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RIVISTA DI STUDI ITALIANI
CONTRIBUTI
POESIA E FILOSOFIA
(A PROPOSITO DEL BERGSONISMO DI UNGARETTI)
ERIK PESENTI ROSSI
Université de Mulhouse, France
N
on è possibile ricordare in questa sede quella che fu l’influenza della
filosofia di Henri Bergson all’inizio del XX° secolo, soprattutto fino
al 1914, specialmente in Italia1. Considerato un filosofo “letterario”,
non solo per la scrittura chiara e accurata, ma anche per l’uso particolare e
ricorrente della metafora e dell’immagine, ha sedotto (suo malgrado) un’intera
generazione (in Francia e all’estero), la quale volle ricordare solo i concetti
più scintillanti del bergsonismo: la durata, l’atto libero, lo slancio vitale o
l’intuizione. Pochi sono stati quelli che l’hanno veramente letto e capito,
mentre tanti hanno semplicemente riciclato i suoi concetti (senza capirli) a
scopi personali. Il poeta Ungaretti fa parte di quelli che hanno una conoscenza
approfondita di Bergson (ha assistito alle sue lezioni al Collège de France tra
il 1912 e il 1914), rivendicando la sua influenza, accanto a quella di Platone,
nella propria opera poetica2. Ma studiare il rapporto con Bergson nell’opera
1
Il fenomeno è stato studiato di recente, nella sua dimensione francese, da F.
Azouvi in La gloire de Bergson, Essai sur le magistère philosophique,
Parigi: Gallimard, 2007. Chi scrive l’aveva studiato nella sua dimensione
italiana nella tesi di dottorato: E. Pesenti Rossi, Le bergsonisme dans la
culture italienne, 1900-1939, 1992, 732 pp., Università di Grenoble III,
inedita ma consultabile alla biblioteca dell’Università di Strasburgo, nonché a
quella dell’Università di Grenoble. Su Ungaretti e Bergson, si veda anche: F.
Curi, “Pensiero analogico e durata reale: due modelli per l’Ungaretti
dell’Allegria”, in Il possibile verbale. Tecniche del mutamento e modernità
letteraria, Bologna: Pendragon, 1995; R. Gennaro, “Ancora su Bergson e il
primo Ungaretti”, in Studi italiani, VIII (15 gennaio-giugno 1996); P.
Montefoschi, Ungaretti. Le eclissi della memoria, Napoli: Edizioni
Scientifiche Italiane, 1989; C. Ossola, Giuseppe Ungaretti, Milano: Mursia,
1982, 1ª parte, capitolo II.
2
“Tutta la mia poesia è un modo platonico di sentire le cose, ed essa ha del
resto due maestri nel campo dello spirito, da una parte Platone e i Platonici, e
dall’altra Bergson: sono i due maestri che mi hanno sempre accompagnato
17
POESIA E FILOSOFIA
(A PROPOSITO DEL BERGSONISMO DI UNGARETTI)
di uno scrittore o di un poeta non è mai semplice, perché il filosofo francese
usa la letteratura come illustrazione di alcune delle sue tesi3 inducendo così ad
una lettura bergsoniana di una parte di questa. Studiare il bergsonismo d’un
poeta significherebbe allora, non solo reperire la ricorrenza di parole e di
immagini bergsoniane nella sua opera, ma anche, e soprattutto, evidenziare il
modo particolare in cui il poeta afferra il reale e si colloca di fronte ad esso. In
Ungaretti questo lavoro viene facilitato e completato da una produzione di
scritti teorici che indicano quanto fosse consapevole del proprio procedimento
al tempo stesso bergsoniano e platonico.
Si tratterrà quindi di mostrare in quale misura il concetto “durativo” del
mondo secondo Bergson abbia influenzato una parte della poesia ungarettiana;
occorrerà poi, soprattutto, interrogarci sui vari modi in cui questa poesia possa
diventare (o no) un’“esperienza” filosofica, trasformandosi in esperienza del
tempo bergsoniano.
I. La durata: una poesia ancorata nella cronologia del tempo interiore
Ogni percezione è già memoria. Noi percepiamo, praticamente, soltanto il
passato, essendo il puro presente l’inafferrabile progresso del passato che
rode il futuro4.
Tutto, tutto, tutto è memoria. Già una cosa, quando noi la vediamo, non
quando io ho dovuto pensare”. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, a cura di L. Piccione, Milano: Oscar Mondadori, 1986, Note a La
Terra Promessa, pp. 560-61.
