“la ricerca progettuale sulla residenza deve coincidere con la ricerca

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“la ricerca progettuale sulla residenza deve coincidere con la ricerca sull’architettura della città e con la
trasformazione della qualità della vita urbana”
Lo spazio collettivo della città, Cerasi, M., Mazzotta, Milano, 1976.
“Anche la città contemporanea non manca di relazioni, anzi né è percorsa in continuazione. Soltanto che a
quelle tradizionali dello scambio, dell’incontro e della socialità se ne sono sostituite altre, legate alla
comunicazione e ai nuovi mezzi telematici, in una “rete” nella quale il luogo fisico ha perso
progressivamente importanza, sostituito dall’immaterialità del virtuale.”
COMPLESSITA’ e REGOLA, Enrico Gianni, Libreria CLUP, Milano, 2006.
“Oggi la città è dominata dai mezzi di comunicazione, da una sempre maggiore specializzazione delle
funzioni. Il risultato è di fronte ai nostri occhi. Sembra che nella città contemporanea non ci sia più posto
per relazioni che si instaurano nello spazio aperto della città, i luoghi collettivi sempre più raramente si
identificano con lo spazio pubblico, e sempre più invece assomigliano allo spazio privato dei grandi centri
commerciali o dei multisala sparsi nelle sue aree periferiche.”
COMPLESSITA’ e REGOLA, Enrico Gianni, Libreria CLUP, Milano, 2006.
“lo spazio serve a distinguere e a distinguersi”
MENTE LOCALE: PER UN ANTROPOLOGIA DELL’ABITARE, La Cecla, F., Elèuthera, Milano, 1993.
“Accanto ad una pratica che si va diffondendo, di trasformazione urbana affidata al gesto individuale,
che trova principalmente spazio nel progetto degli elementi primari, monumenti del progresso, forma
pubblicitaria delle amministrazioni locali per palesare un attività di rinnovamento e un’aspirazione alla
internazionalizzazione, possiamo riconoscere un attenzione sempre maggiore alla pratica dell’architettura
minore, quella della norma, che vede nel progetto dell’abitazione la vera spinta propulsiva per la
costruzione della città.”
COMPLESSITA’ e REGOLA, Enrico Gianni, Libreria CLUP, Milano, 2006.
“Un territorio poroso, una città porosa, dove sacche di natura si insinuano in forma frattale nel
continuum urbano, dove i confini tra città e paesaggio si sono fatti indefiniti, dove lo stile di vita individuale
si sposta frequentemente dalla congestione metropolitana alla esclusione rurale, dove stanzialità e
nomadismo si alternano nel ciclo vitale, dove condizione solitaria e famiglia allargata si inseguono nei
luoghi.”
DIBATTITO in LOTUS INTERNATIONAL - URBAN HOUSING n.120, Zucchi C., Aprile 2004, pag. 11.
“si altera il consueto rapporto casa-lavoro realizzando soluzioni ibride in cui la tipologia del terziario si
adatta alla funzione abitativa o, al contrario, l’alloggio si apre ad accogliere una varietà di usi e le possibilità
per la costruzione di nuove e inedite relazioni sociali”.
COMPLESSITA’ e REGOLA, Enrico Gianni, Libreria CLUP, Milano, 2006.
“ [...] Per quanto attualmente la città moderna non riconosca più il significato tradizionale della funzione
di incontro, molti cominciano a rendersi conto che una città senza spazi ben definiti non offre alcun genere
di promessa. [...] L’identità umana presuppone l’identità del luogo ed è quindi fondamentale che lo spirito
del luogo sia compreso e conservato. Lo spazio urbano visualizza un mondo sia generale che locale e aiuta
perciò gi edifici dell’abitare pubblico e privato a radicarsi in un dato ambiente. Potremmo anche dire che
esso predispone all’adempimento dell’abitare nelle istituzioni e nelle dimore”.
GENIUS LOCI, Christian Norberg Schulz, ELECTA EDITRICE, 1981
“La città è quindi il posto ove ha luogo l’incontro, ove gli uomini si riuniscono e scoprono il mondo degli
altri [...] L’incontro e la scelta sono quindi le dimensioni esistenziali della città”.
