale A. E’ in un certo senso il contrario della depressione. E’ un periodo definito di umore anormalmente e persistentemente elevato, espansivo o irritabile, della durata di almeno una settimana (o di qualsiasi durata se è necessaria l’ospedalizzazione). E’ instabile e può passare da periodi di ottimo umore a periodi di irritabilità non giustificata. B. Durante il periodo di alterazione dell’umore devono esserci tre o più dei seguenti sintomi, o almeno quattro se l’umore è solo irritabile:. a) autostima ipertrofica o grandiosa (il soggetto pensa di poter fare qualsiasi cosa, soprattutto cose che non è stato prima in grado di fare.) b) diminuito bisogno di sonno (non soffre la mancanza di sonno, al contrario della persona depressa che non dorme e se ne lamenta). c) maggiore loquacità. d) fuga delle idee ( o sensazione di aumento di velocità dei pensieri. Per esempio il soggetto comincia diverse attività senza portarne e termine nessuna) e) distraibilità (rischio di incidenti stradali, sia per il punto a) che per l’elevata distraibilità). 84 Disturbi dell’umore f) aumento delle attività lavorative o di studio, ma senza un maggior rendimento; agitazione psicomotoria. g) eccessivo coinvolgimento in attività ludiche con rischi notevoli (per esempio sperperano il denaro, fanno investimenti sbagliati, svuotano negozi per il piacere di fare acquisti…) C. I sintomi non soddisfano i criteri per un episodio di tipo misto D. L’alterazione dell’umore è sufficientemente grave da causare una marcata compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre importanti aree o tale da richiedere l’ospedalizzazione per prevenire danni a sé o agli altri, oppure sono presenti manifestazioni psicotiche. • Episodio m isto A. Risultano soddisfatti i criteri sia per l’episodio maniacale che per l’episodio depressivo, ovvero sono presenti contemporaneamente sia sintomi depressivi gravi che sintomi maniacali gravi quasi ogni giorno e per almeno una settimana. Possono esserci delle grosse alternanze nei due tipi di sintomi oppure essere presenti sempre in contemporanea. Il paziente di fondo ha un umore depresso, ma non presenta gli altri elementi tipici della depressione (rallentamento, inibizione etc) bensì è disinibito e per questo ad alto rischio di suicidio perché accanto all’angoscia tende a strafare. B. Marcata compromissione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti o tale da richiedere l’ospedalizzazione per prevenire danni a sé o agli altri, oppure sono presenti manifestazione psicotiche. • Episodio ipom aniacale A. Un periodo definito di umore persistentemente elevato, espansivo o irritabile, che dura senza interruzione per almeno 4 giorni e che è chiaramente diverso dall’umore depresso abituale. La gravità e la durata, come dice la parola stessa, sono minori rispetto all’episodio maniacale. B. Durante il periodo di alterazione dell’umore sono presenti in modo persistente tre (più o meno) dei seguenti sintomi ad un livello significativo (4 se l’umore è solo irritabile): 85 Disturbi dell’umore (Sono gli stessi sintomi dell’episodio maniacale con la differenza che non c’è la compromissione della funzionalità sociale e lavorativa.) a) autostima ipertrofica o grandiosa (il soggetto pensa di poter fare qualsiasi cosa, soprattutto cose che non è stato prima in grado di fare). b) diminuito bisogno di sonno (non soffre la mancanza di sonno, al contrario della persona depressa che non dorme e se ne lamenta). c) maggiore loquacità d) fuga delle idee ( o sensazione aumento di velocità dei pensieri. Per esempio cominciano diverse attività senza portarne e termine nessuno). e) distraibilità (rischio di incidenti stradali, sia per il punto a) che per l’elevata distraibilità). f) aumento delle attività lavorative o di studio, ma senza un maggior rendimento e agitazione psicomotoria g) eccessivo coinvolgimento in attività ludiche con rischi notevoli (per esempio sperperano il denaro, fanno investimenti sbagliati, svuotano negozi per il piacere di fare acquisti…) Molto spesso le persone non identificano l’episodio ipomaniacale anzi lo descrivono come un particolare momento in cui stanno bene perché non più depressi, hanno voglia di fare più cose etc. Non si rendono conto che invece è un’alterazione al loro normale stato d’animo. C. L’episodio si associa ad un chiaro cambiamento nel modo di agire che non è caratteristico della persona quando è asintomatica. D. L’alterazione dell’umore e il cambiamento nel modo di agire sono osservabili dagli altri. E. L’episodio non è abbastanza grave da provocare una marcata compromissione in ambito lavorativo o sociale o da richiedere l’ospedalizzazione e non sono presenti manifestazioni psicotiche. F. I sintomi non sono dovuti a sostanze o a condizioni mediche generali. Vediamo ora le specificazioni per i disturbi dell’umore; questi infatti possono essere di diversi tipi: 86 Disturbi dell’umore Cronico: quando l’episodio dura da almeno 2 anni Con manifestazioni catatoniche: quando sono presenti almeno due dei seguenti sintomi: 1) immobilità (catalessia o stupor); 2) eccessiva attività motoria afinalistica; 3) negativismo estremo o mutacismo; 4) peculiarità dei movimenti volontari (mettersi in posa, stereotipie, manierismi); 5) ecolalia ed ecoprassia. La persona è immobile, non si riesce a farla mangiare, né parlare; è del tutto areattiva. Con manifestazioni melanconiche che rivestono maggior interesse. Gli antichi definivano la depressione con il termine di melanconia. Questo tipo di disturbo dell’umore oggi rappresenta un sottogruppo di pazienti depressi che hanno delle manifestazioni più biologiche e che nello stesso tempo rispondono più facilmente alla terapia. Le manifestazioni melanconiche sono: 1) la perdita di piacere o di reattività nei confronti di attività e stimoli piacevoli; 2) qualità particolare di umore depresso caratterizzato da un’angoscia endogena e non legata a eventi tristi o spiacevoli; 3) depressione peggiore al mattino con risveglio precoce e angosciato; 4) rallentamento motorio e agitazione; 5) anoressia significativa o perdita di peso; 6) sentimenti di colpa. Vediamo ora come questi diversi episodi si raggruppano per definire le sindromi o disturbi depressivi. 87 Disturbi dell’umore: Depressivi DISTURBI DEPRESSIVI D Diissttuurrbboo d deepprreessssiivvoo m maaggggiioorree E’ un disturbo in cui sono presenti episodi depressivi maggiori, ma non sono presenti tutti gli altri tipi di episodi visti finora. Può essere: ad episodio singolo quando si verifica un unico episodio depressivo nella vita o non ne sono ancora stati osservati altri. Non è inquadrabile in un disturbo schizoaffettivo e non è sovrapposto a schizofrenia o a disturbo delirante; non è mai stato presente un episodio maniacale, misto o ipomaniacale. ricorrente quando si verificano due o più episodi depressivi maggiori. Il seguito come sopra. Questo disturbo può essere grave, moderato o lieve; nel secondo caso può essere con/senza recupero interepisodico e ad andamento stagionale. Per esempio è nota la depressione nelle stagioni autunno/inverno; si usano in terapia delle lampade particolari a cui bisogna esporsi tutti i giorni alla stessa ora per 15 minuti; la luce emessa da queste lampade stimola la produzione di serotonina e melatonina. La cosa importante, soprattutto per la gravità della depressione, è la presenza di manifestazioni psicotiche, cioè deliri o allucinazioni che possono essere congrui o meno con l’umore. Una persona depressa per esempio vive con anomali sensi di colpa che talvolta possono arrivare fino al delirio, ovvero il paziente non è in grado di capire che tale senso di colpa è incongruo con la realtà. In questo caso, essendo un delirio associato alla depressione, è sufficiente la terapia antidepressiva per far passere anche il delirio. Se invece delirio e allucinazioni non sono congrui con l’umore in questione siamo di fronte a una forma più grave detta depressione psicotica che richiede quasi sempre l’ospedalizzazione e una terapia antidepressiva e antipsicotica. D Diissttuurrbboo ddiissttiim miiccoo Forma depressiva attenuata, ma più duratura nel tempo. Una volta veniva chiamata depressione nevrotica. Questo disturbo è caratterizzato da: A. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, come riferito dal soggetto e osservato dagli altri per almeno due anni (in bambini e adolescenti l’umore può essere irritabile). 88 Disturbi dell’umore: Depressivi B. Presenza, quando depresso, di due o più dei seguenti sintomi: 1) scarso appetito o iperfagia; 2) insonnia o ipersonnia; 3) astenia; 4) bassa autostima; 5) difficoltà nel prendere decisioni o di concentrazione; 6) sentimenti di disperazione. C. Durante i due anni i sintomi sono sempre stati presenti se non per periodi inferiori ai due mesi. D. Durante i primi due anni di malattia non è stato presente un episodio depressivo maggiore. E. Non è mai stato presente un episodio maniacale, ipomaniacale o misto. F. Il disturbo non si manifesta esclusivamente durante il corso di un disturbo psichico cronico. G. I sintomi non sono dovuti a sostanze o a condizioni mediche generali. H. I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale o lavorativo. D Diissttuurrbboo ddeepprreessssiivvoo N NA ASS Comprende tutti i disturbi depressivi che non rientrano in nessuna delle categorie finora considerate. Alcuni esempi sono: 1. Disturbo disforico premestruale: definito recentemente, con diminuzione del tono dell’umore, sintomi depressivi spesso accompagnati da disturbi somatici come gonfiore e dolorabilità. Questi sintomi devono essere presenti nella fase luteinica e scomparire in quella follicolare. 2. Disturbo depressivo minore (meno dei 5 sintomi). 3. Disturbo depressivo breve ricorrente: va da un minimo di 2 giorni a un massimo di 2 settimane e deve avere una frequenza di una volta al mese. 4. Disturbo depressivo postpsicotico della schizofrenia: frequente in persone che hanno subito trattamento per la schizofrenia. 5. Disturbo depressivo nel quale non sia chiaro o specificato se di origine primaria o secondaria 89 Disturbi dell’umore: Bipolari DISTURBI BIPOLARI In presenza di episodi di tipo maniacale, misto o ipomaniacale si parla di disturbi bipolari. Sono di due tipi: bipolare I e bipolare II che sono stati distinti perché vengono ereditati seguendo vie diverse e hanno diversa prognosi e tipo di trattamento. Il disturbo bipolare I si ha quando è presente un episodio maniacale o misto; è sufficiente un singolo episodio maniacale o misto per dire che si tratta di un disturbo bipolare I; a questo possono essere o meno associati uno o più episodi depressivi maggiori. Il disturbo bipolare II invece è caratterizzato da episodi ipomaniacali e episodi depressivi maggiori. Nell’episodio bipolare I possono essere presenti tutti gli episodi visti finora però ci deve sempre essere stato almeno un episodio maniacale; sulla base di quello che osserviamo nel paziente in quel momento distinguiamo il bipolare I a seconda dell’ultimo episodio che ha avuto. Potremmo avere quindi un episodio maniacale singolo (perché il paziente ha avuto solo quello) oppure può trattarsi di un episodio bipolare I con il più recente episodio ipomaniacale, maniacale, misto o depressivo. Sempre nella storia di quel paziente deve però esserci stato un episodio maniacale. Il disturbo bipolare II è caratterizzato dalla presenza di uno o più episodi depressivi e uno o più episodi di tipo maniacale. Dev’esserci la compresenza di entrambi questi tipi di episodi, e non di altri come l’episodio misto; il caso non deve rientrare entro i criteri del disturbo schizoaffettivo, e deve arrecare un disagio clinicamente significativo, con compromissione della funzionalità sociale. Tra i disturbi bipolari, il disturbo ciclotimico rappresenta una forma piuttosto attenuata. Esso prevede la presenza di episodi depressivi attenuati, ed episodi ipomaniacali. E’ il corrispettivo della distimia per i disturbi depressivi. Deve durare almeno 2 anni, con l’alternanza di episodi maniacali ed episodi depressivi; questi ultimi, però, non devono mai raggiungere la gravità dell’episodio depressivo maggiore. I ciclotimici hanno oscillazioni lievi, seppure clinicamente significative, del loro umore, sia nel senso maniacale sia nel senso depressivo. Durante questi 2 anni (notare l’analogia con la distimia) il soggetto non dev’essere mai stato libero dai sintomi per periodi superiori ai 2 mesi; non ci devono essere mai, lungo questi 2 anni di malattia, episodi depressivi maggiori o maniacali misti; non devono essere soddisfatti i criteri per un disturbo di tipo affettivo; i sintomi non devono essere dovuti a sostanze o a terapia 90 Disturbi dell’umore: Bipolari cronica con cortisonici, per esempio per malattie autoimmuni, infatti i cortisonici danno con una certa frequenza episodi di tipo ipomaniacale; il disagio infine dev’essere clinicamente significativo. I disturbi bipolari NAS (Non Altrimenti Specificati) comprendono tutti quei disturbi bipolari non strettamente rientranti nelle definizioni che abbiamo dato finora. Alcuni esempi possono essere l’alternanza rapida dell’umore, addirittura tanto rapida da non permettere in un dato momento di formulare una diagnosi di un tipo o dell’altro; oppure episodi maniacali ricorrenti senza interposti sintomi depressivi (anche se questo potrebbe rientrare nel disturbo bipolare 1); o altri episodi bipolari dei quali non sia chiara l’origine primaria. Veniamo ad una parte un po’ meno noiosa. [Ai posteri… NdS] Nel grafico è rappresentato un episodio depressivo. La linea orizzontale all’inizio rappresenta l’umore normale, a cui si succedono un calo dell’umore e quindi un ritorno all’umore normale. Il calo rappresenta l’episodio depressivo. Non curato, l’episodio dura dai 6 ai 24 mesi, ma esistono depressioni croniche in cui l’umore è costantemente abbassato. Si parla di risposta quando l’umore ha un miglioramento di almeno il 50%; e si distingue la risposta dalla remissione, la quale è invece definita da un recupero del 100% dell’umore. Per la quantificazione dell’umore esistono delle scale basate su tutti i sintomi che abbiamo visto nelle definizioni, e sulla gravità di ciascuno di essi. Ad esempio ad un tal sintomo si assegna un punteggio come 0=assente, 1=lieve e 2=grave, ottenendo per somma una cifra che dà una misura dell’umore. Comunque anche clinicamente, a prescindere dalle scale e dai punteggi, sia ha risposta quando l’umore migliora ma rimangono dei sintomi, come per esempio il calo della concentrazione: la persona insomma è migliorata ma non è tornata al funzionamento sociale che aveva prima. La scomparsa di tutti i sintomi depressivi rappresenta nei primi mesi, in genere 4-9 mesi, una remissione. Perché si 91 Disturbi dell’umore: Bipolari possa parlare di guarigione vera e propria, invece, questa situazione di recupero completo deve protrarsi per circa un anno dall’inizio dell’episodio depressivo. Uno dei problemi fondamentali che incontriamo nel trattare la depressione è costituito dalle ricadute. Pur avendo un alto tasso di guarigione, la depressione ha tuttavia un altissimo tasso di ricadute. Questo è il motivo per cui abbiamo definito la depressione ricorrente: questa ricorrenza si realizza molto di frequente fra i depressi. Dal punto di vista terminologico una ricaduta rappresenta un peggioramento che si verifica in fase di remissione: l’episodio depressivo è lo stesso e si ha una fase in cui i sintomi, dopo essere parzialmente scomparsi, si ripresentano e peggiorano. Una recidiva invece si ha in fase di guarigione, e pertanto si tratta di un nuovo episodio di depressione, distinto dal precedente. Da notare che questa distinzione semantica, che pure è definita rigorosamente e dev’essere tenuta sempre presente, nella pratica clinica può non essere così rigida. In particolare parlando con i pazienti si preferisce parlare di ricaduta, e non di recidiva che suona più minaccioso e meno intuitivo. La tendenza alle recidive dipende da alcuni fattori. Il prolungamento della terapia, sia farmacologica sia psicologica, tende a ridurre il rischio di recidive: e questa è una bella notizia. Una buona terapia deve andare al di là del singolo episodio, e protrarsi per una fase di mantenimento, il che diminuisce molto la frequenza di recidive. E’ pur vero che anche in corso di terapia di mantenimento, sia farmacologica sia psicologica, 10-15 persone su 100 vanno ugualmente incontro a recidive. Dopo ogni episodio il rischio di ricorrenza aumenta ulteriormente: chi ha già avuto un episodio ha un rischio 10 volte maggiore di andare incontro a depressione rispetto ad un soggetto con anamnesi negativa; dopo varie recidive il rischio di ammalarsi ancora raggiunge il 90%, cioè un rischio lifetime altissimo. Con il succedersi di vari episodi aumenta anche il rischio di cronicità, in altre parole aumenta la difficoltà a recuperare completamente dopo ciascun episodio. E’ come se la depressione avesse un effetto tossico sul nostro cervello: ne parleremo riguardo l’eziologia della depressione. I 92 Disturbi dell’umore: Bipolari predittori di recidiva sono il numero di episodi, la loro durata (soprattutto la durata di malattia non trattata), l’esordio precoce o tardivo, la comorbidità con altri disturbi, una storia familiare positiva per disturbi bipolari ricorrenti, il genere femminile, la non completa remissione con permanenza di qualche sintomo, nonostante la terapia (quest’ultima situazione comporta una alto rischio di ricaduta), e la mancata ripresa del funzionamento lavorativo. Ma un’altra importante causa di recidiva è la scarsa adesione al trattamento. E’ importante curare il problema della compliance. Motivi di scarsa compliance possono essere la scarsa informazione, o la scarsa convinzione che la depressione rappresenti un problema medico. Il problema della compliance, ad ogni modo, riguarda tutta la medicina. Quando si nota una scarsa compliance bisogna chiedersi se si è trascurato qualche aspetto della relazione con il paziente. Prima di prescrivere una terapia farmacologica è importante ad esempio avvertire dei possibili effetti collaterali, e cercare di ottenere la compliance e la collaborazione del paziente attraverso la ”verbalizzazione” di tutte le problematiche che possono emergere con l’uso dei farmaci o in corso di altre terapie: per esempio, nel caso specifico della depressione, inviare il paziente ad una psicoterapia senza prospettargliene il corso può portare a scarsa compliance; inoltre bisogna affrontare il pregiudizio nei confronti delle terapie farmacologiche, che è molto diffuso anche fra i medici! Anni fa è stato diffuso dal ministero della salute un messaggio pubblicitario contro l’uso di sostanze da parte dei giovani: ad una ragazza veniva offerta una “canna” e lei rifiutava dicendo: “No, mia nonna fa gli antidepressivi, io non voglio essere dipendente dalle sostanze”. Un simile accostamento può essere emblematico di come il pregiudizio vada anche oltre l’ignoranza o le conoscenze specifiche (si trattava di un messaggio ministeriale) ma sia profondamente radicato nelle coscienze. In realtà gli antidepressivi non danno dipendenza, ma pregiudizi del genere possono impedire alle persone di attuare una cura. Noi dobbiamo almeno cercare di portare avanti un’opera educativa. La profilassi delle recidive, ricapitolando, si fa in due modi: strategie psicoeducative, con informazioni fornite al paziente sulla malattia e sulla terapia, aumentano la compliance; e la terapia di mantenimento, che può andare al di là dell’episodio depressivo, arrivando a durare anche alcuni anni in presenza di certi fattori. Oltre alle recidive, un altro pericolo è quello dell’instaurarsi della cronicità. Un episodio depressivo può considerarsi cronico quando supera i 2 anni. Teniamo presente che il 20% dei pazienti che si ammalano di depressione 93 Disturbi dell’umore: Bipolari hanno sintomi per almeno un anno, ed il 12% superano i 5 anni. I fattori di rischio per la cronicità sono la familiarità, l’età avanzata, il ritardo nell’inizio del trattamento, l’alcolismo, la presenza di patologia medica preesistente (ad esempio il diabete può favorire la resistenza alla terapia) o infine la presenza di importanti problemi di ordine psico-sociale. L’esordio tardivo, cioè oltre i 50 anni di età, si associa a cronicità in maniera particolarmente forte in presenza di due fattori: lo scarso supporto sociale, o un’iniziale vasculopatia sottocorticale, spesso non diagnosticata, in altri termini un’iniziale demenza. Osserviamo ora le rappresentazioni grafiche dell’andamento temporale di vari tipi di disturbo: Nel primo grafico vediamo rappresentata una distimia. L’umore si presenta uniformemente deflesso ma non ai livelli della depressione maggiore. La situazione rappresentata dal secondo grafico è la depressione doppia, cioè una distimia complicata da una depressione maggiore. La persona ha per un paio d’anni un umore deflesso, ma non particolarmente basso: questo comporta comunque un elevato rischio di cadere in una depressione maggiore. Nel terzo caso vediamo un disturbo bipolare con tutte le varie sfumature di cui abbiamo parlato: depressione, mania, ipomania, episodio misto. Il senso di queste rappresentazioni non è puramente didattico: è utile dare al paziente carta 94 e penna e disegnare con lui Disturbi dell’umore: Bipolari l’andamento dell’umore. Bisogna valutare con attenzione gli spazi di normalità che il paziente, nel tracciare la linea, interpone tra un episodio e l’altro. Nelle persone con disturbi bipolari e ricorrenti questi spazi tendono ad accorciarsi, e questo è indice di gravità. Alcuni pazienti hanno una storia molto complicata, e dunque questo tipo di diagramma risulta particolarmente utile, soprattutto quando si segnano sul grafico anche i momenti in cui si sono realizzati eventi traumatici, stressanti, o comunque importanti nella vita del paziente. A volte, anzi, è l’unico modo per vederci chiaro… Quando si notano almeno 4 viraggi dal maniaco al depressivo nell’arco di un anno, si parla di ciclicità rapida. E’ una forma particolarmente grave di disturbo bipolare che va trattata ad hoc. Il decorso dei disturbi bipolari e dei disturbi unipolari ricorrenti può essere simile. In genere c’è una tendenza alla riduzione degli intervalli liberi fra gli episodi. La durata media del periodo di benessere dopo il primo episodio si attesta fra i 3 e i 5 anni, ma con il susseguirsi di ulteriori episodi questo tempo tende a ridursi sempre di più, fino a diventare 1 anno. A questo punto o la situazione si stabilizza, e il paziente continua ad avere ricadute con cadenza annuale, o nel peggiore dei casi il paziente progredisce ad un disturbo a cicli rapidi, la grave situazione citata sopra. I disturbi depressivi, come dicevamo, sono dovuti in parte ad una predisposizione di tipo genetico o biologico, associata ad eventi di vita stressanti di importanza più o meno rilevante. Sembra che questi ultimi siano importanti soprattutto nella fase iniziale, di scatenamento della malattia, la quale poi progredisce da sola, indipendentemente dal vissuto del paziente. Man mano che gli eventi si ripetono, sono sempre più svincolati dagli eventi della vita, diventano cioè endogeni. Una persona che ha sofferto di un episodio depressivo avrà comunque una diminuita capacità di adattamento allo stress emotivo, ed un evento stressante sarà più facilmente causa di ricaduta o recidiva. Bisogna tenere presenta diverse componenti di questo fenomeno: da una parte il vero e proprio effetto tossico della depressione sul cervello, dall’altro la possibilità che la persona si demoralizzi sentendosi in balìa del proprio male. In alcuni casi può anche essere che la malattia stessa, per sua natura, induca il paziente a rinunciare alla terapia, a convincersi che non c’è più niente da fare. D’altro canto quando una persona ha avuto beneficio da un primo trattamento, è informata e preparata sul fatto che la possibilità di ricadute è concreta e va affrontata precocemente, ed ha stabilito una relazione di coinvolgimento nella terapia assieme al medico, è difficile che non chieda aiuto al ripresentarsi dei sintomi. 95 Disturbi dell’umore: Bipolari Come dev’essere il colloquio con un paziente con disturbi dell’umore? Dare indicazioni generalizzate su questa materia è sempre difficile. Quanto segue vale soprattutto per il primo incontro con un paziente depresso o maniacale. E’ importante all’inizio essere attivi e direttivi: in questa fase non si può lasciare al paziente la scelta. Dobbiamo affermare l’importanza di intraprendere la terapia (naturalmente quando ne siamo noi stessi convinti) ricordando che il dubbio patologico, e l’incapacità a prendere decisioni, possono essere dovuti alla stessa malattia. Anche l’eccessiva responsabilizzazione va evitata: cercheremo di dare consigli di facile comprensione ed attuazione. E’ fondamentale cercare di instaurare un rapporto empatico, cercare di mettersi nei panni del paziente. Non è facile come a dirsi, e non tutti i terapeuti sono in grado di raggiungere sempre questo livello di partecipazione. La possibilità o meno di raggiungerlo dipende sia dai diversi tipi di paziente, sia dalla personalità del medico; ma si tratta comunque di qualcosa di importantissimo. Attenzione: mettersi nei panni di un depresso non vuol dire deprimersi a propria volta, ma piuttosto essere in grado di capire cosa sta provando il paziente in un dato momento, e comunicare questa comprensione. Dobbiamo incoraggiare ma non semplicemente rassicurare: frasi come “andrà tutto bene” possono essere percepite da chi soffre come un tentativo di sminuire la sofferenza. Non dobbiamo avere troppa fretta di esplorare il carattere del paziente, o i motivi psicologici più reconditi che potrebbero stare alla base della malattia. Ad esempio se il paziente prova rabbia inconscia nei confronti di un familiare, metterlo bruscamente di fronte a questa realtà può comportare un peggioramento della depressione. Il primo obiettivo non è capire tutti i complicati meccanismi psicologici che hanno portato il paziente alla depressione, ma sostenerlo e tirarlo fuori da questo stato patologico. In seguito si può attuare una psicoterapia o quant’altro riteniamo adeguato per indagare ulteriormente le cause della depressione. Ma non si tratta di un “giallo” in cui, una volta trovato il “colpevole”, il paziente è guarito… Prima di tutto occorre sostenere la persona, alleviare la sofferenza nell’immediato, nella consapevolezza del pericolo che si correrebbe nell’esporre un paziente depresso ad un ulteriore stress emotivo. Nel caso del paziente maniacale, che può avere comportamenti provocatori o addirittura deliranti, bisogna cercare di evitare lo scontro. E’ inutile cercare di puntualizzare che il delirio non corrisponde ad una situazione reale: il paziente si sentirà non capito, e sarà meno portato ad aderire al trattamento. Dobbiamo invece considerare che ci troviamo di fronte ad un sintomo grave, ed in un primo momento parzialmente assecondarlo, per poi aiutare il paziente a superarlo. E’ molto importante collaborare anche con i familiari o altre figure di supporto per rendersi conto di quale sia il funzionamento di base del paziente: ad esempio con la ciclotimia o con la distimia si rischia di scambiare per funzionamento di base quello che invece è un disturbo cronico: “Sono sempre stato/a così…”. Assieme ai familiari o agli amici è più facile 96 Disturbi dell’umore: Bipolari conoscere “com’era” il paziente per definire meglio il momento di inizio del disturbo ed il tipo di alterazione che è intervenuta. Tutta l’efficacia di questi trattamenti si basa sul livello di collaborazione che riusciamo ad ottenere dal paziente. Dunque l’informazione del paziente è una questione di efficacia oltre che una questione etica: informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sul trattamento. In particolare su quest’ultimo punto bisogna specificare: le probabilità di efficacia o inefficacia, il costo, e per quanto tempo il trattamento stesso andrà prolungato. Spesso si vedono pazienti che hanno preso un antidepressivo per un mese, su prescrizione del medico di base. Un antidepressivo per un mese non serve assolutamente a nulla, forse avrà appena cominciato a fare effetto. Dunque quando si prescrive un farmaco, bisogna dire per quanto si dovrà continuare la terapia, e non lasciare al paziente la scelta di sospendere il farmaco appena si sente bene, come si può fare magari con altri farmaci più banali. Il paziente dev’essere bene informato che la terapia potrebbe prolungarsi per alcuni mesi o anche più. Tutte queste informazioni non saranno mai abbastanza enfatizzate quando si ha a che fare con pazienti con disturbi dell’umore. Può essere utile anche decolpevolizzare il paziente rispetto ai suoi sintomi: la depressione è una malattia, e non una debolezza di carattere che possa dipendere dalla volontà della persona. E’ comune vedere pazienti depressi presentarsi con un grande senso di colpa, magari dovuto all’incomprensione dell’ambiente familiare. In effetti sarebbe bene che tutte le informazioni di cui sopra fossero date anche ai familiari. Al momento girano molti opuscoli informativi sulla depressione, fra i quali quelli diffusi da Idea, associazione per la lotta alla depressione, di cui Indro Montanelli è stato presidente onorario. Questa associazione è nata da un gruppo di persone che avevano sofferto della malattia, per combattere i pregiudizi molto diffusi su di essa, nonché sulle terapie che bisogna attuare per vincerla. E’ importante ricordare che la guarigione è la regola, non l’eccezione, e per il singolo episodio la percentuale di guarigione si attesta sul 90%. I trattamenti sono di vario tipo e