3
Ricordiamo in particolare come egli suggerisca che il romanziere è
probabilmente quello che meglio può riavvicinarsi alla “durata interiore” di
ogni essere: “E se adesso qualche ardito romanziere, strappando la tela
abilmente tessuta del nostro io convenzionale, ci mostra sotto questa logica
apparente un’assurdità fondamentale, sotto questa giustapposizione di stati
semplici una compenetrazione infinita di mille impressioni diverse che hanno
già smesso di essere nel momento in cui le si nomina, noi lo lodiamo per
averci conosciuto meglio di quanto ci conosciamo noi stessi”, in Saggio sui
dati immediati della coscienza (1889), traduzione di F Sossi, premessa di P.
A. Rovatti, Milano: Raffaello Cortina Editore, 2002, p. 86. Ne Le Due Fonti
della morale e della religione, il suo ultimo saggio nel 1932, proprio nella
funzione fabulatrice (e quindi nei miti e nella letteratura) egli individua la vera
memoria collettiva dell’uomo.
4
H. Bergson, Materia e memoria (1896), a cura di A. Pessina, Bari: Laterza,
2009 (1996), p. 127. I corsivi sono di Bergson.
18
ERIK PESENTI ROSSI
abbiamo il tempo di nominarla, ch’è già passato, che è già memoria5. Le
metafore sono numerose nell’opera di Bergson, ma prediligono tuttavia
due campi lessicali, quello della luce e quello della musica:
a) La luce e i colori vengono spesso usati per evocare la durata che è una
compenetrazione permanente degli istanti del vissuto. Se ogni momento è
unico, è anche indistinguibile dagli altri e costituisce un dinamismo continuo
alla stregua di un colore che è solo una tappa intermedia tra altri due colori
che contiene già in sé pure conservando il carattere proprio6. Ungaretti usa
spesso metafore simili per evocare la trasformazione dei colori e il movimento
della vita:
Ogni colore si espande e si adagia
negli altri colori
Per esser più solo se lo guardi7
Fuggì il branco solo delle palme
e la luna
infinita su aride notti
La notte più chiusa
lugubre tartaruga
annaspa
Un colore non dura
La perla ebbra del dubbio
già sommuove l’aurora e
ai suoi piedi momentanei
5
G. Ungaretti, “Influenza di Vico sulle teorie estetiche d’oggi”, conferenza
del 1937 in Vita d’un uomo, Saggi e interventi, Milano: Oscar Mondadori, a
cura di M. Diacono e L. Rebay, 1982, p. 345.
6
“Non possiamo pensare, per esempio, che l’irriducibilità tra due colori
percepiti dipenda soprattutto dalla breve durata in cui si contraggono i trilioni
di vibrazioni che essi compiono in uno dei nostri istanti? Se potessimo
distendere questa durata, cioè viverla con un ritmo più lento, non vedremmo i
colori, via via che questo ritmo rallentasse, impallidire ed allungarsi in
impressioni successive, ancora colorate, senza dubbio, ma sempre più
prossime a confondersi con delle pure vibrazioni?” H. Bergson, op. cit., p.
171.
7
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Tappeto, p. 8. ( L’Allegria 1914-1919).
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POESIA E FILOSOFIA
(A PROPOSITO DEL BERGSONISMO DI UNGARETTI)
la brace
[…]8
La vita si vuota
in diafana ascesa
di nuvole colme
trapunte di sole9.
Con questi esempi, si tratta di costruire immagini dinamiche di paesaggi che
cambiano in modo quasi impercettibile.
b) La metafora musicale è una delle prime usate da Bergson sin dal Saggio.
Ogni nota considerata separatamente non rappresenta niente, ma trova il suo
senso solo nella successione armonica degli accordi della melodia, alla stregua
del tempo interiore la cui vera natura consiste nell’eterogeneità del
movimento10. Ungaretti, anche lui, tende qualche volta a contrarre le
immagini del mondo in un ritmo:
Me ne sono andato una sera
Nel cuore durava il limio
delle cicale
[…]11
8
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Popolo, p. 16.
9
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Inizio di sera, 15 febbraio 1917, p. 67.