L’ABITARE: L’INSEDIAMENTO, LO SPAZIO URBANO, LA CASA, Christian Norberg Schulz, ELECTA, Milano,
1984
“Quando usiamo il termine abitare non alludiamo semplicemente all’atto del risiedere, ma facciamo
riferimento ad un processo di costruzione di una relazione, di un legame tra essere umano e luogo. Solo nel
momento in cui si realizza un rapporto significativo tra l’individuo e l’ambiente possiamo affermare che
l’uomo abita. [...] Abitare presuppone dunque un atto di appropriazione di un luogo e dell’identificazione in
esso, ossia il riconoscimento di appartenenza ad un certo luogo, che si manifesta nell’insediamento,
realizzazione della volontà di delimitare un area, uno spazio, per abitarlo. [...] Insediarsi nella forma urbana
costituisce dunque l’opportunità per realizzare la stanzialità: ricerca di rifugio, di protezione, e allo stesso
tempo di vita comunitaria e di relazioni.”
GENIUS LOCI, Christian Norberg Schulz, ELECTA EDITRICE, 1981
“ Che significa allora: ich bin, io sono? L'antica parola bauen, a cui si ricollega il "bin", risponde: 'ich bin".
"du bist" vuol dire: io abito. tu abiti. Il modo in cui tu sei e io sono. il modo in cui noi uomini siamo sulla
terra, è il Buon, l'abitare. Esser uomo significa: essere sulla terra come mortale; e cioè: abitare.[ ...] Se
tuttavia ascoltiamo ciò che il linguaggio ci dice nella parola bauen, costruire, apprendiamo tre cose: 1.
Costruire è propriamente abitare. 2. L'abitare è il modo in cui i mortali sono sulla terra. 3. Il costruire come
abitare si dispiega nel "costruire" che coltiva, e coltiva ciò che cresce; e nel "costruire" che edifica
costruzioni. [...] Non è che noi abitiamo perché abbiamo costruito; ma costruiamo e abbiamo costruito
perché abitiamo, (cioè perché siamo in quanto siamo gli abitanti (die Wohnenden)”
SAGGI E DISCORSI, Martin Heidegger, MURSIA, 1976.
“L'uomo abita quando riesce ad orientarsi in un ambiente e ad identificarsi con esso, o più
semplicemente, quando esperisce il significato di un ambiente. Abitazione quindi vuoi dire qualcosa di più
di un "rifugio": essa implica che gli spazi dove la vita si svolge siano luoghi nel vero senso della parola”.
COMPLESSITA’ e REGOLA, Enrico Gianni, Libreria CLUP, Milano, 2006.
“Dimorare significa rendersi conto di una separazione, raccogliersi in sé per constatare che da questa
separazione emerge la compagnia, una compagnia, sempre da riconfermare, con un luogo. Lo spazio di una
città, della propria città, o della città in cui ci si trova a vivere, volenti o nolenti, è l'evidenza che c'è qualcosa
fuori di noi. L'agio o il disagio di vivere in un luogo ce lo ricordano continuamente. [...] La città secolare fa
finta che non esista una continua osmosi tra l'identità delle persone e quella dei luoghi, finge una
indifferenza dei luoghi. I poeti si accorgono dell'impostura e rivelano di quali intime fibre si nutre il
dimorare. E rivelano anche che questa loro scoperta è la scoperta della compagnia che i luoghi fanno non
solo a loro, poeti, ma anche agli altri abitanti”
MENTE LOCALE: PER UN ANTROPOLOGIA DELL’ABITARE, La Cecla, F., Elèuthera, Milano, 1993 pp.67-70.
“L'abitare è anche necessaria conquista di un equilibrio fra rifugio e relazione, fra il coltivare l'intimità e
l'esporsi; e in ciò gli organismi urbani, anche grazie alla configurazione fisica, si sono mostrati strumenti
quanto mai efficaci, tanto che la città deve la sua fortuna, oltre che alle risorse economiche che ha saputo
attrarre e creare, alla capacità di allentare la morsa degli sguardi e dei condizionamenti delle comunità
ristrette”
Dalla radura alla rete, Consonni G., Unicopoli, Milano, 2000, p.118.
“La suddivisione abitare collettivo-abitare individuale propone, a partire dai "modi di abitare" indicati
da Christian Norberg-Schulz (L'abitare: /'insediamento, lo spazio urbano, lo casa, op. cit.), la distinzione tra i
caratteri della città che attengono alla sfera collettiva (essi comprendono abitare collettivo e abitare
pubblico) e quelli che attengono alla sfera individuale (abitare privato).