diversi sono efficaci, il che permette la personalizzazione del percorso terapeutico. Lo scopo della terapia è sempre la guarigione, e non il miglioramento. Il rischio di ricaduta è però consistente: 50% dopo il primo episodio, 70% dopo due, addirittura 90% dopo 3 episodi. Pertanto sia i pazienti sia i familiari vanno avvertiti del rischio di ricaduta, ed educati a segnalarne tempestivamente i primi segni, per riprendere subito il trattamento. Al momento presente il trattamento farmacologico è mutuabile, ma fino a 3-4 anni fa erano mutuabili solo i triciclici, cioè i farmaci con più effetti collaterali, mentre gli altri erano a carico del paziente. In quel caso era bene parlare del costo. Quello che può essere costoso 97 Disturbi dell’umore: Bipolari anche oggi è la psicoterapia: il servizio pubblico fornisce senza dubbio il controllo psichiatrico e le psicoterapie brevi; ma non è in grado di fornire psicoterapie a lungo termine! Servirebbero più medici e psicologi... Se un paziente preferisce la psicoterapia al farmaco, dev’essere informato della differenza di costo, in termini di tempo e di denaro. In certi casi l’efficacia dei due tipi di trattamento è sovrapponibile. Torniamo alla distinzione fra risposta e remissione. Secondo la scala Hamilton si ha una “risposta clinica” con un miglioramento del 50% e “remissione” quando si è vicini al 100%. La percentuale di risposta ad una singola terapia ben fatta è del 60-70%, che è una cifra elevata. La percentuale di remissione completa è invece del 40%. Dopo l’inizio della terapia il 60-70% dei pazienti rispondono, e gli altri no. Se invece si dà un placebo, c’è comunque un terzo circa di risposta. Questo deve attirare la nostra attenzione sull’aspetto relazionale, sulla sensazione che il paziente ha di fare qualcosa per la propria depressione: il solo fatto di curarsi, di intervenire in una situazione di bisogno, fa sì che un terzo dei pazienti migliori del 50%. Tutti questi studi sono controllati e a doppio cieco. Ricordate che il placebo si dà solo all’interno di studi, e che questi farmaci sono già stati abbondantemente testati in passato, quindi al momento non ci sono in atto trials clinici di questo tipo; tra l’altro non mi risulta che a Padova siano mai stati portati avanti studi sulla depressione. Anche all’interno di studi, la somministrazione di placebo è ritenuta etica, e quindi attuata, solo in situazioni che non richiedono l’ospedalizzazione. Per esempio in presenza di sintomi psicotici non si somministrerà un placebo, piuttosto si testerà un nuovo farmaco contro uno vecchio. Gli studi in atto ora sono soprattutto studi di confronto fra farmaci. Quando si usa un placebo, il paziente firma un consenso informato sul fatto che, nel corso del programma di studio a cui aderisce, è possibile che gli venga somministrato un placebo. Questi studi vengono sempre effettuati secondo criteri etici rigidissimi, anche per evitare conseguenze legali. Ad esempio l’efficacia della terapia di mantenimento è stata studiata in questo modo: una popolazione di pazienti che dopo un episodio curato erano andati incontro a remissione veniva divisa in due gruppi, di cui uno continuava la terapia, mentre all’altro veniva somministrato il placebo. I responders, cioè i pazienti che rispondono alla terapia con un miglioramento parziale, hanno, per definizione, dei sintomi residui. La risposta, o remissione incompleta, non è sufficiente dal punto di vista clinico, perché i sintomi residui rappresentano un aumentato rischio di ricaduta. La remissione incompleta è una situazione clinica che va affrontata in modo specifico. La persona si sente meglio: è decisamente meno triste, e sono passate le idee di morte; ma possono permanere iniziativa ridotta, diminuita progettualità e 98 Disturbi dell’umore: Bipolari indecisione, scarso interesse in hobby e attività varie, scarsa socialità, scarsa qualità delle relazioni affettive o scarso funzionamento lavorativo. Tutto questo aumenta il rischio di ricaduta. La principale ipotesi da valutare è se l’incompletezza della remissione vada attribuita ad un trattamento inadeguato, in altre parole se una terapia diversa possa fare di più per il caso specifico. La terapia di mantenimento è caldamente consigliata nei casi in cui siano presenti dei fattori ad alto rischio di ricaduta/recidiva. In presenza di un unico episodio, si porta a termine il trattamento, sia esso farmacologico o psicoterapico, e lo si sospende. Un episodio unico comporta sempre la sospensione del trattamento dopo un certo periodo, a meno che l’episodio non abbia avuto una durata lunghissima, o fossero presenti sintomi psicotici, o la persona fosse in età avanzata. Se ci troviamo di fronte ad un secondo episodio, e soprattutto se gli episodi sono abbastanza ravvicinati, dobbiamo già valutare una terapia di mantenimento. Dunque una terapia di mantenimento, cioè una terapia che si prolunghi per qualche anno, è consigliabile se l’episodio è stato molto lungo o molto grave, se è avvenuto in età tardiva, o se è stato preceduto da uno o più episodi diversi. Finché la remissione non diventi completa, la terapia non andrebbe sospesa: il rischio di recidive è alto. Inoltre, anche in fase di sospensione della terapia, bisogna stare attenti. E’ stato rilevato che se dopo la fase acuta la terapia viene sostituita con placebo, la percentuale di ricaduta è del 50%; ma se l’antidepressivo viene continuato, la percentuale crolla al 10%. Dunque l’opinione attuale è che i farmaci antidepressivi aiutino a prevenire le recidive, e molti di questi farmaci hanno oggi come indicazione, a fianco al trattamento dell’episodio acuto, la prevenzione delle recidive. Domanda: E’ possibile che un paziente depresso, non sentendosi capito dai familiari o dagli amici, ricorra ad un gesto eclatante, come un tentativo di suicidio, per attirare l’attenzione sulla sua sofferenza? Risposta: In alcuni casi, soprattutto quando si tratta di personalità istrioniche, il soggetto agisce via via sempre peggio per esprimere il proprio disagio e comunicarlo agli altri, specie quando non si sente compreso, spesso evocando una reazione negativa nelle persone che lo circondano, in una specie di “gioco al ribasso”. Per rompere questo circolo vizioso è particolarmente utile coinvolgere i l’entourage familiare nella terapia. Tuttavia questi sono casi che vanno oltre la depressione. L’atteggiamento tipico del depresso è piuttosto il contrario, cioè la tendenza all’autodeprecazione: “E’ tutta colpa mia…” 99 Disturbi dell’umore: eziopatogenesi Andrea Gloria EZIOPATOGENESI DELLE MALATTIE DEPRESSIVE Ecco i modelli cui ci si riferisce quando si parla di eziopatogenesi delle malattie depressive: ♦ Teorie biologiche, includono, in parte, gli eventi genetici ♦ Teorie di tipo psicologico, quindi teorie psicanalitiche, cognitivo-comportamentali, cognitivo-evoluzionistiche ♦ Modello bio-psico-sociale o modello multifattoriale che è onnicomprensivo di tutte queste teorie; è il modello classico di tutte le malattie psichiatriche e non solo; include sia fattori di predisposizione come fattori genetici o di personalità, sia eventi della vita sia possono scatenare episodi depressivi. Per quanto riguarda le teorie biologiche, la ricerca sta seguendo diversi filoni: Ipotesi neurotrasmettitoriali Ipotesi neuroendocrine Ipotesi cronobiologiche Teoria del kindling, molto interessante, riguarda il disturbo bipolare e i disturbi ricorrenti. Per quanto riguarda le ipotesi neurotrasmettitoriali, si parla anche di ipotesi monoaminergiche della depressione. Queste risalgono all’osservazione clinica che alcuni pazienti depressi rispondono alla terapia con un particolare antidepressivo, tra i primi ad essere scoperto storicamente, cioè gli inibitori delle monoaminoossidasi (IMAO). Si è visto che alcune persone che prendevano questi farmaci per tutt’altri motivi avevano un miglioramento dei sintomi depressivi. Quindi, l’osservazione di questo miglioramento ha fatto pensare che le monoamine fossero implicate nella depressione. In vari studi si è osservato, facendo vari dosaggi, sia a livello del liquor, sia a livello dei metaboliti dei diversi neurotrasmettitori, che nella depressione ci sarebbe un deficit di monoamine, precisamente di Noradrenalina e Serotonina. Oggi, queste ipotesi hanno subito una netta evoluzione essendo state contraddette da altri studi. E’ fatto inspiegabile che, se la depressione è dovuta ad un calo di questi neurotrasmettitori, perché l’antidepressivo ci mette così tanto a fare effetto? Infatti, l’effetto dell’antidepressivo sul calo del neurotrasmettitore è immediato e quindi non si capisce come mai ci metta così tanto a fare effetto, con una latenza d’azione di tre settimane. 100 Disturbi dell’umore: eziopatogenesi Ciò smentisce la semplicistica ipotesi che la depressione sia dovuta ad un semplice calo di neurotrasmettitori. Ora vedete, come curiosità, l’evoluzione delle teorie neurochimiche o neurotrasmettitoriali della depressione. Si è partiti dall’idea che vi fosse solo una riduzione della noradrenalina poi è stato esteso alla serotonina. Infine si è visto che erano i recettori pre e post-sinaptici che, modificati dai neurotrasmettitori stessi, modificavano l’effetto farmacologico. Infine, le ipotesi attuali che affermano che le alterazioni delle quantità totali di NT induce dei cambiamenti recettoriali che impiegano tre settimane ad avvenire e, a loro volta, inducono dei cambiamenti nei meccanismi di traduzione e post traduzione delle proteine. Una naturale conseguenza di queste teorie è stata l’andare a valutare come funzionano gli assi ipotalamo-ipofisi dei pazienti depressi. Infatti, i NT hanno una grossa importanza nella regolazione di questi sistemi ormonali; è come dire che i test di stimolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi ci dicono qualcosa sulla funzionalità dei NT e la quantità di questi. Così questi test ci dicono se c’è un’ipofunzione o iperfunzione dei NT e quali sono gli effetti diretti di questi neuropeptidi sul cervello e sulle sue funzioni. Da qui sono nate diverse ipotesi su questi neuropeptidi e sui disturbi dell’umore. Negli anno ’60 si è visto che nella maggior parte dei pazienti depressi vi è una disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, in particolare vi è un aumento del cortisolo. Tanto che una certa percentuale di pazienti con depressione maggiore che è positiva al test con desametasone il quale non riesce, quindi, a sopprimere la produzione di ACTH. Si è pensato, quindi, che il cortisolo potesse avere un ruolo e quindi sono nate recentemente delle teorie interessanti sul ruolo dello stress cronico. Questo, legato soprattutto a traumi o stress dell’infanzia, in una fase critica dello sviluppo del cervello, potrebbe indurre una reazione di sensibilizzazione allo stress per cui una persona tenderebbe a rispondere in modo esagerato, con lo sviluppo di depressione a qualsiasi tipo di stress, anche non grave. Molto recente è l’osservazione che persone (ne riparleremo a proposito del disturbo postraumatico da stress) che abbiano avuto dei traumi infantili come delle violenze sessuali hanno un deficit dell’ippocampo che in RMN si vede essere significativamente più piccolo di chi non ha avuto traumi. Ciò fa pensare che uno stress prolungato e particolarmente grave possa avere, tramite il cortisolo, un effetto particolarmente tossico sui neuroni dell’ippocampo. Questo fatto può predisporre allo sviluppo di disturbi postraumatici nell’adulto ed alla cronicizzazione 101 Disturbi dell’umore: eziopatogenesi delle depressioni perché in questo modo la depressione porta ad un aumento del cortisolo che non è più regolato dall’asse ipotalamo-ipofisi e porta un effetto tossico sul cervello. Il fatto, quindi che le depressioni non trattate, spesso esitino in cronicità, fa pensare che questo sia legato all’effetto tossico. Queste per ora sono ipotesi che, anche se suffragate da elementi molto importanti, andranno dimostrate. In questi anni si è visto che alcuni tipi di antidepressivi hanno un effetto neuroprotettivo, proteggendo dagli effetti tossici del cortisolo nel cervello. Altro capitolo interessante è quello delle teorie cronobiologiche. Si sa, infatti, che nella depressione sono alterati il sonno e l’appetito e anche lo stesso cortisolo che normalmente ha un ritmo circadiano viene alterato, restando sempre alto. Quindi, nella depressione c’è un’alterazione dei ritmi circadiani. Si è visto che nel sonno c’è un’alterazione della fase REM che in genere è soppressa o alterata e quindi si è ipotizzato un ruolo del centro cronobiologico ipotalamico nella depressione. Altra osservazione che avvalora questa teoria è l’efficacia della deprivazione artificiale di sonno che si usa in alcune forme di depressioni resistenti a tutto, deprivazione che nei bipolari può indurre la mania. Altra osservazione è che se si misurano i livelli della melatonina e cortisolo nelle varie ore della giornata, i picchi o sono assenti o sono comunque alterati. Veniamo ora alla teoria della sensibilizzazione o del kindling. Questa è una teoria che nasce dall’osservazione che quando gli episodi sono ricorrenti c’è una tendenza all’accorciamento dell’intervallo libero tra i diversi episodi. All’inizio, la media è di 3-5 anni tra un episodio e l’altro mentre dopo 5-6 episodi l’intervallo medio diventa circa 1 anno, potendo ulteriormente accorciarsi. Allora, alcuni studiosi hanno pensato di confrontare questo fenomeno stimolando in modo chimico od elettrico il cervello degli animali. La stimolazione elettrica di determinate aree cerebrali, ad esempio aree motorie, provoca movimento nell’animale. Continuando con questo tipo di stimolazione si vede che è necessario uno stimolo sempre minore per ottenere lo stesso effetto e questo si chiama kindling. Allo stesso modo, la continua stimolazione chimica richiede dosi sempre più basse per ottenere lo stesso effetto e questo fenomeno si chiama sensibilizzazione. Quando si applica una stimolazione elettrica continuata al cervello, evocando una risposta emotiva o comportamentale, è necessaria un’intensità sempre minore per 102 Disturbi dell’umore: eziopatogenesi ottenere lo stesso effetto. Questo perché nei neuroni c’è un cambiamento permanente nella trascrizione del DNA, lo stesso vale per la stimolazione chimica si parla di sensibilizzazione. Insomma diminuisce la soglia per lo stimolo. Si è visto negli animali che i farmaci anticonvulsivanti o antiepilettici hanno una azione protettiva interferendo con questo fenomeno irreversibile. Dal confronto tra questi due fenomeni si sono trovate numerose similitudini. In particolare sono in corso studi che valutino come lo stress e gli eventi stressanti che caratterizzano il nucleo della depressione, possono provocare delle modificazioni permanenti a livello della trascrizione del DNA in risposta allo stress. Si sviluppa, quindi, una sensibilizzazione che rende più facile che l’episodio depressivo o maniacale s’inneschi. Per quanto riguarda i fattori genetici l’osservazione che la depressione abbia una certa familiarità è frequente ed è riconosciuto anche a livello di mass media che ci sono famiglie in cui è più comune. Storicamente, uno degli studi più importanti è quello eseguito sugli Amish, gruppo che vive negli Stati Uniti, in cui c’è un’alta incidenza di depressione. Questo gruppo ha caratteristiche molto omogenee ed è interessante sia perché mancano alcuni fattori di rischio come l’alcolismo, hanno una vita sociale molto regolata, scandita da ritmi e con forti legami all’interno della famiglia. Da questi studi, per la prima volta si è visto il legame tra fattori genetici e disturbi dell’umore. Quello che si sa è che i familiari dei pazienti hanno una probabilità media 2-3 volte superiore a quella della popolazione generale dei malati. Questo, con alcune differenze, infatti, i disturbi bipolari hanno una familiarità ancora maggiore e lo stesso vale per i disturbi ricorrenti. La depressione semplice e l’episodio depressivo maggiore ha una minore ereditarietà. E’ anche vero che c’è una certa sovrapposizione, le moderne teorie vedono che in certe famiglie possono esserci forme attenuate e forme gravissime, forme bipolari e non bipolari. Questo significa che i disturbi dell’umore sono malattie multigenetiche e la presenza o meno di alcuni geni alterati farebbe la differenza. Ovviamente fanno anche la differenza fattori ambientali che interagiscono con i geni e farebbero sì che il fenotipo sia diverso anche all’interno della stessa famiglia con forme più o meno attenuate. Sicuramente attualmente non è stato ancora identificato nessun gene per i disturbi dell’umore. Questo vale per tutta la psichiatria con la sola eccezione della schizofrenia, cui di recente è stato identificato uno dei tanti geni implicati. Gli studi genetici vanno da studi familiari che ci dicono di quanto aumenta il rischio, a studi su gemelli che ci dice 103 Disturbi dell’umore: eziopatogenesi l’ereditarietà; in particolare il confronto tra gemelli monozigoti e dizigoti ci dice qual è l’importanza relativa dei fattori genetici su quelli ambientali. Gli studi sui gemelli nel campo dei disturbi dell’umore, hanno dimostrato una maggiore percentuale di ereditarietà nei bipolari rispetto ai non bipolari. La fase successiva è quella di capire quali sono i geni coinvolti e per questo ci si basa su studi di associazione se si hanno delle ipotesi sui possibili geni coinvolti oppure si fanno studi di linkage. In quest’ultimi studi sono messe assieme famiglie in cui esistono più casi di depressione o altre malattie e si vede come una qualsiasi area del DNA viene trasmessa assieme alla depressione; cioè si guarda quali singole aree del DNA segreghino assieme alla depressione. Così si fanno delle ipotesi di linkage, cioè che quel carattere sia legato ad una determinata area del DNA. Da parecchi di questi studi sono venute molte ipotesi senza portare però una precisa identificazione di qualche gene. Questo perché tutte le varie aree che in qualche modo erano in linkage con il fenotipo che noi cercavamo non contenevano geni che potessero essere ipotizzabili. Altra cosa è che questi studi producono molti falsi positivi perché quando siamo di fronte a caratteri multigenici e l’influenza di fattori ambientale è molto alta, come spesso succede nei disturbi psichiatrici, avremo bisogno di campioni impossibili da studiare. Sono troppe le interazioni tra i singoli geni e l’ambiente. Significa che bisogna definire meglio il fenotipo perché prendendo tutto lo spettro dei disturbi dell’umore prendiamo in considerazione troppe variabili il cui effetto diventa troppo piccolo e si perde nel momento in cui facciamo le correlazioni. Bisognerebbe identificare famiglie in cui il rischio sia molto alto, cioè in cui il fattore genetico sia molto importante per avere più potere statistico per identificarlo. Andiamo ora alle teorie psicologiche, le prime teorie sono legate alla psicanalisi. Le teorie psicanalitiche hanno rivoluzionato la psichiatria e non solo. Le teorie di Freud sono molto importanti per la comprensione di tutte le malattie psichiatriche. In particolare c’è uno scritto di Freud, “Lutto e Melanconia” che ha affrontato il tema della depressione e più precisamente della differenza tra la depressione e il lutto. Le teorie identificano nei conflitti inconsci la causa delle malattie psicologiche e a seconda della fase di maturazione in cui avvengono nel bambino causerebbero un difetto della maturazione psicologica e da qui l’identificazione di alcuni caratteri, per esempio la fase orale, anale ecc.. Parlando di lutto, viene analizzato dal punto di vista psicanalitico l’effetto di una perdita che è una perdita di sé. Infatti, quando affrontiamo il lutto di una persona che amiamo, ovviamente viene persa una parte di noi stessi perché una parte di quella persona è stata in qualche modo interiorizzata, cioè siamo un po’ dipendenti da quella persona. 104 Disturbi dell’umore: eziopatogenesi Freud ha fatto il confronto tra la depressione e il lutto in cui non c’è la perdita oggettiva di qualcosa ma di qualcosa di interiorizzato ed ha analizzato questo concetto cercando di capire dov’è il conflitto interno all’origine della depressione. Le teorie successive a Freud hanno poi meglio evidenziato quello che è causato dalle sensazioni di perdita e cioè il problema della dipendenza, della rabbia per il fatto di dipendere dagli altri, la vergogna ed il senso di inadeguatezza. Nel complesso, la teoria psicanalitica tende un po’ troppo ad enfatizzare il ruolo di un trauma precoce nell’individuo anche se questo conferma molte delle osservazioni che sono state fatte e cioè che in una persona che è vulnerabile alla depressione è spesso facile identificare qualche problema nell’infanzia. Non necessariamente significa avere i genitori cattivi o che non amino i propri figli ma magari il doversi essere separato precocemente dai genitori per un problema di salute, del bambino o della madre. Oppure il fatto che la madre abbia dovuto affrontare la nascita del bambino in una fase sua di lutto e per questo non sia stata incapace di accudire affettivamente il bambino nel modo più adeguato. Più recenti sono le teorie cognitivo-comportamentali; in particolare Beck si è occupato di depressione. Secondo Beck la depressione è caratterizzata da una triade cognitiva, cioè una triade di pensieri che sono: Interpretazione negativa delle esperienze, Valutazione negativa di sé Aspettative negative del futuro Secondo Beck la persona depressa o chiunque ha problemi di questo tipo presenta delle specie di distorsioni cognitive e il suo pensiero segue meccanismi che non sono del tutto razionali. Per esempio, la cosiddetta inferenza arbitraria è quando una persona da un determinato evento inferisce qualcosa che non ha un nesso logico con quell’evento. Tende a dire: ”Siccome mi è andato male un esame non sono adatto a fare Medicina”. Ecco un’inferenza arbitraria, infatti, è ben diverso che siano andati male dieci esami, un conto che ne sia andato male uno! Oppure, la generalizzazione, soprattutto se riguarda qualcosa di negativo, oppure l’astrazione selettiva che è vedere, tra tutti gli eventi, solo quello che ha delle conseguenze negative. Cioè vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto! Secondo Beck questi fattori sono affrontabili, cioè una persona razionalmente può arrivare a capire che è un’inferenza arbitraria, un processo logico che è sbagliato perché condizionato dal suo umore e non tanto dalla sua razionalità. Quindi la terapia cognitiva tenta di cambiare questo tipo di distorsione cognitiva e di vedere qual è poi l’effetto sull’umore. Una persona viene prima stimolata ad identificare le 105 Disturbi dell’umore: eziopatogenesi sue distorsioni cognitive e poi a provare a modificarle, trovando un’alternativa razionale e a vedere cosa cambia nella sua vita cioè nel suo modo di vedere il futuro, le esperienze e nel giudicare se stesso. Beck identifica due tipologie di persone vulnerabili alla depressione: 1. Persone che hanno una propria autonomia però che hanno un gran bisogno di successo e gratificazione e sono quindi dipendenti dagli eventi per la propria stima, hanno bisogno di successi. Quindi in presenza di insuccessi o problemi possono andare in crisi. 2. Persone che hanno grandi bisogni interpersonali perché non sono sempre sicuri di essere contraccambiati e questo li mette in una situazione a rischio di subire degli stress nel corso della sua vita. Esiste anche un modello animale; Alcuni topolini venivano messi in condizione di non avere una via di fuga e venivano sottoposti a stimoli negativi. Si è visto che in questi topolini si sviluppava uno stato di stress e deficit di alcuni neurotrasmettitori. Infine la teoria cognitiva-evoluzionistica che è una delle teorie più interessanti, molto recente, elaborata dal professor Liotti. Queste teorie vedono dei sistemi innati che regolano il comportamento interpersonale e il più importante è l’attaccamento, cioè la capacità di richiedere aiuto o cure. Per esempio un cucciolo, un bambino piccolo stimola in tutti la capacità di prendersi cura di lui. Spesso i cuccioli riescono a non farsi aggredire e magari anche accudire da altre razze aggressive. Questo perché stimolano l’attaccamento, cioè il fatto di prendersi cura. L’accudimento è l’offerta di cura, il bisogno di prendersi cura di qualcuno, l’agonismo rituale è un altro aspetto delle relazioni interpersonali ed è implicato nella depressione, la sessualità e la cooperazione che è la capacità di collaborare con altri. Nella depressione ci sarebbe un attaccamento insicuro perché il bambino comincia a dubitare della sua capacità di suscitare un buon attaccamento. Ciò può essere dovuto ad un allontanamento del bambino, oppure della mamma che per una malattia deve andare in ospedale oppure è gravata da una depressione o un lutto. L’insicurezza che il bambino sviluppa nella sua capacità di suscitare un attaccamento rappresenta un’insicurezza di base che lo accompagnerà nella vita adulta. Quest’attaccamento insicuro poi porterà alla depressione. 106 Disturbi dell’umore: Trattamento TRATTAMENTO DEI DISTURBI DELL’UMORE Per quanto riguarda il trattamento, quello che si sa da studi “evidence based” è che i farmaci antidepressivi funzionano su tutti i tipi di depressione, dalla lieve alla più grave, senza particolari differenze di efficacia tra i vari tipi farmaci ma con delle importanti differenze sugli effetti collaterali. Altra terapia che è stato dimostrato essere efficace è la terapia cognitiva. Altri tipi di terapia psicologica sono stati meno studiati. Nessuno, infatti, conosce quali siano gli effetti di terapie come quella psicanalitica o psicodinamica sulla depressione anche se, sicuramente, molte persone ne hanno fatto e ne fanno tuttora uso. Per queste non abbiamo dei dati quindi non possiamo dire con certezza per quali casi la terapia è indicata per la depressione perché nessuno ha mai studiato l’effetto a lungo termine della terapia. Purtroppo gli psicanalisti, nonostante facciano un buon lavoro, si dimenticano spesso di studiare il proprio lavoro. Comunque sappiamo che la terapia cognitiva è efficace, anche più del trattamento farmacologico nei casi in cui la depressione è lieve o moderata. Nella depressione grave possono essere consigliate o entrambe le terapie, oppure il trattamento farmacologico che diventa prioritario. Altri trattamenti psicologici, meno studiati o con un’evidenza meno forte si sono dimostrati efficaci. Tra questi la terapia interpersonale, una forma di psicoterapia in cui ci si focalizza su problemi interpersonali a seconda dei problemi del soggetto e si lavora su quelli in modo breve. Oppure c’è il problem solving. Altri tipi di trattamento hanno dato prova di efficacia limitati come l’esercizio fisico che nonostante faccia bene non è una terapia per la depressione. La combinazione di trattamenti è sicuramente efficace nelle depressioni gravi ma non è necessaria nelle depressioni lievi o moderate. Quando la depressione è grave con caratteristiche psicotiche è necessaria la terapia farmacologica. In realtà, sull’efficacia a lungo termine di tutti questi presidi terapeutici si sa ancora poco. E’ dimostrato però che il rischio di ricaduta è significativamente ridotto dall’uso di antidepressivi per un periodo che va al di là della guarigione. Gli antidepressivi attualmente in commercio sono classificati in due gruppi principali: 1. Farmaci che agiscono o direttamente sui recettori o inibendo la ricaptazione dei neurotrasmettitori. 