10
“E se infine conservo, insieme all’immagine dell’oscillazione presente, il
ricordo dell’oscillazione che la precedeva, accadrà o che avrò giustapposto le
due immagini, e allora ricadiamo nella nostra prima ipotesi; oppure che le
avrò percepite l’una nell’altra, compenetrate e organizzate fra loro come le
note di una melodia, in modo da formare ciò che chiameremo una molteplicità
indistinta o qualitativa, senza alcuna somiglianza con il numero: avrò allora
ottenuto l’immagine della durata pura, ma al tempo stesso avrò
completamente abbandonato l’idea di un mezzo omogeneo o di una quantità
misurabile”. H. Bergson, Saggio sui dati immediati della coscienza, op. cit.,
p. 69.
11
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Silenzio, 27 giugno 1916, p. 33 (L’Allegria
1914-1919).
20
ERIK PESENTI ROSSI
Questi dossi di monti
si sono coricati
nel buio delle valli
Non c’è più niente
che un gorgoglio
di grilli che mi raggiunge
E s’accompagna
alla mia inquietudine12.
Quando le percezioni superflue sono svanite, quando l’essere si è liberato
delle preoccupazioni quotidiane, proprio allora la realtà del mondo gli si
presenta con la purezza originale di una melodia. Non c’è da meravigliarsi se
questa melodia si sveli di notte (nella maggioranza delle poesie) perché in
quel momento lo sguardo è disinteressato, la percezione diventa innocente e
profonda; tutto diventa ritmo ed è quindi percepito nella sua vera durata.
Anche per questo motivo Ungaretti difende la poesia in versi, perché essa è
ritmo, canto e memoria, battito del cuore del poeta che prova a ritrovare il
battito del cuore degli altri grandi poeti della sua terra13.
Tutto procede come se una gran parte della verità profonda delle cose si
trovasse in una melodia poetica trasmessasi da una generazione all’altra, senza
interruzione, in una specie di memoria che superi la rigidezza delle parole:
I giorni e le notti
suonano
in questi miei nervi
di arpa
vivo di questa gioia
malata di universo
e soffro
di non saperla
12
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Sonnolenza, 25 agosto 1916, p. 50
(L’Allegria 1914-1919).
13
“Non cercavo il verso di Jacopone o quello di Dante, o quello del
Cavalcanti: cercavo il loro canto. [...] era il canto della lingua italiana che
cercavo nella sua costanza attraverso i secoli [...] era il battito del mio cuore
che volevo sentire in armonia con il battito del cuore dei miei maggiori di una
terra disperatamente amata...”, G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, a cura di L. Piccione, Milano: Oscar Mondadori, 1986, p. XXXVI.
21
POESIA E FILOSOFIA
(A PROPOSITO DEL BERGSONISMO DI UNGARETTI)
accendere
nelle mie
parole14.
Non si può capire Bergson senza insistere sul ruolo centrale svolto dall’idea
di evoluzione nella sua filosofia. Pure accettando l’idea di una memoria
bergsoniana reversibile, nel senso che si può rivivere parzialmente un ricordo
nella sua freschezza primitiva15, resta tuttavia che la coscienza deve essere
concepita come un flusso dinamico in cui ogni istante modifica i precedenti.
In questo senso, la cronologia, non quella delle date, bensì quella delle
percezioni e dei sentimenti, è fondamentale nonché creatrice. In Bergson non
vi è eterno ritorno, e nemmeno si trovano cicli, né ripetizioni di nessun
genere; la vita tende verso una coscienza sempre maggiore e quindi verso la
libertà. L’atto libero bergsoniano fa sì che niente sarà come prima nella nostra
vita, esso è una rottura; la vita interiore è fatta in permanenza di piccole morti
di ognuno degli istanti vissuti. Questi sono temi semplici e forti del
bergsonismo che si possono ritrovare nel modo stesso in cui Ungaretti
costruisce la sua opera, essendo consapevole, anche lui, che l’accumulazione
del vissuto è fondamentale, insistendo sui prima e sui dopo della sua vita. La
sua poesia si costruisce nella cronologia della sua vita, segnata da momenti
forti che sono altrettante rotture: la partenza da Alessandria d’Egitto, la
scoperta dell’Italia, la prima guerra mondiale, la morte del figlio,
l’occupazione di Roma durante la seconda guerra mondiale. L’immagine del
fiume è importante nella sua poesia perché incarna il suo modo di concepire la
vita come flusso irreversibile. Nella famosa poesia I fiumi, proprio attraverso i
“suoi” fiumi evoca le tappe della vita trascorsa fino ad allora, certo con
nostalgia, ma anche con la volontà di continuare a lottare16 dopo lo strappo
14
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Poesia, 28 novembre 1916, p. 375 (Poesie
disperse).