In questo caso la forma urbana comprenderebbe /'insediamento in un luogo nel quale identificarsi ed
orientarsi, l'abitare collettivo come atto di raduno, che prende forma dello spazio urbano nel quale fare
esperienza del mondo attraverso l'incontro e lo scambio (strada e della piazza), l'abitare pubblico, come
atto di accordo, che si esplicita nella costruzione di un luoghi in cui tale accordo venga espresso (edifici
pubblici e istituzioni costruiti sulla base di interessi comuni) e l'abitare privato, come atto di ritiro in un
luogo in cui dimorare e raccogliersi per definire la propria identità (la casa).”
GENIUS LOCI, Christian Norberg Schulz, ELECTA EDITRICE, 1981
“La caratteristica fondamentale dei luoghi costruiti dall'uomo è perciò la concentrazione e la recinzione.
Questi sono "interni" in senso pieno, ossia hanno la proprietà di "radunare" quanto è conosciuto, e per
adempiere a questa funzione, hanno aperture che li pongono in relazione con l'esterno”.
GENIUS LOCI, Christian Norberg Schulz, ELECTA EDITRICE, 1981
“[...] noi dobbiamo considerare la città non come un oggetto a sé stante, ma nei modi in cui essa viene
percepita dai suoi abitanti”
L'immagine della città, Lynch, K., Marsilio, Padova, 1964, p.25.
“La strada, erode la sua dimensione umana e componente sociale e acquisita sempre più una
dimensione infrastrutturale legata ai flussi e ai trasporti, si potrebbe dire che si sia trasformata in ciò che
Marc Augé definisce nonluogo, lasciando che altri spazi “deboli” di identità e di relazioni come gli shopping
mall, i parchi di divertimento, i bingo e gli ipermercati si sostituiscano, come luoghi del consumo e di una
nuova socialità, allo spazio aperto della città.”
COMPLESSITA’ e REGOLA, Enrico Gianni, Libreria CLUP, Milano, 2006.
“Con nonluoghi ho indicato gli spazi che oggi mi sembrano dominanti e cioè gli spazi della
circolazione, le autostrade con le stazioni di servizio, gli aeroporti, gli aerei; quelli del consumo, i
supermercati; e quelli della comunicazione con le antenne. Le tre C, circolazione, consumo, comunicazione.
Perché nonluoghi? […] Un luogo per me è uno sazio dove si può leggere l’identità, il simbolo, la relazione
con gli altri e la storia. In molti degli spazi contemporanei tuttavia è difficile rilevare i segni dell’identità
perché sono luoghi di passaggio, di transito. La relazione non esiste perché sono luoghi destinati al
consumo, e neanche la storia perché sono luoghi al presente dove semplicemente passiamo. Così ho
chiamato nonluoghi questi spazi della comunicazione, della circolazione e del consumo in opposizione al
concetto ideale di luogo”.
NON LUOGHI – INTRODUZIONE A UNA ANTROPOLOGIA DELLA SURMODERNITA’, Augé Marc, Eléuthera,
1993.
“Nella casa l’uomo si familiarizza con l’immediatezza del mondo; qui non deve scegliere un percorso
o trovare una meta; nella casa e intorno alla casa il mondo è dato con naturalezza. Potremmo anche dire
che la casa è il posto in cui ha luogo il quotidiano. Il quotidiano rappresenta la continuità dell’esistenza e
quindi sostiene un terreno familiare. […] Quando si è adempiuto al compito sociale, ci si ritira nella propria
casa per recuperare l’identità personale. L’identità personale è quindi il contenuto dell’abitare privato”.
L’ABITARE: L’INSEDIAMENTO, LO SPAZIO URBANO, LA CASA, Christian Norberg Schulz, ELECTA, Milano,
1984
“Le interazioni sociali o la mancanza di esse – sono condizionate in primo logo dalla presenza di una
sfera di interessi in comune fra gli abitanti, siano essi economici, politici o ideologici. Se questi fattori non
esistono, allora non esiste una base valida per le relazioni interpersonali. Il nostro postulato, che le forme di
organizzazione dello spazio non sono in grado di promuovere le relazioni sociali non contraddice
l’affermazione che l’ambiente fisico, e la distribuzione funzionale e sociale degli spazi possano dischiuderne
o troncarne, le opportunità di sviluppo.”