107 Disturbi dell’umore: Trattamento 2. Inibitori delle monoaminoossidasi che attualmente sono inutilizzati, anche se storicamente sono stati molto importanti. E’ importante la correlazione tra l’effetto farmacologico e l’effetto clinico. La linea 1 riproduce l’effetto clinico, dall’umore nero al buon umore; la linea 2 rappresenta il livello di sensibilità recettoriale, cioè il numero di recettori postsinaptici; la linea 3 è quella dei livelli di neurotrasmettitori. Si osserva che quando si alzano i NT non comincia l’effetto clinico; bisogna attendere la desensitizzazine recettoriale. Quindi, come già premesso, l’effetto clinico non corrisponde con la concentrazione del NT. I trattamenti psicoterapici sono: Psicoterapia psicodinamica Terapia cognitiva Psicoterapia interpersonale Anche queste sono valide nella prevenzione delle ricadute, quindi non è solo l’intervento farmacologico che può prevenire le ricadute, anzi si è dimostrato che pazienti che rispondono in modo incompleto ai farmaci antidepressivi possono usufruire di una psicoterapia cognitiva per eliminare i sintomi residui che aumentano il rischio di ricadute. E’ stato dimostrato che chi ha sintomi residui dopo una terapia farmacologica può usufruire con successo di una psicoterapia cognitiva. Bisogna utilizzare una strategia diversa in presenza di una Depressione Resistente. Questa si definisce quando non vi è una risposta dopo l’utilizzo di almeno due trattamenti farmacologici, nemmeno un miglioramento del 50%. Ovviamente bisogna essere sicuri di essere in presenza di una vera resistenza; quindi essere sicuri che Il farmaco sia stato assunto, cosa che non sempre succede Il farmaco sia stato assunto nel dosaggio corretto come spesso succede nelle depressioni curate da non specialisti che somministrano dosi minime di farmaco che per forza non è efficace! Il farmaco non sia stato somministrato da troppo poco tempo; Sono, infatti, necessari almeno 20 giorni perché inizi l’effetto clinico, quindi è importante aspettare almeno 1 108 Disturbi dell’umore: Trattamento mese e mezzo dall’inizio della terapia, ad un dosaggio adeguato prima di parlare di depressione resistente. Le cause della vera Depressione Resistente sono: Il fatto che il sintomo depressivo sia presente da parecchio tempo, mai curato, aumenta il rischio che non risponderà alla terapia antidepressiva, proprio per l’effetto tossico della depressione. Secondo alcuni anche il sesso femminile è implicato nel disturbo resistente ma questo è un dato controverso. Vi sono dei sottotipi di depressione che non rispondono al solo antidepressivo e possono essere associati ad una non risposta e sono: Depressione psicotica in cui è richiesta un’associazione con un antipsicotico Depressione bipolare in cui è richiesta un’associazione con uno stabilizzatore dell’umore Depressione atipica che è definita come quella depressione che ha l’insonnia invece che ipersonnia, ha l’iperfagia, invece di anoressia. Questo tipo di depressione sembra essere l’unico tipo che risponde agli inibitori delle monoaminoossidasi. Ci sono altri fattori importanti che possono ridurre l’efficacia come: L’uso o l’abuso di alcol o sostanze che sono frequenti e vanno indagati bene quando il paziente non risponde Comorbilità importante con altre patologie come un disturbo ossessivo o altre sindromi ansiogene Disturbo di personalità Cause mediche come ipotiroidismo, cancro o altri farmaci. Delle strategie di potenziamento o combinazione ne parleremo più avanti quando faremo i farmaci Infine per il trattamento del disturbo bipolare è importante identificare due obiettivi: Curare la fase acuta della malattia, sia essa un episodio maniacale o depressivo Prevenire gli episodi successivi perché così non sviluppa il kindling; bisogna prevenire il più possibile! Anche in presenza di un solo episodio maniacale bisogna instaurare una terapia più o meno a vita con stabilizzatori dell’umore. Se si riesce a fare in modo che la persona non 109 Disturbi dell’umore: Trattamento sviluppi altri episodi depressivi o maniacali, si riesce a non andare incontro a sindromi più gravi che risponderanno poco ai farmaci. Gli stabilizzatori dell’umore sono il Litio che è il farmaco più efficace ed alcuni anticonvulsivanti. Bisogna ricordare che per i cicli rapidi è indicato l’acido Valproico che è un anticonvulsivante che sembra essere l’unico ad avere qualche effetto su queste oscillazioni molto rapide. Infatti, il Litio che è molto efficace nel prevenire la mania, perde il suo effetto quando si arriva a questa ciclicità così frequente. Nell’episodio maniacale si associano, agli stabilizzatori, dei sedativi che sono spesso benzodiazepine se l’episodio è lieve o antipsicotici se l’episodio è importante. Nella fase depressiva si associano antidepressivi a stabilizzatori dell’umore. Il fatto di non associare gli antidepressivi agli stabilizzatori dell’umore può provocare lo slittamento alla fase maniacale. Questo accade soprattutto con i triciclici ma anche con tutti gli altri antidepressivi se non si ha l’accortezza di identificare la bipolarità del paziente. Va quindi indagata la sua storia pregressa per le variazioni dell’umore e la familiarità per questo 110 sintomo. Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo DISTURBI D’ANSIA Sono disturbi molto diffusi nella popolazione, più diffusi della schizofrenia e spesso non è facile individuare il confine tra un disturbo d'ansia di rilevanza chimica e uno stato d'ansia normale (che è una componente della nostra vita quotidiana). L'ansia è un sentimento che ognuno di noi . Ha una sua finalità. Quando si è in ansia si attivano alcuni meccanismi fisiologici, si è più in grado di dare delle risposte adeguate agli stimoli esterni; l'ansia ha funzione additiva che può però eccedere dalle sue normali funzioni e diventare un problema chimico significativo. Può essere definita come uno stato di apprensione che può anche non avere uno specifico contenuto (un conto è avere paura di un pericolo ma un conto è avere una sensazione di paura senza avere una chiara idea del perché ci sia questa sensazione). Le cause possibili sono: • situazioni di pericolo: - reale o meno (vissuto cioè come tale); • stress ambientale (per es. l'ansia dei terremotati dopo la prima scossa di terremoto: ha la funzione di portar maggior attenzione); • malattia fisica (che costituisce una minaccia alla salute e alla sopravvivenza); • conflitto psicologico: quando a una persona gli piacciono due persone e non sa scegliere. Il conflitto psicologico può anche essere un conflitto interiore (non un conflitto evidente tra due scelte) e la teoria psicanalitica ha basato su il conflitto tutta la sua interpretazione delle nevrosi (oggi il termine nevrosi è stato sostituito con il termine disturbi d'ansia; la psicanalisi è una teoria interpretativa delle nevrosi che ha avuto un enorme sviluppo per la storia della psichiatria, in questo corso però non ne trattiamo). Nella psicanalisi si ipotizza l'esistenza di conflitti inconsci che sono alla base dei sintomi presenti nelle nevrosi. Il principale conflitto descritto dalla psicanalisi è il conflitto EDIPICO, cioè il fatto per il maschio di desiderare la madre ma questo gli viene proibito dal padre che ha una funzione di autorità che impedisce al bambino di stare con la madre tutto il tempo che vorrebbe. L'ansia può avere: • una componente fisica: o tachicardia o sudorazione o tachipnea 111 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo o tremori o vertigini Molti di questi sintomi della componente fisica rientrano tre sintomi specifici dei disturbi di panico. • una componente psicologica: preoccupazione (stato di allerta), per es. o ixpreoccupazione nei confronti di qualsiasi avvenimento esterno; o inibizione (per es. l'ansia durante l'esame può far risultare l'esame scadente a causa proprio dell'inibizione); o paura (per es. paura di morire, di avere un infarto). L'ansia normale ha una funzione adattativa che serve a reagire alle circostanze. Può determinare un aumento della pressione, aumento della frequenza cardiaca, condizioni che migliorano le prestazioni e la vigilanza. Gli aspetti dell'ansia patologica sono quegli in cui l'ansia passa a danno funzione adattativa a quella disadattativa inoltre l'eccesso di ansia riduce le capacità di adattamento alle situazioni esterne. L'ansia patologica è quindi: disadattativa costante (presente ciò ha indipendentemente dalle circostanze esterne) caratterizzata da aspetti negativi quali: eccessiva tensione e diminuzione della capacità di concentrazione. Non sempre è facile distinguere tra le caratteristiche dell'ansia normale e il momento in cui diventa evento patologico. Il disturbo di panico è composto da attacchi di panico ripetuti (gli attacchi di panico possono essere presenti in diversi disturbi d'ansia, non le disturbo di panico ma anche nel disturbo ossessivo, nel disturbo fobico). Il disturbo di panico è un complesso di sintomi scatenato da determinati stimoli esterni o interni o può insorgere senza alcuno stimolo. Il disturbo di panico nel caso dei disturbi di fobici insorgere quando una persona viene esposta ad uno stimolo fobico (per esempio se sia alla fobia di piccoli animali e si vede un ragno). 112 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo L’attacco di panico è un periodo di intensa paura in cui si sono sviluppati improvvisamente nel giro di qualche minuto almeno quattro dei seguenti sintomi che hanno raggiunto il piccolo nel giro di dieci minuti e si esauriscano in un periodo che al massimo dura tre quarti d'ora (non dura ore, è una situazione acuta): palpitazioni, cardiopalmo, tachicardia; sudorazione; tremori, grandi scosse; dispnea; sensazione di asfissia; dolore al petto; nausea e disturbi addominali; sensazione di sbandamento, di testa leggera, di svenimento; parestesie; vampate di calore. Questi sono i sintomi fisici. I sintomi psicologici sono invece: derecelizzazione (sensazione di sentirsi in una situazione irreale, come in un sogno) e depersonalizzazione (sentirsi staccati da se stessi, avere una sorta di dissociazione della coscienza, i livelli di coscienza si alterano); paura di perdere il controllo; paura di morire (è quello più comune). Questi sono i tre sintomi psichici più frequenti. Gli attacchi di panico possono essere: inaspettati, non provocati da stimoli esterni; causati dalla situazione (per esempio persona fobica esposta ad uno stimolo fobico); sensibili alle situazioni (alcune persone in certi situazioni hanno attacchi di panico con una certa facilità: per esempio la coda in autostrada, l'autobus affollato...). Descrizione dei criteri per il disturbo di panico: presenza di attacchi inaspettati e ricorrenti; almeno un attacco deve essere stato seguito per almeno un mese almeno uno dei seguenti sintomi: 1)preoccupazione di avere altri attacchi; 2)preoccupazione per le implicazioni dell'attacco e per le conseguenze (perdere il lavoro, perdere il controllo); 3)significativa alterazione del comportamento correlata alla paura degli 113 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo attacchi di panico (persona che a causa degli attacchi che la preoccupano, riduce le proprie attività lavorativa o cambia il comportamento complessivo; 4)assenza di agorafobia (paura degli stati aperti). Il disturbo di panico senza agorafobia risponde meglio al trattamento farmacologico e risulta avere una maggior componente di tipo genetico. Gli attacchi di panico non sono dovuti agli affetti di una sostanza (cocaina) o a condizioni mediche (ixtiroidismo); non sono meglio giustificati da un altro disturbo mentale come fobia specifica, sociale, disturbo ossessivo compulsivo. Il disturbo di panico alla patologia psichiatrica che occupa con grande frequenza alle sale di pronto soccorso dell'ospedale. Punto importante è la diagnosi differenziale con l'infarto del miocardio perché i sintomi sono simili (dolore al petto, tachicardia, paura di morire). In presenza di sintomi sospetti non devo mai sottovalutare questo corredo sintomatologico attribuendogli subito l'etichetta di attacco di panico, ma devo sempre fare indagini per una corretta diagnosi differenziale. Nel disturbo di panico è spesso presente il riscontro di prolasso della mitrale (non si sa perché) e alcuni sintomi possono essere in comune con infarto. Prevalenza annua: disturbo di panico 0,4- 1,5% della popolazione generale agorafobia 2,4- 6% fobia sociale 7,9% fobia specifica 4,5- 11,8% (il gap tra 4 5 e 11,8 dipende dai criteri diagnostici usati per fare per es. una diagnosi di fobia. Se una persona alla fobia ma questo non compromette la sua vita quotidiana, questo non è un disturbo psichiatrico). Disturbi d'ansia generali (GAD) 2,4- 6,4%; disturbo ossessivo compulsivo (DOC) 1,1- 3,3% In Italia (1998): disturbo di panico 1,7%; agorafobia a prevalenza minore. 114 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo L'età dell'esordio del disturbo di panico va va dai 15 ai 35 anni, il rapporto maschi/ femmine è di 1/2,5, è stata vista una componente genetica (non per la fobia sociale). Si può avere comorbilità con depressione, fobie e con il disturbo ossessivo compulsivo. 115 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) Il disturbo ossessivo compulsivo è un disturbo post-traumatico da stress. È un disturbo d ’ ansia caratterizzato dalla presenza di due particolari sintomi: 1. le ossessioni; 2. le compulsioni. Le OSSESSIONI sono pensieri, impulsi o immagini ricorrenti: qualcosa che viene in mente alla persona, caratterizzata dalla così detta impulsività. Qualcosa che la persona pensa senza voler pensare, che ha una sua vita autonoma in qualche modo nella testa della paziente. Questi pensieri sono persistenti, ricorrenti e in genere la persona li vive come qualcosa d ’intrusivo, non proprio come qualcosa di non suo ( ricordate come il delirio, etc), ma come qualcosa d’impulsivo che viene alla mente lo stesso. Qualcosa di non voluto, inappropriato, rispetto a quello che una persona normalmente sente. Queste ossessioni assumono la caratteristica di valutazioni ossessive (es. ossessione di contaminazione: tutti noi abbiamo preoccupazioni riguardo alla possibilità di essere contaminati in ospedale, o fuori, etc.. quando diventa un ossessione è qualcosa che va al di là della normale preoccupazione). E’ una preoccupazione eccessiva e questo diventa una cosa persistente e ricorrente, qualcosa a cui si pensa anche quando non vogliamo pensarci e questo può assumere caratteristiche dell’ ossessione). In genere, la persona tenta di sopprimere questo pensiero, cercando di ribellarsi in qualche modo. Ma, la persona spesso trova sollievo solo quando compie la normale compulsione, azione che serve in qualche modo a soddisfare l’ossessione, risolvendo questo problema. Ad es. nell’ossessione di contaminazione la compulsione può essere quella di lavare e/o lavarsi, etc. Quindi, la persona anche se persiste a questo bisogno trova sollievo alle sue ansie solo nel momento in cui compie la compulsione. Nell’ analisi del DOC non sempre troviamo entrambi i sintomi, compulsioni ed ossessioni, ma ci possono essere compulsioni da un lato e ossessioni dall’ altro. COMPULSIONI : 1. sono comportamenti ripetitivi o anche azioni mentali (es. il contare). Possono essere azioni che noi compiamo fisicamente, azioni mentali, che noi in qualche modo mettiamo in atto per contrastare l ’ ossessione. La persona anche se è consapevole che queste cose sono comunque frutto della mente, si sente in ogni caso obbligata, altrimenti l ’ ansia aumenterebbe in modo indescrivibile e lei si sentirebbe sempre peggio. E’ molto difficile per una persona resistere a compiere una compulsione . 116 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo Domanda: Quando un soggetto ha delle compulsioni ci stanno sempre delle ossessioni alla base o no? Non necessariamente…Per esempio ci sono anche dei comportamenti compulsivi più grandi. Es. mangiarsi le unghie: può essere considerato un comportamento compulsivo, non è segno di un disturbo e non è un ossessione, ma è un comportamento che la persona cerca di non fare. Infatti, quando non ha più sotto controllo la situazione lo fa senza accorgersi. Es. compulsione di lavarsi: può essere o no accompagnata all’ ossessione di contaminazione o può essere semplicemente un’ azione che il soggetto mette in atto per rassicurarsi, anche senza avere un reale ossessione. Quindi, ci possono essere entrambe ( ossessioni + compulsioni ) o una delle due cose (ossessioni o compulsioni). 2. In ogni caso questi comportamenti o azioni mentali devono avere lo scopo di prevenire un disagio che la persona sente. Lei comunque li mette in atto per ridurre una sua ansia o preoccupazione e non sempre sono collegati in modo realistico, come la preoccupazione. In genere sono disturbi eccessivi rispetto alla preoccupazione. Ad es. controllare la valvola del gas venti volte è comunque eccessivo rispetto alla preoccupazione di lasciare il gas aperto; oppure, lavarsi le mani fino a scorticarsi la pelle è comunque eccessivo rispetto alla preoccupazione. Queste azioni devono, quindi, essere sproporzionate rispetto alla preoccupazione non eccessiva e normale. 3. Tra gli effetti del DOC ci deve essere, in qualche momento particolare, il riconoscimento da parte de paziente di questi pensieri, preoccupazioni, ossessioni e azioni che sono comunque eccessive o irragionevoli, pur non riuscendo a smettere. 4. Tutte queste ossessioni o compulsioni causano un disagio marcato soprattutto in quanto una persona ha la mente occupata tutto il tempo. Es. una persona non riesce a studiare perché l’ ossessione occupa una parte del suo spazio mentale nel tempo. Il fatto di controllare, lavarsi, riordinare possono impedire al soggetto di condurre una vita normale. Sia le ossessioni che le compulsioni sono caratterizzate da un disagio della persona di avere sotto controllo tutte le sue azioni e tutte le cose che la circondano e ciò deriva da un’ insicurezza di lei stessa. Tutti noi, in realtà, mettiamo in atto dei disturbi ossessivi e compulsivi per rassicurarci ( esempi di rituali: compiere alla mattina un certo rituale, avere un oggetto porta-fortuna, o fare la stessa strada tutte le mattine). Tante persone 117 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo ricorrono a questo tipo di rituali per avere delle costanti nella loro vita che li rassicura. Quindi, il fatto di avere delle piccole azioni può portare ad un quadro di ansia fisiologica, meccanismo di autodifesa per rassicurarci che le cose sono tutte sotto il nostro controllo. Quando questo meccanismo di controllo diventa incontrollabile e irragionevole, irrazionale andiamo in una situazione patologica. Una situazione importante, anche dal punto di vista delle terapie che si mettono in atto, è quella dell’ insight : parola inglese che significa consapevolezza dei propri istinti interni. In fisioterapia si parla spesso di insight, perché è importante che una persona abbia un buon “insight”. Infatti, quando un paziente non è in grado di controllare le proprie emozioni non mette in atto comportamenti che potrebbero farlo reagire positivamente alla terapia. Nel disturbo ossessivo-compulsivo, l’ insight significa essere più o meno consapevoli dell’ irragionevolezza di una razionalità dei comportamenti o delle ossessioni. Quindi, tanto più una persona mentalmente contrasta queste idee e preoccupazioni, tanto più ha insight. Quanto più, invece, una persona le vive in modo quasi accettabile e normale avrà meno insight. In realtà questo secondo disturbo sarà difficile da curare, anche perché non è che la persona le vive meglio nel senso di accettare, le accetta come dato di fatto, ma in realtà il disagio c’è ugualmente soprattutto però non c’ è la consapevolezza contro cosa bisogna combattere. La persona si trova in qualche modo ad essere schiavo di questi rituali e di queste ossessioni senza avere nessuna arma per combattere. CLASSIFICAZIONE DELLE OSSESSIONI Sono di tipo: 1. aggressivo 2. da contaminazione 3. ambientalista 4. Sessuale 5. di accumulo e collezione 6. religioso 7. da necessità, di simmetria, esattezza e ordine 8. ossessioni varie ossessioni varie Le ossessioni vengono in genere classificate sotto vari capitoli: Possono essere ossessioni di tipo aggressivo: per esempio una paziente che aveva il terrore di svegliarsi la notte e far del male a qualcuno. Lei, ragazza normalissima, 118 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo simpatica, viveva con l’ ansia e si chiudeva in camera, nascondeva la chiave e si legava al letto con dei fazzoletti, perchè era terrorizzata dal pensiero di svegliarsi di notte e far del male a qualcuno dei suoi familiari. Non avendo nessun conflitto in famiglia , nessun problema particolare, viveva questa situazione con molta ansia e usava tutti questi rituali per essere sicura che se un incubo la svegliava di notte comunque era legata al letto e non poteva uccidere nessuno. Questo è un tipico esempio di ossessione aggressiva. Le ossessioni aggressive possono anche essere anche immagini ossessive di qualcosa di terrificante e violento. Può essere anche per timore di far del male a se stessi o ad altri, o di dire o insultare qualcuno senza volerlo, di far qualcosa di imbarazzante, di rubare, di provocare senza volerlo un fallimento di una qualche impresa , di essere la causa in qualche modo di qualche disastro. Un ’ altra famiglia di ossessioni sono quelle di contaminazione che possono riguardare l’ eccessiva preoccupazione di disgusto a secrezioni corporali come saliva, feci e sangue. Quindi, un ’ eccessiva paura per questo tipo di secrezioni. Oppure, paura per la sporcizia, germi, l’ idea che questi siano ovunque, nell’ aria e, quindi, questi pazienti si mettono la mascherina anche per stare in casa. Oppure, anche l’ ossessione di tipo ambientalista: contaminanti nell ’ acqua e quindi, paura di andare a fare il bagno in mare, etc.. C’è anche la paura di essere contagiosi: ammalarsi e di far ammalare le persone. E, quindi, anche la paura di essere un veicolo in qualche modo di una contaminazione. Nel periodo in cui è esploso il problema del virus da HIV avevamo ricoverati pazienti, anche con altre patologie più gravi come la psicosi, che per tutto un periodo presentavano l’ ossessione di aver contratto il virus perché erano passati vicino alla stazione o perché avevano stretto la mano etc.. Le ossessioni possono anche essere di tipo Sessuale: essere ossessionati da pensieri, immagini, impulsi. Anche impulsi violenti, inadeguati verso bambini, impulsi di perversione, impulsi verso animali. La persona è ossessionata da questo pensiero inadeguato rispetto al suo modo di essere, ma questo pensiero c’è e la persona si sente molto a disagio solo per avere questo tipo di ossessione . Ci sono poi ossessioni di accumulo e collezione : per es. la persona anoressica è una paziente che tende ad accumulare cibo, ma non solo…”io ho conosciuto la mamma di una paziente che soffriva di bulimia che aveva vissuto durante la guerra e aveva l ’ ossessione di accumulo, quindi, aveva l’ossessione di accumulare cibo nelle scatole in grandissima quantità e non poteva privarsi assolutamente di questa quantità di cibo.” Oppure, ci sono ossessioni di collezione: certamente è una situazione portata all’ estremo . Il collezionismo viene considerato però un disturbo di personalità , non tanto un DOC. 119 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo Si parla di ossessione quando la persona vive per la sua collezione (es. collezione di francobolli, etichette degli yogurt, penne finite, mozziconi di matita, etc). Per questi pazienti la vita è tutta una collezione. Ci sono poi le ossessioni di religione: vivere la religione in modo estremo e ossessivo. Per ogni frase, scritta, situazione, viene visto e dato un significato religioso. Possono essere anche ossessioni somatiche : qualcosa che riguarda il corpo (per es. il funzionamento dell’ intestino: ci sono persone che vivono con l’ossessione di andare in bagno una o più volte al giorno . Questa può essere un ossessione di tipo somatico. E’ una preoccupazione adeguata fino ad un certo punto, ma può diventare eccessiva, tanto che ci sono delle persone anoressiche e non solo che si rovinano per questa ossessione prendendo di tutto per andare al bagno). Ossessione di necessità, di simmetria, esattezza e ordine: persone che hanno bisogno quando scrivono, riordinano, dispongono le cose nella casa, di essere disposte in modo simmetrico e ordinato. Non tollerano che qualcuno alteri l’ordine che danno loro alle cose. Poi, ci sono anche ossessioni varie: come per esempio quella dei numeri sfortunati e colori. Attribuire significati particolari a numeri, colori o altri eventi. Essere superstiziosi all’ estremo. CLASSIFICAZIONE DELLE COMPULSIONI Sono 1. pulizia e lavaggio e atti per rimuovere il contatto 2. compulsioni di calcolo 3. Compulsioni di controllo 4. compulsioni di riordinamento Ci sono le compulsioni di pulizia e lavaggio: lavarsi le mani tante volte; farsi la doccia più di 5 volte al giorno; lavarsi i denti in modo particolare eccessivo, non quello detto dal dentista. Compulsioni di pulizia riguardante alcuni oggetti casalinghi che devono essere puliti per forza tre volte. Esistono poi degli atti per rimuovere il contatto. Ci sono delle persone che ogni volta che vengono in contatto con qualcuno compiono dei rituali, non solo dei rituali di pulizia, ma per es. toccano più volte un oggetto. Non sempre la compulsione corrisponde al significato di ossessione. Non solo devono lavarsi le mani, ma devono anche compiere un gesto particolare, un qualcosa di particolare. A volte sono stranissimi questi rituali e la persona è come se in quel modo magicamente annullasse l’ effetto del contatto con quella persona. O a volte dopo aver detto una certa cosa devono compiere una particolare azione. Sono tutti rituali molto particolari. 120 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo Ci possono essere poi compulsioni di calcolo: per es. contare, moltiplicare o esercitarsi mentalmente continuamente su calcoli. Compulsioni di controllo: anche questi molto frequenti (es, gas, serratura, treno della mattina e così via). Sono controlli fatti in eccesso. Possono essere rituali di ripetizione cioè la ripetizione deve essere fatta più volte; non solo una particolare azione, ma tutte le azioni devono essere ripetute. Ci sono poi compulsioni di riordinamento e organizzazione; di accumulo- collezione;somatiche; oppure varie:rituali mentali come pensare ad una certa frase. Ogni volta che vedo, sento parlare e vedo qualcosa devo per eliminare l’ idea devo pensare ad una poesia, preghiera, frase o rituale religioso e quindi, devo compiere un azione mentale.Oppure il bisogno di confessare. DOC E’ un disturbo piuttosto grave che esordisce sia nei maschi che nelle femmine in ugual misura, in genere tra i 20-35 anni, anche se ci sono alcuni DOC che compaiono anche nell’ infanzia (es. bambini e ragazzini che già alle medie non riescono più ad andare a scuola perché sono ossessionati dall’ ordine dei quaderni. Una ragazzina, che poi è diventata anoressica aveva i classici sintomi con una difficoltà estrema a scuola. Passava le giornate a casa a strappare i fogli del quaderno per ogni piccolo errore, strappava e ricominciava dall’ inizio. Quindi, non riusciva mai a fare i compiti per casa perché era ossessionata dall’ordine del quaderno). Spesso il DOC è associato ad altri disturbi in particolare la depressione spesso perché la provoca. In questo caso il paziente tende a deprimersi e più lo fa meno riesce a contrastare le sue ossessioni e più si deprime e meno scaccia le ossessioni. Ci possono essere anche altri disturbi anche di tipo psicotico come la schizofrenia, disturbi d’ ansia, disturbi di dimorfismo corporeo (la dismorfofobia la farete nei disturbi somatoformi). In quest’ultimo caso la persona ha l’ idea di avere una parte del corpo deforme (tipo il naso orribile quando in realtà è normalissimo) o di essere deformi in qualche parte del corpo in modo esagerato e sono spesso persone che si recano dal chirurgo estetico. TERAPIE Tutte le terapie del DOC sono poco efficaci. Infatti, non esistono terapie che risolvano completamente questo disturbo perché è molto difficile da curare ( soprattutto nel 121 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo sottotipo quello con scarso insight). Spesso ci si accontenta solo di un certo miglioramento della persona che recupera una certa funzionalità sociale. Le terapie sono soprattutto FARMACOLOGICHE ad alto dosaggio. Si usano farmaci antidepressivi. In particolare la clorimipramina: farmaco triciclico più efficace nel DOC , usato come prima scelta. Oppure, ci sono sempre farmaci ad alto dosaggio, SSRI ( selecting serotonin elective receptor): inibitori selettivi per il recettore della serotonina. Sono farmaci di nuova generazione con meno effetti collaterali rispetto ai triciclici e sono più o meno efficaci riguardo a questo disturbo. Nella depressione, invece, i due tipi di farmaci sono ugualmente efficaci, ma gli SSRI vengono usati come prima scelta perché hanno meno effetti collaterali. Ma nel DOC, essendo meno efficaci, si preferisce cominciare con questi che sono ben tollerati, ma poi si passa alla prima generazione che è migliore. Quando c’è scarso insight alcuni lavori scientifici suggeriscono di aggiungere alla terapia antidepressiva piccole dosi di farmaci antipsicotici perché sembra che in qualche forma con scarso insight si possa ottenere un certo miglioramento dei sintomi. Tra le psicoterapie l’ unica con una certa efficacia è la Terapia COMPORTAMENTALE che però non è sempre accettata dai pazienti e non è sempre facilmente attuabile. Nel disturbo comportamentale si cerca in qualche modo di togliere il rinforzo che lega l’ ossessione alla compulsione. Cercare di aiutare il paziente a gestire l ’ ossessione senza ricadere alla compulsione. Spezzare, quindi, il circolo vizioso che lega questi due sintomi. MA questo significa esporre il paziente ad una certa dose di ansia e crea una certa difficoltà. Alcuni effetti terapeutici: durante sedute terapeutiche si espone il paziente con qualcosa di contaminante (come della terra). Si fa toccare e si aiuta a farlo resistere all ’ ossessione di lavarsi subito. Si cerca di aiutarlo a trovare delle vie diverse d’ azione rispetto a quelle dello stimolo ansiogeno. Sono state fatte anche terapie lunghissime di tipo “scandifico” nei disturbi ossessivi con scarsa efficacia e difficoltà da parte dei pazienti. 122 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS Disturbo con molte ricerche in corso. In Italia è conosciuto da pochissimo, non perché non ci sia mai stato, ma perché qui in Italia la ricerca è portata dagli ultimi dieci anni non di più. Invece, negli Stati Uniti è un disturbo di cui si sta stra-parla, nel senso che è una diagnosi di cui si è cominciato a parlare già dalla seconda guerra mondiale, ma anche dalla prima, con apice nella Guerra nel Vietnam. Si è cominciato così tanto a parlare che ora abbiamo un eccesso di autodiagnosi di questo problema. E’ un disturbo che di solito insorge dopo un trauma grave, non è un evento qualsiasi, è qualcosa che la persona vive soggettivamente come drammatico. Il dramma è un evento che in qualche modo sovverte quelle che noi abbiamo come sicurezze, secondo la nostra convinzione. Su quali sicurezze basiamo la continuità della nostra esistenza? Anche se siamo consapevoli per es. che in un giorno dovremo morire etc, noi comunque abbiamo nella nostra testa l’ idea che questo non succederà o che non succederà adesso , quindi, quando siamo messi davanti ad un pericolo esterno, nostro, di una persona cara o una persona vicina, assistiamo all’uccisione di una persona, questa sicurezza è fatta principalmente di sopravvivere. Infatti, se noi vivessimo con la paura di morire da un momento all’ altro, la nostra sicurezza verrebbe completamente sovvertita e noi avremmo un trauma. Questa cosa può avvenire con eventi che mettono a rischio la nostra integrità come uno stupro, grave lesione, malattia molto grave, affrontare un trapianto, infarto. Tutte cose che ci mettono di fronte a qualcosa che mette a rischio tutte le nostre sicurezze di base. E, quindi, ci devono essere due caratteristiche per avere questo trauma per essere tale da provocare questo tipo di disturbo. 