15
In questo Bergson si fonda semplicemente sull’esperienza comune del
sogno: “Ora, è un fatto di comune osservazione l’‘esaltazione’ della memoria
in certi sogni e in certi stati di sonnambulismo. Dei ricordi che si credevano
aboliti ricompaiono allora con sorprendente precisione; riviviamo in tutti i
loro dettagli delle scene di infanzia interamente dimenticate; parliamo delle
lingue che non ci ricordavamo nemmeno più d’aver imparato”, H. Bergson,
Materia e memoria, op. cit., pp. 130-31.
16
“Ho tirato su / le mie quattr’ossa / e me ne sono andato / come un acrobata /
sull’acqua”, G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L.
Piccione, Milano: Oscar Mondadori, 1986, I fiumi, 16 agosto 1916,
(L’Allegria 1914-1919) vedi anche infra.
22
ERIK PESENTI ROSSI
della guerra (e la coscienza molto forte di questo); nel 1943, in Roma
occupata, si rivolge al Tevere con una preghiera per tutti quelli che soffrono
(“Mio fiume anche tu, Tevere fatale”17) mescolando così le acque del fiume al
corso della storia tragica, ma facendo anche eco a I fiumi, consapevole al
tempo stesso della solidarietà e delle rotture tra i momenti della coscienza.
II. La durata come mondo fatto d’immagini in movimento, solidali e
simultanee ma, contemporanemente, uniche
Bergson:
ponendo il mondo materiale ci si è dati un insieme di immagini, e
d’altronde è impossibile darsi altro. [...] Ora, ecco l’immagine che chiamo
oggetto materiale; ne ho la rappresentazione. Come mai non sembra essere
in sé ciò che è per me? Perché, solidale con la totalità delle altre immagini,
essa si prolunga in quelle che la seguono, così come prolungava quelle che
la precedono18.
Una coscienza che, distaccata dall’azione, tenesse così sotto il suo sguardo
la totalità del suo passato non avrebbe alcuna ragione per fissarsi su una
parte di questo passato piuttosto che su un’altra. [...] un ricordo qualunque
potrebbe essere accostato alla situazione presente [...]19.
Ungaretti:
tutte queste immagini della memoria – spiega Ungaretti a proposito dei
paesaggi del Lazio nella sua poesia – si sostituiscono l’una all’altra o si
compenetrano l’una nell’altra a costituire la durata di uno stato d’animo
che si riflette in un paesaggio sontuoso, sebbene s’arricchisca a spese di
rovine e trovi unità e solenne perfezione sognando sulle rovine20.
Se il carattere dell’800 era quello di stabilire legami a furia di rotaie e di
ponti e di pali e di carbone e di fumo – il poeta d’oggi cercherà dunque di
17
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Mio fiume anche, 1943-1944 (Roma
occupata).
18
H. Bergson, op. cit., pp. 27-28.
19
Ibidem, p. 141. I corsivi sono di Bergson.
20
Ungaretti citato da L. Piccione in G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, a cura di L. Piccione, Milano: Oscar Mondadori, 1986, p. XXXVII.
23
POESIA E FILOSOFIA
(A PROPOSITO DEL BERGSONISMO DI UNGARETTI)
mettere a contatto immagini lontane, senza fili. Dalla memoria
all’innocenza, quale lontananza da varcare; ma in un baleno21.
Nei due casi si tratta dunque di mettere in evidenza una memoria dinamica,
sempre virtualmente interamente presente, che procede per associazione di
idee e di immagini. Una memoria che, per Bergson, tenderebbe a contrarsi nel
momento di un’azione precisa, e a dilatarsi nell’artista non sottomesso alle
necessità dell’azione pratica e immediata. Si noterà in Ungaretti, per esempio,
con quale rapidità, ne I fiumi, il poeta, prendendo spunto da un bagno
nell’Isonzo, in piena guerra, ripassi, in poche brevi strofe, tutte le epoche della
sua vita attraverso gli altri fiumi conosciuti prima. In un’altra poesia, più
elaborata, 1914-1915, evoca con lo stesso ritmo veloce della precedente, la
sua scoperta dell’Italia, attraverso una moltitudine di immagini di paesaggi, da
“ [...] Alessandria,/ Friabile sulle tue basi spettrali/”22 scorta dalla nave in
partenza, fino alla vista delle montagne della Penisola, delle sue foreste, dei
suoi fiumi, delle sue pianure e poi del mare.