VITA IN CITTA’: SPAZIO URBANO E RELAZIONI SOCIALI, Gehl J. Maggioli Rimini 1991.
“La vita fra le case costituisce potenzialmente un processo auto-rinforzante. Quando qualcuno
comincia a fare qualcosa, si manifesta da parte degli altri la chiara tendenza ad associarvisi anch’essi, o
partecipando in prima persona a quella data attività, o traendo semplicemente un’esperienza da quanto
altri stanno facendo. […] Se c’è molta gente, se sta succedendo qualcosa, più persone e più fatti tendono a
concentrarsi, in modo tale che l’attività aumenta sia nel volume, sia nella durata.”
VITA IN CITTA’: SPAZIO URBANO E RELAZIONI SOCIALI, Gehl J. Maggioli Rimini 1991.
“[…] è necessario evitare strade pedonali lunghe e rettilinee. Percorsi con curve e linee spezzate
rendono di fatti più interessante lo spostamento pedonale, e proprio grazie all’andamento tortuoso sono
generalmente migliori e più riparati in caso di vento. Una rete viaria che alterni alla strada piccole piazze o
slarghi avrà spesso un effetto psicologico positivo tale da fare apparire più breve il tragitto.”
VITA IN CITTA’: SPAZIO URBANO E RELAZIONI SOCIALI, Gehl J. Maggioli Rimini 1991.
“ [...] l'elemento di vitalità di cui questi quartieri hanno più bisogno è l'uso primario costituito dalle
attività lavorative. [...] L'opportunità di tenere distinte le abitazioni dai luoghi di lavoro ci è stata inculcata
con tanta insistenza che dobbiamo fare uno sforzo per riuscire a guardare alla vita reale delle città e
constatare che i quartieri residenziali privi di attività lavorative non hanno vita prospera.”
Vita e morte delle grandi città: SAGGIO SULLE METROPOLI AMERICANE, Jacobs J., EINAUDI, Torino, 1969.
“Le opportunità d'incontro e le attività quotidiane negli spazi pubblici di una città o di un quartiere
offrono all'individuo la facoltà di trovarsi insieme agli altri, di vederli, di ascoltarli, di osservarli all'opera in
varie situazioni. Questi semplici contatti visivi-auditivi vanno considerati in rapporto alle altre forme di
relazione e in quanto parte dell'intera gamma di attività sociali possibili, dai contatti più superficiali e più
semplici, alle relazioni più complesse ed emotivamente impegnate. Il grado di variabilità dell'intensità del
contatto è riassunto, in forma semplificata, nello schema che segue (in ordine decrescente dall'alta
intensità alla bassa intensità): Amicizia intima - Amicizia - Conoscenza – Contatti occasionali - Contatti
passivi (visivi-auditivi).”
VITA IN CITTA’: SPAZIO URBANO E RELAZIONI SOCIALI, Gehl J. Maggioli Rimini 1991.
“A proposito dell'introduzione di sistemi d'organizzazione gerarchica negli spazi d'uso collettivo - dal
soggiorno di casa, alla piazza del Comune - e a proposito del rapporto di questi spazi con i vari gruppi
sociali, è possibile definire una gradazione in base alla quale i diversi spazi sono più o meno pubblici e
privati. A un estremo della scala, c'è l'abitazione privata con spazi aperti d'uso privato, come giardini e
balconi. A loro volta, gli spazi pubblici di un complesso residenziale sono, è vero, accessibili al pubblico, ma
poiché servono un numero limitato di abitazioni, hanno un carattere semi pubblico. Ancora, gli spazi
comuni di un quartiere sono più pubblici, mentre la piazza principale del centro Cittadino è uno spazio
completamente pubblico. Questa gradazione tra pubblico e privato può essere anche molto più articolata
di quella che abbiamo descritto. O può essere molto meno netta, come nel caso degli edifici multipiano o
delle abitazioni unifamiliari all'interno dell'organismo complesso della città. [...] Creare una struttura sociale
e una corrispondente struttura fisica dotata di spazi d'uso collettivo a diversi livelli rende possibile un flusso
in movimento da luoghi e gruppi ristretti verso unità più ampie e da spazi a carattere maggiormente privato
verso quelli gradualmente più pubblici, generando cosi un senso maggiore di sicurezza e un senso più forte
di appartenenza alla zona immediatamente esterna alla porta di casa.”