1. Trauma che oggettivamente ha messo a rischio la nostra vita o quella di una persona a noi vicina o la nostra integrità fisica. 2. E poi, il fatto che ci siamo sentiti davanti ad una situazione di impotenza vento impotenza e dolore. Conta sia l’oggettività dell’ evento sia il tipo di reazione che noi abbiamo. Ci sono persone che davanti ad un evento esterno terribile non sviluppano questo disturbo. Ci sono persone che sono state nei campi di sterminio e non hanno sviluppato i sintomi di questo disturbo, senza comunque dimenticare l ‘evento. E’ quindi, importante valutare la gravità oggettiva dell’ evento e le abilità della persona a “digerire” quell’evento e in qualche modo mettere in discussione quello detto prima cioè le proprie convinzioni. Quando una persona basa la propria vita su convinzioni molto rigide è facile che queste convinzioni vengano messe a rischio. 123 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo Se, invece, una persona ha maggior elasticità nella vita può, in un primo momento di shock e malessere, può superare l ‘evento in modo normale. Quello appena descritto è il modello A. Ci devono essere poi altri tre sistemi per avere la diagnosi di post traumatico. Il modella A è il trauma in sé. Il modello B è il modo di sviluppare pensieri intrusivi rispetto al trauma vissuto. Cioè la persona non riesce a non pensare a quello che le è successo: ci pensa di giorno, ha gli incubi di notte e può avere anche i così detti dejavoux ( quindi, di essere per strada e di colpo rivivere la scena del trauma il “detto sogni ad occhi aperti”); oppure, ha un grave disagio a vedere qualcosa che gli ricorda quell’evento, quindi, magari le persone che hanno vissuto nel campo di sterminio non riescono a guardare i programmi televisivi che ricordano quell’evento perché si sentono troppo male). Questo è il primo gruppo di sintomi. Il secondo tipo di sintomi è quello dell’evitamento di tutti gli stimoli che riportano al trauma. Per es. l’ evitamento può essere consapevole o incasapevole, conscio o non conscio. L’ evitamento consapevole è evitare tutti luoghi, trasmissioni tv e tutte le persone che ci ricordano il trauma. L’evitamento incoscio è non ricordare alcuni specifici eventi relativi al trauma. Questo tipo di distacco spesso consapevole dal trauma porta ad un distacco della persona dalla realtà, portandola a non riuscire ad avere le sentimenti che aveva in passato per alcune persone in particolare. Vive un po’ in modo piatto, distaccato dalla realtà. Questo è un tipico meccanismo di difesa che la persona attiva per non soffrire troppo dopo il trauma, ma nello stesso tempo la priva di alcune emozioni fondamentali. Come se la persona si fosse raffreddata, non sentendo più le stesse emozioni. Altre volte alcune persone hanno dopo un trauma hanno dei sentimenti in senso positivo, godendo di qualsiasi situazione perché sono consapevoli che potrebbero mancargli in qualsiasi momento, perché ora si rendono conto del vero valore delle cose. Ma questo può essere comunque vissuto come un’ossessione perché tutto potrebbe finire da un momento all’altro. Loro dicono che sia una cosa positiva, ma in realtà è una sofferenza. Infine, abbiamo l’ultimo gruppo di sintomi di aumentata attivazione. Il soggetto ha sintomi d’ansia incontrollati, cioè tende a scattare per qualsiasi umore: persona che scatta perché viene toccata o, a volte, non riesce nemmeno ad essere toccata. Es. Ho parlato con un signore che aveva vissuto il disastro del Vajont che da 36 anni dormiva non più di un’ ora per notte. Oppure ci possono essere persone che hanno cambiamenti di personalità, irritabili, collera, etc.. 124 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo Il disturbo per essere diagnosticato deve essere presente per almeno un mese (ad es. dopo un incidente stradale questi disturbi sono fisiologici: è normale sognare e vedere l’ incidente), se non superano il mese il trauma tende a scomparire. Ma, se questi sintomi persistono o peggiorano per più di un mese dopo il trauma, allora si diagnostica un disturbo post-traumatico. Alcune ricerche: paziente su campi di sterminio nazisti; persone in sardegna; soggetti nei campi profughi nella guerra in Bosnia e soggetti sul disastro del Vajont. Ora stiamo facendo alcune ricerche sull’infarto del miocardio e trapianti per vedere l’ effetto traumatico di alcuni tipi di malattia. Questo non solo dal punto di vista fisiologico ma, nell’ambito della malattia si vuol cercare di evitare di pensare al problema che si ha e questo può portare a delle conseguenze per seguire una determinata terapia. Ricerca negli USA nei soggetti infartuati che non seguono indicazioni terapeutiche, migliorando la prognosi di questi pazienti. Agorafobia Il disturbo di panico è un disturbo che per definizione si verifica inaspettatamente . Non è un disturbo codificabile ma un complesso di sintomi . L’agorafobia invece è sempre relativa a situazioni specifiche ed in particolare l’ansia è relativa a luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi . Inoltre potrebbe non essere disponibile aiuto nel caso di un attacco di panico . I disturbi insorgono in situazioni caratteristiche che includono : l’essere soli fuori casa , essere in mezzo alla folla (in coda in auto ) , essere su un ponte e viaggiare su treni , autobus ,automobili . Ma soprattutto con mezzi pubblici . Quando si è in queste situazioni si può verificare un attacco di panico (a.d.p.) . Le situazioni che sono causa possibile di un a.d.p. sono accuratamente evitate e vengono messi in atto comportamenti di esitamento che sono caratteristici del disturbo . Oppure sono sopportate con disagio , con la paura di avere un a.d.p. . Spesso quando il pz ha questi problemi richiede di avere vicino qualcuno con una funzione di rassicurazione , questo è caratteristico dell’agorafobia . In genere viene identificata una persona che è fonte di rassicurazione e il comportamento del pz è molto condizionato dalla presenza o dall’assenza di questa persona . Anche la vita della persona prescelta è molto condizionata dal fatto di dover sempre accompagnare il pz e di essere sempre motivo immediato di rassicurazione . Spesso in questi rapporti si verificano conflitti perché il bisogno di rassicurazione è assoluto per cui il pz fa richieste sempre più pressanti . Di fronte a questo la persona prescelta ha 125 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo difficoltà , perplessità o ansie per avere una vita così condizionata . Così il compagno prescelto può diventare motivo di conflitto . L’agorafobia senza precedente anamnesi di disturbo di panico , perché così prevale la diagnosi di disturbo di panico , è caratterizzata dalla presenza di agorafobia correlata alla paura di comparsa dei sintomi . Non sono mai soddisfatti i criteri del disturbo di panico , il disturbo non deriva da uso di sostanze ( cocaina ) o da condizione medica .E se è presente la condizione medica la paura della comparsa dei sintomi è in eccesso rispetto a quella normalmente associata alla condizione . Si fa questa distinzione fra disturbo di panico senza agorafobia e agorafobia senza diagnosi di disturbo di panico perché si ritiene che il dist. Di panico abbia una maggiore componente genetica e risponda meglio alla terapia farmacologica . Accanto all’agorafobia esistono le fobie specifiche che sono caratterizzate da una paura marcata e resistente , che è esagerata e non è su base razionale . Questa paura è provocata dall’attesa o dalla presenza di un oggetto o di situazioni specifiche . per es. fobia di volare , fobia di delle iniezioni , fobia del sangue , fobia degli animali … In genere una fobia specifica ha un oggetto specifico , non è necessariamente associata ad un’altra fobia . L’esposizione allo stimolo provoca una risposta ansiosa immediata che può prendere la forma di un a.d.p. situazionale . Ovviamente per fare diagnosi è necessario che la persona riconosca che la paura è esagerata e che la situazione sia sopportata con ansia e disagio Anche in questo caso , come nell’agorafobia , l’evitamento , l’ansia anticipatoria e il disagio interferiscono in modo significativo con la routine ,con il funzionamento lavorativo e con le relazioni sociali . Questo criterio (criterio E vd. Diapo DSM )è molto importante perché le fobie sono molto diffuse e non si può parlare di patologia nel caso in cui , per es , una persona abbia la fobia per i topi ma non veda mai topi . La fobia in questo caso non condiziona la vita . Le fobie hanno una prevalenza che si aggira attorno al 10% , ma non necessariamente il fatto di avere qualche piccola fobia comporta il fatto di avere una fobia specifica e quindi una diagnosi psichiatrica . Per la diagnosi è necessario che ci siano delle condotte di evitamento , che condizionino la vita della persona . Oppure è necessario che l’ansia di avere un a.d.p. possa ridurre le prestazioni e la concentrazione. Possono esserci fobie di animali , sono più frequenti e meno consistenti quelle per i piccoli animali . 126 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo Possono esserci fobie inerenti all’ambiente naturale , per es fobia delle altezze per chi va in montagna , fobia dei temporali , fobia dell’acqua… Secondo la teoria psicoanalitica l’esistenza di una certa fobia ha un significato preciso nella persona . Per esempio la fobia dell’acqua o di un piccolo animale è conseguenza di un trauma collegato a questi elementi . Può anche non essere conseguenza diretta di un trauma ma rappresentarlo .Nella storia del piccolo Hans (?) descritta da Freud la fobia dei cavalli aveva il significato della paura della castrazione . La fobia del sangue ha una caratteristica che la differenzia dalle altre , cioè mentre nelle altre fobie lo stimolo fobico determina un a.d.p. con reazione neurovegetativa che è caratterizzata da aumento della freq. cardiaca e dei valori pressori , nella fobia del sangue l’esposizione all’oggetto fobico determina lipotimia . Il prof. racconta che la prima volta che ha visto fare una rachicentesi è quasi svenuto. Poi ci sono le fobie situazionali , per es di aeroplani e ascensori .Oppure l’evitamento fobico di situazioni che possono portare a soffocare , vomitare o contrarre malattie . Questa è una situazione frequente nella pratica clinica , infatti molti pz vengono inviati dalla gastroenterologia agli psichiatri qualora non si riscontrino disturbi organici che causino vomito o soffocamento . Si riscontra così che i dimagrimenti sono dovuti a mancata alimentazione per la paura di soffocare o vomitare . La fobia sociale è la paura marcata e persistente di una situazione sociale o di più situazioni sociali . Oppure è intesa come paura di prestazioni che espongano il soggetto al giudizio di persone non familiari . In genere c’è la paura di reagire in modo umiliante , imbarazzante e di provare un senso di vergogna . Una delle più frequenti è la paura di parlare in pubblico .Es.pz imprenditore con la fobia di prendere un caffè con i clienti per la paura di essere osservato mentre gira lo zucchero , teme che se gli tremasse la mano potrebbe essere giudicato . Altri hanno paura di apporre la propria firma per es da un notaio per una compravendita importante . Altro es è quello di bravissimi pianisti che non riescono ad esibirsi in pubblico . Quando c’è l’esposizione alla situazione fobica c’è una risposta tipo a.d.p. situazionale . Per fare diagnosi la persona deve rendersi conto che la paura è eccessiva , deve avere comportamenti di esitamento e sopportare le situazioni fobiche con disagio . Anche in questo caso è fondamentale il criterio E cioè il fatto che i comportamenti reattivi conseguenti a questa fobia condizionino dell’individuo . 127 in modo marcato le relazioni sociali Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo La prevalenza di questi disturbi è elevata : prev . annua : disturbo di panico 0,4-1,5% agorafobia 2,4-6% fobia sociale 7,9% * fobie specifiche 4,5-11,9% disturbo d’ansia 2,4-4,6% generalizzato GAD disturbo ossessivo 1,1-3,3% compulsivo DOC *Questo range così ampio è da ricondursi alla restrittività dei criteri diagnostici utilizzati . specialmente il criterio E . Disturbo di panico Esordio 15-35 a Rapp.Maschi/ femmine =1/2,5 Esiste una componente genetica Comorbidità con : depressione , fobia sociale , DOC Fobia sociale Esordio 15-35 a M/F=2/3 Più frequente nei non coniugati Fobie specifiche Esordio da infanzia a 30 a M/F=1/2 GAD Esordio 20-40 a M/F=1/2 Presenta la più alta comorbidità con atri disturbi d’ansia DOC Esordio 20-35 a M/F=1/1 È presente una componente genetica 128 Disturbi d’ansia:disturbo ossessivo compulsivo Comorbidità con :depressione , disturbo bipolare , disturbi d’ansia , schizofrenia , DA , DDC ;tic . È il più grave tra i disturbi d’ansia . 129 Disturbi dissociativi DISTURBI DISSOCIATIVI Dovrebbero essere trattati con i disturbi post traumatici poiché entrambe queste categorie nosografiche sono legate al trauma . Il termine nevrosi isterica in psichiatria non si usa più , la diagnosi di nevrosi isterica è stata usata fino agli anni ’80 cioè fino all’avvento del DSM . Nel DSM la nevrosi isterica è stata scomposta in 2 diagnosi . Una è la diagnosi di disturbo dissociativo in cui vengono raggruppate le principali caratteristiche psicologiche di quella che era l’isteria . Invece le caratteristiche somatiche sono state raggruppate nei disturbi di conversione che fanno parte dei disturbi somatoformi . Sintomi somatici caratteristici sono la paralisi di un arto o una zona di anestesia . Hanno molte caratteristiche fisiologiche di paralisi e anestesia , ma non hanno alcuna base organica . Caratteristica isteria è quella delle giovinette che presentavano paralisi di entrambi gli arti superiori o inferiori o zone di anestesia che non seguivano i distretti anatomici dell’innervazione ma seguivano l’immaginazione . Ma la persona è realmente insensibile a dolore , calore etc. In uno dei primi testi di nosografia psichiatrica ‘Maleus Maleficarum’(?) , che era il manuale utilizzato durante la caccia alle streghe dalla Santa Inquisizione , venivano descritte situazioni di anestesia in determinati distretti del corpo e questo era indicativo di presenza demoniaca . I disturbi dissociativi sono caratterizzati da : 1.Alterazioni dello stato della coscienza ( es. stati crepuscolari al limite tra il sonno e la veglia ) o da alterazioni della memoria o del senso della propria identità , con una scissione delle normali funzioni di integrazione . 2.Nell’anamnesi si riscontrano eventi traumatici recenti o lontani nel tempo . Però a differenza del trauma che troviamo nel disturbo traumatico da stress , qui non vengono definite caratteristiche specifiche del trauma . Cioè non deve essere un trauma , per es , che comporti una minaccia di morte dopo aver assistito alla morte di qualcuno .Qui il trauma può essere di qualsiasi tipo l’importante è che la persona lo abbia vissuto in modo traumatico . Infatti Freud studiando queste persone riscontrò prima di tutto dei traumi di seduzione ( abusi ) e stabilì che le nevrosi isteriche fossero risposte a tali traumi . Successivamente si accorse che non sempre i traumi riportati erano reali , ma erano vissuti come tali , così diede più importanza alla fantasia e al vissuto che alla realtà . 130 Disturbi dissociativi 3.Possono essere espressioni comuni e accettate di attività culturali o esperienze religiose in molte società . Es 1 :possessioni demoniache . Es 2 :religioni anomistiche brasiliane fanno rituali che mescolano aspetti religiosi e aspetti naturalistici . Il ritmo dei tamburi porta le persone in trans durante le quali sono possedute dal personaggio che vogliono rappresentare (es. la madonna ) . I disturbi dissociativi possono essere presenti in molti altri disturbi psichiatrici : 1.Amnesia dissociativa : perdta di memoria che può riguardare un determinato momento o l’identità . può avere durata limitata o durare per anni 2.Fuga dissociativa : è necessaria la diagnosi differenziale con la fuga epilettica ( encefalogramma ) . Consiste nel fatto che una persona si allontana senza motivo dal suo ambiente di lavoro . Es. bancario dopo lavoro va in bici fino a Bari (900 km) da alcuni suoi parenti e rimane assente da casa per 3 giorni . dopo l’accaduto non ricordava di averlo fatto era normale , aveva solo alcuni flash del viaggio . 3.Disturbo dissociativo di identità ( identità multipla ) : ci sono più identità , cambiamenti dello stato di coscienza. Una persona amabile e timida diventa espansiva e arrogante . Es 1.ragazza 18enne che inizia improvvisamente a parlare in aramaico non conoscendolo .Es 2. dott Jackill e Mr.Hide .In quel momento prevale una sola personalità e l’altra identità è cancellata . 131 Disturbi somatoformi e fittizi DISTURBI SOMATOFORMI Caratteristica comune dei Disturbi somatoformi è la presenza di sintomi fisici che fanno pensare ad una condizione medica senza che sia possibile fare una diagnosi di condizione medica confermata da riscontri clinici ed esami diagnostici e strumentali, e trattandosi di sintomi fisici è logico che vengano riscontrati con elevata frequenza nelle consultazioni mediche e specialistiche negli ospedali, tanto che di alcuni di questi disturbi si conosce meglio la prevalenza tra i pazienti che affluiscono all’ospedale generale che non la prevalenza nella popolazione generale . Quindi sintomi somatici . I più importanti disturbi somatoformi sono : disturbo di somatizzazione, il disturbo di conversione, disturbo algico, l’ ipocondria e il dismorfismo corporeo. La prevalenza è molto variabile: nel disturbo di somatizzazione la prevalenza nei maschi è tra lo 0,1% 0,2%, invece quello delle femmine tra 0,2% e 2% . Quello di conversione è simile,e anche qui il disturbo colpisce in prevalenza le femmine. E la prevalenza più certa è che vadano dall’1 al 3 % negli pazienti psichiatrici ambulatoriali. Il disturbo algico è il più frequente anche perché è un disturbo sostanzialmente monosintomatico. Dell’ipocondria si conosce solo la prevalenza nelle popolazioni cliniche, in quelle cioè che si rivolgono agli ambulatori, ospedali ecc. ed è del 4,9%, del dismorfismo corporeo mancano degli studi che permettano di dire qual è la sua prevalenza. Ci sono dei dati non troppo certi, ci sono le esperienze cliniche, nella esperienza di Santonastaso è un disturbo abbastanza frequente il cui inserimento tra i disturbi somatoformi è dovuto soltanto al tipo di sintomo , cioè la persona ha la convinzione di avere un difetto fisico in genere prevalente nel volto . Il sintomo riguarda il difetto fisico e quindi il corpo , ma le caratteristiche fisiche nel disturbo del dismorfismo corporeo sono molto più simili a quelle del disturbo ossessivo compulsivo , e quindi da un punto di vista psicopatologico sarebbe più corretto inserirlo tra i disturbi ossessivi compulsivi. Vediamo i criteri diagnostici: i pazienti che presentano un disturbo di somatizzazione sono pazienti che presentano delle lamentele somatiche , in genere l’elenco dei sintomi che compare è un elenco di frequenza , per esempio il sintomo dolore in qualche localizzazione diffusa è il più frequente poi i sintomi intestinali sono anch’ essi molto presenti . Il modo in cui i pazienti riferiscono questi sintomi è un modo abbastanza colorito a volte esagerato, hanno una lunga storia di malattia alle spalle, l’esordio deve essere prima dei trent’anni ma la durata è in genere protratta a sei mesi . Quindi dolori toracici, dolore all’addome, alla schiena, alle articolazioni, può esserci un dolore nella 132 Disturbi somatoformi e fittizi funzione mestruale, nella minzione, nell’atto sessuale, può esserci un corredo di sintomi che riguarda soprattutto l’intestino, nausea, vomito, intolleranza alimentare, a volte sensazione di difficoltà ad inghiottire, senso di peso allo stomaco. In qualche momento della storia del paziente deve esserci stato almeno una volta una disfunzione erettile o un disturbo della eiaculazione nei maschi, irregolarità mestruali o dolori mestruali o durante l’atto sessuale , almeno un sintomo neurologico come parestesia, difficoltà nella deglutizione, senso di mancamento, afonie, ritenzione urinaria; le allucinazioni francamente non sono un sintomo frequente in questo disturbo; si possono accusare vertigini, amnesie, perdita di coscienza. Non c’ è sulla base di esami clinici, per es. la paralisi o la parestesia di un arto , facendo ad es.un esame neurologico, nessun segno neurologico, si fa un elettromiogramma e non c’è nessun segno di deficit dìinnervazione , si fanno tutti gli esami strumentali e non si trova una base organica alla presenza di questi disturbi. Spesso si pone, a proposito di questi pazienti il problema della simulazione , ingigantiscono talmente tanto i loro sintomi che si pensa che facciano finta . Questo è indotto dal tipo di patologia, ma in realtà bisogna considerare che questi pazienti sono gravemente sofferenti e questi sintomi compromettono in modo sostanziale le capacità di relazione e il rendimento nell’ambito del lavoro, che se producono dei vantaggi secondari, per esempio un’attenzione da parte dei parenti , producono anche un senso di fastidio, di esaurimento , spesso delle reazioni di aggressività che diventano un fattore di mantenimento del disturbo , perché le reazioni dell’ambiente , sia quelle dei familiari sia quelle dell’ambiente medico che, di fronte all’impossibilità di dimostrare un’origine organica della malattia, è indotto a ritenere di essere preso in giro per cui anche il medico a volte reagisce alla presenza di questi sintomi con un senso d’insofferenza; bisogna tenere conto che una persona normale non si rovina la vita in questo modo, perché veramente sono persone che si rovinano l’esistenza, quindi questa è una considerazione fondamentale, poi esistono molte prove che questi disturbi non siano l’espressione di una simulazione e non è detto che il fatto di non poter riscontrare agli esami che noi attualmente utilizziamo , sia clinici sia strumentali, un difetto biologico organico, non è detto che non sia possibile in futuro riuscire ad individuare anche un malfunzionamento biologico a livello della trasmissione per es. dell’impulso nervoso. E’ noto che per es. che tra questi disturbi , vedremo poi il disturbo algico , il dolore qualsiasi sia la causa del dolore, quindi anche una causa intraorganica come per es. un cancro dell’intestino o altri motivi di dolore come per es. percezione del dolore, essendo l’ emicrania , ecc., la soggettiva ( non abbiamo gli strumenti per misurare oggettivamente il dolore , abbiamo eventualmente degli strumenti per misurare la 133 Disturbi somatoformi e fittizi sensazione soggettiva del dolore ) è molto condizionata dall’umore, per es. nei soggetti depressi il dolore è molto più importante molto più rilevante. I farmaci antidepressivi, anche quelli di vecchia generazione, sono efficaci nel trattamento del dolore di qualsiasi tipo anche di origine somatica e il dolore di qualsiasi origine risponde bene al trattamento con i placebo. A volte non è possibile distinguere nel periodo iniziale del trattamento l’efficacia del placebo dall’efficacia di un antidolorifico farmacologicamente attivo. In genere l’efficacia del placebo dura per i primi tempi del trattamento , nel lungo periodo si attenua, mentre l’antidolorifico mantiene la sua efficacia anche nel lungo periodo ; questo per dire che di fronte a dei sintomi che sembrano esclusivamente psicologici ci possono essere sicuramente delle alterazioni biologiche che noi ancora non conosciamo. I pazienti riferiscono i sintomi in modo colorito, esagerato e riferiscono una lunga storia di malattia .Associati ai sintomi del disturbo di somatizzazione sono frequenti sintomi di ansia e di depressione , sono pazienti che hanno un elevato uso di farmaci che talora esita in una vera e propria dipendenza dagli antidolorifici, dalle benzodiazeipine e sono degli alti consumatori di farmaci. Mentre il trattamento con antidepressivi ha un suo razionale, quando ci siano sintomi compatibili con l’uso degli anidepressivi, il trattamento con benzodiazipine che sono farmaci ansiolitici, non ha un suo razionale nel senso che al massimo la benzodiazepina è sintomatica e diminuisce l’ansia relativa al sintomo in quel determinato momento , ma nel tempo l’efficacia si attenua , il paziente è portato ad aumentare i dosaggi e questo può determinare una vera e propria dipendenza . Sono pazienti che addirittura possono riuscire a farsi operare, ci sono tantissime appendicite che vengono effettuate in cui poi l’appendice non è per niente infiammata e una buona parte di questi pazienti sono portatori di disturbo somatoforme in particolare del disturbo di somatizzazione . Il disturbo di conversione: la diagnosi di nevrosi isterica che oggi non è più diagnosi attuale, lo era fino a trenta anni fa ;oggi si scompone in diagnosi dei disturbi associativi cioè i sintomi tipici dell’antica isteria e nel disturbo di conversione che sono i sintomi somatici dell’isteria. Questo significa che oggi ci sono dati sufficienti di osservazione per dire che queste due sindromi, cioè disturbo di conversione e disturbi dissociativi si presentano sì anche insieme, ma più spesso si presentano separatamente , da qui il motivo per cui i due disturbi sono stati distinti . Il disturbo di conversione è caratterizzato dalla presenza di sintomi , in genere neurologici o a livello motorio o a livello sensitivo e questi sintomi possono essere per es. la paralisi di un arto o di entrambi gli arti , parestesie, anestesie riguardo al caldo o al freddo oppure anestesie riguardo al dolore, vari tipi di anestesie e, mentre i pazienti che 134 Disturbi somatoformi e fittizi hanno un disturbo di somatizzazione sono pazienti che accompagnano il racconto dei loro sintomi con una notevole partecipazione emotiva, i pazienti che presentano disturbi di conversione possono non evidenziare questo aspetto psicologico , ma mostrare invece una strana indifferenza nei confronti del sintomo , dico strana perché nei confronti per es. di una cecità , di una sordità o di una paralisi appunto, ci si immagina che una persona normale reagisca con un’intensa preoccupazione , invece gli antichi psichiatri , in particolare la psichiatria francese, aveva osservato questa forma di indifferenza che era stata attribuita come caratteristica specifica a questi comportamenti. In realtà questa storia dell’indifferenza si può osservare ma anche non osservare nel senso che ci sono alcuni pazienti che presentano sintomi di conversione che appaiono coerentemente preoccupati con la gravità del sintomo . Il secondo criterio del disturbo di conversione consiste nel valutare che qualche fattore psicologico sia associato con il sintomo o deficit in quanto l’esordio o l’esacerbazione è preceduto da qualche conflitto, fattore stressante, da qualche trauma e ci sono diversi studi che segnalano come nella storia recente di questi pazienti sia più facile osservare la presenza di eventi traumatici o stressanti rispetto per es. ai pazienti che hanno un disturbo di panico o rispetto ai pazienti che hanno uno stesso disturbo di somatizzazione . Quindi il sintomo di conversione come risposta ad un evento traumatico . Anche qui il sintomo non è intenzionalmente simulato, varrebbe la pena di dire che nel campo dell’isteria , quindi nel campo dei disturbi associativi e dei disturbi di conversione , le interpretazioni dei sintomi che sono state effettuate su base psicanalitica contengono ancora una qualche verità , per es. il rapporto tra un trauma e il sintomo di conversione è un rapporto che è stato studiato in modo particolare dalla psicoanalisi e una cosa indiscutibilmente vera è che, come ha sottolineato la psicoanalisi, non è necessario che ci sia un trauma reale, ma è sufficiente che ci sia un trauma soggettivo , cioè un evento vissuto in modo particolarmente traumatico da una persona per le particolari caratteristiche della sua personalità. Nella produzione del sintomo di conversione entra in gioco quel meccanismo della rimozione che abbiamo conosciuto attraverso la descrizione clinica dell’amnesia dissociativa, cioè in sostanza la psicanalisi dice “ di fronte ad un conflitto insopportabile alla mia coscienza, alla mia morale, non comunicabile agli altri, ecc. l’io del soggetto opererebbe una sorta di censura , una sorta di rimozione e questo conflitto mal tollerato, non tollerabile viene rimosso, dimenticato, “ amnesia “. Il conflitto dimenticato riemerge nei sintomi somatici che spesso a livello simbolico rappresentano il conflitto che è stato rimosso ( es. marito e moglie notevole conflittualità , aggressività crescente da parte della moglie che arriva a pensare di bastonare il marito, a volte puiò arrivare a pensare 135 Disturbi somatoformi e fittizi “ma io gli do una coltellata” …Il suo superio, la sua coscienza, non contempla di poter attuare una cosa così orripilante come l’omicidio. Il conflitto viene rimosso, dimenticato, ma alla signora viene una paralisi al braccio che era quello che la signora pensava di utilizzare per uccidere il marito ). Disturbo algico. Un es.: un elicotterista dell’esercito, 35 anni, bel ragazzo, che è sottoposto per