Se tutto è già ricordo – la poesia è del 1932 e il viaggio anteriore di quasi
vent’anni – occorre notare che nel momento in cui scopre l’Italia, questa è
anche evocata attraverso gli occhi e i sogni degli emigranti defunti ai quali fu
familiare23, mescolando memoria personale e memoria collettiva, presente e
passato. La sua capacità a mescolare le memorie e i tempi, si ritrova in
Lucca24. In questa poesia, conosciutissima, evoca la regione natale dei
genitori, la associa prima al ricordo che loro ne avevano e che gli hanno
trasmesso; dopo sembra che evochi il presente della scrittura (è a Parigi), poi,
attraverso una scorciatoia temporale e spaziale, si proietta nel futuro dove
s’immagina alla fine della sua vita, a Lucca, mentre sta allevando una prole.
Qui, di nuovo, le immagini si succedono, mescolando quelle di memorie
21
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Ragioni d’una poesia, introduzione del
poeta alla propria poesia, pp. LXXIX-LXXX.
22
“Ti vidi, Alessandria,/ Friabile sulle tue basi spettrali/ Diventarmi ricordo/
In un abbraccio di lumi./ […]” 1914-1915, 1932, in G. Ungaretti, Vita d’un
uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione, Milano: Oscar Mondadori,
1986, p. 161 (Sentimento del tempo).
23
“[…] Chiara Italia, parlasti finalmente/ Al figlio d’emigranti.// Vedeva per
la prima volta i monti/ Consueti agli occhi e ai sogni/ Di tutti i suoi
defunti ;/ […]”, in G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L.
Piccione, Milano: Oscar Mondadori, 1986, p. 162.
24
Lucca, in G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L.
Piccione, Milano: Oscar Mondadori, 1986, p. 95, 1919 (L’Allegria 19141919).
24
ERIK PESENTI ROSSI
varie, ma anche, umoristicamente, quelle della fantasia. Due esempi brevi di
rivisitazione del passato attraverso immagini presenti possono essere citati.
Monotonia è scritta in un momento di pausa nelle trincee, sotto un cielo grigio
e annebbiato; evocando allora la gioventù egiziana si rende conto della
bellezza del cielo d’Alessandria:
[…]
Una volta
non sapevo
ch’è una cosa
qualunque
perfino
la consunzione serale
del cielo
E sulla mia terra affricana
calmata
a un arpeggio
perso nell’aria
mi rinnovavo25.
In Nasce forse, si ritrova la stessa dialettica tra immagine del passato e
quella del presente. Come spiega il poeta, “La nebbia aveva mutato in
quell’ora Milano in un lago che come in un miraggio mi richiamava alla
mente il lago Mareotis, nel deserto vicino ad Alessandria”26. Si noterà come il
canto delle sirene sembri unire, nello stesso flusso, passato e presente:
C’è la nebbia che ci cancella
Nasce forse un fiume quassù
Ascolto il canto delle sirene
del lago dov’era la città27.
25
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Monotonia, 22 agosto 1916, p. 47
(L’Allegria 1914-1919).
26
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, note, p. 518.
27
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Nasce forse, 1914-1915, p. 9 (L’Allegria
1914-1919).
25
POESIA E FILOSOFIA
(A PROPOSITO DEL BERGSONISMO DI UNGARETTI)
III. Tempo collettivo e arte come intuizione bergsoniana
Bergson:
Ma è all’interno stesso della vita che ci condurrebbe l’intuizione, voglio
dire l’istinto diventato disinteressato, consapevole di se stesso, capace di
riflettere sul suo oggetto e di allargarlo indefinitamente. Uno sforzo di
questo genere non è impossibile, questo è dimostrato già dall’esistenza,
nell’uomo, di una facoltà estetica accanto alla percezione normale28.
Ungaretti:
[L’Umanista] [c]ommetteva un errore [...]: poneva l’avvenire nel passato,
nella memoria: non aveva verso di sé nemmeno la pietà di fondare
l’avvenire sopra uno stato declinante; lo fermava nella morte; dava al
passato un senso d’assoluto e d’eterno e smarriva gradualmente così il
senso del divino; la natura e il tempo assumevano per lui un senso
inattuale [...]29.