VITA IN CITTA’: SPAZIO URBANO E RELAZIONI SOCIALI, Gehl J. Maggioli Rimini 1991.
“Gli spazi pubblici nelle città e nelle aree residenziali possono essere attraenti e facilmente accessibili,
e quindi incoraggiare persone e attività a spostarsi dagli spazi privati verso l'ambiente pubblico. [...]
L'eventualità che l'ambiente pubblico sia o non sia attraente, deriva fra le altre cose da come questo si
relaziona allo spazio privato, e da come vengono progettate e organizzate le zone di confine fra i due tipi di
aree. Confini molto netti e demarcati - quali quelli degli edifici multipiano, dove o si è completamente al
chiuso, o si è in una zona pubblica all'esterno: sulle scale, in ascensore, oppure sulla strada - renderanno
difficile in molte circostanze introdursi nell'ambiente d'uso comune, a meno che non sia strettamente
necessario entrarvi. Confini più duttili, costituiti da zone di passaggio che non sono ne completamente
pubbliche, né completamente private, possono invece funzionare spesso da anelli di connessione,
rendendo più semplice e più naturale, psicologicamente e fisicamente, il passaggio di persone e attività
dall'area privata a quella pubblica, da dentro a fuori.”
VITA IN CITTA’: SPAZIO URBANO E RELAZIONI SOCIALI, Gehl J. Maggioli Rimini 1991.
“In anni più recenti, si è venuta progressivamente affermando la tendenza spiccata a creare spazi
pubblici all'interno di edifici privati, di centri commerciali, etc. [...] Questo orientamento, dal punto di vista
degli imprenditori, può creare prospettive interessanti, ma dal punto di vista della città genera quasi
sempre come risultato finale una dispersione delle persone, un rinchiudersi della gente e delle attività, che
svuotano lo spazio pubblico di esseri umani e di attrazioni interessanti.”.
VITA IN CITTA’: SPAZIO URBANO E RELAZIONI SOCIALI, Gehl J. Maggioli Rimini 1991.
“E’ importante sostare negli spazi pubblici, ma più importante ancora è soffermarvisi a lungo. […] Le
zone preferite per sostare si trovano lungo le facciate degli edifici che delimitano un certo spazio, o nelle
aree di passaggio fra uno spazio e l’altro, dalle quali è possibile vedere contemporaneamente entrambi gli
spazi. In uno studio sulle zone di sosta preferite, in Olanda, nelle aree destinate allo svago, il sociologo Derk
de Jonge parla di un caratteristico "effetto confine" (Jonge, D. de, Applied hodology, Landscape 17, n.2,
1967-68). [...] La spiegazione naturale di questa preferenza sta nel fatto che la posizione periferica
permette di dominare meglio un'area, dal confine verso l'interno. [...] Gli spazi lungo le facciate
rappresentano inoltre i luoghi più naturali per sostare all'aperto, per i residenti e per le funzioni che si
svolgono negli edifici circostanti. E’ relativamente facile spostare una funzione, una attività, dall'interno
della casa alla zona lungo la facciata. [...] Portici, tende e tettoie lungo le facciate degli spazi urbani offrono
anch'essi alla gente l'interessante opportunità di I soffermarsi a osservare senza essere visti».
VITA IN CITTA’: SPAZIO URBANO E RELAZIONI SOCIALI, Gehl J. Maggioli Rimini 1991.
“[…] diviene allora molto importante la tendenza affermatasi recentemente nei pretti di nuovi
insediamenti residenziali, di fare posteggiare le auto dei residenti a 100, o 200 metri di distanza dalle
abitazioni. In questo modo, le strade divengono difatti più popolate, e diviene naturalmente più
interessante attraversarle con probabilità maggiori di incontrare conoscenti e di trovare qualche cosa da
vedere.”
VITA IN CITTA’: SPAZIO URBANO E RELAZIONI SOCIALI, Gehl J. Maggioli Rimini 1991.
“La mia ipotesi è che il cattivo funzionamento delle periferie moderne pianificate sia legato al cattivo uso
delle distanze architettoniche, alla sindrome da architettura difensiva, dove tutto lo sforzo va nel frapporre
una distanza fra gli oggetti per evitare conflitti e non creare possibilità impreviste.”
Manuel de Solà-Morales
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