il mestiere che fa ad uno stress piuttosto rilevante l, ma tollera lo stress senza particolari problemi: è sposato, ha uno, due figli una moglie che ama, va spesso in missione pericolose, lunghi periodi fuori di casa, in uno di questi periodi tradisce la moglie ; forti sensi di colpa. Dopo qualche tempo insorge un forte dolore alla minzione e nella zona perineale , questo dolore è prima solo durante la minzione, poi anche durante tutta la giornata , il sintomo si aggrava, va a farsi vedere da un sacco di medici, urologi e via dicendo , terapie nonostante non sia mai stata dimostrata cistite o altri problemi che possono giustificare questa sintomatologia. Dopo circa un anno di diverse indagini, anno in cui ha rinunciato ad andare in missioni che comportano una retribuzione molto più elevata , ha problemi di tensione, gli viene una depressione secondaria a questo sintomo, i rapporti con la moglie peggiorano, lui è molto colpevolizzato , glielo dico, non glielo dico ecc., arriva dopo un anno che si sta aggravando all’osservazione del sottoscritto che banalmente gli prescrive un serotoninergico , nel giro di un mese la sintomatologia si riduce, nel giro di sei mesi la sintomatologia è del tutto scomparsa, la depressione anche e così è tornato in missione e fa una vita relativamente normale . Questo in sintesi la descrizione di un disturbo algco. Il disturbo di conversione invece non si tratta con i farmaci perché non sono efficaci . Il disturbo dell’esempio precedente ci dice che questi disturbi hanno una componente psicologica che però non esclude una componente biologica. Gli antidepressivi sono efficaci nel trattamento del disturbo algico , in particolare sono efficaci nel dolore, riducono la depressione, ma anche il dolore che non è associato alla depressione. Che poi questo abbia risolto il suo conflitto non lo so , avrebbe potuto risolversi comunque, potrebbe ripresentarsi, è possibile che altri problemi nella vita portino quell’individuo ad accusare altri sintomi o quello stesso sintomo, però non è molto frequente che il disturbo algico si ripresenti. La sospensione della terapia farmacologia comporta una percentuale di ricadute non trascurabile , non necessariamente la ricaduta si presenta con la stessa sintomatologia, però in questo caso mi sembra che lui abbia fatto come da linee guida un trattamento farmacologico di otto ,dieci mesi, dopodiché il trattamento è stato sospeso e dopo la sospensione l’individua ha continuato a stare relativamente bene. 136 Disturbi somatoformi e fittizi Le recidive sembrano essere più frequenti nella fase iniziale , man mano che passa il tempo il rischio della recidiva finisce . La psicoterapia avrebbe comportato due sedute a settimana per tre quattro anni senza certezza del risultato che molto dipende dalla collaborazione del paziente . Quindi ragioni di tipo economico anche di tempo privilegiano in questo tipo di disturbo il trattamento farmacologico rispetto a quello psicoterapeutico penultimo disturbo è quello che sarebbe più corretto da un punto di vista psicopatologico inserire tra i disturbi ossessivi compulsivi . L’ipocondria molto diffusa tra i pazienti della medicina generale . Mentre nel disturbo di somatizzazione il paziente accusa dei sintomi, nell’ipocondria il sintomo è la paura di avere un malattia, in genere una malattia grave e questa paura può essere basata sull’interpretazione erronea di sintomi somatici, magari non particolarmente rilevanti che però vengono interpretati dal paziente come un segnale di particolare pericolo. Una caratteristica di questi pazienti è che questa preoccupazione non se ne va nemmeno quando il paziente, siccome ha la cefalea e ha paura di avere un tumore in testa, gli viene fatto l’esame neurologico, l’elettrocardiogramma, la TAC, la risonanza magnetica, qualsiasi altro esame adatto ad individuare la presenza di un tumore celebrale, quando il paziente ha fatto tutti questi esami e il medico gli dice guarda che tu non hai un a mazza , il paziente si rassicura per due tre giorni al massimo o per una settimana , ma dopo la sua paura di avere un tumore in testa riprende, oppure gli viene la paura di avere un’altra malattia sulla base di un altro sintomo non particolarmente significativo ; quindi la preoccupazione persiste nonostante rassicurazioni mediche appropriate . Psicopatologie in cui possiamo trovare il delirio ipocondriaco: La schizofrenia paranoide è una possibilità , un’altra è un disturbo depressivo maggiore; tra l’altro questi due tipi di delirio , schizofrenia paranoide e depressione maggiore, hanno caratteristiche diverse , per es. nella schizofrenia un tipo di delirio può essere la convinzione di avere il proprio sangue formato da vermi o percorso da vermi, cioè questo è un delirio possibile, una forte convinzione da parte del paziente e come in tutti i deliri non viene minimamente corretto dal ragionamento : la diagnosi differenziale tra delirio ipocondriaco e ipocondria è che il paziente ipocondriaco perlomeno per una settimana si convince o si rassicura che non ha un tumore in testa, il paziente schizofrenico , se è convinto che il suo sangue è percorso da vermi, rimane convinto qualsiasi esame gli portiate. Quale è la diagnosi differenziale nell’ipocondriaco depresso ? I vecchi depressi hanno frequentemente una depressione ipocondriaca, sono convinti per es. che il cuore o i polmoni non funzionino , esprimono la depressione attraverso paure somatiche , però il delirio più caratteristico del melanconico è il delirio di chi pensa di non avere più il 137 Disturbi somatoformi e fittizi cuore, non avere più i polmoni, essere completamente svuotato, non avere gli organi interni, addirittura l’estremo di questo modo di pensare ,il credere di essere morti e di vivere in un mondo di morti e che tutti siano dei fantasmi. Questo tipo di delirio ipocondriaco si chiamava anticamente “sindrome di Bopal ? ? ??”, da chi per primo ha descritto questo tipo di delirio. E’ abbastanza diffusa . 138 Disturbi dell’alimentazione DISURBI DELL’ALIMENTAZIONE: ANORESSIA E BULIMIA I criteri diagnostici dell’anoressia nervosa [d’ora in poi indicata con “AN”] sono cambiati più volte nel tempo e addirittura essa non sempre è stata considerata una malattia. Nel Medioevo e Rinascimento infatti le sante ascete non venivano considerate anoressiche perché, oltre a privarsi del cibo e di tutti gli altri piaceri della vita, si autoinfliggevano delle punizioni. Per le sante questo comportamento di privazione era un mezzo per arrivare alla vicinanza con Dio; oggi nelle giovani anoressiche non si riscontra alcun pensiero simile anche se nell’AN spesso si trovano atteggiamenti ascetici con la rinuncia oltre che al cibo anche ad altri piaceri. La malattia è stata descritta per la prima volta da Laseg (non so se si scrive così !) agli inizi dell’800. Nelle future edizioni del DSM è possibile che alcuni criteri oggi presenti subiscano delle modificazioni. I criteri attualmente presenti nel DSM IV sono: ◊ criterio A: rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra dell’85% del peso normale per età e statura (BMI < 17,5) N.B. non si parla di perdita di peso ma di rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra dell’85% del peso normale, cioè c’è un’intenzione volontaria ed attiva di ridurre il peso e mantenere la riduzione. Il peso normale per età e statura è definito dalle tabelle assicurative americane (che l’hanno stabilito per poter quantificare l’aumento di rischio di malattia cardiovascolare, se il peso è in eccesso, o di altre complicanze, se il peso è in difetto). A livello clinico normalmente si usa il BMI (= Body Mass Index) che è dato dal rapporto tra il peso (Kg) e il quadrato dell’altezza (m2) ed è valido solo per le persone con più di 17 anni. Per gli adolescenti occorre rifarsi alle tabelle pediatriche della crescita (che sono facilmente disponibili). Una riduzione del 15% del peso corporeo normale corrisponde a un BMI di 17,5. Questo valore è utilizzato dall’OMS e nell’ICD 10 (= sistema di classificazione delle malattie usato dall’OMS) per diagnosticare l’AN. ◊ criterio B: intensa paura di acquistare peso o diventare grassi anche quando si è sottopeso. E’ un criterio importante per differenziare la diminuzione del peso nell’AN rispetto a quella provocata da cause organiche o psichiatriche. Es. carcinoma dello stomaco, depressione 139 Disturbi dell’alimentazione ◊ criterio C: alterazione del modo in cui il soggetto vive il suo peso e il suo corpo o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sull’autostima, o rifiuto di ammettere la gravità del sottopeso. Nel DSM III questo criterio era definito in altro modo e si parlava di disturbo dell’immagine corporea; si pensava cioè che il rifiuto dell’ammettere la gravità del proprio sottopeso fosse dovuto ad un disturbo propriocettivo per la percezione del proprio peso e forme del corpo. Una verifica sperimentale ha portato ad escludere che le anoressiche non fossero in grado di identificare correttamente le misure del proprio corpo. Se c’è realmente un disturbo dell’immagine corporea, esso è a livello affettivo e cognitivo e non a livello percettivo! Questo vuol dire che la condizione del tono dell’umore è importante nel determinare il modo alterato di vedere se stessi. Es. se si è depressi o di cattivo umore ci si vede più brutti e grassi (ci si vede più grassi perché i canoni di bellezza odierni vedono la magrezza come un segno di beltà) A volte il rifiuto di ammettere la propria eccessiva magrezza, a fronte di una realtà incontrastabile e incontrovertibile, può assumere delle caratteristiche deliranti (cioè un giudizio della realtà errato e rigido che non è possibile discutere né modificare con il ragionamento), anche se l’AN non è considerata un disturbo psichiatrico frequentemente associato alla schizofrenia né tantomeno è considerata una psicosi. ◊ criterio D: amenorrea: assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi Questo criterio è vero nella maggior parte dei casi, ma in molti l’amenorrea precede l’insorgenza di un’AN. Recentemente (due o tre anni fa) è stato condotto uno studio epidemiologico sulla popolazione generale che ha mostrato come persone con tutti i criteri tranne il D hanno caratteristiche cliniche e di comorbidità psichiatrica sovrapponibili alle persone che hanno tutti i criteri compreso il D. Quindi probabilmente il criterio D nelle prossime edizioni del DSM verrà escluso. Il DSM IV distingue due sottotipi di AN: ◊ restrittivo (restricter): nelle persone che riducono il peso senza avere mai perdite di controllo alimentare (= crisi bulimiche) e senza condotte di eliminazione (vomito, lassativi, diuretici) ◊ con crisi bulimiche/condotte di eliminazione (binge-purge): nelle persone che presentano regolarmente crisi bulimiche o condotto di eliminazione Questa distinzione ha un valore clinico e prognostico. Il secondo sottotipo infatti è più grave sulla base della comorbidità psichiatrica, della comorbidità medica e della prognosi. L’AN con crisi o condotte ha una incidenza di mortalità tra le più alte rispetto alle altre patologie psichiatriche. 140 Disturbi dell’alimentazione N.B.: La perdita di controllo alimentare viene anche definita “abbuffata” e consiste nel mangiare una gran quantità di cibo in un tempo relativamente breve non volendolo fare. Criteri per la diagnosi della bulimia nervosa [d’ora in poi indicata con “BN”]: (il peso non viene neppure nominato al contrario di quello che accade per la diagnosi di AN! Se c’è una riduzione di peso si finisce nella diagnosi di AN) ◊ criterio A: ricorrenti crisi bulimiche definite da: 1. mangiare in un definito periodo di tempo una quantità di cibo decisamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nelle stesse circostanze 2. sensazione di perdita del controllo su quello che si mangia durante l’episodio La definizione la punto 1 è un po’ complicata perché condizionata dalla difficoltà a definire cosa vuol dire “mangiare troppo” per una persona (perché per una persona con AN o BN mangiar troppo vuol dire anche solo mangiare una brioches in più rispetto a quello che aveva pianificato e quindi per queste pazienti una quantità eccessiva di cibo può corrispondere a una quantità oggettivamente piccola; esistono della situazioni sociali in cui si mangia più del necessario, es. matrimoni, lauree,… ma questo tipo di abbuffate non possono essere considerate crisi bulimiche perché la maggior parte delle persone mangia molto più del necessario in quelle occasioni). Inoltre le persone con BN spesso non sanno ben definire cosa hanno mangiato durante una crisi bulimia, quindi sono state sviluppate delle strategie per capirlo. Al punto 2 si parla di sensazione soggettiva della perdita di controllo durante una crisi, ma questa sensazione da sola non basta per porre diagnosi. ◊ criterio B: comportamenti compensatori inappropriati per prevenire l’aumento del peso (vomito autoindotto, uso improprio di lassativi, diuretici, clisteri, digiuno o esercizio fisico eccessivo) Tutte queste strategie sono messe in atto per ridurre o contenere l’aumento di peso provocato dall’eccesso alimentare. I comportamenti compensatori inappropriati si dividono in: comportamenti di eliminazione (vomito, lassativi, diuretici, clisteri) comportamenti non di eliminazione (digiuno prolungato, esercizio fisico sostenuto e prolungato) ◊ criterio C: Le crisi bulimiche e le condotte compensatorie si verificano entrambe, in media, almeno due volte alla settimana per almeno tre mesi ◊ criterio D: i livelli di autostima sono esageratamente influenzati dalla forma e dal peso del corpo. Questo criterio corrisponde al criterio C della diagnosi di AN. 141 Disturbi dell’alimentazione ◊ criterio E: non si manifesta esclusivamente durante AN In base ai comportamenti compensatori, la BN viene divisa in due sottotipi (è una distinzione con importanza clinica): ◊ con condotte di eliminazione (purge) presenta regolarmente vomito, uso di lassativi, diuretici ◊ senza condotte di eliminazione (non-purge) non presenta regolarmente questi comportamenti Come per l’AN la BN con condotte di eliminazione ha una peggior prognosi clinica e una maggior comorbidità medica e psichiatrica. I criteri del DSM IV sopraccitati servono per porre le diagnosi di AN e BN complete. Nella clinica però si possono trovare delle sindromi parziali, cioè persone che hanno alcuni ma non tutti i criteri diagnostici. Spesso anche nelle sindromi parziali c’è la necessità, in base ai sintomi presenti, di trattamenti come avviene nelle sindromi complete. Epidemiologia (utile anche per capire alcuni meccanismi patogenetici della AN e BN): I disturbi alimentari sono le malattie psichiatriche che presentano il maggior squilibrio nel rapporto uomo-donna: AN e BN (anche se quest’ultima un po’ meno) presentano dei rapporti di 10-20:1 tra femmine e maschi! Il che non significa che i maschi non sono minimamente colpiti, tanto più che a volte alcuni maschi presentano la malattia con gravità maggiore rispetto alle femmine. Ci si è interrogati sul perché esiste uno squilibrio così elevato tra maschi e femmine e sono state proposte alcune ipotesi di ordine sociale e di ordine biologico (es. assetto ormonale delle femmine considerato come predisponente). A tutt’oggi però ancora non si conosce il perché dello squilibrio. La frequenza dei disturbi alimentari non è in aumento o meglio è difficile dire se è in aumento o se è stabile perché non si hanno dei dati di osservazione adeguati; inoltre nel tempo i criteri diagnostici sono cambiati, la capacità di riconoscere i disturbi alimentari è andata migliorando e i metodi applicati agli studi epidemiologici sono stati modificati (così che risulta impossibile riuscire a confrontare due studi fatti in periodi diversi). Spesso una persona con questo tipo di disturbi 50 anni fa poteva avere una diagnosi misconosciuta, ovvero, presentandosi dal ginecologo o medico di base o nutrizionista per i problemi conseguenti al disturbo (amenorrea, astenia, perdita di peso, …) non veniva indirizzata allo psichiatra ma tendeva ad essere curata per i soli sintomi. Oggigiorno esistono risultati discordanti tra gli studi svolti. Es. in Inghilterra si è notato un aumento di incidenza di AN tra gli anni ‘60 e ‘80, in Svizzera ed Olanda viceversa studi successivi hanno escluso che vi sia stato un aumento dell’incidenza della AN nella maggior parte dei luoghi studiati. 142 Disturbi dell’alimentazione Alcuni studi hanno rilevato un aumento dell’incidenza della BN negli anni ’80, ma si pensa che questo sia dovuto alla descrizione della BN come sindrome autonoma solo a partire dagli anni ’80 stessi ( la distinzione della BN dagli altri disturbi alimentari si deve a Rassen – non so se si scrive così! - , un noto professore inglese). Negli anni più recenti si pensa che la cosa più verosimile sia che l’incidenza delle AN e BN sia rimasta stabile. In linea di massima si può dire, più per la BN che per la AN, che anche la modificazione delle caratteristiche della società, da preindustriale a industrializzata, ha contribuito a variare la frequenza dei disturbi alimentari. La prevalenza punto (che è la misura di quanti casi sono presenti nella popolazione in un dato momento, e si differenzia dalla prevalenza anno che indica i casi presenti nella popolazione nell’arco di un anno) dei disturbi alimentari rilevata da studi del gruppo del prof. Santonastaso sono: Studio n° Studio su AN BN Sindromi parziali 1 359 adolescenti 0% 0,5% di Pd (16 anni) (0,5%) (1%) 7% 0,7% 2,1% 10,7% 121 adolescenti 2 di Mestre 395 studenti 3 universitari di 5% 0,7% 1,5% Pd (non sono sicura del valore) 1190 soggetti 4 della 0,3% 1,8% 2,8% popolazione (1,9%) (4,6%) (5,3%) generale di Pd (18-25 anni) Tra parentesi sono indicate le prevalenze lifetime, ovvero i soggetti che in quel momento non erano malati ma che avevano avuto la malattia in passato e che erano guariti più o meno spontaneamente. Confrontando gli studi 1 e 2 si è visto che in diverse situazioni sociali la prevalenza può essere diversa. Confrontando gli studi 1e 2 con lo studio 3 si è visto che anche a diverse 143 Disturbi dell’alimentazione età la prevalenza punto può variare, infatti, tenendo presente che i disturbi alimentari possono protrarsi per due o tre anni, è facile comprendere come aumentando l’età dei soggetti si aumenti anche la probabilità di trovare persone con la diagnosi. Lo studio 4 è l’unico presente in Italia condotto sulla popolazione generale (cioè non su persone con caratteristiche specifiche). E’ lo studio più importante perché, selezionando una sottopopolazione come quella degli studenti, già si considera una categoria di persone a rischio per i disturbi alimentari (in genere infatti AN e BN sono più frequenti tra studentesse rispetto a giovani che non sono impegnate nello studio; sono inoltre più frequenti nelle scuole o nelle facoltà più selettive rispetto a quelle non selettive. Tutto ciò si è visto con studi condotti in USA; per spiegare queste differenze si è ipotizzato che lo stress a cui le persone sono sottoposte nella competizione scolastica sia un fattore di rischio). Quando si fa uno studio epidemiologico sui disturbi alimentari non basta fare un questionario ma bisogna intervistare tutti i soggetti individualmente, perché le persone con queste malattie tendono a negare l’esistenza del problema (infatti la negazione della malattia o del disagio personale che da essa deriva è tipica delle pazienti con disturbi alimentari); durante un colloquio diretto esse riscontrano maggiori difficoltà a negare la patologia e quindi permettono all’intervistatore di accorgersi dell’esistenza del problema. I dati riportati nello studio 4 sono i più attendibili per la fascia di età compresa tra i 18 e 25 anni. Esistono altri cinque o sei studi (Inghilterra, Spagna, USA,…) con cui lo studio 4 può essere confrontato e i cui dati sono risultati sovrapponibili. L’unico dato diverso tra lo studio italiano e quello americano riguarda la prevalenza punto nelle sindromi parziali: esse risultano più frequenti tra gli americani. Negli USA infatti sono più frequenti i “disturbi d’alimentazione incontrollata” (uno dei disturbi costituenti la classe delle sindromi parziali), ovvero i casi di obesi che sono bulimici. Questo è dovuto al fatto che in USA l’obesità risulta un problema più diffuso che in Italia. I dati tra Padova e Mestre sono così diversi perché le scuole considerate erano diverse, inoltre il livello socio-demografico degli istituti di Mestre era molto più basso. 144 Disturbi dell’alimentazione FATTORI PREDISPONENTI FATTORI PRECIPITANTI FATTORI PERPETUANTI Eventi traumatici o stressanti (esami, malattie, lutti, abusi…) Genetici Psicologici Insoddisfazione nei confronti del corpo Restrizione alimentare per migliorare controllo e stima di sé Ambientali Perdita di peso e/o crisi bulimiche e/o vomito e/o lassativi Conseguenze fisiche e psichiche; reazioni dell’ambiente Patogenesi multifattoriale dei disturbi dell’alimentazione (da Garner, 1993, modificato) Quello che vedete qui è il modello eziopatogenetico che riguarda i disturbi del comportamento alimentare. È un modello multifattoriale, il che significa che non esiste un’eziologia nota dei disturbi del comportamento alimentare come non esiste per quasi tutte le patologie psichiatriche. C’è la concomitanza di più fattori che agiscono in modo diverso: possono agire come fattori di rischio, possono agire come fattori precipitanti e possono agire come fattori di mantenimento. Molto spesso, nei disturbi alimentari i fattori di rischio e quelli di mantenimento si differenziano, cioè nelle stesse persone non sono uguali. Questo implica una cosa molto importante per quanto riguarda il trattamento: implica che nella fase iniziale della terapia è importante rivolgersi soprattutto verso i fattori di mantenimento per spezzare quei circoli viziosi che tendono a mantenere la presenza del disturbo. In una fase avanzata della terapia invece ci si può rivolgere ai veri e propri fattori di rischio, quei fattori che presumibilmente hanno causato il disturbo alimentare, anche se non sempre è possibile identificare le vere e proprie cause. Non c’è mai però una singola causa, c’è sempre una concomitanza. FATTORI DI RISCHIO: 145 Disturbi dell’alimentazione Tra i fattori di rischio, fattori predisponenti o fattori di vulnerabilità (a seconda di come li volete chiamare), ci sono i fattori genetici. È dimostrato che esiste una predisposizione genetica che condiziona circa per il 50% la possibilità di sviluppare un disturbo alimentare. Questo tipo di rischio è stato valutato vedendo che nelle famiglie con persone con disturbi alimentari c’è una prevalenza più alta di questi disturbi rispetto alle famiglie in cui non ci sono. Quindi esiste una familiarità. Spesso la familiarità è anche condivisa con altri tipi di patologie psichiatriche, soprattutto con disturbi dello spettro ossessivo compulsivo, disturbi depressivi e i disturbi da abuso di alcol. Oltre a questo tipo di studi sono stati fatti degli studi sui gemelli, in cui vengono confrontati le concordanze di stato diagnostico tra gemelli monozigoti (che condividono il 100% del patrimonio genetico) con la concordanza tra i dizigoti (che condividono solo il 50% del patrimonio genetico). Se la concordanza nei monozigoti è molto più alta di quella che c’è nei dizigoti vuol dire che esiste una componente genetica importante. Attraverso questo tipo di confronti la componente genetica viene quantificata. Questo tipo di studi ha grossi limiti: vista la prevalenza di questi disturbi è richiesto un campione molto ampio di gemelli; anche se questi studi sono stati fatti su campioni molto ampi (oltre 4000 soggetti sono stati analizzati negli USA) purtroppo non si capisce bene perché, ma i disturbi alimentari sembrano essere meno frequenti nei gemelli rispetto alla popolazione normale, per cui il potere statistico è più scarso e quindi gli studi hanno tutt’ora qualche limite. Però la percentuale di ereditarietà che è stata stimata è intorno al 50%, sia per l’anoressia che per la bulimia. Probabilmente per l’anoressia l’ereditarietà è un pochino più alta che per la bulimia. Molto recentemente sono stati fatti altri studi che analizzavano i fattori di rischio genetici: Studi di linkage: hanno dato risultati promettenti. Per quanto riguarda l’anoressia è stata individuata una zona di linkage nel cromosoma 1 (ovviamente sono studi preliminari che vanno confermati). Per la bulimia è stata trovata una zona di linkage nel cromosoma 10. Questo non vuol dire che è stato identificato un gene per l’anoressia o per la bulimia, ma che è possibile che in quest’area dei cromosomi 1 e 10 possa esserci un gene che contribuisce al rischio per l’anoressia/bulimia. Non è sicuramente ipotizzabile che ci sia un unico gene. Ce ne sono molti che contribuiscono al rischio, però questo tipo di studi dovrebbe a poco a poco riuscire a identificare questi geni. Quindi sappiamo che il rischio aumenta se c’è una vulnerabilità genetica. Ci sono però, e hanno pari importanza rispetto a quelli genetici, fattori di rischio di tipo ambientale e psicologico. Caratteristiche psicologiche che aumentano il rischio di sviluppare questi disturbi: 146 Disturbi dell’alimentazione • Si è molto parlato del perfezionismo: le ragazze che sviluppano un’anoressia/bulimia tendono spesso a essere molto perfezioniste. In genere legato al perfezionismo c’è un problema di autostima: la persona cerca di pretendere il massimo da se stessa proprio perché ha bisogno di conferme sul fatto di valere qualcosa o di essere in grado di fare della cose. Il perfezionismo mette a rischio perché la persona perfezionista tende a prendere tutto un po’ all’estremo: per esempio un adolescente molto perfezionista che si mette a dieta tenderà a seguire la dieta in modo estremo, troppo rigido e quindi questo diventerà un comportamento a rischio di sviluppo di un’anoressia o bulimia. • La bassa autostima mette a rischio, oltre che per il discorso legato al perfezionismo, perché una persona che intraprende una dieta e ha successo nella dieta tende a basare troppa parte della sua autostima su questo successo e quindi tende a continuare nel suo comportamento di dieta estrema come un rinforzo della sua autostima. Il fatto di dimagrire è un importante fattore che riesce a mantenere l’autostima del paziente. • Depressione: nei sintomi depressivi c’è calo dell’appetito. A volte ci sono persone che iniziano a non mangiare per una depressione e poi si innesca un circolo vizioso con l’anoressia o la bulimia. La depressione contribuisce ad avere una bassa autostima. • Caratteristiche temperamentali: il temperamento è quella parte della personalità che viene ereditata geneticamente. Nel caso dell’anoressia c’è un aspetto temperamentale molto frequente (che è frequente anche nei disturbi depressivi o nei disturbi ossessivo compulsivi) che viene chiamato “evitamento del danno”: appartiene alle persone che evitano di mettersi in gioco per paura dell’imprevisto. Questa è una caratteristica temperamentale che aumenta il rischio di sviluppare un’anoressia. Infine veniamo ai fattori di rischio ambientali: • Socio – culturali : si è detto molto sul fatto che l’anoressia e la bulimia siano malattie del nostro tempo e sul fatto che ci sia una pressione sociale per questo tipo di malattie. Sicuramente è vero che nel nostro secolo la prevalenza di queste malattie è aumentata, anche se adesso, come vi avrà detto il proff. Santonastaso, è verosimilmente stabile, come risulta anche dagli ultimi studi. In realtà non sappiamo bene questo aumento di quanto è stato perché vent’anni o trent’anni fa non usavamo gli stessi criteri diagnostici o le stesse capacità di determinare l’epidemiologia di questi problemi. Comunque è vero che nella nostra società l’ideale di magrezza è molto forte, e non solo l’ideale di magrezza, ma è molto forte 147 Disturbi dell’alimentazione anche l’ambivalenza dei messaggi che vengono espressi in TV: il messaggio di mangiare e consumare del cibo da una parte, per cui riceviamo continue pressioni; dall’altra invece il messaggio contrario di mantenere una certa linea, di essere non solo mogli, madri… ma anche di essere donne manager, di essere attraenti. Così l’adolescente si trova sottoposta a tutta una serie di pressioni che possono molto spaventarla. Contro queste pressioni socio – culturali sono molto importanti gli aspetti preventivi. Questi dovrebbero mirare a migliorare la capacità critica dell’adolescente verso i messaggi che riceve dai mass – media. • Fattori familiari: adesso capita molto spesso di avere le “II generazioni”, cioè i figli di persone che hanno già sofferto di disturbi alimentari. Questo è molto importante: famiglie in cui si seguono diete molto rigide, famiglie in cui si sta a dieta e in cui c’è un’alimentazione controllata sono famiglie a rischio. Ma sono famiglie a rischio anche quelle in cui i disturbi alimentari non entrano, ma ci sono problemi di conflittualità o altri tipi di problemi. Non è vero tutto quello che si è detto fino a qualche anno fa: si è data una grandissima enfasi alle colpe delle madri nel causare l’anoressia; si parlava di madri invadenti, padri assenti… tutti questi sono dei luoghi comuni. Non è mai stato dimostrato che la famiglia classica dell’anoressica sia quella con madre invadente e papà assente. Quello che si sa è che se la famiglia vive un disagio aumenta il rischio per qualsiasi adolescente di sviluppare qualsiasi disturbo psichiatrico, tra cui anche l’anoressia o la bulimia. La famiglia però può rappresentare un importante fattore di mantenimento. La reazione che la famiglia ha nei confronti dello sviluppo di questi sintomi è molto importante, ma