Aderire ai tempi è dunque manifestare un moto interno e non un imitare a
caso un oggetto piuttosto che un altro, e non uno sbriciolare l’uomo fuori
della realtà e convenzionalmente30.
La poesia di Ungaretti come eco della durata interiore va di pari passo con il
suo aderire al mondo esterno. Il suo rifiuto di questo tipo di ermetismo31 può,
per certi aspetti, essere riavvicinato all’intuizione bergsoniana. Questa teoria
della conoscenza, esposta ne L’Evoluzione creatrice, implica di conoscere il
reale dall’interno, aderendo al suo movimento pure essendo capace di
concettualizzarlo. Anche se non è sempre facile capirne l’attuazione
filosofica, il poeta ha forse meno difficoltà a coglierne la sostanza poiché
28
H. Bergson, L’Evoluzione creatrice (1907), traduzione personale. I corsivi
sono di Bergson. Il brano citato si trova alla pagina 645 dell’edizione francese
del Centenario, Parigi, PUF, 1963.
29
Vita d’un uomo, Saggi e interventi, Milano: Oscar Mondadori, a cura di
M. Diacono e L. Rebay, 1982, Poesia e civiltà, conferenza tenuta il 14
febbraio 1933 a Bruxelles, p. 312.
30
Ibidem, p. 309.
31
Con ermetismo intendo qui impermeabilità al mondo esterno, e non poesia
difficile da capire. Detto questo, anche nella seconda accezione, la poesia di
Ungaretti non è così ermetica.
26
ERIK PESENTI ROSSI
Bergson lo prende come modello; in effetti, per il filosofo francese, l’artista
vuole afferrare il movimento semplice della vita, la sua durata interiore
“ricollocandosi all’interno dell’oggetto con una specie di simpatia,
abbassando, con uno sforzo d’intuizione, la barriera che lo spazio frappone tra
lui e il modello”32.
Se è chiaro che questa definizione dell’intuizione artistica può applicarsi a
qualsiasi arte, a qualsiasi corrente, a qualunque artista – e questa è la facilità
del bergsonismo artistico, poiché si può dire che ogni artista aderisce al
mondo – mi sembra tuttavia evidente che quest’intuizione artistica procede
secondo modalità diverse in ognuno ed è probabilmente in questo che si può
trovare un approccio bergsoniano delle cose. D’altra parte, mi sembra che un
riavvicinamento con la filosofia bergsoniana in questo campo possa farsi
veramente solo grazie attraverso le dichiariazioni di intenzione del poeta,
attraverso una coscienza particolare e rivendicata del proprio approccio
artistico, in una specie di metalinguaggio poetico, oppure – e questo è più
facile – in altri testi teorici come gli estratti dati all’inizio di questo paragrafo.
Aderire ai tempi, significa cogliere la solidarietà totale del tempo umano
come coscienza, coscienza di sé, coscienza del mondo in cui l’uomo si evolve
e costruisce il proprio tempo. Questo significa aderire a tutte le percezioni che
costruiscono la nostra storia e che memorizziamo, si tratti delle percezioni del
paesaggio e dello spazio che ci circondano, ma anche dei fatti che avvengono
in questo spazio. Questa coscienza di appartenenza al tempo collettivo appare
chiaramente in Ungaretti; l’abbiamo già vista in Mio fiume anche tu, ma altri
esempi possono essere citati.
Si tratti della resistenza ai nazisti:
Qui
Vivono per sempre
Gli occhi che furono chiusi alla luce
Perché tutti
Li avessero aperti
Per sempre
Alla luce33.
Si tratti dei morti che hanno combattuto accanto a lui nel 1914-1918:
Mi tornano
32
H. Bergson, op. cit., traduzione personale. La citazione è alla pagina 645
dell’edizione francese (op. cit.).
33
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Per i morti della Resistenza, p. 321 (Nuove
1968-1970).
27
POESIA E FILOSOFIA
(A PROPOSITO DEL BERGSONISMO DI UNGARETTI)
transitando
per i canneti titubanti
lungo la strada
scorticata
sul dorso della solitudine
le parole
delle anime perse
[…]34.
Si tratti dell’atmosfera della Roma occupata dai nazisti nel 1943:
Le usate strade
– Folli i miei passi come d’un automa –
Che una volta d’incanto si muovevano
Con la mia corsa,
Ora più svolgersi non sanno in grazie
Piene di tempo
Svelando, a ogni mio umore rimutate,
I segni vani che le fanno vive
Se ci misurano.
[…]35.
La sua poesia cerca di ritrovare il ritmo interiore della storia degli uomini
oltre i fatti particolari36 – non parla mai veramente di fatti, né di
combattimenti, ma piuttosto di atmosfere, di tensioni particolari – ma vuole
anche aderire al ritmo interiore dei paesaggi, delle vie e degli oggetti che lo
circondano37, penetrare nel loro segreto intimo come abbiamo visto con
l’ultimo esempio: le strade che, una volta, correvano con la sua corsa, ora non
vibrano più e lui nemmeno.
34
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Bisbigli di singhiozzi, 27 novembre 1916, p.
374 (Poesie disperse).
35
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Folli i miei passi, p. 223 (Roma occupata
1943-1944).
36
Che sono solo “apparenze”.
37
“E sarà, per un poeta, un attimo, del proprio tempo, cioè una propria
fuggitiva sensazione e emozione, che darà colore alle cose, che le distinguerà
col suo sigillo, con il carattere della propria qualità umana e individuale”, in
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Saggi e interventi, Milano: Oscar Mondadori,
a cura di M. Diacono e L. Rebay, 1982, p. 332.
28
ERIK PESENTI ROSSI
Nella seconda strofa della poesia precedente, evoca ancora il ritmo rallentato
degli oggetti e della strada, ritmo interiore che diventa suo, in un’atmosfera di
morte:
[…]
E quando squillano al tramonto i vetri,
– Ma le case più non ne hanno allegria –
Per abitudine se alfine sosto
Disilluso cercando almeno quiete,
Nelle penombre caute
Delle stanze raccolte
Quantunque ne sia tenera la voce
Non uno dei presenti sparsi oggetti,
Invecchiato con me,
O a residui d’immagini legato
Di una qualche vicenda che mi occorse,
Può inatteso tornare a circondarmi
Sciogliendomi dal cuore le parole.
[…]38.
Altrove, attraverso l’evocazione dei fiumi della sua vita e il loro contatto,
ricerca l’armonia con gli elementi:
[…]
Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
[…]39.
38
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Folli i miei passi.
39
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, I fiumi, 16 agosto 1916, p. 44 (L’Allegria
1914-1919).
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POESIA E FILOSOFIA
(A PROPOSITO DEL BERGSONISMO DI UNGARETTI)
Occorre insistere sul significato bergsoniano dell’armonia ricercata (e non
sempre trovata) da Ungaretti, così definita da lui: “Così il poeta ha imparato di
nuovo l’armonia poetica, che non è un’armonia imitativa, poiché è
indefinibile, ma è quell’aderire nella parola con tutto l’essere fisico e morale,
ad un segreto che ci dà moto ed è più forte di noi”40.
Un’armonia con gli oggetti che è spesso vicina all’intuizione bergsoniana:
“[...] un oggetto è avvinto a noi e c’ispira per quel dato particolare che ci ha
toccato improvvisamente una volta per sempre, che rimasto nella nostra
memoria, sollecita la nostra fantasia a ricostruirlo miticamente in tutta la sua
e la nostra durata insieme confuse”41. Inoltre, va notato che, la maggior parte
del tempo, egli tende verso un ritmo rallentato, quello della natura, di ciò che
è vivo ma non umano:
Il cuore ha prodigato le lucciole
s’è acceso e spento
di verde in verde
ho compitato
Colle mie mani plasmo il suolo
diffuso di grilli
mi modulo
di
sommesso uguale
cuore
[…]
Oggi
come l’Isonzo
di asfalto azzurro
mi fisso
nella cenere del greto
scoperto dal sole
e mi trasmuto
in volo di nubi
40
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Saggi e interventi, Milano: Oscar
Mondadori, a cura di M. Diacono e L. Rebay, 1982, Poesia e civiltà, pp. 31920 (corsivo mio).
41
Ibidem, “Influenza di Vico sulle teorie estetiche d’oggi”, op. cit., p. 356
(corsivi miei). In queste due citazioni si noterà il vocabolario bergsoniano
usato da Ungaretti e da me indicato in corsivo.