questo lo vediamo dopo. Tutti questi fattori di rischio possono sfociare per l’adolescente, soprattutto di sesso femminile, in un’insoddisfazione nei confronti del corpo. Questo tutto sommato è qualcosa di caratteristico dell’adolescenza, perché nel momento in cui il corpo cambia ci si sente meno padroni di esso. Così l’adolescente sente il bisogno di riappropriarsene. Alcuni comportamenti che sono tipici dell’adolescenza, come i tatuaggi, i piersing, sono anche quelli un modo per riappropriarsi del corpo, anche se in modo ritualizzato e socialmente accettato. È affermare il possesso del corpo e renderlo come piace a loro stessi. FATTORI PRECIPITANTI: I fattori precipitanti, che non sono solo eventi traumatici (come un abuso sessuale), ma anche gli eventi stressanti (come un cambiamento tipo la maturità o il passaggio 148 Disturbi dell’alimentazione all’università, la nascita di un fratellino… cambiamenti che mettono in difficoltà la persona) possono far sì che questa insoddisfazione corporea diventi qualcosa che porta all’agire nei confronti del corpo con l’uso di restrizioni alimentari. Questa non è però mirata al miglioramento. La restrizione alimentare che caratterizza il disturbo alimentare non è mirata solo alla perdita di peso per stare meglio o piacersi di più, ma è qualcosa che soddisfa un bisogno più profondo della persona: il bisogno di migliorare la stima di sé. Questo lo si vede dal fatto che quando la persona ha perso quei due chili per cui si era messa a dieta, non è comunque soddisfatta, e cerca di perderne ancora. Questo perché il bisogno di avere successo almeno in un’area della propria vita è così focalizzato sul fatto di perdere peso, da essere importante, non il peso di per sé, o non tanto l’aspetto fisico, ma solo il fatto di vedere che il peso continua ad andare giù. È come se la persona ad un certo punto ingaggiasse con se stessa una sorta di sfida per vedere quanto riesce a non mangiare, quanto riesce a perdere di peso. Quindi la cosa diventa totalmente indipendente dall’aspetto estetico: non si tratta più di raggiungere un modello o la bellezza, ma diventa importante solo la perdita di peso. Una paziente una volta mi ha detto: “io nella mia fase acuta ero convinta di essere l’unica persona in grado di vivere senza mangiare”. Questo per darvi un’idea del senso di onnipotenza che può dare il fatto di vedere che mentre tutti hanno bisogno di mangiare e pensano al cibo, loro sono così forti e perfette da non avere bisogno del cibo fino a un livello che in fase di malattia molto acuta può assumere aspetti deliranti. La perdita di peso all’inizio viene vissuta (lo dicono gli esperti dei disturbi alimentari) come una “luna di miele”: all’inizio la perdita di peso dà energie, la persona si sente più attiva. Questa è una reazione naturale del nostro corpo perché fisiologicamente abbiamo bisogno di procacciarci del cibo se abbiamo fame e non mangiamo. Così il nostro corpo si attiva per aiutarci a trovare altro cibo. Quindi la persona che fa una dieta anche molto restrittiva inizialmente si sente molto bene, più attenta, riesce a studiare di più…. Questa luna di miele non dura molto perché i neuro – trasmettitori che si sono potenziati per permettere alla persona di andare in cerca del cibo finiscono con l’esaurirsi e sopraggiunge una specie di depressione. La persona per cercare di ritrovare quello stato di benessere cerca di restringere ulteriormente il cibo, dando vita così ad un circolo vizioso. Molte ragazze mi dicono: “ io riuscivo a non mangiare, adesso non ci riesco più” e questo è legato proprio ai neuro – trasmettitori. I neuro - trasmettitori diminuiscono anche perché il nostro corpo si adatta alla restrizione alimentare e al digiuno, e si adatta anche a bruciare di meno. Quindi il metabolismo basale tende ad abbassarsi, un po’ in relazione alla diminuzione della massa magra, un po’ come risparmio energetico per il fatto che le persone anoressiche non hanno una termoregolazione (possono andare incontro facilmente a congelamenti o cose 149 Disturbi dell’alimentazione di questo tipo). Queste pazienti sono inoltre bradicardiche, ipotese… hanno un ipotiroidismo non da cause funzionali, sono gli ormoni tiroidei che tendono ad essere bassi come adattamento al digiuno ed alla restrizione alimentare. Da qui poi vengono tutte le complicanze legate all’anoressia. FATTORI DI MANTENIMENTO: Una parte delle persone che si sottopongono a diete così estreme cioè a diete che hanno lo scopo di migliorare l’autostima più che di determinare la semplice perdita di peso, sviluppa le crisi bulimiche. Queste rappresentano una reazione fisiologica del nostro corpo. È stato visto in un esperimento svolto negli anni ’50 su un campione di renitenti al servizio di leva: erano tutti maschi, sono stati messi a digiuno con una dieta bassissima e poi rinutriti. Questi sviluppavano, pur essendo maschi, crisi bulimiche nel momento in cui riavevano il cibo a disposizione. La stessa cosa è stata osservata in uno studio sui sopravvissuti ai campi di sterminio: il 15 – 20 % delle persone ha sviluppato vere e proprie crisi bulimiche, alcuni anche col vomito. Quindi non solo al momento della liberazione moltissime persone sono morte perché si sono rialimentate improvvisamente, ma anche negli anni successivi molte persone continuavano ad avere perdite di controllo. La crisi bulimica viene vissuta, al contrario del dimagrimento, come qualcosa che comporta una grande sofferenza. Per questo la persona tende a sviluppare dei comportamenti di compenso: il vomito, l’abuso di lassativi o diuretici (che non fanno perdere peso), il digiuno, fare le scale 50 volte, fare un’intensissima attività fisica… mettere in atto tutti quei comportamenti che impediscono l’aumento di peso che sarebbe naturale conseguenza della crisi bulimica. Il problema è che questo alimenta il circolo vizioso della bulimia: i comportamenti di compenso fanno sì che si mantenga questo stimolo alla perdita di controllo dell’organismo. Quindi il circolo vizioso è legato alla messa in atto dei comportamenti compensatori. Ed il fattore di mantenimento principale della bulimia sono proprio i comportamenti compensatori. Oltre a questi ci sono una serie di cambiamenti a livello psicologico. La persona che soffre di bulimia è una persona che si sente incapace, che sente di non avere più il controllo di sé e quindi comincia a stimarsi ancora meno di quanto si stimava quando è partito il problema. Questo le causa moltissima vergogna e sofferenza, impedendole di chiedere aiuto allo specialista, perché sente di essere senza speranza di uscire da questo disturbo. Infatti per la bulimia la percentuale di persone che chiede un aiuto specialistico è molto, molto bassa; questo è preoccupante perché la bulimia è un disturbo che tende ad automantenersi. 150 Disturbi dell’alimentazione Non solo: anche una volta che la persona sia giunta all’osservazione psichiatrica può sentirsi così priva di risorse da vivere ogni tentativo terapeutico come un possibile fallimento e quindi evita di mettersi in gioco per evitare di avere un fallimento. Altre modificazioni a livello psicologico sono per esempio: • Anoressia: la persona diventa in alcuni casi molto depressa e quindi ricorre all’anoressia ancora di più come meccanismo di difesa. questo perché l’anoressica vive la sua malattia come un fattore positivo, qualcosa che l’aiuta e la protegge, non come “il problema”, cioè la causa di tutti i suoi problemi, ma più come una soluzione. Questo fa sì che la persona man mano che sta peggio si rifugi ancor di più nella sua malattia. • Anoressia/bulimia: tendono molto ad aumentare le sindromi ossessivo – compulsive. La persona tende ad avere la testa completamente occupata dai pensieri sul cibo. Alcune volte questi sintomi possono essere veri e propri sintomi ossessivi, cioè non riguardano il cibo, ma ad esempio riguardano la pulizia… però le ossessioni sul cibo sono costanti. Quindi la ragazza con anoressia tende a calcolare le calorie mentalmente, a progettare quello che mangerà nei giorni successivi, farà la spesa in modo metodico; oppure ci sono ragazze anoressiche che accumulano quantità di cibo enormi mangiandole solo quando sono vicine alla scadenza… tendendo a ritualizzare molto tutto quello che riguarda il cibo. L’accumulare il cibo per esempio è un tipico comportamento che si osserva in chi ha sofferto la fame. Questo tipo di ossessioni alla lunga possono diventare l’elemento che ci può portare a raggiungere, dal punto di vista terapeutico, una motivazione ad uscire dal problema, perché la persona sente di non essere più in grado di gestire la sua testa, di non essere più in grado di dedicarsi allo studio come faceva prima, di dedicarsi al lavoro come faceva prima, cioè si rende conto di avere dei pensieri altamente disturbanti che possono ostacolare la sua riuscita. Questo può essere un aggancio per iniziare un trattamento. Un fattore importante di mantenimento che nominavo prima è la reazione dell’ambiente familiare: molto spesso le famiglie devono essere coinvolte nel trattamento ed è importante che le famiglie ricevano informazioni su questi disturbi perché: 1. Anche se se ne parla tanto sui giornali, tantissimi genitori non capiscono che la bulimia è una malattia e non un vizio. Quindi il fatto di colpevolizzare la figlia perché mangia e vomita succede in qualsiasi famiglia, anche in quelle più colte. 2. Spesso avvertono il disturbo della figlia come un attacco verso di loro, una sfida. 3. la famiglia al contrario può dare un estrema importanza alla persona che ha l’anoressia per cercare di farla mangiare. Quindi farle dei regali… dandole un posto 151 Disturbi dell’alimentazione privilegiato all’interno della famiglia perché in qualche modo la si accontenta e poi magari mangia qualcosa. Questo è molto sbagliato perché si danno alla ragazza ammalata tutta una serie di vantaggi secondari che non l’aiutano a desiderare di guarire. Anzi, vedendo tutta l’attenzione puntata su di sé comincia a pensare che grazie alla malattia ha ottenuto molte cose. Il caso classico è della ragazzina che nessuno avrebbe mai pensato potesse avere dei problemi che in seguito alla malattia di colpo si sente tutta l’attenzione addosso. Dunque questo è un importante fattore di mantenimento. APPROCCIO TERAPEUTICO: • Il primo problema è quello di riuscire a far arrivare le persone all’attenzione dello specialista. Pur essendo disturbi psichiatrici, questi sono disturbi che solo uno psichiatra o un internista ( nel caso ci siano delle complicanze) esperti di queste patologie, possono realmente curare. Questo perché le complicanze devono essere conosciute, perché sono diverse da tutte le complicanze della denutrizione che in genere si vedono, e dal punto di vista psichiatrico queste sono patologie completamente diverse da tutte le altre. Spesso alcuni psichiatri si rifiutano di curare questi casi, o li curano semplicemente con una terapia farmacologia. Curano magari il disturbo per cui una paziente arriva alla loro attenzione: la persona è un po’ depressa e curano la depressione col farmaco, senza farsi carico dell’intero problema. È vero che è un problema complesso. Infatti è importante che ci sia un equipe multidisciplinare che se ne occupi perché non ci sono solo i risvolti psichiatrici ma anche quelli internistici, a volte c’è bisogno anche del rianimatore. È raro,ma a volte può succedere che una ragazza abbia una denutrizione tale da finire in rianimazione. Quindi è importante avere un gruppo di lavoro che sia il più possibile affiatato, che sia in grado di dare dei messaggi uniformi alla paziente, non che ognuno dice la sua perché se no la paziente potrebbe pensare che in quell’ospedale non ci sia nessuno in grado di darle una mano. • Per l’anoressia è importante cercare le complicanze e curare quelle che si dovessero trovare e poi progettare un programma di trattamento che sia di tipo cognitivo – comportamentale (in genere si usano terapie di questo tipo), che quindi riguardi da un lato il comportamento alimentare, e dall’altro tutte quelle cognizioni distorte che la ragazza tende a utilizzare per mantenere il suo disturbo. Per esempio: il fatto che l’autostima diventi così incentrata sul peso e la capacità di digiunare è qualcosa di distorto, perché la nostra autostima dipende da tantissime cose, incluso il fatto di 152 Disturbi dell’alimentazione piacerci, ma non unicamente dal fatto di vedere che la bilancia segna un peso inferiore. Quindi si aiuta la persona a rimettere in discussione tutte queste cognizioni distorte e piano piano a ripristinare un’alimentazione il più possibile adeguata cercando di non produrre ulteriori danni; magari all’inizio alcune ragazze potranno accettare solo di non perdere di peso, e questo può già essere qualcosa. Poi bisogna cercare dei buoni motivi per potere fare anche un po’ di più. Questo può richiedere un lavoro anche molto lungo. Per l’anoressia in media una terapia dura almeno due anni, in casi estremi può richiedere un’ospedalizzazione di tipo riabilitativo in strutture convenzionate (qui in Veneto ce ne sono due o tre che fanno cose di questo tipo), per 3 – 5 mesi. Qui nel centro di Padova si fanno solo terapie di tipo ambulatoriale che, quando è possibile svolgere, sono quelle che danno il minore tasso di recidive. Ovviamente l’ospedale espone al rischio di ricadute dopo la dimissione. • Per quanto riguarda la bulimia la terapia è prevalentemente di tipo ambulatoriale. La terapia più efficace è quella di tipo cognitivo comportamentale, quindi sempre una terapia psicologica. Nei disturbi alimentari la terapia di elezione è psicologica, non farmacologica. Nel caso della bulimia c’è un farmaco molto efficace: la toxillina (prozac) a 60 mg. Però non può essere considerato l’unico approccio terapeutico, perché nel lungo periodo perde efficacia. Quindi se una persona viene curata solo farmacologicamente, anche nel caso di una risposta positiva alla terapia, l’efficacia sarà limitata nel tempo. Quindi è importante, anche nella bulimia, che una persona modifichi in qualche modo il suo modo distorto di vedersi e il suo modo distorto di alimentarsi. DOMANDA 1: l’anoressia è causa di morte? RISPOSTA: l’anoressia è la malattia psichiatrica con più alta mortalità. Nelle casistiche varia dallo 0 al 20%. Quindi il rischio di morte è molto alto, anche perché è molto alto il rischio di suicidio nell’anoressia, soprattutto quando essa è accompagnata dalla depressione. Gli altri casi di morte sono casi cronici, che vanno incontro a tantissime complicanze, soprattutto complicanze di tipo infettivo. Nell’anoressia, nei primi anni di malattia, c’è una certa resistenza a sviluppare qualsiasi tipo di infezione, spesso neanche il raffreddore. Mentre col passare degli anni insorge una deficienza immunitaria che le rende molto sensibili alle infezioni ospedaliere. Se per esempio c’è bisogno di fare una nutrizione per via centrale, l’infezione è la regola, quindi una nutrizione di questo tipo va evitata il più possibile. 153 Disturbi dell’alimentazione DOMANDA 2: perché il suicidio nella malattia se la paziente vede nella malattia una soluzione ai sui problemi? RISPOSTA: la paziente pensa che la malattia sia la soluzione, però c’è la depressione che viene fuori perché vi ho detto che c’è un esaurimento dei neurotrasmettitori, quindi alcune persone anoressiche sono molto molto depresse. Inoltre l’anoressia può essere associata a comportamenti di tipo impulsivo, e l’autolesività è una caratteristica. Il solo pensare che il vomito sia una soluzione a dei problemi è già autolesivo di per sé, ma molte ragazze tendono anche a tagliuzzarsi, a strapparsi i capelli… l’anoressia e la bulimia si associano molto spesso a comportamenti del genere. DOMANDA 3: ma il non mangiare non viene vissuto come una forma di autolesionismo? RISPOSTA: viene vissuto in modo ambivalente, cioè come una soluzione, ma anche come una deprivazione. Anche perché l’anoressica ama molto il cibo e i pensa molto. In più ha fame, molta fame, però pensa anche sia giusto rinunciare. Sempre riguardo l’autolesionismo, anche il fatto di usare lassativi, quando si sa che non fanno perdere peso, ma solo liquidi mettendo a rischio di varie complicanze, anche di fronte al dato di fatto, le pazienti dicono che lo sanno, ma che comunque hanno bisogno come forma di punizione. DOMANDA 4:perché il temperamento come fattore di rischio? RISPOSTA: il temperamento è quella parte della nostra personalità che viene ereditata geneticamente. Si è visto in uno studio di associazione, che molte persone che sviluppano disturbi depressivi, disturbi compulsavi, disturbi alimentari, sono caratterizzati da questo aspetto del temperamento: l’evitamento di qualsiasi situazione rischiosa. Questo potrebbe spiegare perché la persona che ha sperimentato la luna di miele poi continua a rimanere in questo circolo vizioso, anche vedendo che non funziona più. Anche questo, la paura di affrontare qualunque tipo di rischio o novità, potrebbe mantenere questo tipo di comportamento. DOMANDA 5: qual è l’età a rischio per anoressia e bulimia? RISPOSTA: l’età a rischio per l’anoressia è tra i 15 – 18 anni. Per la bulimia è tra i 20 – 24 anni. Però entrambe possono insorgere in qualsiasi età: dall’infanzia (non prima dei 7 anni) fino a età molto avanzate. Abbiamo avuto casi in 60enni, ma sono anoressie strane. La tipica cosa è adolescenziale. Il rapporto maschi/femmine è 1/10. DOMANDA 6: può chiarire il discorso sull’”evitamento del danno”? 154 Disturbi dell’alimentazione RISPOSTA: l’evitamento del danno è una dimensione presente in ognuno di noi. Quando io ne parlo in relazione al temperamento, estremizzo la cosa. Cioè l’evitamento di qualsiasi cosa rappresenti un rischio, limitando anche la possibilità del soggetto di vivere la vita di tutti i giorni. 155 Suicidio e tentato suicidio SUICIDIO E TENTATO SUICIDIO (Favaro) Introduzione argomenti: Il suicidio [ d’ora in poi mi riferirò al suicidio con “S”] è un problema molto importante: esso è infatti una delle principali cause di morte al mondo (circa l’1% dei decessi è dovuto a S). La frequenza del S tende ad aumentare con l’età ed è maggiore nel sesso maschile. I fattori di rischio sono divisibili in due gruppi principali: sociali (es. isolamento sociale) medici (es. depressione, alcolismo, disturbi della personalità,…) È la coesistenza di due o più fattori appartenenti ai diversi gruppi che aumenta l’incidenza del S. Se l’azione suicida non esita nella morte si parla di mancato suicidio. Il tentato suicidio, anche detto “parasuicidio”, [d’ora in poi indicato con “TS”] è un comportamento ad altissimo rischio di ripetizione e con un rischio di morte pari al 1-2% (cioè cento volte superiore rispetto al rischio di morte nella popolazione generale). La frequenza è massima nei giovani, al contrario di quello che succede nel S. Recenti studi, però, hanno dimostrato che negli ultimi anni il fenomeno è aumentato nelle altre fasce d’età. Solo una parte delle persone che tentano il suicidio è affetta da un disturbo psichiatrico e solo ¼ ha volontà di morire. Esistono fattori di rischio, ma essi sono diversi da quelli del S: ◊ problemi durante l’infanzia (soprattutto i maltrattamenti e gli abusi) ◊ difficoltà sociali ◊ problemi di salute Gli eventi stressanti sono considerati fattori scatenanti. Tra di essi i più importanti sono i conflitti interpersonali. Tra i comportamenti suicidari si riscontrano anche i comportamenti autoaggressivi, che sono meno gravi rispetto alle forme precedenti. Essi sono azioni autoinflitte che provocano un danno fisico ma che non sono accompagnate dalla volontà di morire. Hanno un alto rischio di ripetizione come il S e il TS. La frequenza è massima tra le adolescenti e le giovani donne, soprattutto per quanto riguarda le azioni dettate dall’impulsività (Esempi: infliggersi lesioni da taglio con un taglierino, bruciarsi la pelle con sigarette, sbattere un pugno sul muro per farsi male, darsi un pugno nella pancia,…). Esistono anche azioni dettate dalla compulsività (Esempi: strapparsi i capelli fino a creare delle zone di alopecia, mangiarsi le unghie fino a crearsi ferite gravi, grattarsi fino a ferirsi, tormentarsi il viso durante l’acne fino a procurarsi cicatrici 156 Suicidio e tentato suicidio deturpanti,…) e comportamenti autolesivi di tipo indiretto (Esempi: bere o fumare in modo smodato, usare sostanze tossiche, avere una guida pericolosa,…). Sviluppo argomenti: -SUICIDIOEsistono diverse definizioni di S date nel corso del tempo: 1973 Shneidman:“atto umano di autoinfliggersi intenzionalmente la cessazione della vita” 1897 Durkheim:”tutti i casi di morte risultanti direttamente o indirettamente da un atto positivo o negativo della vittima, consapevole delle conseguenze del proprio agito” Durkheim, inoltre, aveva definito più tipi di S (secondo criteri clinico-patologici ritenuti a tutt’oggi validi): ◊ S altruistico: inteso come sacrificio della propria vita per la comunità es. terroristi, kamikaze, suicidi nelle sette,… ◊ S egoistico: conseguenza dell’alienzione dell’individuo dalla società; tipico delle persone che si sentono abbandonate o isolate ◊ S anomico: inteso come sfida alla società in quanto dovuto all’incapacità di adattamento ai cambiamenti e alle regole della società stessa ◊ S fatalistico: tipico delle persone depresse, ovvero di coloro che sentono il proprio destino come segnato e avvertono la necessità di porre fine alla propria vita ◊ S razionale: es. eutanasia, assistenza al S Epidemiologia: Il S è raro o nullo nell’età infantile (in Italia però il fenomeno non è del tutto assente) anche perché l’idea di morte è molto diversa da quella di un adulto ed ha un significato diverso. In genere i casi di S aumentano con l’aumentare dell’età e presentano importanti differenze tra diversi Paesi. In tutte le popolazioni i soggetti più a rischio sono i maschi con età superiore ai 75 anni, però l’ordine di grandezza dell’evento è estremamente differenziato tra di esse ed è compreso tra 0 e 60 casi ogni 100'000 persone. I tassi proporzionali di mortalità hanno un andamento inverso rispetto al rischio di suicidio: tanto più una persona è giovane, tanto più il suicidio diventa una causa importante di morte. Nei giovani infatti non ci sono molte altre cause di morte, mentre tra gli anziani le cause di morte sono più numerose; la morte per S tra i giovani, quindi, assume un peso più grande rispetto alla morte per S tra gli anziani. In media il S è la 9a 10a causa di morte nel mondo, a seconda della popolazione considerata. Il rapporto maschi/femmine è di 3:1 (mentre nel caso del TS 1:3). 157 Suicidio e tentato suicidio Il rapporto S/TS è nei giovani di 1:100 (quindi il S è molto raro e il TS è più frequente) e negli anziani di 1:3. Tra le razze quella caucasica è quella più a rischio di S. C’è un rischio più elevato tra i single, separati e vedovi (come capita anche nella depressione). Lo stato occupazionale influisce sul rischio (i disoccupati hanno un rischio maggiore di chi ha un impiego stabile) come pure il clima (nei paesi freddi c’è un rischio più elevato) e la stagionalità. I fattori di rischio per il S sono: ◊ malattie psichiatriche; tra cui le più importanti sono i disturbi dell’umore, l’alcolismo e la schizofrenia ◊ disturbi della personalità (borderline, antisociali) ◊ eventi psicosociali che risultano particolarmente stressanti per le persone a rischio es. lutto, separazioni, isolamento sociale, sradicamento dal contesto culturale nei carcerati, nel servizio di leva o negli immigrati (che spesso vengono ricoverati per questo in reparti psichiatrici), umiliazioni, perdite finanziarie, abusi sessuali, conoscenza diretta o indiretta di persone che sono morte per S (alla luce della presenza di un possibile effetto di trascinamento, detto effetto Werther, si è molto discusso se sia giusto o meno dare molto risalto a queste notizie in quotidiani e telegiornali) ◊ malattie fisiche: sono un fattore di rischio solo se associate e un disturbo psichiatrico [e questo capita nel 25% dei casi di S] ◊ fattori genetici: con studi su adozioni in Danimarca, dove vengono tenuti registri molto accurati sui genitori biologici e quelli adottivi (cosa non fatta in Italia), si è visto che esiste una predisposizione genetica indipendente rispetto alla vulnerabilità per malattie psichiatriche; cioè sembra ci sia un quid genetico che non si associa a malattie psichiatriche. In particolare si è ipotizzato che la spinta a mettere in atto un S sia data dalla incapacità di controllare i propri gesti impulsivi. In questo senso la genetica potenzia il rischio in presenza di diagnosi psichiatrica. Studi su gemelli non sono stati molto utili. Studi su Amish, una popolazione isolata, sono stati utili perché si è scoperto che i fattori legati alla depressione sono differenziabili da quelli per il S e il TS. Studi di genetica molecolare hanno permesso di ipotizzare il coinvolgimento di alcuni geni particolari tra cui il gene della triptofano idrossilasi (enzima che si occupa della trasformazione del triptofano in serotonina) [gene collocato sul cromosoma 2 nel braccio corto e che presenta due alleli LL e UL] ◊ fattori biologici: essi sono stati scoperti con studi post-mortem che però hanno dei limiti dovuti alle alterazioni che la morte stessa e il metodo suicidarlo comportano. 158 Suicidio e tentato suicidio Essi hanno confermato il ruolo che i recettori 5 HT rivestono nei casi di S. Si è inoltre visto che chi commette S ha livelli di serotonina abbassati [diminuisce 5 HIAA nel liquor]. Le persone che tentano il suicidio tendono ad avere i livelli di serotonina bassi e anche i livelli di colesterolo bassi, infatti si è visto che a parità di malattie psichiatriche i pazienti con colesterolo basso hanno le membrane neuronali alterate cosicché la capacità della serotonina di legarsi ai propri recettori si modifica. [Altri fattori biologici sono: aumento di cortisolo e test di soppressione positivo, aumento di interleuchina 2, diminuzione del neuropeptide Y] A Padova, dove il gruppo di Santonastaso studia la anoressia, si è visto anche il collegamento tra bassi valori di colesterolemia e alto rischio di TS. Shneidman nel 1985 stilò una lista di caratteristiche psicologiche comuni a tutti i suicidi: 1. proposito comune è trovare una soluzione 2. scopo comune è la cessazione della coscienza, cioè l’impulso che spinge la persone è quello di smettere di pensare e porre fine a una propria angoscia intollerabile 3. stimolo comune è una sofferenza psicologica intollerabile 4. il grilletto comune, detto stressor, è la frustrazione dei bisogni psicologici importanti ed essenziali 5. evoluzione delle emozioni verso un senso di mancanza di speranza, detto hopelessness, e di impossibilità a ricevere aiuto, detto helplessness 6. atteggiamento interno di ambivalenza, cioè la persona prova sentimenti positivi e negativi contemporaneamente: se da un lato sente la necessità di soddisfare alcuni bisogni vitali, dall’altro non si sente in grado di farlo, quindi vive in un conflitto senza soluzioni 7. stato cognitivo di costrizione, cioè la persona si sente come in un tunnel impossibilitata a tornare indietro una volta presa la decisione suicidaria 8. visione del S come una fuga 9. bisogno comunicativo: i suicidi riflettono su quanto penseranno gli altri e questo li spinge a lasciare messaggi per spiegare la propria decisione 10. correlazione del S con preesistenti particolari modi di reagire a eventi della vita (es. impulsività, tendenza a mettere subito in atto un vissuto o un bisogno emotivo) Valutazione del rischio suicidario: è un campo un po’ minato, ma è molto importante nei confronti di pazienti presentanti le diagnosi prima accennate: 159 Suicidio e tentato suicidio ◊ valutare l’intenzione suicidaria ovvero affrontare il pensiero della morte. Spesso un paziente depresso sente il bisogno di parlarne ed è importante che lo possa fare con il medico, quindi il medico deve chiedere al paziente se pensa mai alla morte e deve cercare di capire cosa egli pensi degli eventi suicidari apparsi sui mass media per eventualmente smitizzarli ◊ anamnesi di atti suicidari precedenti mancati o tentati; è importante conoscere la storia del paziente per rivalutare nel tempo la sua intenzione suicidaria ◊ valutazione dello stato psichico attuale e della presenza di patologie psichiatriche; questo è importante perché la presenza di stati alterati acuti di depressione o schizofrenia aumentano il rischio di S ◊ valutazione della presenza concomitante di altri fattori di rischio (es. depresso lasciato dal coniuge) e di fattori protettivi ◊ valutazione della presenza di idee di violenza verso gli altri; questo è importante nel caso di persone che covino un S/omicidio altruistico, ovvero in persone che si sentono costrette ad uccidersi ma si trovano impossibilitate a lasciare altre persone senza protezione, manifestando quindi il loro amore verso di esse togliendo loro vita. Es. madri con depressione post-partum che uccidono i loro bimbi con l’intenzione di “proteggerli” dalla vita Terapia del paziente con rischio suicidarlo: si deve valutare la necessità di un ricovero e a seconda del tipo di ricovero il grado di sorveglianza necessario (più alto è il rischio suicidarlo, più è necessaria una sorveglianza stretta). Se il rischio è basso e il paziente è critico rispetto alla sua situazione di rischio si possono considerare delle alternative al ricovero. Es. affidamento a famigliari in grado di assumersi delle responsabilità Si devono inoltre predisporre degli interventi terapeutici che spaziano dall’intervento in corso di crisi (per risolvere ed aiutare a superare gli eventi stressanti psico-sociali. Es. interventi psicoterapici) alla terapia del disturbo psichiatrico quando presente. Il terapeuta deve essere disponibile e fungere da riferimento, perché è importante che il paziente sappia sempre chi poter chiamare in caso di necessità, per parlare o chiedere consigli. Naturalmente il medico non può essere disponibile 24 ore su 24, perciò è utile che dia indicazioni su altre persone da contattare in caso di sua assenza. Spesso può essere necessaria anche una ristrutturazione cognitiva; infatti in persone pessimiste per tutto ciò che le concerne è importante aumentare l’autostima e la fiducia in loro stesse per renderle meno vulnerabili al rischio suicidario. 