30
ERIK PESENTI ROSSI
Appieno infine
sfrenato
il solito essere sgomento
non batte più il tempo col cuore
non ha tempo né luogo
è felice
Ho sulle labbra
il bacio di marmo42.
L’esperienza bergsoniana finisce nel momento in cui incomincia l’oblio di
sé e la perdita della coscienza. Allora il tempo diventa un nemico, la memoria
una corruttrice dell’immagine originaria. La predilezione del rapporto con la
natura, dal ritmo più lento, anziché con gli uomini, le loro opere e la loro
azione, dal ritmo più veloce, è un’indicazione chiara del suo platonismo.
IV. Una memoria corruttrice e non essenziale
La ricerca dell’immagine originaria, così com’è stata definita da Ungaretti,
quella che è stata corrotta dal tempo e dalla memoria, è anti-bergsoniana. In
effetti, per Bergson l’uomo è memoria, si costruisce soltanto, individualmente
e collettivamente, nella successione degli istanti della propria vita che
costituiscono la sua coscienza e, quindi, la sua identità. Senza memoria non vi
è coscienza. La memoria bergsoniana è costruttrice ed essenziale, quella di
Ungaretti è distruttrice perché allontana l’uomo dall’immagine originaria.
L’idea di un’immagine originaria e di un tempo corruttore è platonica, e su
questo schema platonico si fonda, in verità, il concetto ungarettiano del
mondo così come appare nella sua poesia. Incessantemente, l’illusione della
memoria viene da lui denunciata:
[…]
Memoria, fluido simulacro,
Malinconico scherno,
Buio del sangue…
Quale fonte timida a un’ombra
Anziana di ulivi,
Ritorni a assopirmi…
42
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Annientamento, 21 maggio 1916, pp. 29-30
(L’Allegria 1914-1919).
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POESIA E FILOSOFIA
(A PROPOSITO DEL BERGSONISMO DI UNGARETTI)
Di mattina ancora segreta,
Ancora le tue labbra brami…
Non le conosca più!43
Nello stesso modo la sua volontà di sfuggire al presente è sempre ribadita:
[…]
Chiudiamo gli occhi
per vedere nuotare in un lago
infinite promesse
Ci rinveniamo a marcare la terra
con questo corpo
che ora troppo ci pesa44.
Memoria e presente sono quindi per lui due illusioni che ci allontanano
dall’immagine originaria pura.
Conclusione
Vi è in Ungaretti una riflessione importante sul proprio lavoro poetico; i suoi
testi teorici (ricchi e numerosi) aiutano a capire meglio gli “schemi” filosofici,
bergsoniani e platonici, che lo hanno ispirato. Contrariamente ad altri artisti e
poeti dell’epoca, il suo bergsonismo non si limita ad una semplice ripresa
formale (e in certi casi inconscia) di concetti in voga (intuizione, durata,
slancio vitale) ma sembra che esso abbia veramente aiutato il suo approccio
del mondo attraverso l’opera poetica, specie nei primi anni. In lui non vi è
dunque una semplice convergenza di temi con Bergson. Il bergsonismo di
Ungaretti sta nel suo concetto cumulativo e dinamico della memoria, ma
quest’accumulazione è negativa per lui.
Il suo bergsonismo sta nel suo procedimento particolare di adesione al reale
in quello che ha di più profondo, cioè nel suo moto interiore, intimo, quasi
segreto; ma sta anche nella stessa coscienza che egli ha di questo
43
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Alla noia, p. 108 (Sentimento del tempo
1922).
44
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di L. Piccione,
Milano: Oscar Mondadori, 1986, Fase d’Oriente, 27 aprile 1916, p. 27
(L’Allegria 1914-1919).
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ERIK PESENTI ROSSI
procedimento, nella sua volontà di non cadere mai, a dispetto di tutto,
nell’irrazionale. Ma, il bergsonismo resta per lui un metodo, egli vede solo
l’aspetto intimistico di questa filosofia che, pure partendo dalla coscienza di
sé, invita l’uomo ad un saldo e permanente contatto con il reale, ad
un’adesione/confronto con il presente. Se Bergson invita l’uomo a proiettarsi
nel futuro grazie alle esperienze di una memoria che è anche creatrice (e
quindi azione), Ungaretti è in cerca di un altrove, di una purezza che è stata
corrotta per sempre dal tempo e dalla memoria. In questo, il suo riferimento
fondamentale resta Platone.
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