160 Suicidio e tentato suicidio Prevenzione del suicidio: Su vasta scala deve essere promossa da medici di base, psichiatri,… La prevenzione è possibile soprattutto se: ◊ si cerca di identificare i soggetti a rischio ◊ si fornisce loro un sostegno sociale per affrontare le difficoltà (isolamento, perdita del lavoro,…) ◊ si tratta coloro che presentano in anamnesi un pregresso TS Si ha dei dubbi sull’efficacia di interventi quali il telefono amico, la prevenzione fatta nelle scuole parlando dei metodi per gestire le difficoltà emotive, e la riduzione dei mezzi a disposizione delle persone con idee suicidarie (es. restrizione dei criteri per il possesso casalingo di armi, abolizione in Inghilterra dell’uso di gas molto tossici per i fornelli, attenzione del medico a prescrivere medicinali con indice terapeutico basso) -TENTATO SUICIDIONel TS, come nel S, si è stilata una lista di caratteristiche comuni ai vari pazienti: 1. assenza di volontà di morire nei ¾ delle persone 2. ricerca della perdita di coscienza come tentativo di fuga dai problemi (punto comune col S) 3. è molto forte la volontà di comunicazione (più forte che nel S) per lanciare un messaggio agli altri o per manipolarli al fine di ottenere qualcosa (in quest’ultimo caso la volontà di manipolare gli altri è ritenuta patologica perché indice di un forte disagio psicologico) 4. a volte il TS è considerato come una sfida al destino e il paziente sente la necessità di doversi abbandonare al fato per vedere se si verrà salvati Epidemiologia del TS: negli ultimi 30 anni è un fenomeno che è andato aumentando. L’età più a rischio è quella dei giovani adulti (è molto raro nei bimbi) e le donne sono colpite nella fascia di età compresa tra i 15 e 25 anni. Fattori di rischio sono il basso livello sociale, il divorzio, la vedovanza precoce e l’essere giovani single. I metodi scelti per tentare un suicidio sono: ◊ l’overdose di farmaci (benzodiazepine, antidepressivi, analgesici) è quella più frequente e si evita stando attenti all’atto della prescrizione scegliendo i farmaci meno tossici o consegnando i farmaci stessi ad una persona di fiducia vicina la malato che possa controllarne l’assunzione ◊ assunzione di alcolici nelle ore precedenti al TS, che aumentano l’impulsività 161 Suicidio e tentato suicidio ◊ cocktail di alcolici e farmaci ◊ taglio delle vene ◊ comportamenti altamente pericolosi (gettarsi nel vuoto, buttarsi in mezzo alla strada,…) sono i più rari. Per differenziare un mancato suicidio da un TS si deve valutare l’intenzionalità e quindi ad esempio vedere le quantità di farmaci ingerite, o se il paziente ha dato comunicazione della sua intenzione prima o subito dopo aver commesso il comportamento suicidario, o se ha attentato alla sua vita in presenza di qualcuno, o ha deliberatamente scelto di farlo quando era sicuramente solo,… Evoluzione del TS: il rischio di ripetizione aumenta col numero di tentativi, se c’è un consumo di alcol o sostanze o se c’è una personalità antisociale [ 15-25% delle persone ripete il TS o l’autolesionismo; il rischio di ripetizione aumenta se ci sono pregressi trattamenti psichiatrici, disoccupazione, basso livello sociale; il rischio di suicidio dipende anche dalla gravità dell’episodio, dalla presenza di disturbi psichiatrici e dalle difficoltà sociali ]. L’1-2% dei TS alla fine riesce a suicidarsi. Il rischio di suicidio riuscito quindi dipende dalla presenza di pregressi atti suicidari. Valutazione delle persone che hanno commesso un TS: ◊ valutare la psiche e la condizione sociale della persona arrivata in pronto soccorso per questo motivo ◊ valutare l’intenzionalità suicidaria interrogando sia il paziente che i suoi parenti e conoscenti per capire cosa è successo (l’atto era pianificato? Il paziente aveva preso precauzioni per evitare di morire? Il paziente aveva cercato aiuto nelle ultime 24 ore? Quanto era pericoloso il metodo scelto? Il paziente ha lasciato messaggi scritti di intenzione di morte? ...) ◊ valutare il rischio suicidarlo attuale ◊ valutare le difficoltà sociali che persistono ◊ valutare eventuali patologie psichiatriche ◊ valutare le risorse personali, sociali e famigliari del paziente ◊ considerare la necessità di trattamento e l’accettazione di esso da parte del paziente e dei famigliari (spesso infatti il TS viene considerato come un qualcosa da nascondere all’interno della famiglia) In media 1 caso su 10 necessita il ricovero e in circa i 2/3 dei casi è necessario un trattamento che però non sempre viene accettato. 162 Suicidio e tentato suicidio Risposta alle domande di studenti: tentato suicidio= persona compie un atto che potenzialmente è mortale ma non prende tutte le precauzioni per evitare di essere salvata mancato suicidio= persona prende qualsiasi precauzione affinché la morte avvenga ma poi per un caso fortuito viene salvata Spesso le persone suicide non sono prevedibili nei loro pensieri e a volte mandano segnali contradditori. Es. una persona che continua a dire che si suiciderà ma non lo fa, nel tempo, perde l’impatto sui suoi interlocutori, ma questo può gettarla nello sconforto ed in un isolamento ulteriore che rende più probabile la realizzazione di un atto suicidarlo. Nella prevenzione del S o del TS sarebbe bene intervenire al momento della pianificazione. Se ci si trova in presenza di una persona che sta cercando di suicidarsi ma ancora non lo ha fatto, si deve agire secondo buon senso: togliere prima di tutto l’arma, mettere la persona in una situazione meno rischiosa e poi aprire una finestra comunicativa cercando di convincerla che nulla la costringe a suicidarsi. Esiste un sistema di psichiatria d’urgenza per il giorno e la guardia medica per la notte. Anche il 118 e il Centro Psichiatrico possono essere coinvolti. 163 Disturbi di personalità DISTURBI DI PERSONALITÀ Classificazione Nella scorsa lezione abbiamo cominciato a definire i disturbi della personalità come modelli abituali di esperienza interiore di un comportamento, che vengono però a deviare completamente dai modelli abituali delle persone normali; questi modelli inoltre devono risultare particolarmente rigidi, inflessibili, e causare un disagio significativo. Abbiamo visto anche la classificazione di questi disturbi in tre gruppi principali: il cluster A, che comprende i disturbi paranoide, schizoide e schizotipico, il cluster B che comprende l’antisociale, il borderline, l’istrionico e il narcisistico, e infine il cluster C che comprende il l’evitante, il dipendente e l’ossessivo-compulsivo. Di ciascuno dei disturbi dovrete ricordare soprattutto la caratteristica principale, cioè il punto “A” di ogni diapositiva. • Cluster A Il disturbo paranoide di personalità ha come aspetto fondamentale la diffidenza o sospettosità pervasive, poco criticate dalla persona, che iniziano nella prima età adulta e rappresentano una modalità abituale della persona a mettersi in rapporto con gli altri: sono persone che tendono ad insospettirsi, a portare rancore, a pensare che gli altri tramino contro di loro, a non confidarsi etc… La caratteristica fondamentale del disturbo schizoide di personalità è invece una modalità pervasiva di distacco dalle relazioni sociali, ed una gamma ristretta di espressioni emotive in contesti interpersonali. Si tratta di persone che non provano nessun interesse nella socializzazione e sono del tutto indifferenti sia alle gratificazioni sia alle frustrazioni di carattere sociale: sono isolati, indifferenti agli altri. Anche questo modello deve presentarsi nella prima età adulta e presentare una modalità pervasiva di esperienza. Il paziente non desidera le relazioni interpersonali, né trova piacere in esse; non cerca di coltivare amicizie o di costruire una famiglia; quasi sempre cerca attività solitarie e ha poco interesse nell’attività sessuale; difficilmente prova piacere in una qualsiasi attività; non ha amici stretti o confidenti, a parte i parenti di primo grado; è indifferente a lodi o critiche da parte degli altri e mostra indifferenza e distacco verso il dolore o la gioia altrui. Questo disturbo può essere diagnosticato anche in assenza di disturbi che possono avere un effetto confondente come una diagnosi di schizofrenia, o un disturbo dell’umore con manifestazioni psicotiche, o altri disturbi psicotici. Ci Disturbi di personalità troviamo di fronte a persone che da sempre si sono comportate così: non è un problema insorto da poco, ma c’è sempre stato. In presenza di particolari eventi stressanti le persone con disturbo di personalità reagiscono più facilmente in maniera depressiva o ansiosa. Infatti è frequente che il disturbo di personalità si presenti all’osservazione dello psichiatra quando viene complicato da un altro disturbo. Tuttavia è importante ai fini della terapia (e non solo della diagnosi) capire quale sia il tipo di personalità sottostante. Il disturbo schizotipico è il più grave dei disturbi di personalità: presenta anzi, dal punto di vista genetico, un legame con l’eziopatogenesi della schizofrenia. Si definisce come una modalità pervasiva di relazioni sociali ed interpersonali deficitarie (e fin qui è simile al disturbo schizoide), evidenziate però anche da un disagio acuto, una ridotta capacità anche nelle relazioni strette, e distorsioni cognitivo-percettive accompagnate spesso da ciclicità del comportamento. Tutto ciò esordisce con l’età adulta, e può presentarsi in diversi contesti. I pazienti schizotipici sono persone molto eccentriche, molto strane, tendono ad avere credenze magiche, o a vestirsi in modo molto eccentrico non tanto per una scelta di stile o per colpire gli altri con la propria immagine, quanto per via della loro effettiva “stranezza”. Un elemento tipico che ritroviamo in questi casi sono le idee di riferimento, cioè la tendenza a pensare che ogni cosa sia riferita a sé. Ricorderete che nei deliri di riferimento, tipici della paranoia, il paziente è fermamente convinto che tutto sia riferito a sé: se due persone parlano in un angolo stanno parlando male di lui, ogni programma alla televisione gli rivela una trama segreta volta a danneggiarlo etc… Le idee di riferimento invece sono la tendenza a riferire, ad interpretare come segnali o presagi tanti piccoli eventi della vita quotidiana: ad esempio se esco per fare un esame e c’è il sole, vuol dire che andrà bene, o cose simili. Allo stesso modo i pazienti sono portati a collegare tra loro eventi fra i quali non sussiste alcun nesso logico o causale, sviluppando credenze magiche o comunque eccentriche. Ho seguito una volta una signora ammalata di cancro al seno il cui marito era affetto da disturbo schizotipico della personalità. Il marito non voleva lasciarle seguire la chemioterapia, perché fermamente convinto che applicando certe pratiche magiche di sua conoscenza sarebbe stata meglio, e con tutti i mezzi le impediva di andare in ospedale a curarsi. Possono essere presenti esperienze percettive insolite, incluse alterazioni della percezione corporea, vere e proprie dispercezioni simili alle allucinazioni degli schizofrenici. In genere l’oggetto percepito esiste realmente, ma è distorto: nell’illusione corporea si vede una parte del proprio corpo in modo distorto o si hanno delle idee particolari sull’interno del proprio corpo, come ad esempio credere che un sistema magico controlli il funzionamento del proprio intestino. Anche pensiero e linguaggio sono strani: spesso i pazienti parlano in modo vago, o per metafore. Anche nel Disturbi di personalità disturbo schizotipico si ritrovano la sospettosità di tipo paranoide e l’affettività inappropriata (cioè non coerente con quello che sta succedendo), la mancanza di confidenti ed una fortissima ansia sociale legata non tanto ad insicurezza o svalutazione di sé, quanto alla sospettosità di tipo paranoide. Questo disturbo è difficile da distinguere dai disturbi di asse primo come la schizofrenia e altri disturbi psicotici: frequente è l’errata diagnosi di disturbo psicotico NAS. Esistono però degli elementi distintivi: in primo luogo la persona non vive l’egodistonicità, ed inoltre la situazione è sempre stata presente nella vita del paziente, spesso anche con qualche sintomo precedente all’età adulta, come può essere un ritiro, una difficoltà sociale nell’adolescenza. • Cluster B Passiamo ai disturbi del cluster B, di cui il primo è il disturbo antisociale di personalità. Questo disturbo ha un’alta prevalenza nelle carceri, e se ne parla spesso da un punto di vista medico-legale, per la sua rilevanza per quanto riguarda l’imputabilità di una persona che ha commesso un crimine. In genere una diagnosi di disturbo antisociale non diminuisce l’imputabilità di una persona, mentre invece una schizofrenia o un disturbo paranoide possono rendere una persona non imputabile. Ricordiamo che per la legislazione attuale i disturbi di asse secondo, in quanto non impediscono di intendere e di volere, non possono essere invocati come attenuanti nel caso che chi ne soffre sia imputato di qualche reato; l’abuso di alcol, anzi, è considerato un’aggravante. Il disturbo antisociale si presenta con una quadro invasivo di inosservanza dei diritti degli altri che si manifesta più precocemente degli altri disturbi di personalità, cioè verso i 15 anni. Dev’essere caratterizzato da 3 o più dei seguenti elementi: incapacità di conformarsi alle norme sociali; disonestà, tendenza a mentire; impulsività, incapacità di pianificare; irritabilità, aggressività; tendenza a non seguire norme di sicurezza come il codice della strada; irresponsabilità, rifiuto di lavorare o pagare le tasse; mancanza di rimorso. Perché sia formulata la diagnosi l’individuo deve avere almeno 18 anni e i sintomi si devono protrarre da almeno 3 anni. Spesso si rileva un comportamento alterato già nell’infanzia. Non si deve trattare di un episodio unico che si manifesta magari in corso di un eccitamento maniacale. Un altro disturbo spesso diagnosticato è il disturbo borderline di personalità, che è una modalità pervasiva di instabilità delle relazione interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore, più una spiccata impulsività. Compare nell’età adulta e si manifesta in più contesti. Tale instabilità può manifestarsi ad esempio nella grande difficoltà che queste persone trovano nel distaccarsi dagli altri: compiono sforzi disperati per evitare gli Disturbi di personalità abbandoni (reali o immaginari che siano); hanno un quadro relazionale molto intenso ma instabile, tendendo per esempio ad innamorarsi con un colpo di fulmine per buttare via tutto dopo tre giorni. Così l’amicizia o è intensissima o viene interrotta improvvisamente, l’altro viene o idealizzato fino alla venerazione, o considerato uno “zero assoluto”: non esistono vie di mezzo. L’alterazione dell’identità è caratterizzata dall’instabilità anche dell’immagine di sé, i pazienti possono pensare alternativamente di essere dei geni o di non valere nulla, di essere bellissimi o bruttissimi. L’impulsività rende difficile anche seguire con costanza la terapia, questi pazienti tendono facilmente ad abbandonarla. Altri effetti dannosi dell’impulsività possono essere la tendenza a spendere (compulsive buying): il paziente entra in un negozio e compra tutto quello che è in offerta, senza correlazione coi propri bisogni, magari compra articoli per bambini senza avere bambini, compra vestiti di taglia sbagliata, o due borse identiche, ma arrivando a casa con i propri acquisti, in genere si rende conto di avere fatto una sciocchezza. Talvolta vivono la sessualità in modo promiscuo, lasciando che gli altri facciano ciò che vogliono del loro corpo, od avendo rapporti sessuali senza precauzioni. Altri comportamenti rischiosi a cui i pazienti con disturbo borderline della personalità sono soggetti sono la guida spericolata, l’uso di sostanze, le crisi bulimiche. La bulimia nervosa d’altra parte è spesso associata a disturbo della personalità. E’ comune pure la tendenza a minacciare o compiere gesti suicidari, oppure automutilanti (tagli, bruciature). L’instabilità affettiva è caratterizzata da una eccessiva reattività dell’umore a qualsiasi tipo di evento: sono spesso disforici o molto ansiosi, anche se queste inflessioni non durano che poche ore. E’ comune fra di loro una sensazione di vuoto, che contribuisce a spingerli verso comportamenti estremi che possano dargli delle sensazioni forti. Hanno una grande difficoltà a controllare la rabbia, e, specie in concomitanza con un evento stressante, ci possono essere reazioni paranoidi o addirittura gravi sintomi dissociativi. Alla stessa classe appartiene il disturbo istrionico di personalità: quadro pervasivo di emotività eccessiva, legata alla ricerca dell’attenzione. Questa modalità compare nell’età adulta e si esplica in vari contesti. Questi pazienti tendono a sentirsi a disagio quando non sono al centro dell’attenzione. Il loro modo di relazionarsi con gli altri è impostato sulla seduzione, anche in un modo di vestire o di presentarsi che è frequentemente provocante dal punto di vista sessuale, con un uso dell’aspetto fisico volto ad attirare l’attenzione. Si tratta tuttavia di un comportamento superficiale e fine a sé stesso, senza la volontà di instaurare un’amicizia o una relazione amorosa: l’unico scopo è quello di mettersi al centro dell’attenzione ed esercitare il proprio ascendente sugli altri. Lo stile dell’eloquio è eccessivamente impressionistico e privo di dettagli. Mostrano autodrammatizzazione, teatralità, esagerazione e mutevolezza dell’espressione emotiva. Disturbi di personalità Sono molto suggestionabili e tendono spesso a lasciarsi influenzare. Considerano le relazioni intime anche quando non sono tali, e fanno fatica a “tenere le distanze” proprio per la loro difficoltà a distinguere una relazione intima da una superficiale. L’ultimo disturbo di classe B è il disturbo narcisistico di personalità: il quadro pervasivo che caratterizza il comportamento è questa volta di grandiosità, che si manifesta come una necessità di ammirazione e mancanza di empatia, che compare nella prima età adulta etc. etc… I narcisisti vedono tutto in funzione di sé stessi, e di sé stessi hanno un’opinione molto alta. Necessitano di un continuo riconoscimento da parte degli altri. Hanno un senso grandioso di importanza, quindi esagerano i propri successi e le proprie qualità; sono assorbiti da fantasie di illimitato successo, potere, bellezza, fascino; si sentono oggetto dell’amore di tutti, si sentono speciali e unici (il che in una certa misura sarebbe anche giusto), pensano di dover frequentare solo persone di un certo ceto sociale o comunque di un livello superiore (vogliono sempre “parlare col comandante”), hanno la sensazione che tutto gli sia dovuto e pretendono un trattamento di favore. Vedono gli altri solo come degli oggetti da manipolare per arrivare al proprio obbiettivo. Anche le persone che amano sono utilizzate esclusivamente come conferma e rinforzo dell’immagine idealizzata di sé. L’interesse nelle persone solo in quanto conferma della propria grandiosità, della propria necessità di amore e di ammirazione, rappresenta appunto la mancanza di empatia che abbiamo visto nella definizione. Non riescono a capire le necessità o i sentimenti degli altri, non per mancanza di volontà ma proprio perché non ne sono assolutamente capaci; sono invidiosi e convinti di essere invidiati, sono arroganti e presuntuosi. • Cluster C Il disturbo evitante di personalità è un quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza, ipersensibilità al giudizio negativo che insorgono in età adulta etc. etc… Questi soggetti sono capaci di abbandonare l’attività lavorativa per causa del contatto sociale che è richiesto nello svolgimento, temendo sempre di essere criticati, disapprovati, messi in difficoltà. Non entrano volentieri in contatto con persone alle quali non siano sicuri di riuscire simpatici o comunque graditi. Sono inibiti nelle relazioni intime che vivono come una continua umiliazione, di conseguenza tendono ad evitare che qualsiasi relazione diventi intima; evitano situazioni sociali e relazioni interpersonali nuove. Si sentono inetti ed inferiori, ed evitano qualsiasi rischio o situazione diversa dall’usuale. Disturbi di personalità Il disturbo dipendente di personalità è piuttosto frequente. Si tratta di situazioni di eccessiva necessità di essere accuditi. Queste persone hanno un comportamento molto sottomesso, volto a cercare qualcuno che li protegga e pensi a loro. Temono sopra ogni cosa la separazione, di qualsiasi tipo essa sia. Hanno difficoltà a prendere le decisioni quotidiane e chiedono continuamente consigli, senza mai sentirsi rassicurati, spesso hanno bisogno che qualcuno decida per loro. Non esprimono mai disaccordo verso le idee altrui per evitare che gli altri parlino male di loro. Tendono a non intraprendere nuovi progetti o portare avanti nuove idee. Pur di essere accuditi dagli altri sono disposti a lasciarsi schiavizzare, fino al punto di accettare di sobbarcarsi compiti spiacevoli. Questo tipo di persone ha volte ha la tendenza a relazioni di tipo sadomasochistico, cioè non riescono a separarsi da una persona che li tratta male e li sottopone a soprusi o a violenze, perché questa persona rappresenta comunque colui che accudisce e protegge. Nel caso che una relazione stretta termini, il paziente tende a trovare subito un’altra figura di riferimento a cui attaccarsi per avere supporto. E’ possibile che nella genesi di questo disturbo giochi un certo ruolo un’educazione iperprotettiva, in cui i bisogni non solo sono soddisfatti, ma sono addirittura anticipati: il bambino ha tutto ciò che vuole prima di volerlo, e questo gli impedisce di sviluppare una percezione equilibrata dei propri bisogni. Il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità, infine, è un quadro pervasivo di preoccupazione per l’ordine, perfezionismo e controllo mentale e delle relazioni, il tutto a spese di flessibilità ed utilità. L’attenzione per gli schemi e per l’ordine è tale, che si perde di vista il punto di arrivo. Il perfezionismo in questo caso interferisce con il completamento dei compiti: questi pazienti non riescono a finire un compito perché non risponde ai loro canoni di eccessiva perfezione. Si dedicano in genere completamente ad una sola attività, escludendo lo svago. Sono di frequente molto rigidi in termini di principi morali, molto scrupolosi. Sono incapaci di buttare via oggetti vecchi anche privi di qualsiasi valore, e sono spesso dediti al collezionismo. Questa tendenza a “tesaurizzare” si manifesta anche nell’avarizia. Obbligano gli altri ad osservare i propri esagerati canoni di perfezionismo. Insomma, non ci sono ossessioni e compulsioni come nel corrispondente disturbo di asse I, ma tante piccole preoccupazioni che tutte insieme connotano il comportamento della persona. Quest’ultimo caso è dunque un ottimo esempio per capire la differenza fra un disturbo di asse I e un disturbo di asse II. Assistenza psichiatrica L’ORGANIZZAZIONE DELL’ASSISTENZA PSICHIATRICA PECULIARITÀ DELL’ASSISTENZA PSICHIATRICA La malattia mentale è un disturbo che sul piano del trattamento si differenzia sostanzialmente dalle altre malattie: i trattamenti in psichiatria, in genere, sono di lunga durata; i trattamenti farmacologici sono efficaci nella cura di alcune malattie. Oltre a questi, però, esistono altri modelli di trattamento, che hanno nel complesso della cura del paziente psichiatrico la stessa importanza, se non maggiore, dei trattamenti farmacologici. E’ evidente, ad esempio, che un paziente schizofrenico non può essere curato solo coi farmaci, perché questi non risolvono del tutto la sua problematica: diminuiscono al limite l’intensità di alcuni sintomi, tuttavia la malattia ha prodotto dei deficit sociali – sia a livello di relazioni familiari, sia a livello del mantenimento della capacità di lavoro e di auto-sostentamento; buona parte della cura psichiatrica, perciò, si finalizza proprio alla soluzione di quei problemi legati alla disabilità prodotta dalla malattia psichiatrica. Molte tecniche di riabilitazioni psichiatrica sono perciò volte a far sì che il paziente recuperi la capacità di condurre una vita relativamente normale. Ad esempio è inutile ridurre, dal punto di vista sintomatico, la presenza di deliri e allucinazioni in una schizofrenia, se non si riesce a restituire al paziente almeno una piccola parte della sua capacità di lavoro che, nel caso della malattia, è stata compromessa. Quindi l’assistenza psichiatrica è un’assistenza medica, ma è anche un’assistenza psico-sociale. Tanto è vero che molto più e tanto prima delle altre specialità mediche, a proposito della terapia psichiatrica si è parlato dell’assistenza sul territorio. Assistenza sul territorio significa mobilitare tutte le risorse che esistono a livello territoriale per favorire un miglioramento o un recupero delle competenze sociali del paziente. La legge 180/1968 Nel 1968 è stata pubblicata una legge molto discussa che ha chiuso gli ospedali psichiatrici all’interno dei quali i pazienti venivano ricoverati. 170 Assistenza psichiatrica Tale legge era stata preceduta da un’altra (attorno 1960) in cui il regime dei pazienti ospitati nei manicomi venne radicalmente modificato: fino ad allora, ad esempio, una persona ricoverata in un manicomio, se i familiari non si curavano di riaccoglierlo, rischiava di non uscirne mai più. Molte patologie descritte soprattutto agli inizi del ‘900, sono patologie che si sono poi rivelate essere non tanto conseguenze della malattia primaria (es schizofrenia), bensì conseguenze dell’ospedalizzazione, in particolare della ripetitività del regime di vita cui i pazienti erano sottoposti. Ci si limitava, ad esempio, a contenerli in un recinto più o meno grande. Il manicomio veniva definito una “istituzione totale”, cioè una struttura del tutto autosufficiente: al suo interno si preparavano il vitto, i vestiti per i pazienti; la loro intera vita era determinata dalla vita del manicomio. Il direttore del manicomio viveva presso l’ospedale psichiatrico. Solo alcune sezioni di questo erano destinate a pazienti che vi venivano ricoverati per un certo periodo di tempo e poi dimessi. Nel 1960 si cerca di modificare tale situazione critica5. Ci fu un movimento che si può definire di “psichiatria democratica”, promossa da Franco Basaglia, direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia dal 1961, che iniziò una personale battaglia antiistituzionale. Tale ha prodotto la legge 180, inserita nella legge sanitaria nazionale, che ha stabilito: • la chiusura degli ospedali psichiatrici, entro un determinato periodo di tempo; • l’impossibilità di nuovi ricoveri in essi; • che le malattie psichiatriche caratterizzate da acuzie venissero ricoverate in appositi servizi collocati all’interno degli ospedali civili, e che questi avessero pochi letti, con un ricambio frequente di pazienti; • che la parte principale della cura psichiatrica dovesse essere svolta nel territorio da parte dei Centri di Salute Mentale. 5 E criticata: nel senso che nell’ospedale psichiatrico, come in molte istituzioni sociali, a volte uno strumento di terapia rappresentava anche uno strumento di repressione. Quando la psichiatria è nata, alla fine della Rivoluzione francese, si cominciò a “liberare i folli dalle catene”, cioè a toglierli dagli ospedali generali dove venivano ammassati per tentarne una possibile cura; ma queste non sempre si concentravano sulla necessità di restituire al paziente un ambiente più adeguato al suo “temperamento”, di mettere in atto delle tecniche di educazione e riabilitazione (dacché allora il concetto prevalente di malattia psichiatrica era che il paziente avesse perduto il controllo delle proprie passioni e dei propri impulsi, che andava quindi recuperato). In alcuni casi i pazienti venivano istruiti, si cercava di fornire loro delle nuove regole, di inserirli quanto prima nella società, come in Inghilterra, dove la rivoluzione industriale implicava anche una maggiore richiesta di manodopera. In Francia e Germania, dove l’industrializzazione si verificò successivamente, questa necessità era meno sentita, e le strutture di cura divenivano talvolta delle vere e proprie strutture di reclusione, dove tra le modalità con cui s’insegnava a controllare il comportamento esistevano modalità di tipo repressivo, come l’uso di docce gelate quotidiane per pazienti deliranti. Insomma, l’ospedalizzazione psichiatrica è sempre stata un’istituzione soggetta, nel tempo, a evoluzione, legata ad un continuo interrogarsi sulla reale efficacia e al mutare dell’interpretazione della malattia psichiatrica. 171 Assistenza psichiatrica La legge 180: dall’ospedale al territorio • • • Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura Servizi Psichiatrici di Diagnosi e • Collocati nell’ospedale generale Cura • 15 letti ogni 120.00 abitanti Centri di Salute Mentale • Rivolto al trattamento delle urgenze o ambulatori o centri diurni Strutture Intermedie o comunità terapeutiche o cooperative (lavoro protetto) I trattamenti sanitari obbligatori per motivi psichiatrici possono essere effettuati solo in questi servizi. Strutture previste dalla legge 180 Sono costituiti essenzialmente da ambulatori, collocati all’interno di un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, e servono un determinato territorio. Gli ambulatori sono collocati quanto più vicino possibile alla sede di vita dei pazienti. Accanto a questi due presidi principali, la legge 180 aveva previsto l’istituzione di strutture intermedie dove ospitare i pazienti che non potevano vivere in casa propria – o per motivi economici, o per incompetenza sociale, o incapacità di autonomia, ecc. – che svolgessero in parte la stessa funzione degli ospedali psichiatrici, cioè di consentire alle persone non autonome di vivere in comunità terapeutiche dove esercitare un minimo grado di autonomia con un’assistenza più o meno intensiva da parte del personale medico o paramedico. Uno dei vantaggi di queste strutture è, per esempio, che il costo di una Comunità Terapeutica è di gran lunga minore di un uguale numero di letti in una struttura ospedaliera. Quindi, questa organizzazione territoriale, che inizialmente ha avuto un’intenzionalità ideologica derivante da ambienti di sinistra, ha perso oggi tale ideologia e gode di una grande stima generale perché, oltre alla sua intrinseca validità, fa risparmiare in termini economici. La legge 180 è stata molta criticata soprattutto dai familiari dei pazienti perché si è detto che i pazienti sono abbandonati a se stessi. Questo è stato sicuramente vero per i primi anni della sua applicazione, perché l’istituzione e l’organizzazione dei primi Centri di Salute Mentale e delle Strutture Intermedie è stata molto lenta. Pertanto, la gestione della malattia psichiatrica pesava interamente sulle famiglie. 172 Assistenza psichiatrica I Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura sono collocati all’interno degli Ospedali, mentre gli Ospedali Psichiatrici erano collocati altrove: lontani dagli Ospedali Civili, al di fuori delle città, in periferia6. La legge 180 riconosce che la malattia psichiatrica è una malattia come le altre, che va trattata negli stesi ospedali in cui vanno trattate le altre malattie, anche se poi ha bisogno di risorse diverse e più specifiche per le necessità di risolvere il problema che coinvolge anche problematiche sociali. I Servizi psichiatrici sono costituiti da 15 letti per 120.000 abitanti che dovrebbero rispondere alle necessità della cura della psichiatria d’urgenza, con durata di ricovero, di solito volontario, di 20-30 gg.: riguarda patologie come schizofrenia, depressione, delirio (maniacale, ossessivo associato a grave depressione), disturbo bipolare. Questo perché tali pazienti possono assumere comportamenti che non sono sempre gestibili dall’ambiente in cui vivono: ad esempio, tendenze suicide nella depressione; rigido controllo dell’assunzione di farmaci per lo schizofrenico; impatto sociale per risposte spesso aggressive o pericolose, ad esempio in un delirio di persecuzione particolarmente angosciato (generanti tensione nell’ambiente che circonda il paziente, che va poi a ripercuotersi sulla stessa malattia). Il paranoico, di contro, di rado viene ospedalizzato perché è un delirio che interferisce poco con la realtà sociale ed è relativamente tollerato. Possono essere spesso ricoverati pazienti che, a seguito del ricovero in ospedale per un’altra malattia, a causa di questa o delle terapie adottate vanno incontro a confusione e disorientamento nel tempo e nello spazio, e han bisogno di un’assistenza specifica e di un controllo di contenimento (per evitare, ad esempio, fughe del paziente). Il paziente con abuso di alcool possono risultare spesso violenti, e anche per questi può essere indicato il ricovero in Diagnosi e Cura. Succede spesso, tuttavia, che un paziente venga ricoverato in Diagnosi e Cura, e che, non trovando poi una struttura territoriale in grado di seguirlo successivamente, vi possa restare per sei mesi - un anno. E’ difficile reperire disponibilità nel tempo da parte delle varie strutte intermedie. Fi qui si è però rimasti nell’ambito di pazienti che possono essere ricoverati volontariamente. In Diagnosi e Cura possono essere infatti effettuati anche i Trattamenti Sanitari Obbligatori: sono gli unici reparti in cui tali trattamenti si possono eseguire, secondo 6 Non solo per proteggere i cittadini dal rischio della convivenza con i folli, ma anche come segno di diversità rispetto alla ragione che domina la struttura civile e la cultura illuministica, che vuole emarginare i devianti. 173 Assistenza psichiatrica regole estremamente definite, in quanto il TSO è una limitazione della libertà personale, tutelata dalla Costituzione. Centri di Salute Mentale • • Strutture intermedie Ambulatori • Comunità Terapeutiche Residenziali o Psicoterapie individuali Protette (CTRP) o Trattamenti farmacologici o elevata protezione o Incontri con le famiglie o non elevata protezione Centri diurni o Riabilitazione psichiatrica o Trattamenti di gruppo • Cooperative (reinserimento lavorativo) • Residenze Sanitarie Assistite (RSA, non specificatamente psichiatriche) Oltre ai Centri di Diagnosi e Cura ci poi sono i Centri di Salute Mentale: ambulatori in cui vengono svolti psicoterapie individuali, trattamenti farmacologici e incontri con le famiglie, e in cui viene operata la riabilitazione psichiatrica e i trattamenti di gruppo. Quindi le Strutture intermedie, che sono Comunità Terapeutiche Residenziali Protette, in cui il personale infermieristico è presente notte e giorno, o caratterizzate da una protezione non elevata, per cui infermiere e assistente sociale vanno una o due volte al giorno a visitare il paziente. Le Cooperative facilitano il reinserimento lavorativo. Le Residenze Sanitarie Assistite, invece, dove può essere ospitato un paziente con demenza, non sono strutture esclusivamente psichiatriche, ma possono ospitare anche altri non auto-sufficienti. Trattamento Sanitario TSO Obbligatorio (TSO) Previsto per: 174 • malattie infettive; • vaccinazioni; • malattie veneree; • uso di sostanze stupefacenti; Assistenza psichiatrica Nessuno può essere obbligato ad trattamento sanitario se non un • per malattie psichiatriche (legge 180, 833/1978) disposizione di legge. La legge non può in o …se esistono alterazioni nessun caso violare i limiti imposti dal psichiche tali da richiedere rispetto per al persona umana. urgenti interventi terapeutici… o Art. 32, Costituzione della Repubblica …se gli stessi non vengono accettati… Italiana. o …se non vi sono le condizioni e le circostanze consentono di che adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra ospedaliere… 175 Terapie Farmacologiche TERAPIE BIOLOGICHE IN PSICHIATRIA : Antipsicotici Gli antipsicotici sono una classe di farmaci che viene utilizzata per combattere i sintomi psicotici. In generale però per sintomi psicotici s’intendono ( quelli che se vi ricordate erano già stati trattati dal prof. Santonastaso sulla schizofrenia) soprattutto combattere i sintomi positivi, cioè sintomi positivi sulla schizofrenia erano appunto il delirio, allucinazioni e la disorganizzazione del pensiero e del comportamento. Quindi, i farmaci antipsicotici soprattutto fino ad una decina di anni fa o anche meno erano considerati farmaci che combattevono questo tipo di sintomi e che recentemente la cosa è leggermente cambiata. I sintomi psicotici come delirio e allucinazioni non si verificano solo nei pazienti con disturbi dello spettro schizofrenico ,ma anche in pazienti con un'altra diagnosi come paziente con disturbi affettivi e se vi ricordate nella loro forma di estrema gravità potevano essere con sintomi psicotici, oppure nei pazienti con patologie organiche cerebrali come delirio e demenze o possono essere anche sintomi legati all ’ uso di sostanze. Ci sono due modi per chiamare questi farmaci (lucido 3 pag1): 1-NEURELETTICO: è il più utilizzato. E’ un vecchio modo di chiamare i farmaci antipsicotici ed è molto utilizzato tutt’ ora anche se è improprio. E’ un nome che è stato coniato per indicare gli effetti neurologici di questi farmaci, che sono in realtà gli effetti collaterali, non sono effetti desiderati del farmaco. 2-TRANQUILLANTI MAGGIORI: perché alcuni dei farmaci antipsicotici hanno effetto sedativo molto importante e vengono usati per sedare le agitazioni maggiori, agitazioni gravi, spesso presenti in pazienti con patologie psicotiche. Per capire come agiscono i farmaci antipsicotici dobbiamo ricordare un attimo alcuni dati sulla fisiologia del nostro cervello: la fisiologia delle vie dopaminergiche centrali. Nel nostro cervello abbiamo quattro vie principali di tipo dopaminergiche ( lucidi 4-5 pag1).Ognuna di queste vie è responsabile di una parte di questi farmaci. 1- VIA NIGROSTRIATALE: va dalla sostanza nigra ai gangli della base. Se è bloccata dai farmaci antipsicotici possono emergere i sintomi extrapiramidali 176 Terapie Farmacologiche come parkinsoniasmo; 2- VIA MESOLIMBICA: va dall ’ area ventrotegmentale al nuceus accumbens cioè il sistema limbico. E’ la via sulla quale noi agiremo preferenzialmente con il farmaco antipsicotico perché agendo su questa via noi riusciremo a diminuire deliri e allucinazioni; 3- VIA MESOCORTICALE: va dall’ area ventrotegmentale alla corteccia limbica. E’ quella responsabile necessariamente dei sintomi negativi e positivi della schizofrenia; 4- VIA TUBEROINFUNDIBOLARE: va dall’ipotalamo all ’ ipofisi anteriore. E’ responsabile dell’ effetto collaterale di molti farmaci antipscicotici che è iperprolattinemia. Ma vi spiego un attimo meglio quello che succede. I sintomi positivi della schizofrenia cioè deliri allucinazioni sembrano essere legati ad ipeattività dopaminergica dell’area mesolimbica, la seconda delle vie prima citate. Questa iperattività sembrerebbe determinare i sintomi positivi della schizofrenia. L ’ altra sintomatologia caratteristica della schizofrenia che è quella dei sintomi negativi( uguali a quei sintomi caratteristici della schizofrenia cioè l ’ anappetitività, apatia, ritmo sociale, etc), sintomi che sembrano essere legati, invece, ad un’ ipoattività dopaminergica. Quindi, noi nella schizofrenia abbiamo dei sintomi positivi legati ad iperattività dopaminergica dell ‘area mesolimbica e dei sintomi negativi legati, contrariamente, ad ipoattività dopaminergica dell ‘area mesocorticale. Quindi, c ’ è una contraddizione. Quando noi andiamo a combattere i sintomi positivi andiamo a controllare la dopamina in tutto il cervello e, quindi, uno degli effetti collaterali dei farmaci antipsicotici tipici di vecchia generazione è quello di aggravare i sintomi negativi combattendo quelli positivi. 177 Terapie Farmacologiche Oltre a questo c ’ è la produzione dei sintomi extrapiramidali della via che va dai gangli della base e di produrre iperprolattinemia interagendo con la quarta via che va dall ‘ipotalamo all ’ ipofisi anteriore. Se noi blocchiamo i recettori dopaminergici ovviamente abbiamo un risultato sui sintomi positivi ma andiamo ad aggravare e produrre effetti collaterali nelle altre tre aree cerebrali. Questo schema riassuntivo (lucido 3 pag2) riassume ancora quello che ho appena detto. L ’ effetto del blocco recettoriale e gli antipsicotici tipici agiscono soprattutto nel recettore D2 della dopamina. Nei diversi sistemi dopaminergici cosa fa? Nel sistema infundibolare tende a produrre iperprolattinemia con effetti collaterali conseguenti quali galattorrea e amenorrea. Nel sistema infundibolare tende a produrre parkinsonismo e discinesia; nel sistema mesolimbico, invece, agisce come deliriolitico e ansiolitico; nel sistema mesocorticale c’ è una diminuizione ulterire dell’ iniziativa e anergia con peggioramento dei sintomi negativi. Se vi ricordate questo è lo spettro d’ azione degli antipsicotici tipici ( lucidi pag2). Abbiamo il blocco del recettore D2 con conseguenze prima citate e poi abbiamo blocchi recettoriali simili a quelli già visti per i farmaci…… con azione anticolinergica, antistaminica e antialfaadrenergica. Questi causano altri effetti collaterali legati a questi antipsicotici. La componente anticolinergica causano gli effetti collaterali che già conoscete quali stitichezza, visione offuscata, bocca secca e sonnolenza e, a volte, l’ attività colinergica tende a diminuire gli effetti extrapiramidali .Infatti, quegli effetti extrapiramidali di questi farmaci quando sono presenti vengono corretti somministrando un anticolinergicico. La componente antialfaadrenergica dà effetti collaterali che noi già conosciamo come vertigini, calo della pressione arteriosa e sonnolenza. Il lucido 1 pag3 mostra che il livello di occupazione recettoriale che serve a produrre gli effetti terapeutici ( vedi fascia leggermente più scura)è immediatamente sotto all ‘ occupazione recettoriale che dà parkinsonismo e quindi, effetti collaterali. Quindi, quando un farmaco produce quell’ effetto collaterale bisognerebbe diminuire il dosaggio per essere esattamente nella zona terapeutica del farmaco. Il lucido mostra la potenza dei farmaci . CLASSIFICAZIONE DEI FARMACI ANTIPSICOTICI (lucido 3 pag3) PS. Questa classificazione non serve saperla ma è solo è per darvi un’idea di quanti sono i farmaci. 178 Terapie Farmacologiche La famiglia di antipsicotici tipici sono 5 : Fenotiazine, Dibenzoxazepine, Tioxantemi, Butirrofenoni, Difenilbutilpiperidine. Tutti questi antipsicotici tipici hanno diverse caratteristiche. Gli effetti principali sono dal punto di vista recettoriale ,ovviamente, tutti questi farmaci dal punto di vista clinico diversi tra loro. L ’ unica cosa importante che dobbiamo ricordare è che più potente sembra essere il farmaco a livello del blocco di D2, a livello del blocco dell ’ attività antidelirio e antiallucinazioni, più produce effetti extrapiramidali, perché il blocco è più forte e il farmaco tende ad essere sedativo antiticolinergico. Quindi, i farmaci antipsicotici tipici si dividono in due classi principali: La prima è relativa ai farmaci più potenti contro delirio e allucinazioni; la seconda è relativa ai farmaci più potenti come sedativi. Ovviamente, a seconda della situazione del paziente che noi abbiamo, dobbiamo scegliere se utilizzare qualcosa di poco sedativo e più potente come antipsicotico (antidelirio) oppure utilizzare un farmaco più potente come antisedativo se il paziente è molto agitato, e in uno stato maniacale o comunque in una grave agitazione psicomotoria. Quindi, da un lato l ’ effetto contro il delirio e gli effetti extrapiramidali e dall ‘altro gli effetti sedativi e anticolinergici. Praticamente tutti i farmaci sono distinti per l ’ effetto. Vi faccio solo due esempi di farmaci: 1- CLORPROMAZINA o LARGACTIL: è il più usato, il più vecchio dei farmaci. E’ un esempio di farmaco sedativo e meno potente come antipsicotico, quindi, ha solo una discreta azione bloccante antisecretiva D2 e, quindi, produce pocvghi effettio collaterali extrapiramidali. Ma ha una notevole attività antistaminica e una discreta attività anticolinergica.Molto sedativo; 2- SERENASE o HALDOL o ALDOLO o ALOPERIDOLO: Farmaco della classe dei Butirrofenoni, molto poco utilizzato, poco sedativo che ha una notevolissima azione bloccante dei recettori D2 e quindi, è un farmaco molto potente ma è proprio per questo dà molti effetti collaterali extrapiramidali. Ha scarso effetto antistaminergicoe anticolinergico. Sono due esempi importanti da tenere presente! Lucido 6 pag4:Per quanto riguarda la farmacocinetica sono tutti farmaci che possono essere assunti o per via orale o per intramuscolo ma anche per via endovenosa come fanno alcuni colleghi in ospedale producendo effetti paradossi perché agitano il paziente 179 Terapie Farmacologiche al posto di calmarli come si dovrebbe. La cosa importante è che per alcuni di questi farmaci esistono le formulazion di depot, formulazioni a lento rilascio che sono utilizzate in caso di pazienti o poco collaboranti o che abbiano uno scarso sostegno sociale e, quindi, non si può essere sicuri che assumano in modo costante la terapia e, quindi, vengono utilizzate questo tipo di iniezioni periodiche. Lucido 1 pag5: riguarda la tendenza a produrre effetti collaterali in rapporto alla potenza del farmaco. Vedete che il farmaci ad alta potenza tendono a produrre più effetti collaterali, effetti extrapiramidali, Sindrome maligna da neurioletti9cdi (che poi vi descriverò); mentre, i farmaci a bassa potenza tendono a dare più frequentemente sedazione, ipotensione, effetti anticolinergici, tendenza a diminuire la soglia, effetti proconvulsivanti, elettrocardiografici, pigmentazione della pelle e fotosensibilità. Lucido 2 pag5: descrizione degli effetti collaterali di tipo neurologico che prima ho chiamato extrapiramidali. Tra questi effetti ritroviamo: a) DISTONIA ACUTA: effetto di ipersensibilità agli antipsicotici, è molto rara….. ed è uno spasmo dei muscoli del collo e della laringe e quindi, ci può essere la protusione della lingua ed è una sensazione molto brutta che dà molta ansia al paziente, che sente di non riuscire a deglutire , di far fatica a respirare e viene sempre scambiata per una crisi d ’ ansia ed è comunque una sindrome benigna che risponde a miorilassanti e anticolinergici che però indica una tendenza a sospendere la terapia e a cambiare la terapia e a cambiare la tipologia di farmaco perché vuol dire che la persona è ipersensibile a questo tipo di farmaco. b) ACATISIA: altro effetto neurologico. E’ l ’ incapacità di stare fermi è la tendenza a muovere continuamente le gambe; c) PARKINSONISMO: è inteso come rigidità, tremori e può essere anche un iporiflessia posturale. Praticamente è un tremore intenzionale che rende difficile per il paziente, che si sente rigido, goffo che fa difficoltà a muoversi. I pazienti si sentono particolarmente in difficoltà e quindi, è visto come un effetto mal visto. d) SINDROME MALIGNA DA NEUROLETTICI: è una sindrome maligna potenzialmente mortale, che ha una prevalenza della 0,1% per chi assume questi farmaci. E’ caratterizzata da rigidità, febbre molto alta anche sopra i 40 gradi. Dal punto di vista degli esami di laboratorio c’ è un aumento sia dei leucociti che delle CPK, con un aumento molto alto. E sono le CPK muscolari ed è appunto una sindrome prevalentemente mortale che è curata immediatamente con la sospensione dei farmaci, idratazione ed eventualmente con un farmaco antidopaminergico come la “dromopeptina?”. In genere sono pazienti ospedalizzati perché avviene sempre in un 180 Terapie Farmacologiche momento di cambio della terapia o una particolare terapia o quando viene utilizzato un nuovo antipsicotico e spesso è necessario un trasferimento in rianimazione perché è una sindrome potenzialmente mortale. e) SINDROME DEL CONIGLIO: E’ caratterizzata da un tremore della bocca. f) DISCENESIA TARDIVA: questa, invece, è un sintomo tardivo che avviene in pazienti che sono da molti molti anni in cura con farmaci di questo tipo. Quindi, adesso sono forme che non si vedono più se non in pazienti che erano stati nei vecchi ospedali psichiatrici e che per anni avevano assunto questo tipo di farmaci. E’ caratterizzata da tremori di tipo discinesia di Collins degli arti. Lucido 3 pag5: Ora descriveremo più dettagliatamente la Sindrome maligna da neurolettici. Anche questa è una sindrome molto più frequente negli antipsicotici tipici rispetto agli antipsicotici atipici, però può avvenire con entrambi i tipi di farmaci. Anche questa è una forma di ipersensibilità, quindi, se una persona ha avuto una sindrome da neurolettici con quel farmaco può averla di nuovo se assume per sbaglio quel farmaco. Quindi, è una sindrome pericolosa ed è importante tenere conto anche della storia del paziente. Eventualmente se il paziente necessitasse comunque di una terapia con antipsicotici è importante provare dei farmaci a più basse frequenze , magari un atipico, sotto stretta sorveglianza medica, monitorando pressione, temperatura, CPK, per sorvegliare che non sia una sindrome da neurolettici. Lucido 4 pag5: Gli altri effetti indesiderati degli antipsicotici tipici sono gli anticolinergici (già citati), ci sono anche degli effetti cardiovascolari, quindi, in particolare alcuni degli antipsicotici, PIMOZIDE, non vanno dati a pazienti con cardiopatie. Effetti cutanei e oculari sono rari e di effetti a livello endocrino ne abbiamo già parlato. ANTIPSICOTICI ATIPICI O DI SECONDA GENERAZIONE ( Lucidi 6 pag5) Questi farmaci introducono un’ importantissima novità nelle terapie delle sindromi schizofreniche e nelle sindromi antipsicotiche in generale perché hanno uno spettro di effetti collaterali molto più favorevoli e una tendenza a produrre effetti extrapiramidali molto molto più bassi. Non comportano iperprolattinemia e soprattutto non aggravano i sintomi negativi ma in alcuni casi portano ad un loro miglioramento e dei sintomi cognitivi. Come è possibile tutto questo pur conoscendo la potenza verso i sintomi positivi? A livello recettoriale questi farmaci hanno due caratteristiche: 181 Terapie Farmacologiche 1) L’ affinità per il recettore D” è inferiore rispetto a quella degli antipsicotici tipici e hanno una maggiore affinità per il recettore D1. 2) Sono importanti perché vengono distinti dagli altri farmaci per il fatto che hanno una maggior potenza di blocco di un altro recettore 2A della serotonina. Allora questo blocco compete con quello della dopamina cioè la serotonina che normalmente nel nostro cervello ha un effetto inibitorio sulla produzione di dopamina sul cervello. Questo effetto inibitorio viene normalmente esercitato solo su 3 delle quattro vie dopaminergiche prima citate, quindi, in tutte tranne che sulla via mesolimbica, quella in cui noi dovremmo agire. Quindi, se noi attraverso i farmaci riusciamo ad inibire e bloccare non solo la dopamina da una parte, ma anche la serotonina, che ha effetto inibitorio sulla dopamina, i due effetti si compensano e, quindi, il blocco della dopamina anche lì solo dove noi vogliamo che avvenga, solo a livello mesolimbico e non a livello nigrotriatale, tuberoinfundibolare e mesocorticale. Lucido 1 pag6: Il blocco dei recettori dopaminergici e serotoninergici nelle vie nigrosrtiatali, mesocorticale e tuberoinfundibolare in cui normalmente la serotonina inibisce la dopamina, il recettore 2° sarà bloccato e ciò si contrasta con il blocco del recettore D2; mentre, nella via mesolimbica ciò non avviene perché biologicamente qui la serotonina non ha questo ruolo e quindi, questi farmaci bloccano solo la dopamina nella via mesolimbica che è l’ effetto che noi vogliamo avere. Lucido 2 pag 6: I farmaci atipici attualmente in commercio sono quattro: CLOZAPINA, RISPERDONE, OLONZAPINA, QUIETRAPINA. Stanno per uscire in commercio altri due farmaci: ZIPAZIPONE, ARIPIPRAZOLO. Appartengono a questa famiglia ma non si sa ancora tra quanto usciranno, ma sono ormai nella fase finale di sperimentazione. Questi farmaci sono efficaci almeno negli studi controllati, efficaci nei sintomi positivi tanto quanto gli antipsicotici tipici, ma nella pratica clinica ci sono pazienti che rispondono ad un farmaco e non rispondono ad un altro, ma medialmente, l’ effetto è uguale per i sintomi positivi. Però l’ effetto sui sintomi cognitivi, depressivi e quindi negativi della schizofrenia è maggiore per i farmaci atipici. Sull’ aggressività agiscono in modo simile. 182 Terapie Farmacologiche Lucido 6 pag6: Riguarda la gestione degli effetti extrapiramidali legata all’ altro tipo di antipsicotici quelli, avete un clinico di quali terapie e di come gestire gli effetti extrapiramidali soprattutto legati agli antipsicotici tipici. Passiamo ora alla descrizione dei farmaci antipsicotici atipici. 1) CLOZAPINA (Lucido 2 pag7): è un farmaco vecchio in realtà non è così recente. Nonostante la sua efficacia è stato sospeso perchè produce effetti collaterali molto gravi e piuttosto frequente. Questo effetto è la granulocitosi. La granulocitosi vista la sua frequenza necessita di un monitoraggio continuo dell’ emocromo. Questo farmaco, nonostante il suo grave effetto, è stato reintrodotto proprio per la sua efficacia perché è sicuramente il farmaco più efficace nella schizofrenia resistente. E quindi, vista la sua coposità dal punto di vista clinico è stato reintrodotto ma il suo uso deve essere assolutamente accompagnato da un monitoraggio molto stretto dell’ emocromo prima ogni settimana e poi diventa ogni 15 giorni. Quindi, ho bisogno sicuramente di un paziente sicuramente collaborante per fare questo tipo di terapia (es. pazienti ricoverati).. Tra l’ altro la clozapina è tra tutti gli antispicotici un farmaco che ha un legame con i recettori dopaminergici ed è più facilmente spiazzabile rispetto agli altri. Quindi, è un farmaco che anche se sospeso per pochi giorni può avere anche delle terribili ricadute. Questo è perciò un motivo in più per darlo a pazienti che siano altamente collaboranti. In generale, è una terapia che viene iniziata in reparto e che viene continuato solo in pazienti che in effetti hanno risultati, che a volte sono eccezionali ( a volte ci sono veramente pazienti che hanno una sensazione quasi completa della schizofrenia e quindi, si ottiene una collaborazione anche per continuare la terapia). Una sospensione anche di pochi giorni della terapia può essere sufficiente per per avere una ricaduta che può essere molto grave. E’ un farmaco efficace nella schizofrenia resistente (ovvero che non ha risposte a tutte le altre terapie), efficace sui sintomi negativi, sulla tendenza suicidarla , sulla tendenza all’ aggressività in alcuni pazienti schizofrenici. Oltre alla granulocitosi ha altri effetti collaterali soprattutto una tendenza alla sedazione e all’ ipotensione, effetti cardiaci non sono gravi, una tendenza all’ ipersalivazione e volte all’ incontinenza umana che ci può essere in alcuni pazienti. 2) RISPERIDONE (Lucido 3 pag7): E’ un farmaco antipsicotico atipico. E’ tra gli atipici quello che tende a dare effetti più extrapiramidali con una leggera maggior frequenza rispetto agli altri tre. E’ il farmaco che ha mostrato effetti sui sintomi. Per es. viene utilizzato anche se recentemente alcuni studi hanno dimostrato 183 Terapie Farmacologiche cautela in questo, ma è stato molto utilizzato negli studi psicotici legati alla demenza. Recentemente, invece, il ministero ha richiamato i medici ponendo l’ attenzione sul fatto che si è visto che questo farmaco aumenti la tendenza alle complicanze cardiovascolari nei pazienti anziani. In realtà non si tratta di studi controllati perché sicuramente i farmaci atipici producono più effetti a livello cardiovascolare ma il fatto di essere stati richiamati fa sì che sebbene sia un farmaco maneggevole bisogna stare attenti a prescriverlo a pazienti di una certa età. Tende a dare più effetti extrapiramidali a dosaggi più bassi che non a dosaggi più alti,. 3) OLANZAPINA o LEPONEX (Lucido 4 pag7): farmaco molto utilizzato, che ha un effetto iniziale di sedazione ed è disponibile, unico farmaco atipico disponibile anche in fiale ad uso sedativo. E’ l’ unico di questi farmaci ad avere indicazione oltre che per la schizofrenia anche per lo stato o disturbo maniacale e dà anche un effetto di profilassi del disturbo bipolare e ha anche, quindi, un leggero effetto di stabilizzazione. .Anche se su questo non c’è ancora un indicazione specifica. Ha effetto anche questo su sintomi negativi depressivi,cognitivi. Tra tutti gli atipici con la clozapina dà più effetti collaterali a livello metabolico cioè tende a dare un aumento di peso, aumento del livello di trigliceridi ematici. In alcune casistiche sembra che abbia anche un aumento dell’ incidenza del Diabete di tipo II, anche se non è ancora stato dimostrato. 4) QUIETAPINA o SEROPEL (Lucido 5 pag7) :è l’ ultimo dei farmaci antipsicotici che sono attualmente in commercio. E’ molto simile. E’ molto simile all’ olanzapina. Il guaio di questi quattro farmaci atipici è che bisogna fare molta attenzione all’ utilizzo per il loro effetto metabolico. Questo è l’ aumento % di trigliceridi che deriva da questo tipo di farmaci è che rispetto ai tipici tipo aloperidolo, che vi ho citato prima , l’ aumento dei trigliceridi è legato soprattutto alla clozapina e alla olanzapina è molto alto. Una cosa simile si può anche avere per l’ aumento di peso. I nuovi farmaci che stanno per uscire dovrebbero avere una mancanza di questi effetti metabolici (non dovrebbero aumentare di peso e non dovrebbero aumentare il rischio d’ insorgenza del diabete di tipoII, ne di aumentare i trigliceridi). Attualmente i farmacia tipici vengono preferiti rispetto a quelli tipici, quando sono più efficaci perché comunque sono più tollerati e in genere si tende a darli accompagnati magari da qualche consiglio dietetico proprio per non produrre questo aumento di peso che potrebbe danneggiare da un certo punto di vista. L’ altro aspetto positivo è che senza gli effetti extrapiramidali permettono ai pazienti di essere più attivi, di fare attività 184 Terapie Farmacologiche fisica e, quindi, questo contrasta,l’ effetto dell’ aumento di peso. Diciamo che gli antipsicotici tipici sono quelli che tendono un po’ a trasformare i pazienti in specie di zombi nel senso che sono pazienti ricoverati e questo è qualcosa che ovviamente rende la compliance del paziente molto scarsa. Mentre questi farmaci sono più accettati anche perché sono soggetti più tollerati. Per gestire questi effetti dismetabolici è importante quindi analizzare prima di somministrarli i fattori di rischio come gli effetti cardiovascolari, il peso. E’ importante monitorare la glicemia, trigliceridi e peso e anche un incremento dell‘attività fisica, ed eventualmente consigli dietetici nutrizionali 185